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Il Sufismo – Angelo Scarabel

1. Origini e significato

 Cosa significa sufismo

Sufismo è un termie che indica un complesso di dottrine, pratiche e comportamenti specifici di un


aspetto della religione islamica, assimilato d‟abitudine alla mistica. La parola araba che meglio
corrisponde a questo concetto è taṣawwuf, il cui senso è quello di esoterismo. In questo contesto,
parliamo quindi di esoterismo islamico (al-taṣawwuf al-islāmī). I pii e i dotti musulmani si sono
preoccupati di fornire ai loro correligionari dei vademecum con cui raggiungere la beatitudine del
Paradiso, senza rinunciare a ciò che di buono Dio ha creato per loro sulla terra. Tutti i musulmani
devono percorrere “la via larga”, la sharī’a, la cui funzione è quella di regolare la vita individuale e
sociale del fedele. Da questa via larga se ne diparte un‟altra, la ṭarīqa: è la via stretta, riservata a
coloro che non si accontentano della sharī’a. Gli studi di Louis Massignon (1883-1962) hanno
permesso di riconoscere come il Sufismo sia profondamente radicato nella meditazione del Corano
e della tradizione del Profeta, cioè nelle fonti stesse della tradizione islamica. Gli esponenti del
Sufismo ci offrono un‟interpretazione del rapporto esistente tra sharī’a e ṭarīqa: ogni uomo è
composto da corpo (jism), anima (nafs) e spirito (rūḥ), andando dall‟esterno verso l‟interno e dal
basso verso l‟alto. I maestri sufi avvertono che sono Dio sa cosa sia effettivamente lo spirito; la nafs
contiene le caratteristiche morali, l‟indole e le tendenze di ciascuno. Le tendenze vengono
generalmente riassunte in tre e a ciascuna di esse corrisponde un grado dell‟anima:

1. L‟attrazione verso il basso, il male, è rappresentata dall‟anima imperiosa, al-nafs al-


ammara, che ordina e pretende la soddisfazione dei propri desideri e voglie.
2. Il grado successivo è rappresentato dall‟anima biasimatrice, al-nafs al-lawwāma, la quale
rimprovera ogni cedimento all‟anima imperiosa e provoca nell‟individuo il rimorso e la
determinazione a correggere i propri errori. Il suo scopo è quello di raggiungere un
equilibrio che neutralizzi le forze che conducono verso il basso, facendo leva sulla Legge.
Questa descrive lo stato della maggior parte dei fedeli, in costante bilico tra il peccato e la
redenzione.
3. Il grado più elevato è quello dell‟anima pacificata, al-nafs al-muṭma’inna, che è tutta rivolta
verso il bene, lasciandosi alle spalle la gestione dell‟anima imperiosa. Questo è il dominio
della ṭarīqa, la via che va oltre una Legge fatta per questo mondo, e punta a scrollarsi di
dosso la quotidiana contingenza.

Oltre all‟immagine del cerchio, un‟altra immagine frequentemente usata per descrivere il rapporto
tra le due vie è quella di certi frutti costituiti da due strati: la buccia (qishr), esterna, che rappresenta
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l‟aspetto esteriore delle cose, e la polpa (lubb), interna, che ne rappresenta quello interiore. La
buccia è la protezione esterna del frutto, mentre l‟essenza è la polpa, la ragion d‟essere del frutto e
anche della buccia. Tuttavia, senza la funzione di protezione della buccia, la polpa andrebbe
perduta. Parliamo dunque di una complementaria gerarchia tra le due vie, che rappresentano al
contempo l‟aspetto esoterico e quello essoterico dell‟Islam.

 Sufismo e mistica

Si tende a considerare sufismo e mistica come due termini interscambiabili. Nel contesto specifico
della mistica cristiana, santa Teresa d‟Avila afferma che “Non ci si eleva se Dio non ci eleva”, per
cui la mistica altro non è che la violenta irruzione di Dio nell‟anima. Anche nel Sufismo, “non ci si
eleva se Dio non ci eleva”, e anche qui avviene l‟irruzione delle Realtà divina nel cuore del Suo
amante. L‟attenzione speciale di Dio deve essere la conseguenza di un‟iniziativa presa dall‟uomo.
L‟aspirante ha bisogno dell‟intervento di un maestro che, per essere tale, deve già aver percorso la
via almeno fino a un grado di realizzazione che gli consenta di essere valido in quanto tale. Egli
deve assolvere a una duplice funzione:

1. Trasmettitore dell‟influenza spirituale necessaria per aprire il cuore alla via; senza la baraka
trasmessa da un maestro autorizzato, non sarebbe possibile nemmeno entrare.
2. Guida, dottrinale e pratica, senza la quale il discepolo rischierebbe di perdersi lungo un
percorso pieno di difficoltà.

In conclusione, l‟iniziazione; la trasmissione di un metodo e di una conoscenza; la volontà e l‟attiva


azione del discepolo; la presenza di riti specifici atti a richiamare la presenza divina nel cuore sono
tutti elementi che differenziano il Sufismo dalla mistica che, al contrario, non comporta la
trasmissione di alcun metodo o conoscenza ulteriore; il mistico attende passivamente ciò che gli
viene donato.

 “Prima la cosa e dopo il nome”

La ṭarīqa esiste dal momento stesso della nascita dell‟Islam. Il Profeta, che ricevette la Rivelazione
che si concretizzò nella sharī’a, ricevette anche la conoscenza particolare riservata alla via stretta, e
la trasmise a coloro che ritenne in grado di sopportarne il peso e di attuarne le prospettive: i quattro
califfi Ben Guidati e la Ahl al-Ṣuffa; si annoverano anche altri nomi, come i fondatori delle quattro
scuole di diritto canoniche, nonché di personaggi storici e di califfi dei primi secoli dell‟Islam, della
dinastia omayyade e abbaside. L‟esoterismo non aveva bisogno, in quelle generazioni, di essere
definito; poi, diventando cosa rara con il passare del tempo e la diminuzione di coloro che
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posseggono le qualifiche per intraprendere la via stretta, cominciò a essere definita. Quando a un
maestro del X secolo, al-Bushanji (m. 959), chiesero cosa fosse il Sufismo, egli rispose “Oggi è un
nome senza realtà, mentre è stata una realtà senza nome”.

 Sufi e derivati

Le prime testimonianze dell‟utilizzo delle parole sufi e taṣawwuf risalgono al II/VIII secolo;
anteriormente l‟epiteto che meglio sembra adattarsi ai sufi è “asceta”, zāhid. Tuttavia, non si può
parlare di assoluta coincidenza poiché ogni sufi è un‟asceta ma non ogni asceta è un sufi.

 Etimologie del termine sufi

La radice da cui deriva il termine sufi indica ciò che è riferito alla lana, “ṣūf”. I sufi sono, dunque,
“quelli della lana”, nel senso di colui che veste di lana. La lana è un materiale con il quale si
confezionavano mantelli a poco prezzo, dunque un tipo di abbigliamento collegato alla povertà: il
sufi si fa chiamare, infatti, faqīr, “povero”, nel senso di povero in spirito, cioè colui che considera
ricchezze e vantaggi di questo mondo come rigorosamente insussistenti di fronte alla
contemplazione del suo Signore e ne è quindi distaccato. Non tutti i maestri del Sufismo sono stati
effettivamente sprovvisti di beni, e non tutti hanno rivestito panni di lana grezza; anzi, molto spesso,
essi hanno avuto a disposizione anche ingenti beni, verso i quali però provavano totale indifferenza,
che è la componente essenziale del concetto di “povertà in spirito”. Un abito di lana era tutto quanto
avessero addosso alcuni degli uomini della Veranda; la lana era anche la fibra degli abiti dei profeti:
Mosè sul Sinai vestiva di lana, come pure Gesù. È quindi anche nello spirito di imitazione dei
profeti e dei santi che la lana diventa simbolo del Sufismo, al punto da dargli il suo nome. Dal punto
di vista storico, vi sono notizie che attestano un uso specifico del mantello di lana come voto di
penitenza o come bandiera della propria povertà; dal III/IX secolo, il mantello di lana bianca
diviene simbolo della pietas religiosa. Un‟altra etimologia riguarda Abu Hayy Gawth, che la madre
consacrò al servizio della Ka’ba mettendogli in testa una pezza di lana, per cui egli fu
soprannominato Ṣūfa. Abu Hayy Gawth significa “padre del vivente, soccorso”, il termine qui
tradotto con “soccorso” è anche quello con cui si designa, nella tradizione sufica, la massima
gerarchia esoterica. Altra derivazione storica è quella da ahl al-ṣuffa. Un‟altra etimologia proposta
dalla tradizione sufica è quella di ṣafà, “purezza”, nel senso di purificazione dalle scorie che
intaccano l‟anima allontanandola dalla contemplazione della Realtà. Ancora dalla stessa radice da
cui deriva la parola ṣuffa, ma con altro significato, è ṣaff, “rango, fila”: i sufi occupano il primo
rango, o la prima fila, davanti a Dio. Un‟altra derivazione è quella dal greco sophós, “sapiente”; si
tratta di un‟etimologia incompatibile con le regole con cui gli arabi trascrivevano i termini greci,
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allo stesso modo in cui sono incompatibili gli altri termini con le regole di derivazione. Tuttavia, il
Sufismo ha accolto tutte le derivazioni come plausibili. Secondo la scienza delle lettere, ‘ilm al-
ḥurūf, il senso profondo di un concetto non è tanto espresso dall‟etimologia della parola che lo
esprime, quanto dal valore numerico delle lettere che lo compongono: la parola sufi risulta avere lo
stesso valore numerico (186) dell‟espressione “la saggezza divina”, questo assicura la stretta
relazione tra i due termini, per cui l‟una è la definizione dell‟altra.

 Teorie e discussioni

La teoria della non islamicità del Sufismo si è saldata con le accuse di eterodossia ed empietà che
fece Ibn Taymiyya nel XIII secolo, dottore della legge e punto di riferimento del neoislamismo
contemporaneo, come lo fu del movimento wahhabita. In tutt‟altra direzione va la teoria di Henry
Corbin (1903-1978), il qual osserva che nel Sufismo vi siano adattamenti dallo Sciismo, uno dei più
evidenti dei quali è il concetto di “polo”. La sua vera natura andrebbe riconosciuta quindi nella Ši’a,
ne sarebbe l‟adattamento in ambito sunnita. Il Sufismo avrebbe poi sostituito il suo punto di
riferimento, l‟Imam, con lo shaykh.

2. L‟organizzazione del Sufismo

 I primi sufi

La tradizione sufi annovera tra i suoi primi aderenti alcune tra le maggiori personalità degli inizi
della religione islamica, tra queste vi sono i quattro califfi ben guidati, ciascuno dei quali divenne
l‟emblema di un aspetto particolare legato alla pratica del Sufismo.

1. Abu Bakr al-Ṣiddīq (11-13/632-634) è considerato il prototipo della mushāhada, ovvero la


contemplazione intesa come visione di Dio non congetturale. La ragione di questa
attribuzione sta nel fatto che il Veridico disdegnava ogni esteriorità nella sua pratica
religiosa: quando pregava, lo faceva sottovoce. Il Profeta gli chiese il motivo di questa
scelta, Abu Bakr gli rispose che chi doveva sentirlo, lo avrebbe fatto comunque.
2. „Umar (13-23/634-644) venne considerato prototipo della mujāhada, ovvero dell‟ascesi
intesa come costante sforzo di contenimento delle pulsioni dell‟anima attraverso la rinuncia
a tutto ciò che possa indurre attaccamento. Anche da califfo, „Umar possedeva un solo abito
o, secondo altre versioni, un abito per l‟inverno e uno per l‟estate, che si lavava
personalmente. Al contrario di Abu Bakr, egli pregava ad alta voce, e quando il Profeta gli
chiese il motivo, rispose che in tal modo risvegliava i sonnolenti e cacciava i demoni.
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3. „Uthman (23-25/644-656) è indicato come il prototipo della khulla, cioè l‟amicizia per Dio
che si manifesta attraverso l‟accettazione di quello che l‟Amico ha decretato per lui,
vedendo la volontà di Dio negli avvenimenti che l‟uomo comune attribuirebbe a cause
umane o terrene. La prova di questa rassegnazione si trova negli ultimi momenti della sua
vita quando, circondato nella sua casa dai ribelli che lo avrebbero ucciso, impedirà per tre
volte, a tre diversi gruppi di persone venuti in suo soccorso, di versare il sangue dei suoi
correligionari.
4. „Ali (35-40/656-661) ebbe la caratteristica di esprimere la ḥaqîqa, la Realtà divina e la Sua
sapienza, riflettendola nella sue espressioni esteriori e nelle profondità dei loro significati
interiori. I figli di „Ali, al-Ḥasan e al-Ḥusayn, furono non solo secondo e terzo imām sciiti,
ma anche maestri sufi rispettati e venerati anche nell‟Islam sunnita. La maggior parte delle
linee di maestri del Sufismo fa riferimento proprio al quarto califfo. „Ali fu l‟eroe guerriero
per antonomasia, il perfetto cavaliere, di cui sono attributi la spada Dhū l-fiqār e il cavallo
Duldul. „Ali è il patrono della futuwwa (giovanilità), termine che racchiude in sé le
caratteristiche della cavalleria, valore militare e retto comportamento.

 I discendenti di „Ali b. Abī Ṭālib

I figli che „Ali ebbe da Fatima (m. 11/633) furono per gli sciiti i soli legittimi successori del padre
nel Califfato. I pretendenti sciiti al Califfato, o imamato, furono i figli al-Ḥasan (m. 49/669) e al-
Ḥusayn (m. 61/680); e, successivamente, i discendenti di quest‟ultimo, di padre in figlio
(primogenitura), per un totale di dodici imām (nove generazioni) secondo la shiʿa duodecimana.
Gli sciiti riconobbero ai dodici imām una dignità spirituale, per molti versi, pari a quella del Profeta,
con la sola eccezione della profezia. Raccolsero detti, giudizi e spiegazioni teologiche e dottrinali,
costituendone una sunna. Agli imām è riconosciuta una funzione di intermediari tra cielo e terra,
sublimata dal dodicesimo, Muhammad al-Mahdī, che nell‟anno 260/872 scomparve alla vista degli
uomini (ghā’yb), pur restando in vita e guidando dal suo occultamento la comunità. L‟imām in
condizione di occultamento è atteso, gli sciiti affermano che riapparirà alla fine dei tempi, come
Mahdī, il restauratore della giustizia che precede la fine della storia e il giudizio universale. La
funzione dell‟imām è, di per sé, essoterica: nella sunna l‟imām corrisponde a un direttore spirituale
(colui che sta dinanzi), colui che dirige la preghiera; per la shiʿa l‟imām possiede la wilāya (termine
in cui è insito il concetto di vicinanza – walī Allah), facoltà di interpretazione del testo coranico e di
conoscerne il senso intimo (bāṭin). La funzione dell‟imām divenne sempre più onnicomprensiva,
fino a porsi in concorrenzialità con il Sufismo. Ciascuno degli imām ricevette l‟iniziazione dal
proprio padre, in una successione nella quale genealogia fisiologica e spirituale coincidono.
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 L‟imām Ja‟far al-Ṣādiq (83-148/702-765)

Sesto imām per gli sciiti, grande personalità per i sunniti. Sul piano essoterico, la tradizione sciita
gli attribuisce i fondamenti del madhhab Jaʿfarī, cioè la scuola di diritto canonica per la shiʿa. A lui
è attribuito uno dei primi commenti coranici di carattere esoterico. Fu maestro di Abu Ḥanīfa, il
quale viene annoverato tra i sufi, nonché maestro di Jābir ibn Ḥayyān, il celebre Geber
dell‟alchimia medievale europea. A questo maestro viene attribuita la scienza ermetica del jafr, che
consiste nell‟applicazione sapienziale della scienza delle lettere (ʿIlm al-ḥurūf), della quale
consideriamo due applicazioni: una a fini divinatori (trasmissione famigliare) e una a fini teurgici.

