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Magia e religioni 5

Collana diretta da A!fonso M. di Nola


Nei risguardi: Lo Yogi e il pavone, stampa del XVIII secolo

Seconda edizione: settembre 1992


© 1981 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214

Stampato nel settembre 1992 presso la Tipolitografia L. Chiovini s.r.l., Roma


e allestito dalla legatoria Segea, Roma
Pio Filippani-Ronconi

Miti e religioni dell'India

Newton Compton editori


Caratteri generali della religiosità indiana

Se volessimo caratterizzare ogni singola civiltà per un particolare


compito assolto nell'ambito della rnltura umana, dovremmo dire che
quello assolto dalla civiltà dell'India è fondamentalmente di natura
mistica religiosa. Difatti, l'orientamento religioso ispira ancora in In­
dia - come accadeva nel nostro mondo antico e medioevale - buo­
na parte dell'attività umana individuale ed associata, sì èla dominare
perfino movimenti politici e contingenze economiche, per non parla­
re, poi, dell'ambito familiare su cui regna incontrastato. La vita in­
diana appare, per ciò, come un succedersi ininterrotto di feste, ceri­
monie e liturgie, attraverso le quali l'Indiano evoca e rinsalda il suo
segreto rapporto con il mondo divino. L'India è, quindi, il continen­
te religioso per eccellenza. L'esperienza religiosa o, per essere più
esatti, quella mistico-meditativa, costituisce l'elemento unificantt' le
innumerevoli stirpi, nazioni, genti e caste, che popolano l'immenso
spazio compreso fra le nevi dello Himalaya e l'isola di Ceylon (Sri
Lanka), dal 37 ° al 5 ° parallelo, non solo, ma è anche l'elemento ca­
ratterizzante in gran parte le dipendenze storico-culturali dell'India,
cioè Birmania, Thailandia, Indocina, fino alle lontane isole indone­
siane, nel c"ui cuore si perpetuano, a Madura e nell'isola di Bali, rigo­
gl\osi focolari di civiltà religiosa indiana, sopravvissuti all'ondat� isla­
mica.
La peculiarità della religiosità indiana e la sua somma originalità ri­
siedono nel fatto di essere fondate, più che su un insieme di creden­
ze, su un complesso di esperienze di ordine mistico-meditativo, come
si è accennato. Che cosa ciò significa? Vuol dire che il loro carattere
fondamentale consiste nella realizzazione diretta, in-mediata (anu­
bhava), quindi estatica e «mistica» nel senso originario del termine
( di «cosa indicibile») di un insieme di stati o piani di coscienza simbo­
leggiati da miti cosmologici e teologici ruotanti attorno a determina­
te personalità divine che, di volta in volta. assumono un ruolo princi­
pale nei rispettivi sistemi religiosi. In altri termini, mentre presso Cri­
stiani, Ebrei e Mussulmani la religione consiste essenzialmente nd
«credere» in un Dio trascendente e separato dall'uomo a cui si rende
culto e la cui legge rivelata si osserva, presso gli Indiani «hindu•, in­
vece, la religione trapassa ben tosto in un insieme di pratiche asceti­
che intese a trasferire la personalità del devoto, empirica, contingente
8 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

e limitata, nella personalità assoluta, cosmica ed atemporale simbo­


leggiata dalla particolare divinità oggetto di culto: ciò, di là dalla at­
tività devozionale ed etica. che è generalmente rnnsiderara un gradi­
no propedeutico all'esperienza del divino. L'Indiano. essenzialmen­
te, rende ad indicarsi e ritrovare la più imima realtà di se stesso in
una dimensione variamente denominata Vi�!"JU, Brahma, Siva ecce­
tera.
Da parte sua, la divinità è concepita in primo luogo e specialmente
nella religione più amica, quale simbolo di fenomeni rnsmici -
pioggia, folgore, vento e così via - e loro reggirrire; in sernndo luo­
go quale simbolo di stati di coscienza, che il devoto è chiamato a spe­
rimentare quali tappe della sua vita spirituale. puramente interiore.
In questo secondo senso, riti, liturgie stagionali, immagini ed edifici
templari sono contemplati e vissuti come proiezione. entro il mondo
materiale e sensibile, di condizioni spirituali sovrasensibili ama verso
le quali l'uomo si ricongiunge alla sua più reale essenza: l'Indiano
rende culto ai diversi dèi con l'intento di suscitare entro se stesso
quelle medesime energie che misteriosamente animano l'Universo
rendendolo vivente ed "intelle_gibilè:-. Ma al centro di tutto ciò vi è.
seppure indiato, l'Uomo. Il precetto fondamentale che orienta la re­
ligiosità indiana è la norma antichissima: «Chi non sia un dio non
può render culto ad un dio!» (na " adevo dévam arcayet). Atteggia­
mento fondamentalmente magico!
In India convivono molte religioni, anche nel senso orridentale del
termine. Alcune sono state storicamente importate, come l'Islam
predominante nell'attuale Pakistan. Il Cristianesimo già introdotto,
a quanto pare, in tempi apostolici sulle cosce occidentali, sucressiva­
meme sottoposto alla supremazia di Roma, a parte le serre protestan­
ti diffuse durame la dominazione britannica, e il Parsismo, sopravvi­
venza dell'amica religione mazdea della Persia portata in India da
profughi iranici, i cosiddetti Parsi, a partire dal X secolo d.C. Le reli­
gioni nate e sviluppatesi in terra indiana sono, invece, il cosiddetto
Hinduismo praticato nelle sue numerosissime forme dell'enorme mag­
gioranza della popolazione, la religione dei Sikh, professata da circa
cinque milioni di Indiani siti nelle provincie nord-occidentali del
subcontinente, quella dei Jaina, seguìca da circa due milioni, ed il
Buddhismo, diffusissimo dieci secoli fa, successivamente emarginato
dalla rinascita dell'Hinduismo negli Stati nord-orientali e centrali, indi
sradicato dall'alluvione islamica a partire dall'undicesimo secolo. At­
tualmente il Buddhismo sopravvive solo nelle regioni opposte del
Nepal, ai margini del Tibet, e nell'isola di Ceylon, all'estremo sud
del èomineme, seguìto da appena seicentomila adepti. A queste reli­
gioni si aggiungono i culti, fondamentalmente animistici, dei più
amichi indigeni, riassorbiti più o meno entro il quadro dell'Hindui­
srno. La religione indiana per eccellenza è quella che in Occidente si è
CARATrERI GENERALI DELI.A RELIGIOSITÀ INDIANA 9

convenuto di denominare Hinduismo (dal pers. hindu, scrt. sindhu,


«regione dei Fiumi», Indostan). Non si tratta di una sola religione,
ordinata rigidamente secondo dogmi teologici e comandamenti mo­
rali, bens'i di un amalgama di culti, riti e liturgie, rivolti a disparate
divinità, talvolta di diversi sistemi teologici, che nel corso dei millen­
ni si sono venute componendo attorno ad un nucleo fondamental­
mente filosofico, religioso ed etico, generalmente indicato come
«Brahmanesimo». Queste religioni, come il Visnuismo, lo Sivaismo e
le diverse forme di Saktismo, si sono a loro volta formate in seguito
all'aggregazione reciproca di culti diversissimi, risalenti alle varie
componenti del mosaico etno-linguisticp indiano (Arii, Dravida,
Munda, Vedda eccetera), che però convergevano verso un tipo di
esperienza religiosa, talvolta magico-sciamanica, comune. Le figure
mitiche e teologiche, attorno alle quali ruotano queste religioni, si
sono venute componendo e reciprocamente adattando nel corso dei
millenni, ora in schemi emanatistici (come gli avatira, o successive
«discese» in terra del Principio Divino), ora secondo gerarchie funzio­
nali (come i vyiiha visnuiti, o le otto forme di Siva, simboleggianti al­
trettante attività del dio). Questa singolare situazione dipende da
una condizione psicologica: la funzione divina particòlare ed i miti
relativi ad essa hanno il sopravvento rispetto alle persone medesime
che ne sono di volta in volta il supporto, come Rama, Km1a, Mahesa
ed altre numerosissime. Tanto per fare un esempio approssimativo: si
paragoni il culto di Castore e Polluce, che probabilmente in origine
costituiva una religio secunda in Grecia ed a Roma (come i due Asvin
in India), riaggregatosi al Cristianesimo, attraverso le persone dei
martiri Cosma e Damiano «fratelli e medici», con identica funzione!
Il sopravvento del mito, rispetto alla persona del dio che ne incarna la
funzione, è favorito in India dal medesimo orientamento psicologico
del culto, che non canto si rivolge al dio oggetto di fervida meditazio­
ne (upàsana) o devozione (bhaktt), quanto è inceso a sviluppare una
condizione estatica (samadht) nel devoto, cale che gli permetta di
realizzare quelle virtù, potenze o gradi di consapevolezza, delle quali
la divinità particolare è considerata dispensatrice e simbolo vivente.
Ad esempio, i cinque vyuha o ipostasi di Km1a nei vari sistemi ispira­
ti al Pancaratra sono la proiezione cosmica di altrettante funzioni co­
gnoscitive e senzienti umane personificate: realizzandone la intima
essenza divina, l'uomo consegue la propria liberazione dal ciclo delle
nascite e delle morti (samsara); ancora di più, le otto ipostasi di Siva
(Rudra, Sarva, Ugra, Asani - Bhava, Pasupaci, Mahadeva ed hana),
oltre ad essere il simbolo di acqua, aria, terra, fuoco, etere, sole, luna
e suono, costituiscono altrercante potenze, ora avverse ora favorevoli,
d�lle_ quali l' �sceta si re�de consapevole, per identificazione, sui due
p1am soggemvo e cosmico.
I miti relativi additano frequentemente le tecniche dell'estasi at­
traverso le medesime vicende del racconto. Ciò spiega, a parte ragioni
10 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

di contaminazione storica, perché le medesime persone divine, già


nei Veda (v. infra, i miti cosmogonici), si scambiano le parti assu­
mendo ruoli opposti a quelli di partenza (il creatore che diventa crea­
tura deJ. proprio figlio) come accadeva nell'Orfismo greco, tanto per
fare un esempio, nella favola di Eros e Phanes. Altre volte, invece, si
ha !'.intrusione di cicli mitici apparentemente estranei al tessuto della
narrazione: questo è il caso della serie di miti riferiti nella sezione
Narar:iiya dello Santiparvan del Mahabharata, oppure nell' Anusasa­
naparvan (cap. 14) della medesima narrazione, ove compare il dio Si­
va Nilalohita con la sua sposa SatI (la «Essente») quale figura centrale
di un racconto poetico riguardante, invece, le avventure del dio
Kr�r:ia incarnazione di Vi�r:iu, quindi dio - e potentissimo - di un
altro sistema religioso, del cui verbo il Mahabharata è portatore! La
cosa più curiosa è che, in questo racconto, Kr�r:ia, si reca da Siva per
impetrargli il dono di armi magiche che gli permetteranno di com­
piere la sua funzione guerriera in un'avventura che co�tituisce il per­
no della sua esistenza terrestre e della sua missione in essa. La funzio­
ne esemplificata dal mito è molto più impoftante delle persone divi­
ne che lo interpretano, talvolta scambiandosi le parti. Oltre a questo,
l'indole estatica e «concentrativa» dei culti religiosi indiani conduce a
considerare una determinata divinità quale figura principale o addi­
rittura riassuntiva del particolare Olimpo a cui appartiene, usurpan­
do le funzioni che altri inni o riti attribuiscono a dèi totalmente di­
versi. Questo atteggiamento paradossale, fra l'altro opposto all'esa­
sperante sistematicità classificatoria di tutte le teologie indiane, assu­
me una particolare figura o funzione divina, quale base di orienta­
mento soggettivo per il devoto, piuttosto che mero oggetto di devo­
zione: questo è quello che gli studiosi occidentali del Veda hanno de­
notato come Enoteismo (o Catenoceismo) per significare che, di volta
in volta, quel particolare dio viene assunto e venerato come «Iddio».
Si è detto che il nucleo centrale dell'Induismo è costituito dal co­
siddetto Brahmanesimo. Il termine brahman (al neutro) significa in
origine «energia insita nella preghiera» o «forza magica del rito», as­
sumendo successivamente il senso di «spirito uni\'ersale» o «realtà as­
soluta», dalla rad. brh, brhati. che significa «effondersi», «farsi gran­
de». La sua personificazione Brahmii (maschile, nom. ), talvolta tra­
sposta miticamente nelle figure di Brhas-pati o Brahma1Jas-pati («Si­
gnore della Parola») e di Prajii-pati («Signore della Prole, del
Creato»), è il Dio-Tutto creatore, attraverso I'«ardore ascetico» (ta­
pas), dei cicli temporali, dei mondi, degli dèi, degli uomini e di tut­
to ciò che anima e popola il Trimundio, emblematicamente denotato
con i termini: Svar, il celeste spazio luminoso, Bhuvas, l'atmosfera, e
Bhur, la Terra o, meglio, la dimensione solida della realtà.
L'espressione occidentale «Brahmanesimo», derivando da brahman
- termine fattuale ed energetico - non indica tanto un sistema reli­
gioso dal quale gli altri siano derivati, bensì un orientamento panico-
CARATTERI GENERALI DELLA RELIGIOSITÀ INDIANA 11

lare di natura spirituale, filosofirn ed ecira rnnferito alle istituzioni


religiose e sociali degli Indiani sin da tempo molto amico, dalla classe
dei manipolatori professionali di cale hr.ihm,m. rioè i sarerdori -
briihma'!a - conservatori delle Sane Tradizioni (Jmn.i_y.i) e loro in­
terpreti, non solo. ma anrhe quelli rhe hanno tradotto in termini fi­
losofici i contenuti peraltro miriri di detce Tradizioni. Anticipando
quanto verrà esposto in seguito. si porrebbe dire rhe tutta la storia
spirituale dell'India. si riassume nella inressame «brahmanizzazione»
delle correnti religiose. filosofiche. policirhe e srorirhe fluire in que­
sta civiltà sin dalla remora protostoria e rhe anrnra ne rnmpongono il
volto odierno. Questa brahmanizzazione la quale paradossalmente è
accentuata nelle sette e nelle religioni indiane che ricusano la tradi­
zione vedica e il sistema socio-politico delle rasce quale veicolo
all'esperienza del divino, risiede nella conversione ai ranoni misriri e
metafisici soni dalla speculazione filosofica dei brahma1J.i. di miri,
culti e liturgie di origine e tendenza molto diversa.
Questo assunto diventa particolarmente chiaro allorrhé si esamina­
no i caratteri, più psicologiri che formali, che connotano la spernla­
zione indian·a (anv'ik!iltì), il rni cammino è parallelo a quello
dell'esperienza religiosa. Questa spernlazione filosofa-a, oltre a ricer­
care una spiegazione logico-discorsiva del mondo, è soprattutto in­
tenta a perfezionare un tipo di attività interiore diretta ad acquistare
l'intuizione del movimento della realtà universa («per il Signore è
una veste tuttò ciò che esiste, universo che si muove nell'universale
movimento... » isa- Up., 1): in questa realtà in movimento è anche
compreso il soggetto spernlatore! L'esigenza centrale della specula­
zione indiana è quella di condurre il soggetto alla liberazione concre­
ta ed attuale (mok1a, muktz) dall'esistenza condizionata (samstira)
dalla passiva esperienza di nascita, dolore, piacere, morte, rinasrita
eccetera. Secondo la visione tradizionale indiana, raie esistenza con­
dizionata che l'uomo comunemente patisce non deriva da un «pecca­
to originale», come predicano le _religioni di radire ebraira, bensì da
un primordiale atto di ignoranza (a-vidyii), che ottenebrando la tra­
sparenza del -Sé "umano (jiva-titman) rispetto alla Realtà universale
(brahman), lo:ha reso alieno alle medesime radici del proprio essete,
il Grande Sé (mahtin-iitma), i cui diversi gradi di potere, sapienza ed
effficienza sono mitologizzari nelle figure delle varie divinità dell'In­
duismo. La meditazione filosofica, come bisognerebbe corretramente
denominare la Filosofia Indiana, interviene a far cessare questo jato,
eminentemente cognoscitivo, fra io e mondo, fra Sé e Realtà Assolu­
ta.
Un punto molto imporrante, da tenere presente per comprendere
l'orientamento della filosofia e delle religioni dell'India è che per lo­
ro il pensiero è concepito come un'attività estremamente concreta e
non soltanto come una funzione astratta intesa a giustificare un'im­
magine del mondo, peraltro incapace di penetrarlo. Al contrario, il
12 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

pensare e l'inerente consapevolezza occupano il luogo che in Occi­


dente è tenuto dall'Essere e dalla speculazione ontologica. Allo stesso
modo in cui - come si vedrà in séguito - gli dèi vedici nascono ogni
volta che vengano «suscitati• dal sacrificio (karman, yajna), così pure
l'Universo e le sue categorie nascono, in un certo modo, dallo stesso
atto del pensare. Il pensiero e la consapevolezza (citta - samvid), di
cui esso si sostanzia, costituiscono per gli Indiani il nucleo essenziale
della persona umana e, di fronte ad essa, il fondamento autolumino­
so (prabhasvaram cittam) di tutta la realtà obiettiva. Di contro ad es­
so la materia, persino nelle scuole più «fisiche•, come il Vaisesika ed
il Sankhya, viene concepita come il grado infimo_ (il limite-«terra»,
dhiirtt) di una sostanza (pradhana o prakrtt) fondamentalmente psi­
chica, che praticamente si esplica in funzione alle facoltà di conoscen­
za (buddhindnya) o di azione (karmendnya), in concomitanza delle
quali si manifesta e non il contrario! ·
Di conseguenza, il controllo e l'ascesi del pensiero nei vari gradi
della meditazione, che l'Occidente restringe all'ambito etico­
religioso, è per gli Indiani pane integrante della ricerca filosofica. Il
filosofo è, quindi, per loro un asceta, fondamentalmente, un realiz­
zatore (siddha, dalla rad. sadh, realizzare, conseguire) che, attraverso
una disciplina severa ed esatta, come è lo Yoga, sperimenta in se stes­
so i diversi gradi di quel L6gos (iabda, vàk, cfr. lat. vox) che è il tessu­
to della realtà. Per questo motivo la ricerca filosofica non è quasi mai
disgiunta dall'esperienza religiosa perfino, paradossalmente, in siste­
mi atei come il Buddhismo ed ilJainismo. Inoltre, la filosofia non si
svolge sul binario storico a noi familiare, per cui le diverse scuole na­
scono l'una dall'altra per filiazione o per contrapposizione: al contra­
rio, vige la supposizione che i sei sistemi classici, i cosiddetti dariana
(«vedute•, «punti di vista») siano sorti press'a poco contemporanea­
mente quali differenti esegesi delle Sacre Scritture, i Veda. Ipotesi
non suffragata dalla critica storica, ma che in ogni caso indica una
tendenza che, con il tempo, porterà alla nascita di sistemi largamente
sincretici: questi, nell'ambito di alcune sette specialmente vi�i:iuite e
sakta, daranno il supporto teorico a nuovi metodi di salvezza per I'in­
dividuo, diversi da quello liturgico-rituale dei Veda, in base alle mu­
tate condizioni spirituali dell'Umanità; con ciò la filosofia giustifi­
cherà il tramonto della religione vedica, consacrando il riemergere di
ben più amiche religioni e soteriologie, che riconoscerà più adatte ai
tempi presenti!
Vale anche la pena di accennare al fatto che, in questo tema, i pro­
blemi relativi al tempo ed allo spazio vengono essenzialmente conce­
piti come proiezione di un limite del conoscere individuale, non co­
me realtà a sé secondo la visione storicistica occidentale. Per cui le vi­
cende biografiche di grandi personalità storiche come il Buddha, o di
remoti eroi divinizzati, come probabilmente Kr�r:ia e Rama, si verran­
no configurando nella coscienza mitico-religiosa collettiva come avve-
CARAITERI GENERALI DELLA RELIGIOSITA INDIANA 13

nimemi archetipici, avvenuti in un «tempo fuori del tempo> simboli­


co ed immaginativo, quindi soggettivamente ripetibile.
PARTE PRIMA

LA RELIGIONE DEI VEDA

\
Gli Indiani «hindu» ritengono che, all' origine della loro fede , vi
sia più che una particolare rivelazione di Dio all' umanità, una specie
di automanifestazione del pleroma divino, detto brahman (v. infra) ,
la cui espressione è contenuta nei sacri testi detti i Veda. Di per sé la
parola veda significa «conoscenza» (cfr. lat . video e il ted. ich weiss, io
so) con una sfumatura di «intuizione visionaria». Il fondamento vedi­
co che le religioni indiane ortodosse rivendicano è in gran parte con­
venzionale e ciò per due motivi. Innanzi tutto dette religioni ruotano
attorno a figure divine che i Veda o ignoravano (in particolare le
Grandi Dee dell ' Hinduismo) o concepivano in subordine; in secondo
luogo, i Veda non appaiono essere tanto opera della civiltà «indiana»
in senso stretto, quanto il retaggio spirituale delle genti ario-indiane ,
branca orientale dei popoli di linguaggio indoeuropeo, che probabil­
mente in un' epoca compresa fra il 2 500 e il 1 500 a. C. , essendosi di­
staccate - in una zona compresa nell'arco fra l ' Asia Centrale e l ' Iran
orientale - agli apparentati popoli ario-iranici (i futuri Persiani , Me­
di e Sciti) , discendevano a ondate successive nelle terre nord­
occidentali dell'India storica. A pane qualsiasi giudi zio circa i proba­
bili movimenti degli Indo-ari protostorici dalle supposte sedi centro­
asiatiche fino entro il subcontinente indiano , che non sono oggetto
di questo studio, resta il fatto irrefragabile che il mondo divino dei
Veda , i culti e riti della gente vedica , l'organizzazione della loro so­
cietà , per non parlare della lingua stessa , che resta il più amico idio­
ma indo-europeo letterariamente documentato , presentano una fa­
cies infinitamente più «europea» (per intenderci: greco-italico-celto­
germanico-slava-ecc. ) che non «indiana». Si ha, anzi , la netta impres­
sione che lo sviluppo post-vedico della religione e della religiosità in­
diane, psicologicamente orientate verso un'esperienza estatico­
magica del mondo divino, rappresenti una risorgenza spirituale di
quel mondo indigenamente «indiano», o forse «indo-mediterraneo»,
che le invasioni etniche e culturali degli Arii in India avevano respin­
to in un' area, che possiamo definire di substrato religioso e sociale .
Difatti, l ' iconografia documentataci dai sigilli ed altri simulacri delle
civiltà pre-vediche di Harappa e Mohen-jo daro (XX-XV seco!o a. C. )
recan_o immagini ide9 � ificabili ai_ tiei divini _ «post-ved� ci> di Siva K�­
pardtn (S. asceta) e Szva Na{ara1a (S . re dei danzaton) , oltre a vane
18 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

effigi teriomorfe, che ricompariranno nell' iconogafia religiosa


dell'India classica , Per motivi che si tracceranno in seguito, diversi
studiosi hanno ascritto allo strato non-ario della civiltà indiana (gene­
ralmente identificato alle culture dravidiche fiorenti nel centro-sud
del subcontinente, in antico estese addirittura fino all'Iran meridio­
nale ove sussistono i Brahui dravida) i vari culti incentrati sulle figure
delle Grandi Madri, le divinità esclusivamente terrificanti, le conce­
zioni relative alla «liberazione in vita» (Ji-van-mutkz), al karman ed al
samsara (v. infra), i riti della pujà (v. infra) eccetera , che difatti non
compaiono nei Veda e nel culto vedico; questi, difatti, appaiono
orientati verso un rapporto obiettivo con una serie di divinità di natu­
ra celeste e di prevalente aspetto virile, raffrontabili, sotto questo
aspetto, a molte divinità del pantheon greco-romano. L'elemento,
invece, «indigeno» e non vedico sembrerebbe piuttosto ricollegabile
all'àmbito spirituale delle deità femminili e croniche, che anche il
nostro antico Mediterraneo conosceva, con le sue Enyo- Ma, 'Astart,
Lat, Latona, Persefone eccetera, il quale in India è evidentemente più
antico ed autoctono. Inoltre, le varie discipline di autorealizzazione,
come lo Yoga ed i gradi superiori della bhakti (v. infra) in particola­
re , non sembrano ricollegarsi tipologicamente alle tradizioni dei «Pa­
dri Arii». Semmai, si può opinare che queste discipline miranti alla
palingenesi psico-fisica dell'uomo siano da ricondursi al mondo spiri­
tuale dei misteri egeo-anatolici che, di là dalla civiltà classica della
Grecia antica, variamente influirono sulla posteriore formazione
dell'Orfismo, del Pitagorismo e della Gnosi, complesse risorgenze di
una presumibile civiltà «indo-mediterranea».
Questo duplice aspetto del mondo religioso indiano (vedico, pre­
ario) è cospicuo, ancorché la sua genesi non sia lumeggiata da alcun
documento scorico. Tuttavia eminenti studiosi, per lo più Indiani,
affermano l'Unità spirituale del fenomeno religioso indiano, dai Ve­
da ad oggi, rilevando come anche il Rg-veda conoscesse i poteri
magico-sciamanici degli asceti, laddove accenna al kefin (il mago dai
lunghi capelli) che amaversa volando lo spazio (RV, x, 1 36) grazie al
tapas («ardore» ascetico, cfr . lat . tepo r), venerasse le «tre donne divi­
ne» (tisr6. . . nan·r. . . devir, RV ii, 35, 5) - peraltro note nell'Irlanda
antica e nella .Grecia classica («la triplice Hekate») - ed attribuisse un
fondamento cosmologico alla tripartizione dell'Umanità in caste (lo
smembramento del Macrantropo Prajtipati nei suoi arti, ognuno dei
quali impersonante una funzione ed una casta, v. infra). Pertanto
questi studiosi contestano la teoria, plausibile peraltro, della critica
storica occidentale, che immagina la sopraffazione degli invasori ari
«bianchi» sugli indigeni «scuri» (il termine va,.,,a significa sia «colore»
che «casta»: diisyu- va"!a è il «colore del nemico» dasa, cioè «nero»),
tanto più che di questa invasione aria non esiste né memoria storica
né documento, come invece si hanno in Grecia circa l'arrivo successi­
vo degli Achei e dei Dori.
LA RELIGIONE DEI VEDA 19

Il punto essenziale al quale questi studiosi si riferisrnno risiede nel


fatto che ogni verso ed ogni singolo vorabolo del dorumento vedico
riveste contemporaneamente due signifirati: uno naturale. relativo
cioè agli oggetti dei sensi ( tempesta . Iure . tenebre. van-he. prole. rn­
lore), ed uno psicologico . relativo rioè all' esperienza animira o spiri­
tuale che si risveglia su un piano interiore di rnsrienza. Questa possi­
bilità del linguaggio vedirn non è data soltanto dal rarattere ellittirn
ed ambiguo della sua espressione , ma anrhe dal fatto rnnrretamente
semantico per cui i suoi vocaboli sono contemporaneamente sostanti­
vi ed aggettivi. denotando. cioè. più il modo di apparire della rnsa
che la cosa stessa (come nei nostri linguaggi poetiri il dire «rnrsiere».
«destriero» o «giumenta». per denotare l' oggetto «ravallo») : inoltre
ogni termine , non solo vedico . ma anche sanscrito , riveste numerosi
significati , come ad es. la voce gt111f!, «vacca» , rhe vuol dire anrhe
«raggio di luce» , «stelle» , «cielo» , «folgore» , «diamante» , etc. (cfr.
Apte, 298) , accezioni l'un l' altra legate da un esile filo immaginari­
vo , proprio ad un'esperienza simbolico-visionaria, rnme - sia detto
per inciso - potrebbe averne uno sciamano. Non vi è dubbio che ,
accanto ad elementi propriamente «indiani» , sopravvivano nella rul­
tura vedica , quali religio secunda, componenti di ordine sciamanirn ,
che del resto sono presenti anche nelle rulture religiose di Celti e
Germani. La stessa deprecazione contro gli stregoni yiitu-dhiina, che
si ritrova anche nell' Avesta, denuncia la contaminazione estatirn­
magica, contro la quale l' uomo vedico voleva difendersi evorando le
forze aurorali del Sole, simboleggiate da Savitar, il «Suscitatore» del
Pensiero (RV iii, 62, 10): «. . . venga costà Savitar, l ' asura dall ' aurea
mano, dalla buona guida , ben grazioso, buon aiucacore; cacciando i
rakias (demoni) e gli yiitudhiina, il decantato deva sorge al crepusrn­
lo. . . » RV i , 3 5 , 10).
Dar punto di vista spirituale, l 'orientamento della religione vedica
è carattenzzato da una profonda aspirazione verso un mondo di luce
e di vittoria e , dal punto di vista cultuale , da un assoluto pragmati­
smo. Esaminiamo questo secondo punto. Una figura di genitore rn­
smico è nei Veda Brhas-pàti il Signore della Parola (bfh, brahman), la
quale, innata ed eterna, si identifica al medesimo Veda , sintesi di
suono e di conoscenza o , per dirla in termini più filosofici , di «voce»
( viik) e di «significato» (artha, la cosa designata). Ora, allo stesso mo­
do - pensa un Indiano - in cui la Parola è quella che suscita gli déi
e le forze che essi personificano, così pure, sul piano del rito, gli déi
nascono dal sacrificio (karman , yajna) , perché evocati dall'inno vedi­
co (mantra, sukta) , cioè dalla parola articolata dall'officiante, non il
contrario! Gli déi vedici sono, quindi , tigli del sacrificio , della volon­
tà cosciente (kratu) dell'uomo che dà sostanza alla Parola.
Da ciò si comprende il paradosso per cui la Mimiimsii, sistema filo­
sofico fondato sull'esegesi liturgica e sull'inerente opzione verbale,
sia fondamentalmente atea. Quanto al primo punto, cioè l'elemento
20 RELIGIONI E MITI DELI.' INDIA

luminoso e vittoriale della religione vedica, esso è caratterizzato dal


fatto che le figure 'divine nella loro generalità (Mitra, Varuna, Indra, i
Marut, ViH'IU eccetera) sono numi celesti, i quali si attuano come po­
tenza di vita che spezza gli ostacoli e disperde l' oscurità: non esisto­
no praticamente quelle deità ambigue, fatali, croniche e tenebrose,
che caratterizzeranno il posteriore Hinduismo. Il tremendum che più
tardi sarà, per così dire, il rovescio della ' medaglia di ogni dio, nei Ve­
da è accennato come un fatto soggettivo («. . . ho infranto l' Ordine,
commettendo un peccato, quindi Varui:ia mi punirà . . . ») a cui si può
sfuggire risvegliando l' opposta forza positiva. L' elemento metafisico
in comune con l ' Hinduismo consiste nel fatto che l ' uomo mediante
il fervore ascetico, il tapas già accennato, può fare praticamente quel­
lo che vuole e mettere in pericolo lo stesso regno degli déi. Un altro
elemento importante è che la ricchezza (rai, cfr. lat. res), la forza di
combattere (v41a), l' energia virile (61as), il vigore (p6!a) degli armen­
ti, i cavall i, i buoi ed i figli sono altrettanti simboli di una potenza
che discende luminosa dal mondo divino spezzando i limiti dell ' im­
potenza esistenziale imposta all' uomo dagli «anti-déi», i Danavah
(sing. danu , dalla rad. da/di, «legare»). Il sacrificio (yajna) è azione
( karman) che l'uomo consacra agli déi per ricollegarsi alle sorgenti
della sua vita e della sua prosperità. Per questo motivo lo stesso ter­
mine karman assumerà nell' Hinduismo e nel Buddhismo il senso di
«destino»: non fato cieco e passivo, bensì il viatico di fortuna o mala­
sorte, qualità e difetti di cui ciascuno si trova in possesso in conse­
guenza delle azioni compiute in una vita precedente. Sebbene il te­
ma della rinascita in vite successive non venga affrontato nei Veda,
anzi, sembra proprio ignorato nell' inno funebre RV X , 18, pur tutta­
via appare evidente, come si è detto, che per questi remoti ario­
indiani l'uomo è realmente artefice del proprio destino e che gli dèi,
con tutta la loro potenza, non possano intervenire di propna iniziati­
va per mutare o temperare ciò che l ' uomo si è fatto da se stesso: egli
può, però, invocarl i, meditarli e interiorizzarli, si da risvegliare con il
tapas di questa sua devozione quelle forze risanatrici del destino di
cui gli dèi sono il simbolo vivente. Per l ' Indiano vedico gli dèì sono
contemporaneamente fuori e dentro di lui . Di fuori li percepisce
(uno dei significati di veda è proprio quello di percezione intuitiva,
propria al veggente, nz) riflessi nei fenomeni della natura, entro se
stesso li concepisce come le forze che reggono i suoi processi vitali, gli
impulsi che animano il mutevole mondo delle sue emozioni e le in­
tuizioni che gli si rivelano lampeggiando attraverso il pensare. A
quest' ultima esperienza allude il brevissimo inno vedico indirizzato a
Savitar, il «suscitatore», il Sole che suscita i pensieri:
Ques1 ' eccellente fulgore di Savicar. il dio. meditiamo:
possa egli impel lere i nostri pensier i !
( tal Javitur vare1:,:ya'!I bhargo devaJya dhimahi
dhljo )'O r,afi pracoday$t. RV i i i . 62 , 1 0 )
LA RELIGIONE DEI VEDA 21

Con questa sacerrima formula ( g,2y,2tn1 ancora oggi l'Indiano delle


tre prime caste ( sacerdoti, guerrieri , agricoltori) quotidianamente in­
voca la superiore forza spirituale che presiede al pensare . in quanto
connessione universale fra le cose , simboleggiata dal dio-Sole «che dà
impulso» discendendo dal mondo della Luce (svùr, dyùtJS) .
La questione dell 'età dei Vedù, supponendo che essi siano coevi al­
lo stanziamento degli Arii in India e non anteriori, implica quella
molto più complessa relativa ali'epoca della cosidecca «invasione aria­
na», per la quale non abb: 1.mo altri documenti che l'interpretazione
geografica e storica di alf' • rii luoghi e farri di arme mitici citati nei
carmi del {lg- e del!' Atharva-veda, oltre alle induzioni che ci permet­
te il libro sacro dei Mazdei d'Iran, l'Avesta , e qualche concordanza
storico-linguistica di fonte medio-orientale. Gli Ani (arya. «apparte­
nente alle persone rispeccabili» (aryil) , cfr. scrr. A ryaman, «dio della
comunità a. », irl. aire , «nobile» e lo stesso etnico Erin I Eire) , branca
orientale dei popoli parlanti linguaggi indo-europei, ci appaiono
nettamente divisi nei due gruppi, storicamente successivi, indiano ed
iranico che, attorno al primo millennio a. C. troviamo sistemati nelle
due aree contigue dell'India e dell'Iran, alle quali erano giunti da
una comune sede probabilmente sita fra il Caspio e il lago di Arai : se­
condo I. M. Diakonov a loro si deve la civiltà di Andronovo, nel go­
vernatorato accuale di Semipalatinsk. Secondo i recenti studi del
Christehsen e del Burrow (Iras 197 3, 2), che si fondano su uno studio
accurato degli inni «pagani» del!'Avesta, in particolare dello YaJt 1 9,
celebrante le «regioni arie» in una specie di «sacra geografia», la con­
quista iranica dell'accuale Iran orientale (Afganistan, Khorllslln e Sei­
stan presenti) non può essere avvenuta prima del XIV secolo a. C.,
epoca nella quale i predecessori «indiani» dovevano già essere passati
in gran parte nell'India storica, salvo quelle frazioni che, come i Mi­
tanni, erano invece migrate verso Occidente lasciando traccie nella
toponomastica (ad es. il lago di Urmia, ricollegabile al scrt. urmi,
«onda» che iranico suonerebbe invece varlmz) e nelle cronache assire.
Ora, poiché gli Indiani nell'Iran orientale costituivano la retroguar­
dia del nerbo del loro popolo trasmigrato in India, è ragionevole sup­
porre che questo vi si fosse trasferito da qualche generazione, anzi da
qualche secolo, secondo la via classica delle invasioni, dal passo di
Khaibar alla regione dei Cinque Fiumi ( Panjab) , o direccamente dal
Pamir, passando per la valle del Citral o quella del Gilgir. Pertanto è
immaginabile che cale movimento si sia verificato almeno in due on­
date (vi sono testimonianze di Arii non brahmanizzati, cosidecci Vra­
tiya, venuti presumibilmente per primi) fra il 2000 e il 1 500 a. C. , ciò
che non contrasterebbe con la data che presentemente gli studiosi oc­
cidentali attribuiscono alla formazione del Q..g-veda, cioè fra il 1 500 e
il 1 200 a . C. Senonché, osserviamo noi, tale congeccura si basa su
un' eventuale redazione delle Gatha di Zarathushtra attorno all'800
a. C. poiché, essendo l'avestico così vicino al vedico, i due gruppi lin-
22 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

guistici , quindi i due gruppi . non porrebbero essersi separat i da me­


no di 5 00 anni. Ammettendo . però . l' analisi del Gra�· e del Burrow,
questa redazione dell' Avestà deve venir riportata indietro di altri 500
anni , quindi di altrettant i quella del lj.g- 1•ed.i. Vale anche la pena di
riferire le opinioni , vecchie ma non obsolete, dello J arnbi e del Tilak,
che sulla base di concordanze asuonomiche, in parr irnlare rnme si
evincono dal RV , vii , 103 , 9 . per cui la stagione delle piogge doveva
coincidere con il solstizio di estate, ami buisrnno alla redazione del
'f¼.-veda l'epoca del 3000 a. C. . sernndo lo J arnbi . e addirit tura del
6000 a. C. , secondo il Tilak , quest ' ult imo basandosi anche su accura­
te concordanze astronomiche.
Per quanto si riferisce al panorama geografirn del !Jg-veda, nell' in­
no X , 7 5 si ha l' enumerazione di alcuni fiumi che erano familiari agli
Indo-ati, sempre che non si tratti di località simboliche. Questi desi­
gnano luoghi dell'India Nordovest e Afghanistan orientale . rnme la
Kubha (Kabul), la Yamuna Oumna), gli affluenti di sinistra del Sin­
dhu (Indo), Vitastà, cioè Jhelum , Asiknì. cioè Chenab, P11r11,rni. at­
tualmente Raw i , Sutudn. cioè Surlej , e la Vipa.f, cioè Bias , che diede­
ro al paese il nome di «Cinque Fiumi» (Pancanada). Per giungere al
numero di «sette fiumi» , celebrato dagli rfi vedici , akuni aggiungono
ai cinque succitati la Sindhu stessa e la SarasvatT. Vi è, però , da osser­
vare che, a parre il significato mistico del numero , tali nomi com­
paiono in altre parti dell' àmbito iranico , ove presumi bilmente siano
· passati Proto-Indiani , come ad esempio lo stesso HarT-rud (presso He­
rat in Afghanistan nord-occidentale) che in ant ico era detto Harah­
vaiti, nome dell' omonima satrapia achemenide, la cui etimologia
puramente indiana è Sarasvatt. la «Fluente» (nome che designa anche
la celeste sposa d i Brahmà , nell' Hinduismo «Signora della Parola») ,
termine che può indicare qualsiasi fiume mi t ico o reale e non soltan­
to la Sersut fisicamente esistente in India NW.
L antichità evidente dd -Rg- veda, unita al fatto che la Sarasvati non
trova identificazione precisa in territorio indiano, fece già ritenere al­
lo Hillebrandt ed allo Hertel che il Veda più ant ico non fosse stato
composto in India, bensì in Iran. Si aggiunga a questo che il monte
per eccellenza, lo axis mundi che diventerà più tardi il Sumeru, sede
dei trentatré dèi è designato nel Rg-veda con il nome di Mujavant , no­
me che compare nello Yast succitato sot to il nome di Mu1a (osserva­
zione dello Eilers) , in concomitanza con altri toponimi iranici di tipo
indiano del genere di Da!tiigni, che può ben significare i n sanscrito
«laddove il fuoco (agni) è venerato (dasta)» (Burrow , ib. , 1 38), ai
quali si può aggiungere, a nostro parere , lo stesso nome del fiume,
Ranhii, variamente identificato in Iran , Asia Centrale e perfino in
Russia (l'antico Rha, odierno Volga) , che corrisponde anche fonetica­
mente alla Rasa vedica , fiume che circonda la Terra (Nir. xi , 2 3) , sor­
ta di okean6s da ricercarsi in Occidente. L' assenza di menzione di ti­
gri, cobra reali e di altre best iole, come i leoni , che allora molto più
LA RELIGIONE DEI VEDA 23
di adesso rallegravano il paesaggio indiano fino agli estremi confini
occidentali, conferisce al panorama vedico un carattere, se non irani­
co, almeno pamireno.
A parer nostro , l' atteggiamento più saggio è quello di tener pre­
sente la psicologia di quegli uomini antichi , come erano gli Ad vedi­
ci, e considerare gli accenni geografici e politici (lotte contro gli oscuri
Diisyu) come farri appartenenti piuttosto ad un mondo immaginale,
che a quello della obiettiva realtà misurabile e fisicamente abitabile.
La letteratura vedica si può comparare ad un albero, con le radici
immerse nella remota protostoria indiana , forse anche pre-indiana , e
i suoi rami frondosi che si dilatano fin entro l' era filosofica dell' In­
dia. Lasciando da pane l' immensa letteratura ermeneutica ed etimo­
logica nella quale sono eminenti i nomi di Yaska e Siiyana , gli strati
successivi possono identificarsi nella Raccolta (samhifli) dei tre, suc­
cessivamente quattro Veda , indi le interprerazionl e le norme rituali ,
liturgiche e grammaticali, che formano i cosiddetti brlJhmana, la
Scienza propria ai brahmani , base per il sistema filosofico della Mi­
mifmsa, («ricerca» su riti , linguaggio e logica): immediatamente dopo
vengono gli Ara�yaka, breviari per gli asceti viventi nelle foreste
0

(ara�ya) , che sostituivano il sacrificio con la meditazione, e già ci tro­


viamo nell'India degli yogin e dei siidhu. Alla fine abbiamo gli arca­
ni insegnamenti delle Upanisad, «sessioni», che hanno come oggetto
la realizzazione dello Spirito Universale, il brahman nella sua ultima
accezione, entro lo spirito personale vivente, (jlvàtman; arman signi­
fica «se stesso» , o «respiro»). Con queste ultime ci troviamo già in pie­
no Vediinta (erim. «fine dei Veda») , il più caratteristico sistema filo­
sofico dell'India , che, ravvivato dalla speculazione settaria, dura sino
ai giorni nostri . Esso costituisce pienamente la «via della conoscenza»
(jnana- marga) , rispetto alla «via dell' azione» (karma-marga) , che è
propria alla pratica liturgica . Quanto alla divisione formale della let­
teratura strettamente ermeneutica, cioè i cosiddetti Vedanga ( «mem­
bra del V . ») , questi sono ripartiti in kalpa, rituale , fikfa, insegna­
mento della fonetica, chandas, metrica, vyakarana, grammatica , ni­
rukta, etimologie, jyoti,ra, astronomia, i cui resti base sono redatti in
forma aforismatica (sutra) . Dalla semplice enunciazione di questi ti­
toli , si comprenderà facilmente come nel Vedismo, più che nei Veda ,
si trovino in nuce le branche del sapere grammaticale, scientifico e fi­
losofico, che avranno lussureggiante sviluppo nella speculazione del­
la successiva India classica.
I Veda sono divisi in quattro diverse raccolte , le prime tre delle
quali erano in origine considerare ortodosse (la «triplice scienza»,
trayì vtdya) , la quarta di esse, Atharva- veda, non era reputata altret­
tanto regolare a causa del suo contenuto eminentemente magico in
senso operativo. Esse sono il �g- veda, che raduna 10 1 7 o 1028 inni
(re, o ar�a. o sukta, oppure mantra) distribuiti in 10 cicli (mantiala) ,
in totale 16 . 000 stanze circa , di «laude» ; il Sama- veda, o Veda delle
24 RELIGIONI E M ITI DELL' INOIA

melodie (saman) ; indi lo YJjur- vedJ, o il Veda delle giaculatorie (ya­


jus) , qualcosa come gli JXJl!lt'nt.i dei prisci Romani. e, infine
l 'Atharva- veda summenzionato . contenente 7 3 1 inni (.riikt.i) suddi­
visi in 20 libri (ka�t/J) , racchiudenti 6000 versi . dei quali 1 200 tratti
dal [¼-veda come del resto buona pane dei versi del Sama e dello Ya­
jurveda. Il nome dell'Atharva-veda significa letteralmente «la Scienza
dell'Atharvan». presumibilmente n�me di un ripo di sacerdote del
Fuoco (cfr. l ' avestico atar I h. «fuoco» . donde A0rJl'Jn . «sacerdote»
per eccel lenza , in alrernariva con z.zotar sere . hotJr. «invorarore» v .
infra) '. I � cui specie è derra , col krrivame ? re 11tjarviI�g 1j�si1_/J . «gli A . e
gli Ang zras» , oppure bhrg v-a11g 1rasi1f., , «1 Bhrg u e gli A ng 1r.is» . deno­
tando con diversi nomi le due specie di sarerdori del fuorn ai quali si
deve la raccolra , diversi cioè dagli hot.zr. udg ìitar ed adhvaryii ( v. in­
fra) , rispettivamente rirolari dei ere primi Veda . Vi è da aggiungere
che , secondo i commentatori . bh,rgu ed ang ira.r denotano i due aspet­
ti, fausto e nocivo, del fuoco. A parre questo quarto Veda , tardiva­
mente brahmanizzaro, la divisione dei Veda nelle tre racrnlre obbe­
disce non solo ad un criterio storico , ma alle necessità pratiche del sa­
crificio , in quanto , come si è accennato, ognuna di esse è appannag­
gio di una particolare classe di sacerdoti parricipante al sacrificio . Si
prenda ad esempio un sacrificio come lo Ag ni-s{oma, «Lode ad Agni»
(dio del fuoco , cfr. lat . ig nis) , consistente nella preparazione del la
bevanda inebriante soma (v. infra) e la sua libazione ad Agni ( v . in­
fra) : esso viene officiato da quattro sacerdoti, lo hotar (v. supra) al
· quale incombe la libazione del sacro liquore recitando il [¼-veda ,
l'adhvaryu, assistente il quale mormora l e giaculatorie del lo Yajurve­
da durante le manipolazioni rituali, l'udg iitar, o «cantore» , che, ac­
compagnato dai suoi assistenti prastotar e pratihartar, intona le melo­
die del Samaveda nel corso del le tre spremute (savana) della pianta
(forse rabarbaro od asclepia.r acida) donde si trae il soma. Infine ab­
biamo il brahmiin , personificazione della medesima energia della
preghiera (brahmiin) , il quale presiede tacito a tutto il rito in qualità
di «medico del sacrificio» , scongiurando l'effetto magico negativo de­
gli errori con la sua attenta presenza.
A tutti costoro, ricordati con il termine generico di rtv-ijab («sacri­
ficanti al tempo stabilito», rtu , cfr. lat. ntus) , altri si aggiungono,
rappresentanti funzioni occasionali, il cui elenco è dato nel RV ii , 1 ,
2. Diverso da costoro era il puro-hùa , «praepositus» , cioè il sacerdote
domestico per eccellenza , nelle case dei prìncipi cappellano e consi­
gliere spirituale: il suo prototipo era addirittura il medesimo dio
Ag ni (RV i , 1 , 1 ). Si osservi per inciso che il corrispondente nome ira­
nico (paradhiita) denotava in Iran un'antichissima dinastia pre­
zoroastriana.
Se si osserva la religione vedica dal punto di vista tipolog ico, si di­
rebbe che essa appaia molro più fondata sugli inni stessi , sui miti al­
lusi, quindi sul sacrificio , che non sul le figure degli dèi lodati: il suo
LA RELIGIONE DEI VEDA 25

elemento pn·man"o sembra essere il culto della Parola anziché l 'ogget­


to che Essa, di volta in volta, designa . Pertanto, grande importanza
- talvolta maggiore degli dèi - hanno i mitici veggenti (r.fz) che eb­
bero la «visione» di questo Verbo. Prendiamo a. e. il �g- veda che, per
la sua alta antichità, ancorché venisse fissato in piena epoca filosofica
costituisce il miglior documento di tale tradizione. I suoi libri, dal ii
al vii appartengono, ognuno, ad una famiglia di cantori o al loro leg­
gendario progenitore (Gftsarnada, Visvamitra, Vamadeva, Atri, Bha-
radv�ja, Vasi�tha, persone sulle quali la posteriore tradizione «indù»
ha tessuto amplissimi miti, ponendole talvolta al di sopra degli dèi
medesimi! ) ; nei libri successivi si ritrovano i nomi dei medesimi rsi
mescolati ad altri di dèi minori o di esseri mitici (a . e. Trita Aptya,
nel RV, i, 163, 2, aggiogatore del cavallo nato dai ·due oceani,
nell:lranico Avesta (Hom Yast), invece, sdoppiato nei due eroi 0rita
ed A9wya , uccisore del drago Azi Dahaka, «la serpe ardente», ved .
Ahir Budhnyal;, «la serpe abissale»; due Apsaras, o ninfe, Manyit , la
«Collera», qualche nome di donna come Apala Atreyì eccetera) .
Quanto al contenuto specifico degli inni, non si può dire che conten­
gano una precisa teoria religiosa, sì da poter costituire l' impalcatura
dogmatica di ciò che oggi s' intende per religione: i miti, presentati
secondo scorci potenti e la profondità di concezione degli inni cosmo­
logici, dimostrano chiaramente di essere l' espressione di una civiltà
religiosa evoluta e matura, già aperta alla speculazione filosofica. Il
mito «naturistico», come amava definirlo la scuola positivista del se­
colo scorso, è già trapassato da tempo in una concezione psicologica
o, addirittura, spirituale della divinità. Questa, per l' Indiano vedico,
oltre a rappresentare un fenomeno obiettivo - il cui evento si impe­
tra (pioggia, fecondità, bestiame, figli) - simboleggia una funzione
soggettiva, un' energia concreta che viene risvegliata nell' interiorità
umana e proiettata nel mondo: tali possono essere la triade antica
Vayu (Vento, Spazio), Aditya («figlio di A -diti», I ' «illimitata», cioè il
Sole per eccellenza) e Agni (il Fuoco, etim. il «Propulsore» dalla rad.
ag. cfr. lat. agere), o una entità «astratta», come lo �ta, l ' Ordine co-
smico ed umano (v. infra).
Il dio si identifica, anzi è la funzione : cosi Mitra-e- Varu,a sono la
Sovranità ed il Potere, Indra è la Forza, i due Afvin sono Vita-e­
Salute, Bhaga la Prosperità e così via. Per l' Indiano antico, ed ancora
per il moderno, la vita sulla terra è intrisa di soprannaturale: armenti,
figli, salute, forza e gioia sono realtà spirituali incarnate in una di­
mensione fisicamente percepibile nella vita quotidiana, che egli può
risvegliare in ogni momento mediante un triplice strumento di iden­
tificazione, che si può riassumere in preghiera, sacrificio e meditazio­
ne: attraverso questi, quello che già vi è diventa manifesto suscitato
dal fuoco dell' attenzione del devoto, del meditatore o dell' asceta.
Gli dèi vedici hanno perciò due aspetti: uno demonico, di pura
energia scatenata, indipendente da esigenze morali, per cui i massimi
26 RELIGIONI E MITI DEU.'INDIA

fra di loro vengono in principio denominati anche Asura - termine


che più tardi designerà solamente Titani ed esseri d iabolici - ed uno
di pienezza luminosa morale e benefica, per cui sono comunemente
designati con il nome di deva dalla rad . div , illuminare (cfr . lat .
deus, divus/um, dies , corrisponden t i alle voci sanscrite deva, daiva,
dyaus, dina etc . } . Le divinità vedich e , più che «dèi» sono «numi», at­
torno ai quali si polarizzano energi e , funzioni e qualità , che vengono
attribuiti ora all ' uno ora all ' altro nume , secondo una differente gam­
ma, per quel processo che è già stato denominato Enoteismo , o Cate­
noceismo . Questa numinosità amorale degli dèi indian i , per ragion i
complesse , a l l e q u a l i probabilmente n o n sono alieni motivi di natura
storica e sociologica , li fece ripudiare alle popolazioni ario- iranich e ,
con u n l ungo processo c h e culminò con la riforma di Zarathushtra .
Presso queste l ' amico nome di asura acquistò valenza positiva , nella
sua forma iranica ahura, mentre quello di deva, iranico daeva, decad­
de nel sign ificato di «demone» , «diavolo» . È da notare come alcune
tradizioni indiane non ortodosse e molto arcaiche , come quella dei
Jaina , abbiano conservato un sign ificato positivo , non solo al vocabo­
lo asura, ma anche a molti demoni e titani che con questo nome sono
deprecaci i n vari racconti mi tologici ed epici , come I' asura Riiva1Ja,
rapitore di Sita sposa di Riima ( v . infra). Il termine asura probabil­
mente derivato da asu «vita» , ha il senso generico , i n altri linguaggi
indoeuropei ed extra- indoeuropei , di «Signore» o «Signore mago» , ad
es . il � elcico Esus, ragguagl iato al lac . Mercurio , lac . erus , «signore» ,
cerem1sso azor, eccetera .

Dèi ed altre figure mitologiche.

La tradizione vedica parla genericamente di Trentatré Dèi


(trayastrif!lfat- [ devifb ] } . numero più che altro magico e simbolic o ,
che un passo famoso del Rg-veda distribuisce in ragione di 1 1 in cielo ,
1 1 in terra e 1 1 nelle acque ( R V , i , 1 39 , 1 1 ) ; altrove le ere sed i sono la
terra , il cie �� e l ' atmos�era . Né il numero è fisso : alcu ni passi vedici
-
( I , 4 5 , 2 ; vm , 3 5 , 3 ; v11 , 3 5 , 1 1 } nomin ano al tri dèi oltre ai 3 3 . Un
verso vedico ( i i i , 9. 9) ne an novera add irittura 3 3 3 9 !
A lcu � e divini � à � h e , presum iamo , avevano grande importan za
,
nell Olimpo vedico m una fase amica , la pèrdono cocalmem e in una
fase ulteriore , cadendo in dimen tican z a . Tale è il caso del «Cielo­
Padre» , Dyaiis [-pilar] (cfr. lac . Iu-piter, (ve-diovis) , gr. Zeus-Dia,
gael . Dia, lit . Deiwas , germ . Teiwaz- Tyr-Ziu ecc . ) e la Terra , sua
Sposa , Prthivi, la «ampia» generalmente cantati o allusi i n coppia
come DyiiviiprthivT o Rodasi� «le Due part i dell ' Un iverso» . Dyaiis è
stato totalmente sostituito da Varu'!a ( v . infra) che assieme a Mitra
( v . infra) resta il massimo asura « buono» , ancorché provvisto del la
terribile forza magic a , milyif.
LA RELIGIONE DEI VEDA 27

Secondo la posteriore tradizione dei Brahmai:i a . gli dè i maggiori


<!_et pantheon vedico sono suddivisi in tre famiglie funzionali : i 1 2
Aditya, figli di A - diti. «la Svincolata» v . ( sup,-.i) : .iditp per errellen­
za è Siirya, il dio-Sole ; il R11dr.i. gli «Urla n t i» o i «Rossi» . rapegg iat i
da lndra, «il Signore» ; 8 V.is11 ( al neutro «Rirrhez za» . «Splendore») : 2
NiTsatya (cfr. gor. nasjan . «guarire» ) . rioè i due Diosrnri indiani . gli
Afvin datori della salute e della guarigione. Quest i raggruppamenti
indicano, in realtà, come ciò che conta del dio vedirn non è t anto la
persona, salvo i massimi (Mitrt1. Var11n11, lnd,-.i) . qua n to la fimziunt'
per cui lo si evoca, che egli condivide con quelli della sua pan irnlare
famiglia, la quale costituisce di per sé un pi�-n>lo sist ema teologirn . A
chiarire il problema funzionale dell'Olimpo vedirn . son-orre para­
dossalmente un gruppo di tavolette rnneiformi scopert e nel 1 907 da
Hugo Winckler a Bogaz-koy (l' amica Pteria) in Cappadoria . risalent i
al XIV sec. a . C., che contengono le condizioni di alleanza fra il re de­
gli Hittiti Suppiluliuma e quello dei Mitanni Matiwaza. Nel trattato
sono citate a testimonio dell'accordo le divinità dei due popoli , il se­
condo dei quali appare abbastanza chiaramente essere indo-ario e
non genericamente indò-iranico: trattasi di quegli Indiani, già an-en­
nati, trasmigrati in direzione opposta alla loro massa discesa in India.
In queste tavolette, il re Mitanno invoca gli dèi, il cui nome translit­
terato si legge, rispettivamente, Mi-it-ra, Uru-w-na, In- dar,' Na-fa-ar­
ti-ia, che sono indubbiamente i vedici Mitra, Varu,:,a (anzi Mitriiva­
ru�a al duale), lndra, Niisatya(al duale): se questi due ultimi fossero
stati iranici, il loro nome avrebbe assunto la forma Nahatya-, av
Naonhaity a-.
All'assunto di questa opera non interessa tanto sapere se i Mitanrìi
fossero, come appare, degli Ario-indiani, o degli Ari indo-iranici,
oppure degli Iranici adoranti dèi «indiani» (la cosa è meno incredibile
di quanto sembri: Zarathushtra lottò tutta la sua vita contro i kavi,
ir. «principe», adoranti daeva). Interessa piuttosto la gerarchia fun­
zionale, attestata dall'ordine de)le divinità invocate, che gli Ari attri­
buivano sia al mondo divino, che alla società umana, chiaramente co­
dificata dal rgvedico Inno al Puru!a («Uomo Cosmico») : RV, X, 90.
Su questo argomento esiste una vasta letteratura; accenniamo agli
elementi fondamentali.
Le classi sociali degli Ari, detti in India anche dvi-ja, «doppiamen­
te nati» (con allusione alla «seconda nascita» data dalla
consacrazione), sono fondamentalmente tre, riflettenti le funzioni
cardinali della loro società : quella del sacerdote, quella del guerriero
(e del re, consacrato, però, dal sacerdote) e quella del contadino­
allevatore. Fra queste, in antico, sussisteva connubio e commensalità:
più tardi si moltiplicarono e si irrigidirono nel noto sistema cascale,
teoricamente impenetrabile. Già nei Veda (RV , X, 90) , i loro nomi
sono: bràhmaf)a, per i sacerdoti (detentori del brahman, forza magi-­
ca scaturita dalla preghiera), ksatrya, per i guerrieri (da ksatra, il po-
28 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

cere regio-militare) o rajanya, «regale» ; vaify a per gli agricoltori (da


vif. «vico» , borgo rurale). Lo stesso ordinamento vigeva in Iran : i sa­
cerdoti - zaotar (scr. hotar, «invocatore») o :T{},mm (J7.ir. fuorn) . i
guerrieri - rafbe1tar . da ,at'Ja. «carro» di guerra . cfr. lat. r.ieda - gli
allevatori-agricoltori - vlistrya-flu_yanl. Con lodevole spirito comu­
nitario. gli Indiani vedici ritenevano che le caste. come già accennato,
fossero nate dalla differenziazione delle loro rispettive funziopi; in
seguito allo smembramento dell'Uomo-dio primordiale. il cosmico
Puru.[a, dal.cui capo sarebbero sorti i brah1nil1Jil, dalle braccia gli k.[a­
triya, dalle gambe i vaifya e, infine, .dai piedi gli fu'f/r,1, i servi , al di
fuori della comunione liturgica ancorché entro la società . probabili
discendenti delle popolazioni pre-arie sottomesse (si noti che anche
nell' Iran sud'orientale esistevano, secondo testimonianza greca (Tolo­
meo, 6 , 20), i cosiddetti Sy droi probabili antenati degli attuali Brahuì,
gente di stirpe e lingua dravida. La medesima concezione vige nei ri­
guardi dei Trentracré Dèi vedici, ç�e appaiono 2rdinati gerarchica­
mente nelle ere o quattro famiglie suaccennate (Aditya, rudra, Vasu­
Nasatya) i nomi dei quali capifila sono indicati dagli dèi Mitanni , già
riferiti , Mitra- Varu1Ji1, 'lndra, i due Nlisaty a (storicamente più recen­
ti: anche in Grecia i Dioscuri erano semidei ascesi di grado. I due N.
sono , praticamente, i custodi e propagatori della funzione attribuita
ai Vasu) . Tale ordinamento, che si ritrova più o meno rilevabile in
tutto il monèlo religioso indoeuropeo , in India è consacrato teologica­
mente e . pertanto, lo prendiamo a guida per descrivere ordinatamen­
te l' Olimpb vedico. Non sappiamo, però , se esso sia realmente prima­
rio , oppure il risultato della sovrapposizione di religioni diversamen­
te orientate, come quelle germaniche , reciprocamente adattate, fa­
centi capo ai VanzR ed agli Aesir. Abbiamo, in pgni caso , dèi sovrani
con funzioni magico-sacerdotali, dèi guerrien· (il capo dei quali è pra­
ticamente il re di tutto il pantheon) e dèi che presiedono al comples­
so mondo della ricchezza (vasu) , salute e procreazione. Queste fun­
zioni , nel corso dei millenni , sopravviveranno al tramonto delle figu­
re che le interpretano nell'ambito del vedismo, ed altre figure divine
se ne rivestiranno nell'Hinduismo.
Si è parlato finora di funzioni: il secondo elemento che caratterizza
il mondo djvino vedico è il mito , che però i Veda ci presentano già
scontato e «digerito» dalla coscienza collettiva, per cui è molto diffici­
le analizzarne la formazione basandosi soltanto sulla fonte vedica.
Per saperne di più , a parre gli accostamenti spesso difficili con le mi­
tologie di altri popoli indo-europei, bisogna ricorrere alla posteriore
documentazione - spesso ricostruzione - dei Briihma1Ja, quando
non addirittura ai PuriiT}a, opere del posteriore Hinduismo. La figura
concreta del nume e perfino il suo nome è - paradossalmente per
noi - l' elemento più scialbo e transeunte della divinità. Per questo
motivo molti dèi vedici somigliano ai vari Sanco Semo o Dea Vacuna,
dei quali i Romani del tempo classico non sapevano più nulla. Gli dèi
I.A RELIGIONE DEI VEDA 29
vedici sono creature della Parola e del Sacrificio, evocati secondo una
tradizione che, già ai tempi vedici, appariva in rapida evoluzione.
Vediamo le loro ' figure principali, avendo presente che le loro fat­
tezze iconiche erano puramente simboliche e concettuali, dato che
presumibilmente non venivano neppure raffigurati, come accadrà
per gli dèi dell'Hinduismo.
Lasciando per il momento in disparte Viiyu (dio del vento e dello
spazio, concretizzato nella figura di Viita, il vento) ed Agni, il fuoco,
che costituiscono idealmente l'inizio e la fine della funzione sacrifica­
le, abbiamo in primo luogo le figure sovrane di Varuria e Mitra, i So­
vrani. Varuria (dalla rad. vr. vrnotilv!1'Jule , «avvolgere», «coprire•,
«abbracciare», cfr. il gr. uran6s) .· ,è il dio del Cielo Stellato, del Fir­
mamento, erede delle funzioni dell'antico Dyaus-pitar (peraltro an­
cora menzionato separatamente). Creatore e mantenitore dei mondi,
egli è detto Saf!Zriij, Re Universale. Custode dell'Ordine cosmico (rta)
e della Verità (satya, sat) , assieme a Mitra detiene il potere (ksatra)
che dispensa ai re che, in India, lo invocano durante il battesimo sa­
cro (abhzjeka) nel rito dell'insediamento sul trono (r'iija-suya) . Egli è
l ' Asura per eccellenza, tanto è vero che in Iran la riforma zara­
�s"rriana lo chiamerà Ahura per eccellenza (A . Mazdah , il «Signore
Pensante»), assegnandogli la posizione di Dio unico. Per questa sua
qualità egli possiede l'arcano potere, maya, con cui edifica i mondi e
ne compenetra le intime leggi. Ha diviso e stabilito, ognuno nella
propria sede, cielo e terra: ha collocato il Sole ( Surya) in Cielo asse­
gnandogli un cammino, ha celato il mistico fuoco, Agni, in grembo
alle acque e posto la bevanda dell'immortalità (amrta) , cioè il soma,
sulla roccia. Il Vento ( Viita) che risuona nello spazio, come vita vi­
brante nell'immensità (a- di-tz) , è il suo respiro (priiria) , al suo ordine
luna e stelle risplendono nella notte. Varu1'_1a è il dio della luce cele­
ste, soprattutto notturna. Dato il rapporto che vi è nel Vedismo fra le
«acque di sopra» e le «acque di sottoio_(del resto anche nell'Ebraismo
si parla delle «due acque», ha- m- mii- im , Gen i, 1 ), egli è il regolato­
re di tutte le acque che, per il suo occulto potere, fluiscono veloce­
mente nell' Oceano (sam-udra) senza mai straripare e, così pure,
scendono regolarmente come pioggia dalle nubi, per assicurare la fe­
condità alla Terra. Le Acque (apafl , sing. iip . ) testimoniano, anche,
per i giuramenti pronunciati in suo nome: egli è difatti il dio­
giuramento (cfr . con la figura del germanico UIIR WulthuR «Potere
universale», simboleggiato dall'anello, nel cui nome si giurava spesso
«sull'acqua», figura decaduta di Sovrano). Difatti, nel posterore Hin­
duismo Varuria, sempre piu evanescente, diverrà una specie di Net­
tuno indiano. Nei Veda si dice che i suoi ordini sono fissati per sem­
pre . donde il suo appellativo dhrta-vrata, «colui la cui legge è stabili­
ta» ( dhrta, cfc. lac. firmus, Jortis , dalla rad. dhr) (RV 1 , 25, 8-10).
Nonostante l' aspetto dinamico e transeunte che rivestono in generale
gli dèi ve.dici . questi è il dio fondato su se stesso, per eccellenza; da
30 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

lui nascono ruue le realtà . dacché. rnme dice un verso vedico di forte
sapore metafisico . « i l nobile dio pensb l'impensabile,. ( .icetJ_yùd ùctlo
devo ùrJ6 . . . RV vii . 86 . ì ). La sua omn iscienza . denotata dal fatto
che egl i" è «dotato di molti occhi ( le stelle ? )» . dei quali è ornato il suo
cupo mantello . è un altro dei suoi caratter i . che valse a rnnfigurarlo
quale dio un ico «sapiente» i n Iran . capo delle schiere angeliche
( Amesa Spenta) e delle entità luminose (.yùZùlù) del la teologia zoroa­
striana. Nel la sua qualità di Legislatore . egli è soprattuu o un dio pu­
nitore . che avvicina nel suo laccio (p:Jfù) ineludibile chiu nque viol i
l'Ordine ( rta) che è la verità (sa/) per cui si regge tutto l'esistente (sùl­
ya) . Se , però . il peccatore si mostra pentito e ricorre alla sua grazia .
egl i lo libera dal le conseguenze del la sua azione . allo stesso modo in
cui si sciolgono i nodi di una corda ; egualmente restitu isre alla vita
chi sta per perderla . come avven ne a Sunahsepa Ajfgan i . gi� vi u ima
designata di un sacrificio umano (p11r111a-medha) (v. infrù). E in rap­
porto di amicizia ( mitra"", l'altra sua faccia rappresentata dal l ' omo­
n imo dio , v. infra) con i Giusti che lo venerano rispettando i suoi pre­
cetti: per suo tramite possono comunicare con il re del l'aldilà , Yamù
(v. infra) , figl io di Viva-svan e progen itore degli uomi n i , già diventato
Signore dei Trapassati , dato che fu il primo a «scegl iere» di abbando­
nare il corpo ed aprire la strada del l ' Oltretomba. Il Rg-veda, nella
dozzina di i n n i dedicati a Varuna solo ( senza , cioè i l compagno Mi­
tra) , ne menziona il volto , l'occhio (cioè i l Sole , Siirya, a parte le im­
pl icazion i di ordine magico implicite , al fatto di essere monomio). le
mani ed i piedi. Egl i siede sulla zona erbosa distesa per acrngliere il
sacrificio, porta un mantello aureo ed è ricoperto di una veste splen ­
dente . Il Rg-veda cita spesso il suo carro trascinato da stal loni bene ag­
giogati con il quale egli va dovunque .
Caratteri diversi ha, invece . i l dio Mitra al quale V:iru!la è quasi co­
stantemente associato, s) da formare secolui una coppia onomastica
(mitravaruna) . Questi è una divinità eminentemente solare e lumi­
nosa ( «ch iara» e patente , quanto Vdruria è «oscuro» ed arcano) , talché
in Iran (Mitra) fu consideraro ii gen io o l' alleato dell'astro diurno
( xvare. xsaeta): attorno a questo nume , probabilmente in ambiente
anatol ico , fu creata una vera e propria rel igione , i cui misteri - come
è noto - si diffusero fino agl i estremi l imiti dell'Impero Romano.
Strabone , parlando dei Persian i , diceva che essi «adorano i l Sole, che
ch iamano Mitra» ( XV, 3, 1 3) . Come si vedrà in seguito , la figura del
MilJra i ranico eserciterà un notevole influsso su un insieme di conce­
zioni messianiche ed escarologiche che verran no elaborate dal Bud­
dh ismo mahaylina ( figura di Maitreya, il Buddha venturo) e dal Vi­
�i;iuismo (figura del Kalkì avatara) ( v. jnfra). Torn iamo ora al Mi{}ra
vedico . Questi incarna , in un ceno modo , la forza suscitatrice di vita
ed i ntel ligenza: risveglia gli uomini e li stimola (yiitayaj-jana «anima­
tore degli uomini»). E i l buon amico ( mitra'!l , a� neutro, quasi fosse
una funzione ! ) che li difende e tiene lontano da loro ogni malanno
LA RELIGIONE DEI VEDA 31