 Imām sciiti e Califfi ben Diretti

L‟agiografo egiziano sunnita ʿAbd al-Wahhāb al-Shaʿrānī (m. 973/1565), anch‟egli appartenente al
sufismo, si è occupato delle figure degli imām che coniugarono sharī’a e ṭarīqa. È interessante
perché, spesso, l‟opposizione sunniti-sciiti si è manifestata attraverso una reciproca antipatia;
inoltre, gli sciiti condannavano i primi tre califfi ben guidati, perché considerati usurpatori. Nel
capitolo dedicato al quinto imām, Muhammad al-Bāqir (m. 114/732), al-Shaʿrānī scrive che egli
amava Abu Bakr Al-Ṣiddīq; del quarto imām, „Ali Zayn al-„Abidin (m. 95/714), riporta che egli
tesseva le lodi di tutti e tre i Califfi ben Diretti che precedettero „Ali; e di al-Ḥusayn racconta come,
quando il califfo „Uthman era circondato nella sua casa dai ribelli, offerse la sua spada per
difenderlo. Scegliendo queste notizie, l‟agiografo sottolinea la distanza che separava tali figure dai
loro seguaci, immersi più nella competizione politica che religiosa. al-Shaʿrānī esalta la figura
esoterica di maestri di una dottrina che si colloca al di sopra delle divisioni di cui sono considerati
simboli.

 Uways al-Qaranī (m. 35-37/655-657)

Un santo divenuto emblematico della trasmissione dell‟influenza spirituale. La tradizione lo


definisce il migliore del Seguaci; in un ḥadīth raccolto da Muslim sono indicati alcuni elementi che
gli appartengono, morali e spirituali: il suo assoluto scrupolo (se giurasse nel nome di Dio,
manterrebbe il giuramento) e l‟effetto filiale verso la madre. In tale ḥadīth, il Profeta invita „Umar a
chiedere ad uno sconosciuto con queste stesse doti e caratteristiche, che sarebbe arrivato insieme a
delle truppe yemenite, di intercedere per lui presso Dio, il che ne sanciva la superiorità spirituale.
Ogni volta che passavano da Medina truppe dello Yemen, „Umar chiedeva se in mezzo a loro ci
fosse un personaggio con quelle caratteristiche, finché lo incontrò. Saputo che intendeva andare a
Kufa, il califfo si offerse di dargli una lettera di presentazione per il governatore della città, ma
Uways rispose che sarebbe stato “tra la polvere della gente, quelli che gli erano più cari”. Al-
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Nawawī (m. 676/1278), autore della raccolta di aḥādīth dalla quale è tratta la citazione, commentò
che si trattava dei poveri e dei mendicanti, ovvero quelli di cui non si conosce la vera essenza a
causa delle apparenze, alludendo ad una caratteristica propria dei santi. Su queste basi fu costruita la
leggenda di Uways: egli desiderava incontrare il Profeta e farsi suo discepolo. Secondo una
versione, non riuscì mai a realizzare questo sogno perché rimase bloccato nello Yemen ad accudire
la vecchia madre e a provvedere al suo sostentamento; inoltre, poiché troppo assorto nella
preghiera, non si sarebbe mai messo in viaggio. Secondo un‟altra versione, invece, quel viaggio lo
fece, ma promettendo alla madre che sarebbe tornato subito indietro; così, quando arrivò davanti
alla casa del Profeta, questo si trovava alla moschea e Uways, ligio all‟obbedienza alla madre, non
aspettò né andò a cercarlo, ma tornò subito indietro. La tradizione gli attribuisce un contatto
spirituale con il Profeta, grazie al quale egli si fece musulmano e ottenne l‟iniziazione.

 Il Sufismo nel periodo formativo dell‟Islam (secoli II-IV/VIII-X)

È principalmente nel corso di questi primi tre secoli che si affermano le istituzioni dell‟Islam così
come lo conosciamo. Nonostante si tratti di un processo che si concluse nel XII secolo, gli elementi
costitutivi della religione vengono fissati dall‟VIII al X. È il periodo della nascita e dello sviluppo
del kalām, parola tradotta come “teologia musulmana”, ma che indica la tecnica della dimostrazione
delle verità, non esclusivamente teologiche, della religione e della confutazione dell‟avversario. I
temi e le caratteristiche di questo processo vengono definiti fin dall‟inizio, per poi svilupparsi nelle
due grandi stagioni della Mutazila (fino al X secolo in ambito sunnita) e dell‟Asciarismo (dal X
secolo), che concluderà il processo fornendo i principi della teologia islamica accettata dalla
maggioranza. È in questo stesso periodo che viene stabilito il ruolo della Sunna profetica nella
normativa della Sharia e della morale musulmana. La Sunna viene istituzionalizzata attraverso le
compilazioni delle raccolte di aḥādīth, che culminano nelle raccolte di Bukhārī (m. 256/870) e
Muslim (m. 261/875), considerate le più autorevoli. Questo processo di sistematizzazione e
fissazione dei limiti della dottrina è dato dalla necessità di fornire dei punti fermi formalmente
definiti a una comunità di fedeli dalla quale sono scomparsi non solo i Ṣaḥāba e i Seguaci, ma
anche i Seguaci dei Seguaci, detentori diretti del sapere. Questo processo di istituzionalizzazione ha
riguardato non solo il dominio essoterico, ma anche quello esoterico dell‟Islam. Anche il Sufismo,
infatti, attraversa una sorta di fase costitutiva delle proprie istituzioni. Tra i suoi esponenti vi sono
stati coloro che hanno perseguito il più stretto anonimato, e coloro che hanno praticato un‟ascesi
che veniva celata sotto attività esteriori. I modernisti musulmani e gli esponenti delle varie forme
del neoislamismo hanno accusato i convertiti all‟Islam di questo periodo di aver introdotto nella
religione in cui erano entrati molti elementi di quelle dalle quali provenivano, contribuendo a
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snaturarne la vera natura e dottrina: frutto di un‟interpretazione consequenziale alla teoria


orientalistica dei prestiti.

 I “luoghi” del sufismo

I sufi erano artigiani, dotti, giuristi, predicatori. Uno dei luoghi del sufismo era il ribāṭ, un edificio
fortificato costituito da una fortificazione di minore importanza oppure da un torrione isolato o da
un complesso architettonico più vasto. Poteva essere posto a difesa di un insediamento, ai margini
del deserto, o a protezione di attacchi dal mare; oppure lungo i confini della dar al-Islam e la dar al-
ḥarb. È un luogo privilegiato, dove si attua l‟aspetto più sublime dell‟ascesi, il sacrificio di sé nel
nome di Dio. Nel ribāṭ si coniugano i due aspetti del jihad, quello fondamentale e interiore, cioè lo
sforzo di eliminazione delle inclinazioni dell‟anima che allontanano dalla presa di coscienza ed
affermazione del tawhid, e quello accessorio ed esteriore, cioè la guerra e il combattimento contro
un avversario. Nel ribāṭ si conduceva una vita cenobitica, ed è da qui che nasce il termine
marabutto, da murābiṭ, letteralmente “l‟occupante del ribāṭ”, ma che viene utilizzato con il
significato di maestro capo di un cenobio. Un altro luogo privilegiato del sufismo è il deserto, o le
rovine di vecchie costruzioni abbandonate, in generale tutti i luoghi che incentivano alla
meditazione e all‟ascesi. Non mancano esempi di anacoresi1, come nel caso di Muhammad Al-
Ghazali (m. 505/1111).

 L‟interpretazione storica della nascita del sufismo

Nei primi secoli dell‟Islam si registra la presenza di asceti che sviluppano dottrine e pratiche sempre
più articolate a partire dall‟iniziale meditazione sul Corano e sulla Sunna, in particolare sul ḥadīth
che codifica i tre livelli di fede, dall‟esteriore all‟interiore: Islam – Imān – Iḥsān. Nel primo caso si
parla di muslim, “sottomesso”, ovvero colui che si attiene all‟obbedienza dei precetti della shari‟a,
che consta prevalentemente di azioni e astensioni interiori; nel secondo caso parliamo di mu’min,
“credente”, per il quale l‟adesione alla religione viene interiorizzata, ed è adesione del cuore, sede
della conoscenza; la perfezione viene raggiunta con l‟iḥsān, il livello della fede perfetta, quello
dell‟asceta che arriva a percepire la presenza del suo Signore. Siamo nell‟ambito della ṭarīqa, se
non della ḥaqîqa. Tuttavia, in alcuni testi l‟Imam viene considerata caratteristica di colui che segue
la Via, poiché è la fede del cuore illuminato dalla presenza divina.

 L‟interpretazione tradizionale

1
ritirarsi in solitudine a scopo contemplativo o ascetico
Il Sufismo – Angelo Scarabel

Il Sufismo si considera rigorosamente coevo all‟Islam, il frutto di una dottrina esoterica parte
integrante della Rivelazione. La circonferenza è geometricamente costituita da indefiniti punti:
ciascuno di questi corrisponde ad un punto di partenza, dalla shari’a verso la ḥaqîqa. Potremmo
anche ipotizzare che ogni punto corrisponda ad un aspirante; ogni punto della circonferenza indica
che il suo occupante non è uguale a chi occupa quello immediatamente adiacente al suo: potrà avere
delle caratteristiche affini, ma altre saranno differenti e, dunque, non omologabili a quelle dell‟altro;
di conseguenza, non lo saranno nemmeno le due Vie. Il centro è uno, le vie che vi attingono sono
tante quanti sono coloro che le percorrono, dato che ciascuno deve poterla percorrere secondo la sua
natura. Man mano che le vie convergono al centro, tenderanno ad avvicinarsi e ad attenuare le
differenze. Tra coloro che percorrono le vie, vi sono almeno due affinità fondamentali: la prima, di
base, è che si tratta di esseri umani, le cui modalità di espressione e percezioni sono analoghe; la
seconda è che tutte le vie del taṣawwuf partono dall‟Islam.

 I grandi maestri
1. Ḥasan al-Baṣrī (n. 21/642, m. 110/728)

Nacque a Medina; il padre era un prigioniero di guerra diventato mawlà (liberto) di Zayd b. ṭābit,
principale redattore del testo canonico del Corano; la madre sarebbe stata al servizio di Umm
Salama, moglie del Profeta. I dati lo collocano nell‟entourage del Profeta. Secondo una leggenda, fu
il Profeta ad imporgli il nome Ḥasan, a moltiplicare le benedizioni sul bambino e a profetizzarne la
grandezza spirituale. Arrivò a Basra ancora giovane, fu un combattente della guerra santa, giudice e
maestro del pensiero islamico sunnita. La sua celebrità è legata all‟episodio riguardante lo status
del grande peccatore. Per il maestro, questi andava considerato munāfiq, “ipocrita”, termine che
designava anche chi aveva finto di accettare la nuova situazione dell‟Islam, ma in realtà vi si
opponeva. Durante la discussione, uno dei discepoli si allontanò e spiegò a chi lo seguì il suo punto
di vista sull‟argomento. Al-Baṣrī affermo “si è allontanato da noi”; il verbo “allontanarsi” è in arabo
“i’tazala”, da cui deriva il termine con cui viene designata la scuola di kalām “Mutazila”. La
Mutazila rappresenta una defezione dalla posizione corretta dei sunniti e uno dei temi fondamentali
sui quali si è consumata la defezione è il destino postmortem dell‟empio. Al-Baṣrī è identificato con
il disprezzo di questo mondo, a cui si sfugge attraverso un‟ascesi frutto del khawf (timore di Dio o
timore di non essere all‟altezza di ciò che si aspetta l‟Amato). Necessaria è l‟analisi critica del
nostro operato, il controllo del nafs.

2. Maʿrūf al-Karkhī ( m. 200/815)


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Uno dei maestri a cui si fa risalire la scuola di Baghdad. Liberto e discepolo nella Via dell‟ottavo
imam degli sciiti duodecimani, il che lo rende discendente spirituale di al-Baṣrī. Fu uno degli afrād
(sing. fard) della comunità musulmana, termine che nell‟ambito sufi indica una condizione
spirituale elevatissima, caratterizzata dal possesso di una scienza concessa in esclusiva da Dio. Del
suo insegnamento viene sottolineata l‟azione, ovvero la messa in pratica dei mezzi da utilizzare nel
procedere lungo la Via.

3. Sarī al-Saqaṭī (m. 253/867 o 257/871)

Discepolo di al-Karkhī, possedeva un negozio di spezie che abbandonò per dedicarsi al suo
magistero. La decisione fu presa quando gli annunciarono che il suo negozio era andato bruciato
insieme ad altri in un incendio; poi venne a sapere che, nonostante tutte le altre botteghe adiacenti
fossero andate in cenere, la sua era rimasta intatta; dunque la vendette e ne distribuì il ricavato tra i
poveri della città. Come il suo maestro, dava molta importanza all‟azione. L‟amore di Dio svolge un
ruolo essenziale nella sua Via: se Iddio si fosse svelato all‟Inferno, ci sarebbe andato volentieri; e se
non si svelasse in Paradiso, non vi avrebbe trovato alcun interesse.

4. Al-Ḥārith al-Muḥāsibī (n. 175/781, m. 243/857)

Nacque a Basra, aveva una particolare propensione all‟ascesi. Fu uno dei più importanti maestri di
Baghdad. La sua adesione al sufismo avvenne tardi a seguito di una crisi interiore. Venne osteggiato
da Hanbal per l‟uso delle tecniche controversistiche del kalām per paura che qualche commentatore
non troppo sicuro dal punto di vista della dottrina potesse esserne deviato. La sua principale
caratteristica nell‟ambito della Via era la muḥāsaba – da cui deriva il suo nome – ovvero il calcolo
interno, l‟esame di coscienza, l‟analisi dell‟anima, la riflessione sulla realtà di Dio.

5. Dhū-n-Nūn al-Miṣrī (m. 245/859)

È stato uno dei più grandi santi dell‟Islam. Ha origine copta, nasce nell‟Alto Egitto a Ikhmīm, dove
sorgeva un tempio al dio egizio Min. Egli conosceva il linguaggio dei geroglifici e gli insegnamenti
che vi erano custoditi. Dhū-n-Nūn, ovvero “quello del pesce”, era un soprannome attribuito anche al
profeta Giona, per via della balena che lo ospitò nel suo ventre. Il soprannome ha dato luogo a una
tradizione non accreditata secondo cui Al-Miṣrī sarebbe stato un pescatore, altri ne fanno un
brigante da strada convertito. Anche il suo vero nome è incerto. Il padre era un nubiano di nome
Ibrahim: alcuni aggiungono cristiano copto, presumibilmente convertito e liberto dei Qurayš. Gli
furono attribuiti più maestri, uno dei quali sarebbe stato il suo iniziatore al metodo alchemico di
Jābir b. Ḥayyān. Ibn „Arabi scrisse un‟agiografia in suo onore, nella quale riporta che l‟alchimia di
Il Sufismo – Angelo Scarabel

Dhū-n-Nūn fosse del genere di colui che compie la preghiera della notte a Baghdad e quella
dell‟alba alla Mecca. Si fa un‟allusione al fenomeno della bilocazione o della capacità di
percorrere grandi distanze in brevissimo tempo. Si parla in modo particolare di due suoi maestri:
Shukran al-„Abid e Fatima an-Nīsābūrīya. Il santo egiziano può essere identificato con la figura del
derviscio errante, giacché percorse molte regioni del mondo islamico occidentale e centrale alla
ricerca di maestri da cui apprendere e con i quali confrontarsi. È inoltre identificato con la futuwwa,
cioè con il possesso delle qualità che fanno il perfetto cavaliere spirituale. È anche il maestro
dell‟amore, del desiderio e la passione della contemplazione della Realtà divina, che dà luogo
all‟ebrezza estatica che lo accomuna a Bisṭāmī. Ibn „Arabi definisce il suo tipo di santità “cristico”
(‘īsāwī), cioè che riproduce il tipo di santità che fu proprio del profeta Gesù, caratterizzato ad
esempio dai miracoli della resurrezione: al-Miṣrī ridiede vita a un bambino che estrasse dal ventre
di un coccodrillo. Egli incarna anche la malāma, cioè il “biasimo”, pratica che caratterizza il
metodo dei sufi di rango più elevato. La tradizione riporta anche una relazione con il califfo al-
Mutawakkil, che si fece suo discepolo.