( na hanyate na jiyate tu6to I nainam Of!lhO 'fnoty antito na duriit,


«non è ucciso , non è vinto , colui che tu aiuti / non lui raggiunge
guaio né da vicino , né da lontano » , RV i i i , 5 9 , 2 ) . Nel suo rapporto
con gli uomini , il Mitra vedico appare soprat tutto come dio del l ' ami­
cizia mutua, dell ' alleanza e del contratto ( concetti che possono desi­
gnarsi con il suo stesso nome, v . rad . mi, «scambiarsi un favore » tema
secondario di ma, «misurare» , «essere intermediario» , donde miti
«misura» : aggiungendo a mi ( ma) il. suffisso strumentale tra, si ha il
nome del dio , con un suono ed un senso affine a quello del greco
métron, cioè . cori il significàto di «commisuratore» , «interme­
diario � . Il no !'Il e J:> UÒ anche essere tratto dalla rad . mith , «associarsi » ,
«cong1ungers1 » , «mcontrare » .
Se Varuua colpisce inesorabilmente chi manca alla parola data, Mi­
tra conferisce la forza per mantenere i patt i , anz i , egli è il patto stes­
so , talché mentire o mancare di parola era sen tito dagli Ari , sia vedici
che iranici , come un venir meno da parte dell ' uomo alla parte lumi­
nosa di se stesso , alla «natura-Mitra» (il mentitore era , difatti, detto
mitra-druh « l ' ingannatore per M . » ) . Nei suoi studi di tipologia
giuridic_o - religiosa il Dumézil fa risalire addirittura le due istituzioni
giuridico-economiche roman e , i l nexus ed i l mutuus, a concezioni
religiose correnti fra amichi popoli i ndoeuropei , riconducibili alle
due deità: la prima , inesorabile , che «lega» , rende sch iavo e talvolta
fa squartare il debitore , la seconda, che invece gli permette di estin­
guere il debito gradatamente e «amichevolmente » nel tempo , me­
diante scambi di servizi .
I l carattere opposto , ma complementare , proprio ai due dèi si ac­
cen tua nei Brah mai:ia , sicché il primo , Mitra, rappresenta l ' energia
luminosa del cielo diurno , il secondo ( Varu�a) la potenza astrale del
firmamento notturn o . Nei due casi il Cielo è lo specchio del l ' Ordine
cosmico ( rta) , di cui entrambi gli dèi sono i vigili custod i .
Lo 8.ta degli Indiani vedici ( e piii ancora l o Arta/ Ala degli Iranici)
rappresenta forse la più elevata concezione religiosa e morale alla quale
siano giunti gli amichi popoli ari . Detto in breve , si tratta di questo :
tutto il mondo , dal l ' umile filo di erba al sublime firmamento, dal l ' ul­
timo degli uomini al supremo fra gli dèi , è fondato su forze morali, le
quali si rispecchiano nel l ' invariabile ordine della Natura ( r, moti signi­
fica «andare» , «stabilire» , donde rtii, I' «andamento delle cose , della
realtà» ) . Taie ordine che , sul pian.o fisico è dato dat i ' inalterabile coe­
renza esistente fra le leggi della natura ed i fenomeni che loro corri­
spondono , sul piano morale e della coscienza umana risiede egualmen­
te nella corrispondenza, voluta e mantenuta, fra la parola data e l ' atto
compiuto : coerenza e corrispondenza nelle quali risiede la Verita . Per
gli Ari indiani e persiani , quindi , il fatto di mantenere la parola, di es­
sere fedeli ai giuramenti ed al l ' amicizia aveva grandissima importanza
religiosa . perché li rendeva spiritualmente partecipi , sia pure agendo
sulla terra in vicende umane . al mantenimento del l ' Ordine cosmico .
32 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

Dall ' O rdine alla Sovran icà il passo è breve ed ecco M i r ra e Varuna
invocac i nei complessi rie i dell · incoronazione regale . il rJ_1".i-siiy,1 suac­
cennaco. che successivamente doveva divemare la consanazione di un
sovrano universale . il c.ikr.1- 11.irtù, . «Volgicore di ruota». In quesw so­
lenne atto, che per molc i versi è collegaw alla «conquista dei punt i
cardinali» ( dig - v�1".i.}'.1 ; da nocare che dig significa anche «spazio») ed
al sacrificio del cavallo ( .i.rvamedha) ( v. infr.i) . il re ( rJi. r;J_1".in) viene
invest ico delle due funz ioni proprie ai due Iddi i Sovrani . il potere sa­
cerdocale . proiezione dello rta. e quello militare e civile . lo kl.1l1.1
(che in un ambico giuridico sembrerebbero corrispondere al /js e allo
ius dei Romani ) , mentre il suo seggio . in questo caso il c rono ricoper­
to d:i,lla pelle di t igre , viene ident ificato al «centro del mondo» (i vari
ùmbilicus od 6nphalos dell' antichità dassica); cioè il monte
Sumeru , residenza degli dèi .
N itra e Varu1_1a fanno parte di una schiera di dèi dal numern e dalk
funzioni oscillanti ( da cinque a sette) , i nomi dei q uali i ndicano piuc­
cosco funzioni divine . che personalità .soncrete. Queste divinità ven­
gono collettivamente denotate come A dil_y a. cioè i figli di A - diti, la
«non-legata» , la «sconfinata» . simbolo della pienezza di vita , di cono­
scenza , svincolate queste da qualsiasi limite. Oppost i a quest i , ma or­
mai sfumati nella nebbia di un miro dimenticato , vi erano i Dlinav.i
(sing. Diinu) , i «Leganti» ( rad . da!dz) , simbolo dell'offuscamenw
mentale , come del limite vitale . Non dimentich iamo che , per gli In­
diani , gli dèi sono emblemi cosmici di �ndiz ioni ed esperienze inte­
riori! ). Oltre a Mitra ed a Varur:ia , gli Aditya sono i seguent i: A rya­
man, il «Camerata» , signore della casa , dell'ospitalità e del matrimo­
nio (raie e quale l'Airyaman avestico e l' antico irlandese Eramon) , in
origine forse patrono solamente della nazionalità «arya» , qu indi delle
forze che la mantenevano feconda , prospera e sana; Bhaga , il «Disrri­
bucore» , o la «Sorte Distributiva» ( in antico persiano baga significava
«dio» e cosi pure lo slavo Bogu) ; A f!Zfa, la «Porzione» (di sorte o di
fortuna , il «lotto» che tocca a ciascheduno) ; Daksa, «Destrezza» , «Vo­
lontà» od «Abilità» e, infine , dopo queste evanescent i deità della sor­
te , un dio estremamente concreto, specie in India ( ! ) Sù rya, il Sole .
Questi è figlio di :i\diti e di Dyaus , il cielo , che ogni giorno attraver­
sa , misurando il tempo agli uomini , nel suo carro fiammeggiante �ra­
scinato da sette cavalli baj (han"ta) , ora da una sola cavalla detta 'Eta­
Ja. Talvolta , invece , egli è raffigurato come un'aquila, o un toro (sim­
bolo di virilità e fecondità) , o una gemma variegata , o una ruota
( cakra) che percorre la volta celeste. Egli è l'occh io di Mùrd- Varur,ia
ed allo stesso tempo la loro arma (ày udha), sorveglia gli uomini e , si­
mile al greco Apollo , allontana debolezza, malattia e cattivi sogni ,
allo stesso modo che «ogni mattina discaccia le tenebre ravvolgendole
come un tappeto» . Talvolta i Veda lo chiamano «Creatore del Tutto»
(ch e , poi , a sua volta , è una deità distinta) , talvolta invece «Sacerdote
degli Dèi» (asurya pur6hùa) , poiché egli - sorgente di luce - è lo
LA RELIGIONE DEI VEDA 33

splendore divino per eccellenza . Sùrya- Sole fa capo, a sua volta , ad


una serie di divinità molto importanti , a qualcuna delle quali viene
talvolta identificato.· Si tratta di dèi attori di miti che, da una parte ,
hanno un rapporto immediato con il mondo della natura, dall' altra,
invece, sovraintendono a funzioni squisitamente spirituali dell'uo­
mo. Una di queste divinità è Savitar (dalla rad. sii, stimolare), ! '«Im­
pulsore», il «Promotore» , che simboleggia la luminosità del pensiero
che , entro ognuno di noi, rivela il mondo esteriore e indica la via da
seguire (RV , iii, 62 , 10). Questo pensiero-luce è per l' uomo vita inte­
riore e guida morale , allo stesso modo che il Sole fisico esteriore rive­
la, con la sua luce, la forma delle cose e diffonde la vita in tutto il
Creato. Un ' altra di queste divinità è Ufas , l' Aurora (cfr. il greco e6s ."
da · ausos lit . auszra), f iglia dél Cielo · anch ' essa ritenuta sposa e
sorella di Sùrya, che la segue «come il giovane segue la fanciulla», so­
rella della Notte (ratrT. la «piacente» , nakt-a) a cui è anche grammati­
calmente associata nel composto duale usas7i-nakt1i.
Per il fatto che il fuoco sacrificale viene· acceso ali ' alba, essa è detta
alcune volte l' amante di Agni (v. infra): U�as fa accendere il fuoco
che le va incontro mentre essa si avvicina. Come la greca Elena è so­
rella ai Dioscuri, cosi pure essa è intimamente collegata agli Aivin (v.
infra), sul carro dei quali sale. Molti inni, circa una ventina, celebra­
no nel Rg-veda questa dea, spesso invocata al plurale , la quale presso
gli Indiani rivestiva grandissima importanza materiale e psicologica.
Essi se la rappresentavano come una bellissima fanciulla vestita di lu­
ce, oppure ravvolta nei gai panneggiamenti di una danzatrice che,
giungendo dall ' Oriente , rivela le sue grazie . Dice anche il Veda che
essa si affaccia luminosa, come emergente da un bagno (immagine
che ricorda la nascita di Afrodite) , mentre caccia innanzia a sé le te­
nebre e così pure i sogni ed i cattivi pensieri . La complessa simbologia
di questa deità evoca miti profondamente significativi. U�às è detta,
ad esempio, «Madre delle vacche», perché la vacca , giiuh , è - come
si è detto - il simbolo vedico della luce spirituale , dell' interiore illu­
minazione partecipante a quell' infinita e indivisa Coscienza che è
rappresentata da �diti, madre degli dèi , opposta a Danu o Diti, ge­
nitrice dei dèmoni Danavah e di Vrtra , l' «Occultatore» (v. infra). In
questo senso U�as è lodata «Madre degli dèi, forma (o potere) di Adi­
ti» (màtil dev'!Jnllm aditer anlkam , RV, i, 1 1 3-9). Essa è anche il pote­
re germinale dello spirito che , fattosi pensiero umano , volge verso la
Verità : «Essa ben segue la via del Vero e, in quanto conosce, non
pone limite alle regioni del suo conoscere (rtasya panth1im anvetisa­
dhu. prajanativa na difo minati. RV, i, 1 24 , 3) . Madre dei Raggi del­
la Luce, essa ha creato la percezione visiva della mente , cioè l'imma­
ginazione creatrice (g1ivam jinitrl akrta pra ketum, RV, i, 1 24 , 5).
U�as è . quindi . il potere di conoscenza inerente all' essere nel Vero
( cikit vit-sunrtilvan) : questo potere di conoscenza (ketu) , o percezione
int uit iva . è quello proprio all ' Immortalità (amrtasya ketu� . RV, iii,
34 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

6 1 . 3 ). L' Immonalirà nella luce . nella rnnoscenza e nella beatitudine


( :Jn,mda. s11kha) è quella che . a buon dirir r o , puo essere proclamata
lo scopo del l ' insegnamento vedico e di cui Usas è uno dei simboli più
evidenti .
Fra le altre deità solari si annoverano anche S'iiry;J. figlia del Sole,
apparenremenre sdoppiamento di U.rJs. e Vi11usvi1nl . lo «Splendente»
considerato ralvolra in India e nel l ' Iran am ico ( Vivahvanl) come il
dio solare progenitore del l ' Umanità . Come progenitori degli dèi in
senso lato , benché di miri cosmologici ve ne siano di alrri e diversissi­
m i , si annoverano ralvolra il Cielo e la Terra ( Dy'Jv'il·Prthivl) i qual i ,
però , rivestono u n a funzione piur rosto famil iare c h e creatrice , come
Zeus ed Hera fra gli dèi greci . La coppia. come si è accen nato , è deno­
tata con il duale rodasì = le «due pan i» .
Passiamo ora alla sfera degli dèi del l ' atmosfera e veniamo a quella
che è la figura più cararrerisrica del pantheon vedico , cioè ad lndra ( il
«Signore» ) . L' importanza di Indra risiede sia nella posizione centrale
che egli occupa, per cui è praricamenre il re del l ' Olimpo vedico - sia
nelle sue funzion i , guerriere e mil itari , volte alla difesa del mondo
divino contro l ' assalto di dèi e di mostri . Dèi e mostri , il cararrere
fondamentale dei quati risiede piuttosto nella pesantezza e nell ' im­
mobil ità , che nel l ' aggressione vera e propria . Egl i , pertanto , è un dio
«dinamico» che , talvolra, assume perfino i cararreri di un «creatore se­
condario» , in quanto permette alla creazione di affermarsi . Egli è , di­
fatt i , il Signore del l ' Energia , della forza che spazza l ' ostacolo, sia fisi­
co che psich ico , per cui è denominato «il Toro» ( vr1abha) e , ralvolr a ,
« i l Toro dei pensieri» dacché , c o n l ' aiuto d e i Mariti ( v . infra) , infonde
agl i uomini conoscenza ed energia (RV, i, 1 7 1 , 5 ) . Come dio della
forza, esso è, probabilmente , l ' un ica divinità vedica rappresen tata
chiaramente con aspetto umano : an z i , è l ' immagine ideale ed esage­
rata del l ' uomo guerriero , col lerico e mangione . Indra possiede un
corpo di cui vengono menzionati il capo , le m ascelle, la barba , le
braccia, le man i ed un venere che ingh iotte smisurate quantità di so­
ma ( v . infra) ; la sua statura è gigantesca ed il colorito è fulvo come
quello dei baj che tirano il suo cocch io .
Considerato sotto il suo aspetto naturalistico , lndra è il dio della
tempesta e del l ' uragano , che con la sua folgore ( vaira) uccide i demo­
ni del l ' oscurità e della siccità, liberando le acque atmosferiche , che
possono fi n al mente scendere e fecondare la terra , e riaprendo il varco
alla luce , prima celata dalle nubi . Sempre con l ' aiuto della folgore ,
foggiatagli dal fabbro celeste Tva!{ar, suo padre , egli compie innu­
merevoli imprese , che iniziano con la sua stessa nascita . Egl i , infatt i ,
viene al mondo· ( è il solo fr a g l i dèi vedici a d avere una «nascita>)
squarciando il fianco alla m adre .
Appena nato , incute terrore � tutti , uomini e dèi : tremano i l cielo ,
i monti e l a terra , tanto più che Indra , per eccitare il suo umore , già
abbastanza bel licoso , beve smodatamente il soma appena ·rubato ( v .
LA RELIGIONE DEI VEDA 35
infra) , d i cui si mostra ghiottissimo. I l mito fondamentale che d i lui
narrano i Veda è .quello della sua vittoria sull'arcidémone Vrtra
(I' «Avviluppante») da compararsi , anche foneticamente, ad Orthros
ucciso da Heracle. Questi , figlio di Diti o Danu, trattiene nelle sue
spire serpentine le acque celesti «come una mandria di vacche entro il
recinto» (si confronti anche il simbolo delle vacche di Gerione con­
quistate da Heracle, nella mitologia greca). Tutti gli dèi temono que­
sta specie di drago (ahi) e lasciano che Indra se la sbrighi con lui : solo
i Marut e Vtj1_1u (v. infra) restano accanto all'eroe . lndra allora , pieno
di furia, scaglia la folgore che squarcia le nubi-montagne , di modo
che esse vengono liberate e possono fluire per dare vita e fecondità
agli esseri sulla terra . È il motivo della «rottura dello schema. che per­
mette alla creazione di propagarsi in un divenire dinamico. In segui­
to a questa avventura Indra riceve il nome di Vrtrahan , nome che in
Iran (sotto la forma di Vere{)ragna) avrà grandissima fortuna nella mi­
tologia mazdea non-zoroastriana , tanto da designare per antonoma­
sia il dio e le sue undici incarnazioni , che sotto il suo vero nome (/n­
dra) scadrà a livello iji demone! ). La scuola positivisfa ha, natural­
mente , interpretato la leggenda come un mito naturalistico adom­
brante vicende metereologiche, quali l'uragano simboleggiato dal
dio , che libera le acque trattenute dalle nubi , ridando vita alla terra
oppressa dalla siccità e dalla calura. La liberazione delle Acque supe­
riori viene invece intesa dalle scuole tradizionali indiane di orienta­
mento vedantino come lo scioglimento dei poteri superiori della co­
scienza umana , dalla limitazione propria alla conoscenza «partitiva»
rivolta al mondo esteriore, che interpreta la realtà come un insieme di
dati scissi fra di loro , invece di realizzarla misticamente come Unità
trascendente. Questo scioglimento avviene mediante una forma co­
smica d' intuizione , conseguita attraverso l'estasi , simboleggiata
dall' ebbrezza «unitiva» del soma (v. infra, Yoga e samiidht). Un altro
mito di Indra , quello che ricorda quello greco di Heracle che rapisce
gli armenti a Geryoneus dopo averlo ucciso, è la conquista delle vac­
che confinate dai demoni Pani nel «recinto» ( va/ii, nome anche del
demone che le trattiene, dalla medesima rad. vr. di Vrtra! ) , di là dal
fiume Rasa, che cinge la Terra (anche qui una collocazione «oceanica»
come nel mito greco). In questo caso, il dio opera irresistibilmente
per restituire al mondo degli uomini le vacche , le quali , dai Veda,
vengono chiaramente identificate alle rosse luci dell'Aurora (cfr. gli
omerici «armenti del Sole») , data l' amfibologia suaccennata per cui ,
in Vedico, gaub (go) significa sia «vacca», sia «raggio di luce». In que­
sto mito (RV, i , 4) Indra è chiaramente invocato, dal vate vedico Ma­
dhucchandas , figlio di Visvamitra , come «Signore della Mente Lumi­
nosa» , «Incrementatore della Luce» , «Datore di Beatitudine» - sim­
bolegg iata quest'ultima dal soma , detto in questo caso «sapore», ra­
s'!, dell' esperienza sensibile. Di là dall' ovvia interpretazione materia­
listica, lndra evidentemente impersona lo spirito di luce che , spez-
36 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

zando ogni ostacolo limitatore . impelle l' uomo alla conquista sensi­
bile ed interiore - allo stesso tempo - del mondo dell' esperienza.
La consacrazione di questo spirito di Luce avviene mediante la parte­
cipazione alle avventure di lndra di personalità sacerdotali e sai.:rifira­
li, come gli Ang ir.is. già menzionati quali sacerdoti semidei. Brh.i­
spati, il «Signore dell'Immensità» precerrore degli dèi. e Ag ni. non­
ché Soma, il dio-bevanda celeste. posteriormente divenuto il nume
della Luna .
Il cararrere più popolarmente guerriero del dio Indra è anche mes­
so in rilievo da avventure in rni esso appare non come difensore
dell' Ordine ma, al contrario, come spregiatore della morale e pecrn­
tore. Con questi cararreri titanici abbiamo numerose avventure che
iniziano con il furto del medesimo soma al padre Tvagar. la seduzio­
ne di Ahalya, la casta moglie del brahmana Gautama . del quale il
dio assume le sembianze, e la violazione dell ' amkizia sancita con lo
asura Namuci che egli uccide con un tranello magico. Per questi ulti­
mi peccati (parricidio, stupro e tradimento) , i massimi che rnnoscesse
la società brahmanica, Indra perde la maestà luminosa ( teja.r) , la for­
za e la bellezza, i rre attributi che poi, sorto altra forma, dovrà riassu­
mere per difendere la Terra madre dall' assalto dei demoni .
Come hanno osservato recentemente alcuni studiosi (Vikander,
Dumézil), i tre peccati di Indra sono i tre «peccati-tipo» che in tutte
le mitologie indo-europee l' eroe compie ad un cerro punto della sua
carriera (i tre tradimenti del nordico Starkadhr, l' uccisione dei tre
Curiatii da parte dei tre Horatii, il tradimento e la morre per squarta­
mento inflitta da Tullo Hostilio a Merrio Fufetio già suo alleato -
questi ultimi sorpre'ndentemente simili al trattamento riservato da
Indra al già suo amico Namuci). L' asperro dinamico del guerriero,
che continuamente infrange ogni schema ed il pristino equilibrio del
mondo, è simboleggiato dal farro che egli si trova frequentemente
fuori delle regole di una società sacerdotale come era quella brah f!l a­
nica. Fra gli esseri che circondano il dio, oltre alla sposa Indranio Saci
(«Energia»), abbiamo la fedele consorteria dei Marut, numi del vento
e della tempesta, figli di Rudra (v. infra) e della vacca celeste Ph'!i
( «la Variegata») ; è derro pure che sono stati generati dal Vento ( Vàta)
nella matrice del cielo. Essi sono rappresentati come una schiera (ga­
�a) di giovani maschi (marya) , dorati, scintillanti, dalle lance lam­
peggianti fulmini (rf!i- vidy ut), coperti «come donne» da collane e
braccialetti (khiidi), col capo celato in aurei elmi, montati su carri tra­
scinati da giumente screziate veloci come il pensiero. Il fracasso pro­
vocato dal loro avvicinarsi è quello della tempesta e del tuono, che fa
tremare le montagne. Ovunque arrivano sradicano alberi e foreste,
spargendo pioggia vivificatrice, che i Veda paragonano al miele od al
burro sacrificale (ghrta). Compagni assidui di Indra, sono divinità ora
benefiche, che gli uomini invocano come guaritrici e fecondatrici, ora
sinistre e malefiche, come il loro padre Rudra. Una specie di «dop-
LA RELIGIONE DEI VEDA 37

pio» minore di Indra, che già nei Veda appare respinto nella dimenti­
canza dai miti di quest'ultimo (non si dimentichi che i Veda sono il
prodotto , in _pane , terminale di una cultura epico-religiosa) , è Tnta
(«il Terzo») Xpty a («posto nelle Acque») , al quale si è già• accennato
(p. 2 5 ). Come Indra, anche questi combatte e vince Vrtra, Vala e il
demone tricefalo Vtfva-rupa («che assume Tutte le Forme») figlio di
Tva!_tar. Egli mesce il soma, che ha conquistato ad un drago , lo Ahir
Budhny a/.J («la Serpe delle Profondità») , e si associa ad Agni , il Fuo­
co. Nei Veda esso è ridotto ad una divinità luscratoria e purificatrice,
il capro espiatorio inviato dagli dèi che assume su di sé i mali della co­
munità Arya. Nella preistoria doveva rivestire ben maggiore impor­
tanza . Il suo nome già lo fa ritenere membro di un'antica triade divi­
na e le «Acque» , che , al pari di Agni , sono la sua sede, altre non pos­
sono essere che quelle del grande Oceano celeste, il Maho 'an:ias o
Brhad- dyau/J («l'ampio Cielo») ove vige l' immensa distesa della Luce
Indivisa. Presso gli Arii iranici , come si è accennato , il mito sembra
essersi conservato meglio. Lo Horn Yast dell'Avesti!: ne scinde la figu­
ra in due persone distinte: {},cataona (np. Ferey dii'n) , figlio di h1-
wy a che uccide il drago Azi Dahàka, Serpe Bruciante , e i}rita, padre
di Keresaspa (il Gar'1i1sp persiano , sere. Kffilfva) , altro uccisore di
drago.
Una divinità molto importante, che nei Veda compare con caratte­
ri misteriosi e terribili, è Rudra, il «Rosso» o I' «Urlante» secondo due
etimologie egualmente valide, la cui posizione nel complesso degli
dèi è piuttosto ambigua , anche perché nei Veda non esiste la rappre­
sentazione di un consesso divino con posizioni gerarchiche ben defi­
nite. Rudra, il padre dei Marut, è una deità che ispir.a spavento: i tre
inni che gli sono dedicati sono pervasi di un sentimento di terrore .
Esso simboleggia l'inesorabilità delle forze della Natura , le quali pos­
sono essere ciecamente distruttrici, come risanatrici. Diversamente
dalla tempesta che si annuncia da lontano con il cielo coperto di nubi
e con il rombo ammonitore del tuono , Rudra è il classico fulmine a
ciel sereno , che inaspettatamente folgora colui che ha deciso di puni­
re. Esso , difatti , è il fuoco celeste che piomba fra gli uomini , distrut­
tore di impurità , terribile quindi e mortifero , ma anche risanatore e
medico. Questa sua funzione lo appaia ali' Apollo greco , ora medico ,
ora seminatore di arsura e pesce fra uomini e bestiame. Le sue armi ,
c9me qùelle del dio greco , sono l'arco e le frecce (è detto, per ciò,
Sarva, «saec catore»: in campo iranico il suo parallelo Saurva è un arci­
demone): talvolta , invece, brandisce il fulmine al pari di lndra. Di­
versamente, però, da Apollo , . è rappresentato con spaventoso e fiero
sembiante, rosso di carnagione (forse per giustificarne il nome) , CO!:) i
capelli accorti a conchiglia (nell'acconciatura che sarà poi tipica di Si­
va «h indu» e degli asceti) , dalla forma guizzante e lampeggiante , co­
me l' aurea collana (nzjka) che gli cinge il collo. La sua forza distruttri­
ce è allusa "dall'epiceto di «rossiccio cinghiale del cielo» o «rallegrante
38 RELIGIONI E MITI DELL ' INDIA

toro accompagnato dai Marut» ( RV . ii . 3 3 . 6 ) . rnn mi i fedeli lo invo­


cano ; quella fecondante e risanatrice di «Padre del Mondo» . «Signo­
re» (if.ina) . «largo di doni ( midhii 1.ims) . allusivo anche alla funzione
di far piovere ( mih . «mingere») . «medico dai rinfrescanti rimedi». È
anche concepito come Salvatore . per mi il cantore vedirn l' invoca : «O
più potente dei potenti . Signore della folgore: trasportaci salvi all' al­
tra sponda . di là dal dolore! » ( RV . ii . 3 3 . 3 ). In questo senso gli è pro­
prio l'epiteto . diventato successivamen!e i_l nome di una delle massi­
me divinità del pantheon i_ndjano. di Siv.i. «il Benevolo» o «Fausto» .
Come si vedrà in seguito . Siva è il massimo dio degli Yogin, rhe per­
sonifica la tremenda forza psicofisica ron la quale essi operano la tra­
smutazione della propria personalità , come anrhe la Suprema Consa­
pevolezza (para-saf!1vid) a rni aspirano identificarsi. Nel posteriore
Hinduismo, inf�tti . la persona e. in pane, il nome di Rudra svaniran­
no, ma resterà Sivii, detto anche Maha-deva (il «Grande Dio» ) . Hara
(il «Distruttore»), Saf!lkara («il Salutifero») ed anrhe Ug rii (lo «Spa­
ventevole») o Bhairava ( id. ), simbolo delle supreme forze che reggo­
no il destino umano, circondato - rnme si esporrà - dalle terribili
Spose-potenze (faktt): Ka/1� «la Nera» , Durg?i, «l' Inacressibile», Pàr­
vatT, «Quella della montagna» ecretera. Si affaccia, quindi, sin dai
Veda e nella particolare figura di Rudrii, quel senso di tremendum,
che caratterizzerà il posteriore Hinduismo. Ne è il principio cardinale
quello che possiamo riassumere con queste parole: «quelle medesime
. forze che, su un piano superiore di esperienza, sono la salvezza per
l'uomo, su un piano inferiore ne costituiscono, invece, la perdita e
l'annientamento», e viceversa .
Una divinità parallela a Rudra, che nei Veda occupa una posizione
subordinata, ma che nel successivo Hinduismo diventerà una persona
della triade massima (trimurti) è Vigr n . Questa divinità solare simbo­
leggia il principio attivo di vita e di luce che pervade ttitto l'Universo
(probabilmente dalla rad. vzj, «essere attivo», se non vif,
«penetrare»). Egli si pone in m�ro come una ruota che giri su di sé
(successivamente V. sarà il «portatore del disco» per eccellenza) con i
suoi 90 stalloni ( = i giorni) dai quattro nomi ( = le 4 stagioni), allu­
sione ai 360 giorni-base del calendario solare. Egli è, nei Veda, la luce
solare, che con il suo procedere crea l'eterea distesa, della quale è
contemporaneamente forma e sostanza, per cui con i suoi famosi tre
passi genera il triplice mondo (bhii-antaiik1a-svar, o dyaus, terra, at­
mosfera e luce, ci cielo), nel quale egli stesso, omnipervadente, dimo­
ra. Lo spazio misurabile nasce dalla sua stessa volontà (yal; pàrthivani
vimamé rajàmsi, «colui che misurò terre-e-spazi», RV , i, 1 54, I ) . Il
mito posteriore, già in epoca filosofica, preciserà il significato di que­
sti tre passi, con una trasparente allegoria: avendo gli dèi perduto la
supremazia sugli Asura, convennero con costoro che avrebbero tenu­
to per sé solamente la superficie che Vi1�u, trasformatosi. in nano ( va­
mana) avrebbe potuto coprire con soli tre passi. Fu così che Vif�U ,
LA RELIGIONE DEI VEDA 39
inaspettatamente , fece nascere con il suo movimento la dimensione
di tutte le cose visi.bili ed invisibili; difatti si dice che il suo terzo pas­
so giunge «di là dalla vita umana», significandosi con questo che esso
abbraccia la sfera del puro agire spirituale. I Veda affermano che è
Vif1'_1U colui che fornisce agli dèi lo spazio necessario alle loro imprese .
Allorché Indra volle uccidere Vrtra, il démone limitatore ed occulta­
tore (rad. vr) . egli pregò in primo luogo proprio Vi,f1'_1U, suo amico fe­
dele e compagno di lotte , affinché lo provvedesse del «campo» neces­
sario per compierla : «O ViftJU - fu la sua preghiera - procedi nel
tuo movimento con suprema ampiezza! » (RV, iv , 18, 1 1 ). E fu in
questa ampiezza di movimento , in questo suo distruggere i limiti ,
che Indra poté annichilire il Limitatore per eccellenza . Per lo stesso
motivo è ancora Vif1'_1U colui che appresta la bevanda soma ad Indra ,
intendendosi con esso che egli provvede il grande combattente
dell'energfa necessaria a compiere le sue gesta. Come si è già accen­
nato, la funzione di Vi!tJU si preciserà nella speculazione mistico­
religiosa posteriore , specialmente nei Purar:ia , ove costi t,uirà I' ele­
mento dinamico-conservatore nella trinità Brahmii- Visnu- Siva, cioè il
principio della vita-vivente. Tale concezione trinit��ia , implicante
una gerarchia fissa di valori , non era possibile nell'ambito puramente
vedico , in cui ogni dio invocato di volta in volta si presenta come una
sintesi di tutto il mondo divino. Ciò nonostante, essa già si prefigura
nei testi ermeneutici - i Bràhma11a - laddove l'esperienza vedica
diventa oggetto di ordinata interpretazione. In questi si accenna alla
triade Brahmatiaspati- Vif,;u-Rudra. Brahmati�s-pati o Bfhas-pati è,
come si è detto , il Signore della Parola Creatrice, del Verbo: esso rap­
presenta il pensiero primordiale che evoca la luce ed il cosmo visibile
fuori dall'oscuro mare dell'inconscio, delle «. . . Acque arcane , profon­
de . . . » (RV , x . 1 2 9 , i). Rudra è, invece , il principio che conferisce la
forza necessaria per questa evoluzione da inconscio a coscienza lumi­
nosa , che rende possibile la manifestazione del mondo creato e la sua
«misurazione». Quest'ultima viene effettuata dal principio- Vl.f1'!U , il
Movimento universale che, nel suo svolgersi , appunto «misura»
(ya� . . . vimamé, «colui che . . . misurò», RV, i, 1 54, 1 ) . Egli è, ptrtan­
to , chiamato ( ib. , 3) il Toro universale ( vf,fan) , il quale attualizza le
energie (Rudra) ed il pensiero (Bfhaspatt): questa spaziosa distesa ,
che si manifesta come il mondo in cui si compie il nostro umano de­
stino, è formata, dice il �-veda, come un triplice altare sacrificale,
dai soli tre passi di tale possente Infinito, i quali posteriormente ver­
ranno ragguagliati ai tre stati di coscienza in cui, vegliante , penetra
l'asceta:

M uova verso Vi!�" l ' energia e d i l pensiero ( iù1am etu manma . . . )


ve rso l ' ampio- m uovemesi Toro , l ' abit ator del mome ,
co l u i che questa l unga e ben ampia sede
un ico misuro con t re sol i passi ' (ib . . 3 ) .
40 RELIGIONI E M ITI DEll' INDIA

L' elemento fecondatore puro e semplice dell' universa natura è


rappresemaro da deità, più che da dèi . non molto ben definite. Que­
ste sono Parjanya, il nume della pioggia benefica . che presso altri po­
poli di favella indo-europea , come Lituani e Slavi . è diventata il dio
supremo celeste con i nomi rispettivamente di Perkiin.is e Periin ; Pu­
Jan (dalla rad . pus, «prosperare» . «crescere») . che sembra aver simbo­
leggiato in origine il potere benefico del sole sui campi e sugli armen­
t i , su per giù come il greco P4n. Costui . oltre ad essere il prorettore
degli armenti ed uno degli dèi che presiedono al rnnnubio . è anche
la guida dei morti sul remoto cammino dei Padri (Pilr-yJn,1) - don­
de , secondo la speculazione settaria h indu. essi ritornano ad incarnar­
si sulla terra - , è messaggero del Sole e . perfino , guida del suo carro
verso la dimora d' Occidente . Nella B_rhad-arai:1yakòpanisad ( IV, 1 5 ,
2 ) è ricordato i n un arcaicissimo inno , come Re dei Morti ( Yi1ma) , So­
le dei Viventi ( Surya) ,dio dell' Energ ia e della Conoscenza :
Con u n ' aurea coppa / il vo l t o del Vero f riwpt· n o :
Scopri lo t u , PDsan . I ond' i(, veda di i i l V n o h a wmt· Leggt· .
Piisan . unirn [!i. }'ama. Siiry .i . I fig l i o d i Pr.i1jp.iti. effo n d i i t uo i ragg i .
raccogli l a t u a energia ( lei.i.1 ) : i l tuo aspe t t o /
pukh errimo ond ' io ved a ' . . .
Volo m ii . rirnrda l ' an o ! ( kratu .1m.ir.i. krt.1111 ..-111,zr.i) . . .

In Pùsan , storicamente venerato come eme collettivo della casta


. .fud,a,se�brano essere riuniti i caratteri di protettore della «terza fun­
zione»: quella della produzione di ricchezze ( raz) della fecondità e
della perpetuità della st irpe (matrimonio, culto dei mort i , rapporti
con la dimora di Occidente , ove il Sole si riposa). Come lo Hermes
greco (padre putativo di Pan ! ) è anch ' �gli guida dei morti e saggissi­
mo dio che modera il ritmo sapiente ed inalterabile del mondo natu­
rale. Egli è rappresentato come un uomo barbuto che tiene nelle ma­
ni un' aurea lancia ( fecondità) , un pungolo per il bestiame ed un
punteruolo. Viaggia su un carro trainato da capri , come quello del
dio nordico ThoR (che, sia detto di sfuggita , fra le sue varie e contra­
stami funzioni , ha anche quella di stringere i matrimoni) . La sua
funzione celeste è allusa dal suo connubio con Siiryii, la dea del Sole ,
e con UJas, l ' Alba , detta anche sua sorella .
Simbolo del respiro cosmico che mantiene in vita uomini e dèi , è il
Vento, Vayu o Vàta (rad . vii, «spirare» , «muoversi») che nei Veda tro­
viamo associato ora con Parjanya, nella funzione fecondatrice , ora
con Indra, nel suo aspetto di forza del respiro (prarza) che sorregge gli
eroi nelle loro imprese. In origine era una specie di ambivalente dio
iniziale , lo Spazio infinito nel quale si svolge la vicenda divina (come
testimonia il suo parallelo iranico , Vayu, coincidente con lo Spazio
creatore {ìwa!a) , difatti Vàyu inizia la serie degli dèi invocati nel sa­
crificio , che si chiude con il nome di Agni. Signore del respiro, regna
sul mondo intermedio, quello dell ' antar1k!a, ove operano i Marut, le
LA RELIGIONE DEI VEDA 41

e nergie vitali generate da Rudra, che accompagnano Indra nelle sue


imprese. Ma gli dèi che piu direttamente simboleggiano l'energia
universale, in quanto potenza vitale e le forze della resurrezione e
guarigione che dal luminoso mondo celeste discendono fin dentro la
corporeità fisica, sono indubbiamente i «Due Cavalieri» (Afvinau,
sìng. Afvin), figli di Dyaus, if Cielo, come i Dioscuri gresi (Dioskuroz).
È detto che sono visibili ali'aurora , di cui sono fratelli (si confronti
con il miro greco dei Dioscuri, fratelli di Helenè, «la Luminosa»).
Belli, giovani seppure amichi corrono rapidi per il cielo, scintillami
di aureo spl�ndore, ornati di ghirlande di loco. Sono detti dasra ( mi­
racolosi), niisatya (risanatori). Sono infatti i medici ed i salvatori per
eccellenza: han no restituito la gioventù al decrepito Cyavana (v. in­
fra), salvato Bhujyu dal naufragio, colto Atri (un mitico veggente) il­
leso dal bacino ardente in cui i dèmoni lo avevano gettato. La loro fi­
gura, che troveremo di poco trasformata in Iran, come gli arcangeli
Haurvatàt ed AmeretatlJt continuera in pieno Islam con i due angeli
coranici Hirut e Marut ed in altre simili figure semidivine nel Medio
Oriente tardo-antico, alle quali le tradizioni haggadiche attribuisco­
no virtù risanatrici, ma anche funzioni tentatrici, in quanto - non
riconosciuti - mettono alla prova la virtù coniugale delle giovani
spose. In quanto dèi della vita, essi sono con nessi ad una serie di ali­
menti o bevande inebrianti. Il primo di questi è il miele (madhu) ,
che essi procurano agli dèi, aiutati in questa impresa da Dadhyanc
(amico sapiente, che offrì agli dèi le sue ossa affinché Tva�çar, il dio­
artefice, foggiasse la folgore di Indra). «Miele», a parte il senso scon­
tato di «sapore della vita» (rasa), ven ne già nei Brahmana a significare
l' alimento sovrannaturale che dal cosmo intero fluisce nell'uomo at­
traverso la vita delle percezioni sensibili (indriya) . Nella Brhadiira­
riyakopanifad (ii, 5) vengono esaltati come «miele» la terra, l'acqua,
il fuoco, l'aria, il sole, i punti cardinali, la luna, il lampo, il tuono,
l' etere, la Legge Universale (dharma) , il Vero (satya) eccetera, cioè
tutti gli elementi del!'esperienza sensibile, animica, e concettuale: in
ciò risiede l'amica dottrina del «Miele» che Dadhyanc Atharvana rive­
lò agli Asvin, dopo che questi ebbero sovrapposto alle sue spalle una
testa di cavallo (previa decapitazione! ) affinché Indra - ovviamente
irritato per la rivelazione - scaricasse su questa la sua collera: dopo
di che gli Asvin gli rimisero sul collo il vecchio capo. In questa come
in altre leggende vediche attribuite agli Asvin è evidente la funzione
di infrangere le proibizioni dei Grandi Iddii, che loro veniva attribui­
ta, a beneficio - poi - degli dèi medesimi o dell'umanità (ai cui in­
dividui decrepiti veniva restituita la giovinezza, oppure veniva risve­
gliata la «divina memoria», daiva-smara , eccetera) . Altra bevanda è il
liquore surii, che essi introdussero nel culto assieme alla dea Sarasvati,
dea della parola sposa di Brahma; altra ancora è il soma (v. infra),
cioè l'all)brosia celeste (amrta), alla cui partecipazione essi furono
prima scartati come «impuri», indi ammessi previa loro riconciliazio-
42 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

ne con Indra : in seguito a ci6 . essi diventarono addirittura i sacerdoti


officiami (adhvaryit) degli dè i. Nei cinquanta inni che il Rg- veda de­
dica loro si parla continuamente dei loro infaticabili viaggi da un ca­
po all'altro dell' atmosfera su di un carro dorato , simile al Sole, dai
tre seggi e dalle tre ruote . sul quale procedono accompagnati dalla
comune sposa Siiryi!i - altrove detta sposa di Piisan - oppure dalla
loro sorella U1as. l i loro carro fu fabbricato da tre divini artefici, gli
Ij.bhit («gli Abili», identificati ai raggi del Sole); è tirato da cavalli,
ma più comunemente da uccelli , da uno o più bufali o da un singolo
asino. Su questo avanzano rapidi come il pensiero, discendendo dal
mare celeste che è la loro misteriosa dimora . Il fatto che seguano Ufas
che la loro apparizione si verifichi al tempo dei due crepuscoli, li han­
no fatti ritenere personificazione di questi due fenomeni. Ma la loro
caratterizzazione è indubbiamente più complessa, a parte la simbolo­
gia psicologica che loro è stata successivamente addebitata. Se, da
una parte, simboleggiano efficacemente l'energia risolutiva di ogni
difficoltà, dall'altra parte , il possesso delle bevande celesti li assimila
alla funzione di datori di gioia e conservatori di vita: come tali sono
pure invocati negli inni nuziali. I mistici indiani li considerano come
i simboli, rispettivamente, della Conoscenza e della Volontà, nati
dall'esperienza della Mente Celeste (Dyaus, il Cielo, loro padre) ; la
loro apparizione, che è Ja Beatitudine nascente dall'esperienza divina
(difatti sono appellati Subhas-pati. «i due Signori di Beatitudine»), si
affaccia, invero, con il sorgere del Sole, che è, secondo la medesima
interpretazione, la consapevolezza innata nell'uomo della Verità Su­
prema, lo 8.ta, di cui il supremo dei tre mondi - Svar - è il simbolo
luminoso.
Connessi agli Afvin sono i tre f!.bhu, gli «Artefici» che sembrano ri­
petere sull'ottava della «terza funzione» i caratteri che riveste Vifva­
karman, il «Facitore di Ogni Cosa», entità cosmogonica di cui si parla
in seguito. Essi sono: f!.bhu-kfan, il Capo degli � - , oppure I'«Artefice
Conoscitore», Vaja, I'«Essere di Pienezza», e Vibhvan, il «Pervaden­
te», figli tutti e tre di Sudhanvan, il «Buon A rciere». Questi tre genii
erano originariamente mortali, ma si conquistarono la condizione di­
vina per la perfezione delle opere, che sono le seguenti cinque : la
«fabbricazione» dei due cavalli baj di Indra, cavalli che si aggiogano
col solo potere del pensiero; la costruzione del carro stesso degli A­
svin, «nato senza cavalli, senza redini, dalle tre ruote, girante attorno
nello spazio (RV, iv, 36, 1 ) ; la creazione della Vacca Datrice del Net­
tare della Immortalità (amrta), suscitandola da una pelle, Vacca de­
stinata al Dio della Parola, Bfhaspati; la restituzione della gioventù ai
loro stessi propri genitori , che poi sono i primordiali genitori del
Mondo, cioè il Cielo e la Terra - Dyiiviiprthivi; la moltiplicazione
per quattro della unica razza in cui bevevano tutti gli dèi, foggiata da
Tva!tar. (Quanto a quest'ultimo, il cui nome significa «il Foggia­
tore», av. {}woreftar, cfr. russo Tvorec, non esiste un inno i me-
LA RELIGIONE DEI VEDA 43

ro dedicato a lui. La sua figura è ormai evanescente e d astratta: il '!li­


to lo ricorda perché foggiò la folgore di Indra e la coppa degli dèi. E il
prototipo dell' homo faber: da lui, tramite la figlia Sararzyu, sposa di
Vivasvant, «lo Splendente» , sono discesi la coppia di Yama e Yaml,
progenitori dell'umanità). Tornando agli �bhii, essi simboleggiano i
poteri della Luce penetrati nella Materia, che da essa risorgono come
facoltà umane aspiranti all'immortalità divina attraverso le opere (si
veda quanto detto sopra circa il simbolo del miele nell'esegesi delle
Upani�ad). Le cinque imprese compiute da loro rappresentano i cin­
que successivi gradini per i quali si invera la sublimazione delle ener­
gie umane e la loro restituzione alla sfera divina. In particolare, la
vacca che essi traggono dalla pelle (simbolo del velo dell'apparenza
con cui la Natura cela l'intimo suo movimento) è l!diti, l'indivisa co­
scienza madre dei mondi , che l'uomo può risvegliare in se medesi­
mo. Il Cielo e la Terra - i genitori degli 'JJ.bhii - sono le due forme
della coscienza umana, quella mentale e quella fisica. Per restituirle
alla vita primordiale, gli �bhii ascendono alla casa di Savitar, detto
«incelabile» (agohya), a cagione della luce di verità che presso di lui
risplende. lvi restano assopiti per dodici giorni, al termine dei quali
attraversano il Cielo e la Terra, colmandoli con la pioggia abbondan­
te che fluisce dalla verità, nutrendoli e riportandoli alla gioventù ed
al vigore. «Essi · pervadono il Cielo con le loro opere, portano divino
incremento alla mente» (RV, iv, 3 3, 1-2), «conferiscono alla mente ed
al corpo, rinnovati, giovanile ed immortale movimento» (RV, v,
36 , 3 ).
Si è già detto che l'aspirazione costante degli Indiani vedici è quel­
la di ricollegarsi al mondo divino, che è quello della realtà, ovvero
della Verità (satya, rta) luminosa, onde ritrovare in questa un signifi­
cato superiore alla propria vita ed alle conquiste terrene (beni, figli,
salute, eccetera). Il tramite di questo rapporto è il sacrificio (yaj�a.
karman) , che si attua in generale attraverso il fuoco, sul quale viene
versata l'oblazione ( h6ma) . Pertanto il fuoco è il mezzo che unisce il
mondo visibile degli uomini a quello invisibile degli dèi: esso è prati­
camente l'asse attorno al quale ruota tutta la vita religiosa (in senso
interiore) e culturale. Questo spiega come, nei Veda, sia attribuita
straordinaria importanza al Fuoco, Agni (dalla rad. ag laj, «procede­
re» , «avanzare» , cfr. lat. ignis, slavo ogni) : nel solo F-g-veda gli sono
dedicati 200 inni. Figura opposta a Viiyu, già caratterizzato come
«initium rerum» , Agni restituisce attraverso la sua fiamma gli oggetti
del mondo sensibile , materiale, a quello impalpabile degli dèi: per
questo motivo il suo nome conclude la serie sacrificale dei deva, come
«finis rerum» . I caratteri antropomorfici che i vari inni gli conferisco­
no simboleggiano fondamentalmente il suo aspetto sacrificale: Agni
ha la schiena di burro (il ghrta, lett. «l'ardente»), la chioma di fiam­
ma , la barba scura , taglienti mandibole, denti aurei. Il suo volto è ri­
volto a tutti i lati, la sua lingua è spesso menzionata e se ne dice che
44 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

divora l' oblazione non per sé, ma per gli dèi. Lo si paragona anche a
diversi animali : al bue, quando muggisce; al vitello. quando è appena
nato; al cavallo, quando avvampa recando l' offerta agli dèi. Esso è an­
che detto il Divino Uccello, aquila nel cielo ed anatra sull' acqua. La
sua luminosità è sempre celebrata, non solo perché essa lo rende simi­
le ad un sole sulla terra , ma anche perché è l' unico fra gli dèi ad esse­
re desto e splendente nella oscura notte, dispensando lume e calore
consolante ai suoi fedeli. I suoi miti sono relativamente scarsi e, so­
prattutto, lo celebrano in unione con altre divinita: essi trattano prin­
cipalmente la sua _triplice nascita, che diverrà l' argomento di nume­
rosissime elucubrazioni mistiche e filosofiche. Dice il J¼-veda: «Dal
cielo la prima volta è nato come Agni ; da noi, una seconda volta, co­
mejiita-vedas ( " Colui che conosce gli esseri"); lui / nato / una terza
volta dalle acque ( = come fulmine dalle nubi) , lui inestinguibil­
mente risveglia attentamente / il sacerdote / , che pensa agli uomini,
accendendolo» (RV, x , 45, 1 ). Agni, in altri termini, si manifesta in
tre modi distinti : in Cielo come il Sole ( Su rya) , in Terra come il Fuo­
co sacrificale , detto ]iltavedas, nelle acque, cioè nelle nubi, come la
invisibile energia che repentina balena nella folgore. Poiché nasce dal
soffregamento delle due arani ( le due asticciole di legno, la più sotti­
le delle quali gira entro il foro praticato nell'altra), esso viene chia­
mato «figlio della forza» (sahasa/J-sunub) , poiché è la forza dell'uo­
mo che lo risveglia nei due legni in cui giace assopito e, appena nato,
divora i due genitori , cioè le asticciole. La nascita di Agni dalle acque
aeree, donde l'epiteto di «figlio delle Acque», Apam Napàt, dà luo­
go ali ' omonima divinità, che venne separatamente venerata, sia in
India che in Iran : simile origine sembra aver avuto la divinità hindu
Niiriiyana, da niiriih (le Acque), successivamente identificata al dio
Krsna , incarnazione di Vi�ou (v. infra m «Hinduismo»). Simile origi­
ne sembra avere Narafamsa ( approssimativamente «Ciò che comanda
gli uomini») , che in Iran, sotto il nome di Nairy o. sanha, viene
considerato come deità «che risiede nell'ombelico dei re» ( Yast 1 7,
1 1 , ( 62)) , forma del Fuoco inerente allo splendore regale (xvarenah)
ed alla sua possanza seminale ( ir . iitre. ci{}a). Nella successiva specu­
laz ione upanisadica si ritroverà una figura affine a questa, Agni Vai­
Jviinara, cioè il «Fuoco comune a tutti gli uomini», proiezione di Pra­
jiipati. il creatore universale, entro il corpo umano, ove si individua
come calore fisico, il cui centro irradiante è concepito proprio nell' ad­
dome . Dal cielo Agni è condotto sulla terra dal misterioso Mlitarifvan
(«Colui che si sviluppa entro la madre»! ) , il Prometeo indiano, ed i
Bhrgu ( «gli Splendenti», altro nome degli Angiras) lo distribuiscono
nelle case degli uomini . Come tale è detto «Signore della casa» ( grha­
patt) . «ospite» (athitt) per eccellenza, «messaggero» (duta) degli uo­
mini agli dèi e viceversa , «sacerdote domestico» (purohita), «invoca­
tore» ( h6tar) , «offician te» (adhvary u) . Questi ultimi termini si riferi­
scono alla funzione sacerdotale che, come si è visto, ha il fuoco come
LA RELIGIONE DEI VEDA 45

centro . tanto più che tutta la ritualistica vedica sembra essersi svilup­
pata dal culto domestico rivolto al fuoco . In tale caso esso è unico e
triplice: nel primo caso si t ratta del solo fuoco di casa ( giirh.ipatya) .
acceso in un focolare rotondo : nel secondo caso . oltre a questo . vi è il
fuoco «oblatorio» (ahavaniya) acceso ad est in un focolare quadrato, e
il «fuoco meridionale» (dakriria) acceso in un focolare a forma di mez­
zaluna per tener lontani i cattivi influssi.
Ciò che . però. più interessa è l' aspetto mistico del fuorn sanificale .
il cui straordinario sviluppo ci è già documentato dai cesti ermeneuti­
ci dei Veda, per poi assumere carattere dogmaticamente definito nel­
le Upani�ad. In questo ambito esso rappresenta la volontà umana -
immortale ospite (atith1) nella nostra mortalità - che pienament e
s'ispira alla Saggezza divina: è detto , perciò, «forza intelligente del
vate» (kavi-kratu), dacché è la volontà illuminata che conduce l'uo­
mo al suo compimento divino. Le Sette Madri, delle quali è procla­
mato Figlio, sono i sette principi sui quali si fonda l'esistenza coscien­
te dell'uomo (tre spirituali ed infiniti, ere temporal i e finiti, uno in­
termedio) , cioè: corpo . fisico ( anna-maya-kofa, «corpo fatto di cibo»),
«corpo fatto di energia vitale» (prana-maya-kofa), «corpo mentale»
(mano-m. -k. ) , «corpo fatto di coscienza» ( vzjlliina-m. -k. , il vz/Pliina
corrispondendo al mahas, la realtà delle cose che fluisce dall' Ordine
cosmico , (rta) ; vengono quindi i tre elementi superiori, che sono la
beatifica pienezza { iinanda), l'essere di pura consapevolezza (cit) e
l'essere in sé (sat). Detti principi corrispondono ai sette mondi vedici ,
di tre dei quali ( bhur- bhuval/ -svar) si è già parlato; altri tre sono spi­
rituali e trascendenti , preceduti da uno interpolato ( brhat I rta'fJZ /)
che rappresenta la consapevolezza propria alla Verita. Questi ultimi
quattro sono : brhat mahas , jana , tapas, che approssimativamente
possono interpretarsi (nel senso delle gerarchie dantesche «. . . princi ­
pati, virtù , dominazioni . . . »!) come «consapevolezza, vastità , beatitu­
dine e volontà». Questi sono complessivamente i Sette Raggi (sapta
arczjalJ) , le Sette Fiamme (sapta jviilii{l), i Sette Principi del Pensiero
(sapta dhitayalJ) o le Sette Forme della Vacca Aditi (sapta gaval/) , la
cui sintesi è Agni, quale Deva supremo ed universale: «Tu , o Agni ,
sei Varui:ia allorché nasci, diventi Mitra quando sei perfettamente acceso,
in te sono Tutti-gli-dèi ( VifvedeviilJ, v. infra). I O Figlio della Forza, tu
sei Indra per il mortale che offre il sacrificio. / Tu diventi Aryaman,
quando porti il segreto nome delle Vergini. / Essi ti fanno splendere con
i raggi di luce ( = con le Vacche, gobhil-;) con Mitra il ben-stabilito, al­
lorché rendi uniti in una sola intenzione il signore della casa e la sua con­
sone. / Per tua gloria, o Rudra, i Manu scintillano al loro urgere, che è la
splendente e variegata nascita cua. / Quella che è la suprema sede di Vi­
SIJ U , mediante essa tu hai protetto il nome segreto dei raggi ( = delle
Vacche, goniif!Z). I Mediante la tua gloria, o Deva, gli dèi assurgono alla
giusta visione e, mantenendo in sé tutta la molteplicità / della vasta ma­
nifestazione / , assaporano Immonalita ... » (RV, v, 3 7).
46 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

Direttamente connesso ad Agni è un altro dio sacrificale, Soma,


personificazione del liquido inebriante tratto da una pianta spremuta
(soma, dalla rad, su , spremere) che si pensa che fosse I'asc/epias aci­
da. La divinità Soma ha, nella mitologia vedica e pose-vedica , due va­
lenze diverse: come «vino sacrificale e come nume della Luna
(candra-mas). Per il fatto che è un liquido inebriante , Soma è diven­
tato la personificazione della beatitudine celata nelle acque dell'esi­
stenza e nei succhi vitali del corpo: rappresenta altresì la forza guari­
trice celata nelle piante ( 6fa-dhi, da avasa-dht, «contenente cibo»), e .
infine , la personificazione della vira stessa o, meglio detto, delle for­
ze «lunari,. che dalla Vira universale fluiscono entro l' organismo
umano, specialmente quelle connesse alla generazione, al duplice ac­
ro del respiro ed al supporto propriamente fisico del mentale, manas.
Perciò , sin da tempi remoti, Soma è stato considerato il dio del varia­
bile pianeta lunare, che diminuisce man mano che gli dèi ed i trapas­
sati (i «Padri,. , pitaras) si cibano del suo succo vitale , finché il Sole
non lo reintegra nella sua pienezza.
Come bevanda dell'immortalità, esso è lo amrta (l ' ambrosia dei
greci) o la bevanda dolcé per eccellenza, il madhii (miele) o, meglio ,
l'idromele . I miti sul dio Soma sono da dividersi secondo il doppio
aspetto di questo nume: ambrosiaco e lunare. I primi appartengono
all'ambito ario-vedico , se non addirittura indoeuropeo, i secondi a
quello più propriamente indiano-vedico . L'origine terrestre di questo
liquido è collocata nella montagna Mujavant , che, come si è già si­
gnificato, appartiene anche al mondo mitico proto-iranico (il monte
Mu1a) : ma la sua vera patria è nel mondo celeste . Si dice che si tro­
vasse in un castello di rame sorvegliata dai Gandharva (divinità se­
condarie, patrone della musica e della volutta , v. infra, in questo caso
connesse all'ebbrezza ispiratrice), quando venne rapito dall'aquila o
falco (fyena) per essere portato ad Indra onde conferirgli la forza ne­
cessaria alle sue imprese. Uno dei Gandharva, l'arciere Krfiinu (nome
che significa anche «fuoco», con sfumature «spermatiche») , scocco
una frecciata contro l'aquila , che le portò via una penna dall'ala. Mi­
to questo che, oltre ad apparire nell'Avesta recente , è conservato nel­
le mitologie di altri popoli indoeuropei, in particolare Slavi e Germa­
ni. I numerosi inni dedicati a Soma sono pieni di descrizioni poetica­
mente trasfigurate , relative alla spremitura della pianta onde viene
tratto, mediante una pietra (adri, grivan) identificata alla folgore di
lndra, e delle varie operazioni successive , in particolare la sua purifi­
cazione , che l'officiante compie attraverso un filtro di lana, dopo di
che il liquore è pronto per la bevuta rituale o per l'oblazione sacrifi­
cale. Nella descrizione di queste operazioni simboliche , sl , ma anche
concretamente pratiche, il numero «tre» ha un particolare rilievo, si­
mile a quello che riveste nelle manipolazioni dirette , a suscitare Agni
e negli inni che lo celebrano. Anche nel caso del Soma , viene conti­
nuamente messo in rilievo il suo rapporto con le acque e le divinità
LA RELIGIONE DEI VEDA 47

relative ad esse, passando dal livello puramente materiale a quello co­


smico: il soma, difatti , cost ituisce l'essenza vitale «umida, che anima
tutto il creato e, come tale, la virtù inesauribile dell'oceano celeste, il
Maho-aT7Jas. La sua estasi dona l'immortalità , stimola la parola, con­
ferisce la capacità di compiere ogni cosa. Il suo effetto rinvigorente è
paragonato al muggito del toro e così pure il rumore che esso produce
allorché lo si versa nel recipiente sacrificale, che è il simbolo dello
stesso corpo umano: in quel caso le acque alle quali viene mescolato
vengono misticamente denominate «vacche> , cioè raggi della Luce
Suprema. La beatitudine che questo mistico vino conferisce deriva
dal fatto che esso libera la mente dalle angustie e strettoie, scioglien­
do la coscienza dalla dualità (per cui ognuno si sente separato dagli
oggetti del mondo e dall'Universo nella sua totalità) , rendendole atte
a ricevere il flusso totale della vita spirituale-: Ma, avvene il Rg-veda,
non tutti sono degni di gustare il soma: «Colui il cui corpo non ha
sofferto il calore del fuoco e che non è maturo non può assaporarne la
delizia. (RV, ix , 8 3 , 1), significando con ciò che solo l'asceta, il quale
abbia risvegliato in sé il mistico calore, il tapas, e sia già in rapporto
cosciente con i mondi superiori , ne può sopportare l'estasi. Del mito
propriamente lunare di questa divinità trattiamo più avanti , nell'am­
bito delle divinità dell'Hinduismo (v . Candra, infra) : è, peraltro, si­
gnificativo che , nella parte connessa al corpo lun�re che gli corrispon­
de , questo sia ragguagliato all'occhio dello rfi Atri, un personaggio
vedico salvato dagli Asvip «dati'angoscia e dalla tenebra, (. . . nir f11p­
hasas tamasah spartam 'Atn·'!l · · . ) . Punto importante per la psicologia
indo-vedica è che zl dio Luna sia un organo di un rappresentante
dell'umanità , non eventualmente il contrario: l 'intenonzzazione del
mondo divino è zl cardine di tutta l 'espen·enza religiosa indiana, dai
Veda ad oggi.
L'aspetto uranico e «paterno• del pantheon vedico è accentuato dal
fatto che , fra le Grandi Divinità , quasi mai ne compaiano di femmi­
nili con funzioni bene accusate come nelle teogonie di altri popoli , o ,
piu semplicemente nell'Hinduismo. Fanno eccezione Sarasvati, dea
della parola e nome di almeno un fiume, l!!«S, l'Aurora, la quale è
piuttosto simbolo di una condizione spirituale, A ramati, eia· Ben­
connessa mente» , astrazione femminile della Devozione (che in Iran
conoscerà una fortuna straordinaria). La Terra, Pr!hivi, è la semplice
controparte logica del Cielo, Dyaus: i due (Rodasi) assieme costitui­
scono in fondo la semplice intuizione della doppia polarità pr;_opria a
tutti gli esseri. Così pure le dee (Suryii, Indra�i (detta anche Sali, eia
Potente» , cfr. la latina Ciicii), Va rur,ar,i Agniiyi, sono semplicemente
il doppio femminile, le compagne e sorelle di Sùrya, Indra, Var111:1a,
Agni, eccetera.
Diverso è il caso delle divinità minori , genii , ninfe , spiriti elemen­
tari o dèmoni , che nel posteriore Hinduismo avranno sviluppo lussu­
reggiante : Fra queste deità la funzione femminile e gli esseri con ca-
48 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

ratteri fe m m i n i l i sono molto freque nt i . Pri m i . fra quest i mezzi-dèi


sono i GandharvJ e le loro paredre . le Aps.irJs . I Gandh arva sono
musici celest i . ispiratori d i vol u t tà . proret tori della feco n d i t à che con­
cedono o rifiutano alle donne e. talvol t a . datori di salute fisica , bel ­
l e z z a e voce amaente ai giova n i . I I loro rapporto c o n le fo r z e vital i , i n
particol are quelle co n n esse alla generaz ione e d il sesso , è signifìrato
dal fatto che essi sono i possessori originari del s6mi1 . per loro stru­
mento d i piacere , per gli dèi d i forza e conosce n z a , prima che questi
u l t i m i lo facessero rapire dal l ' aquila . I l loro modo d i vivere esce tal­
mente dalle regole stabilire dagli dè i che i l termine giuridico d i «ma­
trimonio al l ' uso dei Gan dharva» ( Gandharva- viviiha) signifìra
nel l ' I n d i a classica l ' u n ione pura e sempl ice fra due che si piacciono .
Perciò i Gandh arva sono talvolta menzionati nei Veda come forze
ost i l i al sacrificante ed agli dèi stessi . I n Iran i l loro nome ( Gandoro­
va) designa , addiri t t u ra , un dèmone temibi le . Molti stud iosi li hanno
paragonat i , anche fonet icame n t e , ai Centauri della mitologìa grec a ,
sapien t i , l ussuriosi e sfrenat i : vi è però da d i re che l a figura d e i Gan­
dharva e dei loro successori h i ndu Kinnara è molto più eterea e sot tile
di quella dei Centauri greci . Essi sono soprat tutto i geni del l ' aria e
delle acqu e : «città dei Gandh arva» ( Gandharva-pura) significa in san­
scri to «fata Morgana» . Le loro spose e compagne sono le ninfe Apsaras
( « M uoventisi nelle Acque» ) . Se i Gandharva ispirano le passion i , le
Apsaras le possono anche soddisfare ; esse sono le tentat rici per eccel­
len z a . Numerosiss i m i sono i m i t i del l ' I n d i a antica, in cui si narra di
una Apsaras mandata dagli dèi o dal caso a tentare un asceta per di­
stogl ierlo dalle sue meditazio n i , che mettono i n pericolo la sovranità
di un dio particol are o degli dèi in generale sug l i uom i n i . Per gli I n ­
dian i , difat t i , il fuoco del l a med itazione , tapas , t"he è la subli mazio­
ne del calore fisico t ramut ato dalla forza della volon t à , può condurre
l ' asceta ( keJin , piu tardi yogin) a l l a conquista dei Supremi Veri e ,
con quest i , a l dom i n io magico s u tutte l e creature , compresi i 3 3 dè i !
Talvo l t a , p i ù modestame n t e , u n a Apsaras s ' i n n amora d i un uomo e
si sposa con lui per un tempo determ i n at o , dopo di che riprende l a
s u a l i bert a . Carat teristico è , a tale proposito , il mito vedico di Urvafi
e Purùravas. U rvas'i era u n a bellissima n i n fa , tale che , al solo vederla ,
g l i d è i Mitra e Varu�a lasciarono cadere i l loro seme sulla terra , seme
dal quale nacquero i saggi Agastya e Vasi,flha. M alede t t a , per ciò , da
Mitra, Urvafi dové scendere nel mondo dei mortal i , ove s ' i n namorò
di Pururavas e l u i d i lei . Questi la vol l e in isposa ed e l l a accettò a con­
d i z ione che egli accet tasse t re pat t i : tre sole volte al giorno l ' avrebbe
dovut a «battere con l a verga» ; non avrebbe dovuto giacersi con lei
quando non le fosse piaciuto ; non si sarebbe mai dovuto far vedere
completamente n udo da lei : t ipico i n terdetto magico che vediamo i n
ambito greco ripetersi n e l noto m i t o d i Eros e Psyche . Per l ungo tem­
po i due vissero i n sieme , men t re lei si n u t riva di u n a goccia d i burro
fuso al giorn o . I n fi n e Urvafi restò gravida . I Gandharva, pero , che la
LA RELIGIONE DEI VEDA 49

rivolevano con loro , escogitarono uno stratagemma per separarla


dat i'amato.
Legarono al letto degli sposi, di notte , una pecora e due agnelli, in­
di ne portarono via uno, al che la pecora belò. Urvafi, svegliatasi, gri­
dò che le veniva rubato il figlio , al che Pururavas balzò nudo dal letto
per fare presto. In quello stesso momento i Gandharva produssero un
lampo che illuminò la scena e finalmente Urvafi vide lo sposo nudo.
Essendo stato infranto il patto che li legava , la ninfa abbandono lo
sposo disperato. Questi si aggirò per lungo te01po, folle di passione,
per il Kuruk1etrà («campo di Kuru» , località storica nell'India nord­
occidentale) finché giunse ad un lago, I'Anyata!-Jplakfa, ove vide al­
cuni cigni che nuotavano. Erano delle Apsaras , fra le quali Urvafi.
Fattasi riconoscere dallo sposo, questi la scongiurò lungamente ma
invano di tornare da lui, altrimenti si sarebbe ucciso. Urvafi gli rispo­
se ancora una volta: «Non affliggerci: non v'è amicizia con le donne ,
corna a casa». Poi, invece , s'impietosì di lui_e gli disse di tornare dopo
un anno. Un anno più cardi, il loro figlio �y us («evoi> , «vita») era na­
to e Pururavas , giungendo al luogo dell'appuntamento, si trovò di­
nanzi ad un palazzo facto d'oro , costruito dai Gandharva. lvi rivide
l'amaca , mentre le compagne fuggivano per lasciarla sola con lui. Il
Rg-veda non ci racconta come andasse a finire la scoria. Altre tradizio-
ni indiane ci narrano che quella fu l'ultima volta che i due amanti si
rividero: altre ancora , probabilmente relative alle dinastie regali
dell'India (v. infra) dicono che Pururavas , essendogli stata offerta
una grazia dai Gandharva, scelse, per consiglio della ninfa , quella di
diventare uno di loro, e pertanto restò con la sua amata per sempre. Il
mito di Urvafi sarà cantato con infinite variazioni dai poeti dell'India
e la scoria della coppia trascenderà ben presto lo schema protostorico
del consueto interdetto di vedere l'amato nudo (come per non turba­
re una condizione di innocenza onirica propria all'atto di amore): la
religione popolare indiana considererà Urvafi ben più in alto della
sua condizione di ninfa , attribuendole nascita miracolosa dalla coscia
del saggio primordiale Nariiya1}a (si osservi il motivo della «coscia»
non ignoto alla micologia greca , nel caso del mer6s di Zeus, in cui fu
cucito il feto di Herakle) .
Fra gli esseri divini minori vi è anche Saramii, la cinghialessa o ca­
gna degli dèi , la quale rintraccia le vacche trattenute dai Pa1JÌ ed in­
giunge Joro di consegnarle ad Indra. I Pli1JÌ - come Vrtra , Vizia, Su­
f'Ja e Sambara - appartengono all'opposta schiera dei dèmoni
dell' oscurità e della divisione , la distruzione dei quali da parte di ln­
dra simboleggia l' avvento dello spirito di Infinitudine , il brhat, come
lo interpretarono i posteriori ermeneuti delle Upanzjad (v. infra).
Fino a qui abbiamo trattato miti che , con trasparenti allegorie na­
turalistiche , simboleggiano o alludono a fatti spirituali o passaggi
psicologici , che la posteriore speculazione della Mimii,rtsii e del Ve­
dànta riferirà ad esperienze interiori attuabili in chiave di Yoga. Di
50 RELIGIONI E MITI DEU ' I NDIA

qua da questo livello spirituale e simbolico i Veda - in particolare lo


Atharva-veda - riconoscono l'esistenza oggettiva , a livello psico­
fisico , di una folla di dèmoni , forze ostili . di saturazioni ambientali
negative , dalle quali l'uomo deve difendersi giorno per giorno, usan­
do scongiuri , giaculatorie e mezzi magici di ogni genere per tenerle
lontane o propiziarsele. Queste forze malefiche sono raffigurate co­
me i demoni Rak1as ( termine che significa anche «protettore». che
però alcune antichissime forme cultuali indiane, come la tradizione
jaina , considt;rano positivamente ( sono forse dèi indigeni decaduti? ),
i Piflica, «mangiatori di carne cruda», gli Y!itudhiina, «stregoni», i
Bhuta, «spiriti elementari», i Vetlila. «lemuri» ed una folla mal defi­
nita di esseri ostili che, nel successivo Hinduismo, si preciseranno in
esseri ben determinati.
Di diverso genere e di gerarchia molto più elevata sono gli Asura
(da asu, «principio vitale») , amichi dèi decaduti al rango di d�moni,
dei quali si è parlato a proposito di Mitra e Va.runa e degli �ditya,
frequentemente chiamati proprio con tale nome, che, poco per volta,
venne invece a designare un nume dotato di forza magica sovranna­
turale, oppositore del luminoso mondo dei Deva, in cui imperano le
pure forze della coscienza. Come già accennato nell'Introduzione, il
fatto opposto si è verificato nell'Iran mazdeo.
Il fatto che ogni dio vedico, nell'inno in cui viene evocato, assuma
una posizione preminente e le funzioni proprie ad altri dèi, rende ar­
duo stabilire una gerarchia assoluta nell'amico pantheon indiano.
Inoltre, la questione che ogni dio venga concretamente evocato, su­
scitato, dal sacrificatore in funzione di un fine particolare, rende na­
turale la concezione di consorten·e di dèi «bons à tout faire», come nel
caso dei così detti Vi.fve Devah, «Tutti-gli-Dèi», ai quali sono dedicati
una quarantina di inni del Rg-veda. Si tratta di un vero e proprio con­
sesso di «Dii consemes», che opera in funzione collettiva come un
pleroma gnostico. Le figure dei singoli dèi non sono sempre nomina­
te , bensì alluse con una serie di indovinelli, che ne evocano di sfuggi­
ta alcuni caratteri naturali o cultuali . Ad esempio, nel RV, viii, 29,
questi deva!J sono evocati nella seguente successione: Soma, Agn'i,
Tva�çar, Indra, Rudra, Pii�an, V'i�t;1u, i due Asvin, Mitra-e-Varu1,1a e
gli Angiras, questi ultimi personificazione di una classe sacerdotale
collegata con il Fuoco, quindi neppure dèi di pieno diritto. In questo
caso si ha una funzione che sopravvive alla personalità nebulosa di
ogni dio singolo.
Oltre a questi vi sono alcune deità che appaiono come astrazioni di
concetti religiosi e che costituiscono un inizio di rilessione filosofica.
Da questa nascono le prime teodicee, le prime narrazioni cosmologi­
che diverse e apparentemente contrastanti, attraverso le quali, però,
l'Indiano cerca di darsi una ragione di come siano nati i mondi, gli
dèi e gli uomini. Queste astrazioni alludono, inoltre, a teogonie che
tradiscono diversi strati della religione vedica, con diversi raggruppa-
LA RELIGIONE DEI VEDA 51
menti funzionali di dèi dalla incerta gerarchia. Questi esseri creatori,
vagamente permutabili l ' uno con l'altro, sono Brahman, personifica­
zione dell' omonima potenza magica scaturente dal sacrificio, Verbo
creatore di cucce le realtà, che l' Hinduismo personificherà ulteriormen­
te nella sua forma mascolina di Brahmii, Bfhaspati o BrahmaT}aspati,
«Signore del!' Ampiezza» o «Signore della Parola» a cui si è già accen­
nato, personifica il sacerdote cosmico che esercita il suo ministero
presso gli dèi specialmente Indra, allo stesso modo che il prete terre­
no lo esercita presso gli uomini; Vifvakarman «Colui che opera il Tut­
to», è una delle tante personificazioni del sacrificio come atto creatore
dell' Universo: esso ricorda e non è facilmente distinguibile dalle fi­
gure a cui si accenna in seguito, cioè il Puru!a o Mahii-Puru.fa, il
Grande Uomo che tutto contiene, rispetto al quale le classi degli dèi
e le caste degli uomini sono altrettante membra o funzioni, e Praja­
pati stesso, prototipo di generazioni divine ed umane . Prajapati è an­
che conosciuto come «il dio ignoto», designato (RV, x, 1 2 1 ) con il
semplìce pronome interrogativo Ka (nom. ka� . chi?, quale? ). Co­
stui, qualificato come «sommo dio», diventò nelle Acque il Germe
Aureo, HiraT}ya-garoha «che sostenne la Terra ed il Cielo. . . che dà re­
spiro, che dà vigore , il comando del quale tutti gli dèi seguono, om­
bra del quale è l' immortalità e la morte: a qual dio dobbiamo render
omaggio con l' oblazione? . . . » . (Da notare vi è che, nella speculazione
upanisadica, hiranyal(arbha indica la condizione di coscienza pro­
pria al sonno, nella quale le energie vitali plasmano le forme (Ma�<:l­
up. , 3 ss. ). Di qua da questi Creatori Primari abbiamo la serie di pro­
genitori e maestri dell'umana stirpe , dai quali - si badi bene - so­
no talvolta generati o emanati dèi veri e propri (cfr. il caso di Urvasi
nata dalla coscia di Narayar:ia) , cio che già al tempo vedico o comun­
que proto-indiano conferisce un aspetto talvolta caotico al pantheon
indiano. Tra questi abbiamo Vivasvant, il settimo dei 1 4 Manu (il
primo di essi, Svaya'!Zbhu , è una specie di Creatore Secondario, pro­
genitore dei 1 0 Prajapati ; ) personificazione del Sole , da cui discende
la coppia umana di Yama e Yami, il primo diventato Dio dei Morti.
Non si creda , però , che i miei cosmogonici, dei quali si offre in se­
guito una breve rassegna , rappresentino, a cagione della loro redazio­
ne relativamente recente , un' innovazione sacerdotale sovrapposta al­
la religione vedica: tutt' altro! Si tratta di miti e intuizioni antichissi­
me , diffuse fra popoli diversi e distanti, come dire dall' Europa antica
alla Cina. Tali sono i miti dell'Uomo Cosmico. noto in India come fra
i pitagorici ed orfici della Grecia antica , del Grande Uomo, dalle cui
ossa sarebbero stati fabbricati i monti, gli dèi e gli uomini, noto in
Cina (come Pan Ku) come fra gli antichi Germani (lo YmzR eddico),
eccetera. Il primo di questi miti che incontriamo nel &-veda è quello
già citato di Bfhas-àati, il quale:
. . . soffiò. insieme come un fabbro ques1i / esseri / . Nella prima età degli dèi dal non­
essere ( .z- J.1/ ) nacque ! " essere ( sai ) . . . Dopo di esso nacquero gli spazi . Esso / l ' essere /
52 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

[ n a,que] da quello / i l n o n - essere / d1e 1c.-nna « i piedi ,-., h i i n su• [ ull,m.if'J.I, du· si­
gn ifi,a and1c.- « i n a 1 w d i parwrin.-• a l l u si,·,, a l i,, spazi,, .,·u,1 1 <» ] . La Terra na,·quc.- da
queg l i che reneva i piedi vol m i i n su . Dalla Terra n a,quero gli spaz i . Da 'Aditi nac­
que.- D.ik[J [ = \'olom à . a b i l i r à ) . d a D.ik [J ·.i .liti [ l a rinas, i 1 a del geniwrt· d a l fig l i,, i'
rnmunc.- anche nei m isreri d e l l a Grt·,ù a111 ic,1 t· m·l l ' Ortìsmo . ,· . il rn i w di Phanes ) . l n ­
fa u i nacque ·.i .liti. o D.ik,1J . che.- è s u a fig l i a . Dopo d i k i nacquew g l i dè i . bt·a1 i . pa­
re m i de l l ' i m morta l i 1 a .
Quan d o . o dèi . s1 re1 1 a mc.-mc.- a bbra,, i a1 i . là n c.- l l e Acqut· s1 a\'a 1 c.- . u n ' a.:rc.- polvere s i
levò d a voi ,·i a . rn m c.- da danz atori .
Quando . o dè i . [ co m e.- ) ord i n atori ( ? ) fa,c.-s1e g,,nfiart· i mund i . i l Sok . n asn>sto nd
mare.- . qua portast e .
O t to furono i fi g l i d i ·,i .lit, . c h e.- s,,no n a 1 i d a l su,, wrp,, : wn sc.-1 1 t· t·ssa and,ì dag l i
dè i : ca,, ib via l ' un·c.-llu [ i l Sole.- ] .
Con sc.- u e fi g l i 'A diti e11 1 r11 n e l l a prima e i a [ deg l i dè i ] . Essa port {> d i n uovo l ' un-e l i o
o r a p c.- r la pronc.-az io n c.- . o r a p c.- r la mort e.- [ a l lude.- pro h a h i l m c.- m e a l k ript· 1 u 1 t· v i 1 t· uma­
n e.- . a l le.- q u a l i i l Sule sovra i m c.-nde) ( R V . x. 7 2 . 1 rad . Papc.-ssu ) .

Di carattere più filosofico , in questa ricerca della realta primordia­


le , è l ' inno al Tempo (kiila contenuto nell ' Atharva-veda ( xix , 5 3 ) . Il
suo contenuto già fa pensare alle Upani�ad più antiche ( v . infra) ,
piuttosto che al mondo mit ico vedico : per certi suoi caratteri metafi­
sici ricorda addirittura le concezioni proprie all ' I ran antico circa il
Tempo Infinito (Zrvan Akarano) , anteriore alla determinazione dei
due principi opposti , Ahura Mazdah ed Anra Mainyu:
. . . 4 - F u l u i c h e q u a add usse 1 u 1 1 i quam i g l i esseri . fu l u i c h e.- avvo lse.- m 1 1 i q uam i
g l i esseri : essendone il padre . ne divc.-mò il fi g l i o : non v ' è a l t ra forza più aha di l u i .
5 - I l Tc.-mpo genc.-r{, quc.-1 Cic.-lo . i l Tempo gc.-n c.-r6 anche.- quc.-st e Terre . I l passal o
e d i l prese m c.- . messo i n m o w d a l Tem po . si d ispiega .
6 - I l Tem po prod usse la Terra . nel Tem po arde il Sol e . nel Tem po sono 1 u 1 1 i g l i
esseri . n e l Tem po l ' occhio guarda da ogn i pan e .
7 - N e l Tem po la m e m e . n c.- 1 Tem po i l resp iro . n e l Tempo è rn m e n u !O i l nome:
quando i l Tempo è venuto . si ral legrano 1 u 1 1 e q rn.-s1e nea 1 u re .
8 - Nel Tempo i l calore ascf1 irn [ tap.z.r J . n e l Te mpo la Suprema E11 1 i 1 à . i l Brah­
man nel Tempo è romen u rn : Signore ( i'.fv.zra) del l ' U n iverso è i l Te mpo. che fu i l pad rt·
di Prajapa1 i .
9 - D a l u i messo i n mow. d a l u i generato . q ues!O [ U n i verso ) i n l u i è s1abi l i 10 . I l
Tempo. d ive n u w i l Briihman . port a Parame�! h i n I = Col u i t·he s t a al Som m o . Praj apà-
1iJ. . .

L' inno al Respiro (prii'!a) , contenuto nel li bro ix dell' Atharva­


veda, prefigura quella che sarà la speculazione yogh ica nell ' India
classica, i cui esercizi psicofisici sono incardinati sulla meditazione e
sul respiro . Per prima volta il respiro viene qui inteso come il mistico
cigno ( haf!Zsa) - origine della Vita e della Morte - termine che in­
dicherà la condizione di vita Fluente («acque») sperimentata dallo yo­
gin di là da inspirazione ( haf!l-) ed espirazione ( -sa�):
. . . 2 1 I l cigno [ halllsah ] , quando esce dal l ' acqua. n o n ne trae fuori l ' u n ico piede
suo . Se l o traesse fuori , non ci sarebbe né oggi , né doman i ; né no1 1 e , né giorno c i sa­
rebbe , né al beggerebbe piu . . . ( r rad . Papesso , i n n i del l ' A r h arva Veda , p. 1 69 ) .

L' inno al Puru!a e l ' inno all ' Uno di Prajapati Parame�fhin costitui­
scono l ' acme del pensiero vedico , anche per le implicazioni metafisi­
che e mistiche che ci danno ad intendere l ' esistenza di un ambiente
LA RELIGIONE DEI VEDA 53

filosoficamente sviluppato. Nell'inno al Puru�a è presente l'impulso


speculativo per ritrovare l'unità nel molteplice apparire degli esseri:
Il Puru!g [ l ' Uomo Primordiale] aveva mille teste, mille occh i . m i l le pied i : avendo
l'irrnndato da ogn i parte la terra. la sovrasto ancora di dieci dita.
I l Puru!g è tu110 questo [ un iverso] . cio che fu e cio che sara . Ed è Signore d ' Im mor­
ta lita , che cresce sempre di più mediante il c i bo [ sacrificale ] .
Tan ta è l a grandezza di l u i e anche p i ù grande di cosi è i l Purusg: u n q uarto di l u i
sono t u 1 1 i gli esseri . t re q u a r t i di l u i è l ' Immortale in cielo .
Per t re quarti i l Pur111a in aho sali. un quarto di lui si riprodusse qui [ in questo mon­
do ] : di qui si è disteso in tu11e le direzion i . in ciò rhe mangia ed i n riò che non man­
gia. i
Da l u i nacque V riij, da Viriij i l Purusg. Egl i . rnme nacque , sorpassò la terra di fron-
te e da tergo .
Quando gli dèi distesero [ apprest arono] il sacri fa io rnn i l Puru[g rnme offert a , la
primavera fu il burro fuso . l ' estate la legna, l ' autunno l ' oblazione.
Con:ie sacrificio il Puru!�• naw nel prinripio, aspersero sul bgrhis ( st rato sanificale di
erba kufa) : lo sacrificarono gli dè i . i Siidh_�à [ nome di amichi nu m i - ci Compiut i • ? ] ed
i veggem i [ f!zl -
Da questo sarrificio rnmpletameme offerto narquero le re ed i sJmgn , da q uesw
nacquero i chandgs [ mantrg o i ncantesimo del l ' Ath arva-veda] . da questo lo yajus [ =
Yaj ur-veda] .
Da questo narquero i caval l i e le best ie che da entram be le part i [ sopra e so110] han­
no den t i / incisivi / ; da quesw nacquero i buoi ; da q uesw nacquero le capre e le pern­
re .
Quando divisero il Puru,ra. in quante pan i lo ferero ? Che rnsa / è ch iamata / la sua
bocca. rhe rnsa le braffia, che rnsa sono ch iamate le rnscie ed i pied i ?
Il briihm.zna fu la sua bocca . le sue bran·ia diven nero i l riijanya [ k,raniya, guerriero ] .
l e sue rnsl'ie divennero il vaz���a [ l ' agricol tore ] . dai suoi piedi n acque l o itidra [ il servo] .
La luna nacque dalla men t e . i l sole dal l " occhio; dalla bocca lndra ed Ag ni, dal respi-
ro �� � -
Dal l ' ombel ico origino l ' atmosfera . dalla testa il rido, d a i piedi la terra , dal l ' orec­
rhio i punti cardinal i : rnsi si formarono i mond i .
Set te furono i legni reci ngen t i [pandhi] I i l fuoco / ; t re volte selle legni da bruciare
furono post i . quando gli dèi . distendendo il sacrificio , legarono il Puru!a I come I be­
stia sacrificale .
Col sacrificio gli dèi sanificarono al sacrificio: quest i furono i primi usi . Quest i po­
tenti tennero dietro nel cielo dove sono gli amichi Sàdhya, gli dèi . [ RV . x, 90 , t rad .
Papesso . op. cii. ] .
Un punto molto importante di questo inno, che rende evidente
l'intimo tenore dell'intuizione vedica, è quello relativo al fatto che:
«un quarto di lui sono tutti gli esseri , tre quarti di lui è l'immortalità
nel cielo. Per tre quarti il Purufa alto salì , un quarto di lui si ripro­
dusse qui. .. » eccetera. L'insegnamento delle Upani�ad e, in partico­
lare , quello della Mli'!t/uky opamjad, espliciterà come il primo quarto
del Purufa, cioè dell'Uomo integrale , è quanto ci appare nell'espe­
rienza dei sensi propria allo stato comune di veglia (jagrati): gli altri
tre quarti sono riferibili alla condizione di veglia, asceticamente pro­
tratta negli stati di sogno , sonno profondo e catalessi, cioè a dire, di­
scendendo in piena coscienza nelle condizioni subliminali, laddove si
attuano le forze del Volere cosmico, che tessono i processi vitali, ani­
miei e quelli presenti nella medesima realtà fisica . Virlij, il principio
creatore femminile procedente dal Puru!a, simboleggia, appunto,
54 RELIGIONI E M ITI DEU.' I N D I A

l' insieme degli stati spirituali che trascendono la condizione di ve­


glia. Perciò Viriij, che è Potenza di Luce ( ecim . «la Raggiante»), pur
procedendo dal Puru.f.Z, è la sua genitrice.
Maggiore elevatezza metafisica , che riempie anche noi di 'Stupore,
caratterizza il celebre inno cosmogonico del veggente Prajapati Para­
me�!hin. Esso denota un grado di profondità delle intuizioni vedi­
che , ben distami dal barbarico «naturalismo» loro attribuito dai cul­
tori positivisti della Storia delle Religioni!
A l lora non v ' era il Non-essere . non ,· · era l ' fasere : non ,· ' ern a 1 mosfrra . ne' il ,ielo /
che è / di sopra . Che rnsa m uoveva > d,ive > �,1 1 0 la proi ez ione di , h i ? Che ,osa era l ' a,­
q u a insondab i l e . profo n d a ?
A l lora non v ' era mort e . nè immort a l i t à : non v ' era i l st'gm> del g iorno né d e l l a no1 1 e .
Sen z a vento respirava per propria forza quel l ' U n o I tJd ,;kJ1!1 ) : o h re l u i non , · era n i e n ­
re a h ro .
Tenebra ricoperta da t en ebra era in prin,ipio: 1 u t 1 <> q uesw I u n i ver�> / era u n on­
deggiamento ! sali/ii, a,qua vibra n t e ] i n d ist i n w . Quel prinripio v i r a k ,he era serrai<>
dal vuoto genero se st esso / rnmt' / l ' Uno mediant t· la pot enza dd proprio ralort· I t.i­
pas] .
I l desiderio l kiima] nel principio sopravven n e a l u i . il ,·ht· fu il primo semr della
M e n t e . I saggi r rovarono l a rnn nessionç dcl i ' Essert· nel Non- esscrt' ,er,ando ron ritles-
sione nel loro cuore .
Trasversale fu r esa la loro corda : vi fu un sopra . vi fu un s01 1 0 ? Vi era frnmdawr1· . vi
erano poren ze : son o . lo st imolo. sopra l ' appagament o .
C h i veramente sa , c h i può spiegare donde è originat a . donde / proviem· / ques 1 a
generazione? Gli dèi w n o al di qu.i /postt-nrmj de/I.i m·.izirm,· d i q uesw I mondo / ;
perciò . c h i sa donde essa è ven u r a ?
Donde s i a avve n u r a q uesta neazion t' , s e l ' h a prodona o n o . Col u i rht' d i q uesl l l /
mondo / è i l Sorvegl i a n t e nel Ciclo Su premo , ros1 u i ceno lo sa . seppure non lo sa .
( R V , x , 1 29 , parz . t rad . Papesso ) .

Il tapas, come si è già precedentemente indicato, e il Volere Cosmico


essenziato di calore, che l'asceta può risvegliare in sé mediante la for­
za di meditazione (il «chiomato» kefin che vola attraverso lo spazio
grazie alla potenza del tapas, RV, x , 1 36 , è il prototipo vedico degli
innumerevoli stidhu hindu e siddha buddh isti, la cui tradizione con­
tinua inalcerata fino ai giorni nostri) . Il kama («brama» , «desiderio»)
è il principio opposto, ma complementare al tapas: esso conduce a
volere qualche cosa che si trova al di fuori dell'individuo. Con il ka­
ma si attua veramente la morte del Piirusa e la nascita di un mondo le
cui realcà sono l'un l'alcra separate e esteriori alla coscienza dell'uo­
mo, l'unificazione delle quali è simboleggiata dalle lotte di Indra
contro i demoni della divisione , figli di Diti o Danu («Limitazione»).
Fino a qui ci si trova in un campo dichiaratamente vedico, in quan­
to si tratta di concezioni direttamente e totalmente documentateci
dalla tradizione dei Veda. Esistono però numerosi alcri miti che , non
essendo stati tramandati dettagliatamente dai Veda , ma solamente
allusi come già noti e familiari agli ascolcatori , vennero successiva­
mente sviluppati nel passaggio al Brahmanesimo e in quel complesso
di opere , appartenenti all'ambito_ delle sette posteriori (seppure di
origine antichissima), note come Amnaya , Smzjti («Memorie». e Pu-
LA RELIGIONE DEI VEDA 55

rà'}a («Antiche Tradizioni»). I n queste tradizioni i miti relativi alla


creazione dei mondi vengono concordati e riferiti coerentemente alla
concezione del Brahman, il quale , ( al neutro), come già si è detto è la
forza magica inerente alla preghiera che regge tutte le cose e che , evo­
cata nello spirito umano come intuizione creativa, diventa pensiero­
volontà , manman ( termine che , significativamente , vuol anche dire
«inno vedico» , RV , i , 1 54 , 3 ; vii , 6 1 , 2 ) . In principio , narra il mito ,
l ' Universo era ravvolto nelle Tenebre e il Signore-esistente-di-per-sé
(svayaf!lbhu, il Brahman autogeno) si manifestò rischiarando le Te­
nebre , creò le acque e vi depose un seme (rétas) .
Questo divenne un uovo (a'}t/a) aureo , dal quale il Signore stesso
nacque come Brahma, il principio maschile creatore del l ' Universo ,
che lo stesso Rg-veda( x , 7 2 ) conosce come Mart'iirJt/a e che - sia detto
per inciso - ha una funzione simile a quella di Phanes nella cosmo­
gonia orfica . Indi divise l ' uovo in due parti con le quali costruì il Cie­
lo e la Terra e successivamente creò , dalla sua mente , i dieci Prajiptiti
che condussero a termine la sua opera ( v . infra, p . 5 1 ) . Secondo un
secondo mito , lo stesso Brahman , dopo aver diviso in due parti l ' au­
reo uovo , divise anche se stesso in due esseri , maschio e femmina:
dalla loro congiunzione nacque Viraj, donde venne ad esistere Manu,
il progenitore- legislatore del genere umano . Secondo un terzo mito ,
tramandato dal l ' epos indiano , in particolar modo dal Ramaya�a,
Brahmà, dio creatore , sorse dal l ' etereo spazio (akaia) , da lui discese
Manci («Raggio di Luce») , il cui figlio fu lo f!i Kafyapa. Kafyapa, a
sua volta, si congiunse con 'Aditi, « l ' Illimitat�» . con le dodici figlie
di Dak!a e con Diti. Da 'Aditi ebbe i dodici Aditya e dalle altre sue
spose tutte le creature del cielo e della terra , delle acque visibili ed in­
visibili (si ha, quind i , la creazione anche dei Sommi 12 Dèi da parte
di un essere che, per quanto spirituale, è pur sempre un uomo ! ) . Fra i
suoi generati vi fu anche Vivasvant, «lo Splendente» ( il Sole ) , da cui
nacque Manu , prototipo immortale del l ' uomo ( dalla rad . man, pen­
sare , cfr . ted . Mann , lat . mens) , la sua immagine celeste e divina.
Come già si è accennato , le tradizioni brahmaniche ritengono che
sulla terra abbiano regnato ben 1 4 Manu, il primo dei quali
Svayambhava-Manu ( il «M. nato come , o dal l ' Autogeno») , fu autore
di una specie di «creazione secondaria» ( visn!i, cfr . RV , x , 1 29 , 7 ) , e
generò i 1 0 Prajàpati, o mahàr�i («Grandi f�i») . Il settimo Manu ,
Vaivasvata-Manu già menzionato , fu il padre della razza umana , sal­
vata dal Grande Diluvio da Vi��u che aveva assunto forma di pesce
( matsya, cfr . il m ito babilonese di Oannes, n arrato da Beroso ) . Con
questi miti , però , ci troviamo in epoca post-vedica, dato che la loro
formulazione , così come ci è stata tramandata, si è andata foggiando
in un periodo che possiamo attribuire ai Brah ma1_1a , in particolar mo­
do al Taittiriya ( VIII-VI secolo a . C . ). Con Man u , poi , il mito si sposa
alla storia, in quanto suo figlio Nahu!a, nome dalla strana impronta
semitica (v. infra) , avrebbe regnato nelle regioni occidentali ( rispetto
56 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

all'India!) circa 6000 anni avanri l'Era Volgare. secondo le cronologie


indiane , di cui anche Megastene ebbe notizia .
Restiamo, invece. nell' ambito della tradizione vedica vera e pro­
pria con il mito di Yama e Yami. la prima coppia di uomini e di mor­
tali , figli - in altra versione - di Vivasvant, la cui storia ri è parzial­
mente tramandata da un inno vedico (RV. x . 10). In questo traspare
soprattutto la preoccupazione brahmanica di non violare lo rtJ. com­
piendo Yama il naturale incesto con la propria sorella . onde dar se­
guito alla umana stirpe . Yama è posteriormente ricordato come il
primo essere che sia morto, divenendo nell ' Aldilà il Re dei Morti:
questo mito sembra tuttavia essersi sovrapposto ad un altro. forse più
antico, nel quale Yama è una divinità solare guardiana del Paradiso.
Essa ha come messaggeri due cani, che sorvegliano la via dei morti.
analogamente al Cerbero greco. ma non con un senso rnsì sinistro.
Yama è identico allo Yima ario-iranirn (av. Yimo. x"Jaèta. np . Jam­
Jed) , primo re fra gli uomini, costruttore del «rerinto» ( vara-), in cui
fu racchiuso quanto di meglio offrisse l' iperborea Regione degli Arii
(Airyanem vaejah) in fatto di uomini. animali e piante, prima della
loro migrazione in seguito all'arrivo del grande freddo. Questa rnpia
iranica di Yama è reputato aver perso la gloria regale (xvarenlh) , il
regno e la sposa , per punizione di aver mentito . La tradizione iranira ,
testimoniata nell'Avesta, considera meritevole il fatto rhe egli avesse
sposato la propria sorella, seguendo quello che poi diverrà l' uso maz­
daico dello xvaetvada Ba (matrimonio fra stretti parenti).
Per concludere, si può citare l' opinione di alcuni studiosi di pro­
blemi vedici, in particolare il francese Jean Varenne (v . Alcuni miti
cosmogonici del /J.g- Veda, Univ. di Torino 1969) . i quali affermano
che nei miti suesposti sono da distinguersi due tipi strutturali, quello
brahmanico relativo ad un rito sacrificale, o atto cultuale, donde na­
scono gli dèi ed il cosmo, e quello k�atriya - relativo cioè alla funzio­
ne guerriero-regale - in cui si ha un tema di «rottura» ( Indra infran­
ge la roccia - iidn·. afman. termine quest'ultimo che in ambito ira­
nico significa «cielo»! - e uccide la misteriosa collettività dei Pa'}i per
liberare le acque o le vacche: «scappando le vacche muggiscono e pro­
ducono la luce» (Varenne , op. cit. , p. 19). Nel caso dell'India, que­
sto secondo tipo di mito venne gradualmente obliterato e Indra di­
menticato, in seguito alla totale brahmanizzazione della civiltà india­
na e la progressiva perdita d'importanza rituale della casta guerriera.
Il contrario, si può osservare , di quanto avvenne in Occidente!
Contrariamente alle religioni indiane attuali , le concezioni relative
all'Oltretomba sono, nei Veda, estremamente vaghe. Alt' Ario�
vedico sembra non interessare molto quello che gli sarebbe accaduto
dopo morto. I complessi riti funebri sembrano avere piuttosto una fi­
nalità purificatoria per i sopravvissuti , che un intento escatologico per
il trapassato. Il principio della sopravvivenza era ammesso e non solo
per il principio spirituale ed intellettivo (il miinas), ma anche per
LA RELIGIONE DEI VEDA 57

quello vitale (asu) , il soffio che veniva «rinfrescato» (dice l'Atharvave­


da) dalle fiamme del rogo per rinascere fra gli dèi. La posteriore spe­
culazione filosofiço-religiosa si soffermerà a lungo sull'esistenza e
l'attualizzazione (già in vita) di un terzo principio spirituale dell'uo­
mo, il «se stesso» (iitman, tman) «della grandezza di un pollice» o
«più piccolo .di un atomo» (a�or a�iy'af!ls• ) , celato nel cuore di ogni
essere umano: questo è il vero protagonista della vicenda umana e
l'attore del suo destino ultraterreno .
Sin dall'epoca vedica si ammisero due diversi destini per gli esseri
umani: il primo è chiamato la «via dei padri» (pitr-yana) , che condu­
ce alla Luna e per la quale si ritorna sulla terra , una volta trascorso un
certo tempo; il secondo , destinato a coloro che hanno praticato
l'ascesi o compiuto le prescrizioni ordinate dai Veda (vidhi) , è la «via
degli dèi» (deva-yana), che conduce ad un'esistenza di felice pienez­
za . Le Upani�ad e la Smrti (v . infra) diranno che da questa Via non si
ritorna più all'esistenza temporale , ma né i Veda né la speculazione
rituale dei Brahmal')a ci illuminano completamente su questo parti­
colare. I Brahmana, invece , accennano ai tormenti ed alle sofferenze
purificatrici a cu{ vanno incontro i reprobi ed i malvagi dopo morti,
in una sede sotterranea . Le buone opere per l'arya vedico consistono
nel compimento del prescritto sacrificio (yajWa ) e , sul sacrificio era
imperniara tutta la vita spirituale dell'antico Indiano. Esistevano, pe­
rò , sin dalla più remota antichità indiana , uomini che vivevano soli­
tari nelle foreste o in orridi deserti , intenti alla meditazione (dhT­
dhyiina), che sostituivano il sacrificio esteriore con un insieme di pra­
tiche interiori , che in epoca storica si continueranno con le tecniche
dello Yoga. Il sacrificio presuppone l'evocazione e la «fissazione» ri­
tuale di principi cosmici i quali , fuori dell'uomo, sono potenze della
Natura universale e , dentro l'uomo, sono le energie fisio-psichiche
che animano e danno coerenza alla sua struttura corporea . Mediatori
del Sacrificio sono la Parola ( Vie, identificata frequentemente con
l'Aurora , Ufas) , cioè il verso vedico articolato e pronunciato dal sacer­
dote , detentore del fluido magico - brahman - e l'Atto (karman) ,
che è l'accensione del fuoco e l'oblazione (havis, havya) di una so­
stanza fisica , generalmente latte , puro o misto al soma, burro sciolto
al calore (ghrta, il «fervido») , il quale veniva versato sul fuoco me­
diante un cucchiaio (sruc, juhù) , grani di orzo (yava), tostati (dhàna)
o intrisi di latte inacidito (karambha) , oppure cotti nel latte (odana) ,
o impastati in focacce (purodiis) , eccetera. Nonostante che l'India
tradizionale consideri con orrore il sacrificio di vacche , queste sono
elencate nel RV , x , 9 1 , 1 4, assieme a tori, cavalli e capri. Il sacrificio
ha generalmente l'aspetto di un dono fatto allo scopo di ottenerne
un altro (prosperità , figli maschi , longevità , salute , bestiame) in
cambio; purtuttavia la sua vera essenza è quella di una consacrazione
(dtkfil) . cioè il trasferimento di una vittima o di una sostanza dallo
stato profano a quello sacro. Questo trasferimento modifica la condi-
58 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

zione interiore di colui che lo rnmp ie o lo fa rnmpiere e , soprattutto ,


trasforma il suo rapporto rnn le forze socc ili che guidano la sua esi­
stenza . Percanro, il sacrificio vedico è eminencemen c e magirn . La vit­
tima assicura la comunicazione fra il mondo profano dei «fatti» e
quello sacro delle «energie»: il sacerdot e . il rni protot ipo celeste è
Agni' . funge da mandatario del sacrificat ore (y.i_1".i111:iru) e . rnncempo­
raneamenre , da delegato degli dèi. Il .r.icnfic.i/ore è. q11indi. «p.idro ­
ne» (ifa) degli dèi che inz,oc.i. dato che magicamen ce li rnsc ringe al
proprio volere. Questo pri nripio è esplicitamen ce rirnnosciuto nel
�-veda, il quale::l ich iara che la pietà religiosa ( nJm,JJ) sost iene il cie­
lo e la terra ed «è padrona degli dèi» (RV. vi , 5 1 . 8 ) . non solo . ma che
il sacrifaatore «questo prode more aie . si deve rendere signore d i rota­
le Agni' . di questo generoso dai den t i aguzzi» ( iv . 1 50 , 5 ) .
Abbiamo già parlato delle diverse classi di sacerdoti vedici (p. 24)
riferiti alle tre raccolte fondamentali Rg-. Sàma-, Yajur-veda . cioè lo
hotar, l'adhvaryii, l'udgatar, ai quali sovraintende il silente brah­
man, denotati collettivamente come rtv-t/ah, «coloro che sacrificano
nei tempi prescritti (rtu)». Il RV. ii, 1 , 2 ci presenta un elenco più
ampio di sacerdoti, parlando degli uffici dei quali si fa carico Agni,
come hotar, potar, o «pulitore» del soma, «nestar», o «conduttore del­
la sposa», agntdh, «attizzatore», p rafastar, «ingiungitore», cioè colui
che dà ordini agli altri sacerdoti, quindi di brahman e di g rhapati. o,
«pater familias» nelle sue funzioni di sacerdote domestico. Perché, in
realtà, il sacrificio vedico è tipologicamente un sacrificio dalle fattez­
ze domestiche, anche se teoricamente i sacrifici sono divisi nelle due
specie : domestici, g rhya, fondati sulla tradizione «rammemorata»,
smrti, e solenni (frauta), cioè basati sulla rivelazione immediatamen­
te «udita» (frutt). Della prima specie sono lo agnihotra, cioè l'obla­
zione quotidiana di burro fuso, o latte o soma, o grani di orzo di cui
si è parlato, buttati sul fuoco domestico dal padre o dal cappellano
domestico (pur6hita).
Diverso era I'Ag ni-r(oma, sacrificio di soma che veniva compiuto
durante il plenilunio e la luna nuova contigua all'equinozio di pri­
mavera. Quest'ultimo sacrificio, che apparentemente aveva lo scopo
di provvedere di nettare lunare gli dèi, era notevolmente complicato:
la giornata del sacrificio era preceduta da altre quattro, durante le
quali si eleggevano prima e si onoravano poi i sacerdoti (htr-vurya,
RV, i, 3 1 , 3; vi, 70, 4), si apprestavano i capannon i nei quali si pre­
parava il soma, si compiva il finto acquisto del soma da uno fùdra,
che poi era maltrattato dall'acquirente adhvaryii (probabile simbolo
del riscatto della pianta sacra dallo stato profano a quello divino) e si
sacrificava un capro alle due divinità Ag ni e Soma. Il quinto giorno
avevano luogo le tre pigiature (savana) eseguire generalmente fra sas­
si, sebbene vi sia cenno dell'uso del mortaio (RV , i, 2 8 ) : il trasporto
degli steli viene effettuato con due carri . preceduto da una litania re­
citata dallo hotar, che i nvoca gli dèi mattutin i Ag ni, Usas e i due
LA RELIGIONE DEI VEDA 59

Afvin. Delle tre pigiature, che venivano eseguite secondo una com­
plicata liturgia, la prima, mattutina (pratar), veniva offerta a Vayu ed
Indra, la seconda , meridiana (madhyaf'!Zdzna), ad Indra ed ai Marut,
la terza (trtiya) . serale, agli l!-bhu. Nel corso della liturgia venivano
invocare le divinità separatamente o come consesso celeste (Vifve­
devaf.1) mentre loro si offrivano libazioni della mistica bevanda, con
l' aggiunta di lane dolce, o acido e farina d' orzo. Al simposio divino
partecipavano gli officianti.
L' Agnzj/oma, in realtà, costituisce il modello particolareggiato per
le sette varietà deljyotzi/oma, «Inno di lode alla Luce». Fra i numero­
si riti frauta, alcuni dei quali duravano da alcuni giorni ad anni inte­
ri, si possono ricordare, come i più caratteristici della società vedica,
quelli tipicamente guerrieri, del viija-peya, «bevuta della vittoria»,
del ràja-sùya, «consaçrazione regale» e quello dello afva-medha, «sa­
crificio del cavallo» . E da notare che, nell' antichità indiana, i riti so­
len ni non rivestivano come presso Greci e Romani valore sociale e po­
litico, bensl erano compiuti per iniziativa e benificio privato, anche
se si supponeva che il loro risultato si sarebbe esteso beneficamente a
tutta la collettività. Il vajapeya consisteva in un insieme di fasi succes­
sive caratterizzate da riti singolari. Una corsa di 1 7 carri su un percor­
so segnato da 1 7 frecce veniva vinta dal sacrificante. Al centro della
pista un brahmana, faceva girare una ruota su un palo, evidente sim­
bolo del sole . Avveniva poi una specie di iniziazione battesimale ed
infine l'«ascesa al sole», compiuta dal sacrificante con sua moglie ver­
so la ruota fissata in cima al palo sacro. Questo rito, che durava dai 1 7
giorni ad u n anno, era il preludio al ràjasuya. I n questo, il re, assiso
su un crono di legno udumbara coperto da pelle di tigre, al centro del
terreno consacrato (che misticamente riproduceva l' Universo), veniva
battezzato per aspersione (abhzjek.a) da tutti i rappresentanti del suo
popolo mediante liquidi diversi: acqua , burro, miele,eccetera, conte­
nuti in una coppa di legno udumbara. Venivano invocati, o meglio,
evocati nel re i due principi della sovranità, il potere (k.fatra) e l' ordi­
ne (rJa) personificati da Varuna e Mirra, ai quali il re veniva identifi­
cato , assieme ad Indra . Durante raie rito si verificavano alcune scene
curiose simboleggianti la funzione regia nel suo esercizio quotidiano:
rivalità con vicini, pacificazione, mantenimento della fortuna nella
comunità, eccetera . Ad esempio, il re compiva un simulacro di ratto
di una mandria di vacche appartenenti ad un vicino, al quale ne resti­
tuiva solo una pane; seduto sul suo crono giocava una partita a dadi
con l'adhvaryii, che batteva ; beveva assieme a nove partecipanti in
dieci coppe. eccetera. Gli onorari che doveva pagare ai preti per il rito
erano fantastici: fino a 240 .000 vacche!
L' Afva- medha, il «sacrificio del cavallo» era il più famoso rito vedi­
co , risalente all'antichità indoeuropea e forse oltre (ne è il parallelo
l' omonimo sacrificio compiuto dai re irlandesi di Tara di cui dà noti­
zia Goffredo di Monmouth nella sua Historia Regum Bn'tanniae) :
60 RELI GIONI E M ITI DELL' INDIA

simboleggiava il trionfo del re sui qua u ro punr i cud i n ali della t erra .
per m i assumeva la dign ità di Re U n iversale ( ,\IJ/.1:i- 1;11:1. o C.1kr,1-
11.zrtin . «Volg i rore della Ruor a» . v . in/i·, 1) . l i ri w . che dur a v a a p pena
r re gior n i nel periodo febbra io-marzo . rich iedeva una preparazione
di uno o due an n i . durante i quali un cavallo rnrsiero era lasc i a w li­
bero di vagare assieme ad altri cen to cavalli . segui w d al re rnn le sue
quamo spose . da i quattro offi c i a n r i e da una snm a d i 400 giova n i ar­
maci. olr re alla folla degli spettatori . Tutte k t erre c h e il cavallo ama­
versava diven tavano domi n io del re . essendo rn nside ra t e sua rnnqui­
sra . In capo ad un anno il cavallo era soffocato per st roz z amrn w . i n d i
s i compivano r i t i diversi e rnmplicare cerimo n i e a potro p a iche. ro m ­
p resi e re g iorn i di sacrific io del s6111,1 . Al cavallo si faceva no vnkrc- al­
cun e giume n t e . i ndi lo si a t tacrava ad un rarro di guerra doraw ( i
guerrieri i ndian i . rnme quelli i ra n ic i . g rec i a n t i c h i e brit a n n ici rom­
bat t evano sul carro) e lo si co nduceva ad uno scagno . dove ven iva !a­
varo. unto ed ornato nella crin iera da 10 I perle . Seguiva un grande
sacrific io cruento: un gran numero di best ie ( 609 sern ndo i t t·sr i ritua­
li) ven iva riun ito a t torno al cavallo. quelle domest iche ven ivano ucr i ­
se , l e alt re messe i n libe-rrà . I ndi i l cavallo st esso ven iva mt·sso a morte
per soffocamento con un pan n o : le spose del re gi ravano at t o rn o
ali ' an imale mono, men t re la sposa prinripale gli g iaceva acca n t o fi n ­
gendo l' accoppiamen t o ; i n t a n t o si svolgeva un dialogo osceno fra i
sace rdoti e le don ne presen t i , al quale seguiva uno scambio d i enigmi
fra gli offician t i ed il re ( pa n icolari , se è possibile. anco r p i ù indecen­
t i carat terizzavano lo stesso sacrificio nell ' ambito celt irn, se dobbi a­
mo credere a Goffredo di Monmout h ) . Concludeva la giornata
l'oblazione del soma, lo squartamento rituale delle bestie e l' offerta
sacrificale del loro sangue . Questo strano rito , che si ric h i ama alle ori­
gin i pastorali e ce n t roasi at iche delle sch i a t t e arie è st ato abbondant e­
men t e descri t to e spiegato dai t rat t a t i r i t uali ed ermeneutici. Il caval­
lo è il simbolo con temporaneamente dell ' an no qui ndi dello spazio­
tempo , e di tut te le funzion i ed esseri che vi si t rovano ( il ragguaglia­
memo mist ico è abbonda n t eme n t e desc r i t t o dalla Brhad­
aranyakopan isad , i , I ss.) . nonché del potere regale e la capaci tà di
«movimen to»· che gli è con nessa : a questo si deve la li ber r à , o man ­
canza di confin i , conse n t i t agli per u n an no, l' esaltazione i n esso del
pot e re masch ile ( esibizione delle giume n t e ) e simulato accop p i amen ­
to di lui con l a regi n a . I l suo sacrificio è , i n u n certo modo, i l sost ituto
del sacrificio del Maha-puru!a (v. p. xy ss . ) , i n t eso a creare fecondità,
felicità ed abbondanza per i suddit i, assicurando sovran i tà perenne al
re c h e lo fa eseguire. Il Re , anche i n questo caso , si ident ifica all ' Uo­
mo (od An imale) Un iversale, unità spirituale e vitale del tut to e n t ro
il tutto. Il sacrificio ricorda pure , a parte il caso accen nato degli a n t i ­
c h i Irlandesi , r i t i analogh i presso culture boreali, dagli A i n u a i Paleo­
siberian i , presso i quali un an imale sacro , l'orso , viene nut rito e vez­
zeggiato dalla stessa comun i t à che poi l'uccide soffocandolo ( il cosid-
LA RELIGIONE DEI VEDA 61

detto iy o-mande). La preoccupazione di stabilire paralleli simbolici


fra i sacrificanti e i diversi elementi del cosmo tramite l'oggetto sacri­
ficato è un principio costante nella liturgia vedica , che poi si conti­
nuerà fino ai nostri giorni. L'intuizione dominante è quella
dell'Uno-tutto , che si proietta simbolicamente in un essere, oggetto
od avvenimento. Esempio di ciò è la costruzione complicata
del)'Agni-cay ana ( accumulazione di mattoni per il fuoco): l'altare
del fuoco , la vedi (un parallelepipedo dai 4 lati incavaci) è circondato
da una costruzione composta da un numero simbolico di mattoni
avente la forma, talvolta , di un Grande Uccello, simbolo del Grande
Essere sacrificato affinché nascessero tutti gli esseri esistenti. Si dice
che, in tempi più antichi , cinque vittime erano immolate per la co­
struzione dell'Ag ni-cayana, fra le quali un uomo, le ceste delle quali
venivano murate socco l'altare. Sacrifici umani non ne avvenivano
più nei tempi vedici più prossimi , tuttavia i Brahma,:ia, parlano espli­
citamente di un purufa-medha, che veniva effettuato secondo un ri­
tuale simile a quello dell'afvamedha. Alle vittime consacrate si ag­
giungeva un uomo di casca superiore, un brahmaf!a oppure uno k!a­
triy a, acquistato al prezzo di mille vacche e cento cavalli , il quale ve­
niva nutrito , curato e lasciato libero di andare dove volesse per un an­
no , alla fine del quale subiva lo stesso destino del cavallo sacrificale
(si paragoni questo omicidio rituale a quello del «Re di un Anno»
presso popoli antichi e di cultura superiore, come gli Aztechi).
Il Rg-11eda ricorda in ben tre inni (i, 24 / 2 5 / 28), seppure simbolica­
f!1ente trasfigurato, il mito del sacrificio , peraltro non effettuato , di
Sunal;fepa («membro-di-cane»). Era questi il figlio mediano di un
brahmar:ia miserrimo , Ajigarra , il quale lo vendette per cento vacche
a Rohita , figlio del re Hariscandra , che molti anni addietro aveva fat­
to il voto di sacrificare a VaruQa il primo figlio che gli fosse nato.
Questo figlio era , appunto , Rohica , il quale intendeva farsi sostituire
nel sacrificio da Suna�sepa. Ma , quando stava per compiersi il suo
destino . il ragazzo, già legato al palo sacrificale , invocò accortamente
Prajapati, Agni, Savitar, Varu1Ja e «Tutti-gli-Dèi> ( Vi.fre devah), ot­
tenendo quindi di venir liberato. Varur_,a stesso lo slçgò («legare» e
«slegare» , si è visto, è azione tipica del terribile dio). SunahJepà ven­
ne, quindi , adottato da Vi.fvamitra, il brahmar;i (classe suprema de­
gli (!i, che segue quelle dei Ràjarsi e dei Mahàrft) che gli diede nome
di Deva-riita, «l'Amato dagli dèi'».
Tralasciando gli innumerevoli riti domestici , agricoli , propiziatori ,
apotropaici, espiatori (fra i quali l'imporcantissimo pr8yafcitta, «pen­
siero di soddisfazione», che si compie ancor oggi in seguito ad un er­
rore rituale o ad una contaminazione accidentale) , conviene soffer­
marsi sui sacramenti, sa"!'lskàra, i quali, tuttora esistenti, ci offrono
un'immagine vivace di quella che doveva essere la vita religiosa e so­
ciale dell'individuo entro la comunica arya ai tempi vedici . I sacra­
menti accompagnavano e sottolineavano le cappe della vita
62 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

dell'indo-ario . addirittura fin dalla rnncezione . Difatti. almeno il


primogenito doveva essere concepito in modo rimale e simbolica­
mente offerto agli dèi . Egli , destinato a succedere al padre nei riti do­
mestici, non doveva essere il figlio della voluttà . bensì del dovere reli­
gioso. Il primo sacramento era . quindi . quello del g<1rbhJdh'iin11.
«collocamento del germe». un insieme di oblazioni. dopo le quali lo
sposo tocca il corpo della sposa con un pugno di erba darbh11.
dall'ombelico in su. Nel momento della concezione . poi . lo sposo in­
voca gli dèi Cielo e Terra come veri genitori dell' eventuale nascituro.
Nei mesi successivi seguono sul corpo della madre una serie di atti in­
tesi ad assicurare il proseguimento regolare della gravidanza. Al mo­
mento della nascita vengono compiuti vart riti contro i dèmoni . com­
preso il rito di magia simpatica dello sciogliere rutti i nodi in casa . Il
sacramento che viene amminisrraro al bimbo appena nato (;ata­
karman , rito della nascita) è inteso ad infondergli salute ed intelli­
genza: il padre gli soffia sul capo . il «primo nutrimento» gli viene
presentato in un cucchiaio d'oro,eccetera. Dopo una dozzina di gior­
ni gli viene imposto il nome (nama-dheya): oltre al nome segreto,
talvolta conferito in segUìto ad iniziazione anni dopo, noto solo ai ge­
nitori e trarro da quello di una casa lunare o da una divinita , il fan­
ciullo riceve il nome ufficiale , la cui designazione obbedisce a precise
regole gentilizie. Al terzo anno di vira ha luogo il sacramento della
tonsura (cutja-karman) , al sedicesimo quello del taglio della prima
barba (godàna): in entrambe le cerimonie si provvede il giovane di
un'acconciatura conveniente alla sua casta. Tali riti avvengono da­
vanti al fuoco domestico dinanzi al quale vengono poste sostanze
energetiche , come visceri di toro e cereali. I capelli vengono umerrati
con acqua tiepida e mischiati ad erbe sacre: indi vengono tagliati , a
quattro riprese quelli della parre destra , a rre quelli della sinistra. Ac­
conciatura della classe dei re è quella dei riccioli scendenti dalle ba­
sette (kàka- pakra) che troviamo anche presso Persiani (gisù) ed Ebrei
ortodossi (si/sol) .
Ma il 3a�rainenro più imporrante è quello che consacra la consegna
del giovane al maestro (un brahma1'_1a erudito) , dal quale imparerà il
sacro sapere diventando, a srudt compiuti , membro della società de­
gli adulti. Tale sacramento viene amministrato all'orravo anno di età
o al decimo (per i brahma1'_1a, in particolare) , all'undicesimo per gli
k{atnya ed al dodicesimo per i vaify a. Il maestro e l'allievo sono die­
tro al fuoco , l'allievo in abito da festa. Il maestro (guru , iiciirya) gli
consegna il bastone e lo riveste tre volte della cintura (che passa, a tra­
colla, sulla spalla destra e sotto l'ascella sinistra), derra yajrlopav'fta,
gli tende la mano e gli fa compiere un giro a destra mentre, sotto gli
auspici del dio Savitar, dio-testimone, avviene il dialogo della do­
manda e dell'accettazione. Poi il maestro posa le mani sulla spalla
dell' allievo e gli impartisce le prime istruzioni, raccomandandolo agli
dèi. Così il fanciullo diventa un «due volte nato» (dvi-ja, una volta
LA RELIGIONE DEI VEDA 63

materialmente dai genitori , ed una volta spiritualmente dal maestro)


ed inizia per lui la dura vita di studio, che non soltanto comprende
l'apprendimento mnemonico dei Veda secondo precise regole , ma
anche la vita di servizio presso il maestro , per il quale dovrà raccoglie­
re legna nella foresta e mendicare cibo nei villaggi , vivendo austera­
mente e compiendo una serie di riti quotidiani. Il termine denotante
il periodo di apprendimento è divenuto sinonimo di castità e vita au­
stera: brahmac'lryya , «esercizio del brahman». Lo studio, che può du­
rare molti anni , fino a 48 , si compie in generale durante la stagione
delle piogge (var,a). Finita la sessione annuale , il giovane si spoglia
con un bagno (snana) del suo stato sacro e rientra in famiglia. Tutto il
rituale dell'investitura del cordone sacro ricorda da vicino l'analoga
cerimonia in uso presso i Mazdei persiani per la consegna del kosti o
aivyaonhaha. Si tratta di un antico rito iniziatico, per cui avveniva il
trasferimento dell'autorità paterna dal padre naturale al maestro­
sacerdote , che ricorda l'analogo istituto in uso pressi i Gaeli d' Irlanda
fino agli inizi del secolo scorso (altrum). o addirittura I'atalyk presso
le tribù turche , per cui il fanciullo viene allevato ed istruitopresso una
famiglia amica . Con il matrimonio ( viv'iiha) il giovane ario passa dalla
condizione di brahmacarin a quella di grhapati, «Signore di casa». Il
matrimonio avveniva, come presso gli altri apparentati popoli indo­
europei , sotto forma di contratto , con alcune tracce di matrimonio
per ratto o per acquisto (àrfa , per cui il padre della sposa riceveva una
coppia di vacche dallo sposo). Esisteva , poi , riservato agli kfatnya di
alto rango, il così detto svayamvara («scelta da sé») , per cui la fanciul­
la stessa sceglieva lo sposo fra Ùna sch iera di pretendenti, i quali esibi­
vano la loro forza e destrezza guerriera in una serie di prove atletiche
(lo stesso futuro Budda , contrasse in tale forma il matrimonio). Nel
comune matrimonio la fanciulla era scelta in base a criteri molto pre­
cisi e il giorno degli sponsali lo sposo veniva condotto alla casa dei
suoceri da un gruppo di fanciulle. Là era accolto come ospite d'onore
con i riti di circostanza (atithi-satkara). Poi lo sposo , incontrata la
sposa , le donava un abito nuovo ed uno specchio e la ungeva: allora il
suocero consegnava solennemente la fanciulla. Seguivano le oblazio­
ni : il padre o la madre spargevano sulle palme dello sposo dei grani
arrostiti, che egli versava sul fuoco facendoli scorrere fra le dita. La
sposa , quindi , montava su una pietra , girava attorno al fuoco e , presa
per mano (pa11i-grahana) dallo sposo, compiva i famosi «sette passi»,
con i quali il matrimonio diventava irrevocabile. Lo sposo allora le
toccava le spalle , il cuore e l'ombelico e la aspergeva di acqua. Indi le
mani o le vesti degli sposi venivano legate assieme , dopo di che avve­
niva la consegna dei doni al maestro del giovane.
Un corteo (p ray'àna) conduceva la sposa alla sua nuova casa: essa
procedeva a cavallo , o su un elefante , oppure sul carro, trasportando
seco il fuoco domestico. Quando entrava nella nuova casa , senza cal­
pestarne la soglia, sedeva su una pelle di bue rosso , poi le veniva po-
64 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

sto in grembo un bambino nato da una donna che avesse sempre par­
torito figli viventi . quindi essa consumava assieme al marito una fo.
caccia sacrificale (ciò che ricorda la con_f.z"e.ztio dei Romani). La sera i
due sposi recitavano una giaculatoria dedicata alla stella polare ed al­
la stella Ar11ndh1111. che il marito mostrava alla moglie (Amndhatl.
una delle figlie del Prajàpati K.zrd.111111, moglie dello r�i V.zsisth.z, è
per gli Indiani simbolo di virtù coniugale . talché è tenuta in �-oiiside­
razione maggiore degli stessi sette ,rJi! ). Seguivano, poi . tre giorni di
castità rigidamente osservati dagli sposi (simile uso. a11estato dallo
studio di A. Pagliaro , esisteva anche in Persia): nel loro letto. per di­
viderli , veniva posto un bastone allo scopo d'impedire che quakhe
dèmone, Gandharva od altri , diventasse il fruitore del primo rappor­
to fra gli sposi . al posto del marito (simile uso è a11estato fra gli altri
popoli indo-europei , oltre che fra gli lndoiranic i : cfr. la saga relativa
alla spada messa fra SigurdhR e Sig rdrfa nella loro none di matrimo­
nio). Durante le nozze vengono recitate numerose formule e giacula­
torie in parte tolte dal grande inno nuziale di Siiryà, la dea-Sole. spo­
sa di Soma, il dio- Luna :

. . . Sen za spine. d i r i 1 1 e siano le vit· per le q u a l i g l i a m i ( i vengono al nos1 ro sposal i z i o .


I n sieme A ry,1n1.in . i nsieme Bh,1g,1 ( i rnndu( a . fa( i lc- a rnndursi sia l a nosi ra rn n d i z iom·
di rapi di rasa . o dè i .
lo r i sr iolgo dal legame d i V.im�.i. rn n i l qua lt· 1 i lt-gù l ' assai ht'llt'Volo S,11•it.ir. N d
riren arolo del l ' Ord i n e . nd m o n d o della huon a opera , t l' i l lc-sa mt· 1 t o insit·ml· al m a ­
mo.
Di qua la sr iolgo . non d i l à : la voglio fare b e n lega t a l à , affì n(ht essa . o gl'nt·roso l n ­
dra, a b b i a moh i fig l i e moha fr l i( i l a .
Pii�.in r i rnndura v i a d i q u a prendendot i per m a n o ; g l i A .fv/n t i rondu(ano s u l loro
rarro . Va a rasa per essere la pad ron a d i rasa . Coml' signora , (hl· 1u possa parlare
a l l ' ad u n a n z a '
Gioia qui t i 1 orr h i rnn la figliolanza; i n ques1 a rasa vig i l a sul fuoro domes1 irn (.1:Jr­
hapatya) . Con questo m a r i t o ù n isri il rnrpo . E , Vt'rrh i . possiate parlarl' a l l ' ad u n a n z a . . .
( RV , x . 8 5 ; t rad . Papesso . op. àt . ) .

Dagli ultimi due capoversi si può facilmente intendere come nel


periodo ario-vedico la posizione della donna fosse ben più alta e so­
cialmente importante di quanto non sarà successivamente nella co­
munità' indo-brahmanica. Vi è un chiaro accenno al fatto che la don­
na sposata poteva parlare all'adunanza.
I testi brahmanici indicano la tappa della vita successiva alla condi­
zione di capofamiglia con il termine di vana-prasthaa, «ritiro nelle fo­
reste», per cui il padre, diventato vecchio, lascia la direzione delle cu­
re domestiche al maggiore dei suoi figli già sposato e padre a sua vol­
ta, per meditare ed accostarsi alla conoscenza di quelle verità che pri­
ma gli balenavano attraverso l'insegnamento dei maestri e le sue
esperienze nel corso delle grandi sessioni sacrificali . Egli si avvia a di­
ventare un sa1flnyàsin, «uno che ha rigettato tutto» � che si riconcen­
tra in sé in attesa di abbandonare la spoglia terrena. E anche possibile
che quest'uso religioso sia l'eco della ben piu brutale usanza di ab-
LA RELIGIONE DEI VEDA 65

bandonare i vecchi o costringerli al suicidio, come nelle culture arti­


che, di cui si rinvengono tracce persino in alcune cittadinanze della
Grecia pre-classica. · In ogni caso, nell'India classica il termine di sa­
mnyasin è diventato sinonimo di sadhu o yogin e non _ha relazione
con l'età dell'individuo che ne è insignito.
L'ultimo sacramento è, naturalmente, quello delle esequie, me­
diante le quali - da una parte - l'anima del defunto viene consa­
crata a Yama ed accolta nei regni dell' Oltretomba - dall'altra - i
sopravvissuti si mondano dalle impurità relative al contatto con il ca­
davere e con la morte in senso generale . Nell'India vedica, come del
resto oggigiorno, i cadaveri vengono abitualmente inceneriti sulla pi­
ra. Non mancano allusioni, nei Veda, a cadaveri sepolti o esposti alle
bestie da preda (cosa testimoniata dalle scritture buddhiste, nella
parte relativa alla pratica di meditare nei cimiteri, fmafana), secondo
l'uso di popoli ruranici e centroasiatici, che si perpetua ancor oggi
presso gli Zoroastriani (Torri del Silenzio). Secondo il rituale vedico,
il morto, che dovrebbe essere spirato sul suolo coperto di sabbia e
sterco di vacca, viene lavato, unto e rivestito a nuovo. Gli vengono ta­
gliati capelli, barba e unghie; i pollici vengono legati assieme . Poi,
inghirlandato, e trasportato su un carro trainato da due cavalli neri
(oppure portato a braccia) alla pira. Il corteo, preceduto dai fuo�hi
sacrificali, è seguito dai parenti del morto, che si sono sciolti i capelli,
e dalla bestia che verrà sacrificata (generalmente una capra, in tempi
vedici una vacca di colore rossiccio scuro). Particolare interessante: al
cadavere è legato un mazzetto di rami di giuggiolo, allo scopo di can­
cellare ogni traccia, affinché egli non possa ritornare come fantasma l!­
tormentare i vivi. Medi.ante giaculatorie lo si .invita ad unirsi ai suoi
antenati ed a Yama, a sfuggire ai cani di Yama, e si bandiscono i de­
moni che si impossessano del suo corpo:

. . . Lu i l'he se ne è andato l ungo i grandi decli n i , che per molti ha scopeno la via, il fi ­
glio di Vivasvam , l ' adunacore dei popo l i , Yama re , onora con l ' offe n a .
Y a m a a noi ha c rovaco p e r p r i m o il c a m m i n o / p e r I ' A l d i la / : non p u 6 esserc i portato
via q uesto pascolo. Per dove i nomi amichi padri se ne sono andat i , per d i là / se ne so­
no andat i / i nati / dopo / , ciascuno per l a sua via .
. . . Avanzac i , avan zaci per le amiche vie, per dove i nomi amichi padri se ne so·no an­
dat i . Vedrai Yama e il dio Va.ru n a . entrambi i re che gioiscono a loro voglia .
. . . U n isr i c i rnn i padri . con Yama: con ci6 che hai offerto e donaco, nel cielo supremo .
Avendo lasriato ogni dife110 , va' di nuovo a casa : unisciti. pieno di splendore , con il
lnurJ 110 ! corpo .
[ ai demon i ] Andatevene . al lomanacevi , misciace via . A costu i i padri hanno prepa­
rarn quel luogo: Yama gli da un sico d i riposo discinto per i giorn i , acq ue, non i .
[ al mono] Corri per la v i a dirina a l d i là dei d u e cani figli di Sarama , d a i quattro oc­
chi [ proba b. «con due macchie sui due occh i • . ident ica espressione si ri t rova nel Maz­
deismo per denotare can i con funzioni purificatorie ecc . ] , maculat i . E va' dai padri ,
buoni donatori . che godono di comune banche110 con Yama.
[a Yama] A quei c uoi due can i , o Y am a . guardian i , dai q uattro occ h i , custodi della
\·i a . che osservano g l i uom i n i . affida cost u i . o re Yam a : a lui concedi benessere e sant i ­
ca . . . ( RV . x . 1 4 . c rad . Papesso , op . cit. ) .
66 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

Indi il morto viene collocato sulla pira . fra i due fuochi sacri . La ve­
dove gli si colloca al fianco , ma viene subito invitata a rialzarsi e ad
unirsi al cognato (ricordo dell'uso del levirato) . sostituto del defunto.
Se questi è uno k!11lny11, gli viene posto accanto l' arco spezzato , se è ,
invece , un brahmar,11, gli strumenti del sacrificio bruciabili, mentre
gli altri vengono donati . Secondo il Rg-veda il mono viene arso assie­
me ad un capro, simbolo di Agni; nel rituale è invece il corpo di una
vacca che viene sovrapposto , membro su membro, a quello del mor­
to. Nell'arsione vengono pronunciate preghiere apotropaiche, per
scongiurare la Morte:

O Mort e , va11ene via per u n ' a h ra st rada , quella d1t' 1i è propria . d ivt·rsa dal u m m i ­
no deg l i dè i . A ce (he hai on-hi e (he i,d i . io dirn: non n u,,(t'rt' a l l a noma progt·nit· 111:
ai nost ri mas( h i .
Quando voi ven i 1 e . (an,·el lando l ' impru m a d e l l a mortt· . più l u n g a pru i rat·ndo l a vo­
stra v i c a . fiorenti di prolt" e di ricchezza . sialt' puri e mun d i . o voi d egni d i I partt·, ipa­
re) al sacrificio .
Questi vivi si sono separac i dai mon i ; faust a è s1a1a oggi per noi l ' t"vo(aziom· deg l i
dè i . � vant i siamo pro,ed u 1 i . verso la d a n z a e lo sd1erzu . più lunga proi raendo la n o -
se ra v11 a .
Questa barriera i o pongo per i viv i . Non ragg iunga u n a h ro di rnswro u n a tait· mè c a .
Vivano cento autunni pien i ; coprano col monte l rnn l a pietra) la mon e .
Come i giorni tengono dietro al preceden t e . come lt· scagioni s i aht"rnano regolar­
mente con le stagioni . come i l susseguente non lascia i l precedent e . rnsf . o Creawrt· .
ordina le vite di costoro .
Salite nel l a vi t a , avendo sceh o la vecrh iaia , me1 1 endovi in fila dopo il prt"ceden t c .
quant i siet e . Q u i Tvagar . d a l l e belle rreaz ion i . v i faccia . conrnrdt' rnn voi . una lunga
v i t a , perché viviat e .
Queste donne n o n vedove . aventi u n buon marito , s i adorn ino rnn unguento e bur­
ro stru 1 1 0 . Senza lacrime , sen za mala1 1 i a . con bei gioiel l i , le donne salgano per prime
sul posto .
! al l a vedova) Lèvac i , o don n a , al mondo de, vivi ' Sei gia,·iuca vicino a rnsc ui il cui
spirito vitale se ne è andato: vien i ' sei entrata nella rnndizione d i moglie dello sposo
! cognato ) , che ti ha preso la destra e desidera aven i .
l ai mono) Prendo dalla mano del mono l ' arrn , d i dom inio, d i splendort· , d i poten­
za per noi . Là t u se i , qui noi , rin·hi di bravi fig l i : possiamo vi ncere 1u11e le ini micizie e
k i nsidie 1 • • • ( R V , x, 1 8 ) .