6. Bāyazīd al-Bisṭāmī (m. 270/874)

Nacque a Bisṭām, in Iran, da una famiglia di origini mazdee. Viene definito sultān al-ārifīn, ovvero
“sultano degli gnostici”, cioè di coloro che hanno la conoscenza. Il suo metodo è quello dell‟ascesi
condotta in solitudine, con il controllo più rigido delle imperfezioni umane fino alla loro
eliminazione e alla distruzione di ogni aspetto individuale di separazione da Dio. È un metodo
finalizzato all‟eliminazione di qualsiasi ostacolo si frapponga alla ricerca e alla pura ricezione della
Realtà. Il modello di imitazione è il Profeta e il miʿrāj. La tradizione ci riporta notizie di
un‟ascensione analoga da parte di Bisṭāmī, la cui proclamazione gli procurò dei fastidi da parte
della Legge. Egli è famoso per le shaṭḥāt, letteralmente “sbronze”, lo stato di ebrezza conseguente
alla pienezza della presenza divina nel cuore, che produce nell‟essere umano un‟esaltazione tale da
perdere l‟autocontrollo, in maniera analoga agli effetti di una sbronza colossale. La shaṭḥa più
frequente è “Io sono la Realtà divina”; oppure “Anziché andare fino alla Mecca, è meglio per voi
che facciate il giro intorno a me”, con allusione alla circumambulazione della Ka‟ba. Qui, la prima
persona va intesa come consapevolezza di non esistere come entità separata dalla sola Realtà
esistente. All‟esterno dell‟ambito sufi, queste affermazioni vengono prese alla lettera, per cui chi le
pronuncia viene considerato folle o eretico, dunque si può incorrere in problemi con la Legge.

7. Abu-l-Qāsim al-Junayd (m. 297/910)


Il Sufismo – Angelo Scarabel

Nacque a Baghdad da una famiglia di origine iraniana, di cui è rimasto il ricordo nella nisba an-
Nihāwandī, di Nehāvend. Era un mercante di seterie. Lo zio materno era Sari al-Saqaṭī. Studiò le
scienze del Corano e del ḥadīth e divenne un esperto del diritto. Nella Via, i suoi maestri furono lo
zio al-Saqaṭī e al-Muḥāsibī. Occupa una posizione centrale nella storia del Sufismo: su di lui
convergono più linee di trasmissione dell‟influenza spirituale: „Ali b. Abī Ṭālib, Abu Bakr, al-
Bisṭāmī. Egli fu chiamato, infatti, Sayyid al-ṭā’ifa, il “Signore della gente [della Via]”. Junayd è
stato spesso contrapposto a Bisṭāmī, poiché contrariamente a quest‟ultimo, egli si esprimeva
attraverso una meditazione sobria, che non passava attraverso manifestazioni esteriori eclatanti. Egli
si preoccupò principalmente di non mescolare i due domini, esoterico ed essoterico. Era convinto
che alcune affermazioni non si dovessero propalare presso orecchie inadatte, che ne avrebbero
ricavato più danno che vantaggio sul piano spirituale. Il tratto caratteristico della dottrina di Junayd
appare essere la meditazione sul versetto coranico in cui si parla del giorno di a-lastu: “Non son
forse Io [a-lastu] il vostro Signore?”. Questo giorno si colloca prima della storia; è questo che
Junayd definisce lo stato di estinzione, fanā’, la condizione primordiale dell‟uomo che è anche lo
scopo cui tende la ṭarīqa.

8. Husayn b. Mansur al-Ḥallāj (m. 309/922)

Tutta la sua vita sembra essere costruita in funzione della sua conclusione. Fu esposto alla gogna,
mutilato, crocifisso e, infine, decapitato sul finire del 309/primavera del 922. La storia del Sufismo
non registra altri casi di supplizio quale fu quello di al-Ḥallāj. Hujwirī osserva come tutti i sui
contemporanei convergano nell‟assolverlo e nel considerarlo un grande; registra le accuse che gli
erano state rivolte, di magia e di pratiche eterodosse, per respingerle. La sua ricerca di Dio avvenne
abbastanza presto; divenne discepolo di Tustarī, al-Makki e forse Junayd. Poi lasciò Baghdad,
recandosi a Basra dove sposò la figlia di Abu Yaʿqūb al-Baṣrī, anch‟egli sufi che, tuttavia, arriverà
a tacciarlo di magia e miscredenza. Tra i suoi parenti acquisiti si contano dei probabili alleati degli
Zanj; gliene derivò una fama da rivoluzionario, che, aggiunta alle voci di eresia, attirò su di lui
pericolose attenzioni. Il suo nome significa “cardatore”, con possibile allusione al mestiere del
padre, un cardatore di cotone, volle essere cardatore di anime. I suoi viaggi in regioni di elezione
per gli esponenti dei movimenti sciiti estremisti contribuirono, al suo ritorno a Baghdad, ad
alimentare i sospetti su di lui. Famoso anche per affermazioni dello stesso genere delle shaṭḥāt di
Bisṭāmī, culminate nella famosa frase “Ana ‘l-Ḥaqq” che però, nella ricostruzione storica delle
vicissitudini del santo, fu scritta anni prima della sua condanna. La maggior parte dei sufi considerò
le sue azioni come espressione del suo grande amore di Dio. Il suo amico e discepolo Shibli gli
pronunciò un versetto coranico da sotto il patibolo: “Non ti abbiamo forse vietato di occuparti dei
Il Sufismo – Angelo Scarabel

mondi?”; si parla del divieto fatto dai Sodomiti a Lot di ospitare e proteggere gli stranieri sotto il cui
aspetto si erano celati gli angeli inviati da Dio, e il senso dell‟espressione coranica “i mondi” è
“estranei”. Nel caso di al-Ḥallāj, egli espose a degli estranei delle dottrine, che trasparivano dalle
sue affermazioni, che essi non erano in grado di sopportare; aveva tradito la consegna del segreto. Il
suo metodo è quello dell‟assoluta unità di Dio, che comporta la sparizione di tutto ciò che non è
Lui, compreso il soggetto contemplante: la Presenza divina prende possesso del suo spirito, in modo
tale che l‟affermazione di essere la Realtà divina non corrisponde a una divinizzazione
dell‟individualità, bensì alla sua negazione.

9. Al-Ḥakīm at-Tirmidhī (m. 218/930-220/932)

La sua città natale è Tirmidh, in Uzbekistan. Fu un esperto di ḥadīth, durante il pellegrinaggio alla
Mecca ebbe la sua prima esperienza spirituale. Gli sono stati attribuiti molti maestri, ma il più
importante è sicuramente al-Khidr, il personaggio che la tradizione islamica identifica con colui che
fu anche maestro del profeta Mosè. Al-Khidr è svincolato dalle limitazioni dello spazio e del tempo
e interviene a iniziare e istruire nella Via gli spiriti più elevati. Nella sua città natale, Tirmidhī si
dedicò alla pratica ascetica e riunì intorno a lui un grande numero di discepoli. Venne accusato di
eresia e risponderne a un giudice, che tuttavia lo prosciolse. Sono note le rivelazioni che riceveva
per via onirica: visioni che simboleggiavano il suo stato spirituale e davano indicazioni su metodo e
dottrina; molte di queste visioni non erano sue, ma della moglie. Egli fu il primo a porre la
questione della complementarietà tra Profeta e santo: come la profezia ha avuto il suo sigillo nel
profeta Muhammad, allo stesso modo lo avrà la santità; vi sarà un santo che eserciti nel sufismo la
stessa funzione esercitata dal Profeta sul piano essoterico.

 Le maestre sufi

Nell‟ambito del Sufismo, vi sono notizie di donne che seguivano l‟insegnamento dei maestri; a
molte di loro i colleghi di sesso maschile riconobbero un rango spirituale che superava le distanze
formali tra uomo e donna. Ci sono stati tramandati degli episodi in cui due sufi, un uomo e una
donna, hanno discusso gli aspetti del metodo e della dottrina della ṭarīqa, finché l‟occhio dell‟uno
coglieva qualche particolare dell‟altra che gli faceva rendere conto di avere a che fare con una
donna; e da quel momento la relazione cessava, non essendo più un aiuto reciproco alla
realizzazione, bensì un ostacolo.

10. Rabī‟a al-ʿAdawiyya (m. 185/801)


Il Sufismo – Angelo Scarabel

È la santa più celebre dell‟Islam. Nata a Basra, era stata una schiava suonatrice di liuto. Suo maestro
fu „Abd al-Wāhid b. Zayd, che introdusse l‟uso del concetto di ‘ishq, “desiderio ardente” della
Realtà divina. Fu caratterizzata da un amore per Dio libero di tutti i resti di individualità che
rimanevano dopo che le passioni per le cose del mondo erano state cancellate. Tra questi annovera
il timore dell‟inferno e il desiderio del Paradiso. A tal proposito, la santa si fece vedere in giro
armata di una torcia accesa in una mano e di un secchio pieno d‟acqua nell‟altra: la torcia per
bruciare il Paradiso e l‟acqua per spegnere l‟inferno, cosicché l‟amore per Dio sarebbe stato
finalmente puro e non condizionato da timori e speranze che distolgono dall‟unico vero scopo.

11. Fatima al-Nīsābūrīya (m. 223/838)

Moglie di al-Balkhī, maestra di al-Miṣrī e Bisṭāmī. Quando Bisṭāmī si accorse che le sue dita erano
tinte con l‟henné la relazione non poté più essere la stessa. Allo stesso modo, quando al-Miṣrī
ricevette da lei un regalo, lo rifiutò perché veniva da una donna che non era sua moglie o sua
famigliare; Fatima lo rimproverò poiché attribuiva il regalo ad altri che Dio, l‟unico che davvero
dona.

 La catena dei maestri (silsila)

Nel contesto tradizionale islamico, sia esoterico che essoterico, un elemento fondamentale è
l‟identificazione del o dei maestri del personaggio che si prende in considerazione; il sapere è una
questione di continuità, di affidabilità e dottrina del trasmettitore. L‟elemento di novità è costituito
da un approfondimento, lo sviluppo di un aspetto precedentemente rimasto in ombra. La silsila è
equiparabile all‟Isnad. Il termine “silsila”, letteralmente “catena”, sottolinea il legame che si
instaura tra maestro e discepolo e con tutti i maestri delle generazioni precedenti, fino al Profeta.
Ciascun anello che compone la catena è la proiezione di quello che lo ha preceduto; la silsila rivela
anche il “colore” dei suoi anelli, cioè quella particolare forma della ṭarīqa che ne caratterizza chi la
percorre. Le catene di maestri si sono prodotte a partire da tutti e quattro i Califfi ben Diretti, i quali
furono discepoli diretti del Profeta.

 La khirqa di Abu Bakr Al-Ṣiddīq

La linea di khirqa che comincia da Abu Bakr è piuttosto minoritaria per diffusione, ma ha una
colorazione più intellettuale rispetto a quella delle linee discese da „Ali; tale colorazione
intellettuale è legata al concetto di mushāhada di cui era emblema il primo califfo ben guidato. La
Naqshbandiyya rivendica questa specificità “bakride”, che si identifica con il concetto di jadhb,
“rapimento estatico”. La confraternita discenderà per via spirituale Abu Bakr, e per via famigliare
Il Sufismo – Angelo Scarabel

da „Ali. Era piuttosto normale che un discepolo seguisse più maestri, spesso anche con il consenso
del primo; questo può essere determinato sia da spostamenti dell‟uno o dell‟altro, sia perché il
metodo praticato da un altro maestro appare alla valutazione del primo meglio corrispondere alle
esigenze del discepolo. In tal senso, poiché nella Naqshbandiyya convergono le due linee bakride e
alide, sarà caratterizzata al contempo dalla contemplazione divina – il jadhb, eredità bakride – e
dalla progressione nel viaggio – sulūk, eredità alide.

 La khirqa di „Umar b. al-Khattāb

La sua linea di trasmissione confluirà nella confraternita Suhrawardiyya. Al-Hakkari fu ricollegato


anche a una linea di khirqa che risale a Junayd e, attraverso questi, ad „Ali. Le distanze
cronologiche tra due anelli rendono problematica la possibilità che vi sia stata una trasmissione
maestro discepolo diretta; piuttosto, questa, potrebbe essere avvenuta per via onirica oppure
potremmo ipotizzare che un maestro sia stato saltato.