Numerosi sono i riti purificatori (lifauca) fra l'arsione del cadavere


ed il seppellimento delle ceneri . Queste , prima del sorgere del sole,
vengono portate in un luogo lungi dal villaggio e dalla strada , libero
ed aperto. lvi viene scavata una fossa, talvolta con l' aratro, ove si de­
positano i resti del mono, i quali vengono ricoperti di terra , di pietre
e di semi di grano. In piccole fosse adiacenti vengono versati acqua e
latte. Seguono le precauzioni del ritorno: cancellazione dei passi, ere­
zione di una pietra simbolica separante i vivi dai morti e varie cerimo­
nie lustratorie . Non è infrequente l'erezione di un monumento fu.
nebre.
I Veda non conoscono il suicidio rituale della vedova sul la pira del
defunto (satt) , come venne in uso in India storica: anzi essa è richia­
mata dalla pira, come si è visto, ed assegnata al fratello del defunto.
PARTE SECONDA
BRAHMANESIMO E HINDUISMO
1 . Concezioni generali

Nel contemplare la millenaria evoluzione delle Religioni indiane ,


siamo indotti a registrare due specie di fenomeni apparentemente
opposti : l' amalgama cultuale e dogmatico fra forme religiose , o addi­
rittura fra religioni , originariamente distinte; la tendenza di tutte
queste a ricollegarsi ad una rivelazione primordiale , che ne costituisce
l' archetipo . Il primo fenomeno comporta un insieme di modificazio­
ni strutturali profonde che giungono ad alterare le fattezze della reli­
gione dominante , come poteva essere il Vedismo : alla sua pragmati­
cità rituale si sostituisce la devozione ( bhaktt) , lo slancio emotivo e
l' attesa mistica propria ai culti settart Gli antichi dèi scompaiono, re­
stano le loro funzioni deformate , però , secondo un' ottica sempre più
sacerdotale : gli K!atriya vedici conquistarono l' India e diffusero i loro
linguaggi ari , ma furono i Briihma1'}a a darle un' anima, oltre che fog­
giare un linguaggio preciso, tratto dal Vedico , il Sanscrito (saf!J•sk,:ta,
«cosa perfetta» ) , atto ad esprimere , su un' ottava sacerdotale , tutto lo
scibile ed il cognoscibile di una civiltà umana tendente all' esperienza
del Divino. L' impronta brahmanica che caratterizza la civiltà religiÒ­
sa dell' India (si ricordi che il briihma1'}a non è il «prete» , bensì l' indi­
viduo di una particolare classe sociale che esercita anche la funzione,
sacerdotale) si rileva soprattutto nel modo di trattare alcuni temi es­
senziali , come ad esempio il tema della Morte , il quale non è già piu
un terminus ad quem , bensì un terminus a quo , un punto di parten­
za per una speculazione che volge ali ' Assoluto . «Al principio vi era
Mrtyu (la Morte) . . . », «Naciketas mandato dal padre come oblazione
a Yama, il dio dell' Aldili» , sono argomenti comuni che caratt<;rizza­
no la letteratura brahmanica sempre più volta ad un mondo che , se
da una parte diventa arditamente speculativo, dall' altra è sempre più
connotato da un' aspirazione al Mistero , al mondo arcano,
a-d ialettico , ineffabile . All' ottimismo di tipo «europeo> degli Ari ve­
dici si sostituisce l' intuizione del tremendum , che le folle devote
compartono con i solitari mistici e filosofi : è l' anima eterna dell' India
che si riafferma proprio nell' élite linguistica e culturale degli Ari ve­
dici , come avverrà millenni più tardi con le aristocrazie scite , ku�ana,
greche , persiane ed unne che verranno ad incastonarsi nel composito
quadro indiano.
Il ricollegamento dei nuovi culti ad una rivelazione primordiale ,
70 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

ma rinnovata di ciclo in ciclo da provvidenziali messaggeri divini . co­


stituisce il loro ar rese aro di cittadinanza entro l' ordine brahmanico.
In compenso , il contenuto spirituale dei Veda viene artefatto ed obli­
terato gradualmente per la difficoltà oggettiva degli uomini «moder­
ni» a seguirne la implicita ascesi visionaria : il Veda resta limitato al
culto familiare ed alla celebrazione solenne dei samskara.
Jean Varenne , nella monografia inclusa nella É-listoire des Reli­
gions ( Gallimard , Paris 1 970) , considera appartenenti all' ambito ve­
dico i Briihma1Ja, gli Ara1Jyaka e le Upamjad, il che formalmente è
vero , in quanto cali resti - olrre ai Kalpa-siitra - costituiscono l' ese­
gesi della rivelazione vedica. Dal punto di vista storico e spirituale es­
si rappresentano , però , un impulso che non è ramo vedico, quanto
brahmanico ( in quanto elaborati da tale casta, salvo alcune Upani�ad
che sono chiaramente opera di k�atnya e denunciano una chiara ten­
denza ami-ritualistica intellettualmente astratta) e radicalmente «in­
diano» , non più indoeuropeo! Per questo motivo tratteremo il conte­
nuto di cali cesti in questa parte , considerandoli quali punti di pas­
saggio al Brahmanesi l'!} o .
I termini «Brahmanesimo» ed «Hinduismo» sono più che alrro de­
finizioni di còmodo , volendosi indicare ct"n il primo l' elaborazione
filosofica del presumo contenuto del messaggio dei Veda (ci si riferi­
sce a indicazioni di ordine metafisico) e la sua sistemazione entro un
quadro rituale e sociale non più indo-ario, bensì «indiano» . Con il se­
condo , invece, si intende caratterizzare il contenuto oggettivo dei mi­
e i , religioni e culti , che si sono venuti affermando dal tramonto
dell'epoca vedica ad oggi , comprendendo il diverso on·e ntamento
ideale che essi presentano . Riteniamo che questo orientamento sia ,
sì, diverso, ma non «nuovo», in quanto probabilmente costituisce la
rivalutazione, entro un àmbito ortodosso , di antich issime forme reli­
giose, risalenti con ogni probabilità ad un 'era protostorica dell'India.
Lo sviluppo del Brahmanesimo dal Vedismo, che iniziò probabil­
mente a verificarsi attorno ali ' VIII-VI secolo a. C . , non si manifestò co­
me una improvvista trasformazione, bensì come un lento mutamento
dovuto allo sviluppo di altre concezioni spirituali . Queste concezioni
sono in parte dovute alla nascita del pensiero filosofico indiano, in
parte a diverso orientamento della coscienza religiosa che fece riaffio­
rare quei principi di devozione entusiastica ( bhaktt) , di interiorizza­
zione del divino e di tecnica dell'ascesi (yoga) diventati caratteristici
nell'India posteriore.
In questa nuova fase le massime divinità cessano di rappresentare
anche i processi della Natura Universale e diventano o esclusivamente
simboli di processi interiori, oppure dèi personali ( isvara , Signore), ai
quali il devoto si accosta acceso di amor sacro, o sopraffatto da timore
reverenziale . Pertanto, se si vuol comprendere il fenomeno del Brah­
manesimo, occorre in primo luogo intendere ch iaramente in che cosa
consistano i principi della speculazione mistico-filosofica indiana e,
CONCEZIONI GENERAU 71

allo stesso tempo , afferrare il significato profondo di queste figure di­


vine , alle quali si volge ora la meditazione interiorizzata degli asceti,
ora la commossa devozione delle folle. In questo panorama di inte­
riorizzazione e di individualizzazione dell'esperienza religiosa si si­
tua anche la trasformazione della concezione dello Rta, l'Ordine co­
smico impersonale , in quello del Dharma (ved. dhJrman) dalla rad.
dhr , «reggere» , il quale oltre a significare la regola o la giusta norma
per cui si reggono tutte le cose , acquista il nuovo senso di «ciò che cia­
scuno ha il dovere di fare>: sva-dharma significa quindi il dovere pro­
prio ad ogni condizione sociale , religiosa , familiare . Un altro elemen­
to di questo nuovo panorama è la gerarchizzazione del mondo divi­
no, che va acquistando l'aspetto di un monoteismo differenziato. Ti­
pico è il caso della tri�de (tn.m ùrtt) suprema di Brahmii, creatore , Vi­
snu , conservatore , e Siva , distruttore , secondo la differenziazione di
-�n Eme divino ineffabile ed immanifesto (nir-gu1_1a , «senza
qualit:l>) , oggetto di esperienza solo da parte degli yogin della classe
suprema. A costoro si aggiunge una folla di deità femminili (le miitr­
kii, «materculae>) , ora soccorrevoli , ora terrificanti, totalmente scono­
sciute all'amico pantheon vedico. Il quale, poi , non viene affatto ri­
pudiato, ma relegato in una specie di limbo rituale e liturgico, più
magico che effettivamente religioso . Vi è anche da notare che , con il
passaggio del Vedismo a ciò che diverrà l'Hinduismo, si ha un feno­
meno di vera e propria dilatazione dell'esperienza religiosa a tutti gli
strati della società , anche a quelli (come gli fùdra ed i fllori-casta) che
erano anticamente esclusi dalla comunione del sacrificio. Paradossal­
mente ciò non ha affatto distrutto le caste bensì le ha moltiplicate ,
perché , a parte il fatto economico-sociale della maggiqre specializza­
zione corporativa in una società pià ricca ed organizzata di quanto
non fosse quella antica dei Veda , un genere di esperienza religiosa
comune a tutti si è variamente articolata in modo da soddisfare le esi­
genze psicologiche di una grande varietà di gruppi umani, portatori
di differentissimi caratteri etnici ed etici . Ciò ha implicato, natural­
mente , l'introduzione nella liturgia e nel corpo dominale di elemen­
ti che appartenevano originariamente agli strati non-arii della popo­
lazione indiana: quindi anche di culti orgiastici ed estatici sconosciuti
agli Arii, manifestazioni rituali come la pùJa (adorazione dell'imma­
gine mediante offerte vegetali, rivestimento dell'idolo e sua
unzione) , pratiche ed elucubrazioni magiche , che tendono continua­
mente a spezzare o adattare il rigido schema della domina religiosa .
Di contro alla moltiplicazione e specializzazione delle caste a cui si è
accennato , si ha la testimonianza , nelle Upani�ad immediatamente
posteriori alt' epoca vedica e nelle scene «di ambiente» del Khue!r/aka­
nikiiyo buddhista (VI secolo a. C . ) , di mescolanze matrimoniali alme­
no fra gli appartenenti alle tre prime caste: si danno, inoltre , guerrie­
ri che insegnano la sapienza a brahmaQa , sudra che chiedono di veni­
re istruiti da Saggi, donne che hanno voce in capitolo e intervengono
72 RELIGIONI E MITI DEU.' INDIA

in discussioni religiose, giovanotti di incerta paternità che si_conqui­


stano un posto nella società per virtù e saggezza innata ecc . E proba­
bile che le irruzioni dei Persiani al tempo degli Achemenidi, le incur­
sioni greche, seguite centocinquant'anni più tardi dalla formazione
di regni indo-greci, le successive invasioni di Saka e Ku�ana prove­
nienti dal!'Asia Centrale, abbia reso più animato e variato il panora­
ma indiano, anche dal punto di vista religioso, di quanto ci si imma­
gini, legati come si è alla visione più recente di un'India suddivisa in
un numero infinito di caste e sotto-caste rigidamente endogamiche,
secondo un modello dipendente dalla crescente brahmanizzazione
della sua civiltà.
Questo mutamento del panorama psicologico della civiltà indiana
ha, come tappa iniziale, lo sviluppo embrionale dei sistemi filosofici i
quali, nascendo apparentemente dall'esegesi del sacrificio (sistema
Mimlif!Jsli, testi Briihma1Ja) e dall' indagine sullo Spirito universale
(brahman), in rappotto allo Spirito Individuale (iitman) (sistema Ve­
dànta, testi iniziali A ratJyaka ed Upamjad), portano al pensiero in­
diano nuove intuizioni e nuove dimensioni concettuali per l'inter­
pretazione del mondo e del suo divenire, che plasmeranno il patri­
monio religioso diversamente per tutti i secoli a venire. La filosofia è
quindi, in India, complemento della religione devozionale.
E necessario, pertanto, esporre le idee fondamentali filosofiche e
religiose di questa nuova fase dell'esperienza spirituale indiana, non­
ché i testi fondamentali che le documentano, indi trattare le figure
divine ed i riti loro connessi, altrimenti si rischia di non intendere il
significato medesimo dell'Hinduismo.
A molti sembrerà strano che, una volta scisse le maggiori divinit:l
del pantheon brahmanico dalla rappresentazione dei fatti naturali e,
quindi, totalmente «de-divinizzata» la Natura, il pensiero indiano,
anziché volgersi, come il nostro, all'interpretazione ed all'organizza­
zione concettuale dei fatti naturali, abbia assunto un atteggiamento
profondamente mistico (perfino nei sistemi filosofici «atei»! ) e non
sia sfociato in qualche forma di indagine scientifica (salvo nei campi
della medicina ed astronomia, nella quale sono forti gli influssi pro­
venienti dal mondo greco-mediterraneo), come è avvenuto nell' Occi­
dente sin dai tempi dell'antica Ellade . La ragione è da ricercarsi nel
fatto che l'Indiano ha, psicologicamente, un'attitudine ad intendere
il mondo che per certi versi è all'opposto di quella propria agli Occi­
demali . A lui - che sia limpido filosofo o bigotto ignorante - non
interessa tanto interpretare, «capire» razionalmente il mondo ed i
suoi fenomeni, lasciandoli, poi, dove si trovano (cioè fuori di sé) ,
quanto sviluppare dentro di sé l'esperienza delle energie sottili, invi­
sibili, intenderne il significato secondo l'adeguamento del suo spirito a
loro, fino a realizzare se stesso, estaticamente, come interiorità del
mondo. L'Indiano si propone, quindi, di conseguire attraverso
l'esperienza filosofica una sorta di mistica identificazione (anubhava)
CONCEZIONI GENERAIJ 73

con l'essenza della realtà (tathatii) . In tale modo , la filosofia riconver­


ge verso la religione , di là dalla medesima attiviti morale: la religio­
_ ne , a sua volta , si sublima in un insieme· di simboli allusivi ad espe­
rienze razionalmente inafferabili , «esoteriche». I simboli religiosi , fi­
losoficamente interpretati , vengono prima proiettati nell'universa
Natura , indi interiorizzati e riconosciuti come tappe di un'esperienza
illuminativa. Ciò presuppone l'esistenza di un insieme di tecniche
psicologiche e spirituali volte a rimuovere - mediante un'esatta ,
«scientifica» procedura - la limitazione soggettiva (mentale , vitale ,
psichica) , rendendo all'io umano la comunione graduale con il signi­
ficato delle cose , che poi gli si rivela come il proprio vero , inconosciu­
to essere : per dirla in termini Vedama , attuando l'identità fra il
Brahman universale e I' Atman individuale.
Questo insieme di discipline , che rappresenta una costante della
cultura spirituale indiana , è quello genericamente noto con il nome
di Yoga (soggiogamento delle facoltà psico-fisiche individuali; con­
giunzione del Sé individuale alla Realtà cosmica) , di cui si parlerà in
seguito. La mistica Sapienza che guida in tali esperienze è simboleg­
giata da un insieme di figure divine femminili, ignote al mondo ve­
dico . Sono le fakti («sposa-potenza») , simboleggiami il puro aspetto
di energia delle deità maschili che si riflette sui diversi piani dell' esi­
stenza e della coscienza. Questa energia può essere creatrice, stabiliz­
zatrice , oppure distruttrice . Sorgono cos1 innumeri figure femminili
benevole e soccorrevoli , oppure , al contrario , distruttrici e terribili.
Al loro culmine , come sintesi delle esperienze che esse rappresenta­
no , troviamo l'antic�_ immagine della Grande Madre ( Durgii, Piirvaii
o Kali degli sivaiti, Sn o Lakfmi dei vi��uiti eccetera) , simbolo della
Potenza-radice , che sorregge ogni singolo essere e dirige il divenire
dei mondi, tendente invariabilmente al loro riassorbimento , alla fine
di ogni evo cosmico , nell'Indefinito primordiale. Questa sostanza ,
sintesi di sapienza e di forza , è concepita come la sostanza (pradhàna
o prakrtt) da cui si traggono tutte le cose e per la quale tutte le cose
sono oggetto di conoscenza.
Un' altra concezione tipica del Brahmanesimo è quella degli Evi co­
smici ( manvantara, kalpa) e delle età (yuga) , immaginati come perio­
di ciclici durante i quali i mondi e l'umanità mutano , non solo este­
riormente , ma anche nel loro rapporto con il mondo divino delle in­
tenzioni, di modo che ad ogni epoca è necessaria u�a forma diversa
di rivelazione. salvatrice (v. infra in Tantra) . Vediamo , in pratica , co­
me si articola teoricamente questa concezione che , dietro al numero
sterminato di anni che comporta, cela in realtà una visione meta­
temporale del divenire dell' universo e dei singoli individui, dato che
il tempo ( kala) è fondamentalmente considerato una categoria sog­
gettiva dell'uomo , propria ad una forma di conoscenza. limitata . La
vita di Brahmà, il dio-Tutto creatore, dura la cifra simbolica di 1 00
annate brahmiche , che sono composte da un numero «supremo» (pa-
74 RELIGIONI E M ITI DEll' INDIA

ra) di anni umani: 3 1 1 miliardi di anni. Ogni giorno di tali annate


costituisce un kalpa («Forma» od «efficienza»). cioè un eone , di 4 3 2
milioni di anni. durante il quale un universo di mondi , di dèi e di
umanità viene emanato . Allorché sopravviene la «notte di Brahm:b
raie cosmo viene riassorbito e si ha così un ciclo di dissoluzione (Pr.i­
laya) . Creazione (sn/1). mantenimento ( sthitr) e dissoluzione (Pra­
laya) sono i tre momenti in cui viene scandita l'economia divina ri­
flessa nel tempo e nello spazio: di per sé sono metafisicamente con­
temporanei. Li simboleggia la suprema triade ( trimiirtt) di Brahma.
Vi�!lU e Siva (i seguaci, però . di Vi�r:iu e di Siva rnncepiscono il pro­
prio dio rispettivo come l'esclusiva personificazione dello Spirito
Universale, il brahman , gli altri due essendone simboli accessori).
Ogni kalpa comporta 14 manvantara (noi viviamo attualmente nel
7 ° ), ognuno dei quali appartenente al particolare Manu, Legislatore
umano, che lo regge. Il nostro è il 7 ° Manu Vaivasvata (v. infra) e
comporta 320 milioni di anni umani. A sua volta ogni kalpa com­
prende mille «Grandi Epoche», mahii-yuga: la nostra abbraccia
4. 3 20. 000 anni , oppure . secondo una teoria totalmente diversa. soli
12 mila anni e frazioni (tempo che corrisponderebbe circa alla metà
del cosiddetto «anno platonico» cioè al periodo in cui il Sole - nella
precessione degli equinozi - torna a trovarsi sotto la medesima co­
stellazione al punto vernale (inizio della primavera). Il mahiiyuga si
compone di quattro yuga (termine significante «aggiogamento» o
«traino» di quadrupedi) di varia durata (secondo la teoria massima, di
1. 7 2 8. 000, 296.000, 864. 000 e' 4 3 2 . 000 anni rispettivamente, secon­
do la minima di circa I / 400 inferiori) . Nelle ultime quattro età , o yu­
ga, si è verificato un progressivo peggioramento delle qualità fisiche,
morali e spirituali della razza umana. Queste quattro età, con voca­
boli presi dal gioco dei dadi indiano, vengono chiamate krta-yuga
(«età completa», detta anche satya-yuga, o «età della Verità», termine
quest'ultimo che ricorda quello latino di aetas Saturni, con cui si de­
signava l'età dell'oro, dato che sat, in tutte le lingue indoeuropee, dà
il senso della pienezza, completezza e soddisfazione - satis-faction ) ,
tretii-yuga («età della triade» o «del passaggio»), dviipara-yuga (età ca­
ratterizzata dai «due»), kali-yuga («età funesta»). Queste età corri­
spondono li. quelle che in Occidente vengono designate con i nomi
dei metalli: oro, argento, rame e ferro. Nella prima di esse regnano la
giustizia, la felicità, la sanità e la fecondità universali: anche la morte
appare come un passaggio da una condizione ad un'altra di cui si è
perfettamente consapevoli. Suo re è il mitico Prthu , nato dal Fuoco,
mungitore della «Vacca del Desiderio» (kamii-dhuk) , la Vacca divina
che alimenta rutti gli esseri e che soddisfa ogni desiderio (kiima) a chi
la munge (duh !dhuk) , il primo re liturgicamente consacrato, natu­
ralmente, dagli dèi e dagli r�i. Nel tretii-yuga, gli uomini cominciano
ad essere soggetti alla morte, nel senso attuale del termine, a soffrire,
a lavorare ed a pregare diversi dèi per fini personali: comincia a per-
CONCEZIONI GENERALI 75

dersi la comunione naturale con il mondo divino possibile solo i n una


condizione di contihua sacertà propria ad un «tempo senza tempo•.
Segue il d11lpara-y 11ga , in cui la brama umana verso le cose fa appari­
re i vizi : resta fra gli esseri umani solo la metà del Dharma originario.
Un quarto di esso permane nell'attuale età del ferro, il kali-y uga ini­
ziato il 18 febbraio 3 102 a. C . , in coincidenza con la morte dell'eroe­
dio Km1a (v. infra, l'Achille-Dioniso indiano, dopo la fine della
grande guerra descritta nel Maha-bhllrata (v. infra).
Questa data relativa, più che ad un mitico yuga, ali' eroe della gen­
te Yadava, può anche rivestire una certa verosimiglianza: indica, se
non altro, l'inizio di un'era «storicai. sui genens, che potrebbe essere
oggetto di ragguaglio con l'era sothica egizia (a. C. 4 2 28-2 7 70) e
quella diluviale sumerica. (Né sarebbe da trascurare l'inizio delle ere
storiche in altre parti del mondo nella medesima epoca: cfr., nella
cronologia maya, l'anno iniziale situato nel 34 33 (tavola di Leyden) o
nel 3440 (v. stele di Uaxactun; v. S. G. Morley, 1956). Parecchie ca­
ratteristiche del kali-yuga sono tratte da fatti storici che i Pura,,a,
opere tradizionali vigmite (v. infra), descrivono come profezie: do­
minazioni di genti barbare sugli Ari (indiani! ), mescolanza di caste,
corruzione e indebolimento degli uomini, rovesciamento delle sta­
gioni, perdita del gusto degli alimenti, flagelli vari e fame. Alla fine
del kali-y uga tutto il mondo finirà in un diluvio seguìto da un incen­
dio: i testi cosmologici jaina (v. Jinaljaina, infra) sono impressionan­
temente precisi al riguardo. I vi��uiti parlano segnatamente dell'av­
vento di un Salvatore finale, il Kalkin (prob. da karka, cavallo bianco
su cui è montato, v. infra) -avatara, cioè incarnazione di Vi�l)U, con il
quale inizierà un nuovo kr{a-y uga, concezione forse mediata
dall'Iran, ove vigeva l'attesa messianica del Saosyant (Salvatore).
Questa medesima idea diventerà credenza nel Buddhismo, special­
mente mahayanico, che la riferirà all'avvento apocalittico del Bud­
dha Maitreya, circa 5000 anni dopo la venuta dell'ultimo Buddha,
Gautama Sakyamuni: anche in questo caso la teoria sembra più da vi­
cino riprendere il motivo iranico suaccennato, riferito al nume solare
Mithra.
Il Brahmanesimo, quindi, nonostante l'attaccamento ideologico a
quanto sia antico e tradizionale e all'irrigidimeqto delle caste, ha una
visione storica e soggettiva dell'evoluzione, o involuzione, umana,
alla quale corrisponde una concezione meta-storica del divenire del
cosmo divino. Si tratta , in realtà, del fatto che, mutando le disposi­
zioni interiori degli uomini nei riguardi del Dharma, inteso sia come
Legge essenziale della Realtà che come norma morale, questo viene
diversamente rivelato di epoca in epoca al genere umano. Con questo
sistema il Brahmanesimo, restando fermo nella venerazione formale
dei Veda e fedele ai principi filosofici espressi dai sei sistemi classici
( darfana, v. infra) , giustifica e congloba in se stesso disparati sistemi
religiosi · e vie mistiche, spesso appartenenti allo strato aborigeno
76 RELIGIONI E MITI DEI.L' INDIA

dell ' India . Abbiamo , quindi , in questa nuova fase la concezione dei
successivi ava!ilra, o «discese» del principio divino (specificatamente
V1�i:iu) , che liberano l ' Umanita dai particolari flagelli di ogni partico­
lare epoca , rivelandole al contempo una nuova norma liberatrice ( ti­
pico è il caso di Kcf�a- Viisudeva-Nizriiyana) . Queste nuove rivelazioni
sono , ad esempio , quelle contenute nei testi detti sa,rzhitii dei vig1ui­
ti , iigama degli sivaiti e tantra degli sakta ( v . infra) , che intendono
tout court sostituirsi ai Veda , con il pretesto che le ascesi implicite in
questi sono impossibili a praticarsi nella umanità attuale , indebolita
moralmente e fisicamente , la cui durata vitale non consente prolun­
gate penitenze e meditazioni e che , soprattutto , è priva della natura­
le percezione del mondo divino , propria ai Saggi del mondo antico .
Questa coscienza evolutiva , o involutiva , riguardante i rapporti fra
l ' uomo ed il mondo divino , che assunse veste filosofica e logica con il
Brahmanesimo , divenne in seguito retaggio comune di tutti i sistemi
religiosi indiani , per diffondersi poi in tutta l' Asia orientale tramite
il Buddhismo .
L' idea del karman , a)la quale, si è alluso nelle pagine precedenti , è
uno dei dogmi centrali del Brahmanesimo e tale diventerà nel Bud­
dhismo , poiché su di esso si regge la concezione delle ripetute vite
terrene o preter-terrene di ogni uomo , cioè il sa,rzsiira a cui si è già ac­
cennato. Essa nasce da una «secolarizzazione» dell ' omonima nozione
vedica ( v . infra) , secondo la quale sarebbe la forza inerente all'«atto»
rituale che lo conduce ad effetto . La Mimamsa lo definisce a-drsta,
cioè «il non-visto» , in quanto tramite impercèttibile ai sensi fra u·� ·ri­
to ed i suoi effetti . Per il Brahmanesimo esso diventa ogni «atto nato
dal pensiero , dalla parola o dall' azione immateriale» : i testi lo com­
parano all' ombra che segue l' uomo , ad un cibo indigesto , al fiume
che , irremeabile , scorre verso la foce . Qualunque azione che l ' uomo
compia , essa comporta , di là dall' effetto materiale immediato , una
«maturazione» ( vip4ka) che avviluppa l ' anima e la rende propensa ad
un destino particolare che si verificherà in un determinato momento ,
come punizione o come ricompensa . Poiché il Brahmanesimo am­
mette per ogni essere una serie indefinita di vite successive , fino alla
sua liberazione ( mukti, mok!a) in seguito ad ascesi, ne risulta che , al
termine di un' esistenza intermedia (antara- bhiiva) immediatamente
dopo la morte , durante la quale l' anima del trapassato viene messa
faccia a faccia all ' effetto delle azioni compiute durante la vita , suben­
done un primo contrappasso , l ' uomo ritorna sulla terra con un «resi­
duo» (anufaya) che è la sintesi dinamica del suo karman passato , il
quale determina per lui una nuova forma di esistenza. L' uomo è ,
quindi , direttamente responsabile della particolare esistenza in cui è
venuto a nascere , dato che questa è stata determinata dalle azioni da
lui compiute in una vita anteriore .
Lo strumento mediante il quale l' uomo si libera da questa impla­
cabile ruota dell ' esistenza è la Conoscenza ( vidya, jfiana, prajiia) ,
CONCEZIONI GENERALI 77

la quale non è l' astratta rappresentazione di un particolare Vero,


bensì l' esperienza i nteriore , diretta e rotale, della Verità Assoluta,
che alla fine si rivela , essa stessa , come la suprema essenza cosciente
(Parasaf!Z vid) dell' Io. Vedremo, ora, le tappe amaverso le quali il
pensiero religioso e filosofico indiano cerca di avvicinarsi a questa
ideale realizzazione interiore, sulla quale si orienta tutta l' esperienza
religiosa.
2 . Testi mitici , filosofici e letterari

Le opere che documentano la fase di passaggio dal Vedismo al


Brahmanesimo , nel senso che qui si attribuisce a questi termini (v. p .
x y ss. ) , sono u n insieme d i testi i n sanscrito , alcuni dei quali estrema­
mente antichi , forse di pochi secoli posteriori agli ultimi inni vedici,
altri relativamente recent i . Si tratta, in pratica , di una letteratura , la
cui redazione inizia attorno al X-VII secolo a . C . , tempo in cui presu­
mibilmente furono redatti i più antichi Brahma,:1a, per continuare fi­
no al VII-IX secolo d. C . , epoca nella quale furono compilati gli ultimi
Purii1Ja, testi mitologici , mistici e normativi con i quali si è già nel
pieno di ciò che si è convenuto definire Hinduismo . L' importanza di
queste opere risiede nel fatto che esse costituiscono il nucleo centrale
della tradizione spirituale indiana in tutti i suoi rami: religione , filo­
sofia, mistica, letteratura, politica e sociologia. Le fonti del pensiero
brahmanico , immediatamente attinenti alle sue origini meramente
religiose , comprendono in sintesi : i Briihma,:1a, o interpretazioni
tecnico-speculative sul rito vedico , mescolate a numerose elucubra­
zioni mistiche e cosmologiche, i già accennati Ara,:1yak.a trattati «sil­
vestri• ad uso di eremiti , le Upani1ad, o «insegnamenti esoterici• , fi­
lone centrale della speculazione indiana ( assai curiosamente, per gli
Occidentali , la speculazione filosofica, come si vedrà in seguito , na­
sce dalla contemplazione del «mistero• , non dalla pura ragione logica
che ne è il presupposto epistemologico) . A questi si possono aggiun­
gere i Kalpa-siitra, o insegnamenti rituali (ancora con attinenza al ri­
to vedico) e i Dharma-fastra, o trattati della Legge , . di contenuto
giuridico-sociale e politico : fra questi ultimi spicca il famoso Manava­
dharma-fastra, «codice della Legge di Manu• , che tratta minuziosa­
mente dell' ordinamento della società indiana, ormai in epoca tardo­
amica , e i vari Da,:,(ia-fiistra, o trattati di governo e politica, assai
spregiudicati e realistici , che ci offrono un ' immagine chiara della or­
ganizzazione dello stato e del governo degli antichi stati indian i . Con
i Pura,:,a, invece ci si trova in pieno Hinduismo , nel senso però che es­
si riflettono credenze antichissime in un contesto relativametne re­
cente : essi sono le «antiche• (etim . ) leggende degli dèi , che conten­
gono il tesoro fondamentale della mitologia e cosmologia brahmani­
ca o , meglio hindu . Di compilazione più antica ( IV secolo a . C . - III
a . C . ) sono le epopee cicliche Maha- bl;iirata («la Grande Bharateide•)
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETTERARI 79
e RiimJyiina («le avventure di Rama»): oltre all'elemento avventuroso,
guerresco e forse storico, relativo alle imprese di mitici eroi «lunari> e
«solari», le due opere contengono una vera e propria enciclopedia reli­
giosa, filosofica e giuridica dell'antica Indianità. Tradotte nei moderni
idiomi indiani e dell'Asia sud-orientale, esse mantengono intatta, do­
po oltre due millenni, la loro attualità drammatica e normativa. Infine
si ha la letteratura sterminata delle Samhitii vi�Duite e degli Agama e
Tantra, cioè gli insegnamenti soteriologici, permeati di discipline yo­
ga, delle sette sivaite e sakta, delle quali si tratterà in seguito.

a. I Briihmaria e Psicologia della Parola.


I Brtihma11a, «la Scienza del Brahmam, costituiscono la mistica esege­
si del sacrificio e ne espongono il significato, sempre secondo la ten­
denza «interiorizzante» propria agli Indiani. Dal punto di vista stori­
co, documentano l'influenza crescente della classe dei BrahmaDa nel­
la società indiana, sin dal tempo della definitiva compilazione
dell'Atharva-veda, che corrisponde ali'inizio di questa letteratura.
Accanto alla monotona e spesso arida esegesi della liturgia, questi te­
sti espongono il significato magico degli atti cultuali ( cioè a dire: «il
sacrificante compie quest'atto o recita tale formula, perché questi
corrispondono a un tale o talaltro evento nel mondo degli dèi, eccete­
ra»), a cui segue la leggenda di sui si tratta (ltihJsa, da «iti-ha-isa» =
«così, invero, è stato» , oppure Akhyiina, «narrazione») - di immensa
importanza -. È molto importante, ai fini del futuro sviluppo della
speculazione «psicologica» indiana, la corrispondenza che questi testi
liturgici stabiliscono, non solo fra gli elementi del sacrificio e gli ele­
menti cosmici, ma fra questi e le componenti psichiche ed organiche
della persona del sacrificante. L'elemento teologico, invece, che poi
sfocerà nella scuola filosofica della Mirpamsa, è quello dato dall'eter­
nità della Parola, cioè del Verbo, il quale - in un certo modo - si è
sostanzializzato nei tre Veda. Questo Verbo ( Viic , cfr. lat. vox) è il
medesimo brahman , tessuto di ogni realtà: esso si incarna nell'uomo,
cioè in un essere che può ripeterne la sonorità, nell'atto medesimo in
cui lo ritrova negli oggetti, allorché riconosce il loro significato e li
denomina in conseguenza. Il linguaggio umano, pertanto, è una sin­
tesi di suoni articolati e di significati, che corrispondono a oggetti
reali od ideali: la separazione fra questi tre elementi, suono­
significato-oggetto, propria alla esperienza razionale del mondo, è la
degradazione procedente da uno stadio superiore, nel quale, la paro­
la è magicamente creatrice, perché reca in sé la sintesi di significato­
pensiero (artha) della cosa indicata dal suono puro (fabda, niida) che
le è immanente. A questo stadio l'uomo può elevarsi mediante la
meditazione profonda (dhyiina) , che lo conduce ad identificarsi inte­
riormente a Praj apati, il Signore della Specie, in una condizione che
giace di là dal sonno profondo («la quarta>, turiya) .
80 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

Per illust rare l' elemento simbolico e quello mitologico presente


[!Ci Brahmai:ia . presentiamo a seguito due diversi passi dello
Satapatha- bràhma,:,a. il secondo dei quali di particolare interesse per­
ché ripete la versione indiana del Diluvio Universale . nel quale M,in11
ricopre la funzione di Noè: il Dio Salvatore è ancora il Dio-Tutto Pra­
japati, che successivamente verrà sostitui co da Vi��u:

I . L ' A g 11i-hu1r.1 [ l ' oblazione al fuorn] è . i n \'m> . la nan· d1c nl('n.l al Ciel,, : di 1 a k
nave c h e wnduce al Cielo . i fuor h i Jh.11·,111r)'.1 t' gJrh.1p.11.1·.1 s.,n,, k dut· tianra1 t· t·d i l
pilo1a è rnlui che offre i l la1 1 e . Quand,, egl i s i i rasp,,n a \'erso J ' Es1 . s p i n g e la n ave verso
J ' Es1 . in d i rezione del mondo relest e : wn q uest a nave t·g l i w n q u ist a il nwnd,, rdt·s t t· .
Mom andovi d a l Nord . essa l o fa arredere a l mondo relt·s1 t· : m a . st· v i soggiorna g i u n ­
ge ndovi dal Sud . è rnme s e q u a k u n o arrivasse q u a n d , , la n avt· 11.1 gia preso i l l argo : rt·­
sterebbe i ndietro . si 1 roverebbe fuori di rna ( I l , 3 . 3 . 1 5 ) .

Naturalmente qui i punti cardinali Est , Ovest , Nord. Sud , sono re­
lativi alle deambulazioni compiute dal sacrificante («il pilota») attor­
no ai fuochi ed hanno sempre un riferimento cosmirn preciso. Cosi ,
ad esempio , la «Via del Nord» (uttara-yana) indica la liberazione
(mukti, mok!a) la via verso gli dèi (deva-yana) ; la «Via del Sud»
(dak1i1Ja-yana) simboléggia , invece , il ritorno entro il genere umano
in un'altra vita, è la via lunare degli antenati (pitry ana) ; l'Est è, inve­
ce , la conoscenza aurorale, l' intuizione di ciò che comporta il simbo­
lo; l'Ovest indica , invece, la conoscenza degli element i mediante la
percezione sensibile , eccetera .
Vediamo ora la narrazione mitica:

2 . Un mauino portarono a Manu l ' arqua per k abluzion i . t a i t· t· qualt· wmt· anwr
oggi si porta l ' acqua per lavarsi le man i . Mentre egli si l avav a . elTo . un pesn· gli vennt·
fra le m an i . Il pesce g l i i n d i rizzo la paro l a . d icendog l i : «abbi cura di m e . io t i salver6• .
«E da che rnsa mi salvera i ? » . «Dal d i l uvio rhe ingh io1 1 i ra t u m· le c reat ure : è da quesw
che t i salverò• . «Come de bbo ave r rura d i te ? • . I l pem: d isse : «Finrhf noi peSt·i siamo
picrn l i n i , dobbiamo affront are mohi riSt·hi : i l pesre mangia i l pesce. M i dovra i . q u i n ­
d i . conservare i n u n a pen tola. poi . quando sar6 troppo grande . scavare una fossa e ser­
barmi là; poi q uando sar6 ancora più grand e . m i dovrai t rasportare nel mare: i n quel
momento io avr6 superato i perico l i della m,orte . Sappi rhe l ' an n o raie e t ale verra u n
d i luvio: prepara una n ave e veglia s u d i m e . io ri sal ver6• . Manu e b b e c u r a del pes,:e e
piu rardi lo porro in mare . Nel l ' anno predetw dal pesce. Manu prepar6 una n ave e vi­
gilo: quando i l d i l uvio crebbe. egli sali sul l a n ave . I l pesce accorse : l eg6 alla sua pinna
la gomena della nave e cosi sorpasso la momagna del Nord . Disse al lora a M a n u : «Ecco
che ti ho salvato: anacca la rua nave al l ' a l bero , ma srai auento che l ' acqua non t i spez­
z i mentre srai sulla montagn a . A misura che l ' acqua si rir i rer:i , r u scenderai • . E rnsi ,
poco per vol r a , Manu discese a rerra. La montagna del Nord si chiama ancora la discesa
d i Manu• (1 , 8, 1 ) .

La medesima leggenda sarà sviluppata dal Vtjr,u-purana, che nel


pesce riconoscerà il Matsya-avatara (v. infra Vf11Ju) a cui si è accenna­
to e, in quel Mfou particolare, il settimo dei 14 , Vaivasvata-M. (v.
infra), progenitore della dinastia solare alla quale si riferisce il ciclo di
leggende eroiche del Ramayana.
TESTI MITICI, FILOSOFICI E LETIERARI 81

b. Àra'}yaka e d Upani1ad. Il mito filosofico e i Quattro Stati.


Gli À rar,yaka sono cesti segreti (rahasya) , il cui nome (ara'}ya, «sel­
va» , «deserto») alludeva al fatto che il loro contenuto esoterico era ri­
tenuto magicamente pericoloso per la comunità e, quindi, veniva let­
to fuori di essa; secondo altri, il nome indica semplicemente che la
loro lettura era riservata agli anacoreti viventi nelle selve. Gli À ra'}ya­
ka comprendono generalmente una parte liturgica (mantra), selezio­
ni di versi rgvedici (sutra), commentati da una parte teologica (brah­
ma'}a) . Con gli A ra'}yaka e le Upanifad propriamente vediche, cioè
le antiche , si ha come un riflusso di interpretazioni esoteriche verso i
Veda, la cui parte rituale-normativa scade d'importanza.
Le Upani1ad, che ufficialmente si annoverano secondo il numero
mistico 108 ( quelle antiche e medie sono in realtà una quinc!icina),
sono talvolta collegate alla parte teologica suaccennata degli A ra'}ya­
ka. Obiettivamente bisogna riconoscere che, almeno quelle non se·c ­
carie e in parte anche queste, sono suddivide secondo le diverse scuo­
le vediche . Che cosa significa Upan#ad? L'interpretazione più cor­
rente è quella di «sessione» (sad) presso (upa) i piedi (ni , lett. «in
basso») del maestro: il senso generale è di «insegnamento arcano».
Con le Upanzjad cambia totalmente il panorama spirituale dell' In­
dia e inizia veramente la sua epoca filosofica. Fino a questo punto si
era trattato di comprendere «che cosa» fosse l' atto sacrificale (yajna,
karman) e in base a quali principi menasse ad un determinato risulta­
to. Ora, invece, si tratta di conoscere echi» è il soggetto dell' atto sacri­
ficale - al cui rango viene elevata , per eccellenza, l'attività meditati­
va , - e quale sia il suo rapporto con- J ' Essere universale, il principio
di tutte le cose, cioè il Brahman . Se questo Brahman è necessaria­
mente l' Io-Tutto, come avviene che si dìanò tanti soggetti quanti so­
no gli uomini? Quale è il rapporto fra cale Assoluto unico ed il molte­
plice mondo oggettivo della nostra vita quotidiana? Con ciò vengono
posti i problemi cardinali di tutta la speç_ulazione indiana, che sono i
seguenti: il rapporto fra il Brahman e I ' Atman (sé individuale o, me­
glio, sé vivente , Jivatman); conciliazione fra la molteplicità del mon­
do oggettivo e l' unicità essenziale dello spirito, unica verità reale,
perché non trae da altri il principio del suo essere; origine e correla­
zione fra pensiero, facoltà sensorie e mondo oggettivo, cioè in che
modo il sé individuale, mediante i canali dei sensi, si pone in rappor­
to con il mondo attribuendogli un significato, che trae dalla propria
interiorità. Gli Indiani , in genere, risolvono tali problemi in una ma­
niera «mistica» , cioè secondo un excessus mentis che conduce ad
un' intuizione centrale di tutta la Realtà, abbracciante sia il soggetto
che l' oggetto dell' esperienza pensante, di là dal pensiero dualizzante
(vikalpa). Questo è il punto che, interpretato candidamente dai criti­
ci occidentali, ha dato luogo alla definizione di «panteismo indiano»:
82 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

sarebbe più acconcio dire «idealismo magico» . semmai . dato èhe il


mondo oggettivo viene dedotto . nei suoi cinque elementi formali ,
dalle facolra sensibili (indnya) . e queste dai vari gradi del la coscienza
pensante . Tale sarà il punto di vista del Samkhya (v. infra) uno dei sei
sistemi classici .
Le Upanzjad cominciano col porre tali questioni in termini appa­
rentemente inspirati ad una forma ingenua di naturalismo ma anche
qui bisogna intendersi , perché ciò che in Occidente si denomina «for­
za della Natura» . espressione che è la trascrizione astratta di un insie­
me di percezioni relative ad un complesso di fatti esterni . per l ' India­
no antico veniva a-dialetticamente intuìto come una forma del Divi­
no , contemporaneamente fuori di l ui . come insieme di avvenimenti
naturali, e dentro di lui , come «potere» ( indn:va) di percezione che ne
abbraccia le fattezze percepibili . Per la psicologia dell 'Indiano classi­
co, quindi. le fon:e coscienti dell 'anima sono essenzialmente omoge­
nee a quelle energie che fluiscono nell ' Universo e ne determinano le
forme con cui si presentano ai sensi sotto / 'aspetlo difenomeni natu­
rali.
L' insegnamento deUe Upan/s{ld è lungi dall ' essere omogeneo e si­
stematico , non solo , ma le differenti Upamjad sono diversamente
orientate circa il m odo di esaminare i vari problemi . Ad esempio , le
Upamjad più antiche si preoccupano di stabilire un parallelo simbo­
lico fra gli elementi del sacrificio vedico e i principi costituenti l' Uni­
verso , attraverso un «mesocosmo simbolico» rappresentato dallo iit­
man e dalle facolrà per cui si estrinseca lo spirito umano . Nelle Upa­
nisad successive , invece , il sacrificio vedico viene poco per volra di­
menticato , nuovi dèi appaiono in sostituzione di q uelli antichi , men­
tre la loro funzione sembra simboleggiare le mistiche operazioni me­
diante le q uali l' asceta giunge a sperimentare l' identità fra Universo
( Purusa, Brahman , ecc . ) ed individuo (iitman, ftviitman , sa-gupa­
brahman «spirito qualificato») . In q uelle più recenti ancora , che da
un' epoca imprecisata giungono fino ai sec . XIII-XIV ( altre più recenti
contengono la dottrina di qualche setta) , si espongono le dottrine re­
lative ai molteplici stati di coscienza , fondamentali per lo Yoga , in
quanto si presume che l' asceta , mediante i sistemi di questa discipli­
na , penetri perfettamente sveglio e consapevole nelle condi zioni su­
bliminali , ove vìgono , rovesciati , i diversi gradi dell ' energia cosmica
(faktz) che foggia l ' Un iverso conforme alle cause . Queste ultime Upa­
mjad, che già tracimano nel campo tantrico , sono particolarmente
interessanti poiché ci illuminano sulle tradizioni mistiche delle scuole
saiva e vaiHtava ( v . Filippani , Upanifad, Torino , 1 960-68 , pp . 7 - 2 4 ) .
Si è g i a accennato all ' origine prima dei sistemi filosofici Mi1'fllimsii
e Vediinta, che traggono i loro principi dai Bràhmar:ia e dalle Upani­
�ad , rispettivamente . Gli altri quattro sistemi , due dei quali hanno
un immediato influsso sulla speculaz ione cosmologica e religiosa del ­
le Upanisad ulteriori e della dogmatica settaria, sono il Sli1'flkhya
TESTI MITICI . FILOSOFICI E LETTERARI 83
(«enumerazione» dei principi cosmici nascenti l' uno dall'altro a par­
tire da una sostanza primordiale. Pri1kr11). Yog.i ( tecniche per la rea­
lizzazione delJo Spiriro Universale entro il Sé individuale). indi Vai"­
fefika ( «distinzione» delle categorie della realtà obiettiva) e NyJ.ya
(«Regole del giusro pensare»). questi due ultimi strettamente correla­
ti. Tutti insieme formano i cosiddetti 6 d.irf.in.i. «modi di vedere» (il
mondo), classici.
Esaminiamo, ora, alcuni motivi fondamentali delle Up.inifùd.
Le Upanif,zd più amiche ( Brhùd-iiratJyùkù, Chiindog_yù e Aili1re.vù)
manifestano la preoccupazione di tradurre in termini speculativi e
«scientifici» l'amica leggenda dell'Essere cosmico dal quale sarebbero
nate tutte le cose. Quesro essere viene identificato ritualmente ali'ar­
chetipo del cavallo sacrificale, a sua volta prodotto dal dio «Morte»
( Mrtyu; con quesro termine s'intende il Vuoto . cioè l'assenza metafi­
sica di qualunque essere). Tale Vuoto-Morte è «ravvolto di fame» ,
cioè dalla tendenza primordiale verso l'essere. che poi è l' essere me­
desimo:

A l l ' origine quaggiu nullà vi t'ra . Tu1 t o queslll un ivt"rso t'ra ravvollll in lllr1.v11. ndb
Fame . pen·hé la fame è m1m t' . Al lora rnnrepì il pt'nsit"ro : « Possa io esserm i ' • I J1111.;111•i
s.viim . le1 t . «aven t e se-st esso io mi sia ' • I . l'. mt"nm· prqiava . si m ist' in mol l i . Da l u i rht·
pregava n al'quero le a!'que ed t"gli si disst" : «Si prega i .Jr<'I presso di mt· t· la frlirità i .é.;]
ne venne• . Donde il nome di A rk,; ! al Sok ] . In Vt"rit a la fd i,ità t ona a rnlui il quak
rosi ronosre per!'hé il sole si rhiami A rk,;. ! Come: appart· nei passi segumt i , lo sperula­
mre upani�adiro intende per .;r.é.i l ' «exsis1ert'• del mondo ddlt· neat u n· di qua dal Pri­
mo Essere che. di per sé . è puro Vuol ll ] .
Le Acque ! Jpas, !'ioè l a vita universale , i l sanifi,·io] sono .irk.i. Ci<Ì d1t· t·ra l a panna
delle al'que si ronsol id6 e divenne la Terra . Su di essa Mrt.vu si affa1 il'ù i: . mt'lll rt' t·gli si
adoprava e si scaldava, si sprigionò l ' essenza del tejas , il Fuorn . I Te1a.r è la sost anza di
fuoco- l uce irraggiante da ogn i nea t u ra viven t e . mentrt' il tapa.,· è il !'alort·-volon t a di
mi è ma1eriaw ogni essere : si veda piu avan t i ] .
Egli divise s e stesS<> in i re part i , delle quali il fuorn è l a prima, il sc,le la sernnda, i l
ven to la terz a . Questo è l o spiriw vitale IPrJra] , i n m: part i diviso . D i essc , , l ' Orir:n te è
il t·apo , questo e quello I = i due pu n t i in termedi . sc·irotTo e grern] sono le sue zampe
an teriori , il suo O!'cidente è la roda; questo e quello I = i due punti intermedi , maest ro
e l ibe!'cio] sono le sue zampe pos1eriori , il Sud ed il Nord sono i suoi fiam-h i , il Cielo il
suo dorso , l ' atmosfera il suo ven t re . la terra il suo pet to ed è fondato sulle acque .
Ovunque proceda , colui !'he rosi rnnosc·e avra sol ido appoggio.
Egli desider6 : «Possa io avere un sernndo I a me stesso ] • . Mrtyu- Fame si a!'rnppi6 al­
lora in ispirito con la Voce I VJc] e quello l'he era i l suo seme divenne l ' anno. Pri ma, in­
fal l i , non vi era l ' an n o. Egl i resto gravido tulio il tempo ,·he è un anno ed alla fint' di
questo periodo si sgravo . Verso i l nato spalanco la bocca ! per divorarlo ] . Quest i fece :
«bhar• e cosi nacque la parola . I la radice bhar significa, per l ' appunto, «favel lare• ,
«parlare• ] .
Al lora considero : «Se m e ne c i bo , ben piccolo sara i l m i o al imento• . Con quest a Vo­
ce , con q uesto essere ( altro da l u i ] . egli genero tulio quanto esiste e cioè le fc, gli ya111s ,
i sJman , i chandas, i sacrifici , gli uomi n i e gli animali . E tulio c i ò c h e m a n m a n o anda­
va generando egl i si mise a d ivorarlo. In verit a , l ' essenza di Aditi risiede nel fallo che
mangia tulio ( alli, dalla rad . ad, lat . edere] . Col u i i l quale in tale modo conosce l ' es­
senza di Aditi, di tulio si ciba e tulio d iventa il suo alimento l anna, dalla rad . ad. Cfr.
i l m ito greco di Kronos che divora le sue creature ] .
84 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

Egli desidero: «Possa io grandemente sacrificare con grande sacrificio» . Egli si adope­
ro e si scaldo ndl' ascesi [ 1.ipa.r) . Da lui che si era adoperato, da lui che si era scaldato , si
sprigiono gloria,{ya.fas) cd energia [ vlry11) . In verita gli spiriti vitali [prinl9) sono gloria
ed energia. Partiti gli spiriti vital i , i l suo corpo comincio a gonfiarsi : nel suo corpo, pe­
ro , era il m.inas [ spirito pensante) .
Egli desidero : «Possa questo corpo essere per me sacrificando [ mea'hy11) : mediante
lui possa io avere un essere» . A llora [ il suo corpo) divenne cavallo [ a.f1111) : ciò che si era
gonfiato [ .if11111) divenne ano al sacrificio [ mea'hy11) . Questa è la ragione per la quale il
sacrificio del cavallo si chiama a.f1111-mea'h11. Conosce realmente I ' a.f1111mea'h11 colui il
quale cosi conosca. Egl i penso di non tranenerlo [ il cavallo ) . In capo ad un anno lo sa­
crifico per se stesso . Le altre bestie destino agli dèi . Questa è la ragione per la quale si
sacrifica come proprio a Pr11jip111i cio che è dato consacrato agli dèi tutt i . Ciò che lassù
arde (il sole) è 11sii11-mea'h11. Di lii a'11 essi [ 11if11e a'e11ll/] , in fondo, non 11i è che 11n11 a'i11i­
ni1à: Mrty11. [ Colui il quale cosi conosce) trionfa sulla cri-morte» [p11n11r-m(ty11) , l a
morte n o n lo raggiunge , nella morte trova il suo essere , diventa u n o con queste dcita
(trad . Filippan i , ib. 22-2 5 ) .

Il c avallo sacrificale è , quindi , i l simbolo dell'autosacrificio dell' Es­


sere Primordiale affinché nascesse la varietà del mondo. In lui, difat­
ti, sono comprese tutte le cose :
O'!l . L' aurora è il capo dd cavallo sacrificale , il sole è il suo occhio , il vento il suo re­
spiro , il fuoco V11if11an11r11 [ «comune a tu11i gli uomini»] le fauci spalancate , l ' anno i l
suo essere . Il cielo è il dorso del cavallo sacrificale, l ' at mosfera la s u a pancia, la terra il
basso ventre. i punti cardinali i fianch i , i punti intermedi i costati , le stagioni le mem­
bra , i mesi ed i mezzi mesi le articolazion i , i giorn i e k notti k zampe , k costell azioni
le ossa , le nuvole la carne, la sabbia il nutrimento, i fiumi gli intestini , k montagne il
fegato ed i polmon i , le piante e gli al beri il pelo; il sole che si leva è la sua metà ante­
riore , il sole che tramonta quella posteriore; allorché apre la bocca , lampeggia, allorché
sbuffa. tuona, allorché orina, piove : il suo nitrito è, invero , la Voce I V.ic] medesima.
Il giorno. la cui matrice è nell ' Oceano orien tale , è il m11him11n [ una delle due coppe
rituali che. durante I' 11f1111mea'h11, venivano poste una davanti al i ' altra, dietro il corpo
dd cavallo) anteriore : esso è nato al seguito del cavallo. La nouc , la cui matrice è
nel l ' Oceano occiden tale , è il m11him11n posteriore: essa è nata al seguito del cavallo.
Entrambi [ la no11e ed il giorno] nascono come i due m11him11n da una pane e dall 'altra
del cavallo. Essendo h11y11 [ desuiero) porto i De1111, come 11ijin [ stallone] porto i G11n­
a'h11rv11, come 11rv11n (corsiere) porto gli Asura , come a.f1111 (cavallo in senso generale)
porto gli uomini. Parente gli è l ' Oceano, l ' Oceano è la sua' matrice . [ib. 1 , I ( Si può
confrontare con l ' analogo mito greco del cavallo suscitato dal mare)) .
Il significato intimo del sacrificio, che è reintegrazione all' Essere
Primigenio mediante l'offena, è espresso dai bellissimi versi pronun­
ciati dallo yaiamana (sacrificatore) al momento dell' oblazione:
Dal non-essere fammi andare ali ' essere
(.i-11110 mi 1aa' g11may11)
dalla tenebra fammi andare alla luce
( 111m11w mijyotir g11may11)
dalla morte fammi andare al l ' immortalita
( mrtyor mà 11mrl11'!' g11may11) (ib. 3 , 27)
l'incessante generazione degli esseri nel mondo presuppone la
partizione in individui maschi ed individui femmine di ogni specie,
la quale partizione , per essere reale , deve avere il suo archetipo al li­
vello supremo, celeste. Ecco così che . dal mito della suddivisìone
TESTI M ITIC I . FILOSOFICI E LETfERARI 85

dell'Uomo Cosmico primordiale, se ne sviluppa un altro, quello del


PuruJa, l' Uomo-spirito androginico, che ripetutamente separa e ri­
combacia k sue due parei per far nascere tutto ciò che esiste , indi dà
un nome a tutti questi esseri, conferendo loro in raie modo la possibi­
lità di passare dallo stato immanifesro, puramente ideale, ali' esisten­
za manifesta , inserita nel tempo e nello spazio.

A l l ' origine esisteva solo lo JtmJ11 , sot to la forma di P11r11;<J ! Uomo rnsmirn primor­
diale ) . Guardandosi at torno eg l i non vide a l t ri che se st esso . I n primo l uogo pronunri6
le parole: «lo sono q uest i I JO 'hJ111 J • . donde venne ad essere i l nome d i « io• (JhJ'!I ) . Da
questo deriva che, anrnr ogg i , se si rhiama qualcuno , rnst u i risponde i n primo l uogo :
«sono io, . I n d i dich iara un a l t ro nom e . che è il proprio . Dato rhe egl i , anteriore ad
og n i cosa [p1irVJ) , ha arso 1 111) t u t t i i m a l i , per questo mot ivo eg l i è P11r11;<J. In veri c a ,
colu i i l q u a l e cosi conosce a rde c h i u n q u e desideri porsi p r i m a d i l u i . ( V i e n e . pertanto ,
affermato i l principio mec afisirn per r u i l ' « Io» è iden t i t a u n i versale) .
Egli ebbe paura : perché colui rhe è solo ha paura . I n d i ronsider,, : «Di rhe rosa deb­
bo io avere paura , se n u l l a esiste fuori d i m e ? » . A l lora la sua paura svani. Di rhe rosa .
infat t i , avrebbe dovuto avere paura ) Si ha paura di un a l t ro .
Eg l i non aveva piacere : pe_rché i l piarere non appart iene a c h i sia sol o . Desiderò ,
q u i n d i , un secondo . Fino ad a l lora , la sua estensione era cale q u anti> un uomo ed una
don na abbraccia r i . Li d ivise i n due esseri ; q uest i fu rono lo sposo e la sposa . Tak è la ra­
gione per l a quale Yàjnavalkya ha detto : «Noi due siamo / ognuno per sé / una meta• .
Per q uesto motivo l o spazio / l asciato vuoto / viene riem p i ro dalla don n a . Con essa si
congiunse: da rio n acquero gli uom i n i .
Ma al lora essa considero : «Come mai egl i . avendomi generato , si è u n i ro a me ) Suv­
via, voglio n asconderm i ' • · Essa si fece vacr a , toro si fece l u i ed a lei si rnngiunse . Nar­
q uero i bov i n i . Essa si fece giumen t a , lui sr allone; essa asi n a . lui asino: a ki si uni.
Donde n a.quero i sol i ped i . Essa divenne rapra , egl i berrn; essa si fere perora , lui ari e­
re: egl i si uni ad essa , donde narquero rapre e monton i . I n tal modo produsse t u t to riò
rhe va per coppie , fino alle formirh e .
A l lora eg l i conobbe: « I n verira i o sono l a creaz ione, i o ho generato t u t to r i6 r h e esi­
sre» . Da questo I evento) venne ad essere la c reazione [ J!"!(t] . Col ui i l quale rnsi rnnosce,
cosrui è presente a l l a creazione d i se medesimo.
I n d i soffrego in cale modo [ i l cesto presuppone un gesrn signi faar i vo ), e d a l l a sua
bocca come mar rire e dalle sue mani egli generò i l fuorn . Quest a è l a ragione per la
quale borea e m a n i sono senza peli ali' i n terno: perchè l a matrice è i n ternamente senza
pel i . [ Qu i n d i ] a l lorché si dice: «Sacrifica a raie divin i c a , sacrifica a raie a l t ra d i v i n i t a 1 , e
cosi per rutte le d i v i n i c a singolarme n t e , si i n d ica u n a creaz ione particolare di l u i : egl i
è , in ver i r a , r u t t i g l i dèi . . . I n d i , tutto ci6 che vi è di u m ido egli lo produsse dal suo se­
me: raie è il mma. Tu ero ci6 che esist e , i n vero , o è nutrimento, o è mangiatore: il mma
è l ' a l i mento, il fuoco il mangiatore. Questa è una «super-creazione• [ ati- Jf!(t] del
Brahma11: supercreazion e , dato che egli , mort ale I ? - i n quanto i nrarnato nel l ' uomo ,
sperimenta mort e ? ) ha prodotto dèi i m mortal i . Col u i il quale cosi conosre , rnsc u i ap­
partiene a quesra super-creaz ione .
Tut t o questo mondo era ancora i m man ifesto l a- vyakrta] . Egl i lo rese man ifesto co­
me nome e form a : «Questo si chiama cosi ; q uesto ha tale forma, . Egualmente ancor
ogg i , con il nome e con l a forma si determ i n a ogni cosa: «Questo h a u n cal nome; que­
sto h a una tale forma• .
In q uesto mondo egli sresso è penet rato fi no a l l a punta delle ungh i e , e, come il ra­
soio racc h iuso n e l l a sua guai n a , o il viivambhara nel suo n ido , non lo si vede: allorché
respira lo si chiama respi ro , a l lorché parla lo si chiama voce, a l lorché guarda lo si chia­
ma occhio, al lorché ode , orecchio, allorché pensa lo si chiama mente. Quesc i , pero , so­
no soltanto i nomi dei suoi a r t i [ karma-naman1] . Col u i i l quale l i consideri isolatamen­
te, cost u i non conosce , perché egli manifesta soltanto i n modo parziale se stesso con
86 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

questo e con quello. Bisogna riconoscere j i n primo luogo) lo àtman , perché i n l u i è


l ' un i r a di rune le cose . In ogni cosa è lo iilman , che bisogna rin r rarciare perchè me­
diante lui si conosce il r u t t o . Allorché rnlui i l quale rnsì rnnosce ritrova lo iilman se­
guendone la t raccia. C<Jsrui egual mente t rovera fama e gloria ( rb. , 4 , 1 - 7 ) .
L' assunzione meditativa del mito del Mahà-puru!a (v. infra) , che
è il principio della cosmologia delle Upanisad , implica il fatto che
l' uomo in un particolare stadio dello sviluppo della propria coscien­
za, contenga in sé il mondo intero , come sintesi di tutto l ' esistibile ,
nel momento , cioè , anteriore al suo dispiegamento attraverso la serie
temporale e spaziale degli eventi e delle cose , altrimenti egli non po­
trebbe concepire , pensando , tutto questo che riconosce fuori di sé .
Tale è il mistero dell' Jtman (etim. «se stesso•) , il Sé pre-esistenziale
che esiste nel cuore di ogni uomo manifestandosi nella doppia serie ,
oggettiva e soggettiva , di conoscitore e di cognoscibile. Quest ' ultima
realtà è rappresentata dal mito relativo alla nascita degli organi e del­
le rispettive facoltà : bocca-parola; narici-soffio , occhio-visione ,
orecchio-udito, eccetera . L' A itareya- upanisad identifica appunto il
Sé ( cioè l ' io assoluto) al Maha-puru!a, cioè al «Grande Spirito> e
determina la genesi del mondo e degli esseri secondo le seguenti
tappe :

1 . dal Sé ( Jtman) vengono generate le acque celesti , cioè la Vita


Superiore , la Luce e la Morte ( cioè la non- l uce , o la Terra , in quanto
sede del l a materia) ;
2 . il Sé trae dal le Acque l ' Uomo Cosmico ;
3 . egl i cova l ' Uomo Cosmico , dal le cui membra nascono «i Pote­
ri» ( cioè le facolta sensorie) e le Deita ( cioè l ' esperienza sensibile degli
elementi fisici , percepiti fuori di sé ) .

Questo atman , dice poco dopo i l medesimo testo, è «pura coscien­


za» (prajiidna) , cioè è pensiero che crea l' atto in cui conosce . Ma, che
cosa conosce ? Se stesso , nel cuore di se stesso (ib . Aitareya- up . , V, 2 ) .
Questo se stesso , dice il medesimo testo , è i l Brahman , è Indra, è Pra­
jàpatl. I l medesimo principio è ribadito , con abbondanza di argo­
menti psicologici , nella seconda lett ura della Brhad-Jrar,yaka, la qua­
le insegna come il sogget to cosciente ( cioè l ' Io) sia l ' essere unico dal
quale è stato emanato tutto l ' universo oggett ivo , compresi gli dèi , e
rivela per bocca del re guemào Ajdtafatru di Benares ( quindi non un
sacerdote sapiente' ) , come questo Io conosca i quattro gradi di mani­
festazione , a seconda dei corrispondent i stati di coscienz a , dalla ve­
glia al sopore catalet tico . Qui ci troviamo di fronte ad altri tre punti
chiave che non solo caratterizzano le Upanifad, ma tutto il pensiero
filosofico-rel igioso brahmanico , al punto tale che la stessa evoluzione
del l ' Hindu ismo sarebbe incomprensibile senza averli presenti :

1 . l ' lo . o il Sé (atman ) «racch iuso nel cavo del cuore» , è identico


allo Spirito Universale ( brahman ) ;
TESTI M ITICI . FILOSOFICI E LETTER A R I 87

2 . lo dtm an - brJhm,m . rnnoscendo se s1 esso . rrea il mondo . cioè


l' infinita varie-c a degli esseri esis1emi che . di rnnverso . sono strumen­
ro per questo suo «rnnoscere se stesso». Tale att ività . d1e è germinal­
meme presente in qualunque at to della rnnoscenz a umana . è det ta
«il miele» ( 111JdlJ11 ) . cioè l' elememo vivifaacore della rnnsapevolezza .
dal livello senziente e memak - proprio alle fornirà . che le UpJ11i­
fJd idenri � cano ai dev.i vedic i . fino a quello spirit uale ed imuit ivo .
«pneumarKo» :
3 . esisre un rapporto fra questo lltman - bro1h111J11 . puro . immarn­
laco . non toccò dal frutto delle nosrre azioni buone o cau ive . ed il
mondo della nostra esperienza mondana e vitale .
Ma . come avviene questa degradaz ione da una rnnoscenza divina .
pura , infinita, alla nostra vira cosrieme quot idiana . oppressa da dolo­
ri e limitazioni di ogni genere ? A cale domanda risponde la
Mii1Jt/11kya- 11p . con una domina che si riassume qui in poche parole :
li h1Jh111J11 . us,xnde1 d a l l a ,ua as,e 1 l u 1 t·ua pt·r u n a se1n a d i gi, ,"' m a g i "' I mjy,7( . si
a1 1 u a es1 rove n t·n de1si st'ni nde1 4 u a 1 1 r, , d i n·rsi l i v d l i u n i vt·rs.i l i . ,ht· s, , 1 w :
I . l ' Essere p u ro . idt'11 1 in•, a ,t· S t t'ssu . i n dfahik t· i n ni n<t'p i h i lt- :
2 . l a Paro l a . u verh, , . d1t· i- , a usa l k.ir,1t1J I d i 1 u 1 1 i g l i i n fi n i t i p,"si h i l i . assu m i lii ·
me forme della sua pot enza l i,1k11l ;
.\ . i d i versi l i v e l l i d d k energit· fo r m a i r i , i a l i , , s 1 a 1 u su1 1 i lt- ! 1uk.r ma) . etereo ;
4 . i l mondo mat erialt- . d i ven u w t· « pus1 " a l passaw» . n d 4 u a lt- l u S p i r i 1 " .11 1 u a la
mass i m a negazione d i st· st esso .

La concezione che domina il pensiero filosofirn e religioso indiano


è che la dimensione materiale . o meglio sostanziale (Prakrll), in rni si
svolge la vicenda esistenziale di cui lo Spirito individuato U/vatman)
è arro�e . sia una specie di illusione magica (maya). Molti pensatori ,
come San kara e i filosofi buddhist i in generale, rnnsiderano negativa­
mente questa condizione . come una prigionia dalla quale occorre li­
berarsi: altri . invece, appartenenti per lo più all'ambi to settario , ri­
tengono che la maya sia invece una manifestazione della potenza di­
vina, per cui il Signore cela sé a se stesso creando il mondo in una spe­
cie di cosmico gioco (/liii). In questo caso la Maya si identifica alla
stessa potenza creatrice divina nel momento del l' estroversione . Lo
spirito individuato , il ;i"vatman , pur nella limitazione in cui sussiste ,
contiene in sé tutto il processo di creazione e, quindi . di progressiva
alienazione a se stesso del Mondo Divino , secondo le fasi per cui dal
Verbo creatore si scade fino al livello della parola articolata umana ,
priva di qualsiasi potere generativo. L'individuo, quindi , si trova ad
essere pienamente sveglio e cosciente solamente nella condizione in
cui percepisce attorno a sé un mondo massimamente illusorio , quello
materiale ; diventa , invece progressivamente più incosciente nelle
successive condizioni di sogno (svapna), sonno profondo (su1uptt) e
catalessi (tunya , «quarto» stato) , laddove - al contrario - lo Spirito
Universale si attua come crescente coscienza di sé. L'asceta, lo yogin ,
scendendo perfettamente sveglio entro le condizioni subliminali ac-
88 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

cennate , compie il processo della propria reintegrazione nella co­


scienza e nell'essere assoluti, restituendo a detti livelli di coscienza la
loro reale funzione di forme trascendenti dello spirito. Tutto questo
processo è misteriosamente significato dal sacro monosillabo (akjara)
O.fyf , attraverso le sue tre lettere componenti A - U - M , u:ascese dallà
pura risonanza (nada) nasale (anusvara) (cioè dal punto che nella
scrittura devanagarì indica lo sfumare della M in un mormorio) , che
simboleggia il quarto stato, quello dell'ineffabile Assoluto. (v.
Marp:/ukya-up . , iv , I )
Quindi , osserva un'altra upamjad, la Maitry -up. , in ognuno di noi
sono presenti due gradi del Sé , quello Assoluto, unico e solo, e gli in­
finiti «io» individuali, rifratti da quello Assoluto, i quali abitano il
cuore di ognuna delle infinite creature umane , soggiacendo agli erro­
ri dovuti al loro sottoporsi al moto automatico della sostanza psico­
fisica in cui sono illusoriamente impigliate. Abbiamo, dirà un'altra
Upamiad di media antichità - la Svetiifvatara-up . - , da una pane
un Sé che si è mescolato con la Prakrti, o «Natura naturans», suben­
done le variazioni dovute all'alterno· gioco dei suoi tre componenti o
«qualità» (i gu,;a , che sono: sattva, o quiete , simboleggiato dal colore
bianco , rajas o mobilità , simboleggiato dal rosso, e tamas, o ottundi­
mento , simboleggiato dal nero) ; dall'altra parte , un altro Sé , che è il
vero «Sé», il quale è un semplice spettatore (upa-dra1/ar) dell'accop­
piarsi del primo Sé con gli oggetti dell'esperienza. Ma , come può al­
lora avvenire tale reintegrazione dell'uomo in quella realtà che è il
suo vero essere . di là della confusa e contraddittoria esperienza del
mondo, cioè nel Sé cosmico ed assoluto? Il procedimento per il quale
si attua questa palingenesi dell'uomo è simboleggiato dal mito, ri­
portato dalla Ka/ha-up . della discesa agli Inferi del fanciullo brahma­
no Naciketas, inviato come sacrificio del proprio padre: esso raffigura
molto vivacemente la penetrazione meditativa dell'Io cosciente in
quell'insieme di stati , di cui si è parlato, di là dalla veglia ordinaria .
Il riassunto del mito che presenta alcuni tratti comuni a certe favole
greche (l'ingiunzione di non mangiare nulla nell'Oltretomba onde
recuperare la vita di veglia , violata da Persephone che , invece , man­
giò i chicchi del melograno) è, in breve , il seguente. Mentre il padre
di Naciketas compiva il sacrificio di tutte le sue sostanze
(sarva-vedas) , suo figlio·, ascoltando il voto e vedendo l'esteriorità dei
doni che andava offrendo , chiese a quest'ultimo a chi avrebbe dato
lui Naciketas (etim . «inesperto»?). Il padre , incollerito, gli disse che
lo dava a Yama, ma subito dopo aggiunse (secondo lo Yajur-veda­
ka/ha-fiikha) che avrebbe dovuto restare senza mangiare per le tre
prime notti di permanenza negli Inferi , fino al ritorno di Yama, il
quale sarebbe stato così costretto a dargli tre doni in cambio del tri­
plice digiuno . Infatti così avvenne, e Nacik.etas chiese a Yama i se­
guenti tre doni di crescente importanza: la riconciliazione col padre ,
l'insegnamento di una nuova specie di ara per il fuoco sacrificale , la
TESTI M ITICI , FILOSOFICI E LETTERARI 89

rivelazione del destino dell'anima umana dopo la morte. Yama si


piega malvolenrieri a rispondere a quest'ultimo quesito ed infine,
anziché descrivergli la vicenda ultraterrena dello spirito umano allor­
ché questo si scioglie dai lacci corporei, gli rìvela la presenza dell'eter­
no iitman in ogni creatura umana e gli insegna in quale modo esso
debba venir suscirato nella coscienza dell'individuo finché è in vita e
da questi essere riconosciuto come la suprema realtà di se stesso e del
mondo esteriore. Ed ora, ecco un passo interessante della medesima
Upamjad, che adombra la disciplina psico-fisica della Yoga volta a
restaurare lo spirito umano nella sua antica sede celeste:
Questo afvattha ! «Ficus Religiosa» , al bero che simboleggia lo Spirito Universale che,
dal mondo della cause (cielo) rrae il suo essere (radici) e in quello del divenire ( terra)
man ifesta le sue forme] sempiterno in alto erge le radici e in basso volge i rami ; esso è
lo fukra l fukra, termine significante «luce• e «vica un iversale• . denotante il brahman ,
occulto reggitore della persona vivente, profondamente assopito entro il seme umano,
retas] . esso è i l brahman , esso invero è denominato «am brosia. l amrta) . In lui son fon­
dati tuni i mondi : nulla lo trascende . Esso . invero , è Desso .
Tuno questo mondo , comunque sia, vi bra l e1at1l nel prana ! respiro , energia vitale) ,
da lui essendo stato espresso . Coloro che conoscono questo Grande Tremore , questa
folgore brandita l udyata- vajra) divengono immortali .
Per terrore d i lui brucia Ag ni. per terrore d i lui arde Surya, per terrore d i lui corrono
Indra e Vay u e Mrty u per quinco.
Se qualcuno è capace di svegliarsi in questo mondo prima della dissoluzione del cor­
po , quest i allora si appropria di un corpo l edeste) nei mondi celest i .
C i s i riflene n e l corpo I len . « i n s e stesso• , atmam] come in u n o specchio; come in u n
sogno c i s i riflene nel mondo dei Man i ; come nelle Acque ci s i riflene nel mondo dei
Gandharva; come in ombra-luce ci si riflene nel mondo del Brahman .
Il saggio non piii soffre al lorché ha riconosciuto la distinta natura dei sensi e quello
che è il loro sorgere e tramon tare diversamente originat i .
l i Manas l i i mentale] è superiore a i sensi , la Buddhl l psiche) è superiore a l Manas, i l
Grande Atman I �ahatman) è superiore alla Buddhi e I ' lm man ifc:sco I IZtlyakta) è supe­
riore al Grande Atman .
Ma il Purufa omnipervadente ed informale è , invero , superiore al l ' l mman ifc:sco.
L' essere che I ' abbia conosciuro si libera e va all' Immortalica.
La sua vera forma non è oggeno di percezione. Nessuno la può vedere con l ' occhio;
essa è percepibile per il cuore . per la conoscenza e per la mente. Coloro che ci6 cono­
scono sono immortal i .
Al lorché le cinque facoltà di conoscenza (panca. . . jnanaml assieme a l Manas restano
distaccate e la Buddhi non procede verso gli l oggeni] , al lora si invera quello che .chia­
mano il Supremo Passaggio .
Per Yoga si in tende questo forte contenimento dei sensi l indriya-dhara,a) . ! Colui
che lo pratica) non è allora più discran o . Yoga è , difan i , principio e fine ! congiunzio­
ne degli esc rem i ] .
Il P11ru1a non pu6 certamente essere afferrato con l a parola, con l a mente o con l ' oc­
chio : si pu6 dire soltanto che cè> : altrimen t i , come lo si pu6 afferrare ?
Mediante l ' immedesimazione l tallva-bhava) del l ' uno nel l ' altro I dei soggeno
nel l ' ogge1 10) . il Puru1a deve venir colto dicendo : cesso è• . Per colui il quale lo cogl ie,
dicendo «esso è•. l ' immedesimazione si avvera .
Quando si dileguano tuni i desideri stabiliti nel suo cuore . allora il mortale diventa
immortale ed oniene il brahman .
Quando vengono tagliaci cuni i legami che tengono avvi nto il cuore, allora il morta­
le di\'en ta immortale . Per raie fine è l ' insegnamento .
Cento e. una sono le vene del cuore : di queste una sola esce in cima al capo ( dalla su­
tura sagitale , il cosiddetto brahma-randhra, «fessura del brahman• , attraverso la qualt
90 RELIGIONI E M ITI DEll' INDIA

si ,ompie i l ,ollegamem,, fra lo s p i r i l ll i n d i " i d u a k i n , a m a l ll n e l , uore umano e l o spi­


rito u n i \'ersa k ) . S a l e n do a u ra\"erso q ues1 a \"e n a s i \"a a l l " i m m on a l i 1 ii : le a h rt' . i rwt're .
fuoriesrnno in 1 u 1 t t' le d i rezion i .
I l PumfJ d e l l a m i s u ra d i u n pol l i, e . d1e è i l p i ù i m imo Sé [ .;111.;rj - J/111.;11 ) . a b i t a nd
ruore d e l l e neat u r e : bisog n a est rar!,, dal propri,, ,orp,, <"<1111<" i l fi l,, d " t•rba d a l l a sua '
g u a i n a . rnn d i l igen z a : I,, si ri,onos,a rnmt· lo S p l e n dr n t t· [ .i'11kr.;] ed l m mo r t a l t- 1 Lo si
ri,o n,1sre rnme lo S p k n d e m e e l ' I m mort a k '
N a r i k e t a s . avendo afferrato l a Sl· i e n z a i n seg n a t ,i d a ,\1(/JII ni t·sst· ndosi i m padronitu
d i t u u a l a pra1 i,a d e l l o JogJ. p,,irhé aveva ù>nseg u i t u i l hr.;/,m.;11 . d i vt·n n e l i bero d a
,·en - h i e z z a e d a mort t' . Cosi puù d i \"em a re q u a l s i asi a h r,, d i t· si,i wnosr i t urt· d i riù rht'
riguarda l ' Jtm.;11 ( i rad . F i l i p pa n i . op . at J.: . - 11p . . \ I , 1 - 1 1-! ) .

Questo medesimo argomento viene trattato in termini meditativi


( concentrazione del pensiero sulla sillaba O� . rnncepiru nelle sue
quamo misure - matra - o stari di rnscienza . v. Mattr/11k_ya . infra)
da un'altra Upamjad di tendenza più filosofica, la Prafna- 11p. appar­
tenente alla famiglia dell' Atharva-veda . Questa si pone anche pro­
blemi attinenti alla fisiologia occulta dell'uomo . la conoscenza della
quale è indispensabile per chi voglia avventurarsi nei meandri dello
Yoga. Si tratta qui, in particolare . delle teorie relative al praT)a (rad.
an , respirare), che, neUa disciplina yoga è in panirnlare il respiro col­
to nel suo aspetto sottile, percepito , cioè come una vampa proceden­
te dalla Vira Universale, che anima e sorregge i processi fisio-psichici
dell'aggregato umano. In questa Upaniiad pratta assume il significa­
to di Spirito vivente . niis oppure pnéuma, polo maschile della crea­
zione, opposta a quello femminile di rai, sostanza (cfr. lar. res)
psyché.ed jle al tempo st�. Queste due categorie. identificate al Sole
ed alla Luna, incesi come funzioni universali, sono nate da un atto di•
volontà ascetica di Prajapati, che il resto assimila al Tempo ( ka/a).
L'essenza del pratta si rifrange nelle cinque sue funzioni: pratta, apa­
na, samana, vyana , udana . che approssimativamente possono essere
tradotte in respiro e vista, escrezione e generazione, digestione e ri­
cambio, circolazione del sangue e linfa, calore corporeo . Dal punto
di vista macrocosmico i cinque soffi suddetti sono anche i principi ar­
chetipi dei fenomeni Sole , Terra, Spazio, Vento e Fuoco. In questa
upamjad il p ra,:,a viene assumo come il principio di identità inerente
ad ogni cosa, quindi immanente alla Rai. Attraverso il manas , lo at­
man , che si rende oggettivo nel pra?Za, si individua nella persona
umana, nella quale è anche presente sotto forma del principio vitale.
Questo orientamento mistico-filosofico, che prende forma nelle
Upanzjad, attraverso miti ricevuti dalla più antica tradizione vedica,
si �ivestirà concretamente dei miti religiosi di cui si discorre in se­
guno.

c. I Pura?Za e le Sa'f!Zhita . Il mito religioso.


Con la letteratura dei Pura,:za, che costituisce il corpus mitologico
visnuita, le Samhita, «raccolte> teologiche, gli Àgama, corpus teolo-
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETTERARI 91

gico e normativo sivaita . e i TJ11/rJ in senso stretto . cioè l' insegna­


mento arcano generalmente sivaica o sakca ( v . in(rJ) . si entra in pieno
Hinduismo, nel campo sterminato della micologia . delle elucubrazioni
cosmologiche e dei culti settari. Tanto per dare un' idea della vastita
di queste opere . ognuna delle quali cost i t u isce un' encidopedia di
credenze, usi , costumi e tecniche dell' estas i . si pensi che i 18 Purd1Ja a
noi giunti ( la cui redazione si presume condusa at torno al V I - V I I I seco­
lo d . C.) abbracciano un totale di 400 mila flukJ (distici dassiri san­
scriti), mentre le 108 Saf!1hitii ne comprendono oltre un milione e
mezzo , e si rifletta sul fatto che nessuno ha sinora pm uto rnmpu t are
l' effettiva estensione della letteracura degli Agama e dei Tamra ( ter­
mini pressoché equivalenti . salvo la attribuzione dei primi alle scuole
sivaite del Sud , o faiva-siddhiint,;, degli altri generalmente a quelle
del Nord ed a quelle del Mahiiyiina buddh istirn). Per quant o si riferi­
sce ai poemi epici , di contenuto prevalentemente didattirn-religioso .
il Mahii-bhiirata consta di circa 90 mila floka ed il Riimiiviina di altri
24 mila . Ciò senza voler citare altre fonti del pensiero «h i�duista» . fra
le quali si annoverano opere di Alch imia . Rasii_vana, di Medirina . Ci­
�itsa, di Astronomia e Astrologia , Jvollja-siddhiinta. di Architettura ,
Szlpa-fiistra, tutte di ispirazione fondamentalmente rnsmologirn­
mistico-religiosa . A questa congerie di opere in sanscrito , trasmesse
per iscritto ma fondamentalmente apprese a memoria . ne vanno ag­
giunte altrettante scritte nei vernacoli ario- indiani e nei linguaggi
dravida dell'India meridionale, dove , a dispetto dell'ambiente an­
ario, la tradizione brahmanica è più vivace. Non dovendo entrare in
merito ai problemi di critica storica e letteraria di queste opere , ne
consideriamo il contenuto specifico , che ci servirà da guida per
un'esposizione sintetica e possibilmente ordinata della mitologia in­
diana e degli impulsi religiosi da essa scaturiti , o di cui essa è docu­
mento. Nella rassegna che seguirà si terrà conto , in successione , di
due criteri: un criterio, ch iamiamolo, filog enetico , che considera le
funzioni delle varie divinità apparentate nascenti l' una dall'altra , co­
me gli avatiira di Vi gm esposti in una serie coerente di testi (Puriir,a,
Riimiiyana e Mahiibhiirata); un criterio , ch iamiamolo cosi , stratig rafi­
co , che considera la convergenza di varie divinità in un tipo comune
di esperienza mistico-religiosa , di modo che esse , provenienti talvolta
da ambiti diversi, finiscono per identificarsi l'una con l'altra , diven­
tando espressioni diverse di una comune concezione del mondo divi­
no , come ad esempio le ipostasi principali di Vi�qu di un gruppo co­
me Niiriiya1_1a- Viisudeva-Krn1a (donde Sa'!lkarJa1,1a-Pradyumna­
Aniruddha), che finiscono per fondersi. Vi sono casi opposti , di
un'alterità irriducibile, come fra Siva e Visnu , che in una superiore
sintesi si assumono compiti diversi ed opposti .
La letteratura dei Puriina e delle Samhitii ci introduce immediata­
mente nell'ambi to delle s�tte vi�r;iuite ," quando attorno alla loro prin­
cipale divinità si erano formati stabilmente i miti che ne cantavano la
92 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

funzione al tempo stesso ordinatrice del cosmo e liberatrice dell' uo­


mo . Queste sette obbedivano a due orientamenti fondamentali, tut­
tora esistenti . Il primo è quello dei BhagaviJlu, che considerano il
Bhagavata-pura1Ja ( dei cui miti centrali si presenta in seguito una sin­
tesi) e la Bhagavadgi"ta («Il Canto del Beato», .un libro del Maha­
bharata che espone la teoria del Km1aismo) come la loro Bibbia, dan­
do la massima importanza al fattore della bhakti, cioè alla devozione
piena di fiducia in Dio (dalla rad . bhaj, condividere , partecipare,
donde lo stesso termine di Bhagavant , il «Beato», cioè Krn1a). Questa
è la setta che ha ispirato i massimi poeti della mistica erotica indiana,
tanto per fare qualche nome i bengalesi Umapati e Car:i Qidàs, i mara­
thi Namdev (m. 1 3 5 0) e Tukàram (m . 1 649) ed i celeberrimi poeti in
hindT e mistici bhakta Ramanand (m . 1 4 7 0), Kabir (m . 1 5 1 8 ) e Tul­
sidas (m . 1 62 3 ) . Il secondo orientamento è quello della setta Pancara­
tra (v. infra) , miticamente iniziata da sette saggi chiamati Citra­
fikha1Jt/in («dal ciuffo variegato»), di indirizzo sakta (che attribuisce,
cioè, funzion_e preminente alla sposa-potenza - fakti - del dio,)n
questo caso Sn'-Lakf mi) , dalla quale deriva idealmente la scuola Srf­
vazj1,1ava, di carattere fortemente gnostico (v . infra) , illustrata da
grandi pensatori come Ramanuja ( 1 1 1 7 - 1 1 3 7 ) e dai mistici cantori
A/var ( XI secolo) . La teologia e la mistica di questa setta ruotano at­
torno alle cinque funzioni cosmiche impersonate dal dio Krn1a e da
altre sue ipostasi, impersonate da suoi congiunti che appaiono nel
suo mito. Il primo orientamento fa capo ai Pura1_1a, il secondo piutto­
sto alle Sa1Jhita.

d. La figura di ViJ1JU secondo i Purana. Gli A vatara.


ViJr,u costituisce la figura centrale dei Purar,a. l caratteri solari che
rivestiva nei Veda (principio-luce che compenetra l' Universo, domi­
natore dello spazio - i famosi tre passi - . vincitore dei demoni) nel­
la religione posteriore sono smisuratamente dilatati : egli ha assorbito
le figure e le funzioni di Brahman-Prajàpati come demiurgo, di Indra
come eroe celeste e di numerosi semidei tribali come Rama e Krsna.
Esso è diventato la Divinità Sup_rema , che in sé condensa la Tri�O�t i ,
le altre due divinita Brahma e Siva non essendo considerate alt ro che
suoi aspetti accidentali (avastha) . Il Vi�r;iuismo , come del resto anche
lo Sivaismo , tende a diventare una specie di monoteismo qualificato
da un pleroma di ipostasi personificanti le funzioni della Divinità
centrale.
Visnu risiede nel cielo Vaikuntha circondato dalla sua corte: lo si
rappr�senta come un giovane d( �olore blu scuro con quattro braccia ,
reggente i simboli dei quattro elementi , cioè la conca (fankha) , il di­
sco (cakra) , la clava (gada) ed il loto (padma) . Questi oggetti sono
materia di interpretazioni esoteriche (ad esempio , il disco simboleg­
gia la «volontà di essere» del dio) , come pure le 24 nif!ha o atteggia-
TESTI MITICI, FILOSOFICI E LETTERARI 93

menti che egli assume stando in piedi , o sdraiato (caso unico fra gli
dèi indiani) , oppure a cavallo di un animale (il cosiddetto vahana , o
veicolo) , generalmente l'uomo-aquila Garut/a , il figlio dello r�i Ka­
fyapa e di Vinata. Secondo la leggenda epica , Garuf/a, il cui culto è
giunto fino all'Oriente buddhista, è l'aquila dal volto umano che ra­
pi l'ambrosia (amrta , corrispondente al soma vedico) agli dèi per li­
berare la madre prigioniera del dèmone Kadru . In seguito Garuda ,
con l'aiuto di Indra , inganna ed assoggetta magicamente i serpenti
(naga) , divenendo il loro nemico irriducibile . I Naga talvolta assumo­
no le funzioni del Vrtra vedico, come nei miei di Garufla, talvolta in­
vece rappresentano la Saggezza Primordiale e proteggono dèi ed asce­
ti in medicazione , come lo stesso Visnu dormiente. Difatti Visnu è
raffigurato sdraiato o in atteggiament� meditativo (asana) sul seèpen­
te Ranganatha , o Se!a , o Ananta («Infinito») dalle mille teste , una
delle quali gli serve da nicchia , navigante sull'infinita distesa delle
Acque cosmiche. In questo stato di sonno mistico, il dio medita il
mondo; indi, al suo risveglio , emette dall'ombelico un loto dorato,
dal quale sorge Brahma, che creera un nuovo universo. Iniziera, cosi ,
un altro «giorno del Brahman». Spesso Vi�r;iu è rappresentato in com­
pagnia della sua fakti Lak,rmi («Fortuna») , o della dea Terra , Bhumi;
dai suoi piedi sgorga il fiume celeste Gange ( Ganga) e, talvolta , il suo
sonno è personificato dalla terribile dea Durga (la «Inaccessibile») ,
propriamente sposa di Siva. Vigm è fondamentalmente il Dio con­
servatore , stabilizzatore; personifica l'amore , sia nell'aspetto di tene­
rezza affettiva, che in quello di piacere erotico, senza , però , quelle
note di cupa violenza che caratterizzano, invece , Siva : un'atmosfera
di amorevolezza lo circonda ed i suoi fedeli gli rendono omaggio te­
stimoniandogli i diversi gradi della loro bhakti, che è entusiastica de­
vozione , fino all'estasi unitiva con lui. Nelle sue incarnazioni umane ,
però , manifesta in alto grado la virtù guerriera e la sollecitudine pro­
tettrice degli uomini, fra i quali queste sue ipostasi assumono la fun­
zione sovrana. Vzjr1u , come elemento di vita solare attiva , presente in
ogni atomo dell'Universo, conosce molte incarnazioni maggiori, mi­
nori , parziali , tante quanti sono gli esseri sovrumani o umani che , di
tempo in tempo, compaiono sulla terra con una missione salvatrice
ed illuminatrice . In generale si noverano da 10 a 28 avatara, o «disce­
se» , del principio- Vzj�u , fra gli uomini. Il Purai:ia che meglio riassu­
me le principali 10 incarnazioni del dio è il Bhagavata-pura�a . che ci
servirà da guida per illustrare l' argomento. Esso contiene un antefat­
to che giustifica la sacra rivelazione.
Il re Parik!it, ultimo re del dvapara-yuga, avendo offeso un brah­
mai:ia , è stato maledetto dal figlio di costui e condannato a venire
morso dal serpente Tak1aka. Essendo imminente la sua morte, egli
lascia la vita mondana e si dà ad austere medicazioni. Sette giorni pri­
ma del termine mortale fissato dalla maledizione incontra il saggio
Suka , figlio del grande vate Vyasa (parziale incarnazione di Hari (il
94 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

«Fulvo», appellativo vedico del dio Ag ni - Vif!J tl, mitico autore del
Mahabharata) e lo prega di fargli conoscere ciò che è essenziale sapere
per un uomo che stia per lasciare la vita terrena. È così che Suka inizia
il racconto, che comprende una parte mitica, una morale, una asceti­
ca, innumerevoli norme religiose, eccetera. Tutta la storia, compresa
questa introduzione, viene narrata dall'auriga del re (Suta, per anto­
nomasia : l'auriga, generalmente un mezzo brahmano, riveste
nell'epica come nel dramma la funzione del narratore), di fronte ad
un'assemblea di Saggi raccolti nella foresta di Naimisa .
A l l ' i n i zio vi era solo q ues1,! Bh.zg,m.ml , spiriw pervaderne t u l l i gli esseri . Vi era al-
1resi i l mis1irn pot ere I l a sua 5.zk//] di Lu i . il q,uale è mero speuawre ! poiché non è af­
frrraw dal l ' azione da lui provocal a) . Questa 5.zkti è anrhe deua MJ_yJ I «Illusione• ) . la
mi essenza è l U l lO ci(, rhe vi è e anrhe rhe non vi i': per mezzo d i Lei il Signore omni­
pervader n e ne(, lUllo quesw Un iverso .
Segue la d�scrizione di Vif!Jtl dormiente nelle Acque primordiali
sul serpente Sefa (od Ananta) e l'emanazione, dal suo ombelico, del
principio creatore Brahmii che rigenera i mondi che, alla fine del pre­
cedente ciclo, erano stati riassorbiti dal Signore . La lista degli Avatàra
non è scrupolosamente seguìta da questo Pura1;1a, che attribuisce
grande rilievo a quello di Km1a, il cui verbo propaga . Diamo , di se­
guito, un riassunto dei I O principali avatiira :
1 . Matsya, il «Pesce» che salvò Manu dal diluvio universale, il cui
mito è stato già integralmente citato dallo Satapathabrahmarya (v. in­
fra) .
2. Kurma (o Kafyapa) , la «Tartaruga», già prefigurata nel medesi­
mo testo, ove si narra che Prajiipati adotto la figura di una tartaruga
allo scopo di creare gli esseri . Nella mitologia vig1uita la tartaruga ha
il fine di permettere agli dèi di ritrovare l'ambrosia ed altri tesori
smarriti in fondo al mare in seguito al diluvio. La Tartaruga-Vi�pu è
raffigurata in fondo al «mare di latte», ove serve da piedistallo al
monte Mandara, attorno al quale dèi e demoni hanno arrotolato il
serpe Viisuki. Col sistema della trottola essi frullano l'oceano
(samudra-manthana) , per ottenerne la riemersione di numerosi og­
getti meravigliosi, ognuno simbolo di poteri divini, beatifici od illu­
minativi: l'ambrosia ( amrta) , il medico degli dèi Dhanvantari, la dea
della Bellezza e della Fortuna Lakimz', il liquore inebriante Sura , la
luna, le ninfe Apsaras , il cavallo divino Uccai/.Jfravas , il gioiello Kau­
.rtubha , l'albero celeste Piinjiita ( in cinque esemplari venuti in posses­
so di Indra, successivamente rapiti da Km1a per ornarne il giardino di
una sua amata), la vacca dell'abbondanza Surabhi, l'elefante regale
Airiivata , la conca, l'arco e infine il veleno Haliihala, che Siva in­
ghiott) immediatamente per preservarne l'umanità. A questa impre­
sa ne seguono altre . imperniate su mot ivi tipici della mitologia dei
popoli indoeuropei : il ratto dell'Amrta da parte degli Asura e la sua
riconquista da parte di Visnu trasformato in donna ( Mohini, la «Per-
TESTI MITICI, FILOSOFICI E LETTERARI 95

turbatrice») , indi il secondo ratto tentato da Rahu, il drago che pro­


voca le eclissi, fallito in seguito ad un vittorioso combattimento dei
Deva contro gli Asura.
3. Varaha, il «Cinghiale». Già il Taittiriya-brahma1Ja aveva de­
scritto come Prajapati avesse assumo la forma di un cinghiale per sol­
levare la terra dagli abissi; lo stesso mito è esposto dallo Satapatha­
brahmal)a a proposito della terra tratta dai flutti dal cinghiale Emu­
fa. Nel mito vi�l)Uita il dio assume questa forma per combattere ed
uccidere il demone Hiraf}yizkta, che aveva precipitato la terra in fon­
do alle acque e , con le sue zanne , la rimette al suo posto;
4. Nr-sitp ha (o Nara-si112 ha) , «Uomo-leone» . Il fratello di Hira­
'!Yizk1a, Hiraf}yakafipu, aveva ricevuto da Brahma la grazia di gover­
nare il mondo e , in più , l' assicurazione di non poter venire ucciso, né
di giorno, né di notte, né per mano di dio , di uomo o di animale.
Credendosi sicuro , egli opprimeva in ogni modo dèi ed uomini ,
giungendo a minacciare di morte il proprio figlio Prahlada , devoto di
Vi��u. Fra l' altro gli aveva detto ironicamente: «Se Vig1u è onnipo­
tente , egli è anche in questa colonna e non manchera di aiutarti».
Detto fatto: Vi�l)U appare dalla colonna sotto forma di uomo-leone e
lo uccide , proprio al crepuscolo. Si tratta di un tipico mito contrat­
tuale, cioè di un evento che, per verificarsi , deve salvare un numero
di condizioni quasi impossibili ad osservare;
5 . Vamana , il «Nano». Il demone Bali, nipote di Prahlada, aveva
il dominio sui mondi durante il dvapara-yuga. La sua possanza asceti­
ca (tapas) era tale che gli dèi concepirono timore di lui. Allora gli
mandarono Vi�r:iu, allo scopo di limitarne i poteri . Vi�r:iu, apparen­
dogli sotto forma di nano , lo supplica di concedergli tanta terra
quanta ne può misurare con tre passi. Il demone accetta e Vi�r:iu, ri­
prendendo la sua gigantesca statura , con tre passi misura tutta la Ter­
ra , l'atmosfera e il Cielo donde il suo nome di tn-- vikrama («che pro­
cede in tre passi»). La leggenda , trasformazione del mito vedico di
Vi�r:iu urugiiya o urukrama («dall'ampio procedere») ricorda il diffuso
mito solare della vittoria del Fanciullo-sole. Ricordando per6 che, in
numerosi testi , come le Upani�ad , il «nano» per eccellenza è lo atman
«chiuso nella caverna del cuore» , ne deriva l' ovvio simbolo della pre­
valenza del Sé . dimensione cosmica dell'umano, su tutte le realta
esteriori - i tre passi , i tre mondi. Oppure , i tre passi riguardano i
tre primi stati di coscienza , veglia . sogno, sonno profondo, altrettan­
te tappe del procedere dello atman entro il mondo delle forme verso
l'informale: nel «quarto» stato ( tutiya) , lo atman risiede in se stesso ,
di là da qualsiasi qualificazione. Il mito dice anche che a Bali fu man­
tenuto solamente il dominio sull ' Inferno ;
6. Con il sesto avatara. quello di Parafu-Riima, «Rama con la Scu­
re» o jamadagnya, iniziano le tre incarnazioni eroiche e guerresche
di Vrj1J11 (Parafu-Riima. Riima-candra e Krn1a, le gesta dei quali sono
trattate in -poemi innumeri . di sterminate proporzioni) , a parte una
96 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

serie di incarnazioni parziali della medesima natura bellicosa. Spe­


cialmente per i primi due , Vi�l)U è considerato il principio spirituale
animante la loro personalit a ; il terzo . Kru1,1, è l' unico che assurga a
statura divina. Secondo alcuni studiosi i tre semidei sono alrrettam i
eroi divinizzati di clan di conquistatori ari i. Riguardo alla tribu di
Kur11zs, quella degli Yadava, vi è anche menzione storica di uno o
piu trasferimenti e conquiste nell' India occidentale; di P.ir.if11-RJ111,1
si narra addirittura che abbia conquistato- il Konkan (regione di Goa)
ed il Malabar. Parafu-Rama, cosi chiamato dall' ascia donatagli da Si­
va , era figlio dell'iracondo asceta brahmal)a }am.idagni. discendente
di Bhrgu . la cui moglie Re,:,uka - avendo un giorno visto , mentre
prendeva un bagno in un fiume , una coppia di Gandharva ed Apsa­
ras che amoreggiava nell' acqua, fu talmente turbata da ritornare
dall' eremo del marito «lavata ma non purificata». L' asceta si avvide
che il lustro della santità della sua consone era stato offuscato ed allo­
ra , incollerito, ordino sucessivamente ai suoi primi quattro figli di uc­
cidere la madre , cosa alla quale cucci si rifiutarono, inorriditi . L' unirn
che obbedi fu il quinto, Parafu_-Rama , che le caglio la cesta rnn la sua
famosa ascia. Calmata· fa collera , il padre offerse a Paraf11-Ram.i di
esaudire un suo desiderio , al che questi rispose chiedendo che fosse
restituita la vita alla ma_dre, cosa che avvenne. Qualche tempo dopo
questo fatto, re Kàrtavirya degli Haihaya, dopo essere stato accolto
ospitalmente da jamadagni nel suo eremo, gli rubo al momento di
andar via la famosa vacca Kama-dhuk (K. - duh) «che soddisfa i desi­
deri» . Parafu-Rama l'insegui, lo raggiunse e lo uccise in duello. I figli
dell' ucciso , volendo vendicare il padre , uccisero jamadagni. Parafu­
Rama giurò allora di sterminare tutta la razza k�acriya sulla terra, il
che gli riuscì ben «tre volte per sette». Se non che le stirpi guerriere si
riformarono subito , in seguito al connubio dei brahmal)a con le ve­
dove degli k�atriya. Di lui si narrano molte altre imprese , fra le quali
quella di aver trapassato con la sua arma il monte Kraunca , volendo
rivaleggiare con Kartikeya, il Marte Indiano . Egli , però , finl la sua
carriera guerresca venendo sconfitto dal suo omonimo Rama -
anch'egli parziale avatara di Vi�r:iu - , dopo di che si ritirò a medicare
sul monte Mahendra, ove si troverebbe ancora immerso nell'ascesi.
Per questo motivo egli è considerato il tipo indiano del Mahatma
cira-jivin, il «Grande Santo che vive a lungo»;
7. Rama , o Rama-candra («R. [ bello] come la Luna»). Con costui
entriamo nel pieno dell'epica indiana: egli è il protagonista del Rà­
màyana di Valmìki di cui si è parlato. Il motivo dell'incarnazione di
Vi�r:iu in tale eroe, figlio di Dasaratha della stirpe solare di 1/qvaku, è
dovuto alla richiesta degli dèi di venir liberati dai demoni e , in parti­
colare, dal terribile raksasa Ravana, che aveva ottenuto da Brahma il
solito dono di non venir ucciso né da uomo né da dio. Dasaracha , es­
sendo privo di prole, compì il sacrificio del cavallo per ottenere figli.
Gliene nacquero quattro dalle sue tre mogli , gli ultimi due gemelli:
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETTERARI 97

Ràma , il primogen ito Bharata. lukf ma�,1 e Satrughna , nei quali , in


diversa misura, si è incarnato Vi�tJU. In Rama, il primogenito, spec­
chio di virtù eroiche e religiose . il principio- Vi�tJU è presence con tut­
ta la sua possanza morale e fisica . Rama ancora fanciullo , viene porta­
to dal grande r�i Vifvàmitra al suo eremo . affinché proteggesse i suoi
sacrifici dalla folla di demoni (Rak1as) che infestavano i paraggi. Ra­
ma uccide i demoni ricevendo in compenso numerosi doni, fra i quali
le «armi che fanno sbadigliare» (jrmbhakastra111) rendendo i nemici
impotenti a combattere. Vince anche senza difficoltà il suo omonimo
Parafu-Rama, impedendogli di completare la strage degli k�atrya e
facendolo ritirare per sempre in meditazione sul monte Mahendra .
Indi, accompagnato da Vtfvàmitra e dai suoi fratelli, Rama si reca
presso il re di Videha, Janaka , nella capitale in cui deve aver luogo il
matrimonio fra la figlia di costui Sita («il Solco», perché nata dalla
Madre Terra , mencre janaka l'arava) e l' eroe , ancora sconosciuto, ca­
pace di piegare l'arco meraviglioso di Siva . Rama lo flette facilmente
e sposa la fanciulla con la quale ritorna felice ad Ayodhya . Ivi il pa­
dre , constatata la sua capacità a regnare, lo dichiara erede presuntivo
al trono (yuva- raja) . A .questo punto scoppia il dramma : la favorita di
Dafaratha, Kaikeyi, donna di casta non arya , che egli aveva impalma­
to ali' «uso dei Gandharva» ( dimostrazione che in India non erano in­
frequenti i matrimoni «fuori casta») , alla vigilia dell' incoronazione di
Rama , pretende ingelosita che il re acconsenta a due grazie promesse
allorché l'aveva tolta in isposa : la prima . che Rama venga espulso dal
regno , la seconda, che il di lei figlio Bharata diventi erede al trono in­
vece del fratellastro. Il re, affranco dal dolore , acconsente, e Rama
parre in esilio per la sconfinata foresta Da,.,/aka , assieme alla devota
Sita ed al fedele fratello Lak1ma'}a. Poco dopo muore Dafaratha di­
sperato e Bharata si affretta ad offrire il regno a Rama , che però , fe­
dele alla parola data dal padre , rifiuta di comare prima che siano spi­
rati i quattordici anni d'esilio . Bharata allora si rassegna a governare
da luogotenente , ponendo sul trono i sandali di Rama in sua vece .
Durante il soggiorno nelle foreste dell'India centro-meridionale i due
fratelli, Rama e Lak1ma1Ja, compiono imprese senza pari, uccidendo
folle di demoni che opprimevano gli asceti , sì da eccitare la gelosia
dell'arcidemone Rava11a, re dell' isola di Lanka ( identificata , poi,
all'isola di Ceylon). Questi, aiutato dal mago Marica , attira lontano
dall'eremo i due fratelli e rapisce la bella Sita, che si porta sul suo car­
ro aereo a Lanka. Qui la rinchiude nel gineceo, tentando inutilmente
di sedurla. Intanto Rama e Lak1ma1Ja , appreso il destino della donna,
si alleano col re delle scimmie Sugriva, in cambio della restaurazione
di costui al trono sottrattogli dal fratello Vii/in: senza perdere tempo
Rama uccide Vii/in e Sugriva riprende il regno. Il consigliere di Sugri­
va è la saggissima scimmia Hanumant, che si mette subito a ricercare
la principessa rapita. Giunco all'estremo sud, resta un poco sconcer­
tato di fronte alla distesa immensa delle acque marine , poi , raccolto
98 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

il coraggio ed il potere magico che certo non gli mancavano, e.on un


salto gigantesco penetra in Lanka dove, trasformatosi in una minu­
scola bestiola , ritrova Sita in misera condizione e la riconforta. Indi
ritorna indietro e fa il suo rapporto a Sugriva ed a Rama. li re delle
scimmie consiglia Rama di edificare un immenso ponte per accedere
ali'isola , il cosiddetto Naia-setu («ponte di Naia» , dal nome del
mago-scimmia che l'aveva fabbricato , ponte attualmente identificato
al «Ponte di Adamo» , catena di isolotti che congiungono Ceylon al
continente: echi di una leggenda islamica , ma di origine antichissi­
ma , che fa dell'isola il «Paradiso Terrestre di Adamo»).
Costruito il ponte, l'esercito delle scimmie penetra a Lanka, dove
si ingaggia un'immane battaglia che culmina col duello finale fra Rà­
ma e Rava,:za. Vinto ed ucciso costui e sgominaci i Rak!as. Rama ritro­
va Sita, ma deve repudiarla immediatamente perché non pu6 diven­
tare regina una donna sospettata di aver convissuto, sia pure contro la
sua volonta , con un altro uomo, vivente il marito. Disperata, Sita de­
cide di uccidersi e fa preparare la pira funebre , sulla quale sale. Acce­
so il fuoco , le fiamme la risparmiano: cosi Agni testimonia a favore
della sua castica. Rama, allora, la riprende e i due tornano ad Ayo­
dhya , dove regnano felici per lunghi anni. Un'altra leggenda molto
piu diffusa (difatti servi da base per il dramma classico Uttararama­
can'ta, «L'ultima impresa di Rama» di Bhavabhùti) racconta invece
che Sita fu perseguitata da malevole dicerie , che affermavano essere
figli di Rava,:za i gemelli che portava in grembo (i futuri eroi Lava e
Kuia). Rama, obbedendo ad un precetto ksarriya secondo il quale un re
deve servire e rendere soddisfatto il popolo, decise per la seconda vol­
ta di abbandonare nella foresta Sita, già in preda alle doglie del par­
to. Ella , per6, assistita dalla dea Gang.z (il fiume Gange) e da sua ma­
dre , la dea Terra , riusd a sopravvivere, dando felicemente alla luce i
gemelli, i quali verranno poi allevati dal saggio Valmiki (mitico auto­
re del Ramayaua, cosi detto perché le formiche, in sanscrito valmi­
kap, presero il suo corpo per una roccia e ci costruirono sopra un for­
micaio, durante una sua meditazione durata un migliaio di anni).
Anni piu tardi , in una specie di anamnesis generale, la famiglia final­
mente si ricompone. Altre leggende, però, non attribuiscono cosi fe­
lice esito al secondo ripudio;
8. Con Km1a («il Nero-bluastro») ci troviamo di fronte ad una di­
vinità vera e propria che , se pure ha ascritto a sé una nascita umana e ,
in origine , appare come un eroe solare di una rribu storica, quella
Ylidava. che piu o meno, si continua nell'omonimo clan rajput, as­
surge ad importanza pari a quella di Vi�i:iu e diventa il simbolo cen­
trale di importantissime scuole mistiche e filosofiche dell'India, in
particolare del sistema Pancaratra- Srivaisnava, al quale si accennerà
in seguito (v. infra). Anticipando quanto poi verrà illustrato, Kr!'!"
simboleggia lo spirito divino essenziato di · amore che si congiunge
con le infinite anime umane (adombrate dalle migliaia di pastorelle
TESTI MITICI . FILOSOFICI E LETTERARI 99

amate dal dio) e che. att raverso og n i si ngola anima umana (simbo­
leggiata dalla sua fakti R.idhJ) . realizza il miracolo della sua i n i nt er­
rotta presenza fra gli uomin i . la quale fluisce auraverso le medesime
azioni che essi rnm piono . Egl i simboleggia . in sint esi . la presenza di­
vina incessante e totale nella Uman i t à . Dice infat t i la religione
krg1aita che l ' uomo il quale . smz.i rimmci.irt' .il/ '.iziont' ed ai god i­
menti o sofferenze che essa comport a . si d istacc h i i n t eriormente ( lyJ­
g a) dai frut t i del l ' azione medesima . permeu e al pri ncipio- Km1a d i
man ifestarsi entro lui stesso . il quale princi pio è l ' essenza fondamen­
tale ed il sign ificato ocrn lto dell ' un iverso .
Questa morale cavalleresca è rnnsarra t a . come- si ved rà appresso
dalla Bhag avad-g ÌIJ. « i l Canto del Beato » , che non a torto è s t a to det ­
to recentemente «il Vangelo del l ' I n d ia» . l i m i to eroirn di Kmu ha
molti pu nti in comune con quello del grern Herakles e. difat t i . gli
scrit tori greci che ebbero quakhe nozione dell ' I ndia assimi larono il
dio ora ad Ercole ora a Dioniso . I l posto d i Eu ryst eus è ocrnpato i n
questo mito d a l rngino Ka,.nsa. crudel issimo r e che . alla fine della
terza eta, regnava sugli Yiidava. A lui il devar�i NJrad11 ( messaggero
degli dèi , uno dei dieci ·esseri sovrannaturali nati dalla coscia di Brah ­
ma) aveva predetto che sarebbe perito per mano di un figlio d i Deva­
ki, sorella di suo padre e moglie di Vasudeva. Ka,,1.ra. al lora , trattie­
ne prigioniera Devaki uccidendole i primi sei figl i . I l settimo , Bala­
�iima («R . dalla forza» ) , incarnazione del serpente cosm ico A nanta o
Seta, riesce a sfuggi re al triste dest ino rnl ven ir trasportato magica­
men t e , dopo essere stato concepi t o in seno a Devaki, nel grem bo di
Yafodà, moglie del pastore Nanda.
Cosi pure si salva l ' ottavo bam bino di Devaki. Kmz a. che viene
scambiato con la figlia del pastore Nanda, che lo alleva segretamente
in mezzo ad altri pastori . Kaf!1sa, però , avved utosi del l ' i ngan n o , or­
dina di uccidere tutti i bambini dotati di forza eccezionale , ma Nan­
da fugge assieme a Balariima e Kmza nel Go -kula o Vraja («recinto» ) ,
territorio sacro presso Math ura , indi , dopo sette ann i , n e l relebre
V.mdii- vana («Foresta del basi lico») , dove Kmza compie una serie di
imprese mi racolose , consisten t i nel l ' uccidere numerosi demoni ( il
demone Baka, trasformato i n gigan tesca gru ; il serpente Ag ha, il re
dei serpen t i Kiiliya, che avvelenava le acq ue dello Yamunà ed aveva
invano tentato di stringere fra le sue spire Krnza: l ' eroe lo cost ringe a
dan zare con lui una danza sfi bran t e , al termine della quale lo
uccide) . A queste imprese vi era già stato un preludio quando Krnza,
ancora lattan t e , aveva ucciso i l demone femminile Piitanii - manife­
staz ione della terribile Sita/ii o Miiryammei, aspetto· mortifero della
Grande Dea - che gli aveva porto il seno ricolmo di veleno : Krnza lo
succ h iò fino all ' ultima goccia, stremando mortalmen te la terri bile
diayolessa ( l ' impresa ricorda la bevuta del veleno Haliihala da parte
di Siva dopo i l frullamento del l ' Oceano) .
Sono anche d a riferirsi ali ' epoca della sua adolescenza l e imprese
100 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

amatorie con le sedicimila gopì («pastorelle») del V.rt1dìi-vana, avven­


ture che connotano la sua personalità di dio pastorale (simile per ci6
al greco Pan) e, contemporaneamente, dio dell'amore e della danza,
con importanti riferimenti alla mistica della sua setta. Nel Vrrzdà­
vana trascorre il tempo accompagnando con il flauto le danze delle
pastorelle, le quali lo amano tutte, sperimentandolo ognuna, con­
temporaneamente alle altre, per sé sola. Il tema della danza ardente e
folle di lui con le gopì; il cosiddetto rasama 1J /ala, diventerà un im­
portantissimo soggetto della mistica erotica medioevale. Fra le nume­
rose gopz', Radha («colei che piace»), la favorita, è il simbolo dell'ani­
ma umana che pienamente si apre al raggio fecondatore dell'amore
divino. Le leggende su Krn1a pastore sono molto numerose: appar­
tengono probabilmente ad un ciclo inizialmente indipendente dallo
stesso culto di Vi�r;iu . Del relsto la stessa figura di Kmza, come già al­
luso, è la sintesi di tre divinità differenti: Narayava, Vasudeva
(-Ku?'la) e Gopala (-Kn?'la, K. «pastore»). Naraya?'la, probabile ipo­
stasi molto amica del vedico Agnr (cfr. Nara-famsa; in ambito iranico
Nairy o-sa'.!ha, una specie di dio messaggero, personificazione del
fuoco regale, «sito nell'ombelico»), viene definito dal Narìi'!iya­
Kharila (XII, 34) dallo stesso Ha1i ( Vift,u) come «asilo» (ayana) «de­
gli uomini» (nara); altrove Naras viene interpretato come Apas, «le
Acque» (Manu, i, 10). Nel Vay u-puràf}a assume proporzioni cosmi­
che: N. precede addirittura l' «Immanifesto» (Avyakta): è l'Ineffabile
di là dall'essere e dal non-essere ed i due contemporaneamente, co­
me diverrà il Ku?'la della Bhagavad-gÌtà. D'altra parte
nell'Afvamedhika-parvan del Mahabhàrata ( 5 3-5 5) Km1a si rivela ad
Uttanka Bhargava quale presenza universale del Fuoco (virà/­
svarupa). Quanto ali'identificazione fra i due Knria ( Vasudeva- e
Gopala-), questa, secondo alcuni autori (Bhandarkar), dovrebbe es­
sere avvenuta in epoca tarda, ad opera di clan pastorali, gli Abhira,
originariamente ç_onsiderati barbari (mleccha) - che dovrebbero cor­
rispondere agli Ahir storici, conquistatori del Mahara��ra e del Ka­
�hyavada - che successivamente si incrociarono con gotra aria -brah­
manici, portatori di una visione più metafisica del mondo divino.
Alla fine del suo periodo pastorale, Km1a uccide Ka1flsa, che gli ave­
va suscitato contro altri nemici, da lui puntualmente sconfitti . Divie­
ne, quindi, padrone del regno, che tuttavia abbandonerà ben presto,
perchè esposto ad un attacco degli Yavana (nome generico, ma tardo,
dato ai barbari del Nord: originariamente significava «Ioni», «Greci»).
Va, quindi, a stabilirsi con tutta la sua tribu alle foci dell'Indo, dove
fonda la città inaccessibile di Dvaraka (presso l'odierna Karachi). È n
che rapisce la bella Rukmi1JÌ, figlia del re dei Vidarbha. Nel suo palaz­
zo egli vive circondato dalle 1 6 .000 spose e dai 1 80.000 figli, fra i quali
ha particolare rilievo il figlio Prady umna, nonché il nipote Aniruddha
(amante , quest'ultimo di U!ìi figlia dell'asura Ba'.!a, come narra un ci­
clo di poemi eroico-religiosi a lui dedicato).
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETfERARI 101

I l BhJg .iv.ita-p11rJ1J.i s i dilunga a descrivere come Ku1J .i fosse con­


cemporaneamence presence in tutte le sale del palazzo . imeneo con­
remporaneamen ce in cucci i suoi compici di re . padre di famiglia ed
amante. più o meno . secondo la cri parc izione hindù degli acci leciti .
secondo dharma ( dovere) . .irth.i ( urilicà) e kJm.i ( piacere ) . Questa si­
mulcaneirà . che ben si sposa alla teoria upani�adica della eterna pre­
senza «di test imonio» del Sé un iversale in c u c ce le azioni di cui l ' «ego»
si presume autore , è uno dei temi favorit i della let teratura rel igiosa
indian a . Numerose avventure si succedono durame il suo periodo re­
gale: fra queste l ' uccisione di numerosi demon i , la sottomissione di
re ribelli (che possono anche essere la rison anza di fatti storici) , alcu­
ne fortunate locce addirittura con Indra e, finalmente , la partecipa­
zione alla grande guerra fra i Kaurava ( d iscendenti di K11m) e i loro
cugin i Pii1Jt/ava (discendenti di Pa'}t/11. «il Pal l ido» ) . ingiustamente
spossessac i dai primi del loro regno che . come si è acrennato . forma
l ' argomento del Mahabharata (v. Riassunto nel seguente capitolo) .
Kn1Ja parteggia per i Pa1_1rjava. fra l ' altro suoi parenti stretti . È qui
che prende le mosse l ' episodio craccaco dalla Bhag avad-gita ( di appe­
na 700 versi ) , la cui elevatezza morale . filosofica e religiosa è tale da
mettere in om bra il resto del bel lissimo e smisurato poema. L' eroe
Arjuna, il capo dei cinque fratelli Pii1J/ava, nel l ' ateo di attaccar bat­
taglia con i suoi cugin i , si seme venir meno le forze e si domanda se
non sarebbe meglio morire , piut tosto che commettere il peccato di
uccidere parenti e pari-casta , lasciando così deserti i loro focolari e
provocando il disordine nella società , quindi nell 'Universo . A questo
punto l ' auriga ( l a figura dell ' auriga è quella del l ' Io perenne che con­
trolla le forze psich iche ) , che è Krr1Ja in persona , gli rivela sorridendo
una conoscenza segreta che giustifica il diritto ed il dovere di agi re ,
indipendentemente dai risulcati o dal vantaggio che conseguono
all ' azion e . La via verso la salvezza è quella del l ' azione quando , però ,
si sia rinunciato interiormente ai frutti che comporta tale azione (kar­
man ) . In tale modo l ' uomo può realizzare la sintesi di bhoga, o frui­
mento dell ' azione, e y oga, o ascesi . La via del guerriero e, in genera­
le, del l ' uomo in questo mondo , è pertanto quella che si real izza at­
traverso il combattimento . L' uomo è porcaro all ' azione nel campo fi.
sico dal fatto stesso di essere avviluppato nella materia (prak,:tz) , la
quale , per l ' instabilità stessa dei tre g u1Ja, rende al continuo muta­
mento che si esprime nella creazione di tutto il mondo psich ico e fisi­
co . Ma l ' altro scevro di desiderio , pur svolgendosi sul piano della con­
tingenza, si serve della maceria come fatto strumentale puro e sem­
plice e , pertanto, libera i nteriormente l ' uomo dalla sua soggezione a
questa e lo avvicina alla vera conoscenza (jnana) . Questa conoscenz a ,
c h e t rascende i limiti d e l vivere in un mondo ottuso e materiale, in
quanto è folgorante intuizione di una superiore realtà, si attua attra­
verso la meditazione (dhy lina) che per eccellenza è quella dello y oga.
Per quesco· motivo noi troviamo nella Bhagavad-gita, che è u n ' apolo-
102 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

gii del!' azione , anzi , della «metafisica dell'atto», riuniti «in nuce» gli
insegnamenti di tre fra le mas�ime scuole filosofiche indiane: il Ve­
diinta, di cui si è parlato a proposito delle Upam'.fad, lo Yoga ed il
Siif!l,khya, che tratta dello sviluppo l'uno dall'altro (pan·,:1ama) , a
partire dalla sostanza universale (prakrtz) , di tutti i componenti della
psiche (buddhi, coscienza riflessa, ahaf!l,-kiira, senso dell'io, manas,
mentale , indi gli jffana-indriya, facoltà di percezione, e karma­
indnya, facoltà di azione, correlati ai tan-miitra, «quiddità• fisiche,
da cui derivano i bhuta, elementi fisici esteriorizzati . Lo Yoga, dice la
Bhagavad-gitii, apre la via ad una forma di esperienza superiore che è
la bhakti, cioè la devozione totale verso il dio , il quale è intuito pre­
sente ed agente in ogni momento della nostra esperienza del mondo .
Questo della bhakti è l' insegnamento fondamentale di Ktr'la che,
immediatamente dopo avergli conferito, appare allo sbalordito A rju­
na sotto forma di tutti gli esseri divini e non divini esistenti nel tri­
mundio.
Questa straordinaria epifania , di cui Kr�'!a è il centro e, in certo
modo , l'Io cosmico, segna l'apice della Bhagavad-gita. Si può anche
osservare un elemento etimologico molto significativo , che ci pone
sulla traccia della funzione dei due principi incarnati rispettivamente
da Arjuna e da Kr�'la nell'economia divina. Arjuna, «il Chiaro» o «lo
Splendente• , è l'io umano che opera allo stato di veglia regolandosi
secondo punti di riferimento - morali o materiali - esteriori , o rice­
vuti da fuori , dal mondo. Kn'!a, «il Nero» o «l'Oscuro», è l'io spiri­
tuale , la parte della personalità che non appare allo stato di veglia ,
nella quale opera la volontà divina secondo intenzioni che trascendo­
no la necessità materiale. L'assoggettamento di quello a questo è , in
sostanza , il fine della bhakti.
Il mito di Krsna . ha una conclusione catastrofica , da «fine di
epoca» , dato ché èssa coincide con l'inizio del Kali-yuga. Tutti gli
Yiidava periscono in seguito ad una guerra civile , compreso Baia­
Rama. Sconfortato dal massacro che non era riuscito a prevenire,
Kr!1Ja si ritira in una foresta , ove il cacciatore Jaras, «Vecchiaia» , lo
uccide prendendolo per un ' antilope. Particolare interessante , che lo
ravvicina alla figura di Achille , KnrJa muore colpito al tallone , unico
punto vulnerabile, «umano» , del suo corpo.

e. Appendice ai m iti di Kr�'!a: zl Mahabhiirata e i miti eroici


Come già appare nell ' avatara di Parafu-Riima e di Rama, poiché

�e
Krsna. oltre che essere un dio amoroso , è fondamentalmente un nu­
guerriero , le leggende eroiche costituiscono buona parte del cor­
pus religioso km1aita, oltre a rappresentare il tessuto immaginativo di
infinite opere sia sanscrite che vernacole , nelle quali si è espresso il
sentimento religioso degli Indiani degli ultimi venticinque secoli.
Del Riimiiya7Ja si è già parlato (pp. 96 ss. ) . ; quanto al Mahabhiirata,
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETTERARI 10 3

docume n t o essen z i a le de l l a rel igione ù�1.1 u - kr�1.1 a i t a ( e llllll so lo que l ­


la . m a anrhe di rel igion i fra m m e n t arie aborigene e di r u l t i siva i t i ) . si
tra r r a di u n a g igant esca epopea rhe rnm iene . o l t rt· a l i ' i n t rira 1 a n a rra­
z ione princ ipa l e . i n fi n ite farn i e . parabo l e . episodì rhe ri i l l ust rano lo
spi rito di un' I n dia rhe . s t r a n ament e per noi . i n pam· è t a rd o - a n t ira .
ma i n parre è addi r i u ura pro wsw rira . daw d1t· ad ogn i passo . srn l ll la
vest e indiana ort odossa . riaffiorano ekment i - pera l t ro non anro ra
approfondii i - di u n ' I ndia pre- vecl ira o n o n - a r i a . l' eplipt·a del ,\I,1-
hJbhJr.it.i i rasren de i rn n fi n i del l ' I ndia swrira . non so lo per k m1 -
merose t raduz ioni e riassunt i di mi è s i a t a ogge u o i n isvaria1 e l i n gue
indiane . ma anrhe perrhé le figure dei suoi ero i pri nripa l i sono vrnu­
t e a far pane dei mi t i rel ativi a l l ' or i g i n e de l l e st i rpi !ora l i . n e l T i be1
rnme i n B i rma n i a . Muo n g Tha i . Malesi a , B a l i e Giava . È s1aw perfi ­
no arrn l t o e rei nt erpret ato d a se1 1 e rel i giose wme quel l a _J a i n a e que l­
l a Buddhist a . asso l u t amen te es1 ra n ee alla re l ig i o n t· h i n d ù . Ques 1 t· ra­
g ioni rendono i n dispensa b i l e rnnosrert· a lmeno un riassunt o
del l ' az ione principa l e . attorn o alla qu a l e so no riun i 1 i i m i t i t· k leg­
gende di maggiore importa n z a .
L' intrel'l' io fondament ale è da w dal l e rn n t est· e da l l a gue rra fi n a le .
per consegui re i l dominio sul l ' I ndia e sul mondo i nt ero . verso l a fi n e
del dviipara-y11ga. fra i Ka11ra11a ed i PJ,:,t/av.i ( v . supr.i) e n t rambi n a 1 i
dal l a st i rpe «lunare» di Bhara/a. donde i l nome di BhJr11ti1- v11r.y.i, «Re­
gione dei Bh. ». dato a l l ' India.
L ' antefat to . La discendenza del sovrano un iversale (s,1111 - rJj, c11kri1-
vartin) Bharata. figl io di D11.(yanta e di Sak11nta/J ( v . infra) , si t·ra di­
visa in due branrhe : que l l a de i Pii,:,t/ava. cinque fratel l i fig l i di Par_u/11
(«i l Pal l ido» , così detto perché sua madre A mhalikii impal l idì di sacro
terrore , a l lorché le si acrnstò i l saggio Vyii.ra. onde renderla rapace di
avere il fig l i o) e que l l a dei loro cento cugini Kaurava ( «discendem i di
K11r11» , comune antenato dei due rami), il primogen i to dei qual i è
Duryodhana, figl i o del re Dh[tariif{ra, ciern e quindi imped i to a re­
gnare , pertanto sost i tuito nel compi to regale dal frate l l o Pa,:zef11 . Un
dest ino fatale impera su queste due branche del l a medesima dina­
stia . Non soltanto fra i due gruppi di cug ini regnava un odio srnnfi ­
nat o , ma g l i stessi Piif!t/ava erano sol t anto gi uridicamente fi g l i del
proprio padre , in quanto Pa1,1t/u. impedito da una m alediz i one di
aver figl i dal le proprie mogl i , permi se a l l a sua sposa Kunti di usa re
un incantesimo avuto dal lo rJi Durvii.ra.r, per generare senza l a parte­
cipazione del mari to , invocando gli spi riti deg l i dè i. Così e l l a diede
a l l a luce Yudhzjthira, Bhima ed Arjuna; l ' a l t ra mogl ie, Màdn� usan­
do lo stesso incantesimo generò Nakula e Sahadeva.
Un giorno , però , P(!1,1qu - diment ico del l a maledi zione - tentò
di abbracciare Màdn· e cadde immediatamente morto fra le sue brac­
c i a. Morto Pa1,1t/u, Dhrtaràffra riassunse il potere , nominando però
Yudhzj/hira erede al trono . A questo punto i l cugino Duryodhana
cercò con ogni mez zo di uccidere tutti i Pii1,1t/ava, incendi ando fra
104 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

l' altro le sale dove essi si trovavano, dalle quali invece fuggirono ser­
vendosi di un passaggio segreto. Per allontanarsi dai cugini , i Pii1Jt/a­
va si rifugiano nella foresta (tema classico in tutta la letteratura india­
na! ) e là compiono ogni genere di imprese, uccidendo demoni, pro­
teggendo asceti meditami , raddrizzando torti, eccetera. Un giorno
vengono a sapere che la bellissima figlia del re Drupada, cioè Drau­
padz� doveva scegliersi un marito secondo il rito · kfatnya dello
svaya1J1- vara («scelta da sé»); sarebbe divenuto suo sposo colui che fos­
se riuscito a tendere il solito arco divino ed a scoccare cinque frecce
colpendo il bersaglio fissato . Travestiti da brahmaQa , i cinque eroi as­
sistono al rito e vi partecipano: Ar_iuna riesce a compiere l' impresa,
conquistandosi così la bellissima sposa .
Immediatamente scoppia una contesa fra i Pii,:zt/ava ed alcuni Kau­
rava, che avevano anch'esJi partecipato alla competizione sperando
di conquistare Draupadz: E allora che avviene il primo duello fra Ar­
_iuna e Kar,:za (suo sconosciuto fratello , in quanto figlio avuto da
Kuntz- prima del matrimonio , mediante invocazione del dio Siirya;
Kar,:za, però, era diventato - in seguito a varie avven,ture - il capo
militare dei Kaurava) ed un altro combattimento fra Saly a e BMma.
Nel corso di questo episodio compare la misteriosa figura del dio-eroe
Km:ia, capo del clan Yiidava, che da quel momento in poi aiuterà i
cinque Pii11t/ava.
Usciti illesi da questa avventura, i cinque Pii,:zt/ava si presentano al­
la madre, la quale, alludendo ai doveri inerenti alla condizione di
brahmar:ia, da loro temporaneamente assuma , pronuncia le fatali pa­
role: «Di quanto avete acquistato , godete assieme! » , naturalmente
accennando al frutto delle elemosine eventualmente ricevute. Ciò co­
stringe sacralmente i cinque fratelli a divenire tutti sposi di Draupa­
dr: Questo particolare poliandrico , unito al carattere fisico della
«pallidità» - pa,:zt/u significa «pallido» - ha fatto supporre a qual­
che studioso che si trattasse di un clan tibetoide arianizzato , sostitui­
tosi storicamente alla legittima dinastia Kaurava, già dominante
nell' India centro-settentrionale. Per mettere fine alle continue conte­
se dei propri figli con i cugini , Dhrtariif(ra decide di abbandonare ai
Parit/ava la metà del regno: essi fondano la capitale Jndraprastha
(nella zona dell'attuale Delhi) e vi dimorano felicemente con il loro
amico Kr,nza. Nel frattempo , però, in seguito all'involontaria infrazio­
ne ad un voto , Arjuna deve esiliarsi per ben dodici anni, durame i
quali compie innumerevoli imprese: fra queste, vi è quella d'appren­
dere l'arte magica delle armi da Parafu-Riima, quella di sposare una
principessa Naga, dalla quale ha il figlio Iravat, quella di sposare Ci­
tra,:zgadii. figlia del re di Ma,:zipura, dalla quale ha il figlio Babhruvii­
hana. quella di visitare la città di Dviirakii, dove,t,on l' aiuto di Km'!a,
sposa Subhadra, dalla quale ha un altro figlio , Abhimanyu, che diver­
rà celebre eroe. Consegue inoltre dal dio Agni, come premio di averlo
aiutato a bruciare la foresta Kha,:zt/ava, il magico arco Ga,:zt/iva.
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETTERARI 105

Mentre Arj11n.i era i n esi l io . Y11d(r(hirt1. derro anche Dh.irm.i per


la sua rer r i c udine . divenne re un iversale . D11ry odh,m,1. però . che ave­
va gi urato di disc ruggere una vol t a per sempre gli odiaci PJr,t;l.i11t1,
consigliato dallo zio Salumi lo sfida ad una pan ica a dad i . In quesca
Yudhrj/hira. i ngan naco . perde successivament e c u r r i i ben i . il regno ,
i fracel l i . la propria persona e perfino Dr,111p.id1: che viene offesa e
maltrauaca dai trionfanti K.111r,w 11. Bhìm.i. al lora . giura di vendicar­
si . Il vecch io Dhrt11r111(rt1. t imoroso delle conseguenze di una simile
azione . si interpone fra i cugi n i inferoc iti ed accorda un voco ch iesto
da Draupadr:· i ben i vengano rest ituit i ai PJr_,t;"11111 ed una nuova par­
tita, quella decisiva , sia d isputat a : il gruppo perdente andrà in esi lio
per dodici anni e resterà incognito durante i l t red icesimo . Y11dhisthi­
ra gioca ancora e perde : i cinque Piir_,t/ava ( Arjuna era intanto ritorna­
to) partono dunque assieme a Draupad,-p er il lu ngo esilio . Durant e
questo periodo di lon tanan z a , i Piir_,t/ava hanno numerose avvent ure
co n eroi , demon i e dèi . Arjuna si reca nello Himalaya per pro piziarsi
gli dèi ed otten ere armi celest i in previsione della futura guerra ron i
Kaurava.
Nello H!'m iilaya sosdene anche un combat t i mento singol are con lo
stesso dio Siva che gli era comparso davan c i sot to le_mentite spog lie di
un Kira/a (stirpe aborigena di cacciatori - il dio Siva ( v . infra) , oltre
a essere il signore delle mon tagn e , girifa, era ritenuto essere il protet­
tore di ind ividui e gruppi «estranei» alla civiltà ario- brah manica , in
particol are degli aborigeni Kirafa e Nifàda, nelle cui spoglie talvolta
appariva ) . Arju_na, però , lo riconosce e lo venera immediatamente
dopo , per cui Siva gli concede l ' arma detta pa.fu-pata-àsJra («l ' arma
di Pafu-pati» , «il Signore del Best iame» , altro nome di Siva) . lndra,
Varura, Yama e Kubera (dio delle ricch ezze e dei tesori nascost i , v .
infra) gli offrono anch ' essi armi fatate e arcani poteri . Nello stesso
periodo , i suoi fratel l i com battono con t ro altri re ed eroi , fra i quali il
ce dei Sindhu jay:1dratha, già cognato di Duryodhana che tentò di ra­
pire Draupadt� E in questa pane del lungh issimo poema che sono
col locati , come storie n arrate da menestrelli , i celeberri mi episodi di
Naia e Damayantt� della fedele Savitrt� di Rama e Siiii, ciò che dimo­
stra come la redazione fi nale del Mahiibhiirata è posteriore a quella
del Ramayana, nonostance il suo linguaggio più arcaico .
Giun t i al t redicesimo anno del loro esilio , fedeli alla parola data , i
cinque eroi si recano sotto vari t ravestimenti alla corte del re dei Mat­
sya , Virata, che li accoglie benevolmente . Purtroppo il capo del suo
esercito Krcaka, che bramava Draupadt� viene ucciso da Bhima i n sin­
golar tenzon e . I rapporti fra i Pir,t/ava ed i Matsya si guasterebbero
defi n i t ivamente se non sopraggiungessero orde di nemici ad assalirl i ,
fr a questi g l i odiati Kaurava, che, però , vengono rapidamente messi
in fu ga dai Pifr/t:/ava. Scocca il tredicesimo anno di esi lio: i cinque
Pàt1t:/ava si fanno riconoscere da Vira,ta, i l quale , riconoscente per
l ' a iuto ricevuto , concede in isposa l a propria figl i a ad Abhimanyu, fi.
106 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

glio di Arjuna. Ora i Pa1Jt/ava reclamano dai Kaurava la promessa re­


stituzione del regno , ma invano .
La guerra è inevitabile: attorno ai due gruppi rivali si adunano, nel
cosiddetto Kuru-k,retra ( «Campo di Kuru• presso Delhi, laddove, per
una strana coincidenza, si sono combattute pressoché tutte le batta­
glie decisive per il possesso dell' India) , tutte le genti indiane, più va­
rie stirpi alleate straniere. Dopo inutili negoziati divampa la battaglia
che durerà ben diciotto giorni ed al cui inizio si pone l'episodio della
Bhagavad-gita dianzi citato. Arjuna, incitato da KnTJa, mette da par­
te ogni scrupolo e timore, accingendosi a compiere il supremo dovere
di guerriero, indifferente ai mali che questa guerra potrà apportare al
mondo, indifferente soprattutto al fatto stesso di uscirne vittorioso o
di patire l'estrema sconfitta .
Innumerevoli sono i caduti ed i morenti, il cielo è oscurato da nu­
goli di frecce apportatrici di morte. Al nono giorno, quando ancora la
battaglia è indecisa , i Pa1Jt/ava decidono come estremo rimedio di as­
salire Bhzjma, asceta ad eroe , capo morale degli avversari. Ferito mor­
talmente da Arjuna, egli si fa porre, come ultimo atto di ascesi , su un
letto irto qi frecce, rimandando la morte, per un potere concessogli
dal padre Santanu, al momento voluto, che venne ad essere l'equino­
zio di primavera: egli assiste in tale modo allo svolgersi del la batta­
glia. Al tredicesimo giorno viene ucciso Abhimanyu , figlio di Arju­
na. che ne vendica prontamente la morte. Uno dopo l'altro cadono
sul campo i vari Kaurava: Droria per tradimento, KaT'fJa colpito a
morte da Arjuna ( per cui si avvera l'antica maledizione secondo la
quale egli non avrebbe potuto mai fare uso, al momento utile, delle
armi magiche e delle arti belliche, del !e quali era pur maestro), Sa­
/y a , il comandante in seconda dei Kaurava e , infine, Duryodhana, in
duello con Bhima, che lo abbatte con la sua infallibile clava ( questo
eroe incarna pienamente l' ideale «erculeo» di Indra vedico per la sua
furia guerriera . il nome suo significa «lo Spaventoso», e per la fame
insaziabile, per cui è detto Vrkodara , «pancia di lupo&). Da questo
immane et-cidio si salvano soltanto tre Kaurava , che fuggono in una
foresta vicina . lvi uno dei tre , Afvatthiiman, vedendo un gufo che fra
i rami di un albero fa strage di cornacchie, riprende animo e, ispiran­
dosi al presagio , piomba rnn la sua sparuta schiera nel campo dei
Pà1Jt/av11 addormentati . ove compie uno spaventoso massacro, dal
quale restano illesi soltanto i cinque Pii1Jt/ava, fuggiti in tempo.
Non è ben chiaro in quale modo essi traggano vendetta su Afvat­
th'?lman ( poiché . secondo l'etica kfatriy a, è un misfatto uccidertun
nemico addormentato). Le donne raccolgono fra funebri lamenti i ca­
daveri dei parenti caduti, cadaveri che vengono, poi, fatti ardere da
Y11dh1jthira, il più giusto e il più regale dei Pi1Jt/ava , consacrato re,
dopo aver ricevuto gli ammaestramenti sui suoi compiti di sovrano
dalle medesime labbra del morente Bhifma. La figura di Bhi[ma, il
più nobile dei Kaurava e. da qualche generazione , il loro precettore,
TESTI MITICI. FILOSOFICI E LETTERARI 107

è una delle più belle del poe ma . C h i a m a t o Bh,:i·111,1 . « il Terribile» . per


aver farto sin da giovine�co il voto di ,asr i r à perperuo . allo srnpo di
permer rere a suo padre 5J11/J1111 - rnn la sua t remenda rinunr ia -
di sposare 5J/JJl'Jli"( tìglia di un pesrawre . rhe glie l' av rebbe rnnressa
in isposa solo a rnndiz ione rhe il figlio da lui generaw pot t·sst· salire

a
sul rrono: si ha di nuovo . rnme rnn la KJikt' )'I del R,1111,Ì}',IIIJ. l' ele­
mento femm inile aborigeno . rhe i n t erviene t urbare l' ordi n a m e n w
ariano di smwssione regale) . Bh'iJ·11u inr a rn a l' ideale indiano di pietà
filiale, di asresi e obbedienz a al DhJrtl/J. Egli è. i n rerw modo . il
rn11 1rapposro morale - pur appart enendo . pn dovert· . al rampo dt·i
«malvagi» K.i111i1/IJ - all' ambiguo dio KrV!J c a quegli st rani P:iti(Ù·
va errant i che , rn n t ro ogni sano princ ipio et i rn . h anno la moglit' in
romune e che. per un-iderlo . si giovano dell ' a i u w det ermina n t t' di
una ex-donna, SikhJndin . rnme per superare le rnndi z ion i « i mpossi­
bili» di un miro rn11 1ra1 1 uale .
Il poema si dilunga, po i. a narrare l' .ifr.i1111•dh.i rnmpiuw da ) '11-
dhrj/hira nella sua quali t à di Sovra no U n iversale . ment re ad Ar/1111.i è
affidato il diffa ile compito di gu ard iano del cavallo sarrifirak ( rnmt'
tale, egli deve sot to me.uere t u f l i i regni per i quali passa la sacra be­
st i a nel corso di un anno ) ; narra pure la morte di Dhrt.irJ.f/rJ, la di­
struzione del clan Yiidava e la morte del suo rapo KrpyJ, k rui on(J­
ranze funebri vengono compi u t e da A riuna st esso . Alla finl' i cinque
PIJndava vengono assu 11 1 i in cielo, dopo aver inst allato sul tron(J di
Hastinapura, l'a11 1 ica capit ale del Bharat avar�a ( Indi a ), Parik,rit, uni­
co figlio sopravvissuto di A bhiman_y11. Il mito di Parik,rit, mml' si è
v isco, è I' or<:asione per la narrazione, nel Bhiig avata-puriif!a, degli
avatara di Vi.f'! u .
Come si è det to, i n questo gigantesrn poema son() incastonatt' va­
rie leggende, che divennero più t ardi argomenw di infinite opere let ­
terarie. Una è quella di Savitri', _che strappa il mariw al regno dei
mort i, un'altra è l'episodio di Sakuntalii, che ispirerà l'immortale
dramma omonimo di Kalidasa, altre sono la celebre storia di Naia e
Damayanti, la leggenda di 8..fyafn"r,ga e diverse favole, miti, parabo­
le . A parte il m i to di Savitri, che verrà trattato più avant i a proposito
di Yama, il re dei morti, diamo un rapido sguardo alle principali leg­
gende summenzionate.
Sakuntalii era figli a dello r�i Viiviimitra, che la ebbe dalla apsaras
Menaka, a lu i mandata da lndra allarmato dall'intensità con m i pra­
ticava l'ascesi, sì da mettere in pericolo il mondo degli dè i. La bimba
crebbe solitaria nella foresta, ove si presero cura di le i gli uccelli ( scrt .
iakuntas, donde il suo nome). In seguito , trovata dal saggio Ka1') va ,
fu d a costu i allevata come una s u a figlia. Una volta r e Dusyanta, nel
corso di una cacc i a, giunse all'eremo del saggio, dove vide la meravi ­
gliosa fanci ulla : nato reciproco amore , i due si unirono secondo i l
connubio detto «dei Gandharva» ( cioè i l muro moto affettivo senza
ostacoli né cerimoni e). Du!.'y anta , poi, ritornò alla sua capitale , la-
108 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

sciandole un anello come dono di riconoscimento (abhzjniina) . In se­


guito all'incontro Sakuntalii generò Bharata, antenato di Kuru e ca­
postipite delle dinastie che avrebbero regnato sull ' India . Nato costui ,
Ka1Jva ritenne opportuno mandarla con il bimbo dallo sposo, il qua­
le , però , non la riconobbe (probabilmente cernendo uno scandalo : il
miro, però , attribuisce il mancato riconoscimento ad una maledizio­
ne ricevuta dalla donna) . Una voce celeste , però , lo ammonì : egli vi­
de l' anello e si decise a riconoscere la donna , dandole anzi il rango di
regina principale. Diventati vecchi , i due sposi si ritirarono nelle fore­
ste , lasciando il crono al figlio Bharata , che divenne sovrano univer­
sale .
La storia di Naia , da non confondersi con l' omonimo re delle scim­
mie del Riimiiyana, e della sua sposa Damayanti viene narrata nel cor­
so del Mahiibhiirata a YudhiHhira da re Brhadafva , al quale si era la­
gnato delle infinite disgrazie in cui era incorso . Naia era un virtuoso
re , scelto mediante lo svayaTJZvara da Damayanti, figlia di Bhima re
del Vidarbha , la quale era così nominata perché la sua bellezza «do­
mava» (rad. scrt . dam) quella di tutte le altre donne. Restarono per­
ciò delusi molti pretendent i , fra i quali alcuni dèi , come Indra, Agni,
Yama e Varu17a. Gli sposi vissero felici alcuni anni , finché il demone
del gioco Kali (e qui appare l ' attinenza con i casi di Yudhzj{hira) en­
trò nello spirito di Naia , inducendolo a giocare a dadi con suo fratello
Puskara . Naturalmente perse il regno e tutto ciò che aveva , tranne se
stesso e Damayanti. I due dovettero , quindi , abbandonare il regno
con il solo abito che avevano indosso . Nel loro errare per le foreste at­
traversarono numerose e dolorosissime prove , nelle quali rifulse la fe­
deltà di Damayanti per il marito. Alla fine però Naia , disperato di
non poter provvedere alla moglie secondo il suo rango, l ' abbandonò
nei boschi costringendola a far ritorno alla casa paterna . Successiva­
mente Naia incontrò il cobra reale Karko/aka il quale , per compen­
sarlo del fatto che una volta lo aveva salvato dal morire bruciato , gli
concesse la magica possibi l ità di trasformarsi in modo tale che nessu­
no , nem meno gli dè i suoi persecutori , avrebbero mai potuto ricono­
scerlo . In tale modo , forse , le sue disgrazie avrebbero avuto fine . Così
trasformato , Naia assunse il nome di Blihuka , entrando come auriga
e marescalco al servizio di /3.tupanJa , «straordinariamente versato
nell' arte di giocare ai dadi» ! l,?.tupanJa rimase così stupito della mera­
vigliosa abilità del finto Biihuka nell ' allevare e domare i cavalli , che
gli propose di addivenire ad uno scambio delle rispettive abilità , cosa
che egli accet tò , rivelandogli , inoltre , il suo vero essere e l ' origine
delle disgrazie . 8.tupanJa, com mosso della vicenda , lo condusse a
Ku17qinapura, dove Damayanti avrebbe dovuto procedere al secondo
svayaf!Zvara . Naia giunge appena in tempo per ritrovare l' amata spo­
sa e per impedire le sue seconde nozze : essa , difatti , lo riteneva ormai
morto , dopo averlo fatto cercare l ungamente . Ciò dimostra come in
epoca mitica o, semplicemente , antica , il rogo delle vedove fosse per-
TESTI MITICI , FILOSOFICI E LETTERARI 109

fettament'e ignoto. Damayanti, naturalmente, riconobbe ali'istante


il finto Bàhuka. I due si ricongiungono e vivono felici fino alla fine
dei loro giorni .
La leggenda di R1yafrnga è ricordata in numerosi altri testi brah­
manici e buddhisti. Una terribile siccità ha colpito il regno di Anga ,
il cui sovrano è Lomapada: gli dèi sono irritati con lui e non mande­
ranno la pioggia , a meno che egli non riesca ad attirare nelle sue terre
il sapiente asceta lJ..uafrnga. Era costui un bellissimo giovane figlio di
Vibandhaka, c;he lo aveva allevato nelle foreste, dove non aveva ve­
duto alcun altro essere umano fuorché suo padre. Lomapada, consi­
gliato dai suoi sacerdoti , manda un certo numero di fanciulle all'ere­
mo dell'asceta p_er attirarlo nel suo regno: fra queste vi è la sua stessa
figlia adottiva, Santa (il cui vero padre era, però , Dafaratha) , travesti­
ta da y ogini. /{syasrnga, che non aveva mai visto una donna in vita
sua , rimane affascinato dalla grazia della falsa asceta e la segue volen­
tieri, nonostante il corruccio del padre . Appena pone piede nel regno
di Lomapiida , la pioggia cade a scroscio restituendo alla natura la per­
duta fertilità. Il re , grato , concede volentieri sua figlia in isposa a
lJ..!yafr,ig a. Questo saggìo, miracoloso dispensatore di fertilità (il ter­
mine f,-ng a, parte del suo nome , oltre a significare «corno» ha un sen­
so erotico: secondo lo Apte, 87 1 , significa «excess of love» , «rising of
desire» ), è lo stesso che successivamente compì il grande sacrificio per
il re Dafaratha , fino allora privo di figli maschi , ciò che gli permise di
avere Rama e i suoi fratelli. In questo punto i due miti si collegano:
quello della stirpe lunare di Bharata e quello della stirpe solare. di
Riima.
Il Mahiibhiirata contiene anche cicli di leggende brahmaniche rela­
tive agli antichi ni, ai' semidei ed ai re-serpenti (i Nag a, che sono spe­
cie di spiriti elementari possessori di sapienza , v. infra) , come quella
di Ruru, lo ni innamorato di un' apsaras umanizzata che gli muore
fra le braccia, in seguito a un morso di serpente. Egli, però, ottiene
dagli dèi che gliela restituiscano in vita, a condizione di darle la metà
della propria: così torna ad avere accanto l'amata. Pieno di odio per i
serpenti, Ruru trascorre il tempo uccidendone in gran numero (cosa
non difficile, davvero, in India!). Nonostante questo suo proposito,
Ruru risparmia la vita ad un serpente innocuo, che gli si rivela per
uno r:s.i trasformato sotto quelle spoglie in seguito ad una maledizio­
ne: l'incontro con Ruru lo libera dall'incantesimo. In compenso , lo
t!'i liberato consiglia l'asceta di astenersi dall'uccidere esseri viventi. Il
mito della vita offerta da un coniuge per salvare l'altro è il motivo di
un'altra leggenda , di origine vedica , che il Mahabharata riferisce
all'antenato dello stesso Ruru, Cyavana («il Decadente»). Costui era
un vecchio asceta che aveva sposato la giovane Sukanyii, «bella fan­
ciulla» , «proprio ragazza» . Gli Afvin gli propongono di restituirgli la
gioventù , a condizione che la giovane sposa scelga fra lui e loro. Su­
kanyii sen:i:a esitare , sceglie il vecchio marito, il quale, con grande
1 10 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

gioia della sposa, recupera la perduta giovinezza. Si tratta di una leg­


genda, quella dei due semi-angeli o semi-dèi datori di forza vitale,
che restituiscono la gioventù ad un vecchio dotato di una sposa giova­
ne e virtuosa, diffusa anche fuori dell'ambito indiano, nell'area ira­
nica ed ebraica.
In ogni caso è importante vedere come la donna conserva nell'In­
dia epica un'altissima posizione data dal significato sacro e fatale at­
tribuito al suo sesso; ciò, non solo nei miti di origine k�atriya, in cui
la donna è padrona del le sue scelte (vedi, ad es. lo stesso matrimonio
secondo lo svaya1{lvara), ma anche in quelli puramente brahmanici,
che poi diverranno prevalenti. Dalla virtù e dedizione di delicate fan­
ciulle dipendono i destini di regni e di stirpi intere, più che dal brac­
cio dei guerrieri e dalla sapienza dei sacerdoti. Continuando la serie
degli avatiira, i Vi�r;iuiti riconoscono come nona incarnazione del loro
dio:

9. Il Buddha storico. Naturalmente, nel l'accoglienza di questo


personaggio, in un'epoca in cui ardeva la rivalità fra l'Hinduismo ri­
sorgente ed il Buddhismo, che aveva raggiunto l'acme con le scuole
gnostiche e metafisiche del Mahàyiina nel l'India settentrionale, ope­
ra l'irresistibile tendenza indiana all'amalgama ed alla sintesi. In ef­
fetti il Buddha è considerato dai vi�r;iuiti come una persona divina ve­
nuta al mondo per abolire i sacrifici cruenti ed abituare l'uomo a
poggiare unicamente sul la propria coscienza, confondendo i malvagi.
Allo stesso tempo il Buddha, predicando il disprezzo delle leggi di
casta, misconoscendo il Veda ed i metodi di salvezza ortodossi, acce­
lera la decadenza del genere umano, affrettando l'Apocalisse, che se­
gna l'avvento del decimo avatàra, che è:
1 0. Kalkin (forse da karka, «cavallo bianco») . VzjfJu apparirà in
questo avatiira con testa di cavallo e corpo umano (secondo altre tra­
dizioni, come figlio di brahmai:ia montato a cavallo, con una spada
fiammeggiante in mano; alcune tradizioni gli attribuiscono nascita
bassa. di cant/iila, cioè di padre fudra e di madre briihma1Ja, che è la
peggiore conosciuta). Egli verrà per premiare i buoni e distruggere i
malvagi, preparando così la futura dissoluzione dei mondi (p ralaya),
dopo di che ritornerà all'epoca d'oro. In questa attesa messianica si
sono voluti vedere motivi iranici, rafforzati da sentori cristiani, peral­
tro assai dubbi.