 La khirqa di „Ali b. Abī Ṭālib

„Ali è protettore di quel complesso di qualità e doti che vengono considerate costitutive del mar’
(uomo), inteso nel senso latino di vir. La muruwwa si affianca e diviene parte della futuwwa: il
primo termine indica l‟età adulta, il secondo l‟età giovanile, ma comune ad entrambi i termini è il
senso di bravura, che comprende virtù e valore, dunque il concetto stesso di cavalleria. È ad „Ali
che si richiama la futuwwa intesa come ordine cavalleresco all‟epoca del califfo al-Nasir (1180-
1225). Nel mondo islamico, la futuwwa corrisponde a due aspetti: quella relativa alla cavalleria e
quella che viene definita futuwwa artigianale e che corrisponde alle organizzazioni di mestiere,
all‟interno delle quali era probabile si svolgesse anche un lavoro spirituale. „Ali si trova all‟origine
dell‟assoluta maggioranza delle linee di khirqa; tuttavia due sono di particolare importanza, perché
convergono nel giro di poche generazioni su al-Junayd. Ibn al-Jawzī (m. 597/1200) osservò che i
personaggi di questa silsila non si erano mai incontrati, non per questione di date ma di luoghi.
Tuttavia, si parla anche in questi casi di personalità che fanno la preghiera della notte a Baghdad e
quella dell‟alba alla Mecca. Vi sono due tipi di “istruzioni”:

1. Quella che avviene attraverso esseri umani che si frequentano, in questo caso parliamo di ta’līm
ar-rijāl, “istruzione degli uomini”; e questo indipendentemente dal fatto che intervengano
ispirazioni o istruzioni da parte di altri maestri, magari defunti da tempo, attraverso i sogni. Di
fatto, i maestri sono in grado di superare i limiti correlati di spazio e tempo.
2. Quella che avviene attraverso l‟intervento di un maestro non umano, in questo caso parliamo di
ta’līm rabbānī, “istruzione che avviene per intervento del Signore” oppure “istruzione
Il Sufismo – Angelo Scarabel

signoriale”: in tal caso, interviene al-Khidr, la cui radice del nome gira intorno al concetto di
vegetazione e quindi al colore verde. Secondo la tradizione questo personaggio rinnova la
propria giovinezza ogni 120 anni, per cui le sue origini potrebbero essere da ricercare in un
primitivo mito della fertilità, in una divinità della vegetazione. Al-Makki (m. tra il 100/718 e il
104/722) ci spiega che il motivo del suo nome sta nel fatto che quando prega la natura intorno a
lui prende a verdeggiare. Egli è “uno dei Nostri servi2”, dove “servo” sta ad indicare “eletto”, un
servo di Dio che sta in posizione analoga a quella del cameriere personale di un sovrano. Uways
al-Qaranī resta emblematico di questa forma di iniziazione, chiamata appunto anche iniziazione
uwaysī. Per attingere a questo tipo di iniziazione, non è sufficiente il desiderio di ricorrere alla
Via, ma bisogna avere un livello spirituale di partenza tale da attirare un intervento dall‟alto
opera dei cuori di tutti i maestri, dei quali al-Khidr diventa figura emblematica. Questo livello
spirituale può essere perfino inavvertito dal diretto interessato, al punto che questi deve essere
continuamente spinto a rendersene conto prima di intraprendere il percorso, come nel caso di
Ibn Adham, il principe di Balkh. Questo incontrò al-Khidr in sogno, fu sottoposto ad un assedio,
finché non si rese conto del proprio destino di santo, abbandonando rango, corte e ricchezze per
incamminarsi lungo la Via. L‟agiografia riporta altri casi di intervento di al-Khidr, come nel
caso di al-Jīlānī (m. 561/1116), il fondatore della Qādiriyya, che ancora adolescente sentì una
voce che lo spinse a lasciare la terra natia del Jīlān per recarsi a Baghdad.
 L‟età delle confraternite

Con l‟XI secolo, conclusa la fase formativa della storia del Sufismo, si afferma la fase della nascita
delle grandi confraternite, ṭuruq o ṭarā’iq, plurale di ṭarīqa. La ṭarīqa è il luogo in cui un dato
maestro del taṣawwuf svolge il suo magistero, accettando i discepoli e trasmettendogli l‟influenza
spirituale che consente l‟ingresso nella Via, e controllandone lo sviluppo spirituale. La nascita delle
ṭuruq viene fissata al XII secolo: non si tratta di un fenomeno improvviso, ma di un processo che si
sviluppa nel tempo e matura intorno al XII secolo. La prima comunità cenobitica sufi, organizzata
da „Abd al-Wāhid b. Zayd intorno al 150/767, in una regione iraniana che fu poi chiamata
‘ābbadān, “i pii”, in loro onore. Questa fu riconosciuta in uno dei luoghi del sufismo: il ribāṭ. Di
ṭarīqa parla al-Hujwirī nel suo trattato: ne prende in considerazione dieci, affermando che si
differenziano per le pratiche devozionali e per le modalità dell‟ascesi, ma non sono affatto in
disaccordo sui principi fondamentali basati sulla Legge e sul tawhid.

2
Sura 18 (vv. 65-82)
Il Sufismo – Angelo Scarabel

Una personalità molto importante è quella di Abu Hamid al-Ghazali (m. 505/1111), a cui la
tradizione islamica attribuisce il ruolo di rinnovatore del secolo VI dell‟Egira. L‟opera di al-Ghazali
ha avuto un ruolo importante nei confronti dei rapporti del Sufismo con la comunità islamica in
senso lato. Condusse per larga parte della sua esistenza una vita di stimato professore
dell‟Università aperta dal vizir Niẓām al-Mulk (m. 485/1092) per favorire la preparazione di un
corpo di teologi e dottori della Legge ortodossi. Nella sua posizione, egli cominciò a prendere
coscienza dell‟inutilità della sua azione, poiché la speculazione razionale non riusciva a fornirgli
quelle certezze che solo una conoscenza diretta poteva assicurare. Entrato in una profonda crisi,
decise di abbandonare carriera, beni e famiglia e di incamminarsi nella Via. Già da giovane aveva
avuto dimestichezza con la ṭā’ifa, poiché il padre lo aveva affidato agli insegnamenti di un amico
sufi. All‟età di 38 anni si dedicò alla ricerca della realizzazione spirituale, trascorrendo anni di
pellegrinaggio tra la regione siriana e le città di Gerusalemme, Mecca e Medina, conducendo una
vita ascetica e isolata. Riprenderà a insegnare a Nishapur nel 499/1106 su insistenza del figlio di
Niẓām al-Mulk, per ritirarsi definitivamente tre anni più tardi. Al-Ghazali non rappresentò una
pietra miliare nello sviluppo della dottrina o dei metodi del Sufismo, ma ha svolto un ruolo
fondamentale nel suo inserimento della realtà dell‟intera comunità musulmana, ottenendone il
riconoscimento come scienza legittima nell‟ambito delle scienze della religione. Il Sufismo, anzi, è
il veicolo della più sicura conoscenza; gli studi essoterici, da soli, sono inadeguati a raggiungere la
comprensione delle realtà superiori. Parlando del livello di comprensione umana a proposito dei
nomi divini, al-Ghazali scrive che “gli approssimanti”, ovvero i sufi, si sono resi vicini a Dio e
partecipi dei suoi segreti. La condizione della santità è la ragione della loro azione di magistero
anche nell‟ambito essoterico. La conoscenza e comprensione dei nomi divini è la conoscenza e
comprensione possibile dei segreti di Dio; affermando ciò, al-Ghazali ristabilisce il rapporto
gerarchico tra dominio esoterico e dominio essoterico, definendo l‟insussistenza del secondo senza
il legame con il primo, del quale viene riconosciuto appieno il diritto di cittadinanza nell‟ambito
della società musulmana. Nonostante questo diritto non abbia posto fine alle opposizioni nei
confronti del Sufismo, ha aiutato perché i successivi attacchi non fossero rivolti all‟intero Sufismo,
quanto piuttosto a questo o quel maestro, o a questa o quella dottrina. Questa nuova situazione
rende possibile la nascita e lo sviluppo delle ṭuruq organizzate. Nel tempo, non mancheranno figure
che, come al-Ghazali, riescano a coniugare formalmente i due domini. Anche per rispondere a tale
esigenza il Sufismo si organizza in istituzioni con una forte presenza nella società. Ciascuna ṭarīqa
si doterà di una struttura e di una organizzazione che risponderanno ad esigenze di tempo e luogo,
nonché di inclinazione del fondatore o dei maestri che si succederanno. Ogni maestro è una
rappresentazione di al-Khidr, soprattutto sotto il profilo della misericordia. Un dato comune a ogni
Il Sufismo – Angelo Scarabel

ṭarīqa è l‟immagine del fondatore, personaggio del quale vengono tramandate l‟agiografia, notizie e
aneddoti che hanno la funzione di annunciarne e celebrarne la dignità spirituale. Il maestro viene
indicato come shaykh in lingua araba, pir in lingua persiana e baba in lingua turca. Il maestro
trasmette la baraka e cura l‟istruzione dei discepoli. Tuttavia, quando questo ruolo non può più
essere svolto da una sola persona, i maestri assegnano alcune delle loro funzioni a dei discepoli
particolarmente progrediti nel cammino, denominati muqaddam, “quello che è messo davanti”.
Questo accadeva soprattutto nel caso di sedi distaccate le quali, quando il muqaddam raggiungeva
una più spiccata personalità spirituale, diventavano indipendenti. Queste potevano rimanere
formalmente legate allo shaykh oppure far venir meno anche questo legame. Di norma, nessun
muqaddam acquisiva l‟indipendenza fino alla morte del maestro che era stato suo murshid, per
ragioni di adab. Nel caso dell‟acquisizione della piena dipendenza, la confraternita poteva
mantenere il nome di prima. Quando invece il maestro introduce delle modifiche importanti nel
metodo e nel rituale, di solito perché ne ha ricevuto l‟autorizzazione in sogno o in stato di veglia o
per tramite di al-Khidr, allora si avrà una nuova branca della stessa ṭarīqa, al cui nome se ne accosta
uno nuovo; in altri casi si assiste alla nascita di una ṭarīqa del tutto nuova anche nel nome, di solito
forma aggettivale del nome del rinnovatore. L‟adesione a più ṭuruq è normale, questo avviene
perché si abbia la possibilità di essere seguiti da un murshid migliore del precedente, oppure per il
desiderio di collezionare la baraka di quanti più maestri sia possibile. Elemento comune a tutte le
ṭuruq è la trasmissione dell‟influenza spirituale, anche detta khirqa. Il termine rimanda ad un pezzo
di stoffa rattoppato o ad un mantello. Richiama anche al concetto di faqr, povertà alle cose di questo
mondo; il discepolo diventa dunque faqīr, “povero” in spirito. La khirqa ha finito per designare il
rito di aggregazione, indipendentemente dal pezzo di stoffa. Vi sono due tipi di khirqa: khirqa al-
irāda e khirqa at-tabarruk. Quando crebbe il loro patrimonio, crebbe anche il loro patrimonio
immobiliare. Le ṭuruq si dotarono di moschee e di madrasa. Ciò soprattutto grazie all‟istituzione
musulmana del waqf, una sorta di fidecommesso che congelava un bene o fonte di reddito,
sottraendolo alla proprietà individuale e destinandolo al bene pubblico.

 La Qadiriyya – „Abd al-Qadir al-Jilani (m. 561/1166)

L‟immagine che viene tramandata di „Abd al-Qādir al-Jīlānī è quella di un uomo barbuto, in piedi in
primo piano, alle cui spalle vi è un fiume, e dietro delle abitazioni e la cupola di un santuario; il
santo indossa abiti tradizionali eleganti, il capo è coperto da un turbante; dalla mano destra pende il
tasbīḥ, nella mano sinistra regge due libri, che potrebbero rappresentare il Corano e la Sunna, dei
libri dell‟autore o semplicemente la scienza. Nasce nel 470/1077 nel Jīlān da una famiglia che
vanta discendenza – sia patrilineare che matrilineare – dal Profeta, attraverso Ḥasan e Husayn.
Il Sufismo – Angelo Scarabel

Annovera tra i suoi antenati anche Abu Bakr al-Ṣiddīq. La sua nascita avviene durante il mese di
Ramadan: pare che il piccolo „Abd al-Qādir abbia rifiutato il latte fino al tramonto. Voci e
apparizioni lo spingono a lasciare il borgo natio e raggiungere Baghdad. Partirà a diciotto anni; la
sua carovana verrà assaltata dai briganti che, quando gli chiesero se avesse con sé dei soldi ed egli
rispose di sì, per via del suo impegno di dire sempre la verità, si convertirono all‟ascesi. Secondo
una versione, arrivato a Baghdad al-Khidr gli avrebbe impedito di entrarvi, ordinandogli di cercare
alloggio tra le rovine che circondano la città e restarvi per sette anni. Secondo un‟altra versione, non
trova alloggio a causa di pessime condizioni finanziarie. Il suo luogo di peregrinazione ed esilio
ruota attorno ad al-Madāʾin, le cui rovine costituiscono un topos della letteratura ascetica, per la
comparazione delle glorie del passato e la miseria del presente. L‟incontro con il maestro ad-
Dabbas (525/1131) sarebbe avvenuto in cielo. Verrà spinto alla predicazione da Yusuf al-Hamadani
(m. 535/1140). Raggiunge in breve tempi una fama tale da tenere i suoi uditori nella muṣallā. Egli
divenne il Qutb, il Polo, il vicario in terra del Signore. Ad „Abd al-Qādir al-Jīlānī venne attribuito il
possesso di tutte le qualifiche di eccellenza sia sul piano esoterico che su quello essoterico.

 La ṭarīqa

Viene considerata da molti la prima ṭarīqa organizzata nella storia dell‟Islam. La silsila risale fino
ad al-Junayd. Secondo la tradizione, i primi a diffondere tale ṭarīqa furono i figli del fondatore:
„Abd al-„Aziz (m. 602/1205-06) e „Abd al-Razzaq (603/1206-07). Il primo diffuse la ṭarīqa a
Baghdad, rimasto fino ai giorni nostri il centro della confraternita; il secondo inaugurò una
successione ereditaria. In alcune zone, la Qādiriyya si trovò a competere con la Naqshbandiyya;
altre volte le due confraternite si unirono. Nel Congo, la penetrazione della confraternita, avvenuta
verso il XVIII secolo, trovò nella popolazione una preparazione religiosa meno che elementare. I
qadirī, dunque, svolsero la funzione di maestri per l‟insegnamento religioso di base. Data la vastità
del territorio sul quale si trovano gruppi della Qādiriyya, sono stati introdotti anche degli
adattamenti.

 La Rifā‟iyya

Il fondatore della ṭarīqa fu Abu „l-„Abbas Ahmad al-Rifā‟ī. Anch‟egli discende dal Profeta
attraverso i due figli di Fatima; anche lui rifiutò, in età d‟allattamento, di bere il latte fino al
tramonto nel mese di Ramadan; anche lui fu il Qutb dell‟epoca. Nacque intorno al 500/1160 ad al-
Baṭāʾiḥ, nel sud dell‟Iraq, dove visse e dove sorse il centro della confraternita che da lui prese il
nome. Tra le karamāt che lo riguardano ricordiamo quello avvenuto durante il pellegrinaggio alla
Mecca, secondo cui la mano del Profeta uscì dalla sua tomba a Medina perché lui potesse baciarla.
Il Sufismo – Angelo Scarabel

La ṭarīqa ebbe diffusione nel mondo arabo, in Iran e in Turchia; dal XV secolo si stabilì anche in
India, i cui aderenti lì vengono denominati fakir: sono spesso mendicanti girovaghi, appartengono
alle caste basse. Caratteristica principale della ṭarīqa sta nelle pratiche che accompagnano le
celebrazioni del dhikr; Ibn Battuta riporta la mozzatura della testa di un serpente con i denti. Tali
fenomeni potrebbero essere imputati ad uno stato di ebrezza indotto dal rito collettivo. Un‟altra
pratica che caratterizza una branca derivata della Rifā‟iyya, ovvero la Jibawīya, è la cosiddetta
dawsa. La leggenda vuole che sia stata introdotta dal figlio del fondatore quando gli chiesero di
dimostrare la sua santità attraverso un prodigio; egli fece disporre lungo un percorso dei bicchieri e
altri contenitori di vetro passandoci poi sopra a cavallo senza scalfirne nemmeno uno.
Successivamente, ai vetri furono sostituiti i discepoli, e la dawsa divenne pubblica manifestazione
in occasione delle grandi feste. Fu abolita nel 1881.

 La Shādhiliyya

Il fondatore è Abu „l-Ḥasan „Ali al-Shadhilī (m. 656/1258), marocchino di nascita e discendente dal
Profeta attraverso il nipote Ḥasan b. „Ali. La sua carriera spirituale comincia con il viaggio per
Tunisi, dove abbandona l‟alchimia, poiché richiede manipolazioni impure. Avviene qui il suo
incontro fondamentale con al-Khidr, che gli indica la strada per aiutare i bisognosi della città. Fece
il pellegrinaggio alle città sante, per poi raggiungere l‟Iraq, alla ricerca del Qutb. In Tunisia,
trascorrerà del tempo tra le caverne di Shadhila, a sud di Tunisi, da cui deriverà il suo nome. Si
stabilisce a Tunisi, ma poi emigrerà in Egitto, dove acquisterà il rispetto del sultano. Nel 642/1244
diventerà il Qutb dell‟epoca, succedendo ad Abu „l-Ḥajjāj al-Uqsuri, il santo di Luxor. La silsila
della confraternite è alide. La ṭarīqa si diffuse maggiormente in Nordafrica, dall‟Egitto al Marocco.
Caratteristica della Shādhiliyya è quella di aver costituito una Via di sobrietà, sulla linea di al-
Junayd, de quale è considerata l‟erede. Il discepolo partecipa alla ḥaḍra, ma non conduce in genere
una vita cenobitica. Gli shadhilī vivono nella società di cui fanno parte, esercitando le loro
professioni ed essendo anche partecipi della vita sociale. Altra caratteristica è la presenza di una
cerchia esterna di simpatizzanti, che partecipano ad alcune delle attività per usufruire della baraka.