Conclusa la narrazione salvifica di tutti gli avatiira di ViH'I U, narra


il BhJgavata-purii'!a, re Pank1it , libero ormai dal timore del la morte,
entrò in uno stato di profonda meditazione (samiidhz) immedesi­
mandosi allo stesso Brahmii, sicché, quando il serpente Takfaka lo
punse sul terreno sacrificale, presente tutto il popolo, il suo corpo fu
immediatamente arso da una folgore e ridotto in cenere.
\\,
3 . Le \cuole Classiche Visn uire
\
\

Fino ad ora si è trattato della figura di Vis�11 come appare nei P11-
rdfJa, e nell' epica indiana. Precedentemente (v. s11pra) si è alluso
at d1vers1 strau dt esperienza rel tg1osa d1t" hanno port a w . pt·r esem­
pio . alla rnncezione del la figura di Kr.r�1.1. cioè l ' ipostasi più i mpor­
tante di Vi:r1111 . la mi cristallizzaz ione in senso devoz ionak è (_lpera
della smula BhJg.11 1.11.1. Già nella sez ione NJrJniy.1 dello SJnti­
pamm del MahJbhJr.1/.1 si ha l ' i m-fragabile testimonianza del l ' t'si­
stenza . almeno tre secol i pri m a dell ' Era Volgare . di una religiom·
avente VJsudeva rnme fi g ura cent rale. I n essa si rappresen t a NJr.1d.1,
i l devarfi ( vate divino) nat o dalla coscia di Brah111J. messaggero cele­
ste . andato ali ' eremo Badarik.a per rendere omaggio a Nara t· Naraya-
1'}'1 i quali assime a Han· e Kn,ia, rnstituisrnno le quattro forme del
Supremo. NJrada incontra NJrJ_va'!a immerso nel m i to e g l i doman­
da a rhi sia diretta la sua devozione dat o che egl i stesso è l ' essenza del
Dio Supremo: NJra_va11a risponde che venera la propria forma pri­
mordiale , cioè la Prakrti, «sorgente di tutto ciò che vi fu , vi è: e vi
sarà). Trasportatosi sul monte Mt'ru , l ' asse de) mondo , per rnnt em­
plare questa Prak.rti. Narada passa nel mitirn Sveta-dvipa. «rnnt inen­
te bianco» . sito nel l ' Estremo Nord popolato da uom i n i «bianch i»,
rhe non si nut rono, sono privi di sensi ed hanno «la t esta come om­
brel l i» ( cioè non percepisrnno, att raverso i sensi ed il mentale, un
mondo esteriorizzato) eccetera, i m mersi nell ' adorazione del Bhaxa­
vant («i l Beato», aggettivo di Kr.r,:1a ed altre ipostasi sue pari). In quel
luogo, nel corso di vari eventi mit ici, si menz iona per pri m a volta
l ' insegnamento della domina Palicariitra (presum. «rivelata in cinque
notti»), promulgata dai cosiddetti Citra-.fik.ha1'!t/in («dal cam me va­
riegato»), sette ni e personaggi vediri, che portano i nomi, rispettiva­
mente di Manci, Atn·, Angiras, Pulastya, Pulaha. Kratu, Va.rii/ha.
Questo insegnamento «boreale», trasmesso ai tre figli di Prajiipati ,
nominati con i siombolici indicativi numerici Ek.a-ta, Dvi-ta e Tri-ta (si
r icordi i l vedico Trita Aptya) e da questi trasmesso a B,:haspati, infu­
riat o perché non riusriva a vedere i l Supremo, è conrepito in un ceno
modo come l 'essenza arcana dello stesso insegnamento vedico, ma
distinto da questo ! In realtà si t ratta di un ' altra religione, originaria­
mente esoterica e magica che più tardi confluirà proprio nell'India
non-ariana, nella sintesi vi�i:iuita. I princìpi rnlturali di questo dhar-
1 12 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

ma sono mito semplici: rifiuto dei sacrifici cruenti, culto esclusiva­


mente mentale e intensa devozione concentrata (ekiinta) sull'invisi­
bile ed immanifesto Spirito Supremo. I princìpi teologici , dei quali si
dà in seguito un breve riassunto , sembrano ispirati alle 108 Sarphita
(de Glasenapp, 20 1), dati i loro caratteri saktici e tantriçi, per cui
conc�piscono V/Jsudeva- ViJTJU più o meno come gli sivaiti immagina­
no Siva, cioè manifest�_nte la creazione mediante la.' sua sposa­
potenza, in questo caso Sri-Lakfmi, in una serie di emanazioni (vyu­
ha) le quali , più che altro, sono le categorie o gli archetipi della real­
tà . Da questa impor,tante corrente prese le mosse, nell'India meridio­
nale la setta degli Sri- va!f}ava , che rtconoscono, cioè, i due principi
della creazione: Vzjnu e la sua sposa Sri. Questa setta ebbe i suoi ispi­
rati cantori nei 12 A(viir (i «Profondi») , poeti in lingua tamil vissuti,
forse , attorno al sec . VIJI d. C. , autori del Niiliiyiram (i «Quattromila»
inni): la sua sintesi con la corrente Bhiigavata diede luogo ad una fio­
ritura mistica e filosofica della quale si parla in seguito . Due parole
sulle sue teorie principali:
Para-brahman è lo Spirito Supremo, esistente di per sé ed imma­
nente nell' Universo , pur essendo diverso da lui , «come lo specchio è
diverso dagli oggetti che in lui si riflettono». Nella sua forma trascen­
dente, esso è il Signore Viff!U I Vàsudeva I Niirayaf}a o Brahmii, causa
della creazione e forza che la mantiene . Alla fine di ogni «notte ço­
smica» , la fakti di Vzj11u (mitologicamente identificata come Sri­
Lak.rmi) assume gli aspetti di k.nyii, azione , e bhuti, sviluppo,
quest'ultima causa materiale della molteplicità del mondo, mentre la
prima ne è quella strumentale e VzjrJu la causa efficiente. Indi avvie­
ne la creazione , che investe due piani diversi: quello degli archetipi e
quello del mondo sostanziale. Nel primo, puramente celeste , VisQu
agisce attraverso le ipostasi della sua fakti, che sono conoscenza ,
omniscenza , forza , virilità e splendore , le quali , di nuovo riunite at­
torno a lui , creano le sue emanazioni divine , che sono Sa11Zkar1a?'la ,
creatore , Prady umna , preservatore , Aniruddha, distruttore: in prati­
ca , essi sono le dimensioni metafisiche dello stesso Vi.r11u , o del «Si­
gnore» in senso lato. Il secondo piano è quello dato dal progressivo
prevalere dell'«oblio del divino», per cui si giunge allo stadio terrestre
ed umano della creazione. Questo stadio è caratterizzato dal fatto che
la pura monade spirituale umana (Puru.fa) , emanata da Prady umna
ed elaborata da Aniruddha , accoglie e si amalgama ai principi deriva­
ti dalla Prak.rti, qui denominata Miiyii-fakti, potenza d'illusione o,
meglio , di creazione sul piano del mutamento: questi principi sono
quelli già esposti, del sistema Samkhya: buddhi, ahamkiira, manas,
indnya, ecc . Con ciò si giunge alla confluenza finale fra religione e fi­
losofia , che caratterizza la speculazione indiana, dato che entrambe
sono trascese da una postulata esperienza diretta ed identificazione
con Visnu-Krsna: «colui che mi è devoto entra in me ed è liberato� .
Per costui , . che sperimenta la realtà divina di Kn,;a, questi
LE SCUOLE CLASSICHE VISNUITE 1 13

(K. - Vasudeva) è l ' anima suprema, lo spirito immortale che vive in­
contaminato in tutte le anime, creatore di tutta la realtà, Samkarsa­
'!a, forma di Viisudeva. rappresenta tutti gli esseri viventi: da qu�sti
viene emanato Pradyumna, che è la mente, e, da Prady umna. Ani­
ruddha, che è la consapevolezza. Così è sul piano dell' esperienza in­
dividuale. Per quanto riguarda il processo soteriologico. la Liberazio­
ne (mokJ·a, muktz) insomma , il Mahabharata stesso (al cap. 344 del
kha,_u/a citato) , ci dà una curiosa indicazione: il Sole (come realizza­
zione della più intima consapevolezza) è la porca di entrata per coloro
che sono privi di peccato, le cui impurità vengono arse dalla vampa
dell' ascesi, finch' essi restano meri atomi spirituali, monadi, abitanti
in esso: da qui, penetrano nella forma di pura coscienzialità propria
ad Aniruddha, indi, tra�format1si in mente assoluta, passano alla for­
ma di Pradyumna. Trascendendo anche questa, entrano nella forma
di Sa,rzkarsa'!a, che è l' archetipo celeste dell' anima vivente (jìva), per
trapassare, finalmente liberi dai tre guna, in Vlisudeva, che è lo Spiri­
to Supremo. Vi è da notare - come fenomeno tipicamente indiano
- che questa specie di gnosi, che sembra estremamente culta e raffi­
nata, è, invece, la base concreta di una potente religione devoziona­
le, profondamente radicata a tutti i livelli sociali.
4. S cuole mistico-filosofiche visnuite : l a sintesi s p ecula­
_
uva

, I due orientamenti di cui abbiamo fatto rapido cenno, Bhiigavata e


Sn-vaisnava, diedero luogo ad imponenti sistemi di pensiero, tali da
rinnovare completamente il Vediinta (v. infra Upanisad) , che, assie­
me ad una forma teista di Siimkhya, assunsero come base filosofica.
Rappresentante principale della corrente speculativa è senza dubbio
Riimiinuja (Laksmana) , brahmana della regione di Madras , vissuto fra
il 1 0 17 ed il 1 1 37 , che riunl in una sintesi feconda l ' insegnamento
delle Upanisad , delle pani filosofiche dell' Epopea, ·del Visnu-puriina
e dei testi sacri del Pancariitra. Pur essendo un samnyiisin, cioè un
asceta perfettamente distaccato dal mondo, fu grandissimo pensatore
vedantino, teologo e polemista formidabile; diresse la scuola religiosa
di Sri- rangam , presso Kiinci ( Conjiveram) , ove fondò l' ordine asceti­
co del Brahmana tri-dandin («dal triplice bastone•, cioè un bastone a
tre nodi che ricorda il voto di padroneggiare i propri pensieri, parole
ed azioni) . Viaggio per tutta l'India e fu anche perseguitato, verso la
fine della sua lunghissima esistenza, dal re Cola KulottungaN. È at­
tualmente venerato dalla sua setta come incarnazione del serpente
Sesa. La caratteristica principale della sua filosofia è che egli ricondus­
se il Vedanta ad una forma di monismo qualificato (vi1ista advaita,
cioè l'Unità dello Spirito che assume diverse forme) , predicando una
divinità personale ben definita, non associata neppure (in ciò si diffe­
renzia da altri iri-vaisnava) alla propria iakti. Questa divinità, egli ora
la denomina Niiriiyana, ora Visnu , ora Krsna, ora Riima, ora Nara­
simha, alla quale si accede attraverso la bhakti che, per lui , è una sor­
ta di «partecipazione amorosa. . Questo dio Uno-tutto non è un ente
indifferenziato, bensì un Sé possedente, come qualità o modi (prakii­
ra) da lui dipendenti ma distinti da lui, le anime individuali (ftva) ed
il non-spirituale (jada) , comprendente il tempo e la p rakrti. Dio è
contemporaneamente causa efficiente e materiale del mondo ed un
essere che lo trascende . Il suo rapporto con il mondo si attua attraver­
so i vyiìha (v. infra cap . preced . ) e le incarnazioni umane (avatiZra) .
Le anime individuali sono monadi cosmiche conoscenti ed attive: in
sé possiedono la felicità e la conoscenza suprema, che si rivelano al­
lorché cadono le limitazioni poste dal corpo, cioè dal non-spirituale
in senso generale. A tale proposito, è interessante osservare come uno
dei due elementi del jada sia proprio il tempo, che questo sistema
SCUOLE MISTICO- FILOSOFICHE VISNUITI 115

non considera realtà obiettiva a sé stante , ma strumento mediante il


quale Dio effettua la creazione. Quanto alla Liberazione finale, Ra­
manuja afferma che le buone opere , pur raccomandabili , non basta­
no : occorre realizzare meditativamente la distinzione fra quello che è
il purusa, il vero intimo Sé , e la natura, ossia la prak.rti e l ' insieme
delle categorie psicologiche e materiali che nascono da essa. Ma il
mezzo supremo è per lui il bhak.ti-yoga, l' assorbimento mistico in
Dio , che conduce alla consapevolezza di essere un fesa, cioè una par­
te , una appendice , del Sovrano dell' Universo ; siccome , per6, il
bhak.ti-yoga presuppone la meditazione sui testi vedici , il cui studio è
inibito agli iudra, questi potranno ricorrere alla prapatti, ovvero
all' abbandono pieno di fede a Dio .
La setta di Ramanuja è continuata fino al giorno d' oggi in numero­
se altre sotto-sètte , alcune delle quali hanno acquistato , sotto l' in­
flusso locale dello Sivaismo , un fone carattere iak.ta, come i TeNgalei
del Sud , che professano il «sistema della gatta.> ( miirjara-nyaya) : Id­
dio salva i suoi fedeli afferrandoli per il collo come la gatta fa con i
suoi piccini. Altre sètte invece , come i Vadak.alai del paese dravida
settentrionale , sono restate più fedeli alla tendenza monistica del
maestro e, in fatto di ascesi, professano il «sistema della scimmia,
(mark.ata-nyilya) : Iddio salva i suoi fedeli «buttandoli da un ramo
all' altro• , obbligandoli quindi a salvarsi da sé , aggrappandosi all ' ap­
piglio nel momento giusto .
Prettamente iilk.ta è , invece, un' altra setta, quella detta Rlimiinan­
di, perché fondata dal Riimiinanda, vissuto o immediatamente dopo
Ràmanuja, del quale sarebbe il quinto discepolo , o, addirittura, fra il
1400 e il 1470. Tale setta, fortemente devota all ' incarnazione guer­
riera di Riima, non dà alcuna imponanza al fattore della casta ( che
(Ràmanuja considera invece fattore innato per una panicolare perce­
zione e realizzazione del mondo cJ.ivino). Essa si basa quasi esclusiva­
mente sulla bhak.ti, la quale si esplica nell' adorazione incessante di
Rama, quale dio supremo , e di Sitii, sua iak.tu. La bhak.ti cancella le
differenze di sesso , di casta e perfino di religione (vi sono ammessi
anche i musulmani ! ) _ Ramiinuja fondò un ordine: quello dei Vairtz­
gin , o «Spassionati> , detti anche Avadhuta, «che si sono scrollati tut­
to da dosso> . L' imponanza di questa setta risiede soprattutto nel fat­
to che il suo impulso diede luogo , secoli più tardi, ad imponenti mo­
vimenti sincretici e riformatori , come quello di Kaliir, che si tratterà
più avanti .
Anticastali e iiik.ta sono pure le sétte dei Manbhau ( «Uomini di
molta esperienza,) , che danno esclusiva imponanza ai risultati pratici
dell ' ascesi e praticano un culto krsnaita, ed i SiitiZni, ordine di iudra
krsnaiti, esistente nel MaisOr, addetti a servizi secondari nei templi di
Hanumant.
Le sette che si ricollegano al filone bhiigavata sono quelle fondate
dai pensatori e mistici Madhva ( 1 197- 1 2 76 , oppure 1 2 3 8- 1 3 1 7 ) ,
1 16 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

Nimbarka (secolo Xlii), Vallabna ( 14 79- 1 5 3 1 ) e Caitanya ( 14 5 8-


15 3 3 ) . Delle ultime tre, a cagione della loro forte componente erotiz­
zante e fJkta, si parlerà in seguito (v. infra), allorché si tratterà del­
le sètte fàkta. Basterà ora un cenno sui seguaci di Madhva, che tu uno
dei più grandi filosofi del Vedanta. Nato nel Sud dravida, nrlla re­
gione kanara, fu violento oppositore alle teorie filosofiche di Sar_zkara
(784-8 14), il quale poneva uno jato invalicabile fra l'unico supremo
Sé, àtman-brahman, di cui si ha un'esperienza intuitiva sovrasensibi­
le (paramartha) e il mondo dell'esperienza molteplice della vita co­
mune (vyavahàra), puramente illusorio, cagionato dalla mayà. Se­
condo Madhva il divenire cosmico è dovuto alla cooperazione di tre
enti, cioè Vig1u, le anime individuali e il non-spirituale, compren­
dente, quest'ultimo, il Veda, il tempo e la sostanza (p rakrtz) dalla
quale procede tutto il mondo delle cose. Questo pluralismo, che at­
tribuisce assoluta realtà al mondo dell'esperienza molteplice, è riaf­
fermato dalla cosiddetta teoria della quintuplice differenza (pa�ca­
bheda) : 1 . fra Dio e le anime; 2 . fra Dio e natura ; 3 . fra le anime e la
natura ; 4 . vicendevolmente fra le anime; 5 . fra le varie cose. Per
quanto si riferisce alla liberazione, Madhva afferma che le buone
opere hanno un valore preparatorio rispetto alla conoscenza di Dio,
la quale, a sua volta, conduce alla bhakti; questa, rivolta a Vij�u.
porta ali'estasi ed alla comunione spirituale con lui nel paradiso Vai­
kuntha . Pertanto la sua fede si basa sull'esperienza diretta (anubha­
va)·, " che è la percezione immediata di Visnu, il quale infine si rivela
come il Sé superiore che, inconosciuto, aiberga nel cuore di ogni uo­
mo. È esso che decide se l'anima dell'uomo potrà accedere al Vaiku�­
fha, oppure dovrà permanere nel sa1Jlsàra, nel ciclo delle rinascite.
Brahmà, in questa setta, sembra essere considerato come il rettore
dell'ordine naturale, dell' equilibrio che regna negli esseri umani, fra
la spinta al sarpsara e la vocazione al mok1a . La sua sede, l'apice della
sua totale presenza, è il Brahma-loka («mondo di Br. »), ove si ritrova­
no le anime liberate, per le quali è estinta ogni opposizione fra sam­
slira e moksa. L'elemento di «rottura» della condizione samsarica è
rappresentato da Vàyu, il dio vedico del Vento (finale nella· serie sa­
crificale), al quale Madhva è stato identificato: esso è l'impulso inna­
to, ma sconosciuto, che spinge tutti gli uomini non liberati a ricercare
la Liberazione . Una concezione molto simile a quella del bodhi-citta
buddhistico, ossia il «ricordo della Illuminazione» latente in ogni es­
sere creato .
Nell'ordine fondato da Madhva, la cui diffusione è oggi limitata
alle zone meridionali del Vindhya, nello stato di Maisur, si venera,
oltre a Vtjt}u-Kr['!a anche Siva (quale suo principio,agente) entro i
«cinque dèi» (panca-devàh) del culto smlirta: Vijuu, Siva, Durgli, Su­
rya. Ganefa. Gli Smlirta sono gli Hindù che seguono riti privati di
origine vedica : il loro nome deriva da smrti, tradizione «rammemora­
ta» . Nell'ordine madhva predominano, rispetto alle tendenze emoti-
SCUOLE MISTICO-FILOSOFICHE VISNUITE 1 17

ve ed erotiche delle altre sétte bhiigavata, i fattori più propriamente


intellettuali e gnostici , cioè di necessaria esperienza lucida ed attiva
del mondo divino , unica a giustificare ogni simbologia religiosa, ogni
costruzione filosofica e metodologia ascetica (v. infra, pp . 1 5 7- 1 7 3 ).
Questa esigenza «gnostica» è preponderante in un' altra religione in­
diana, per molti caratteri simile sept?ure antitetica al Visnuismo , con
cui si è talvolta combinata, cioè lo Sivaismo . Cosa molto curiosa da
osservare è che gli Smtirta, prima dell' impatto del Krsnaismo , erano
dal punto di vista ascetico-meditativo fondamentalmente sivati o iak­
ta, cioè avevano Rudra-Siva o Durgii al centro del loro culto , che ora
segue le prescrizioni dei Grhya-sutra vedici, ora la pratica puramente
Hindu della pitjii.

a. Evoluzione del Visnuismo settario - Sintesi


Il Visnuismo mistico-settario nacque come movimento distinto dal
culto vedico di Visnu attorno al V secolo a. C. sotto le specie di una ri­
forma teistica, ponante il nome di Ekiintika Dharma «Religione ri­
volta a Un Solo Dio» , e fondata sulle idee , filosoficamente miste di
Vedanta e di Samkhya, che la Bhagavad-gitii attribuisce a Krsna­
Viisudeva (v. Bhandarkar, p. 100) . Presto assunse aspetto settario e
venne professata dai gruppi chiamati Bhiigavata e Pàncariitra, di casta
ksatriya, che Megastene ( IV-III secolo a . C . ) incontrò in India, denomi­
nati Sàtvata, «i Veritieri» . Questa fede ben presto si fuse con il culto
misterico di Nariiyana, forse da interpretarsi come «il · Luogo donde
sono venuti (iiyana) gli Uomini (nara)» , e quello più generico di Vi­
snu. Poco dopo l ' inizio dell' Era Vol_gare un nuovo contributo fu por­
tato a questa religione dai pastori Abhfra, una tribù straniera di no­
madi , con il mito del fanciullo-dio Krsna, pastore , guerriero ed amo­
roso , a cui si rivolgeva la devozione-cumunione ( bhaktt) dei fedeli .
Dopo l ' ottavo secolo d . C. le idee di illusionismo universale ( teoria
della maya) e di monismo spirituale ( «nulla è reale fuor del Brah­
mani.) elaborate dallo Sivaita Sankara, provocarono la reazione filoso­
fica di Ramanuja (secolo XI) che affermava la realta del mondo , come
capacita di Dio a diversificarsi in «spir1tuale» (cit) e «non-spirituale•
(acit) , teoria alla quale Nimbarka aggiunse l ' elemento della potenza
creatrice , identificato a Radha, l ' amante di Krsna; nel tredicesimo se­
colo , poi , Madhva riconfermò tale realismo affermando la quintupli­
ce differenza fra Visnu, le anime umane e la materia, che nel secolo
XI V si mutò nella teoria mistica di Ramananda, al centro della quale
campc;ggiava la figura del dio-guerriero Rama. Da quest' ultimo deri­
vano idealmente le scuole monoteiste e fortemente mistiche di Ka­
bir, Caitanya e Vallabha (secolo XVI d . C . ) , di cui ci occuperemo in se­
guito (v. «Movimenti religiosi moderni») , alle quali il culto per Ra­
dha conferì un aspetto talvolta estatico-orgiastico . Nelle terre Mara­
tha, Niimdev ( XIV secolo) e Tukiiram ( XVII secolo) predicarono il cui-
1 18 RELIGIONI E MITI DEU.' INDIA

to di Vtjhobii ( « Vzj!Z u» di Pai:i<;larpur) come dio u nico e respinsero


perché impuro , il culto al lora vigente di Kn,:1a e Riidha, instaurando
una l inea più severa di devozione ; sia q uesti due San t i , che Kabir, in­
sistettero su lla purificazione morale del ) ' individuo e l ' elevatezza dei
sen t imenti come mezzo per eccellenza degli umili e dei semplici per
avvicin arsi a Dio .
5 . La figura di Siva secondo gli Agama ed i Tantra

Nessuna figura divina del l ' Hinduismo è così antitetica a quella di


Vijtzu , sebbene per molti versi complementare, quanto quella di Si­
va. Mentre V{f�U è l ' amico benevolo degli uomini , un dio soprattut­
to amoroso, Siva è invece «il Signore» ( f.f. isiina, isvara) terribile, mi­
sterioso e imprevedibile che , con la sua danza inesorabile, ora evoca i
mondi creandoli, ora li distrugge incenerendoli. Oltre ad essere il dio
«professionale» dei sapienti e dei poeti , tutti brahmar:ia , è anche il
protettore degli aborigeni Nzjada e Kiriifa e di quei Vriitya, che sono
Arii non assimilati alla società brahmanica o da questa espulsi per
non essersi sottomessi ai saf!'lskiira. Ma i suoi devoti per eccellenza so­
no gli Yog in , gli eremiti nudi , coperti di cenere , dal capo sormontato
dal la crocchia come lui, i seguaci di discipline pericolose ed arcane ,
che tendono ad identificarsi con Lui medesimo , ben diversamente
dai Bhiigavata vi�i:iuiti , bramosi del l ' amore divino.
A formare la figura di Siva confluiscono molte deità dal l ' aspetto
talvolta contrastante. Etimologicamente, fiva significa il «benevolo» ,
aggettivo apotropaico proprio al Rudra vedico , dio del le tempeste e
della collera , padre dei Marùt (v. ir;fra), che saetta gli uomini ed il
bestiame, detto nel l ' Atharva-veda Sarva, «il Saettatore» ( divinità no­
ta anche nell ' Avesta iranico come il demone Saurva) , il quale però ,
come l ' Apollo greco , «dispensa freschi rimedi» (jalasa- bhesaja) agli
infermi e protegge il bestiame (pafu-pa) , quando non diffonde epi­
demie ineludibili. Se si mantiene l ' etimologia di «R.9sso» per Rudra,
si ha un'altra deità indiana in ambiente dravida, lo SeyyoN («rosso») ,
genio della guerra. figlio del la dea Ko"avei, «la Vittoriosa». Lo Siva
classico è generalmente identificato alla Morte ed al Tempo divorato­
re (Kala) : è chiamato anche «Colui che porta via» ( Hara) , il «violento»
( Ug ra) e, di contro a questo, «il Non-temibile» Ag hora! L'epiteto più
comune è quelo di Bhairava, «lo Spaventoso» , del quale esistono ben
sessantaquattro varietà. Al carattere terribile si ricollega pure l'idea di
altezza eccelsa e di sovranità universale, quindi di centralità e di rota­
zione del l ' Universo attorno ad un punto. Abbiamo perciò la sua raf­
figurazione come Signore della Montagna, Girifa, nato dal monte
Mahendra (altro suo nome!) , al quale è attribuita in isposa l a non
meno terribile Parvati. «la Montana», o Durgii, «l ' Inaccessibile»: la
coppia divina è adorata sotto questo aspetto in tutto l ' arco himalaya-
1 20 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

no, dal Kasmir al Bhutan . Nella sua cenrralirà . Siz,,1 è concepito come
l'origine di runi i movimenti e . quindi . si ha la sua immagine di
Na/a-riija, «Re della Danza» . sovrano della musica . della poesia e
dell' ispirazione drammatica . i cui orco «sentimenti» principali . i ri1sa,
sono immaginati come sue emanazioni. Il ritmo della sua danza segna
l'alternarsi dei suoi cinque poteri cosmici (pi1nci1-krt_va) : produzione,
conservazione . distruzione , incarnazione e liberazione ( oppure grazia
e gnosi) . Il tempio di Cidambaram, a sud di Pondirhery . ove si ese­
gue ritualmente la danza orgiastica tii,;t/av,1, da lui inventata , è rnnsi­
deraro un «centro del mondo» e . per un' assimilazione comune a qua­
si tutte le tradizioni sapienziali . immagine del ruore umano. L' altare
è omaro con cinque tinga (membro virile) . ognuno rnmposro di cin­
que elel}lenti (il cinque è il numero sacro alle reologie sivaire) , sim­
boli di Siva medesimo . Ciò perché egli riveste il principio ambivalen­
te di procreatore e di distruttore, significandosi rhe è lo stesso princi­
pio a -generare la vita e a condurre alla morte . Il tinga che lo simbo­
leggia (probabilmente da tempi pre-ari, se i cosiddetti fifna-deva,
«coloro che hanno il fallo per dio», nemiri d�gli Ari vediri sono da
considerarsi indigeni a.dpratori• di un «loro» Siva) non è considerat o
osceno in India, come non lo era in Grecia ; così pure lo yoni ( vagina),
i,due rappresentat i assieme come immagini della bipolarità cosmica.
Siva benefico, già noto ai Veda come mit/hviif!ZS, «elargitore»), è ado­
rato con i suoi sinonimi di Samkara («Benefattore»), Sambhu, eccete­
ra. Già nell' Atharva-veda ( xv, 5, 1 - 7 ) la sua molreplire personalità si
proietta nello spazio come un cosmogramma per cui, (preludend<1· a
quello che sarà lo sviluppo del ma11dala (v. infra) nel T�ntrismo bud­
dhista duemila an!)i più tardi) si ha ad Est Bhava , lo Siva protettore
dei Vratya , a Sud Sarva, ad Ovest Pafu-pati, a Nord Ug ra, allo Zenith
Maha-deva e nello spazio intermedio (antarikfa) !sana ; le funzioni di
Siva creano così nello spazio l'archetipo piramidale del futuro tempio
indiano.
Siva è anche rappresentato androgino (ardhanansvara) , talvolta
con la parre femminile con le sembianze di Vi.r1_1u: lo si ch iama , allo­
ra , Han·- hara. La sintesi di due divinità così diverse è riassunta dal
poeta � mistico Tukaram con il verso: «Han· ( Vz°I1tu) è nel cuore di
Hara ( Siva) , come la dolcezza è nello zucchero: la sola differenza fra i
due consiste in una " i " » .
La doppia valenza d i Siva suaccennata non è un'elaborazione tarda
dell'Hinduismo , bensì risale ai tempi più remoti, a parre la presumi­
bile origine pre-aria dei miti riferiti a questa divinità , che riconoscia­
mo in qualche immagine scultorea della civiltà di Mohenjo-Oaro. Es­
sa è stata già acçolta in alcuni Brahmaf)a, che si presumono tardo­
vedici, come lo Satapatha ed il Kauf{aki- br. , ove si narra come Praja­
pati attribuisse sette nomi, oltre a quello di Afani, «fulmine» , a Ru­
dra allorch� nacque da Ufas , I'«Aurora» , dividendoli in due gruppi, a
seconda della funzione benefica o distruttiva che essi impersonavano.
LA FIGURA DI SIV A SECONDO GLI AGAMA E I T ANTRA 121

Si hanno , quindi, Rudra, Sarva. Ugra e Afani, impersonami !'�spet­


to irato (krodha) della deità ; Bhava. Pafupati, Mahiideva. ed lfani1,
che ne personificano quello benevolo (fiva).
Ma l' aspetto , anche iconografic9 , con cui Siya è maggiormente co­
nosciuto, resta sempre quello di Siva asceta ( S. Kapardin), il dio che
sintetizza tutte le energie dell'esperienza mistica : allora egli è il Ma­
hiiyogin, «il Grande Yogin» , Yogifvara , «il Signore degli Yogin»
Dhurjati, «Colui che porta la crocchia» (il grande ciuffo ravvolto sul
capo è il simbolo della funzio!1e magica in quasi tutte le religioni a
base sciamanica). Come tale, Siva è raffigurato seminudo , coperto di
ceneri (altro simbolo cultuale magico) , cinto di crani. con una collana
di serpenti , seduto in posa di meditazione (Padmiisana , «posa a
loto»: a gambe incrociate con il piede sinistro sulla coscia destra e
piede destro passato sul malleolo sinistro e poggiato sulla coscia sini­
stra; oppure siddhiisana , «posa perfetta» o «del realizzatore» ; piede si­
nistro premente sul perineo, piede destro poggiante sulla coscia sini­
stra) , talvolta ritto in piedi appoggiato al toro bianco Nandin , «Il Ral­
legrante» , suo simbolo e veicolo. Quando è seduto in meditazione
ha, fra i due occhi chiusi, il «terzo occhio» aperto: quest'occhio, che
trascende la visione spazio-temporale, è quello medesimo con il qua­
le una volta folgorò Kiima, il dio dell'amore, che cercava di distrarlo ,
insinuandogli il desiderio per Piirvati, affinché dal loro connubio na­
scesse Skanda, o Kiirtzkeya, dio della guer!a, futuro vincitore del de­
mone Tiiraka, che minacciava gli dèi. Siva è anche riconoscibile,
nell'iconografia indiana, per il diadema a crescente lunare e la gola
blu scura (per cui è detto Nila- kar;(ha, dalla gola azzurra) , colorazio­
ne dovuta al fatto che, quando venne frullato l'Oceano , egli bevve
tutto il veleno Haliihala, o Kalakuta , che era restato sul fondo , sal­
vando così l'umanità. È rivestito di una pelle di tigre, o di antilope
nera (simbolo dello stato ascetico) , oppure di elefante. È raffigurato
con quattro oppure con otto o sedici braccia; talvolta con due sole. Le
armi che abitualmente brandisce sono l'arco Ajagava, il tamburino
per la danza ( t/hakkii o t/amaru) , la clava KhatvlJnga, il laccio (Piifa)
per legare i trasgressori ed i malvagi (simbolo già proprio al dio­
sovrano vedico Varur;a) , che acquisterà ben più alto significato nella
mistica settaria e, infine, quello che è il simbolo per eccellenza del
suo culto , cioè il tridente (1n·- s11/a).
Esprimendo }lna concezione totale dell'entità divina , le funzioni
metafisiche di Siva sono grandiose: egli è il Brahman , Spirito Univer­
sale e, allo stesso tempo, demiu,rgo e Primo Motore dell'Universo. Se
ne distinguono tre aspetti: lo Siva propriamente detto , quello della
Trimurti, il Saddfiva dalle cinque forme , che riflettono altrettante
funzioni della coscienza dell'«io-sono» (v. infra) e , infine, il Mahà­
sadafiva dalle venticinque forme. Negli Agama queste tre forme di­
ventano: Bhairava, che è la presa di coscienza di sé assoluta (Pariimar­
fa) ; Rudra, o Vifvasrupa («immanente al Tutto») , che è l'Universo ri-
122 RELIGIONI E MITI DELL' I NDIA

flesso nell'Intelletto «come il sole nelle acque»; Siva proprio , santa ,


cioè «placato», che riassorbe il mondo entro la pienezza del suo Sé
(pim:zahanta) , mediante la fiamma della Grande Illuminazione asce­
tica (Mahii-bodha). A parte queste funzioni metafisiche , alle quali
torneremo trattando delle sette, Siva riveste considerevoli funzioni
nel campo delle arti: egli è l'inventore del dramma, è l'ispirat_gre dei
compositori , dei poeti , dei pensatori : ha rivelato i Veda e gli Agama .
Gli otto rasa drammatici , cioè gli archetipi dei sentimenti, sono al­
trettante forme da lui assunte attraverso la Parola (Jabda) ed il Gesto
(mudra «sigillo») , per distaccare lo spettatore dal suo piccolo «io» , tra­
sponendolo fuori della sua persona e del suo tempo. Frammentari so­
no i suoi miti, come ci vengono trasmessi dai Pura,;za sivaiti e, in par­
te, anche dall'epica , che abitualmente ha una forte coloritura vi�oui­
ta. Nato dalla fronte di Brahma, egli ha combattuto e distrutto vari
demoni , fra i quali i tre figli dell'asura Taraka , che avevano costruito
nel cielo delle tre città rispettivamente d'oro, d'argento e di ferro ,
che poi il dio fece crollare fra le fiamme . Questo mito ha, natural­
mente, ricevuto numerose interpretazioni esoteriche. Un altro mito,
che secondo alcuni riflette le lotte sostenute dal culto sivaita per af­
fermarsi in un ambiente ario- vedico; narra che, durante un sacrificio
offerto dall'aditya DakJa , al quale Siva non era stato invitato, questi
apparve all'improvviso , colpendo con una freccia , per vendicarsi, il
medesimo sacrificio che si era personificato in una gazzella per fuggi­
re più in fretta, ed ingaggiando una terribile lotta con Bhaga , PitJan
e lo stesso Vzjr,u. Nel frat tempo, la sua sposa , figlia di Dak!a, dispe­
rata si gettava fra le fiamme (v. Parvati, infra). La lotta cessò allorché
gli dèi decisero di dargli soddisfazio,ne per l'ingiuria patita . Un altro
mito narra della lotta sostenuta da Siva con UJanas, figlio di Bhrgu e
precettore degli Asura . Costui aveva rubato i tesori di Kubera (il dio
delle ricchezze , v. infra VaiJravaf,la-Kubera): Siva lo inghiotte tutto
intero, lo trattiene nei suoi intestini per lungo !empo e, infine, lo
espelle attraverso il membro , donde il nome di Sukra (sperma) , che
UJanas ricevette più tardi , come reggente astrologico del pianeta Ve­
nere . Questo mito , piuttosto oscuro, può essere interpretato sola­
mente in chiave magica , simboleggiando probabilmente operazioni
yoghiche çhe impegnano attività fisiologiche (v. Tantra, infra) .
Rudra-Siva occupa , per noi molto paradossalmente, un luogo mol­
to importante nel Maha-bharata in alcuni capitoli dedicati alla con­
quista di armi miracolose e dei poteri connessi alla fecondità. Nel
Vana-parvan (Sezione della foresta) Arjuna si ritira nell<,? Himalaya
per praticare il tapas. Poco tempo dopo gli si presenta Siva sotto le
mentite spoglie di un Kirata , cioè di un aborigeno an-ario, e lo assa­
i�. Alla fin,e Arjuna Joccombe ma , nella distretta , invoca il nome di
Saf!lkiira (Sa1'(lkiira (Siva) e lo adora. Il dio allora gli compare sulla te­
sta stessa del Kirata, gli manifesta il suo compiacimento e gli dice di
chiedere qualsiasi cosa desideri. Arjuna, allora, gli chiede ed ottiene
LA FIGURA DI SIVA SECONDO GLI AGAMA E I T ANTRA 123

le magiche armi che sono proprie al dio in quanto Pasit-pati (piifupa­


tiistra) , capaci di annientare il più formidabile nemico (capp. 38-40).
Nel Dro,;a-parvan si precisa che dette armi consistono in un arco ed
una freccia, che A rjuna e Kr.f11a trovano in un lago himalayano sotto
forma di due serpenti velenosi, placati e trasformati negli oggetti de­
siderati in seguito ad un canto di lode al dio, da loro chiamato «crea­
tore del mondo», «innato», «immutabile». Il dono delle armi non ha
nulla a che fare con la ragione o meno di una delle due parti in causa,
esso è puramente magico, amorale. Nel Sauptika-parvan (cap. 7) il
kuruide Afvatthiiman, avendo propiziato il dio, ottiene da lui una
spada e la sua medesima presenza nel proprio corpo, per cui , entrato
di notte nel campo dei Par:iquidi , stermina tutta la loro progenie . Si­
va, quindi , appare strettamente connesso ad un elemento ossessivo­
distruttivo , quello che più tardi il buddhico Vajrayiina («Veicolo di
Diamante»), denominerà krodha-iivefa, «entrata in frenesia» , una
condizione di estasi distruttrice che si riscontra ancora oggi nell'amok
dei Malesi ed altre popolazioni nel corso di riti sciamanici. Più strano
e, in certo modo, più terribile è il rapporto di Siva con le forze della
generazione, che i rituali delle sette «della mano sinistra» (vama-cara,
v. Tantra) pongono alla base dei loro procedimenti di realizzazioge
spirituale. Uno dei miti è il seguente. Una volta Brahma ordinò a Si­
va di astenersi dal creare e questi si nascose nelle acque ( cfr. il mito
vedico di Apam Napiit e quello vi�r,r nita di Niiriiya11a) , per cui non ci
fu creazione per un lungo periodo. Brahmii generò , allora, un altro
Prajapati (cioè, manifestò il proprio principio creatore in veste di P.)
che produsse un grande numero di esseri . Costoro , non avendo di che
nutrirsi , si scagliarono contro il loro generatore per divorarlo. Questi ,
spaventato, si rifugiò presso Hira,;ya-garbha (il «Germe d'Oro»,
l'elemento-luce datore di vita ; denominazione della condizione di
sogno, detta anche tejas, «fulgore», v. Ma11t/ukya-up II. V) . che pro­
dusse imme9iatamente due specie di cibo per placare gli esseri Mahii­
deva (cioè, Siva), allora , emerse dalle acque e , vedendo che non vi era
più bisogno ,del suo potere di generazione, si tagliò il membro (finga,
simbolo di S. stesso) e lo conficcò nel terreno. Indi entrò in profonda
meditazione ai piedi del sacro monte MuFljavat. Questo mito allude
in modo trasparente al fatto che le medesime forze che si estroverto­
no nel!'atto genesico, distolte da questo ed isolate , servono da base
alla meditazione: è il principio della sublimazione delle tendenze
psico-fisiche, di cui si serve largamente lo Yoga tantrico. La medesi­
ma storia che nel parvan succitato del Mahabhiirata viene narrata da
Kr.ftJa a Yudhi.f{hira, il capo dei Paf)Q!.lidi , è ripetuta nel Viiyu­
purii�a (cap. 7) a proposito del fatto che Siva, dopo aver creato, si ca­
st rò e divenne uno Yogin, anzi il prototipo degli yogin, che seguono
la disciplina segreta del Pasit-pata-yoga (ib. , cap. 10) . l'Anufiina­
parvan del Mahabhiirata (cap. 14) Ku11a narra che, desiderando una
delle sue· mogli , jambavati. diventare una madre fortunata come
124 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

�ukmi'!i, la sposa principale, egli si recò nello Himalaya dove viveva


Siva asceta, per propiziarselo. Il mito introduce altri personaggj, co­
me Upamanyu e Siikalya, a narrare delle grazie ottenute da Siva e
dalla sua sposa Umii, «la Benefica», simbolo della Volontà pura del
dio, che chiaramente sono descritti come i principi maschile e femmi­
nile della creazione della vita e della grazia . È interessante il partico­
lare di Upamanyu che esalta la coppia divina danzando «vestito di
spazio» dig -vasas) , cioè nudo, elemento anche questo tipicamente
magico . Knna compie allora una serie di,atti di ascesi e meditazione
profonda, in seguito ai quali Mahiideva (S.) e Umii gli compaiono da­
vanti seduti sul gigantesco toto Nandin, con accanto Brahmii assiso
sul cigno (hamsal;, v . infra) e Niiriiyana su Garut;la , e gli conferiscono
otto doni miracolosi, oltre ad altrettanti per ]iimbavati.
Il caratt�re fondamentale risultante da queste narrazioni epiche è
quello di Siva mago ed asceta, terribile e benefico allo stesso tempo,
che per diventare Yog in, ha cessato di essere creatore, e riveste i carat­
teri «sinistri» di signore dei serpenti, degli spiriti (Bhuta) , protettore
dei fuori-casta Nzjada, Kiriita, Vriitya, dei vagabondi e «della gente
strana». Il culto rivolto al suo membro ricorda, come si è accennato, il
passo del Rg-veda (vii, 2 1 , 5) ove si prega /ndra d' impedire agli adora­
tori del membro (fifna-devi:ih) di turbare i riti dei fedeli Ari, da cui si
desume che il culto del fallo doveva essere anteriore in India all' intro­
duzione del rito vedico.
6 . Filosofia e metafisica delle sette sivaite : teone fone­
tiche

La coesistenza di aspetti benevoli e terrificanti in alcune divinità


indiane , speçialmente se patrone di arti umane ed ispiratrici di sal­
vezza come Siva ed il suo macabro corteo di spose , assurge a straordi­
naria elevatezza filosofica in arditi sistemi speculativi . Occorre consi­
derare il fatto , a tale proposito, che l ' Indian o , proiettando nelle im­
magini possenti delle sue divinità i propri aneliti verso u n ' esperienza
del ! ' Infinito , ha avuto cura di esprimere in loro quel l ' elemento di lo­
gica cosmica, per noi spaventevole ed agghiacciante , che trascende
ciò che alla limitata logica umana appare «giusto» e «ragionevole» .
L' elemento «consolatore» , se così lo si vuole definire , risiede ne4 fatto
che le varie forme di ascesi , di cui queste divinità ed i loro miti sono
simbolo, offrono _a ll' uomo la possibilità di superare i limiti ferrei im­
posti dalla Natura . Secondo questi sistemi mistico-filosofici l ' uomo ,
pur continuando a vivere in un modo apparentemente «normale» e
comune , può essere interiormente «indiato» . Le forze che lo conduco­
no di là dal limite sono le medesime che, quando non vengano affer­
rate da una forma superiore di coscienza che l ' ascesi risveglia, lo por­
tano alla morte , alla malattia ed alla perpetua sofferenza (dul;kha) . Il
risveglio di questa forma superiore di coscienza è il fine che si pro­
pongono i sistemi filosofici ispira!i allo Sivaismo religioso . _Come il
Vi�1.m ismo nelle SafJ'Jhita, così lo Sivaismo ric0noscç_ negli Agama le
fonti della sua dottrina (vi sono però anche degli Agama vi�i;iuiti ! ) ,
dalla rad . ii-gam, «venire» , «manifestarsi» : termine quasi equivalente
impiegato dalle scuole del nord , sia sivaite che buddhiste mahiiyana,
è Tar1tra, originariamente «ordito» , indi «trattato» , «testo arcano» .
Gli Agama sono tradizionalmente 2 8 , ripartiti - assai biz;arramente
per noi - in 10 « buoni» (sat) , detti anche .faiva ( propri a Siva, aspet­
to «benevolo» della divinità) e 18 «cattivi» (a-sat) , detti anche raudra
( propri a Rudra, aspetto «terribile» del dio) : a questi accede una serie
di testi di commento detti Upagama, che assommano a 1 98 . Il lato
più interessante è l ' elemento innovativo , per cui questi testi si pon­
gono dichiaratamente come una nuova Rivelazione, più adatta
all'uomo «moderno» , che deve sostituire quella dei Veda. Ciò nono­
stante , e per un processo psicologico tipicamente indiano , lo Sivai­
smo è stato ed è proprio la religione «professionale» e «personale» dei
brahmaça• più attaccati alla tradizione ortodossa , dei massimi poeti e
126 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

drammaturgh i indian i rivalutatori del mondo religioso e mitico anti­


co ( ad es. , Barz,a, Bhavabhùti, Bhrtrhan·, Somadeva e anche Kalidasa,
autore della Sakuniala, una delle più squisite opere drammatiche
della letteratura universale). I noltre , lo Sivaismo è stato proprio la re­
ligione di quelle dinastie che han no restaurato , a partire dal secolo
vm d. C. al X l i , il Brahmanesimo nella sua forma più tradizionale, di
con t ro al Buddhismo ed al Jain ismo prevalenti nei secoli precedenti (i
Sena, i Valabh"i. i Calukya, i Kakatiya, i Pii1'J4ya, i Pallava, i Cola: gli
stessi Pala dell'India settentrionale , ufficialmente buddhisti , erano
sivai t i ) : non solo , ma l'adozione dello Sivaismo è stata la «porta d'en­
trata» , nella società indiana , della nobiltà dei popoli conquistatori
non indian i , come glj iranici Kfatrapa (ir. Xsaerapa, cfr. il nostro
«satrapo») , gli scitici Saka e Kusana, i turco-mongoli Hu11a (probab.
«Unni»), eccetera , i cui discendenti attuali fanno parte dei clan guer­
rieri e talvolta anche sacerdotali delle popolazioni Rajput, Maratha,
Sindhi ed altre .
Non si sa esattamente come e quando siano sorti gli Ag ama. Sia le
scuole del Nord (Kasmir) che quelle del Sud (paesi tamilici) ne riven­
dicano la priorità. Poiché questi due orientamenti dello Sivaismo si
sono affermati a partire dal secolo IX . possiamo ragionevolmente de­
durre che gli Agama abbiano cominciato a comparire nei gue secoli
anteriori. Come le Sa,rthita ed i Tantra (v. piu avanti) , gli Agama so­
no trattati enciclopedici e contengono , ad esempio , precetti per l'edi­
ficazione dei templi (gli fzlpa-fastra) - concepiti come un'immagine
del cosmo proiettata ritualmente sullo spazio consacrato - costruzio­
ne di immagini sacre, pratiche i
religiose , medich�. magiche, eccetera.
I sistemi mistico-filosofci che si traggono dagli Agama costituiscono
- assieme alle scuole del Buddhismo seaentrionale - le costruzioni
speculative più alte ed ardue che il pensiero umano abbia innalzato
nell'ambito delle civiltà orientali. La loro importanza è anche data
dal fatto che essi rappresentano la traduzione in nitidi termini filoso­
fici della funzione assunta in campo relig(oso dalle varie figure divi­
ne, come, ad esempio , le varie ipostasi di Siva. Una breve scorsa è ne­
cessaria per avvicinarci , secondo il pensiero razionale e positivo , al si­
gnificato intimo delle grandi idee religiose indiane .
Cominciamo con la scuola del Kasmir , detta Trika («ternaria», per­
ché riconosce tre realtà , Siva, Sakti e le anime) o della Pratyabhij111
(«riconoscimento» dell'identità fra i sé individuali e l'Essere Assolu­
to , Siva) , sintesi a sua volta di tre precedenti orientamenti : spanda
(«movimento», «energia») , krama («progressione•) e kula («famiglia» ,
con allusione ai rituali fakta, v . infra). Fondatpre della scuola fu Va­
sug upta, vissuto fra i secoli VIII e IX . al quale Siva avrebbe rivelato in
sogno una primordiale dottrina di salvezza, oramai caduta in dimen­
ticanza , i cui principi , detti Siva-sutra, erano scolpiti su una roccia
(che tuttora si mostra) del monte Mahiideva nello Himalaya. Fra i
continuatori si annoverano grandi pensatori e asceti come Kalla/a e
FILOSOFIA E METAFISICA DELLE SETTE SIV AITE 127

Somlinanda nel IX secolo, Utpala nel X secolo, Abhinavagupta e Kre­


marlija nel successivo. Aci A bhinavagupta, filosofo e letterato insi­
gne, si deve l'enciclopedia mistica e metafisica Tantraloka («il Mongo
dei Tancra») e la sua epitome Tantrasara («l'Essenza dei Tancra>) . Si­
va è la Realtà assoluta, coscienza luminosa di per se stessa (prakiifa­
vimarfa, consapevolezza di un sé fatto di luce): ciò che esiste lo è solo
in quanto è un atto del la Sua consapevolezza. Pertanto qualunque
conoscenza o nozione è ed è «vera> , Jolo in quanto sia illuminata dal­
la coscienza dell'Io che è , in nuce, Siva medesimo, l'Io cosmico. Egl i
è consustanziale allo spanda, «vibrazione» , per cui diventa causa ma­
teriale ed efficiente del mondo, di cui contiene in sé tutti i possibili,
gl i universali. Questi , passando attraverso lo spazio ed il tempo, che
sono categorie della Miiyii, l'Illusione edificatrice del mondo, perdo­
no in questa l'eternjtà e l'onnipresenza, «rapprendendosi» nelle cose.
Ognuno di noi è Siva in potenza, in quanto è coscienza universale
seppure velata dal la Miiyii, contenendo quindi tutti gli universali nel­
lo stato anteriore al loro dispiegamento, stato che questo sistema de­
nomina «volontà> , icchii, di manifestarsi .
Lo spiegamento del mondo e delle cose, a partire da ql!.esta Supre­
ma Realtà, avviene in quanto essa si scinde in due poli, Siva stesso e
la Potenza (Saktt) di manifestazione, l'energia creatrice, questa ulti­
ma diversificata in cinque diverse potenze: coscienza (cit.) , beatitudi­
ne (linanda) . volontà (iccha) , conoscenza (liana) , attività (kriyii) . Dal
gioco metafisico di Siva e Sakti nascono 1 1 categorie, le prime cinque
del le quali costituiscono il «prologo in cielo» archetipale della crea­
zione vera e propria. Queste sono:
1 . Siva: l'Io puro , assoluto, di là dalla manifestazione,
2 . Sakti: la potenza di manifestazione , «sposa» del dio ,
3. Sadii-fiva: l'atto per cui Siva si afferma come «io sono» ,
4 . Aifvarya: il sentimento del la propria maestà di Siva, «io sono
tutto questo» ,
5 . Sad- vidyii: «Reale conoscenza»: Siva ha coscienza che tutto ciò
che esiste è ident ico a Lui , «io conosco tutto ciò».
A questo punto, l'esistenza di un mondo obiettivo separato dallo
spirito dà luogo alla nascita del !' io individuale che, pur essendo iden­
tico all'io universale, cioè Siva , si identifica a un essere limitato, tem­
porale e pereunte, in seguito alle «cinque limitazioni» (ka;/cuka) , che
lo riducono ad un essere individuato (purura) :
6. Miiy li: «Illusione> di essere diverso da Siva e del la realtà del
mondo obiettivo, in seguito a:
7 . Kalii: «Frattura> e diversificazione fra sé e i l tutto e fra le diffe­
renti realtà del mondo,
8 . Niyati: «Destino» particolare al quale i l sé umano si identifica,
128 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

9 . Riiga: «Passione» o interesse verso un oggetto rispetto ad un al­


tro , dovuta all'ignoranza della propria perfezione e compiutezza ,
10 . Vidya: «Conoscenza» empirica rivolta ad un particolare og-
getto,
1 1 . Kiila: «Tempo» e spazio, come determinazioni del proprio es­
sere passivamente coinvolto nel divenire del mondo.

Al di sotto di queste 1 1 categorie ideali, inizia la creazione del


mondo vero e proprio nella dimensione spazio-temporale, che in tale
scuola avviene secondo le 2 5 categorie del Sarpkhya. Questa si produ­
ce in seguito ad una «scossa> (kfobha) data dalla divinità Ananta («In­
finito») , rettore del tattva (categoria) Prakrti (Natura) , che rompe
l'equilibrio passivo fra le sue tre qualità (gu?Ja), sattva, rajas, tamas,
«trasparenza», «passione», «oscurità».
A guesto punto l'essere individuale dimentica la propria identità
con Siva e , ritenendosi un «atomo» (a,u) a sé stante, produce il kar­
man , cioè si lega all'azione e ne subisce le conseguenze, per cui si im­
merge nel saffJsiira, il fiume delle nascite, vite e rinascite infinitamen­
te ripetute nel mondo materiale esteriorizzato, finché non interviene
la liberazione (mukti , mokfa). A riguardo di quest'ultima, i vari si­
stemi che convergono nello Sivaismo mostrano una straordinaria fles­
sibilità : non esiste un sistema solo per la Liberazione, ve ne sono al­
trettanti quanti sono gli uomini, raggruppabili in tre tipi diversi, in­
feriore (apara) , medio (parapara) e superiore (para) . Il compito
dell'iniziando, già addestrato da un maestro spirituale (guru) alle di­
scipline di concentrazione, meditazione, controllo del respiro, ecc.
stabilite dallo Yoga, è quello di penetrare con tutta la coscienza in
quel vuoto interstiziale detto «mezzo» (madhya) , che è consapevolez­
za pura, quindi essenza-Siva, il quale si rivela all'asceta bene attento
e concentrato, fra l'inizio e la fine di un'esperienza qualsiasi, come
«sorpresa> o «stupore» (camatkara) . I metodi «inferiori», detti anche
anava (da anu, atomo, individuo), poggiano su una serie di esperien­
ze apparentemente futili (come fatica estrema, starnuto, orripilazio­
ne, ecc . ) che però producono un attimo di discontinuità nella co­
scienza ; i sistemi «medi», detti anche fakta (dato che si fa anche uso
di una «fakti» fisica! ) , sono quelli nei quali non ci si concentra
sull'oggetto, bensl sull'atto di conoscerlo, che è energia pura alla
quale ci si identifica; i mezzi «superiori», detti anche fambhava (da
Saf/'lbhu, altro nome per Siva) , sono quel li nei quali si realizza imme­
diatamente un «passaggio al vuoto», nel senso che ci si identifica alla
vacuità (funyatii) , che è lo scenario sul quale sorge e si discioglie ogni
atto di pensiero o momento di consapevolezza. In primo luogo il
mentale (manas) si dissolve nel cuore (come centro della personalità
psico-fisica) , ciò che conduce ad un'intuizione indifferenziata del
mondo (nirvikalpa-samadhz) , atto di estasi intensa (udyama) nel
quale ci si ritrova permanentemente installati. Lo Sivaismo, come
FILOSOFIA E METAFISICA DELLE SETTE SIV AITE 1 29

tut t i gli altri sistemi set t ari , è fondato su una forma estrema di ideali ­
smo , p e r la quale «essere» e «conoscere» si identificano ( « n o n esiste il
mondo , né aku na altra cosa , diversa dalla coscienza» - nanu jagad api
cito bhinnaf!l naiva kiffcit, Praty-abht/nàh,:daya l , 1 . 5 . ) : in ogn i atti­
mo della conoscenza umana , i ndipendentemente dal l ' oggetto che
essa si pone , balena l ' essenza indefettibile di Siva . Questa si può an­
che man ifestare come grazia (anugraha, prasàda) improvvisa , la qua­
le, assieme ai poteri di creare , mantenere , riassorbire ed oscurare ,
rappresenta la quinta attività di Siva. Tale grazia , che si attua come
«discesa della fakti» (fakti-piita) la quale l i bera l ' uomo senza l ' in ter­
vento di alcun mezzo , è una caratteristica di tutti i sistemi gnostici in­
dian i .
Particolarmente svil uppata nello Sivaismo è l a speculazione riguar­
dan te la Parola, sulla base di problemi già posti dalla Mimaiftsà post­
vedica.: La forma suprema del Verbo (para-vak) è identica alla poten­
za di Siva , sicché tutta quan ta la Realta n u l l ' altro è che Suono (fab­
da, nada) . Questo suono , nel processo di creazione del mondo e ,
quindi , di estroversione di Siva, s i attua secondo quattro l ivell i . I l
primo , supremo , è quello i n c u i il Suon o , realtà assoluta, è tutto rac­
colto in se stesso , in un silenzio ineffabile . Il secondo è quello detto
della «Voce contemplan te» (pafyanti) , in quanto essa contempla il ri­
frangersi del la propria potenza (ka/a) nelle vocali ( vanJa) , che sono
gli archetipi di tutta la Realtà: a questo livello suono , oggetto e signi­
ficato sono una cosa sola. Il terzo livello è quello detto della Voce me­
dia ( madhyamii) , in quanto mediatrice- idea fra una categoria del rea­
le ( tattva) ed il suo significato: a questo l ivello la Voce è pensiero­
suon o , mantra, che è la segreta realtà del l ' oggetto , magicamente
evocabile dallo yogin . Il quarto l ivello è quello della parola auditiva­
men te articolata ( vaikhanJ in suon i singoli ed in frasi (pada) che de­
notano l ' ogget to, ma non lo posseggono: a questo livello si è attuata,
entro il tempo uman o , la triplice frattura fra parola, significato ed
oggetto .
Questa teoria è molto importan te. Essa è correlata a quella degli
stati molteplici della coscienza, cardine di tutte le discipline yoghi­
che. l quattro livelli della Parola sono, infatti , riferiti ai quattro stati
di coscienza: catalessi , son no profondo , sogno e veglia. Per intender­
si : allo stato abituale di vegl ia, la parola ha una relazione puramente
mentale- intel lettuale rispetto agli oggetti che essa designa. In questa
condizione «si sogna» rispetto al tramare delle forze eteree che edifi­
cano il corpo sott ile ( siik1ma-farfra) umano , ani mate segretamente
dai mantra, e si dorme di «sonno profondo» rispetto al mondo della
volontà che opera nel cosiddetto corpo causante (kara,:,a-farira) , fatto
di pura vocalità; si è, infi n e , in istato catalett ico , di morte apparente ,
rispet to alla Potenza pura , para fakti, il Verbo di cui è essen ziato
l ' Un iverso . Per questa ragione il mondo appare rappreso in una con­
dizione fisica , minerale ( dhàr71, «terra») all ' uomo comune sveglio ,
1 30 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

anziché risuonare della Parola che ne costituisce l' essenza, come av­
viene p�r il Liberato, mukta, il mahi!i-yogin, che, secondo questa for­
ma di Sivaismo, si è identificato al medesimo Siva.
Strettamente connessi alle teorie fonematiche sono i sistemi sivaiti
del Sud, detti Saiva-siddhanta («Domina di Siva»), anche essi fonda­
ti sugli iigma, dei quali si distinguono le quattro parti (piida): domi­
na (vidyii), rituale (kriyii), ascesi (yoga) e condotta (caryi!i) . Per il mo­
mento ci limitiamo alla parte dottrinaria ed a quanto si può arguire
della storia della setta. Il fatto che la dottrina di queste scuole abbia
ampia diffusione fra le popolazioni non ariane dell' India meridiona­
le, specialmente Tami/, e che sia esposta in gran parte - salvo na­
turalmente gli iigama, sempre in sanscrito - in linguaggi dravida,
nonché la presenza di caratteri arcaici nella sua metafisica, tutto ciò
ha indotto molti studiosi a ritenere che lo Sivaismo, nel suo comples­
so, sia una religione ed un sistema filosofico di origine non ariana e
indiano-meridionale, successiva,rnente emigrato nell' India settentrio­
nale: difatti ci sono maestri di Saiva siddhànta anche nel KasmTr, co­
me NarayanaKa1J(ha, Ramakar.t{ha ( IX-V secolo E. U. ) che possono
aver diffuso colà un insegnamento trasmesso dal Sud. Vi è però, da
osservare che le scuole più antiche derivate da Lakulifa e dai suoi quat­
tro discepoli (v . più avanti) ebbero sede ed origine nell' India centro­
settentrionale o nord-occidentale, così come le scuole dei siddha (v.
infra) derivate da Matsyendraniitha e Gorak1ani!itha ( VI I secolo), mas­
simi maestri di Yoga, ebbero diffusione soprattutto nell'area setten­
trionale.
Tutto ciò serve a dimostrare che le varie religioni dell' Hinduismo ed
i sistemi filosofici da esse derivati non appartengono ad una sola clas­
se o razza del sub-continente, bensì sono il risultato di esperienze di­
sparate avvenute in epoche diversissime, alle quali hanno collaborato
tutti gli elementi etnici che popolano l' India. Difatti i grandi poeti
sivaiti meridionali furono, al pari degli Alvar vi�r;iuiti (v. infra), gen­
te di lingua tamil che si espresse nel proprio idioma: si ricordano i
nomi dei poeti ed asceti insigni Tirumula, �undara, Miinikkaviicakar
( I X sernlo): la prima ope!a dogmatica, lo Siva-jniina- bodha («Risve­
glio della conoscenza di Siva,,) fu opera dello fudra MeyKa,p/a, la cui
opera fu proseguita da altri Tamil : Arulnadi, Manaviicakam, Kadan­
dàn, Umi!ipati ( X IV secolo). Questa corrente sivaita è caratterizzata da
una forte componente devozionale , la bhakti, che, come si è già vi­
sto, è l'elemento tipico delle sette vi�i:iuite. Tale elemento, unito ad
una tendenza anti-castale ed ami-brahmanica, conferisce alla setta
un carattere ben diverso dal distaccato atteggiamento della scuola set­
tentrionale.
La metafisica e la psicologia dello Saiva-siddhiinta può essere consi­
derata come una specie di monismo differenziato (viftjfa-advaita),
nel senso che, contrariamente alla scuola del Kasmir emette I ' esisten­
za eterna di tre enti distinti: Siz,.i, «il Signore», (patr), le Anime o cii
FILOSOFIA E METAFISICA DEllE SETTE SIV AITE 131

Gregge» (pafu) e, infine, il non-spirituale (a-cit) , mediante il quale


Siva «lega» le anime, detto pertanto «il legame» (pafa). Questo lega­
me consiste nelle cosiddeue tre macchie (tn·- mala): ii'}ava- mala, l'er­
rore dell'individuazione, di identificarsi, cioè, ad un atomo­
individuo particolare; karma-mala, l'errore d'identificarsi all'azione
empirica, miiya-mala, l'errore di assumere come assolutamente reale
un mondo che è un'illusoria (maya) proiezione soggettiva. I proble­
mi psicologici di questo sistema, cioè la questione dell'anima umana,
della sua evoluzione e liberazione, sono strettamente legati all'impo­
stazione cosmologica e metafisica che riassumiamo per sommi capi.
La maya o Illusione; costituisce una specie di sostanza che viene fog­
giata dalla fak.ti di Siva, la quale è consustanziale a Lui, ma da Lui se­
parata, allo scopo di far esistere quanto di non-spirituale vi è nel
mondo.
Secondo un processo molto simile a quello dei sistemi settentriona­
li, lo Saiva-siddhanta distingue tre categorie, a partire da Siva, nel
processo di formazione dell'uomo e del mondo. Queste sono «pure»
(fuddha) in quanto il Signore si riflette in esse immediatamente, «se­
mipure» (fuddhafuddha), in quanto comincia ad affermarsi la divi­
sione fra un soggetto dell'esperienza ed un oggetto che appare come
«altro», «impure» (afuddha) perché sono relative ad un mondo sepa­
rato dallo Spirito creatore: queste ultime sono le 2 5 categorie del
Sa7'!lkhya (puru-1a, monade individuale, p rakrti, sostanza universale,
da cui derivano la buddhi, psiche, I'ahaf!Zkara, organo di individua­
zione, il manas, o mentale, con i dieci sensi - cinque d'azione e cin­
que di percezione - collegati alle cinque «quiddità», tanmatra, che
determinano le cinque qualità della sostanza fisica (bhitta), etere,
fuoco, acqua, aria, terra) .
Vediamo ora, da capo, le prime dodici categorie:
1 . nada, suono immanifesto, essenzialità-Siva ;
2 . bindu, punto di consistenza del suono, essenzialità-Sak.ti:
queste due categorie costituiscono il «germe» (bija) del Tutto;
3 . sad-ak.hya «pura trasparenza»: Siva si pone come «io sono»;
4 . ifvara (il« Signore»): Siva sperimenta se stesso come autore di
Tutto;
5 . fuddha- vidya, «pura conoscenza»: Siva conosce quanto esiste
come consustanziale a sé ;
6 . maya, «illusione» che fa apparire le cose come diverse da Siva e
separate luna dall'altra;
7- 1 1 . i cinque k.ancuk.a (corazze), categorie semipure che pro­
gressivamente limitano l'individuo separandolo dal mondo (k.ala.
niyati, k.iila, vidy a, riiga), di cui si è parlato a proposito della scuola
del KasmTr. Da esse viene determinato il
1 2 . puruia, l'individuo, l'anima singola, cioè il pafu.
1 32 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

A questo punto cominria l'originale psicologia del sistema, total­


mente differente da quella del Trika, gato che qui la Li berazione non
consiste nella totale identificazione a Siva, poiché le anime sono con­
cepi te come aventi un'esistenza propria anche nei gradi superiori
dell'essere: il monismo viene riafferl'l}ato in quanto gli esseri indivi­
duali sono impensabili al di fuori di Siva. I Liberati, p�rò, divengono
degli esseri il cui corpo è costituito, come quello di Siva, da cinque
Mantra, cioè a!chetipi-suono della Realtà . La separabilità fra le anime
individuali e Siva spiega metafisicamente la ragione della bhakti, che
questo siste,ma ammette come mezzo per la Liberazione. Il fine non è
diventare Siva , ma vivere uniti a Lui . Prima di essere un Liberato
(mukta) l'individuo passa attraverso tre stadi, il primo dei quali è
quello di essere dipendente dalle facoltà sensorie (sakala), sottoposto
alla triplice macchia ( mala) di cui si è parlato e, quindi, vincolato
all'effetto delle azioni compiute (karman). Il secondo stadio è quello
di pralayakala, cioè di colui i cui organi verranno annientati alla fine
del periodo cosmico in cui vive (pralaya - dissoluzione). Il terzo è
quello di Viji!ànakala, cioè di colui la cui coscienza (vtjnana) si è sba­
razzata da qualsiasi vincolo con le funzioni e le facoltà umane: allor­
ché ogni offuscamento o «caligine» (kal111a) sarà per lui dissipata, egli
ascenderà alla condizione di Vidyefvara («Signore di Gnosi»), indi di
Mantre.rvara («Signore dei 1 18 Mantra») a cui il Supremo Signore (Pa­
ramefvara) conferirà la Liberazione (mok1a). I l vincolo della Grazia
(anugraha) dall'alto verso il basso e della devozione (bhaktz) dal bas­
so verso l'alto conferisce a questo sistema, fondamentalmente gnosti­
co, un carattere teistico particolarmente accentuato.
La parte dello Yoga proprio a questo sistema consiste in un insieme
bene articolato di pratiche meditativ<', sui cosiddetti principi imper­
sonati da altrettante divinità, controlli del respiro, prà1')ayama, con­
centrazione, dhàra,;a; meditazione, dhyana ed «enstasi», samadhi,
comuni allo Yoga classico, ma con una forte impronta teista, accen­
tuata nella parte rituale (knya) ove si tratta delle sacre giaculatorie di
mantra , adorazioni all'alba ed al crepuscolo, pratiche quotidiane di
venerazione, arsione di oblazioni ed altre cerimonie rituali del gene­
re. Un'impronta ancor più formalmente religiosa, se possibile, è
quella che mostrano le correnti pratiche di morale (carya).
Probabilmente più antico di questi due ultimi è il sistema detto
Pafupata (cioè degli adoratori di Pafu-pati, «Signore degli Animali»,
in questo caso «delle Anime individuali»), probabilmente fondato da
Lakulifa (/akula significa mazza) o Nakulifa, vissuto certamente pri­
ma del IV secolo E . V. , scuola molto diffusa al tempo dell' Impero dei
Kufana, che comprendeva l'India Settentrionale e l'Afghanistan. La­
kulifa è l'autore dei Pàfupata-siitra, 47 aforismi che riassumono i
principi filosofici ed ascetici della setta, che gli sarebbero stati rivelati
dal dio Mahefvara, il cui principio egli stesso impersonava: un'iscri­
zione nel tempio del Nàtha («Salvatore») presso Udaipur in Rajputa-
FILOSOFIA E METAFISICA DELLE SETTE SIVAITE 133

na afferma che il Signore si sarebbe incarnato nella terra di Bhrgukac­


cha (Bhroach) nella persona di un uomo portante una mazza. Altre
iscrizioni , come quella celebre di Cinty a Prasasti, afferma che
quest'uomo sarebbe vissuto in Karoha9a nel territorio Lara, dove eb­
be quattro discepoli : Kuiika, Garga, Kauru!a e Mitra (o Maitreya) ,
iniziatori di altrettante linee di trasmissione che sembrano essere sta­
te abbastanza influenzate , nelle loro teorie , dalla contemporanea
scuola vi�l)uita Palicarlitra, tanto è vero che il Linga-purana sivaita
(cap. 24) stabilisce una relazione temporale ed ideale fra Vasudeva
Krp:ia e Lakulin. l membri di questa setta , all'inizio, sembrano essere
stati caratterizzati , più che da una teoria cosmologico-filosofica ben
definita, da un insieme di discipline e costumi (andar vestiti di rosso ,
ricoprirsi di ceneri , pron,unciare mantra, compiere particolari esercizi)
ai quali accennano sia Sa,rzkara (Be. S. i i , 2 , 37) che Madhava , nella
sua celebre esposizione di tutti i sistemi speculativi. In ogni caso è no­
to che , dal punto di vista filosofico , i suoi membri furono seguaci dei
sistemi logici Nyliya e Vaiie1zka, (così come i mistici cattolici del Me­
dioevo seguivano il sistema logico di Aristotele ! ). La loro dottrina pe­
culiare è la cosiddetta «Scienza dei Cinque Oggetti» (panciirthavidya),
dal numero delle categorie ontologiche, gnoseologiche e metodologi­
che da questa trattate:
1 . Effetto (karya) è tutto ciò che cade entro la sfera della Natura
(pradhana), sia la conoscenza relativa (vidya) , che gli organi (kala)
che l'anima individuale (paiu, «l'animale») , la quale ultima è ogget­
to della Liberazione dal corpo e dagli organi dei sensi.
2. Causa (klira'}a) è il Signore (patz) della creazione , mantenimen­
to . e distruzione ; dotato di illimitato potere (sadya) di conoscenza e
azione.
3. Yoga, ovvero la congiunzione dell'anima individuale con il Si­
gnore , che si at tua tramite il citta, cioè l'intelletto autocosciente. La
prima parte consiste nella pronuncia di mantra, compimento di par­
ticolari meditazioni eccetera ; la seconda, nella cessazione da qualsiasi
att ività concettuale , restando in una condizione di pura consapevo­
lezza (sa1'!1vid).
4. Procedimenti (vidh1). Questi costituiscono la parte più caratte­
rist ica della setta, dato il numero di pratiche magico-simboliche che
ingiungono ai fedeli. Oltre a ravvolgersi nella cenere tre volte al gior­
no i seguaci della setta compiono sei pratiche di genere , si direbbe ,
«estat ico-sciamanico» che sono: ridere ali' improvviso, cantare , danza­
re , art icolare il cosiddet to Hurjukkiira (suono imitativo di quello
compiuto da un bue «che sbatta la lingua contro il palato»! ) , prostra­
zioni e «pronuncia inaudibile di esorcismi (japa)». Più strane ancora
sono le cosiddette «sei porte», che sono discipline mediante le quali
l'asceta entra in una specie di sacra follia: a, krathana, comportarsi
come un addormentato quando si è svegliato, b, spandana, scuotere
1 34 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

le membra come in preda a paralisi od epilessia, e, mandana , cammi­


nare come se gambe e braccia fossero sconnesse, d, f.rngiirarza , affetta­
re sentimenti amorosi alla vista di una giovane bella donna , con mo­
venze part icolari , e, avi/karar,a , compiere azioni da tutti condannate,
f. avit/bhii.(ar,a , parlare in modo assurdo o senza senso. Si tratta di
procedimenti magico- iniziatici di origine antichissima , ancor'oggi
praticati dagli all ievi sciamani su un'area che va dall'Estremo Oriente
fino al Turkestan (cfr. le azioni «malamatT» compiute da dervisci Ya­
.revT e Bektash'i, come orinare in pubblico , dire frasi senza senso ecce­
tera , in modo da essere esclusi dal la comunità profana).
5. Liberazione (dul;khanta, «fine dell'infelicità») , che consiste o
nel la liberazione improvvisa da ogni vincolo, o nel possesso di capaci­
tà sovrumane di conoscenza e di azione, come conoscere tutte le cose,
vedere gli oggetti celati, idem udire suoni lontanissimi, compiere
istantaneamente qualsiasi azione , assumere qualsiasi forma, sparire,
eccetera .
6 . Queste discipline sono poi diventate i l retaggio di sette sivaite
estreme come i Kiipii/ika. Lingiiyat, ]angama, che si trattano in segui­
to.
7 . Altre sette s1vaite (Vira-saiva e Lingàyat ; Kàpalika)

Il fondatore dei Vira-faiva, «Eroici Sivaiti», cosiddetti per il preteso


rigore con cui seguono i dettami del la loro setta, è ritenuto Basava,
scn . V[.fabha, che, soppiantando il precedente sovrano di cui era co­
gnato, divenne re dei Kalyana at torno al 1 1 67 . La sua storia ci è nar­
rata dal Basava-purli1Ja ( ed . a Poona nel 1 905, v . journ. BBRAS, voi .
vm) . l !,1 realtà, questo brahmai:ia, appartenente ad una setta saiva
detta Aradhya, appare piut t osto come il rifondatore di questa setta,
difficilmente distinguibile da quella dei Lingiiyat, «portatori del fal­
lo», per il simbolo che portano appes<_:> al collo o legato ad un braccio,
chiuso entro un astuccio di argento . E una setta fortemente devozio­
nale, La bhakti, o intensa devozione, rivol ta a Siva è giustificata dal
fatto che le singole anime umane sono concepite separate da Siva, an­
corché consustanzial i a Lui . La setta, pertanto, distingue tre gradi
del l ' esistenza umana secondo la minore o maggiore prossimità al Si­
gnore : 1 . tyaga, «separazione» da Siva e dalle sue cinque funzioni
(Sady ojata, Viimadeva, Aghora, Tatpurufa, ifana) propria alla co­
scienza allo stato di veglia; 2 . bhoga, «fruimento», proprio alla condi­
zione di sogno : la realtà viene percepita e fruita nel la sua dimensione
di vita fluente, che anima il corpo sottile (fuksma) del l ' uomo e
del l ' Universo ; y oga, «congiunz ione», che si sperimenta nel sonno
profondo, allorché , dimentico del suo «ego» limitato, l ' uomo vive
immerso nelle cause ( kiiraria) degli eventi e delle cose . In questa con­
dizione l ' asceta sperimenta la realtà-Siva di, tutte le cose , q�i deno­
minata Linga-Sthala ( appross . «presenza di Sivfh , «vigore di Siv�. se­
condo i suoi due aspetti opposti e complementari : come Bhakti, che
induce nel l ' uomo la vocazione a ricongiungersi a Lui e che è un pote­
re di grazia emanato da Lui ( ! ) e come Kalii, Sua facoltà e potere ma­
girn di riflettersi in tutte le cose, senza perdere la propria identità con
se stesso .
La set ta considera Siva, in sé, come l ' ineffabile Brahman. , sintesi
di esist enza (sat), coscienza ( cit) e beatitud ine (iinanda) . Questa tri­
p lice realtà si qual ifica secondo le già note categorie fonematiche Nii­
da (suono puro), Bindu ( punto di consistenza in se stesso) e Bi'ja (ger­
me di t u t t a la realtà) . A quest i principi archetipi seguono, con altro
no me, le ci nque categorie pure, delle quali si è già parlato a proposi­
to dei sistemi Trika e Saiva-.riddhiinta, ognuna delle quali « posta in
1 36 RELIGIONI E MITI DELL ' I NDIA

esisten za» da una delle cinque Sakti, nelle quali si riflette la Suprema
Sposa (para faktip) del Signore .
I pri ncipi ascetici della setta rich iamano q uelli dei Piincariitra vi­
:,puit i : la meditazione yoga e i diversi esercizi psico-fisici sono anima­
t i da una ferven te bhakti diretta a Siva, concepito come unico dio,
immanente e trascendente tutte le cose al tempo stesso. I principi
liturgico-sociali sembrano nat i da una mai sopita polemica contro la
società brahman ica. La set ta ripudia teoricamente la subordinazione
della don na (poiché essa simboleggia, sul piano umano individuale,
l'apparizione, sul piano divino, del principio-fak.ti che è la potenza
creat rice del Tut to), la cremazione dei morti, l'organizzazione castale
tramandata dai tempi vedici, i pellegrinaggi, che costituiscono il più
diffuso «sport religioso» degli Hindu, eccetera. La parificazione tem­
perata dei due sessi sembra essere il carattere esteriore più appariscen­
te di una setta che, poi, è caratterizzata da denominazion i molto «vi­
rili». La consacrazione (dik.Jii) viene conferita anche alle fanciulle (in­
vest itura del sacro lù:,ga) , corrispondendo all'upanayana (investitura
del cordone sacrificale) fatta ai maschi delle t re prime caste iirya della
società indo-iirya. Invece della sacra giiyatrf ti sacerdote pronunciando
ti mantra « O"? namaf-Siviiya» (« Om! » Adorazione a Siva! ) , solleva il
finga nella sua mano sinistra, lo venera sedici volte con le usate giacu­
latorie e lo mostra al discepolo, nella cui mano sinistra lo pone, in­
giungendogli di considerare la propria anima come la cosa suprema al
mondo, indi glielo lega al collo con un laccio di seta, ripetendo gli
stessi mantra pronunciati dai Brahmar;ia nel conferire lo yajnopavita
ai fanciulli . Questa iniziazione è detta Lingasviiyatta-diksa. Teorica­
mente la setta è anticastale ma, in realtà, le caste si sono immediata­
mente riformate al suo interno e sono ben quattro, di cui due laiche e
due formate da religiosi . Quella superiore è quella costituita dai co­
s/�detti Lingi"-brahmarJa, suddivisi , alla loro volta in due classi: gli
Acii!Y a, i «Maestri», supposti discendenti da altrettante incarnazioni
di Siva, Vì"ra, Nandin, Vrsabha, Brngin e Skanda, ed i Pancama, i
«Quinti», anche l2ro discendenti da cinque personificazioni delle al­
trettante facce di /fana « Ga�efvara» (il «Signore delle Schiere>). Tutte
queste classi , nate probabilmente da mescolanze fra bràhmar:ia e �a­
triya, costituiscono gruppi esogamici , per cui non è ammesso il matri­
monio fra coloro che appartengono al medesimo gotra, «grande fami­
glia». Dal punto di vista più strettamente gerarchico, i Lingiiyat sono
ripartiti in quattro classi , la più alta della quali è quella ereditaria dei
jangama, preti «ambulanti». Le loro congregazioni risalgono ai sup­
posti Mahan!as , i «Grandi», coloro cioè che personificavano i cinque
principi di Siva, fondatori del monastero di Varanasi (Benares), di
Kedarn ath , nella contrada himalayana , di Srisaila presso Nandyal, di
Balehalli nel Maisiir e di Ujjayini.
Per quanto riguarda strettamente i Lingayat, costoro conoscono an­
che una specie di battesimo detto af!avarna, «degli otto colori», che
ALTRE SETTE SIV AITE 1 37

conferisce al fanciullo le otto «corazze» ( kavaca, ma con un senso di­


verso dalla categoria metafisica dello Saivasiddhanta, come protezio­
ne dal male). Una volta appeso il ling a al braccio dell'infante, il guru
lo unge di ceneri ( viohtiti «miracolo» , per propiziare la moltiplicazio­
ne dei beni miracolosi) , lo provvede di un rosario ( rudriikJa) e gli con­
ferisce un mantra particolare, la sillaba magjca che lo accompagnerà
tutta la vita. Indi il bimbo è presentato a Siva, personificato da un
jang ama: l'acqua del pediluvio del jang ama è assimilata al tfrtha,
«guado sacro», o «tempio» della divinità. L'ottavo kavaca è la grazia
divina (prasiida) , simboleggiata dal nutrimento che il bambino riceve
dalle mani del jang ama. Come marchio settario (ttlaka) i membri
della setta portano un punto bianco impresso sulla fronte , invece del
solito tridente sivaita.
Oltre a queste sètte minori ne esistono o, meglio , ne esistevano
delle altre che, pur essendo state superficialmente brahmanizzate, se­
guono rituali affini a quelli degli aborigeni australoidi dell'Oceania,
oltre a praticare rudimentali forme di yoga: queste sono le sette Ka­
piilika («Portatori di crani») e quelle affini, Kiilamudra, da non con­
fondersi con i Kiiliimukha, citati in iscrizioni nel Maisur, che appaio­
no essere una varietà dei Liikulifa-piifupata.
La setta Lingiiyat ebbe un suo periodo di affermazione probabil­
mente fra il VII e l'XI secolo d. C. Un'iscrizione di re Pulakesin I l di
Maharastra attorno al 630 ricorda addirittura la concessione di un vil­
laggio p�esso Igatpuri ( Nasik) come reddito per mantenere il culto di
Kiipiilefvara, il «Signore dei Portatori di Crani» , detti anche Mahiivra­
tin «Coloro che osservano il " Grande Voto" ». Ancora tre secoli più
tardi si hanno simili concessioni da parte di re Km1a III di Ragrakiira ,
l"iò che significa che la setta aveva ancora una certa altezza di condot­
ta, mentre la posteriore letteratura storico-filosofica ne parla in termi­
ni non laudativi ( Brhat-sa11_1hita. Sarvadarfana-saf!J,graha di Madha­
va , el"c. ). Madhava , per esempio, racconta nello Saf!lkara_-dig vijaya
(«la Conquista dei 4 Punt i Cardinali da parte del filosofo Sarpkara»)
l"he rnstui incontrò il maestro della setta su un terreno di arsione ad
Ujjaini , coperto di l"eneri umane, tenendo in una mano il teschio e
nell'altra una lanl"ia di ferro, che lo rimprovera di non venerare Bhai­
rava (Siva) con i crani rossi di vino e di sangue umano. In uno scam­
bi o reciproco di maledizioni , Krakaca resta , naturalmente, fulmina­
to, dato che il filosofo era una incarnazione del dio stesso di cui por­
tava un appellativo come nome. (cap. XV, vv. 1-28). Il grande dram­
maturgo saiva Bhavabhtiti ( VIII secolo) , nella sùa opera Miilatimiidha­
va , narra come la sua eroina Malati venga magicamente rapita dal pa­
lazzo del padre, ove dormiva di notte, dalla strega Kapiila-ku17t/ala
(«l'O rnata da una Collana di Teschi») , che la porta vicino al cimitero
di front e all'immagine di Kariila- Cam1117t/ii, dove il suo maestro
Aghor'!•g ha17(a intendeva sacrifaarla. Questa setta , conosciuta �nch�
come Sri-fai/a, presenta un i n t eresse soprat tutro etnografico per I su01
138 RELIGIONI E MITI DELL ' INDIA

caratteri che sembrano indonesiano-australoidi. I suoi adepti si nutri­


vano di cibo , talvolta carne umana, scodellato in un teschio; si co­
spargevano di ceneri di cadaveri ; mangiavano una coppa di vino; ve­
neravano il loro dio, concepito risiedervi dentro. La loro forma abi­
tuale di meditazione, ci informa Ramanuja, consiste nel meditare il
supremo Sé residente nello Yoni (vulva) cosmica, identificata a quel­
la della iakti terrestre alla quale essi si congiungono abitualmente.
Sopravvivono oggidì negli Ag hori' (seguaci di Siva-Ag hora) e la loro
denominazione è sinonimo di mendicante e vagabondo.

Strettamente collegato alle scuole sivaite dell'India meridionale


appare l'insieme delle pratiche alchemiche, rasiiyana, «metodo del
mercurio» , detto anche cìniiciira, «metodo cinese» , in ricordo del pre­
teso insegnamento ricevuto da due taoisti cinesi ricordati con i nomi
di Bhog a e Pulippiin·. Madhava , nel suaccennato compendio, ricorda
una scuola sivaita del mercurio (raséfvara-darfana) , che d'altra parte è
stata ricordata con precisione dal persiano al-Biriini nelle sue opere
scientifiche. Questa scuola si fonda su un'esigenza pratica estrema­
mente semplice: essendo la via verso la Liberazione lunga ed ardua, sì
da richiedere talvolta una maturazione che duri molte vite successive,
è necessario che il corpo fisico , veicolo di questa esperienza spirituale,
sia mantenuto in buone condizioni. Da questa esigenza, echeggiata
dai trattati classici di medicina indiana (cikitsii) ayur-vedica, come la
Samhita di Caraka (siddhi XII, 3 5 ), Suiruta ( Uttariitantra capp. XXVII­
XXX) , Viigbhata (A.f!iing ahrdaya-saf!Zhitii, Uttarasthiina XXXIX) ed
altri, si passa alla purificazione ed alla rigenerazione dei tre livelli esi­
stenziali «corpo-parola-mente» (kiiya-viin-mano-viiuddhz) , indi alla
ricreazione «embrionale» dell'essere umano . In questa fase ulteriore,
di carattere stret tamente iniziatico , il praticante passa attraverso vari
stadi preparatori di purificazione fisica e psichica, per poi sottoporsi a
determinate forme di respiro «embrionale» , non molto diverse da
quelle in uso presso le scuole cinesi taoiste: successivamente, o in de­
terminati luoghi all'aperto, o , meglio , al chiuso di una triplice ca­
panna (try-iigiira, tri-ku/i) , l'adepto si nutre della cosiddetta droga di
Cyavana (in ricordo dell'omonimo «vecchio> ringiovanito dagli A­
svin), cyavaniifya, composta di mercurio, mirobalno , sale ed erbe va­
rie. Per quanto si riferisce alla capanna rituale, comparabile alla ca­
panna vedica , la sua costituzione evoca il triplice segmento delle vie
genitali femminili (vulva, vagina , utero) in cui si deposita l'embrione
(g arbha) (v. dasgupta, II, 3 1 3 ). Tutto il procedimento, quindi, evoca
una concezione di reg ressus ad uterum a cui corrisponde anche una
rinascita spirituale. Più strettamente collegate a questo mondo ideale
sono le figure del pant heon femminile che si tratta qui in seguito.
8 . Le deità femminili , gli Sakta ed i Tantra. Riti iniziatici

Già nei culti vi�r:iuiti ed in quelli km1aiti si incontrano maestose fi­


gure femminili quali Sri, Lak1mi, Radha, Rukmirti e le altre infinite
spose di Kr!1:ta, in quelli sivaiti la funzione femminile si precisa e di­
venta essenziale . Essa è la personificazione concreta e talvolta indi­
pendente della potenza del terribile Dio : Uma, Gauri, Parvati, Dur­
gii, e Kiili, uniscono nelle loro figure la risorgenza di culti ad antichis­
sime divinità e nuove concezioni metafisiche che trasformano il Brah­
manesimo post-vedico in ciò che conosciamo come Hinduismo : esse
costituiscono la nuova dimensione religiosa dell'India. Anche nei Ve­
da esistono , seppur poche , divinità femminili , ma esse sono - come
Indriirti, Siiryii ed altre - la funzione femminile, piuttosto scialba,
di un mondo religioso tipicamente virile , uranico ; oppure , più di ra­
do , costituiscono la veste naturale, fisica, di u n ' idea mistica come
U1as, l ' Aurora:, che simboleggia l ' albeggiare dell ' intelligenza uma­
na. Il mondo delle Grandi Madri , delle dee della guerra , del l ' amore
e della distruzione non appartiene solo all ' India, bensì , si è detto , si
estendeva fino al Mediterraneo pre-classico : a loro era connesso il
mondo dei misteri che , in una certa misura, sembra perpetuarsi in
India nella letteratura e nella pratica dei Trantra a cui si collegano le
sètte fakta, quelle cioè che hanno una o più fakti (sposa-potenza) al
centro della loro esperienza mistica . Questa serie di deità culmina
nella Mahii-devi (che non è soltanto la sposa di Maha-deva, Siva, la
Ammei dravida) e si rifrange nella moltitudine delle Piccole Madri
( miitrkii) le qual i , identificate come le stesse lettere dell ' alfabeto san­
scrito ( niiganj , simboleggiano le virtualità creatrici , kala, della stessa
dea- Parola Viic ( mitologizzata già in Sarasvati, «la Scorrente> , sposa
di Brahmjj) , att raverso la serie dei suoni audibili (fabda) sui quali è
fondato il linguaggio ed il pensiero umano, in quanto denotano il si­
gnificato degli oggetti (artha) . Senz� la fakti, «Siva è nulla> . Tipica è
la rappresentazione di Siva-fava, «Siva cadavere• pallido , immoto ,
disteso , sul quale danza, simile ad una vampa di fuoco , la terrificante
s ua sposa Kiili, «la Nera> . La fakti non è solo l' energia del dio , ma è
anche l' elemento che lo rende accessibile, conoscibile: ess::: è la Sa­
pienza, la Divina Sofia ( Vidyii, ]lliina, Vidy efvanj , è la Suprema
Consapevolezza (Parii Sa'!lvid) la cui trasparenza si rivela ad ogni uo­
mo come il suo intimo , inaccessibile Sé . E anche la potenza d ' Illusio-
1 40 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

ne , Màyà-fakti, che ci fa apparire come reale ed obiettivo un mondo


che, in realtà , non è che un atto di pensiero, facendolo sussumere co­
me verità indipendente dal pensiero che se lo pone come «gioco»
(lilli) .
L'elemento concettuale e pratico che connota i culti fàkta è che ,
mentre nel Vedanta e nei vari sistemi filosofico-religiosi ciò che conta
è realizzare il distacco (tyàga, vairagya) fra l'elemento spirituale, lo
àtman , e l'Illusione o la Natura (Prakrtt) , presso gli fàkta, invece , la
somma liberazione viene ottenuta propno mediante ciò che, per
l'uomo comune, conduce al peccato, al dolore, alla morte, quindi al
samsàra. Questa concezione che , al di fuori dell'Hinduismo, si ritro­
va nel Buddhismo vajrayana («Veicolo di Diamante») è la base, non
già per elucubrazioni filosofiche , bensì per discipline di straordinaria
concretezza , tramite le quali lo yogin bene addestrato ai vari conrolli
del proprio essere fisico, mentale , vitale e psichico, riesce a capovol­
gere il rapporto passivo che l'uomo comune sperimenta nei suoi rap­
porti con determinate forme di fruimento (cibo , bevande, amplesso):
in questo caso il siidhaka (asceta) contempla e sperimenta obiettiva­
mente quelle forze cosmiche di collera , terrore o brama, alle quali
l'uomo istintivamente si identifica , soggiacendovi. Tali esperienze
(fra le quali quelle note come il pafrca-MA-kiira, «le cinque M», dalla
iniziale di madya-matsya-mudrii-ma1{lsa-maithuna, vino-pesce­
cereale-carne-amplesso) sono il fondamento della talvolta sconcertan­
te iconografia femminile delle religioni indiane e dànno una spiega­
zione per i vari culti a base erotica o sanguinaria. L'asceta , attraverso
atti rimali - talvolta compiuti solo simbolicamente - evoca l'im­
magine di passioni, terrori e godimenti, sì da realizzare la concentri­
cità spirituale del proprio lo, immobile di qua dal mondo delle per­
cezioni e delle sensazioni. Tali scuole esoteriche postulano l'androgi­
nità spirituale dell ' uomo: egli è, difatti, un «uomo-donna> , adom­
brato dalla figura di Ardhnari'fvara di Siva. L' apparizione della don­
na sul piano terreno, distinta sessualmente dall' uomo, è il simbolo,
nell' umanità corrente, dell' incapacità pratica a realizzare cosciente­
mente la donna interiore, la quale è metafisicamente l' infinita po­
tenzialità creativa ed è anche la proiezione di quella fakti che regge,
muove e riassorbe i mondi.

Lo stadio più primitivo, nel quale traspaiono elementi aborigeni


dell'India nel culto della Grande Dea, è quello delle Griimadevata,
«divinità del villaggio», idoli grossolani, talvolta un semplice sasso ritto
(si ricordino i «betili» nel Medio-Oriente antico), momentaneamente
rivestito di sacertà da sacerdot i non di casta brahmanica. Queste
Grama-devatii sono concepite come emanazione del principio della
Grande Madre: a loro viene reso culto mediante la puja, «omaggio» -
offerta di vegetali e fiori, unzione e rivestimento dell'idolo nelle feste.
LE DEITÀ FEMMINILI, GLI SA KTA E I TANTRA 141

La Grande Madre medesima , prima di venir tipizzata nel culto na­


zionale di Durga, «l'Inaccessibile» , era vc_:_ngata nelle sue diverse for­
me , fra le quali è particolarmente importante quella meridionale ,
dravida , di Maryammei, «la Madre Morte» , dea del vaiolo , che corri­
sponde al Nord alla Mahaman, «la Grande Morte» personificazione
del colera. La leggenda che tradizionalmente si narra a proposito di
questa divinità è che essa era una volta una donna che aveva ricevuto
il dono di attingere l'acqua senza recipienti, giacché il liquido le si
solidificava fra le mani: questo privilegio le sarebbe stato conservato ,
però fintanto che essa si fosse mantenuta pura. Un giorno , però, ve­
dendo riflessi nell'acqua dei Gandharva che indulgevano con le Ap­
saras ai loro giochi amorosi , mormorò: «Come sono belli!» . Immedia­
tamente l'acqua da lei attinta le si sciolse fra le dita. Il marito , incol­
lerito, la condannò al fuoco e già la sua testa bruciava, quando il fi­
glio ottenne che venisse salvata: poiché il suo corpo portava orribili
cicatrici della sua condanna in parte eseguita , divenne la dea-vaiolo
(di cui si adora solo il capo). La leggenda è molto simile a quella di
Renuka, madre di Parafurama (v. infra) alla quale Miiryammei è stata
identificata sul piano brahmanico. Essa simboleggia l'apparizione
del principio del desiderio (kama) , che toglie all'anima la comunione
immediata con il suo stesso principio divino , le cui forme fluenti non
vengono più afferrate dalla coscienza. La purificazione si effettua at­
traverso la medesima esperienza dei sensi (fuoco).
Si è già parlato , a proposito delle imprese di Krp1a, della uccisione
del demone femminile Putana, che a lui bambino diede a suggere il
seno ricolmo di veleno. Questa terribile divinità è ritenuta essere
emanazione di Sita/a, «la Fresca» , denominazione apotropaica con la
quale si cerca di tenere lontana la febbre che essa apporta. Il nume è
rappresentato come un essere femminile nudo , dall'aspetto feroce, a
cavallo di un asino (l'animale che in molte mitologie adombra signi­
ficati infernali: si pensi all' Oknos dell'escatologia greca). Queste di­
vinità, però, non sono soltanto simboli di eventi negativi, ma spesso
sono ambivalenti : si hanno delle orche divoratrici di bambini, che
vengono invocate come loro geni salvatori. Hiiriti, «la Verde» , secon­
do la leggenda buddhista , era una dea che divorava i bambini a Rà­
jagrha; rnnvertita dal Buddha, divenne genio protettore dell'infan­
zia (detta Sung tzu in Cina, Kishimojin in Giappone). Così pure Bi­
diili, che risana i bimbi , e Manasa, che guarisce dal morso dei ser­
penti.
Se dal culto popolare vogliamo ascendere alle grandi concezioni su
cui si fonda lo sviluppo speculativo dei Tantra , dobbiamo rivolger� la
nostra attenzione a quella divinità panindiana che è la iakti di Siva
per eccellenza e della quale i testi ed il culto distinguono nove tipi
principali, connessi ad altrettanti miti, alcuni dei quali appartengono
a cicli epici- e religiosi non sivaiti. È il caso del già citato Bhzjmapar­
van del Mahiibhiirata (cap. 2 3 ) . in ru i rnmpare un inno a Durgii pro-
142 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

nunciato da Arjuna per consiglio di Krf1Ja, per avere la vittoria


nell'imminente battaglia: essa vi è nominata con ben dodici appella­
tivi. Vi è un altro inno, questo cantato da Yudhzj{hira nel Virii{apar­
van (cap. 6), in cui la si esalta come amante del vino, della carne e
delle belve, chiamandola Mahzjiisuraniiiini (l'Ucciditrice dell' Asura
Mahzja, «bufalo»), amata da Niiriiyana e sorella di Vasudeva (Krf1Ja),
abitatrice dei monti Vindhya. Nello Han·vaf!Zfa, tanto per citare un
altro poema vi�i:iuita, essa appare come la personificazione del «sonno
di Vi[!'I U», «sogno nella forma di Tempo distruttore» (Nidrii Kiilarii­
pi1,1i); il Miirka1Jt/eya-purii1'!a ( cap. 82) la celebra come essenziata del
bagliore accecante di Siva, Vij1Ju e Brahmadeva, e la chiama Ca1Jt/i
(la Furiosa) ed Ambikii (la Piccola Madre).
Nei riguardi della Grande Dea esiste anche una serie di «miti com­
plessi», nel senso che le sue varie personificazioni sono concepite co­
me emanate l'una dall'altra e, quindi, presenti in potenza nella sua
individualità centrale. Questo è il caso della Piirvati himalayana e del
suo trasferimento, o sdoppiamento,, nella regione dei Vindhya. Es­
sendo gli dèi oppressi dai demoni Sumbha e Nifumbha, andarono
verso la catena dello Himalaya, dove venerarono in tale modo Piirva­
ti, da indurla a bagnarsi nelle onde del Gange: ivi essa si rivelò come
Kaufiki («la nata dal Kofa, " Tesoro " , " Struttura" ») ed emanò dal
suo corpo Ambikii, ricevendo il nome di Kii/ika, dato il colore oscuro
preso dalla sua cute. La sua fronte divenne totalmente nera allorché si
mise a combattere con i due demoni, rivelandosi come l'immagine
spaventevole di Kali, con il collo circondato da una collana di teschi ,
coperta da una pelle di t igre e con la spada infernale (kha{viinga) nel­
la destra. Uccisi i due demoni, noti anche come Cunda e Munda,
rientrò in Ambikii, che da allora ebbe anche nome Cii��ndii in ric�r­
do dell' impresa. La sua persona è concepita come la sinte�i"delle sette
fakti di altrettanti dèi, tre dei quali ipostasi di Vi.f1JU: Brahmi, Miihe­
fvari, Kauman� Vazj1Javi, Niirasif!Zhi, Varahi, Aindri. Il suo mito
contiene una specie di profezia, nel senso che essa riprenderà la bat­
taglia contro i due demoni, o contro la loro nuova personificazione,
questa volta partendo dalla catena dei monti Vindhya. L' aspeno be­
nevolo di Parvati o Haimavati è Uma, la «Favorevole», personificazio­
ne di pura potenza senza implicazioni terrificanti o feroci, come Cii­
mu,p/ii, Ca1Jt/i o Kariila, deità francamente aborigene, dato che
esplicitam<:nte vengono considerate protettrici delle tribù al sud dei
Vindhya, Sabara, Barbara ( ! ) e Pulinda «che si nutrono di carne e vi­
no e fanno sacrifici sanguinosi». Molto probabilmente l'accoglimento
di questi numi cosi poco ariani nei miti brahmanici iniziò in seguito
all' identificazione di Rudrlz ad Ag nf e l' assunzione di queste dee in-
4igene (come la Ciicii protolatina, sposa del dio-fuoco Clicus, cfr . scrt.
Saci paredra di Indra! ) quali spose di Ag nf medesimo . Nella successi­
va espansione degli Arii nel Dekkhan , alcune famiglie brahmaniche.
come i Kiityiiyani, le assunsero come dee tutelari. Più tardi divennero
LE DEJTA FEMMINILI , GLI SAKTA E I TANTRA 1 43

le protettrici dei Kiipiilzka e Kiiliimukha (v. capitolo prec. ) , assu,men­


do anche un forte aspetto erotico, che hanno conservato fra gli Siikta.
Il mito centrale della Dea in rapporto a Siva resta sempre quello
brahmanico di Sati («la Essente>, cioè la buona moglie, quella che,
una volta vedova , si fa bruciare viva sulla pira del marito, uso peraltro
riprovato dagli Sivaiti) . Era costei una figlia dell'aditya o Prajiipati
Dak.1a (v . infra) , del quale altre 27 figlie andarono spose al dio Soma­
Candra (v. infra), formando le altrettante case lunari, mentre 1 3 spo­
sarono lo r.ri Kaiyapa. Non avendo il padre invitato lei �sieme a Siva
al grande sacrificio, essa si gettò nel fuoco, perendovi. Siva, furioso,
inseguì Dak.1a trasformatosi in capriolo per sfuggirgli, e lo decapitò .
Più tardi le ossa della sventurata sposa ricaddero su diversi punti della
terra (in pratica dell'India settentrionale) , dove furono innalzati tem­
pli per venerarle, i cosiddetti pT(ha (che lo yoga tantrico identificherà
in particolari zone del corpo sottile, sulle quali l'asceta applica la pro­
pria attenztone meditante (nyiisa) , in modo da risvegliarne l'assopita
potenza). ,Siva, inconsolabile , si era dato all'ascesi (donde la figura­
zione di Siva Kapardin. S. «con la crocchia.) , quando essa rinacque
con il nome di Durgii, come figlia di Himavant (il «Monte delle Ne­
vi>) e dell'apsaras Mena. li saggio Niirada aveva predetto al padre le
nozze della figlia con il dio supremo , proprio in seguito alla rinuncia
di costui al mondo. Conoscendo tale predizione, Durgii si mise ad
adorare il lù:,ga (del quale un altro mito narra che Siva si foss� mutila­
to, v. sup ra Siva). Kiima, dio dell'amore, riuscì a distrarre Siva dalle
sue meditazioni innamorandolo di Durgii, ma gliene incolse perché il
dio, subito dopo , l'incenerì con il suo terzo occhio (donde il nome di
An-anga, «incorporeo> , attribuito a Kiima). L'amplesso di Siva e
Durgii sconvolse l'universo e fece tremare cielo e terra: frutti della lo­
ro unione furono Skanda («il Balzante>), dio della guerra (Kumara­
sambhava, 2 1 , I ) e Ga,:ieia («il Signore delle Schiere>) , dio del succes­
so e della Sapienza. Secondo altri miti, quest'ultimo nacque dall� ra­
schiatura della pelle di Piirvati, che faceva il bagno in un fiume: Siva,
geloso della capacità della sposa , lo decapitò per poi restituirgli, alle
suppliche di lei , la testa sostituita con una di elefante. Un altro mito
narra come Siva, continuando a vivere da asceta - quindi di elemosi­
ne - ritornasse senza nulla da mangiare , ma venisse nutrito dalla sua
sposa che aveva segretamente risparmiato del cibo: donde il suo no­
me di Anna-Pii"!a, la «Piena di Cibo> (cfr. la latina Anna Perenna,
nu trice di Romolo e Remo, sdoppiamento di Acca Larentia).
Talvolta la dea appare in relazione a cicli cosmici più genericamen­
te vi�Quiti, esercitando funzioni guerriere che le più femminili spose
di Vi1,:iu o di Kn,:ia non avrebbero potuto assumere. In particolare
nella Devimiihiitmyii si narra come - volendo i demoni Madhu e
Kai(abhya uccidere Brahma mentre VzjtJu era immerso nel suo ciclico
sonno - essa uscì dalla fronte di Brahmii (è sempre il mito del terzo
occhio folgorante del dio ! ) e, assieme a Vzj'!u improvvisamente risve-
144 RELIGIONI E M ITI DELL'INDIA

gliato, impegnò con i demoni una battaglia durata cinquemila anni,


che finì con la loro distruzione. Un ' altra volta, essendo stati gli dèi
vinti da Mahzja e dagli Asura, dai loro corpi sprizzarono fuori le fakti
sotto forma di globi di fuoco che, tutti assieme, presero la forma di
Ca�t/i. la quale annientò Mahzja (donde il suo nome di Mahz".[a­
mardi�i, «Trituratrice di M. »), vanamente trasformatosi in bufalo
(mito della città di Mahi.[matf sulla Narmadà). Altro mito guerriero,
in cui essa assume l ' aspetto di «vergine delle battaglie» che dona la
vittoria, ai suoi fedeli, è quello già accennato della distruzione degli
iisura Sumbha e Nifumbha, i due fratel l i che essa annienta sotto
l'aspetto di Kali, «la Nera», sempre per proteggere l'ordine cosmico -
essa, simbolo del lo scatenamento disordinato dell'energia, del caos!
Si è accennato all'iconografia della Grande Dea come Kali, i l cui
aspetto spaventoso simboleggia l' aspetto «tremendum» della realtà,
evocante avvenimenti particolarmente comuni in India (epidemie,
inondazioni, siccità, fame, morsi di serpenti .eccetera). Come Durgà è
raffigurata, invece, quale una bella e giovane donna, ingioiellata, ve­
stita di giallo, tenente un loto blu nella mano destra, mentre compie
con la sinistra il gesto che dispensa favori ( varada-mudra: mano oriz­
zontale con palma in alto e, talvolta, col pollice ripiegato attraverso la
palma) e montata su di una tigre o su un leone (si rammenti come, in
Occidente, il leone fosse proprio il veicolo della Grande Madre, Cibe­
le) . Vi sono anche tipi misti della Dea - generalmente rappresentata
con dieci o venti braccia munite di armi, fra le quali gli attributi vi­
��miti conca e disco. In questi la dea appare per metà con aspetto be­
nevolo e per metà con quello malvagio, come pure vi sono r?-ppresen­
tazioni di lei che, seduta sul toro Nandin, si accompagna a Sivq, o ad­
dirittura, appare come l'elemento femminile nella figura di Siva an­
drogino (Ardhanarifvara).
La letteratura tantrica a base fiikta è semplicemente sterminata: so­
lo una parte piuttosto piccola ne è stata edita. Esiste anche una lette­
ratura non totalmegte fiikta, nel senso che la Dea è introdotta quale
funzione attiva di Siva. Le parti piu importanti sono, praticamente,
quella cosmologica, quella liturgica e, finalmente, quella yoga, nel la
quale vengono date indicazioni - spesso in linguaggio velato, la co­
siddetta sandhi- bha.[ii, «l ingua crepuscolare» - sul le operazioni da
compiere al fine di attualizzare la fakti ed ottenere l ' identificazione
interiore con l ' energia che essa concretamente simboleggia. Questa
energia è quel la che si sprigiona allorché si hanno esperienze compor­
tanti una violenta scossa (kfobha) emotiva: amore, terrore, furia,ecc.
Il procedimento è quello di obiettivare e visualizzare l ' ente psichico
che in tale modo si suscita, indi riassorbirne meditativamente i dina­
mismi scatenati. Esiste anche un approccio meno tecnico e più devo­
zionale che, ad esempio, caratterizza le scuole del Bengala, ove la de­
vozione verso Kali ha trovato accenti di altissima poesia.
La dea (ifani) Ananda-bhairavi, o Latita o Tripura-sundari, è visua-
LE DEITÀ FEMMINILI, GLI SAKTA E I TANTRA 145

lizzata i n un palazzo fatto della «pietra che sodd isfa i desideri» ( cintii­
ma1J1) , galleggiante su un oceano di nettare da cui �ascono i cinque
al beri celesti : essa è reclinata su un giaciglio che è Siva. Quest ' ulti­
mo , detto A nanda- bhairava «lo Spaventevole fatto di Beatitudine» , è
sost a n z iato d e l l ' e l e m e n t o s p a z i o - t e m po - fo r m a ( kàla- vy iiha) ,
del l ' elemento-energia ( kula- vyuha) , del l ' elemento- nome , cioè ar­
chetipo ideale ( niima- vyuha) , del l ' elemento-conoscenza (jtliina­
vyuha) , del l ' elemento- intelletto (citta- vyuha) comprendente consa­
pevolezza , «cuore» , volontà, intelligenz a e mente . I due costituiscono
un ' unità, come quella esistente fra potenza ed atto . La loro unione
intima (siimarasya, «con-sapore») è tutta l a Realtà. Vediamone i mo­
gienti metafisici . Siva, nella specie di Luce (prakafa) penetra nella
Sakti, che è Coscienza ( Vimarsa o Sphiirtz) , assumendo l a forma di
Bindu ( punto o goccia) . Dalla prevalenza dell ' elemen to-fakti i n que­
sta un ione si svil uppa il Niida («risonanza» , d i cui si è parlato a pro­
posito della teoria fonetica nello Saiva-siddhanta) . L ' u n ione fra i due
(bindu-niida) che assumono rispettivamente l ' aspetto di bindu bian­
co ( m asch ile) e rosso (femmin ile) , si attua come Bija «germe» d i tutte
le realtà, le quali -- omologate alle sedici vocali del l ' alfabeto sanscri­
to, van:ia - sono denomi n ate Kalii, potenze seminal i , le sedici cogi­
tazioni che «abitano i nsieme» (amii- viisya) come la luna ed i l sole nel­
l a sedicesima notte del mese lunare . La loro efficienza creatrice è sin­
tetizzata nella cosiddetta Kama-kalii, «il Triangolo del Desiderio» (un
triangolo equilatero con la puma i n giù) simbolicamente i n d icato
dalle lettere A - Ka - Tha, che rappresentano rispettivamente i fone­
m i , gli dèi ed il mondo empirico . Questa potenza cosmogonica è pre­
sente i n ogni uomo: egli la porta rappresa come ku1Jr/alin1 fakti al la
base del suo essere psico-fisico ( il Laya-yoga, v . , ne dà una precisa lo­
cal izzazione) , assopita finché egli non decide d i risvegliarl a , liberan­
dos i . Il processo d i l i berazione è, i n un certo modo , all ' inverso , il me­
desimo gesto creatore da cui nascono tutte le cose . La sua attuazione
è,, di nuovo , simboleggiata foneticamente d al l ' unione del principio
Siva, rappresen tato dalla lettera A , e del principio Sakti, rappresenta­
to dalla Ha, ultima lettera del l ' alfabeto sanscrito , consonamiz zazio­
ne della spirante pura /:I ( rappresen tata da due pun t i , : , i due bindu
masch io e femmina) , detta visarga, «emissione» . I due principi sono a
loro volta trascesi dal bindu , elemento d i consistenza della realtà ,
simboleggiato dalla spirante n asale .t}f. I t re , AHAM, sign ificano « io» ,
l ' i n izio e la fine dei suo n i compresi nel l ' alfabeto , quindi , la denomi­
nazione di tutte le cose reali e possibi l i . Sintesi ne è la Tripura­
sundari venerata dagli fiikta sotto forma dello yoni (vulva) di una gjo­
vane don n a vivente o, più astrattamente, come il cosiddetto Sri­
cakra, simbolo cost ituito dal l ' in tersecazione di nove triangoli di di­
mension i calanti , cinque con la punta i n basso e quattro con la punta
in alto.
L ' i n i z iazione alla Dea assu me svariare forme, che comprendono
146 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

forme di culto, rivolte alla sua persona immaginata sedente in grembo


a Siva, pratiche meditative e rituali come la cakra-puja, la pujii (v. in­
fra) rivolta ai centri sottili del corpo umano, concepiti come sintesi di
let tere e suoni , e , infine, attraverso la conoscenza e pratica di dottrine
segrete. Queste insegnano spesso la sublimazione dell'atto unitivo
fra i due sessi, che non viene consumato, ma dal quale viene isolata e
colta l'energia alla sua acme, per identificarla alla Grande Dea , si­
gnora di creazione e distruzione, di orrore e beatitudine (circa le tec­
niche, v. piu avanti sotto «Tantrismo»).
Il culto della fakti non si è esclusivamente cristallizzato attorno alle
varie manifestazioni della sposa di Siva, di cui si è trattato finora. La
fakti è anche rappresentata genericamente sola , con le cinque facce
[ allusive alle altrettante potenze di manifestazione: conoscenza , vo­
lontà, azione, grazia , illuminazione , i . e . , JPfiina, icchii, kriyà, anu­
griiha (o iinanda, beatitudine) , cit (o samvid, consapevolezza) -faktt] ,
con un numero di braccia variabile da due a dieci (simbolo delle po­
tenze di azione). Di origine antichissima sono anche i raggruppa­
menti delle fakti a sette, otto , o nove: il gruppo delle sette (Brahmii-
1'Ji, Mahefvari, Kaumiiri, Vatf'!avi. Viiriihf. Indr1i1'!i, e Camu'!efii) è in­
quadrato dalle due divinità maschili 'Vìra-bhadra (personificazione
della crocchia ascetica di Siva) e Ga,:1efa (v. infra).
Molto più importanti sono fra queste altre fakti, anche per le loro
valenze soteriche , le compagne delle diverse incarnazioni di Vif'!U , in
particolar modo quelle riguardanti il ciclo di Kn'!a , il culto delle
quali ebbe origine nella zona del V,�diivana, presso gli ambienti Vi­
.ff!usvamin e Nimbiirka del XII secolo d. C . : esse sono le Hliidif}i-fakti,
«energie a base erotica» , simboleggiate presso i circoli vigiuiti del
Bengala con le otto principali gopi, fra le quali l'amante Radha (al­
trove la sposa Rukmi,;i) simbole_ggia il massimo grado dell'amore di­
vino. Lak,rmi («la Fortuna»), o Sri («la Bellezza») è la sposa mitica di
Vtj,:1u, rappresentata come una bellissima giovane donna seduta su
un loto, tenente in mano il corno dell'abbondanza , mentre due ele­
fanti innaffiano i loti che essa porta nell'altra mano: di lei si conosco­
no da 3 7 a 1 000 nomi con i quali viene invocata. La"-!mi è frequente­
mente esaltata come benefattrice universale. signora di tutti gli esse­
ri, datrice di beni spirituali e materiali. Seppure molto smorzata , esi­
ste la sua antinomia, Alaksmi «la Sfortuna» bruttissima sua sorella
maggiore. Simbolo del pot�re sovrano - come l'Aniihita iranica e la
Tykhé greca - Lak.rmi è concepita come sposa segreta del re fortuna­
to e , quindi , rivale della regina legittima. Minore importanza , anche
eer la loro origine vedica, hanno Indrii'!i, sposa di Indra, detta anche
Saci, «energia» per eccellenza , o Paulomi, perché figlia dell'asura Pu­
loman, a cui Indra la rapì , dopo che l'ebbe ucciso, dato che si appre­
stava a maledirlo; Sarasvati, sposa di Brahmii, patrona della poesia e
della muscia , inventrice del sanscrito e madre dell'«uomo-poesia»
(Kiivya-puru,ra): è nota, anche, come Bhiirati, «discorso», e Vag-devi,
LE DEITA FEMMINILI , GLI SAKTA E I TANTRA 147
i
«Dea-parola, ; altra sposa di Brahmii, è Giiyatr , personificazione
dell' omonimo metro vedico , o Siivittf (da non confondersi coll ' omo­
nima eroina) , «Consacrata a Savitar» madre dei Veda, patrona delle
caste ariane.
Il culto della fakti è collegato a quell ' importante fenomeno detto
Tantrismo al quale si è accennato parlando delle teorie fonematiche ,
dei rituali sivaiti e :fiikta (v. supra) . Del significato del termine Tantra
(«ordito» , «telaio») si è già parlato: quello che qui impona rilevare è
che nei Tantra confluiscono insegnamenti , discipline ed intuizioni ri­
salenti alla più alta antichità , per non dire alla protostoria (fuori
. dell ' India un esempio simile è dato dai tibetani g Ter-ma) . Oltre alle
quattro sezioni di cui si compone un normale iigama (niina, kriyii, ca­
ryii, yoga, v. supra\il Tantra :fiikta, consta, in panicolare , di un ritua­
le , o di una teogonia, oppure di una vicenda interpretata da un Ple­
roma di deità che vengono liturgicamente identificate alle diverse
energie «sottili» , sostanziate di luminoso etere (iikii:fa) , che pervadono
l' entità corporea sorreggendo i processi psichici e sensori da quei par­
ticolari centri, ai quali si accennerà più avanti, detti «ruote» (cakra) o
«loti» (padma) . Ognuna di queste divinità, forma assunta dalla Dea­
parola ( Viig devi) , è rappresentata da una sillaba, detta bija, «seme» .
in quanto contiene allo stato immanifesto (a-vyakta) o causante (kii­
rana) il significato e, quindi, tutta l' efficienza della :fakti a quel
panicolare --livello o momento della creazione . Ogni bija - si
prenda ad esempio hri'm, simbolo della fakti creatrice - com­
prende un suono articolabile, che designa la panicolare efficienza
suaccennata, seguito da una risonanza nasale , indicata da un punto · ,
emblema dello spirito universale , il brahman , presente ed identico a
sé in tutti i livelli di consapevolezza sui quali si attua il Verbo­
potenza .
Il bi;a, in altri termini, è la sintesi del cosiddetto mantra, termine
che nei Tantra assume l ' accezione di simbolo audibile e pronunciabi­
le di una determinata poten za . Inutile dire che mantra e bija sono
et imologicamente privi di qualsiasi significato , né la loro mera ripeti­
zione serve ad alcunché : l ' asceta che volesse attivarli dovrebbe aprirsi
meditat ivamente a quel particolare piano di coscienza che il partico­
lare mantra simboleggia, inventare il «sapore» (rasa) di quel mantra,
sì da renderne att ivo il potere ad esso insito . La disciplina dei mantra
(mantra-:fiistra) è talvolta con nessa al procedimento liturgico detto
nyiisa, «proiezione» , che consiste nell ' imporre o nell' evocare le diver­
se deità in vari punti del corpo fisico che. secondo alcuni rituali , cor­
risp ondono ai pi/ha, (luogh i della Terra sui quali caddero i pezz i del
corpo della sposa di Siva (v. Dak!a, infra) . Lo scopo di queste com­
plesse operazioni liturgiche è quello di omologare l' uomo e il suo
corpo all ' Un iverso . che non è certamente quello fisico e percepibile,
bensì l ' Universo delle gerarchie divine attraverso le quali si articola il
gesto creatore, o il suo opposto . il movimento di rassorbimento del
148 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

Tut t o nell'Uno e di quest'ultimo nell'Immanifesto. Il cardine di tut­


to questo processo , al quale soccorrono numerose e raffinate discipli­
ne yoghiche, a cui si accenna in seguito, è la meditazione yoghica
( dhyana, da un'antica radice vedica dhi, «vedere» , «pensare»), che
consiste nella visualizzazione intensa , estatica , di una divinità ( o di
un intero processo lit urgico) , allo scopo di «farla vivere» ( bhavana) in
quel dato punto, tale e quale come se si trattasse di foggiare un'im­
magine concreta. Dhyana, è quindi , la realizzazione interiore
dell'ente reale, fatto di energia , che è il significato del tema propo­
sto . Essa , nel suo grado supremo , si rivela come samadhi, «estasi» ,
i� entificazione alla Suprema Consapevolezza (para sa1'fl vid) , Libera­
z10ne.
In tutto questo procedimento l'essere umano è concepito come la
proiezione, nelle quattro condizioni di coscienza (veglia, sogno , son­
no e catalessi) e sui tre livelli esistenziali ( fisico, psichico e noetico) , di
tutto il dramma della Creazione, dal momento della concezione pre­
esistenziale del Verbo , fino al momento «impuro» (a-fuddha) in cui il
processo si implica nel tempo e nello spazio. I Tantra pretendono,
quindi, di offrire a quegli uomini , che abbiano resi attivi i poteri del­
la coscienza, la possibilità , di sperimentare direttamente (anubhava)
quella condizione di immota, luminosa autocoscienza (prabhasvaraf!1
cittaf!l ) , la quale è metafisicamente anteriore al divenire delle forme
nel mondo creato , pur essendo immanente in esso.
A parte ogni giudizio drca l' effettuabilità di una simile esperien­
za, il sadhaka che si avventuri per questa via non deve affrontare
esperienze proprie ad un livello mentale o di visionarismo religioso:
si tratta di impegnare le energie della propria co!:llpagine fisica e psi­
chica in un gioco dall'esito tutt'altro che sicuro. E perciò che i Tantra
fakta dividono i propri adepti in pafu (in questo caso . «bestie») . cioè
individui comuni e normali , vira cioè «eroi» o «veri uomini» . e div y .i.
cioè «esseri celesti». Il passaggio da un grado all' altro può occorr.ere
moltissimo tempo , addirittura vite successive , come può avvenire
istantaneamente, in seguito a quella particolare grazia della Dea .
detta «caduta di potenza» ( fakti-pata) , che, poi , è un atto di libertà
con cui la fakti manifesta sé a se stessa incarnata in una particolare
creatura , indipendentemente dai meriti che quest'ultima si sia acqui­
stata. I tipi di ascesi sono diversi a seconda della qualità del discepo­
lo. Se questi è un vira, del genere siddha («compiuto». cfr. ron i chen
jen del Taoismo) , o un divya, vige nei suoi confronti il modo detto
«di nobile condotta» , kaula-iicara, che è uno stato «non comportante
più né ingiunzioni morali ( niyama) né proibizioni (yam.i ) : esso è di
là da qualunque legge (ati- dharma) , di là dal cielo e dall' inferno» . Si
lascia immaginare quale genere di abusi abbia ingenerato una simile
libertà teorica nelle sette in decadenza! Per quanto si riferisce ai siste­
mi di liberazione dal saf!1siira, i Tantra di questa specie dicono rhe il
metodo dei Veda è quello della Kriya, cioè fondaro sull'attività
LE DEITÀ FEMMINILI , GLI SAKTA E I TANTRA 1 49

liturgico-sacrale, qyello proprio a Vzj11u è il cammino additato dal la


bhakti, quello di Siva è la via della gnosi (jniina, vidyii) , quello dei
Tantra «della mano destra» (cioè senza intervento di fakti terrena) è il
sistema del «progresso» (pravrttt) verso la liberazione , quello dei Tan­
cra della mano sinistra ( viima-ciira) è il sistema del «ritorno» ali'origi­
ne (nivrttz) , o , secondo altra interpretazione , del la «non attività» . Il
passaggio dallo stato di pafu a quello di vira si effettua mediante la
rottura dei cosiddetti «otto vincoli»: misericordia (dayii) , turbamento
(moha) , vergogna (laJjii) , famiglia (kula) , moralità (fila) , casca (var­
!la) , tenerezza (ghrtia) , paura (bhaya) . L' influsso fiikta sugli sivaici
Lingiiyat e Kiipiilika non è difficile a discernersi!
Salvo rarissime eccezioni di «iniziaci dalle fakti» (yoginisa111-
siddha) , per i quali non esistono né maestri , né cesti , né regolari riti,
il cardine di una normale consacrazione tantrica consiste nel fat to che
il maestro (guru, iiciirya) conferisce al discepolo (fiksya) un particolare
mantra adatto alla sua costituzione psico-spiri tuale. Questo è consi­
derato «radice del la realizzazione» (sadhanii- mula. La sua ripetizione
costante (japa) , fino all'assorbimento estatico , è il veicolo per l'ascesa
interiore del discepolo. È probabile che l'uso del rosario (akia-miilii)
da pane dei monaci buddhisti , in seguito diffuso nell'Occidente isla­
mico e cristiano , avesse origine dalla pratica del 1apa. Quanto al con­
ferimento del mantra, è innegabile l'analogia , se non il rapporto di­
ret to, con l'uso vigente nel Sufismo iranico ed anatolico , per il quale
il pir o murshid (istruttore) comunica segretamente al discepolo la sil­
laba o formula giaculatoria (dhikr, wird) su cui questi dovrà ininter­
rottamente concentrarsi bisbigliandola.
L'iniziazione vera e propria può effettuarsi per quattro diverse vie ,
la rapidità ed efficienza delle quali è determinata dalla stessa capacità
e costanza del discepolo. Il suo elemento determinante , a parte l'ap­
poggio dato da una complessa liturgia , il cui svolgimento richiede da
una a nove notti precedute da circa 24 giornate di silenzio , castità e
digiuno , è , naturalmente , il fervore totale e la dedizione alla Dea da
pane dell'adepto : ciò gli permette di spogliarsi delle vecchie concre­
zioni del suo preferito «ego» determinato dal pensiero dualizzante
(vikalpa) , sperimentando la nascita di una nuova personalità entro se
st esso , che si rivela come il cosmico sposo della Dea . Nella via supre­
ma dei Tant ra , il cosiddetto Siin- miirga «Via del Perfetto». l'adepto
viene identificato a Siva medesimo .
Si è già cennato al rituale dei Cinque Elementi (pa;/ca-tattva) sim­
boleggiati dal le cinque M (v. supra) , che consiste nella subli­
mazione e rnnsacrazione di rinque funzioni cardinali, il cui truimen­
to (bhoga) viene sperimentato scevro della bramosìa l? ropria all'uo­
_ _
mo comune , bensì secondo la sua d1mens1one cosmica . In questo
rnnt est o si situano le cosiddette 1 1 2 Vie di Ritorno , fondate su un pe­
rnl iare tipo di bhlivanii, basato sulla concentrazione profonda no 1_1 su
un ogget t o pan irnlare , bensì sull'energ i a scaturente dalla presa dt co-
1 50 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

scienza, nell'at to medesimo in cui si conosce o si percepisce qualcosa.


In questo tipo di ascesi , percezioni e pensieri vengono dissociaci e
sperimentati comè «acrndimenti puri> : si smaglia la rete logico­
discorsiva che regge il rapporto abituale fra io e mondo , per cui si ri­
vela quella vacuità «interstiziale» fra pensiero e pensiero, detta «cielo»
( vy oman) , «spazio> ( kha), «ciò che sta in mezzo> (madhya), che è
l'immoto scenario della coscienza attuantesi in un continuo presente.
A questo punto lo iàkta può intraprendere una delle cosiddette
«cinque vie di penetrazione nel cuore> , simboleggiate dalla formula
MAHA ( l'inverso di AHA4f, «io> nel processo di escraversione creati­
va), di cui la sillaba MA allude alla contrazione dell'indivi­
duo nel bindu ( punto di consistenza assoluta) e HA il dissolversi di
questi nella pura energia che , come si vedrà in seguito, ascende dalla
base della persona psico-fisica come ku�t/alini-iakti. Di questo proce­
dimento trat tano diversi Tancra sivaici e iàkta (a. e. , il Vijniina­
bhairava, iloka 42-49 , 68- 7 2 , Tantriiloka, p. 3 7 7 , il. 7 1 , Pratyabhtj­
niihrdaya. il. 1 7 ss. , eccetera). Le «cinque vie> consistono nella pene­
trazione in quel «vuoto interstiziale> suaccennato, rispettivamente:
I . quando l'energia ( ojas, indi virya) viene scimolaca , messa in moto
(fakti-k1obha) nell'unione fisica con un essere dell'altro sesso ( senza,
pero , che l'ano sia animalmente esaurito); 2. allorché si evoca imagi­
nativamente tale atto avvenuto (kula-àvefa) , in questi due casi il pen­
siero raggiunge un grado supremo di concentrazione , l'afflusso di
energia sopprime l'oscillazione fra soggetto ed oggetto propria al
pensiero obiettivato, la coscienza permeata di stupore (camatkàra) si
espande fino ai limiti dell'Universo , indi si raccoglie tutta nella bea­
titudine del presente (suo simbolo è la dea Umà) penetrando nel cuo­
re ; 3. allorché si concentra l' attenzione sugli estremi dei condotti vi­
tali (niidi) risvegliati da uno stimolo fisico, come formicolio , vellica­
mento, eccetera , che pungola la coscienza periferica , sulla quale si ef­
fonde l' attenzione estatica del meditante ( il processo è detto sinteti­
camente ady -anta-ko{i-nibhiilana, «percezione delle estremità di
principio e fine• , Praty abh. , il. 18), ciò che permette al Sé di scio­
gliersi dai vincoli del mentale , penetrando nel cuore; 4. contraendo
entro se stesso l'energia stimolata da terrore , spavento, meraviglia
(unmukhf-karaTJa): quest ' «enstasi a occhi chiusi» (nimilana-samàdht)
è tecnicamente designato come «spezzamento dell'intercilio> ( bhrii­
bheda) con riferimento all' apertura del cosiddetto «terzo occhio di
Siva» , che guarda all'eterno presente , trascendendo passato e futuro;
5. ali'opposto, proiettando l'energia in tutte le direzioni (fakti­
vikàsa) con slancio totale , pervadente ( vyàptz) : in questo caso I'asce­
ta , in un'«estasi ad occhi aperti» (unmilana-samiidht) , realizza se stes­
so come aurore del Tutto, «aurea colonna» ( hataka-stambha) su cui
poggia e si volge l'Universo, e si ritrova nel cuore di se stesso e del
mondo (sia detto di sfuggita: lo stesso procedimento è praticato in al­
cune arei marziali estremo orientali, esercitate come strumento medi-
LE DEITA FEMMINILI , GLI SAKTA E I TANTRA 15 1

tativo). In questi cinque procedimenti, si presume che si compia


il ritorno dell'individuo (purusa) nell'Immanifesto, percorrendo
a ritroso le gerarchie dell'emanazione dei mondi: il mondo vita­
le (priina) si riassorbe nella sua matrice di pura consapevolezza
(saf{lvid) , il pensiero differenziante (vikalpa) rientra nell'intelletto
puro (citta) e questo si riassorbe nella mera coscienza (citz) indifferen­
ziata. Per questo motivo la Via delle Dee della Conoscenza (vidyii­
devi) è ragguagliata al momento della distruzione (pralaya) o del «di­
voramento del tempo» (kala-griisa) e, in generale , il fatto di seguire
vie della mano sinistra è considerato, come gia accennato, un «ritor­
no» (nivrttt).