 La akbarīyya

È una Via anomala, poiché non si può parlare di una vera e propria ṭarīqa organizzata. Il nome
deriva dall‟appellativo di Muḥyī al-Dīn Ibn „Arabi (m. 638/1240), suo iniziatore e punto di
riferimento, ovvero al-shaykh al-akbar, “il più grande maestro”. Altro nome è Muḥyawīya, da
Muḥyī al-Dīn, il cui significato è “Rivivificatore della religione”. Andaluso di origine araba,
discendente della tribù dei ṭayy, celebri fin dall‟epoca preislamica per la loro generosità, dote
Il Sufismo – Angelo Scarabel

beduina per eccellenza. Nacque a Murcia, ma abbandonò molto presto l‟Andalusia per il Maghreb,
e da lì proseguì fino alla Mecca, dove risiedette, poi nell‟Anatolia dei Selgiuchidi, per poi stabilirsi
a Damasco, dove morì nel 638/1240. Fu un fecondissimo scrittore di trattati. Numerosi furono i suoi
discepoli, alcuni dei quali hanno una silsila nella quale egli non appare. L‟emiro „Abd al-Qādir (m.
1300/1883), che guidò la resistenza all‟invasione francese dell‟Algeria, ricevette la khirqa akbarīya
dal padre Muḥyī al-Dīn (m. 1248-9/1833), il quale la ricevette a sua volta dal padre Mustafa, che vi
era stato ricollegato da Murtada al-Zabidi.

 La Naqshbandiyya

La caratteristica distintiva di questa Via sta nella sua origine da Abu Bakr, benché nella silsila sia
presente anche una linea di khirqa alide. Punto di forza è, dunque, la mushāhada; al cui episodio, i
naqshbandī aggiungono che tale modo di invocare fosse stato suggerito ad Abu Bakr quando fuggì
assieme al Profeta dalla Mecca: “Iddio si è manifestato ai credenti in modo generale e ad Abu Bakr
in modo speciale”. Il nome della ṭarīqa rimanda a Bahà al-Dīn Naqshband, ma la stessa tradizione
non lo considera suo fondatore, risalendo invece a Hamadānī, il Qutb dell‟epoca. Prima di Bahà al-
Din Naqshband, la tradizione naqshbandī definisce la propria via “ṭarīqat-e khwājagān”, la via dei
maestri. La ragione di questa designazione sta nel fatto che fu lui a stabilire la pratica del dhikr
khafī, cioè la menzione di Dio occulta, che non traspare dall‟esterno perché fatta dal cuore e non
pronunciata esteriormente, contrariamente a quanto avviene nelle altre ṭuruq. A lui si devono anche
gli otto principi, detti anche kalimāt-e qudsīya, “le parole sante”, che caratterizzano il metodo della
ṭarīqa:

1. Coscienza del respiro: controllo che ogni inspirazione ed espirazione sia fatta mantenendo il
cuore nella Presenza della Realtà divina;
2. Guardare dove si mette i piedi, cioè prestare assoluta attenzione al proprio procedere, per
non incappare in distrazioni dal proprio scopo, ovvero la Realtà divina;
3. Il viaggio verso la patria, ovvero non il mondo della creazione, ma quello del Creatore;
4. Isolamento in mezzo alla folla;
5. Rammemorare, ovvero compiere il dhikr della negazione e dell‟affermazione, ovvero
dell‟inesistenza di qualsiasi divinità oltre a Dio;
6. Ritornare con il pensiero alla Realtà divina;
7. Tenere sotto osservazione i pensieri;
8. Concentrazione sulla realtà divina;

Bahà al-Din estese gli otto principi a undici:


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9. Controllo delle proprie azioni e situazioni in ogni istante;


10. Controllo quantitativo del dhikr;
11. Controllo del cuore, cioè lo stato di totale concentrazione sulla Realtà divina.

 Bahà al-Din Naqshband (m. 791/1389)

Nasce nel 718/1318 nelle vicinanze di Bukhara, in un villaggio che in suo onore prenderà il nome di
Qaṣr-e „Ārifān, ovvero Castello degli Gnostici. Pare che, poco prima della sua nascita, fosse passato
di lì as-Sammāsi, che sentì venire da quel terreno profumo di spiritualità; ne comprese la ragione
dopo la nascita di Bahà al-Din, che adottò come suo discepolo, affidandolo poi alle cure di Amir
Sayyid Kulāl, suo khalifa. Quest‟ultimo fu anche maestro di Tamerlano. Tra i vari maestri, Bahà al-
Din rivendica un insegnamento ricevuto direttamente da al-Khāliq; è un caso di ta’līm uwaysī. Morì
nel 791/1389 e fu seppellito nel suo villaggio natale; viene invocato soprattutto come protettore dei
disastri.

 La ṭarīqa Naqshbandiyya

La ṭarīqa ebbe grande diffusione soprattutto nei territori sottoposti alla sovranità timuride, presso le
cui corti i naqshbandī trovarono appoggio e adesione. In certi casi, riuscirono ad esercitare
un‟influenza tale sui sovrani, da diventare quasi i veri reggente dello Stato, come nel caso di Ahrar
(m. 895/1490). Tamerlano fu discepolo di Kulāl, il che fece acquisire alla ṭarīqa grandi ricchezze e
beni immobili. Dopo la caduta del potere timuride, agli inizi del XVI secolo, questa sorta di
rapporto privilegiato con il potere continuò con i nuovi dinasti. La ṭarīqa si diffuse in India, nei
territori dell‟Impero Ottomano, nell‟arcipelago indonesiano.

 Il rinnovamento dei secoli XVIII e XIX

Il XVIII è un secolo di grave crisi per il mondo musulmano, soprattutto delle certezze su cui esso si
è costruito. Gli elementi più appariscenti si manifestano in ambito essoterico. L‟impero ottomano a
ovest e quelli safavide e moghul a est erano entrati in una fase di decadenza inarrestabile; l‟impero
safavide scomparirà nel 1736, mentre le dinastie moghul e ottomana si protrarranno rispettivamente
fino al 1858 e al 1922. Questo stato di cose coincise con gli appetiti territoriali delle potenze
europee che porteranno a colonialismo e imperialismo. Nell‟Europa orientale, la Russia eserciterò
una pressione sull‟impero ottomano e sugli Stati musulmani dell‟Asia Centrale. In questo periodo,
inoltre, si completa la conquista cinese dei territori musulmani del Nord Ovest a opera della dinastia
Qir (1644-1912). Questo provoca una sensazione di smarrimento alla società musulmana che, fino
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ad allora, era vissuta nella convinzione di essere inattingibile alla decadenza e alla sconfitta, in
quanto migliore comunità possibile, alla quale il Corano garantiva successo anche in questo mondo.
A questo fenomeno è stato dato il nome di movimento tajdīdī, cioè di rinnovamento. Si parla adesso
di neosufismo, le cui caratteristiche sarebbero le seguenti:

- Dal punto di vista organizzativo, le confraternite si costituiscono attorno alla figura dello
shaykh fondatore e dei suoi successori, depositari di un‟autorità che viene direttamente dal
Profeta;
- Sul piano metodologico, l'accento posto sulla figura del Profeta; di qui l'insistenza sullo
studio della Sunna;
- Per quanto riguarda l'aspetto dottrinale, la metafisica non ha più alcun interesse; la stessa
realizzazione spirituale ne viene modificata, non essendo più la Realtà divina lo scopo del
neo-mutaṣawwif, ma l‟ unione spirituale con il Profeta;
- Le adesioni alla nuova struttura puntano sui grandi numeri, sulla disponibilità di masse di
individui obbedienti da utilizzare essenzialmente su due versanti: quello economico e quello
politico-militare;
- Perché ciò sia possibile, lo shaykh deve disporre di una struttura gerarchica solidamente
stabilita e centralizzata, garante della fedeltà di tutti; il discepolo non ha più la possibilità di
cambiare maestro; nel contesto dell'ipotizzato neosufismo, ciò significherebbe cambiare
"obbedienza", inserendo un elemento di debolezza nella struttura;
- Di conseguenza, il rapporto maestro-discepolo viene meno, per mancanza di materiale: alla
realizzazione spirituale si sostituisce una attenzione agli aspetti morali e sociali della
religione, quindi non parliamo più di insegnamento esoterico, bensì di istruzione, più
generalizzata e rispondente al fabbisogno di una massa obbediente da manovrare.

Come indice di neo-sufismo, appare fondamentale soprattutto la sostituzione della Realtà divina con
l‟unione con lo spirito del Profeta come punto d‟arrivo della realizzazione spirituale. Tuttavia,
bisogna considerare come le fonti coeve degli studiosi che hanno ipotizzato l‟esistenza del
neosufismo fossero principalmente di parte occidentale, consistenti nei repertori della “letteratura di
sorveglianza” coloniale. Studi recenti, infatti, hanno messo in discussione la plausibilità della stessa
definizione del fenomeno. La nascita del movimento rinnovatore viene attribuita alla penisola araba
a cavallo tra XVII e XVIII secolo, in particolar modo nelle città sante di Mecca e Medina. In questi
luoghi e in questo stesso periodo nasce anche il movimento wahhabita. Il fondatore fu „Abd al-
Wahhāb (m. 1206/1791), originario del Najd. Questi preferiva chiamare se stesso muwaḥḥid,
“proclamatore dell‟assoluta unità divina”, e muwaḥḥiūn i suoi seguaci. Elemento fondamentale
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della dottrina wahhabita è il tawhid, l‟affermazione dell‟unità e unicità di Dio: elemento comune a
tutto l‟Islam, ma che presso i wahhabiti implicava la negazione di qualsiasi dottrina esulasse dalla
rigida interpretazione letterale di Corano e Sunna (esclusione del ta’wil). Un altro punto è
l‟esclusione di qualsiasi creatura, incluso il Profeta e i suoi Compagni. Il Sufismo era colpito sotto
più aspetti dalle tesi wahhabite: il divieto di qualsiasi forma di interpretazione simbolica o
allegorica dei versetti coranici ne impediva una lettura esoterica; il rifiuto di qualsiasi potere
intercessorio entrava in conflitto con il concetto di baraka e di benedizione spirituale, e minava alla
radice il culto dei santi; oltre a ciò, era il Sufismo in quanto tale a essere considerato inammissibile
innovazione, cioè eresia, fenomeno estraneo all'ortodossia islamica, quindi da estirpare alla radice.
Buona parte di queste posizioni riproduce quelle avanzate circa quattro secoli prima da Ibn
Taymiyya. Tuttavia, se il culto dei santi e l'introduzione di pratiche non riscontrabili nell'età del
Profeta e dei suoi Compagni erano state anche da lui tacciate di eterodossia, egli non ne metteva in
discussione il diritto ad esistere.

 Le vecchie ṭuruq – L‟azione sociale e politica

I sostenitori della teoria del neosufismo prendono in considerazione due aspetti: l‟azione svolta
dalla ṭarīqa sul fronte esterno, dunque dello spostamento della sfera d‟interesse dalla
contemplazione all‟ambito politico; l‟azione svolta dalla ṭarīqa al suo interno, riguardo metodo e
dottrina. Shāh Walīullāh Dihlawī, considerato uno dei maggiori esponenti del rinnovamento del
pensiero islamico, continua la tradizione della sua ṭarīqa, la Naqshbandiyya Mujaddidiya. La parte
maggiore della sua opera resta nell‟ambito dottrinale. Mawlānā Khalid Baghdadi (m. 1240/1827),
suo discepolo curdo, con una grande preparazione sulle scienze essoteriche, svolse un‟azione più
direttamente politica, tanto da essere considerato uno dei più rilevanti esponenti del movimento
rinnovatore. L‟organizzazione da lui data alla ṭā’ifa prevedeva un controllo diretto dei khalifa in
larga parte del territorio ottomano, il che fu interpretato come rispondente a esigenze nelle quali
l‟azione “esteriore” giocava un ruolo determinante. Un altro versante dell‟azione di difesa che ha
coinvolto organizzazioni sufi è quello della reazione militante contro l‟invasione dello straniero.
Prendere le armi contro l‟invasore che intende imporre un governo non musulmano, giuridicamente
inaccettabile e rovinoso per la comunità, è un da sempre un dovere della shari’a. Sappiamo
comunque essere lunghissima tradizione sufi la partecipazione alla guerra santa. Sayyid Ahmad
Brelwi (m. 1246/1831) è stato considerato emblematico del neosufismo; egli fu discepolo Dihlawī.
Nella sua propaganda di guerra santa si richiamava a una ṭarīqa-yi muḥammadiyya: espressione
considerata indice di neosufismo. In realtà, significa solo “la via di Muhammad”, che ha come
primo senso quello di indicare la tradizione islamica millenaria. Nel 1217/1803, gli inglesi della
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Compagnia delle Indie misero l‟imperatore moghul sotto tutela, riconoscendogli titoli e prerogative
ufficiali, ma svuotati di contenuti; Dihlawī emanò una fatwa che dichiarava l‟India dar al-ḥarb,
territorio nel quale non vi era più una sovranità islamica. Sayyid Ahmad divenne discepolo di
Dihlawī intorno al 1806, verso il 1810 lasciò il maestro per arruolarsi dell‟emiro di Tonk che lasciò
dopo il 1817; passò poi un periodo di vagabondaggio, durante il quale pare abbia accettato
discepoli, come un maestro; nel 1819 si recò nella penisola araba, dove rimase circa tre anni;
tornato in patria, cominciò la sua attività di guerra santa nel 1826, con la collaborazione di Shah
Isma‟īl Dihlawī, nipote del suo vecchio maestro. Nel 1831 i due vennero uccisi in battaglia.
Avevano dato vita a un sodalizio nel quale Dihlawī metteva in ordine e per iscritto idee e proclami
di Sayyid Ahmad. Venivano messi sotto accusa il culto dei santi e l‟eccessivo rispetto per i maestri;
era condannata la meditazione da parte del discepolo sull‟immagine mentale del maestro,
intermediario obbligato per la realizzazione spirituale e intercessore. L‟occupazione coloniale
francese dell‟Algeria fu condotta dal sufi „Abd al-Qādir. Il personaggio è noto come esponente
tradizionale della Qādiriyya e della Akbarīya. Anche l‟Indonesia ebbe una lunga tradizione di
resistenza all‟occupante olandese, nella quale l‟azione di esponenti del Sufismo fu molto
importante.

 Il rinnovamento del metodo: il caso di Ma Minxin

Un caso in diretta reazione con un riformismo neosufi è quello di Ma Minxin, un discepolo indiretto
di al-Kurani, lo stipite comune degli innovatori. Ma Minxin si stabilì nella provincia nord-
occidentale del Ganzu presso i confratelli naqshbandī, con i quali entrò in urto fin dall‟inizio: egli
era portatore di una linea di khirqa diversa rispetto a quella locale e che proveniva dal centro
dell‟Islam. Predicando un‟assoluta rinuncia ai beni, egli si opponeva al sistema del men-huan, la
discendenza spirituale ereditaria, ed all‟esazione di tasse da parte dei maestri della ṭarīqa. Altro
elemento di scandalo fu l‟introduzione del dhikr ğahrī, cioè eseguito a voce alta e accompagnato da
movimenti del capo e del corpo e da una tecnica di respirazione introdotti ex novo: la tradizione
naqshbandī si identificava con il dhikr khafī. La ṭā’ifa di Ma Minxin subì la repressione militare
cinese, e lo stesso fondatore venne ucciso, ma la sua via sopravvisse.

 L‟aspetto dottrinale: il caso di Shah Walīullāh Dihlawī

La sua è la personalità più in vista nella storia del pensiero islamico del XVIII secolo. La sua azione
ha spaziato dall‟ambito essoterico a quello esoterico, in entrambi i casi condotta all‟insegna
dell‟unità: senso che egli pare dare all‟espressione ṭarīqa-yi muḥammadiyya. Walīullāh sembra
proporre una sorta di unificazione delle quattro scuole giuridiche, nella quale egli vede una
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riduzione di possibili conflitti, anche interpretativi, in un momento storico in cui le divisioni


esistenti non gli paiono più praticabili. Anche per quel che riguarda la riapertura della porta
dell‟ijtihad, egli ritiene trattarti di un‟apertura riservata a coloro che sono in grado di trarne
vantaggio per se stessi e per la comunità. Nel dibattito ha opposto i sostenitori della dottrina di Ibn
„Arabi dell‟unicità dell‟esistenza a quelli della dottrina dell‟unicità della contemplazione di Ahmad
Sirhindi, egli assume una posizione conciliativa, affermando che le due posizioni non sono opposte
e che la controversia è fondata su un uso equivoco delle parole.

 Le nuove ṭuruq

La definizione di neosufismo è stata spesso utilizzata a proposito delle nuove ṭuruq sorte nella
penisola araba e nel Nordafrica, i cui fondatori furono Ahmad Ibn Idris (m. 1253/1837),
Muhammad „Uthman al-Mirghāni (m. 1268/1851), Muhammad b. „Ali al-Sanusi (m. 1276/1859) e
Ahmad al-Tijāni (m. 1230/1815).

 Ahmad Ibn Idris

Nacque in Marocco nella metà del XVIII secolo, da una famiglia che vantava discendenza dal
pronipote del Profeta. Da giovane si trasferì a Fez, ci rimase fino ai cinquant‟anni, il che gli valse
l‟epiteto di al-Fasi, tuttavia più noto presso gli studiosi europei che presso i suoi contemporanei. A
Fez, egli indirizzò i suoi studi verso il Sufismo, frequentandone i maestri; fu lì che ricevette la
khirqa, nella tradizione della Shādhiliyya e della Khalwatiya insieme, dalle mani di „Abd al-
Wahhāb al-Tazi (m. 1213/1798-99). La silsila vanta la presenza di al-Khidr e divenne nota come
ṭarīqa Khadiriyya in suo onore, oppure Muḥammadiyya. Se nel caso di al-Khidr, si tratta di
riconoscere una via che si connette direttamente a un iniziatore che sfugge alle limitazioni di spazio
e tempo; nel caso di Muhammad, ricordiamo una delle caratteristiche del neosufismo, ovvero quella
della sostituzione della Realtà divina con il Profeta, come punto di arrivo delle ispirazioni del
mutaṣawwif. Motivo di attenzione dell‟agiografia che accomuna i maestri della silsila di Ahmad Ibn
Idris e lui stesso è l‟apparizione del Profeta non in sogno, bensì nella veglia. Il Profeta appare come
il vero iniziatore, che trasmette al discepolo i riti della nuova ṭarīqa: non è quindi oggetto di
contemplazione, ma di imitazione al fine del raggiungimento della Realtà divina. Il fatto che Ahmad
Ibn Idris sia stato accusato di seguire le dottrine di Ibn „Arabi, lo colloca in una corrente di pensiero
poco compatibile con i principi cui si ispirerebbe il neosufismo. Ulteriori elementi che vanno in
contrasto con i punti caratterizzanti del neosufismo sono la sua estraneità da azioni politiche o di
guerra santa e la costante attenzione per l‟istruzione spirituale dei suoi discepoli. Egli condannò le
azioni di intolleranza e le violenze compiute dai wahhabiti. Il suo insegnamento si diffuse
Il Sufismo – Angelo Scarabel

principalmente nel Corno d‟Africa, nel Sudan e nell‟Africa settentrionale. I suoi principali discepoli
diedero vita a nuove organizzazioni, tra le quali segnaliamo in particolare:

1. Mirghāniyya – Muhammad „Uthman al-Mirghāni

Discendente dal Profeta, apparteneva a una famiglia originaria di Bukhara, ma meccana da


generazioni; il nonno aveva fondato la ṭarīqa. Rimase orfano in tenera età e fu allevato da uno zio
sufi e imparò il Corano a memoria già da bambino. Studiò le scienze essoteriche e poi si dedicò a
quelle esoteriche. Tali notizie agiografiche lo mettono in relazione al Profeta. Prima di diventare
discepolo di Ahmad Ibn Idris fu iniziato a varie ṭuruq. La ṭarīqa fu chiamata anche Khatmiyya, da
“sigillo”. L‟espressione, in questo caso, va intesa nel senso che questa via è la sintesi di tutte le
ṭuruq nelle quali era stato iniziato, cioè Naqshbandiyya, Qādiriyya, Junaydiya e la prima
Mirghāniyya. Ciò avviene per ordine del Profeta, il solo che possa legittimare un‟operazione come
questa. Di conseguenza venne fatto divieto ai discepoli di aderire ad altre ṭuruq.

2. Sanūsiyya – Muhammad b. „Ali as-Sanusi

Nacque nell‟attuale Algeria. Anch‟egli rimase orfano di entrambi i genitori. Il suo periodo
formativo culminò a Fez, dove sembra che abbia approfondito anche le scienze essoteriche. Alla
Mecca egli divenne discepolo di Idris, il quale lo nominò suo khalifa quando lasciò la Mecca. La
Cirenaica fu la regione scelta come centro della nuova ṭarīqa che si diffuse nelle oasi dell‟Egitto
settentrionale, nell‟Algeria e nel Fezzan. Durante la sua vita non si parlava di Sanūsiyya ma di
Muḥammadiyya. Il suo apporto originale riguardò l‟organizzazione di una confraternita che si
assumeva la gestione del territorio: la giurisdizione non riguardava i soli discepoli, ma si estendeva
anche alla popolazione dei dintorni.

3. La Tijāniyya

Il fondatore, Ahmad al-Tijāni, era nato in un villaggio dell‟Algeria da una famiglia discendente dal
Profeta. Perse entrambi i genitori all‟età di sedici anni; l‟agiografia ci racconta che all‟età di sette
anni aveva già imparato il Corano a memoria. Il numero sette viene caricato di valenze simboliche;
nei due settenni seguenti completò la sua istruzione religiosa essoterica a Fez; dopo di ciò, si rivolse
al Sufismo, venendo ricollegato alla Qādiriyya, alla Nassiriya e alla Khalwatiyya, delle quali
divenne shaykh. Anche a lui fu riservato il privilegio della visione del Profeta in stato di veglia, il
quale gli trasmise i riti della nuova ṭarīqa. Il fatto avvenne quando egli aveva quarant‟anni, età del
Profeta quando ricevette la Rivelazione; egli rivendicò a sé la dignità di Sigillo della Santità.
L‟aspirante discepolo di tale confraternita doveva seguire determinate regole:
Il Sufismo – Angelo Scarabel

- una volta entrato nella ṭarīqa, egli non dovrà più uscirne: attraverso il rito d'ingresso,
contrae un impegno con Dio;
- una volta entrato nella Tijāniyya, non dovrà aderire a nessun'altra ṭarīqa: Uno è Iddio, uno è
il Profeta, uno è il murshid;
- deve rispetto a ogni santo di Dio, ma è tenuto a rendere omaggio soltanto ad un santo tijani;
- deve compiere le cinque preghiere quotidiane prescritte dalla sharī’a possibilmente insieme
ai condiscepoli;
- deve onorare i genitori;
- deve eseguire i riti prescritti dalla ṭarīqa.

La confraternita si diffuse soprattutto in Nordafrica occidentale, nell‟Africa subsahariana. Se si


comparano le caratteristiche della Tijāniyya con i punti caratterizzanti il neosufismo, vediamo che
ne compaiono alcuni e ne mancano altri; manca specialmente un elemento che da solo funge da
discrimine tra Sufismo tradizionale e neosufismo: l‟abbandono della prospettiva esoterica.

3 – La dottrina

 Lo scopo del Sufismo

Scopo del Sufismo è la realizzazione spirituale, cioè la conoscenza della Realtà divina. Secondo al-
Ghazali, la percezione del significato dei nomi di Dio non ha qualità diversa se percepita da un
ragazzo alle prime armi o se percepita da un dotto che ne ha svolto lo studio per decenni. Questo
perché la conoscenza umana è quantitativa, limitata al quantificabile. Al-Ghazali afferma che per
superare questa barriera vi è bisogno di un intervento esterno, che faccia fare all‟uomo il salto
qualitativo che solo darà nuova dimensione alla sua conoscenza: tale intervento è quello che
produce il Sufismo, grazie al quale l‟uomo è avvicinato a Dio per mezzo dei Suoi nomi. I nomi
divini sono l‟oggetto possibile della conoscenza: la Realtà divina si manifesta attraverso i suoi
attributi, che si riflettono nella creazione. Ogni creatura è partecipe di qualche attributo divino, con
la sola eccezione dell‟uomo, potenzialmente partecipe di tutti gli attributi divini, essendo stata
conferita a lui, tramite Adamo, la funzione di Suo vicario. Lo scopo del Sufismo è quello di fornire
all‟uomo comune la possibilità di attualizzare questa sua potenzialità, che non ha mai davvero
perduto ma di cui non ha coscienza. Il livello di coscienza di questa potenzialità dipende dalla
natura di ciascuno.

 Individualità e personalità
Il Sufismo – Angelo Scarabel

Nelle concezioni del Sufismo, l‟individualità corrisponde al creato; la personalità, invece,


nell‟uomo costituisce il legame con la Realtà. Il mondo non ha la sua ragion d‟essere in se stesso,
poiché non si è autoprodotto né è eterno: è creazione di Dio e, in quanto tale, sussiste grazie a Lui.
L‟esistenza dell‟uomo è relativa, infatti tutte le sue componenti sono soggette al cambiamento. La
Realtà vera è, dunque, Dio e non il mondo. Quest‟ultimo è, invece, ‘adam, inesistenza. L‟idea di
Dio è quella dell‟essere infinito; per questo, al-Ghazali ha combattuto la filosofia araba, derivata
dalla greca, che non ammette la creazione “dal nulla” del mondo, per cui questo sarebbe eterno: in
tal modo, esisterebbe qualcosa di coeterno a Dio ed esterno a Lui. Per la dottrina del tawhid, nulla
esiste al di fuori di Dio: Egli è l‟unico che si possa dire esistente. La forma di esistenza del mondo è
paragonata a quella delle immagini riflesse in uno specchio, le quali godono di un‟esistenza
illusoria che, tuttavia, per la loro possibilità di percezione è la sola esistenza tangibile. Un‟altra
immagine adatta alla situazione è quella del teatro delle ombre (khayāl al-ẓill) o quello delle
marionette. Nella concezione del Sufismo, l‟uomo e Dio sono separati da veli, che allo stesso tempo
velano e rivelano la riflessione dell‟immagine. Le corrispondenze tra macro e microcosmo
garantiscono la possibilità della realizzazione spirituale, poiché tutto il creato è legato da un
rapporto di continuità tra i vari livelli di esistenza.

 Maestro e discepolo – Necessità dell‟apprendimento da un maestro

Limitato dalla propria individualità, il murīd non può intraprendere la Via da solo. Il maestro
costituisce il punto di partenza indispensabile per la trasmissione dell‟influenza spirituale.
L‟intervento di una costante in tutta la storia dell‟umanità, a partire dalla creazione. Il Corano ci
racconta come, appena creato, Adamo ricevette direttamente da Dio la conoscenza, attraverso la
rivelazione dei nomi di tutte le creature; „Abd al-Qādir al-Jīlānī ci racconta come Dio lo fece
maestro degli angeli e gli angeli divennero suoi discepoli, ma quando Adamo ed Eva vennero
cacciati dal giardino, la conoscenza non gli fu concessa, dunque Gabriele gli fu insegnante e
maestro, insegnandogli ciò che da lui aveva appreso. Allo stesso modo, Gabriele insegnò a
Muhammad, il Profeta insegnò ai Compagni e questi ai Seguaci, i quali furono maestri dei Seguaci
dei Seguaci. Gesù fu maestro dei discepoli. È ribadita la convinzione dell‟impossibilità
dell‟autoapprendimento. Un detto assicura che chi non ha un maestro, trova in Satana il suo
maestro.

 Le funzioni del maestro

Il maestro è indispensabile in quanto chiave che apre la porta della ṭarīqa. Egli deve essere in grado
di riconoscere nell‟aspirante il possesso delle qualifiche che gli permetteranno di percorrere la Via,
Il Sufismo – Angelo Scarabel

almeno fino a un certo punto. Il maestro ha a sua disposizione delle scienze tradizionali: tra queste
la fisiognomica (ʿilm al-firāsa), che si basa sul principio secondo cui le forme corporee di un
individuo ne denunciano alcuni caratteri psicologici e disposizioni spirituali; altro mezzo utilizzato
al fine di riconoscere l‟esistenza o meno di qualifiche spirituali da parte dell‟aspirante è quello della
scienza dell‟interpretazione dei sogni (‘ilm al-ta'bīr), accompagnata dalla pratica dell‟Istikhāra:
l‟aspirante compie l‟abluzione rituale per purificarsi, recita una preghiera accompagnata da
un‟invocazione ad hoc al momento di coricarsi, successivamente, le cose che sognerà costituiranno
altrettante indicazioni delle sue caratteristiche e inclinazioni individuali. L‟altra funzione del
maestro è quella di guida (murshid) nei passi iniziali del murīd nella ṭarīqa. Il maestro deve avere
raggiunto un certo grado di realizzazione spirituale e deve conoscere molto bene il suo discepolo
per dirigerlo nel suo periodo iniziale. Ibn „Arabi afferma che i maestri sono i rappresentanti della
Realtà divina nel mondo, allo stesso modo dei Profeti, ma con la differenza che essi non hanno
funzione legislativa. Una delle immagini rappresentative della relazione uomo-Dio è quella delle
spose del Vero, dove Dio rappresenta il marito e l‟uomo la sua sposa; un‟altra ancora è quella
dell‟Amante e dell‟Amato, dove Iddio rappresenta l‟Amato in quanto oggetto di desiderio del
murīd. Prosegue dicendo che non tutti i santi sono dei buoni maestri, dal punto di vista “didattico”.
L‟esperienza costituisce uno degli ingredienti principali della funzione magisteriale. In tal senso, il
Sufismo altro non è che una pratica.

 Il discepolo

La tradizione sufi impone al discepolo di essere nei confronti del suo maestro come un cadavere
nelle mani del lavatore di cadaveri, cioè come un corpo morto che il lavatore gira e rigira a suo
talento. Qualora vi fosse l‟istituzione, il discepolo dovrà condurre vita cenobitica, nella quale presta
il suo servizio al suo maestro. Deve porgli assoluta fiducia e mantenere un atteggiamento di
rispetto. Il discepolo che non riesca a porre totale fiducia al suo maestro, dovrà lasciarlo e
scegliersene un altro, nel quale riporla, poiché senza fiducia ogni progresso è compromesso. Una
tradizione attribuita a Gesù afferma che “Non entrerà nel regno dei cieli e della terra chi non sarà
stato generato due volte: la prima dai genitori e la seconda dal maestro”. Il passo riproduce il
discorso di Gesù a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni. „Isa è considerato uno dei profeti maggiori
dell‟Islam, e incarna un tipo di santità sufi. Il maestro di cui si parla nella tradizione è in realtà lo
stesso Spirito del mutaṣawwif, nonché l‟interno dello stesso cuore, liberato dall‟incrostazione che ne
impediva la vista.

 I riti esoterici – l‟iniziazione


Il Sufismo – Angelo Scarabel

È il rito fondamentale nel Sufismo; rappresenta un passaggio obbligato, nel quale passa l‟influenza
spirituale. Nonostante sia fondamentale e irrinunciabile, non produce da solo che una possibilità,
esso apre la porta, ma il primo passo e quelli successivi sono a carico del discepolo. Il suluk passa
attraverso le azioni di contenimento dei propri desideri carnali, ovvero ogni desiderio che abbia
come oggetto cose riconducibili al mondo fisico.

 Il wird

Il termine significa “discesa all‟abbeveratoio”, è un mezzo per attingere alla fonte della conoscenza.
Spesso, l‟espressione “prendere il wird” equivale all‟iniziazione; infatti, ciò che il nuovo discepolo
riceve dal suo maestro dopo l‟iniziazione sono le formule del wird. Esso diventa la preghiera
quotidiana del discepolo, di solito da compiersi agli estremi della giornata, ma anche in altri
momenti, in particolare quelli che precedono o seguono la preghiera canonica. Consiste in una o più
formule, da recitare un determinato numero di volte per occasione, spesso un centinaio. Si tratta di
una preghiera individuale che viene confidata dal maestro al discepolo come mezzo destinato a
favorirne il lavoro di pulitura dell‟anima individuale e il suo controllo.

 Il Ḥizb

Il termine indica un “gruppo di persone” tenute insieme da un interesse comune; indica anche la
porzione di un testo da recitare, come nel caso del Corano (1/60). Il Ḥizb del Sufismo è una
preghiera che viene recitata, che potremmo considerare anche l‟inno di una ṭarīqa. Esso è, spesso,
opera del maestro fondatore, che ne compone più di uno. Dal punto di vista formale, sono
composizioni lunghe non sempre distinguibili dal wird. Sono in prosa, rimata e ritmata: si tratta di
preghiere salmodiate, se non cantate, con o senza accompagnamento di strumenti musicali, durante
la ḥaḍra, cioè la riunione dei discepoli intorno al loro maestro per il compimento del rituale
specifico della ṭarīqa. Esistono aḥzāb diversi, composti per le varie circostanze e momenti della
giornata, della settimana o del mese, o per circostanze speciali, alle quali è limitata la recitazione
corale. L‟importanza di queste preghiere è dato dal loro potere incantatorio; esse sono ritenute
essere rivestite di un potere di benedizione, legato alla dignità spirituale del maestro che le ha
composte. Agli aḥzāb più potenti si attribuisce la presenza di un‟invocazione al nome di Dio, la cui
menzione è considerata veicolo di sicuro ottenimento della grazia richiesta. Altro motivo di
interesse di queste composizioni sta nei loro contenuti: spesso una successione di versetti coranici,
nomi divini e richieste precise o generali il cui tenore è in diretta corrispondenza con il versetto
citato o con il nome invocato: l‟invocazione del nome divino al-Ghāni, “Il ricco” nel senso che è
Colui che non ha bisogno di alcunché poiché tutto è già Suo, comporterà la richiesta di essere
Il Sufismo – Angelo Scarabel

liberato dalle catene di un bisogno che sia causa di distrazione e impedimento lungo la Via.
Dunque, la scelta dei versetti coranici e dei nomi divini invocati non è affatto casuale. Una
composizione analoga è la manẓūma sui nomi divini: una composizione poetica nella quale ogni
verso abbina uno o più nomi divini a una richiesta di grazia.

 Il dhikr

È il principale rito del Sufismo. Il termine significa “ricordo” e “menzione”. Vi sono numerosi
versetti coranici nei quali si parla della menzione divina, per esempio quello in cui si dice che “[…]
coloro che son dotati di intelletto […] menzionano Iddio in piedi, seduti o coricati su un fianco”. I
sufi si riconoscono nei dotati di intelletto e in coloro che, in qualunque luogo o postura si trovino,
praticano il dhikr. È in questa rammemorazione continua che viene riconosciuta la caratteristica del
rito principale del Sufismo, essi lo hanno interiorizzato al punto che funziona “solo”. Il problema
principale è concentrarvisi, ed evitare il pericolo che la pronuncia del dhikr prosegua per conto
proprio, mentre la mente viene occupata da pensieri che vanno in tutt‟altra direzione. Dal punto di
vista formale, il dhikr è costituito dalla formula della prima parte dell‟attestazione di fede, da uno o
più nomi divini, tra i quali viene incluso il pronome di terza persona maschile singolare (huwa). È il
rito fondamentale del mutaṣawwif, nonché della ḥaḍra. Può essere eseguito stando seduti o in piedi,
o prima seduti e poi in piedi, adottando particolari posture o meno. Ha un andamento dal lento al
veloce, raggiungendo alla fine un culmine; l‟invocazione corale del nome divino ne determina
l‟irruzione nel cuore dell‟invocante che dà luogo a manifestazioni di perdita di autocontrollo. Il rito
può essere compiuto anche da soli, adottando accorgimenti suggeriti dal maestro.

 La khalwa

Il termine significa “isolamento”; è una pratica molto comune all‟interno del Sufismo. Anche gli
arabi preislamici erano soliti compierlo; lo stesso Profeta si isolava in una caverna sul monte Ḥirāʾ,
dove ricevette la prima rivelazione della sua missione e della prima sura del Corano (la 96). „Aysha
riportò che egli era solito dedicare a questa pratica l‟ultima decade del mese di Ramadan. Tale
pratica è considerata essenziale nella progressione del discepolo; ha una durata limitata e dev‟essere
compiuta con il permesso e sotto la guida del maestro. Il discepolo deve essere in stato di purità
rituale e cibarsi con parsimonia, limitandosi allo stretto necessario; le sole interruzioni ammesse
sono quelle dei bisogni corporali. Può avere luogo più volte, ma ne è esclusa una continuità: vi sono
tradizioni che riportano affermazioni del Profeta che lodano chi si ritira dal mondo per preservare se
stesso e gli altri dalle tentazioni, e ve ne sono altre che invitano a vivere la propria vita di credente
in mezzo agli altri credenti. La khalwa risponde ad entrambe le esigenze: costituisce l‟occasione di
Il Sufismo – Angelo Scarabel

un più diretto contatto con Dio, al termine del quale la persona che ne ha beneficiato può estendere
il vantaggio alla comunità.

 Le tappe lungo la Via

Il Sufismo è essenzialmente una pratica: è la trasmissione di esperienze che vengono passate dal
maestro al discepolo. Queste hanno come fine il raggiungimento dell‟unione con Dio. Hujwirī ha
parlato di povertà nel suo celebre trattato intitolato “Kashf al-maḥjūb”. La povertà è considerata la
bandiera del mutaṣawwif, proclamata dall‟abito che tradizionalmente gli viene attribuito. Essi si
fanno chiamare, infatti, fuqarāʾ: il sufi è il povero per antonomasia. Il faqīr è una persona che
manca di qualcosa di essenziale, vale a dire la visione della Realtà divina, il cui raggiungimento è lo
scopo stesso del Sufismo. Il sufi è alla continua ricerca del “solo davvero Ricco”, al-Ghāni, Colui
che non ha bisogno di nulla e di nessuno, mentre tutto e tutti hanno bisogno di Lui, e sono quindi
naturalmente poveri. Nel suo trattato, al-Hujwirī specifica che ricchezza e povertà sul piano terreno
sono di per sé neutre, essendo entrambe doni divini; è l‟atteggiamento del cuore umano a
determinarne la positività o la negatività: se la povertà è fonte di invido desiderio, essa sarà
negativa; allo stesso modo, se la ricchezza porta l‟individuo a dimenticare la propria assoluta
congenita povertà, allora anch‟essa sarà negativa. Per i puri di cuore, povertà e ricchezza sono
pertanto equivalenti.

 Il ḥāl (p. aḥwāl)

Ḥāl significa “situazione, condizione”: in questo contesto, designa uno stato di presenza divina nel
cuore del mutaṣawwif, che avviene improvvisamente. È uno stato di grazia, una gratuita
concessione di sé da parte della Realtà divina. Non meccanicamente prodotta poiché, in quanto
grazia, è escluso possa essere direttamente provocata. È la conseguenza dell‟azione generale e
continuata di purificazione del murīd, perché in tal modo Dio si avvicina al servo che Lo invoca e si
rivolge a Lui come un suo unico oggetto di attenzione, colmandolo delle grazie della Sua presenza.
Esso può capitare più frequentemente durante la ḥaḍra, nella quale avviene la recitazione collettiva
del dhikr, in occasione della quale si potrebbe ipotizzare una sorta di “accumulo” di baraka; ma
tutte le fonti insistono sull‟assoluta casualità del suo prodursi. Esso è anche passeggero. È spesso
paragonato allo stato di ebbrezza prodotto dal vino, i cui effetti possono essere considerati simili;
come nel caso dell‟ebbrezza subentra la calma della sobrietà, anche il ḥāl passa.

 Il maqām (pl. maqamāt)


Il Sufismo – Angelo Scarabel

Il senso proprio del termine è “stazione”, luogo nel quale ci si sofferma, si fa tappa; nel Sufismo
corrisponde ad una tappa lungo la Via, che costituisce un punto d‟arrivo definitivo. A differenza del
ḥāl, il maqām è considerato acquisizione ottenuta con il proprio sforzo del mutaṣawwif. Queste
stazioni, o gradi di conoscenza acquisita, sono rappresentate e codificate in modo diverso. In alcuni
casi, la loro suddivisione è ridotta al minimo, con soli tre gradi, che corrispondono alla condizione
del discepolo principiante, di colui che si trova a metà strada e di colui che è giunto al termine della
Via. Più frequentemente si parla di sette stazioni, per esempio quelle identificate da al-Khānī;
queste si identificano con sette diversi aspetti della nafs, propedeutici l‟uno all‟altro:

1. Il primo grado e più esteriore è quello della nafs al-ammāra, l‟anima imperiosa, il cui
ambito di operazione è il mondo della shari’a, ovvero della manifestazione sensibile, e la
cui collocazione simbolica nel corpo umano è il petto.
2. Il secondo è quello della nafs al-lawwāma, l‟anima che rimprovera e mette in guardia, il cui
mondo è quello intermedio, nel quale si salda la separazione, e la giunzione, tra il mondo
degli spiriti e quello dei corpi; la sua collocazione simbolica nel corpo umano è il cuore; la
sua condizione è l‟amore (maḥabba); il suo luogo di operazione è la ṭarīqa.
3. Il terzo è quello della nafs al-mulhama, l‟anima ispirata, il cui mondo è quello degli spiriti;
la sua collocazione nell‟organismo umano è lo spirito rūḥ; la sua condizione è l‟amore
appassionato (‘ishq); e il suo luogo di operazione è la conoscenza, ma’rifa.
4. Il quarto è quello della nafs al-muṭma’inna, l‟anima pacificata, il cui mondo è quello della
realtà muhammadiana, cioè della perfezione creaturale; la sua collocazione nell‟organismo è
nell‟ulteriore grado di interiorizzazione del cuore, il sirr, intimo segreto; la sua condizione è
la vera pace; e suo luogo di operazione sono alcuni dei segreti della shari’a.
5. Il quinto è quello della nafs al-rāḍiya, l‟anima soddisfatta, il cui mondo è quello dei nomi e
degli attributi divini; la sua collocazione nell‟organismo è il segreto del segreto, il sirr al-
sirr; la sua condizione è il fanā’ della propria entità separata; a questa condizione non è
attribuito alcun luogo di operazione.
6. Il sesto è quello della nafs al-marḍīya, l‟anima che accontenta, il cui mondo è quello della
manifestazione sensibile; la sua collocazione è nell‟interno occulto del cuore; il suo luogo di
operazione è la shari’a, ma non dal punto di vista esteriore, bensì della sua produzione; in
questa stazione, l‟anima torna a volgersi al mondo esteriore con il permesso divino, per
beneficare le creature con le grazie che Dio le ha infuso. È la stazione della “realizzazione
discendente”: il sufi diventa il velo attraverso il quale agisce nel mondo la Realtà divina.
7. Il settimo è quello della nafs al-kāmila, l‟anima perfetta; la sua collocazione nel corpo
umano è quella del segreto più occulto, il cui rapporto con l‟intimo segreto è analogo a
Il Sufismo – Angelo Scarabel

quello tra lo spirito e il corpo; la sua condizione è la permanenza; suo luogo di operazione è
la sintesi di tutti i luoghi di operazione delle stazioni precedenti.

Le stazioni possono coincidere con le sette laṭāʾif, ovvero il “centro sottile”, sottile perché difficile
da percepire con i mezzi consueti di percezione, ma anche nel senso di non limitato all‟ambito
corporeo. Un centro sottile è un punto nodale che si appoggia simbolicamente al corpo umano, il cui
risveglio rappresenta l‟acquisizione di un grado di conoscenza, ovvero una stazione. Un murīd in un
anonimo “libro di appunti e istruzioni” accosta ad ogni centro sottile un mondo. I mondi cui fa
riferimento corrispondono ai diversi livelli di realtà dell‟essere: il mondo di Nāsūt è quello
dell‟uomo e delle forme; il mondo di Malakūt è il mondo angelico; Jabarūt è il mondo dei nomi e
degli attributi divini; il mondo di Lāhūt è il mondo della divinità come Essere assoluto. In altre
sistematizzazioni, ad esempio della Naqshbandiyya Mujaddidiya, le laṭāʾif sono considerate sotto
un diverso aspetto, quello della struttura del composto umano, alle quali corrispondono due coppie
di cinque e delle quali la seconda è l‟aspetto esteriore della prima: qalb, rūḥ, sirr, khafī, akhfā’ –
nafs, bād (aria), āb (acqua), ātish (fuoco), khāk (terra). Nella stessa ṭarīqa si parla pure di dieci
maqamāt e di sette sfere del percorso di realizzazione.

 La santità (walāya)

Il concetto di santità espresso dal termine walāya può essere riferito unicamente all‟ambito del
Sufismo. È noto come l‟Islam riconosca al martire la certezza della beatitudine eterna; egli è
celebrato dall‟appellativo di shāhid, “testimone”, e la sua è una condizione diversa da quella del
santo vero e proprio. Un ḥadīth qudsī avverte che l‟inchiostro dei sapienti e il sangue dei martiri
verranno pesati nel giorno del giudizio e l‟inchiostro peserà di più del sangue. Walī è un termine dai
molti significati, tutti complementari tra loro. Esso è in primo luogo uno dei 99 nomi più belli di
Dio: esprime la sovranità, verso il cui detentore viene tributata l‟obbedienza più assoluta e totale. Si
dice che Dio è il miglior walī, cioè il miglior patrono, benevolo soccorritore e conoscitore di bisogni
di chi si trova sotto la sua protezione. Dal punto di vista della creatura, il senso immediato di walī è
quello di “servo” obbediente e fedele, che è vicino al suo Signore. È un servo personale del suo
Padrone, dunque gode della Sua prossimità della Sua fiducia. La santità va dunque considerata
come prossimità. Il possesso della walāya comporta anche quello della wilāya, altro aspetto della
santità, che si esprime nella reggenza del mondo su incarico del suo Signore. Il santo, infatti, si
identifica con la funzione di Adamo, vicario di Dio in terra. La tradizione sufi annovera diversi
livelli di santità: quella minore viene identificata con lo stato di prossimità a Dio ed è caratterizzata
dall‟ebbrezza della contemplazione; è però nello stato di santità maggiore che il sālik raggiunge la
contemplazione della prossimità al suo signore, ancora imperfetta ma preannuncio dello stadio
Il Sufismo – Angelo Scarabel

successivo, ovvero la santità suprema, nella quale gli attributi e i nomi divini sono percepiti come
emanazione dell‟Essenza. Vi sono poi diversi tipi di santità, che corrispondono a un diverso punto
di vista. Il riferimento in questo caso è ai profeti riconosciuti dall‟Islam. Ciascuno di questi è stato
portatore di una saggezza specifica, corrispondente alla sua natura, la quale determina il colore della
lente che riflette la volontà divina. In ogni santo si possono riconoscere delle modalità particolari di
metodo e di azione, raggruppabili in tipologie che li assimilano ai profeti. Ibn „Arabi, a tal
proposito, parla di wirātha, “eredità”, di questo o quel profeta. I miracoli dei santi sono detti
karamāt, che avvengono con il permesso di Dio; i miracoli dei profeti sono mu’jizāt, che li
accompagnano a prova della verità della loro missione. Tra le manifestazioni della santità di tipo
mosaico vi è la luminosità accecante del volto, che riporta alla luminosità che emanava dal volto di
Mosè quando esce dal Sinai; manifestazione della santità di tipo cristico sono i miracoli di
restituzione della vita. I santi musulmani ricevono queste eredità attraverso il Profeta Muhammad, il
quale, in quanto sigillo dei profeti, li sintetizza tutti. Capita anche che un santo abbia rivestito forme
diverse di santità in diversi periodi della sua vita spirituale. La forma più perfetta è, chiaramente,
quella ereditata da Muhammad, la santità muhammadica.

 La gerarchia esoterica

Il percorso della santità è un percorso ascendente. Arrivato allo stadio di maggiore prossimità
possibile alla Realtà divina, il sufi non ha tuttavia concluso il suo cammino: infatti, arrivato al
culmine di questa realizzazione ascendente, egli ne deve compiere una discendente. Nel testo di al-
Khānī essa corrisponde alla penultima stazione, il cui luogo di operazione è la shari’a. Il culmine di
questa gerarchia è rappresentato dal Qutb, “Polo”, chiamato anche Gawth, “Soccorso”; si parla di
quṭb al-aqṭāb, cioè il Polo supremo: esso è il più elevato grado di santità, al di là del quale vi è solo
il grado del Sigillo della profezia, la ḥaqîqa muḥammadīya, alla quale tutti i profeti della storia
hanno attinto. Vi è poi il quṭb al-zamān, il “Polo del tempo”, le cui funzioni di reggitore del mondo
si limitano a un tempo definito. Al di sotto di questo grado esistono altre figure:

- 3 nuqabā’, “sovrintendenti”;
- 4 awtād, “picchetti”;
- 7 abrār, “pii”;
- 40 abdāl, “sostituti”;
- 300 akhyār, “migliori”.

Ogni grado inferiore di questa gerarchia rappresenta la “riserva” del superiore. La santità di questi
gradi è conformata sul cuore di tre profeti e tre angeli ravvicinati a Dio, cioè Adam, Musa e Ibrahim
Il Sufismo – Angelo Scarabel

tra i profeti, e Jibril, Mikhail e Israfil tra gli angeli. Categoria a sé stante è quella degli afrād, i
“singoli”, santi il cui numero è variabile ma sempre dispari, che si situano al di fuori di tale
gerarchia e non sono sottoposti alla giurisdizione del Qutb.

 Santi e profeti

Alcuni, partendo dalla considerazione che l‟ambito di azione dei profeti è la sharī’a, mentre quello
dei santi è la ḥaqîqa, hanno ipotizzato una superiorità dei santi sui profeti. al-Hujwirī risolve
abbastanza rapidamente la questione nel suo trattato, ricordando come ogni santo si trovi a
dipendere dal Profeta, iniziatore della catena di trasmissione della baraka, in virtù della quale è
potuto diventar tale; inoltre, osserva come ogni profeta sia stato un santo, mentre non si può dire
l‟opposto. Santità e profezia sono, dunque, due facce della stessa medaglia. Si parla di due sigilli: il
sigillo della santità universale, attribuito in ambito sunnita a Gesù nella sua seconda venuta
anticipatrice della fine dei tempi come Masīh; e quello della santità muhammadica, ovvero colui
che ricapitola la dottrina esoterica dandole l‟ultima “forma”. Da un certo punto di vista, ogni
maestro fondatore di una ṭarīqa è, per i suoi discepoli, un Sigillo della Santità; questa sua forma di
santità non può essere mutata, ma può essere integrata da adattamenti e aggiunte; l‟introduzione di
una nuova forma comporterebbe la nascita di una nuova ṭā’ifa. Viene risolta, inoltre, la questione
della superiorità dei santi e dei profeti sugli angeli. La questione sorge sulla differenza di natura tra
le due categorie: l‟elemento terreno è sicuramente inferiore rispetto all‟elemento del fuoco, cioè la
luminosità, quindi dovrebbe concludersi con la superiorità degli angeli. Tuttavia, nella realtà umano
è stato soffiato l‟alito del Misericordioso e ne è uscito l‟Adamo cui sono stati rivelati tutti i Nomi e
al quale gli angeli hanno ricevuto da Dio l‟ordine di prostrarsi. Profeti e angeli sono dunque
partecipi di una superiorità indiscutibile, poiché sono la realizzazione dello stato adamico. Inoltre, è
con gli uomini, e non con gli angeli, che è stato stretto il Patto di a-last.

 Waḥdat al-wujūd e waḥdat al-shudūd

Queste due espressioni designano due dottrine spesso considerate contrapposte all‟interno del
Sufismo, ma che sono in realtà complementari. Waḥdat definisce l‟unicità, wujūd quello che esiste e
dunque si può percepire. Nel linguaggio dottrinale l‟espressione assume diverse sfumature di senso:
se si parla di unicità dell‟Essere, si intende che esiste un solo e unico Essere; se si parla di unicità
dell‟esistenza, significa che tutti gli esseri che ci sono condividono la medesima esistenza; se si
parla, infine, di un solo “percepito”, significa che solo uno è l‟oggetto della conoscenza. La dottrina
della waḥdat al-wujūd va sotto il nome di Ibn „Arabi: al di fuori di Dio nulla può effettivamente
esistere, non potendovi essere alcuna collocazione al di fuori del Tutto, l‟infinito che non ha
Il Sufismo – Angelo Scarabel

confini; l‟Essere è uno e l‟esistenza anche può essere una sola, poiché è riferita all‟unico Essere.
Quindi, tutto ciò che esiste non può esistere che all‟interno dell‟unico Essere dall‟unica esistenza.
L‟esistenza degli esseri è relativa e illusoria – come le immagini nello specchio – quando sia
considerata rispetto a Dio. A questa dottrina sono state avanzate delle critiche, in particolare da al-
Sirhindī. Per quest‟ultimo, la definizione della illusorietà dell‟esistenza umana si traduce in uno
stadio imperfetto di conoscenza, quello nel quale l‟amante, accecato dalla luce dell‟Amato, vede
soltanto Lui: è come chi fissando il sole ne risulta forzatamente abbagliato, e tutto ciò che
percepisce è il sole, mentre luna e stelle non ci sono più. Al di là di questo stadio si colloca chi, pur
contemplando il sole nella sua assoluta diversità rispetto alla luna e alle stelle, ne percepisce
l‟esistenza non come entità separate, ma attraverso di esso: è questa la dottrina della waḥdat al-
shuhūd, l‟unità della contemplazione. Le due unità, di esistenza e contemplazione, si rivelano
complementari e rappresentano due punti d‟arrivo metodologicamente differenti.

4 – Il Sufismo nella società e nella cultura islamica

 Il Sufismo nella società islamica

Il Sufismo rivendica tra i propri aderenti i primi musulmani, i Compagni del Profeta e in particolare
gli ahl al-ṣuffa; insieme a questi i Califfi ben Guidati. Più tardi, il Sufismo rivendicò come propri
aderenti anche i fondatori delle quattro scuole canoniche del diritto musulmano. L‟appartenenza al
Sufismo di parte di queste personalità è stata messa in dubbio, tuttavia anche escludendoli, ve ne
sono altre che hanno influenzato il pensiero religioso islamico, e ne hanno determinato le
caratteristiche nella società. Tra questi al-Baṣrī e al-Ghazali, solo per citarne alcuni. Un aspetto
particolare è quello del rapporto tra esponenti del Sufismo e autorità politiche, come caso della
Naqshbandiyya con corti timuride e ottomana. Spesso, il sovrano chiedeva al santo la soluzione dei
propri problemi spirituali, ma anche la legittimazione del proprio potere politico. I sovrani
riconoscevano l‟importanza dei sufi sia come intermediari presso una divinità, sia come influenza
sulla popolazione con la quale venivano in contatto direttamente o per fama della loro santità. Il
Sufismo, inoltre, era presente nelle organizzazioni di mestiere. Vi sono stati anche casi in cui le
ṭuruq hanno svolto un importante ruolo politico e/o economico nello sviluppo dei paesi. Il Sufismo
ha svolto un ruolo particolare nell‟islamizzazione di alcune regioni; caso facilmente assimilabile
alla diffusione dell‟Islam attraverso i mercanti musulmani, che non di rado erano anche
mutaṣawwif. In Indonesia si parla di nove santi che vi avrebbero portato l‟Islam: che siano o meno
realmente esistiti ha scarsa importanza. Il più venerato dei nove è Sunan Kalidjaga; suo padre era un
funzionario del regno hindu Majapahit (1293-1500). Il santo era un giovane che prima sperperò in
vino, donne e gioco i beni della madre, lasciandola in miseria, e poi si diede al furto e alla rapina
Il Sufismo – Angelo Scarabel

per poter continuare. Un giorno incontrò Sunan Bonang, un altro dei nove santi, tentò di rapinarlo
ma il tentativo andò male: Sunan Bonang gli rise in faccia e gli diede dimostrazione di grande
potere facendo apparire un albero d‟oro carico di gioielli, di totale disinteresse per le cose del
mondo. Il giovane ne fu colpito e gli chiese di istruirlo nella sapienza. Il suo discepolo passò anni
immobile, nella foresta, ad aspettare il ritorno del maestro; quando tornò, ne verificò la maturazione
spirituale e lo autorizzò a diffondere l‟Islam nell‟isola. Il santo assunse il nome di Kalidjaga, “colui
che fa la guardia al fiume”. L‟aspetto che frequentemente si rivela nei processi di islamizzazione
condotti da esponenti del Sufismo è l‟assimilazione di un‟impronta islamica e della tradizione
precedente. In Africa subsahariana, la presenza del Sufismo ha portato ad una progressiva e non
traumatica islamizzazione delle popolazioni locali. La caratteristica fondamentale di questo Islam è
la sua tolleranza nei confronti delle tradizioni preesistenti e la scelta di operare adattamenti tali da
permettere un passaggio a una nuova cultura in modo progressivo e non traumatico. Le regioni nelle
quali l‟Islam si è stabilito attraverso il Sufismo sono quelle abitualmente considerate “periferiche”,
mentre quelle dell‟Islam “centrale” sono le regioni oggi definite arabe. Il Sufismo ha giocato un
ruolo importante anche nell‟opposizione al colonialismo; esemplificativa in tal senso risulta la
figura di „Abd al-Qādir, che condusse una guerra santa di liberazione dai francesi. Nel mondo
arabo-islamico ha cominciato a diffondersi, a partire dall‟ultimo quarto del XIX secolo,
un‟ideologia nazionalista araba che, seppur inizialmente sostenesse un‟unità degli arabi su base
etnica e non religiosa, per potersi sviluppare ha dovuto far proprie le istanze della maggioranza
musulmana e conciliarle con il principio nazionalista. Proprio per le sue origini extraislamiche, il
nazionalismo arabo ha fatto sì che nelle istanze del pensiero europeo entrassero concezioni
musulmane; una delle conseguenze è stato un ulteriore indebolimento della posizione del Sufismo
nella società.

 Il Sufismo nella cultura islamica – filosofia e scienze

Al Sufismo sono in genere collegate scienze tradizionali, saperi che oggi non vengono ammessi al
rango di scienza; anche nella classificazione arabo-islamica delle scienze, queste non sono
generalmente chiamate ‘ulūm; termine più consono era, piuttosto, quello di ṣinā’āt, “arti”, che
nell‟Occidente rinascimentale saranno legate alla filosofia e alla medicina. Tra queste vi è l‟arte
della chirografia, che riconosce nelle linee che attraversano il palmo della mano altrettanti segni
delle caratteristiche più profonde del suo proprietario; analoga è l‟onirocritica, cioè l‟interpretazione
dei sogni; analogo deve essere stato l‟utilizzo dell‟astrologia. Poi vi sono le pratiche teurgiche, il cui
scopo è quello di ottenere determinati risultati utilizzando le forze che si corrispondono da un piano
all‟altro; ne fa parte l‟arte dei talismani, i quali utilizzano forme che richiamano energie che
Il Sufismo – Angelo Scarabel

esistono ai vari livelli dell‟essere e la cui conoscenza ne consente la manipolazione. Ahmad b. „Ali
al-Bûnî (m. 622/1225) è autore di un certo numero di trattati magici, nella cui maggiore delle quali
“Shams al-ma’ārif” egli cita per ogni arte una serie di maestri sufi. Un posto a parte va riservato
all‟alchimia; in questo caso si tratta di sapienze applicate, le cui preoccupazioni sono estranee a
quelle della produzione dell‟oro o di altri metalli.

 Letteratura

La presenza del Sufismo nella letteratura delle lingue islamiche è decisamente rilevante; la poesia
persiana di ispirazione sufi fu notevole, al punto che ci si è trovati di fronte alla necessità di
distinguere tra poesia con ispirazione autentica e imitazione. Per quanto riguarda le opere in prosa,
esse possono dividersi in più categorie:

- Raccolte agiografiche, ovvero le biografie di santi che abbondano di fatti meravigliosi


(karamāt);
- Ṭabaqāt al-sufiyya, di cui le stesse raccolte agiografiche fanno parte;
- Summae di Sufismo, dei trattati nei quali venivano esposti gli elementi fondamentali della
dottrina (Hujwirī, Qushayrī, Al-Makki);
- Le raccolte degli insegnamenti dei vari maestri, che costituiscono la maggiore produzione
della letteratura sufi nelle varie lingue islamiche. Spesso questi trattati dottrinali attribuiti ad
un maestro sono in realtà stati scritti da un discepolo, un fenomeno molto diffuso: si
considera che quello che il discepolo ha scritto è in realtà il frutto dell‟insegnamento del
precedente maestro, quindi va sotto il nome di quest‟ultimo; anzi, si può addirittura
considerare lusinghiero per un discepolo che una sua opera venga ascritta al maestro.

Il connubio tra Sufismo e poesia è da ricercare anche nella poesia araba preislamica: la nostalgia
della donna amata rispecchia in un certo senso la nostalgia del mutaṣawwif per l‟Amato, la Realtà
divina. L‟amante disperato che mendica uno sguardo dalla dama lontana richiama le condizioni del
sālik e, in particolare, di uno dei suoi stati, il qabḍ, quel restringimento del cuore sotto la morsa
dell‟angoscia causata dall‟inattingibilità della Realtà divina. Un altro genere di poesia sufi in lingua
araba è quella della khamrīya, la poesia bacchica: l‟immagine del vino e dell‟ebbrezza rappresenta
la stessa ebbrezza causata dall‟irruzione della presenza divina nel cuore dell‟amante.

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