I riti tantrici , più o meno diffusi in tutte le sette hindu , si fondano


essenzialmente su due principi , uno psicologico e l'altro cosmologico
strettamente connessi. Quello psicologico è relativo al fine che si pro­
pongono: il risveglio del principio divino entro la personalità empiri­
ca , che viene così trasformata mediante un processo d'identificazione
al modello proposto , che si attua mediante le discipline Yoga delle
quali si è parlato. Il principio cosmologico è quello secondo il quale
entro la compagine umana vige un microcosmo che riproduce I'ordi­
namento dell'universo intero , secondo una vera e propria proiezione
delle gerarchie di potenze creatrici presenti in questo . Pertanto , la di­
sciplina per cui si attua questa esperienza è, più o meno, lo Yoga
classico , ridotto da otto a sei membra (v. Vrhaspatitattva, fl. 5 3: pra­
tyiihara , ritraimento delle facoltà di percezione entro la psiche, dha­
ra1Ja, concentrazione mentale , dhyiina , meditazione contemplativa e
samiidhi, ai quali si aggiungono gli elementi propedeutici di prii-
1JJyiima, controllo del respiro e del vitale in genere , e tarka , riflessio­
ne) oppure lo Hatha-yoga (Y . «violento») di GorakJanatha, consi­
stente nella triplice sadhana: controllo delle facoltà sensorie (indriya­
nig raha) , controllo del respiro e, quindi delle due correnti vitali di
cui si parla in seguito (prq�ay ama) , e, infine , realizzazione dell'es­
senza della mente (mano- siidhanii) (v . Macchinda- Gorasa-bodh, L.
Mifra, 1 97 3): raggiunto il pieno dominio sul corpo (pitit/a , «la focac­
cia» sacrificale) , si realizza questo come proiezione della mente , indi
questa viene identificata ali'io vivente (jivatman) , la cui separazione
ed alterità rispetto ali' Assoluto viene dissolta. L'omologazione fra la
rreazione del corpo sottile (fùk1ma-farira) , tessuto di energie e di so­
norità , e di quello grossolano (sthiila-f. ) che ne è la proiezione sullo
schermo materiale , da una parte , e dall'altra la creazione dell'Uni­
verso, a cui frequentemente si è accennato , è concepita nel modo se­
guente. Due sono i principi che si attuano, l'un l'altro conqizionati,
a,ncorché opposti: il supremo Brahman , personificato in Siva, e la
Sakti, sua potenza creatrice, che, poi, alla fine del gesto creatore , è
latente, assopita, in sé ravvolta (k111Jt/alini) alla base del corpo uma­
no . Questi due principi sono presenti nella loro forma pura, seppure
152 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

non percepita dall' uomo ordinario, in due centri coscienziali (cakra,


«ruota» situati, rispettivamente, nello spazio al di sopra delle fonta­
nelle (brahma-randhra, «fessura del Brahman») nel cosiddetto
sahasrara-cakra, «ruota dai mille raggi» , e, l' altro, alla base della spi­
na dorsale, nel cosiddetto muladhara-cakra, «ruota del sostegno radi­
cale». Fra questi due centri estremi , il primo dei quali è a/ di sopra
del corpo fisico , si sviluppa lungo la spina dorsale una serie di cinque
altri centri sottili (che non si identificano ai plessi vitali: se �ai questi
ne sono un riflesso nella ottusa corporeità). Di tutti questi centri, i
primi cinque corrispondono agli altrettanti elementi (terra, acqua,
fuoco , aria, etere-luce) , correlati alle facoltà di azione ed a quelle di
percezione (buddhindnya karméndrzya) , dal più basso al più alto, ol­
fatto , gusto , vista , tatto, udito - generazione, escrezione, moto,
prensione , parola ed alle cinque quiddità (tan-miitra) , odore, sapore,
forma, contatto e suono, secondo la progressione classica del sistema
filosofico Sankhya; al sesto centro (iijna-cakra) situato fra gli occhi
corrispondono le tre funzioni coscienti buddhi, ahainkiira, manas
(psiche , egoità , mentale) , evolute dalla Natura naturante (prakr:tz) .
Questi centri sottili , o «ruote» , sono pertanto concepiti come la sede
di altrettante potenze, che, da una parte dànno luogo ali ' esistenza
concreta di un mondo fisicamente obiettivato, e, dall' altra, alle me­
desime facoltà di percezione e di azione che se lo rappresentano e lo
assumono come àmbito della propria attività. Questi centri sono con­
cepiti come l'un l' altro sovrapposti . La spina dorsale che li collega è
indicata con il nome Meru-danda, «il bastone del monte Meru» , l' as­
se del mondo, sede degli dèi.· Attorti a questo , come i due serpenti
attorno al caduceo di Mercurio , si volgono i due dotti eterei (niidi) ,
ilii, e pingalii, detti anche citn.17i e vajri1Ji, che si incrociano ad ogni
cakra portatrici rispettivamente di una corrente di energia solare e di
una lunare , che costituiscono le due polarità opposte fra le quali vi­
bra l' energia cosmica, il prana, delle cui cinque forme si è parlato a
proposito delle Upani�ad. Questo priina, nella forma sensibile alla
coscienza di veglia, si individua nel respiro umano ed è perciò che al
respiro si volge la maggior parte della disciplina dello Yoga.
(Vi è da osservare, a tale proposito che, per l' Indiano classico, il re­
spiro è una funzione eminentemente psichica e non fisica come per il
moderno Occidentale). Nel centro del Meru-da,:it/a si apre una terza
vena sottile, SUfUmf/li, la cui funzione si spiegherà in seguito. Le dot­
trine fisiologiche dello Yoga affermano che nella vita ordinaria
l' energia convogliata dall' aria inspirata (prii11a per antonomasia) di­
scende e si effonde nel corpo sottile per la vena pingalii, mentre
l' energia propria ali ' aria espirata (apiina) risale per la vena idii. Da
questo alterno movimento, simboleggiato dai due mantra HA� e
SA/j, la cui sintesi Haf!Zsal; significa «cigno» o «oca selvatica» veicolo
del Brahman , nasce l' esperienza soggettiva del mondo e la percezio­
ne di una vita distesa nel tempo e nello spazio. Questa condizione
LE DEITA FEMMINILI , GLI SAKTA E HANTRA 153

deve venire trascesa dallo yogin , o siidhaka: questo è il fine dell'ope­


razione centrale del Laya-yoga, o «Yoga del Riassorbimento» dei vart
piani di coscienza l'uno nell'altro, a partire dal più basso gerarchica­
mente e topologicamente. Per la curiosità del lettore si indicano sin­
teticamente i nomi e le localizzazioni di questi cerchi , che talvolta
corrispondono a plessi neuro-vegetativi o, meglio detto , si riflettono
in essi senza identificarsi a loro. Essi sono: il muliidhara, già detto si­
tuato nella zona perineale; lo sviidhzj{hàna «la sede propria» o «del
sé» , situato nella zona retto-genitale; il mar,ipura, «pieno di gioielli»
situato sotto l'ombelico (corrisponderebbe al tanden sul quale si con­
centra l'attenzione nelle discipline marziali estremo-orientali): l'ani'i ­
hata, «l'intatto» nella zona cardiaca , spostato , però, verso il centro
del petto; il viiuddha, «purificato» , nella zona laringea: I'àjnii, o «del
comando» dietro l'interciclio presso l'ipofisi cerebrale (questo è il
«terzo occhio» che nell'iconografia hindu e buddhista viene rappre­
sentato fra i sopraccigli, denotando la visione trascendente dell'essere
divino); indi il sahasràra di cui si è già detto (per maggiori notizie, si
consultino il Shatchakrar,irupar,a e il Patjukàpa'�caka, ed. Calcutta
1 9 1 6 , nonché il The Serpent Power di A. Avalon , Ganesh, Madras ,
s. d. recentemente tradotto in italiano). Ognuno di queste ruote o
fiori di loto ha un particolare numero di petali, che sono , rispettiva­
mente 4 , 6 , 1 0 , 1 6 , 2 , 1 000. Ad ogni petalo corrisponde (salvo che
nell'ultimo caso , ovviamente) un suono dell'alfabeto sanscrito, un
bija, o suono seminale (v. supra). L'intero corpo umano è , perciò, un
vero e proprio mar,tjala, in questo caso, la proiezione sullo schermo
fisico-vitale dell'Universo divino, con le sue varie gerarchie personifi­
cate nelle iakti che risiedono nei diversi centri suaccennati. Questo
fatto , già poeticamente affermato nelle Upani�ad, consacra il corpo
umano come un cosmogramma, immagine dell'infinito nel finito. I
mantra che corrispondono ai cakra suindicati (LA�. VA�. RA�,
YA�, HA�, O�. dal più basso a quello più alto) sono la rifrazione
del suono supremo (para-bindu) , di là dalla sfera dell'audibilità,
punto di consistenza della pura risonanza (nàda) che folgorando nel­
lo fiinya, il vuoto assoluto, quale sintesi di essere- coscienza­
beatitudine (sac-cid-ànanda) , è identico alla Voce Suprema (parà­
vak) . Nell'elenco suaccennato si è tralasciato il " loto del cuore" ,
hrdaya-cakra, in senso stretto , di otto petali, che in una certa maniera
non fa parte della serie impegnata nella operazione dell'ascesa della
kur,t/alini iakti, di cui si parla subito. In questo si riflettono , come
sintesi di pensiero non mentalizzato, l'insieme delle intenzioni pro­
cedenti da un Io cosmico , che è la vera realtà dell'uomo e non la sua
distorsione egoica. Si ritiene che in questo loto risieda la i!{à devatà
(la «deità oggetto di sacrificio»), il dio personale al quale si rivolge il
culto mentale del devoto e che, in realtà, è la sua propria dimensione
spiritual� «di già liberata» , quindi il vero protagonista di tutto il pro­
cedimento soteriologico, di cui si dà ragione in seguito.
1 54 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

Il procedimento , nelle setta fakta , si effettua secondo i noti metodi


dello Ha/ha e del Laya-yoga. Detto in breve , essi consistono nell' ef­
fettuare gradualmente una sospensione del respiro abituale che con­
duce - in una particolare condizione di coscienza vuota - alla riu­
nione del priitia e dell 'apana in un momento di pura vita fluente.
Presa coscienza di questa , essa si risveglia come l' energia radicale , già
assopita nel muladhara-cakra, e sale in alto (urdhva-ku,,fjalini) attra­
verso la vena mediana (susumna) . In questo suo cammino ascenden­
te , essa «perfora» i sei cakra (saf-cakra-bheda) , risolvendo ciascuno,
con tutte le qualit à ed attributi che lo caratterizzano, in quello suc­
cessivo. Questa è la «purificazione degli elemen ti» (bhuta-fuddht),
cioé la soluzione (laya) di ognuno in quello gerarchicamente più ele­
vato, la terra nell' acqua , l' acqua nel fuoco, il fuoco entro l' etere e
l' etere nella coscienza individuale , ecc . L' asceta, preparato da una
lunga e strenua disciplina purificatoria , perde tutti gli appoggi abi­
tuali alla coscienza di veglia comune : scompaiono le categorie abitua­
li di tempo e di spazio e le facoltà , come è già avvenuto per la realtà
materiale obiettiva , si riassorbono secondo un processo inverso a
quello della loro emanazione a partire dalla triade buddhi-aha,rtki!ira­
manas. Infine la fakti, completamente risvegliata, si ricongiunge
alt ' immobile polo opposto -Siva - «dodici pollici al di sopra del
brahma-randhra» (dvi!idafanta). Vita e Coscienza si unificano nel
Suono Supremo , in una condizione che è metafisicamente anteriore ,
seppur immanente , all' esperienza sensibile e mentale dell' esistenza.
Lo yogin che abbia compiuto questa esperienza è ritenuto possedere
tutti i poteri magici (rddhi, siddhi, per cui è detto siddha,«realizza­
to») e l' omniscienza. Nel processo di riciscesa , il suo corpo viene ri­
creato e diviene un vero e proprio «corpo di Gloria» (cfr. ayghoeidés della
Gnosi) : la sua sede - si tratta , naturalmente , di un riferimento sim­
bolico - è il cuore , dato che la sua essenza partecipa o è identica
(si!ima-ri!isa) a quella della osti!idevati!i, sua realtà pre-esistenziale .
I principi iniziatici sopradescritti sono particolarmente attivati nel­
le sette «della mano sinistra» ( vamacara) , quelle cioè nelle quali è pre­
sente una forte componente erotica che implica talvolta la partecipa­
zione fisica della donna nei riti notturni del pahcatattva e della puja a
Durgi:i, alla quale la donna viene ieraticamente identificata, indi co­
niugata al si!idhaka , il quale incarna il principio opposto, cioè Siva .
Nei riti , invece, «della mano destra» (dakfi1Jacara) sono aboliti i riti
cruenti che talvolta caratterizzano l'altra tendenza, nella pratica col­
lettiva vi è un ritorno alle pratiche religiose di carattere vedico, il
ku,:it/alini-yoga viene compiuto direttamente senza il risveglio preli­
minare della fakti interiore mediante il rituale del pancatattva, si usa­
vano yantra («meccanismi», simboli complessi disegnati) per la medi­
tazione estatica sull' essenza della Dea, simboleggiata anche dal vaso,
ornato di ghirlande, sul quale si versa in oblazione lo zafferano ed al­
tre offerte vegetali. Lo yantra per eccellenza impiegato per questi fini
LE DEITÀ FEMMINILI , GLI SAKTA E I TANTRA 155

meditativo-liturgici è lo Sn-yantra , come si è già accennato, compo­


sto dei nove cri angoli intrecciati , che simboleggiano l'epifania dei
mondi, in cui si rifrange la potenza , già indifferenziata , per effetto
del suo stesso gioco (li/ii) . Tale figura è iscritta in un cerchio circonda­
to da otto petali , a sua volta iscritto in un altro cerchio circondato da
sedici petali , limitati alla loro volta da ere cerchi concentrici . Tutto il
disegno è contenuto nello schema quadrangolare (bhu-pura) , che gli
conferisce l'aspetto più complesso del mar,f/ala , cioè di una «imago
mundi» contenente tutto l'insieme dei nove mondi simbolici emana­
ci dal centro, ognuno rappresentante una forma della fakti o, meglio,
una dea-sposa (yogini) dello yogin meditante .
I principali maestri dello sakcismo «destro» sono: Lak!midhara ( Vi­
dyiiniitha) , riformatore vissuto nel secolo XIII; Appayadikfita , vedan­
tino convertito al ku,zefalini-yoga, vissuto nel secolo XVI, e Bhiiskara­
riiya. La loro opera , però interessa piuttosto la scoria della filosofia
che quella delle religioni indiane. Noteremo, però , che dal loro inse­
gnamento derivò una branca di fiikta dediti alla bhakti, cioè
all'amore-comunione rivolto alla Dea. Fra costoro e le sette bhakta
vig1uite delle quali si è già parlato (v. supra) , vi è una convergen­
za di esperienze , più emotive presso i vi�r;iuiti , più ordinate ed atten­
te presso gli fiikta. Il filosofo visnuita Nimbiirka (secolo XIII) , ad
esempio , istaurò nella setta omonima una bhakti erotizzante , conce­
pita come privilegio della grazia divina , simboleggiata questa da Rii­
dhii, la gopi amata da krs_r,a (i cui amori sono stati immortalati da
jayadeva nel suo Gitiigovinda). K!!'!" stesso è concepito a somiglian­
za del saguf!a Brahman («il Br . qualificato» dalla creazione) . Questa
grazia conosce due gradi soggettivi: quello della prapatti, o «abban­
dono» totale del discepolo al supremo Sé , al Parama-iitman . e, suc­
cessivamente , quello della «percezione diretta» , siik!atkiira, del me­
desimo, ciò che equivale alla sua realizzazione quale soggetto vero
dell'esistenza. Presso i Vallabha , derivati dall'insegnamento
dell' omonimo maestro visnuita, ritenuto avatara di Agni, si dà pre­
ferenza alla via della bhakti, rispetto a quella della conoscenza,
/nana, per realizzare in sé la forma divina del Brahman , dato che essa
trascende qualsiasi forma di conoscenza. La bhakti, dice il maestro, è
l'unica via che conduca ad un'unione-esperienza con il supremo og­
getto, che è l'essenza della realtà totale. Fra le varie forme di bhakti si
ha un grado inferiore, propiziatorio, detto maryiidii, che_ richiede 1;1 00
sforzo personale, e quello superiore detto pu!ft , . «s � o� Clo» ,
«fioritura» , che è lo sviluppo dovuto alla discesa della grazia d1v10a. Il
culto , detto sevii, «servizio» al dio Kr1r, a, si esplica mediante la dedi­
zione più totale al dio, identificato personalmente al �uru. L'ele­
mento erotico è assai vivacemente rappresentato dalle cos1d-iette rasa­
mar,f/ali, «cerchi del gioco» , rievocanti i giochi di K.r.ff!a e delle pasto­
relle e che, in pratica, comportano un libero rapporto, secon?o l_e
pratiche degli fiikta della mano sinistra . La gopi, con la quale s1 um-
156 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

sce ogn i adepto panecipante a detto «cerch io» , viene sorteggiata se­
condo criteri che , in teoria, escludono qualunque moto di preferen za
egoist irn , i n modo che , nelle coppie degli attori del gioco , si incarn i­
no impersonalmente i principi Radha e Krnza.
La sin tesi fakta- bhakta perviene all'acme com il mistico-filosofo
bengalese Caitanya ( 1 4 8 5 - 1 5 3 3 ) , visionario estatico che cantò la cop­
pia Radha-KnrJa con i famosi i n n i i n vernacolo bengalese, cantati i n
rnro (saf!tkirta17a) , rhe ancor oggi dan no luogo a danze e processioni
can tan t i ( nagakirtaria) . La bhakti domina tutto il comportamento re­
ligioso degli adepti di Caitanya. Essa si sviluppa attraverso sei tappe ,
rhe rappresentano altettante purificazion i dell' essere umano: la più
bassa è data dal rito, la più alta dall' amore , priti o preman , che cul­
mina rnn il raga, passion e . (Riiga, sia detto per inciso, i ndica anche il
«modo» nella teoria melodica i ndiana, ciò che dà luogo ad i nteressan­
ti paralleli mistico-poetici , nel caso della scelta di determinati raga
nell'esecuzione musicale relativa ad una particolare liturgia). Secon­
do la scuola di Caitanya, at traverso forme sempre più perfette di
bhakti s'i nvera nel discepolo una liberazione progressiva dei vari
«corpi» , grosso, sottile , causante, finché a lui resta un «corpo essen­
ziale» ( bhava- deha) , la cui esperienza si traduce nel cosiddetto rasa,
«emozione gustativo-drammatica» , che forse potrebbe tradursi , i n
questo caso , come «sentire puro» svi ncolato , cioè , dai limiti egoici.
Nella cosmologia di Caitanya la concezione vi$,;iuita del Beato ,
Bhagavant , si con iuga secondo schemi fakta. L'Assoluto , l'inesprimi­
bile , si estrovene secondo tre forme: Brahman , spirito universale ,
Parama-atman , sé supremo ; Bhagavant, il Beato (Kn'!a). Presso
quest'ultimo la fakti si attualizza in tre modi: uno inferiore , che è la
Maya, agent e della creazione del mondo , uno «misto» , che è l'anima
individuale , JÌva, ed uno superiore , che costituisce la stessa dimensio­
ne interiore del Beato , cioè la medesima Laksmi-Radha, . «fakti­
beatitudine» ( hladini-fakll) , della cui presen za i n tutte le cose il ;iva
si acquista un'esperienza diretta i n seguito all'ascesi .
Queste concezioni sincretiche diverranno la base per la teoria e la
pratica delle sette a ten denza innovatrice (vedi omonimo capitolo) .
Tornando, ora , ad una mera classificazione tipologica, vediamo
quali sono le principali persone divin e che, dopo Vtj�u, Siva e le Sak­
ti, caratterizzano l' Olimpo i ndiano post-vedico, dai tempi più anti­
chi alle soglie dcli ' epoca attuale.
9 . Altre divinità e sette

Fra le divinità venerate nell'India post-vedica occorre distinguere


quelle che rappresentano la con tinuazione di deità vediche , magari
con nome mutato , da quelle che , invece, costituiscono nuove conce­
zioni religiose. Fra quest� ultime campeggiano, come si è visto, le tre
grandi figure di Vtjriu, Siva e la Mahii-devi, che si rifrangono, a loro
volta, in numerosissime figure secondarie , emanazioni, avatiira. ecce­
tera . Occorre distinguere due correnti fondamentali ; quella popola­
re , che denominiamo «hindu» , la quale continua talvolta sotto forma
magico-religiosa , usanze ed intuizioni mistiche risalenti alla proto­
storia dell'India, ed una speculativa , brahmanica , i cui inizi già ravvi­
siamo nelle Upani�ad ( v . infra) : quest'ultima tende a creare sistemi
religiosi coerenti attorno ad un simbolo cen trale , ad un'esperienza
chiaramente formulata in termini filosofici ( v . infra, le Scuole vi�i:iui­
te e quelle sivaite) . A quest'ultima corrente si deve la brahmanizza­
zione di tutta l'India intera, di là dai limiti dell'espansione etnica e
anche culturale ario-vedica , per cui oggidì appaiono molto più tradi­
zionalmente brahmaniche le contrade dravida che quelle «ariane»! Il
mondo religioso vedico sopravvive quasi esclusivamente nel rito pri­
vato e con trattuale ( matrimonio, investitura del sacro cordone , ese­
quie. eccetera , v. sa'l!lskiira. infra) , mentre le antiche celebrazioni col­
let tive - che per noi sarebbero «statali» , come I'afvamedha, viijapeya
e gli altri riti frauta, sono totalmente scomparse , sia per la scemata
importanza delle caste guerriero-regali di cui erano emanazione , sia
per ragioni pratiche ed ambien tali .
Iniziamo con quella che nei Veda appare come la divinità più
astratta , cioè Brahmii, personificazione mascolina e creatrice del
Brahman ( n eutro) , potenza magica della preghiera, indi Spirito Uni­
versale. Esso , in questa nuova fase , appare come una pallida figura ,
vera astr�zione teologica che solo rare volte viene posta allo stesso li­
vello di Siva e Vtjriu , nella cosiddetta Trimurti, per ragioni che sem­
brano più dettate da motivi numerologici e cosmologici , che vera­
mente dottrinari. Il suo valore è secondario, nonostante che qualche
Purii11a ( a . e. il Miirkarit/eya) lo esalti come «sorgente dell'Universo,
che presiede ad ogni crea!ione , che sotto la forma di Vtj11u veglia sul
mondo e sotto quella di Siva lo distrugge» e , nonostante che in talal­
tro testo �embri riassumere le antiche fun zioni di Brhaspati. Vifva-
158 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

karman, ecc. Assieme alla sposa Sarasvati, esso è celebrato, al massi­


mo , rnme «maestro della Parola» e «primo poeta». Brahma è abitual­
ment e rappresentato di colore rosa, con quattro volti (catur-mukha) e
quat tro bran-ia : le teste sono coronate od hanno i capelli raccolti in
treccia. Gli auributi che regge nelle mani , o sono i quattro Veda , op­
pure il vaso per le aspersioni , il rosario e i due cucchiai rituali (juhu e
sruc) , talvolta il disco ( cakra). Il suo vahana, o «veicolo» , è talvolta il
cigno selvatico, hamsa, sul cui simbolismo (v. Hamsah) implicante
la sintesi fra i due atti respiratori , quindi la reintegrazione del re­
spiro nel jiva, si è già parlato. Esso è anche il simbolo iconico
del sacro Verbo OM: si ricordi soltanto come il mito del cigno
rnme animale sacro ad un dio o ad un eroe solare sia diffuso in una
vasta area occupata da popoli parlanti idiomi indoeuropei. Si posso­
no ricordare , a tale proposito, i cigni di Apollo iperboreo e quelli che
trainavano la barca di Parzival . Brahma, si è visto , è il principio crea­
tore, quello che Vin1u emette da un loto nascente dal suo ombelico
alla fine di ogni notte cosmica: esso è pertanto detto «il nato dall'om­
belico» o «il nato dal loto». Come ricordo delle speculazioni postvedi­
che è talvolta chiamato «l'Autogeno» , svaya'f!lbhu , specialmente in
alcuni Purana .
Veniamo ·ora ad una delle più popolari divinità indiane: Ganefa o
Gatia-pati, il «Signore delle Schiere» , figlio di Siva e di Parvati, op­
pure nato dalla raschiatura della pelle della dea al bagno, donde il
nome dravida di Pzf/aZ:,yar, «il Figlio» . Secondo l'ambivalenza che ca­
ratterizza molte divinità hindu, egli è anche detto Vighnefa, «il Si­
gnore degli Ostacoli ( vig hna)» , perché li provoca e li scarta. Perciò
egli viene invocato all'inizio delle imprese , specialmente se letterarie,
ed è rnnsideraro il dio patrono degli studi e della scrittura, come lo
era il Brhaspati vedico. La sua figura è il risultato di una lunga evolu­
zione in cui convergono figure contrastanti.
Lo si può considerare come una figura derivata da Siva, poiché , in
origine le «schiere» ( g atiah) erano, quelle tremende dei Marut, il si­
gnore delle quali era Rudra, cioè Siva . Queste schiere sono anche no­
te nel Mahabharata (Anrtfasanaparvan 1 5 1, v . 26) ed in altri testi
classici ( Manavagrhyasutra, 2, 14) come Vinayaka, come dire «spiriti
deviant i» , la cui possessione apporta disgrazia, malattia e morte: in
questo raso si prescrivono varie cerimonie purificatorie. come fare un
bagno nell'acqua portata da quattro diverse località , in cui sia stata
gettata terra egualmente tratta da quattro luoghi diversi , indi versare
olio di mostarda sul rapo del purificando , dopo averlo offerto ai
quattro Vinayaka dei punti cardinali.eccetera . Nel prosieguo del tem­
po i Vinayaka, il sui numero liturgico oscilla fra il quattro ed il sei
(Mita, Sammita. Sala, Ka{aitakata. Kiifmarufa, Rajaputra), si riduco­
no ad uno solo , maligno e perverso, la cui madre è A mbika, che oc­
rnrre plarare. Questa riduzione deve essere avvenuta fra il quattro e
l'ottavo sec d. C . , talché in due caverne di Eli ora ( nella Rava1Ja-ki-
ALTRE DIVINITÀ E SETTE 1 59

khiii, v . Cave Temples di Burgess e Fergusson) si contempla Ga1'}apati


associaw a Kiila-Kiili e le Sette madri , già con la classica testa di ele­
fan t e , conferit agli da Siva, dopo che l ' ebbe decapitato di quella sua
originaria in un' accesso di ira causatogli da Pàrvati . Esso è corrente­
men t e rappresen tato con un corpo obeso , simbolo d i prosperità e di
ghiot toneria, sormontato da una fino a cinque teste di elefante , tal­
volta rnn una zanna sola (Eka-danta) avendo perduto l ' altra in un
combat t imen t o con Paraiuriima: cavalca un topo , talora un leone ce­
rando in una mano I' ankuia ( uncino per elefanti), nell ' altra un rosa­
rio (akfamiilii). Il suo colore è rosso , o bianco , o giallo .
A n t icamente esistevano sei set te di Gii1'}apatya, che lo veneravano
con un culto tipicame,nte tantrico attribuendogli funzioni divine
somme come se fosse Siva. La sua attuale identificazione con il dio
della sapienza è probabilmente fondata su un dato vedÌco , quello per
cui Brhaspati, il Signore del Verbo , è anche denomi n ato Ga1'}apati
(RV. i i . 2 3 , I ) . Presso la setta Smiirta, cioè seguace della Smrti, «tra­
dizione» supposta vedica , Gapefa è una delle cinque deità fonda­
mentali (le altre sono Vzjriu, Siva, Durgii e Surya: di quest ' ultima si
parla più avanti). Un t esw , il Brahma-vaivarta, lo vuole anche incar­
nazione secondaria di Krsna, donde l ' uso di alcune sette visnuite , di
im primere l ' immagine d�I suo volto e del suo dente sulle b·r�cci a dei
devot i . La sua immagine foggiata con la creta è venerata con grande
pompa nel paese Maràtha nel quarto giorno lunare del mese di Bhii­
drapada (settembre).
Altro figlio di Siva e Piirvati, sulla cui nascita provocata da Kama i l
d i o del l ' Amore si è già trattato (v. supra) , è Skanda. d i o della guer­
ra , noto anche come Kiirtikeya ( delle sue nutrici , le sei Krtikal; cioè le
Pleiad i ) , o Kumiira, «l ' Efebo» , e Guha, «il Segreto» . La sua origine
celebrat a dal noto poema di Kalidiisa, il Kumiira-sambhava («la Na­
sdt a di K.») con particolari_ scabrosi , che lo fa apparire come uno
sdoppiamen to guerriero d i Siva: il seme di questi , emesso nel fuoco ,
fu racrnlto dalla dea Ganga ( i l Gange), donde nacque Skanda , che
poi ven ne al levato dalle Pleiad i . Divenuto grande , Kumiira potè uc­
ddere il demone Tiiraka, la cui ascesi a Somatirtha metteva a repenta­
glio la sicurezza del mondo degli dèi . Nel Riimiiyana, invece , egli è
rappresentato rnme il figlio d i Ag ni e di Gang li ( I , cap . 3 7 ) : il feto
ven ne get tato dalla madre stessa su llo Himalaya , ove le sei Krtikiil; lo
fecero rrescere e lo nutrirono . Nel Mahiibhi!irata ( Vanaparvan , cap .
229) è rappresent ato rnme il figlio di Ag ni e della sua regolare sposa
Sviihii (giacu latoria benedicente) , che ha assunto l ' aspetto delle sei
spose di alt ret t ant i �!Ì, delle quali Ag ni si era innal_!lorato : in questo
passo , però , Skandha è anche ch iama�o «figlio di Siva» , con il senso
implicito che Ag ni sia una forma di Siva. Simbolo del l ' aspetto ag­
gressivo e «guerriero» della virilità fisica (Skanda, etimologicam ente,
significa «balzan t e» nel senso di «eiaculazione ») , questa divinità è ri­
sul t ant e dalla fusione d i d i vt"rst· persone d ivine . in particolare di In-
1 60 RELIGIONI E M ITI DELL' I NDIA

dra vedico , psr l'aspetto bellicoso e protet t ivo degli dèi , di Sitrya, il
Sole , a parte Siva del quale è prat icamente una specie di avatiira. Nel
Sud dravida , infatt i , Skanda è identificato alla divinità solare Su­
brahma,:,ya, dio d'elezione della dinast ia Ciilukya, ed a varie divinità
portant i i nomi del genere di MurungaN, «il R !'-gazzo» (cfr . Kumiira) ,
VélaN,,«q uegli della Lancia» , o, addirittura, SeyyoN, «il Rosso» , no­
me di Siva medesimo . In tempo antico , quando il culto di Skandha,
era molto più diffuso, se ne conosceva uno sdoppiamento di nome
Vtfiikha, nato dal fianco destro del dio colpito dalla folgore di lndra.
Tale nome in caratteri greci («Bizago») compare spesso sul retro delle
monete indo-scitiche dei Ku1ana) (in particolare di Kanzjka) accanto
ai nomi di Skando, Mahaseno (Mahii-sena, «dal Grande Esercito») , e
Komaro . In genere è raffigurato come un giovane uomo, con una o
sei teste, due o dodici braccia , armato di arco, cavalcante il pavone
Paravii1Ji: suo simbolo, nei testi epici, è il gallo. Il suo culto era inter­
detto alle donne, data la sua funzione esclusivamente guerresca e non
fecondante. Oltre alla funzione principale di dio della guerra è anche
protettore dei ladri .
Kiima, il dio dell'amore sessuale , già noto ai Veda, acquista
nell'epoca successiva, grande importanza , data la funzione da lui
esp�etata di indurre Siva ad amare Piirvati. Folgorato dal terzo occhio
di Siva, rimase «senza corpo» (An-anga) termine che divenne il suo
soprannome, come per indicare che l'amore, anche nella forma più
sensuale, ha il corpo fisico come mero strumento dell'unione fra i
due sessi , non certo come attore, dato che l ' eros, è una vicenda pura­
mente animica . Un mito successivo narra come Siva, impietosito dal­
le suppliche della dea Rati, «il Piacere» , sposa di Kiima, gli diede un
corpo novello, resuscitandolo sotto le specie di Pradyumna, che nel
km1aismo ulteriore rappresenta il principio- Mente ( manas) e che, nel
mito fondamentale, è il figlio di Krn1a e di Rukmi1Ji. Si tratta, �vi­
dentemente, della confluenza fra due religioni diverse, quella di Siva
e quella di Kr!1Ja- Viisudeva- Vif1J U, di cui l'epopea indiana offre ab­
bondante testimonianza. Come replica della figura di Kr,:,fa, Kiima
compie un insieme di azioni guerresche ed erotiche, come i suoi amo­
ri segresi con Prabhiivati, figlia di un Asura , i suoi combattimenti
contro Sambhara, che lo aveva rapito fanciullo, eccetera, narrati nel
famoso poema Hari- va'!lfa, «la Stirpe di Han·» ( Vzj1J u) . La sua origine
è misteriosa: lo si chiama iitmabhu, «il Nascente da Sé» , o iitmayoni
«Colui che è la propria matrice» . Lo si rappresenta come un bell'ado­
lescente, a due oppure otto braccia , a cavallo d'un pappagallo, arma­
to di un arco di canna da zucchero, la cui corda è fatta di una fila di
api , con cinque frecce, ognuna fatta di un fiore differente, che sim­
boleggiano i cinque sensi . Di tanto in tanto, esso è considerato come
dio supremo , con funzioni simili a quelle di Agni. Nella tradizione
buddhista egli è identificato a Mara, il dio della Morte, dacché l'at­
taccamento al mondo dei sensi , di cui egli è la prima cagione, è anche
ALTRE DIVINITA E SETTE 161

causa fondamentale del ciclo della vita-morte-rinascita , cioè del


samslira.
Vediamo, ora , quale rango abbiano assunto nel la nuova mitologia
hindu-brahmanica alcune tra le antiche divinità vediche. Del la cop­
pia Cielo-Terra , Dyavaprathivi, solo la Terra viene ricordata e cele­
brata con vari nomi alludenti alle sue diverse funzioni: Mahi, «la
Grande» , Vasumati, «la Ricca» , Dhatri, «la Nutrice» , Bhumidevi o
Bhu-devi, a «la Dea- Suolo» . Figlia del re primordiale Prthu , essa si
trasforma in vacca per nutrire con il suo latte tutti gli esseri . Essa è la
madre di Sita, la casta sposa di Rama, che, assieme a Gangli, la dea­
Gange, protegge durame il ripudio ed il parto dei due eroi Lava e
Kufa nella foresta Dandaka; in fine, al repudio definitivo (secondo
una versione del mito) di Rlima, la dea-Terra suscita dal suolo un tro­
no sostenuto dai Nliga (v. infra) , ove fa sedere Sita, che porta con sé
nel ! ' abisso. La santità della Terra è stata sempre fortemente sentita
dagli Indiani , il re non calzava sandali per non farla soffrire col suo
peso . Essa è pure concepita come la sposa mistica del re consacrato;
Vin,u compie le sue imprese per sollevarla dal peso dei dèmoni che la
affliggono. Nella figura del la Terra l ' Hinduismoha assimilato anche
quella vedica di Aditi (v. infra) , madre degli dèi «positivi» Aditya, la
lista dei quali è lievemente modificata r�spetto a quella antica: Dhli­
tar, Mitra, A ryaman, Rudra, Varu11a, Su rya, Viva[vant, Pu[an, Savi­
tar, TvaHar, Vtj,;u . tutti più o meno obliterati, salvo naturalmente
l'ultimo.
Surya è abbastanza bene ricordato , come dio-Sole, da un insieme
di rappresentazioni mitiche ed epiche , specialmente nel
Mlirkandeya-purli11a. Le immagini con la quale viene comunemente
rappresentato son fondamentalmente di tre specie: come un giovane
uomo in piedi , dal capo aureolato (come una divinità iranica o bud­
dhista settentrionale) , drappeggiato dal la cintura ai piedi «secondo la
moda del Nord» , o calzato con gli stivali sciti e portante la cintura
detta avyaitga, trascrizione evidente del l'avestico aiwylionghana; op­
pure , con una rappresentazione più hindu, come un giovane uomo
seduto su fiore di loto, con una testa e due o quattro braccia oppure
con quattro teste ed otto braccia; oppure ancora , nel l'esercizio delle
sue funzioni , sul carro ad una ruota sola, tratto da quattro o da sette
cavalli, spesso accompagnato da due uomini e da due donne. Il suo
auriga è Aru11a (masc. ) , I'«Aurora» , che sostituisce la fanciulla vedica
Usas, detto anche «il senza-cosce» , an-uru , fratello maggiore
dell'uomo-aquila Garut/a. Talvolta è anche rappresentato a cavallo
del cigno (v. infra, haf!Zsa/J) , con le note implicazioni misteriosofiche
e soteriologiche. Il suo mito è molto breve: egli è figlio di Ka.(yapa e
di Aditi, sposo di Samjnli, padre di numerosi dèi, fra i quali gli A.fvin
e Yama, e di vari eroi, fra i quali Ka'?la e Sugriva (v. infra). Dai fram­
menti del suo splendore, Vifvakarman ha foggiato le armi degli dèi.
Da lui provÌene la gemma 5_yamantaka, ornamento di Krf,;a. che
162 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

protegge da ogni male e accorda ogni desiderio . Fino a qui il mito. In


che cosa esso si differenzia il nuovo Sii ry a dal suo omonimo vedico?
Nel fatto che il Siiry a vedico è una delle tante rappresentazioni con le
quali viene raffigurata la Verità celeste: questa che è lo �ta, l'Ordine
cosmico, nello stesso modo in cui si manifesta nell'anima umana co­
me fedeltà ai principi ed alla parola, Mitra, o come «intuizione auro­
rale» del mondo divino, U[as, trasparente nella percezione fisica, al­
trettanto si manifesta nel polo esteriore, come Luce datrice di Vita,
cioè come Sole, Siiry a. Il Siiry a hindù è, invece, una rappresentazio­
ne totale della solarità, originariamente estranea alle concezioni post­
vediche dell'India, ma dipendente dalle speculazioni religiose delle
caste guerriere iraniche (Medi, Persiani, Sciti ed affini, come i Saka,
che ebbero un grande ruolo nella scoria dell'India nei primi secoli
del)' E. V. e dai quali si originano alcuni gotra - cioè gruppi gentilizi
- nell'India NW) , tanto è vero che la Brhat-sa'f!Zhita (capp. 60, 1 9)
narra che la consacrazione delle immagini e dei templi di questo dio
dovevano essere effettuate solamente dai sacerdoti Bhojaka che, fra
di loro si chiamavano Maga- brahma!Za, cioè i «Magi» nostrani!
Circa costoro vi è una leggenda riportata nel Bhavzjyapura1,1a (cap.
1 39), che offre uno strano ma chiaro_esempio di sincretismo km1aita­
mazdeo. Samba, figlio di Kmza dajambavati, costrul un tempio del
Sole sui banchi della Candrabhaga (Chenab): nessun sacerdote locale
accettò di officiare in quel tsmpio, per cui egli venne ,consigliato di
procurarsi questi preti dallo Saka-dvipa (regione degli Saka! ) e questi
erano i Maga, discendenti dal dio Sole per tramite di un sacerdote
chiamato jara-fasta o jara-fabda, evidente trascrizione dell'Avestico
Zarathushtra, nato dal connubio del dio con Nikfubha del gotra dei
Mihira (termine medio-persiano per Mithra, «dio del Sole»). Gli
adepti di questo culto.detti Saura, sono esistiti fino ad epoca piutto­
sto recente: avevano una certa importanza ai tempi dello scienziato
persiano al-Beriini ( XI secolo) e il loro tempio fu distrutto dall'impe­
ratore moghol Aurangzeb (XVII secolo). Costoro ritenevano che il So­
le è lo Spirito Universale, origine di tutte le cose mobili ed immobili;
erano divisi in sei classi di devoti, portavano ghirlande attorno al col­
lo e il simbolo dell'orbe solare segnato sulla fronte, braccia e addo­
me, talvolta con ferro rovente. Praticavano la meditazione incessante
sul dio ripetendo un mantra di sei od otto sillabe: « O 'f!Z , namo sii­
ryaya (ecc. )».
Il Sole, come presso altri popoli di lingua indoeuropea, è conside­
rato l'iniziatore di dinastie terrene (siiry a-va'f!Zfa), in particolare quel­
la iniziata dal Manu Vaivasvata, da cui nacque lk1viiku , re di Ayo­
dhya , nel Kosala, dal cui primogenito Vikuk1i derivò la dinastia illu­
strata dai nomi di Raghu, Aja, Dafaratha e, infine, da Rama protago­
nista dell'epopea Ramayana. Dall'altro figlio di lkfvaku, Nimi, di­
scese janaka re del Videha, celebrato nelle Upanisad come il saggio
sovrano padre di Sita, sposa di Rama. Da questo stesso ramo storica-
ALTRE DJVINIT À E SETTE 163

mente n acque il clan degli Sàkya di Kapzlavastu , presso i l quale ven­


ne alla luce Gautama il Buddha!
Divin ità paral lela al Sole è il dio-Luna, Candra, «il Brillante» , che
solo negli appellativi letterari h a ereditato il nome e le funzioni del
dio Soma vedico . Il suo culto ha caratteri più che altro mitici e non li­
turgici . Soggiorno delle anime degli antenati , (si ricordi come la via
verso «i Padri», pitr-yiina, opposta a quella verso «gli dèi» , deva-yiina,
era essenzialmente concepita come lunare , la sua fu nzione principale
è quella di equilibrare l ' eccesso dell' ardore solare . È detto , perciò
saumya ( derivato dal vocabolo soma) nel senso di «rinfrescante» , «ri­
sanan te» , ed aiuta le piante a crescere ( kaumudin , «che fa fiorire il lo­
to» , kumuda) . È protettore degli aman t i , ma allo stesso tempo viene
deprecato come apportatore di sventura . La m itologia indiana lo rap­
presenta come un giovane aureolato o con il capo ornato dal crescente
lun are , assiso su un carro train ato da dieci cavall i , talvolta accompa­
gnato da Siirya, talaltra da due regi n e . Suo simbolo è l ' antilope . Il
mito di Candra è complesso , tanto più che cerca di dare una ragione
dei fenomeni fisici che accompagnano il moto del pianeta. Nato
anch ' egli dal fruii amento del mare , Candra rapisce Tàrii, o Tiirakii,
moglie di Brhaspati, per farne la sua sposa , donde n asce la guerra fra
i Deva e gli Asura. A questa prima complicazione di natura amorosa ,
se ne aggiunge u n ' altra allorché Candra viene colpito da una maledi­
zione di Dak1a perché , avendo egli sposato le sue 2 7 figlie (cioè i 27
naksatra, case lunari o asterismi che la luna incrocia sul suo
cam'm ino), diede la preferenza ad una di esse , cioè a Rohini (Aldeba­
ran ) . La maledizione h a come effetto la consunzione a cui soggiace il
corpo celeste, attenuata dall' alterno ritmo di crescita e diminuzion e .
Il ciclo lunare è diviso in 1 6 parti ( kalii, «digita») piene di somà; ogni
giorno gli dèi ne bevono una part e , sinché , al giorno della luna nuo­
va, non sussiste che una kalii. Allorché avviene l ' eclissi solare , l ' am ­
brosia della sedicesima kalà sale verso il sole, che è p i ù che m a i vicino
a Candra: il demone Rahu (v. infra) allora inghiotte il sole per poter­
la divorare . Si dice anche che il dio Candra sia fatto delle ossa di Kà­
ma, per denotare il suo stretto rapporto con l ' amore specialmente se
sfortunato . Uno dej nomi più curiosi con cui viene denotato il nume
lunare è quello di Safin («avente la lepre» , fafa) o iafàmka «il Segna­
to dalla Lepre» , con riferimento alle macch ie lunari . Questo aggettivo
ci riporta ad analoghe concezioni comuni nell ' ambito indoeuropeo ,
traccia delle quali è probabilmente la stessa Osterhase ( «Lepre di Pa­
squa») tedesca.
Il nume lun are è il progenitore della cosiddetta «dinastia lunare»
(soma- vamfa) dell' India antica, la quale , assieme a quella «solare» ,
fornisce quasi tutti i person aggi dell' abbondante epica indiana. Bu­
dha, il pianeta Mercurio , figlio di Candra, sposa liii, o I/ii ( l ' antica
pregh iera oblatoria , simbolo delle forze «lunari» che pervadono l ' uo­
mo e l ' UAiverso , cfr. l ' omonima vena sottile menzionata dallo
1 64 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

Hafha-y oga - liii è la pronuncia vedica di lr/ii) , figlia del progenitore e


legislatore «solare» Manu. Suo figlio fu Pururavas, che divenne un
Gandharva, inseguito al suo movimentato connubio con la apsaras
Urvafi, dal quale nacque Ayus, la Vita (cfr. lat. aevum) , padre del ti­
tano Nahu!a il quale, fra le sue varie imprese, cercò anche di sop­
piantare gli dèi . Si noti , sin da ora, come in questa dinastia predomi­
nino i fattori erotici e tumultuosi, opposti a quelli sapienziali e disci­
plinati della dinastia «solare». Fra l'altro, lo studioso francese Sylvain
Lévi ha posto in rilievo l'etimologia non indoeuropea, bensì semitica,
di Nahu!a, significante «serpente». Da Nahufa nacque Yayiiti, il cui
figlio fu Yadu, eroe eponimo della turbolenta tribù degli Yiidava di
cui Krnza, come si è visto, divenne re, destinata a perire quasi intera­
mente in seguito a guerre civili, salvo il ramo meridionale che non se­
guì Km1a nella sua emigrazione al Sindh, dal quale derivarono stori­
camente i re di Vtjaya-nagara e qualche clan Rajput. Da un altro fi­
glio di Yayiiti, Puru, che rinunciò alla sua giovinezza a favore di suo
padre, derivarono i Paurava storici (cfr. il Poros, che_ebbe a che fare
con Alessandro Magno); da un terzo ramo nato da Ayus, discesero i
re leggendari çli Kiifi, o Varanasi (Benares). Figlio di Puru fu Du[y an­
ta, marito di Sakuntala (v. infra) , padre a sua volta del «re universale»
(cakra-vartin) Bharata, padre di Kuru, dal quale discesero i Kaurava
ed i loro cugini Piittt/ava, gli eroi del Mahabharata.
Lasciando per il momento altre concezioni di natura astrologica, ri­
veste grande importanza nella civiltà indiana l' insieme delle conce­
zioni cosmologiche «ordinative» affini per molti versi a simili intui­
zioni proprie ai domini culturali sumero-babilonese, egizio, etrusco,
eccetera. Una di queste è la concezione dei quattro «confini» o quat­
tro quadranti (dif) in cui è ripartito lo spazio, indi l'universo, ognu­
no dominato da un nume reggente. Il mondo, in questo caso , è con­
siderato alla stregua di un grande mattr/r4a, cioè un «cosmogramma»
riflettente l' ordinamento divino, con al centro l'asse che lo connette
alla sfera supramondana, da una parte e, dall' altra, alla sfera ctonica­
infera. Questo asse è identificato al monte Meru, sede dei «Trentatré»
dèi vedici. Da questo centro assiale, immobile ed imperturbabile, co­
me l' etere (akafa, kha) che gli corrisponde nella scala degli elementi
(bhuta), vengono emanate le quattro direzioni dello spazio, ognuna
delle quali è retta da un cosiddetto «Elefante cosmico» , din-naga.
Poiché tutto l'Universo è riflesso entro la medesima costituzione
psico-fisica umana, ad ognuna di queste quattro regioni-direzioni co­
smiche corrisponde una particolare costituzione temperamentale
dell'organismo umano, che si riflette naturalmente sul suo compor­
tamento psichico, e così via, secondo un piano ordinativo che verrà
pienamente sviluppato nel Buddhismo mahayanico, in particolar
modo nel Vajarayana. Ad ognuna di queste quattro regioni e di quel­
le intermedie viene preposto uno spirito protettore detto Loka-pala,
«Custode del Mondo» , o Dik-pala o Dig -niitha, «Custode di un Pun-
T
ALTRE DIVINITÀJE SET E 165

to Cardinale». Questi sono i seguenti otto: Kubera-Nord , Yama­


Sud , Indra-Est , Varu1!a-Ovest , e poi , Soma-Nordest , Yayu­
Nordovest , Agni-Sudest , Stirya-Sudovest. A queste otto direzioni
dello spazio piano , divinizzate dai Tantra, si aggiungono Brahma,
reggente dello zenith , e il serpente Ananta (o Vi.f!1 U) , reggente del
nadir. Con ciò si completa l'immagine di una doppia piramide con
base quadrata.
Il capo dei Lokapala è l'antico dio vedico Indra, detto Sakra, «il Po­
tente» , allorché assume questa funzione sovrana. Il dio Indra,
nell'Hinduismo, alle funzioni che gli sono proprie nel mondo vedi­
co, aggiunge delle altre, come quella di signore delle piogge e re del­
la magia e delle siddhi. Indra è raffigurato come un sovrano coperto
di gioielli , con la tiara, oppure il turbante, assiso sull'elefante Airava­
ta, nato anch'esso dal frullamento del mare primigeneo, signore dei
geni-serpenti Naga (v. infra) , armato di va;ra (folgore), di arco e frec­
ce e del cosiddetto Indrajala, «rete d'Indra» , che è il simbolo dell'arte
del mago e dell'illusionista ( mayin , già appellativo del Varu1!a vedi­
co!) ; altra sua arma è l'arcobaleno (indra-yudha). Talvolta è rappre­
sentato con la folgort: fatta delle ossa di Dadhici (il Dadhyanc
vedico) , il disco (cakra), l'ascia e l'uncino da elefante. Magia e vajra
restano i suoi simboli fondamentali. Il va;ra, forse per contaminazio­
ne tarda con il Buddhismo (o viceversa) , è concepito nel tardo Brah­
manesimo quale simbolo del vuoto assoluto (ftinya) che trascende il
mondo delle forme nascenti dall'Illusione, maya, come pure dell'in­
corruttibilità e indefettibilità (vajra, oltre a «folgore» significa «dia­
mante»). Nel mondo tantrico, va;ra è simbolo di funzione virile, vi­
rya, e dell'organo maschile, tinga. La città di Indra è A maravati pres­
so il monte Meru: il suo particolare cielo (svarga), descritto come una
gioiosa corte regale, è Trivi!{apa. Nell'Hinduismo appare una certa
compiacenza nel sottolineare l'aspetto di Indra peccatore e violatore
delle regole brahmaniche. Vrtra, di cui viene trascurato completa­
mente il senso originario di «oscuratore» , diventa un eminente brah­
mat;a, la cui uccisione Indra deve espiare con l'esilio. Quanto alla
sposa Indrii1!i non se ne parla più , essendo totalmente sostituita con
Ahalya, la moglie di Gautama, che Indra sedusse con inganno. rice­
vendo per punizione la condanna di portare sul corpo mille pudenda
muliebri , che la leggende cercherà di nobilitare chiamandole i suoi
«mille occhi» (sahasrak.ya).
Di Agni persiste la concezione di fuoco universale , che nell'uomo
si individua nel calore della digestione, nel moto animico della colle­
ra e nel «bruciante» pensiero. L'Hinduismo gli attribuisce numerose
ipostasi , che sono altrettanti suoi nomi antichi , ed una famiglia. Im­
portante è la concezione che lo vuole creatore di Aurva , «bocca di
giumenta» (vat/ava-mukha), un vulcano sottomarino situato in fondo
ai mari australi (una specie di monte Erebus! ) , agli antipodi del Me­
ru , che alla fine del presente evo cosmico annienterà il mondo con il
166 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

fuoco. Nel sud dravidico, invece , la figura di Ag ni è degenerata in


quella di genio protettore dell'arte culinaria. Il vedico ed upani�adico
Agni Niiriiyana, il Fuoco «che giunge da sopra le Acque» , oppure ,
«che è proprio all'Uomo» , si scioglie dalla sua identificazione ad
Ag ni, diventando, come si è visto, una manifestazione di Vzj,;u e di
Krp-1a (v. infra). Egli è il padre della bellissima Urvafi, natale da un
fiore che egli si pose sulla coscia, allorché volle beffarsi di Indra il
quale , inquieto per la sua ascesi gli aveva mandato un'Apsaras allo
scopo di sedurlo.

Viiyu, il reggente del quadrante del nord-ovest, è forse una delle


divinità vediche meno deformate dall'Hinduismo. Egli assorbe in sé,
oltre alle antiche funzioni che espletava con i nomi di Viiyu, Vata,
Pavana, eccetera , anche quelle bellicose e tempestuose dei Marut, per
cui è detto Maruta. Nel Mahabharata simboleggia la vita (pra,;a, il
respiro) del mondo , sia sul piano cosmico (adhi-daiva) , che su quello
individuale (adhy -iitma): sotto il primo aspetto , i testi dicono che
Vayu conosce le «sette vie» (atmosfera, sole , luna, stelle , pianeti), i
sette 8.!i (Orsa Maggiore , v. infra, e Stella Polare) , sotto il secondo
aspetto, egli si manifesta nelle cinque forme di prii,;a che animano il
corpo sottile (siik,Fma-farira), di energia eterea, dell' uomo. I Pura,;a
gli attribuiscono poche imprese : sollecitato dal saggio Niirada , svelse
la sommità del monte Meru gettandola, poi, nel mare ove divenne
l'Isola di Lanka (Ceylon). È anche padre degli eroi Hanumant e
Bhi'ma. Lo si rappresenta come un uomo bianco montato su una gaz­
zella (simbolo di leggerezza ed incorporeità), che pona frecce ed uno
stendardo .
Secondo la teologia di Madhva, fondatore dell'omonima setta vi­
�ttuita, Viiyu è il «figlio» preferito di Viff} U, al quale conduce le ani­
me dei trapassati (funzione ermetica già propria a Pii,Fan vedico , a ta­
cere di Yama): egli è destinato ad assumere, nel prossimo ciclo cosmi­
co, quelle attualmente attribuite al dio Brahmii. È evidente , in que­
sta concezione , l'assimilazione del dio-aria, dio-vita (prii,;a) a Spirito
Universale, che è probabilmente pre- vedica (la Trinità originaria
sembra essere stata Vento-Sole-Fuoco, Vayu-Surya-Agm) dato che in
altri ambienti, come in quello germanico, troviamo la medesima
connessione fra il Vento, Spirito Universale, e la forza vitale indivi­
duale (p. es. fra Odhinn e ondh), mentre vengono anche attribuite al
primo funzioni di guida delle anime nell'Altro Mondo.
Varur1a conserva le sue funzioni di giustiziere e diventa patrono del­
le acque del «mare occidentale» e di quelle sotterranee, dopo essere sta­
to, nel periodo vedico, quello delle Acque celesti: l'elemento misterio­
so e fatale viene mantenuto, come pure l'antico rapporto indoeuropeo
fra l'acqua e il giuramento: in India, come nella Grecia e nella Germa­
nia antica, i giuramenti solenni erano pronunciati sopra l'acqua. Per il
resto la sua figura ha perso ogni importanza, sia come nume sia come
ALTRE DIVINIT A E SETTE 167
concetto astratto. Se mai , una sua sopravvivenza ideale è da ravvisarsi
nella cosmologia buddhistica settentrionale , ove Amitabha, il Tatha­
gata della Luce Infinita, rettore del quadrante occidentale del mandala
gli somiglia per molti versi. Esso è comunemente raffigurato co�e- un
uomo di colore blu scuro, cavalcante su una tartaruga o un mostro ma­
rino, tenendo nelle mani un laccio (l'antico simbolo vedico) ed un pa­
rasole (simbolo, forse , della cupola celeste). Sua sposa è Vanqzani ( Va­
TU1Ji) , diventata patrona dei liquori.
Yama, il dio della morte , rettore del quadrante sud (la direzione di
quelli che dopo morti sono astretti a reincarnarsi sulla Terra, il pitr­
yana) conserva nell'Hinduismo, come nel Buddhismo, molto dell'antico
carattere, seppure unilateralmente accentuato nel senso funereo: il suo
antico carattere di Primo Uomo mortale sembra totalmente obliterato.
È chiamato anche Mrtyu, «Morte» (masc.), Mara (id.), Antaka, «che
pone fine» , ecc. : Mara, nel Buddhismo, è sinonimo di Kama, nel senso
di brama amorosa, a cagione del suo valore negativo nella vita spiritua­
le degli asceti. La sua residenza è ali' estremo Sud, ai confini della Ter­
ra , in una città dalle quattro porte , in cui vive circondato dagli innu­
merevoli démoni che cagionano la morte degli uomini. L'iconografia
hindu ce lo rappresenta come un uomo di colore verde (colore che il
Buddhismo attribuirà, invece. al dio del quadrante settentrionale
Amoghasiddht) , montato su un bufalo, i cui attributi sono la clava,
l'ascia, la spada, il pugnale ed il bastone: talvolta, invece , è rappresen­
tato come un vecchio armato di spada e scudo: questa è la sua ipostasi
come Kala, il Tempo.
Nonostante che il nume della Morte sia ovviamente concepito come
un essere ineluttabile ed impietoso, non mancano leggende brahmani­
che che ce lo rappresentano come accessibile alla pietà ed assoggettabi­
le alla saggezza ascetica. Tale è il mito di Naciketas, riportato dalla Ka­
thopanitad, ove il fanciullo brahmano conquista sapienza ed immorta­
lità grazie alla forza di carattere ed alla volontà di conoscere, ed il bel­
lissimo mito di Savitrf, una delle sette donne che gli Indiani considera­
no modello di virtù femminile e coniugale , della quale si offre a segui­
to un brevissimo riassumo. Era Savitri la bellissima figlia di re Afvapa­
ti. Il suo splendore era tale che nessun uomo poteva sopportarlo per
quanto ne fosse innamorato. Perciò il padre le disse di lasciare il regno
e cercarsi altrove un uomo adatto ad esserle marito (secondo il rito �a­
triya dello svayamvara) . Alla fine scelse ,come sposo l'innamorato Sa­
tyavant, figlio di Dyumatsena, re degli Salva, che era stato spodestato
dal suo reame , mentre era intento nell'ascesi in una foresta.
Al momento delle nozze il saggio Narada ammonì la fanciulla che
lo sposo sarebbe morto entro un anno dagli sponsali e che , quindi,
ella sarebbe stata costretta per il resto della vita alla squallida esisten­
za di vedova abbandonata. Ma Savitri, fedele alla parola, nun desisté
dai proposiro e sposò l'uomo del cuore , andando a vivere nell'eremo
boschivo con lui ed i suoi genitori , che si mise a servire con commo-
168 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

ven t e sollecitudine . Alla fine dell'anno , quando il marito affaticato


le stava dormendo wn il capo appoggiato al grembo , giunse un uo­
mo prestante, di rnlore blu pallido, redimìto di un diadema regale e
portante una corda in mano: era Yama che veniva a portarle via l'ani­
ma del marit o, per procedere , poi , nel suo viaggio verso il Sud. Siivi­
tri, la santa donna , non si rassegnò al destino ma , imperterrita , seguì
il dio supplicandolo di restituire la vita al marito. Yama, per levarsela
d'at torno, le rnncesse una grazia dopo l'altra , ma lei non fece alcun
caso a quelle prove di benevolenza e continuo instancabile a impetra­
re la grazia suprema , finché il dio, toccato, non le restituì il marito vi­
vo. Sia pure tradotto in termini di sentimento , questo è il motivo co­
stante di tutte le tradizioni indiane , anche eterodosse ( buddhiste e
jaina): sernndo questo motivo, la volontà umana sprigiona una forza
irresistibile , il tapas, al quale si debbono piegare perfino gli dèi, e
contro la quale la Morte stessa non può più nulla.
Il dio Kubera, reggente del quadrante Nord, è una divinità scono­
sciuta ai Veda . Non è improbabile che, almeno all' origine, si tratti
dello stesso dio misterico greco-asianico Kabeiros, come suppone il
Kretschmer , il cui nome sembra derivato dalla nota radice semitica
KBR indicante grandezza ( cfr . l'arabo kabir, grande) o KRB, deno­
tante eccelsa altezza (cfr. Karub, «cherubino») . Comunque sia , Ku­
bera ( o Kuvera) Vaifrava1Ja, cioè il figlio del saggio Viiravas, padre
anche dell'asura Rava1Ja, che cacciò Kubera dall'isola di Lanka ( v. in­
fra Riimiiyiina) , ove regnava , assume - dall'Atharva-veda in poi, il
chiaro aspetto di Sovrano Universale, tanto più che la sua sede è la
città di Alakii, sul sacro monte Kazliisa nello Himalàya , città che,
quindi , possiede tutti i requisiti di «centralità» e di altezza , essendo
una specie di doppio del monte Meru, al quale ancor oggi folle di In­
diani e di Tibetani si recano in pellegrinaggio. Kubera è il capo di
una serie di entità misteriose, i Guhy aka, cioè «i Nascosti» , gli Yak!a,
cioè «gli Spemi» ed i Kinnara, invisibili musici celesti, sdoppiamèmo
dei Gandharva che custodiscono, come gli Elfi dei miti germanici,
gli innumerevoli tesori n ascosti sotto terra o nelle acque. Kubera, in­
fatti, è il signore delle gemme, dei metalli preziosi e delle perle e
possiede inoltre nove tesori speciali , fra i quali una conca ed un loto
dotati di virtù magiche. Originariamente capo di schiere demoniache
( i Rakfas) , ma invocato nell'Atharva-veda come liberatore dalle pos­
sessioni diaboliche , esso è poco per volta diventato una deità della
Fortuna, anche nel Buddhismo (cfr. il giapp. Bishamon, adattamen­
to volgare della forma derivata VaiJ.!ama1Ja) ; come tale esso è fre­
quentemente associato a Ganefa. E rappresentato come un nano
bianco, panciuto , con tre gambe, un occhio (carattere ciclopico carat­
teristico dei «Sovrani Universali») e otto soli denti in bocca. La sua ca­
valcatura è varia: cavallo bianco, mangosta , ariete. I suoi attributi so­
no diversi, predomina , però , fra questi la mazza. Oltre a questa divi­
nità , gli Indiani venerano innumc-rc-voli esseri divini, semidivini ,
ALTRE DIVINITÀ E SETTE 1 69

eroici , geni , démoni , spiriti , animali , piante e pietre dotate di virtù


miracolose. Per /'Indiano tutta la natura è numinosa: per lui coesisto­
no , quindi, tre forme religiose diverse .
Una teista, che assume un dio solo quale sorgente di rivelazione di­
vina , al quale si rende culto ed adorazione , gli altri dè i essendo sue
forme strumentali o proiezioni mayiche. Una immanentista, per cui
le divinità sono simboli di successive condizioni interiori di coscienza,
attraverso le quali si ascende , fino a raggiungere nell'estasi I' identifi­
cazione con lo Spirito Assoluto. Una panteista, che indifferentemen­
te venera tutte le manifestazioni divine , ritenendole aspetti di un
«Divino» indifferenziato. Fra gli esseri divini che raggiungono il gra­
do di personalizzazione e di potenza degli dèi veri e propri , si hanno
i pianeti , gli Rti, i Vidyadhara, i Gandharva, le Apsaras ed una folla
di altri personaggi ed animali mitici. Come fra i nostri Antichi, così
domina presso gli Indiani una concezione del mondo che se lo rap­
prese � ta, e in una certa misura , lo percepisce , quale essenzialmente
numinoso .
I numi che reggono le sfere celesti sono i cosiddetti graha, i nove
pianeti : Budha ( Mercurio) , Sukra ( Venere) , Manga/a o _?.nche ,1ngJ­
raka, Kartikeya, Bhauma ( Marte) , Brhaspati ( Giove), Sani o Sanai­
fcara («dal lento procedere») , ( Saturno) , Candra (Luna) , Stirya ( Sole)
ed i nodi lunari Rahu e Ketu . Nel c�lto verso i pianeti, che qualche
testo classico ci documenta (ad es. il Sa,pkara-vzjaya) , si può ravvisare
una forte componente tipologica del genere sumero-babilonese , forse
mediata , come si vedrà in seguito, da una tarda trasmissione ellenisti­
ca, pur essendo la nomenclatura relativa ai corpi celesti puramente
indiana e connessa a miti indiani : non così i dati relativi alle loro po­
sizioni astronomiche , di origine chiaramente mediterranea. Si hanno
così , come nelle mitologie occidentali , un dio Sole , un dio Luna, ec­
retera, con funzioni cosmiche e. contemporaneamente , una deità
dello stesso nome che si identifica ad una particolare sfera planetaria ,
con un'attività limitata a questa. Nel caso della mitologia indiana , le
due concezioni , quella cosmica e quella «tòpica» , si conciliano nel
senso che , per il solito processo di interiorizzazione , il sacerdote od il
meditante compie nei riguardi dei numi planetari un vero e proprio
procedimento di nyasa, realizzandone , cioè , la presenza in determi­
nati luoghi del proprio organismo sottile (etereo-fisico) , sì da perve­
nire , prima alla percezione , indi all' immedesimazione con le energie
che le entità celesti simboleggiano . Lo stesso termine graha, con cui si
designano i numi planetari , significa esattamente «Afferratore» , in
quanto ognuno di questi numi ha una particolare «presa» sullo svi­
luppo della vita corporale e sull'andamento del destino personale.
L'astrologia , non molto differente seppure più elaborata di quella co­
nosciuta in Occidente , ha, pertanto , una parte notevole nella deter­
m inazione e nello svolgimento dei riti religiosi. Le fonti astrologiche ,
t radizionalmente dorument a t e. non ceno quelle antichissime , sem-
170 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

brano essere greche o, tutt'al pm, arabe : Romaka-siddhiinta, «la


Scienza dei Romani» ( = Occidentali) è, paradossalmente, il trattato
di astrologia indiana per eccellenza.
Si è gia parlato dell' origine mitica di alcune deità planetaJie, come
Budha, figlio dsl dio-Luna, di Kiirtikeya, nato dal seme di Siva cadu­
to nel fuoco, Sukra, derivato da Ufanas inghiottito da Siva e poi
emesso tramite il suo membro, Brhaspati, che è l' antica divinità vedi­
ca cosmogonica della Parola e del Sacrificio: si è anche accennato alla
funzione di Riihu nel provocare le eclissi. Lo sdoppiamento di questo
nume in Riihu e Ketu è dovuto al fatto che, avendo questi cercato di
rubare il soma, ven n e punito da Vij!lu, che n e tagliò il corpo in due
pezzi, Riihu e Ketu, che però restarono immortali, grazie alle poche
gocce di ambrosia ingerite . Questi due demoni, il nodo ascendente e
quello discendente lunare, cercano di volta in volta di inghiottire la
luna, oppure il sole, per appropriarsi del nettare che questi due corpi
celesti portano con sé. In seguito ali'irraggiamento della civiltà brah­
manica in Insulindia, Indonesiani e Malesi continuano a considerare
Riihu come il «drago» per eccellenza. I loro battelli che, al pari delle
navi nordiche, sono ornati con la testa del drago come polena, vengo­
no perciò chiamati p- rahu.
In molte stelle fisse gli I ndiani, al pari dei Greci antichi, ravvisano
il corpo celeste di antichi Saggi, che loro rivelarono i Veda, di Santi e
di Sante della loro mitologia e di alcuni Eroi-asceti dei quali si parlerà
in seguito. Fra costoro è la stella polare, Dhruva, «il Costante», figlio
cadetto Uttiinapiida, il quale, ammonito dalla madre per il fatto che,
senza sforzo, non si ottiene nulla, (egli, ancora bambino, era stato
scacciato dal padre e dalla sua moglie favorita, mentre cercava di con­
quistarsi il loro affetto), si diede a tale ascesi da meritare che Vif!IU lo
sollevasse in cielo, di là dalle altre stelle. Invece il re Trifanku (o Sa­
tyavrata), che aveva cercato di scalare i cieli a dispetto degli dèi, preci­
pitò restando sospeso a testa in giù e divenendo, così, la Croce del
Sud.
I nak1atra, cioè i 27 asterismi lunari, sono come si è visto a proRosi­
to del dio-Luna Candra, le altrettante spose di costui, figlie dell'Adi­
tya Dak1a: la loro determinazione cronologica è, in India , la base per
il calendario rituale , come si vedrà in seguito. Minore importanza re­
ligiosa, per non dire scarsa , hanno, sorprendentemente, i dodici se­
gni (riifi, o lagna) dello zodiaco «lunare». Nella setta Piincariitra, le
dodici divinità tutelari dei mesi solari sono concepite quali altrettante
emanazioni di Vtj!/u , del quale portano i nomi, sicché Vtj�u diven­
ta , né piu e né meno , il Sole qualificato dai dodici segni zodiacali.
Le stelle fisse che gli Indiani considerano religiosamente più im­
portanti, sono certamen te, quella dell' Orsa Maggiore e di Canopo in
cui essi ravvisano, rispettivamente, i sette lfp· autori dei Veda (Marici,
Atn·, Angiras, Pulastya, Pulaha, Kratu, Vaszjfha, oltre alla san ta spo­
sa di quest'ultimo, Arundhati, identificata alla stella del mattino),
ALTRE DIVINITA E SETTE 171

ed il saggio Agastya . Gli Rp. sono i principali esseri divini della «mito­
logia minore», in quant; gli Indiani ravvisano in loro le fonti della
Scienz� Rivelata: portatori della Parola, energia creatrice di ogni cosa,
non d1 rado assurgono ad importanza maggiore che gli dèi stessi.
Ognuno di loro ha dato luogo a numerose leggende, di origine vedi­
ca, che tuttavia nel Brahmanesimo hanno acquistato importanza di
miti divini . Fra tali leggende vi è quella dell'ostilità dello rii Vasi­
!fha, il prototipo della dignità e delle prerogative brahmaniche, con­
tro il re Vifviimitra (o Kaufika), che voleva ascendere al rango di bràh­
ma!la, pur essendo egli uno kiatriya, e possedere la Vacca che soddi­
sfa ad ogni desiderio (Kiimadhuk), da lui vista un giorno mentre an­
dava a caccia, nell'eremo di un santo. Nella lunga contesa con costui,
il re fu ripetutamente vinto: una volta, perfino, allo scopo di suscita­
re l'ira dello r!z", Vifviimitra gli uccise i suoi cento figli, senza peraltro
riuscire nel suo intento. Alla fine, impressionato dal potere inerente
alla condizione di brahmai;ia, Vifviimitra si diede a tale rigorosa asce­
si, da meritare successivamente i titoli di Riijar1i (R. regale), '/J.#, Ma­
hiirJi (Grande R . , denominazione attribuita ai dieci Prajiipati, pa­
triarchi dell'Umanità), Brahmar1i e non fu contento finché Vasi!{ha
stesso non l'ebbe chiamato con quest'ultimo titolo. Vifviimitra
divenne, poi, famoso per numerose imprese, come que!la di da­
re a Tnsanku la ben meritata punizione, di salvare Sunal;fepa
dalle mani di Indra, di consigliare ed istruire Rama giovinetto. a cui
trasmise i miracolosi missìli «che fanno sbadigliare>, i"!Zbha-astra, ec­
cetera.
La lista dei sette ni vedici è accresciuta, nella tradizione posteriore,
di altri tre nomi, sì da assimilarla a quella dei dieci Prajapati dei Pu­
rii!la, non solo, ma anche di altri numeri variabili, in modo da rag­
giungere la cifra, non già di sette persone, bensì di sette classi di
Creatori secondari. Fra costoro Kafyapa («la Tartaruga>) è uno dei più
ragguardevoli. Figlio dello r!i Manci, disceso lui stesso da Brahma,
raggiunse il grado di un Prajapati minore, genitore di dèi, uomini e
démoni, in seguito al suo matrimonio con altre 1 3 figlie dell'aditya
Dak/a, oppure, secondo altri testi, con la stessa Aditi, «l'Infinita».
Narada, altro ui, è il messaggero degli dèi, musico celeste ed inven­
tore del liuto indiano (la vif!ii); nelle teogonie e nei poemi bhagavata
riveste una funzione molto importante. E lui che ha rivelato la teoria
bhagavata agli esseri del Brahmà-loka (la sfera sopraterrena di Brah­
mà), sì che da là potesse discendere agli esseri umani. Egli stesso è in­
carnazione del Bhagavant, cioè del dio socco!revole per eccellenza,
Vijf!U, sotto forma del cigno-respiro haf!lStZ? - E, evide_nt�m�nte, una
persona divina che in sé assomma le funzioni «mercuriali> d1 messag­
gero, conoscitore di segreti divini e di mediatore della medesima vita
universale (il cigno). In Brhaspati, invece, abbiamo il caso c�mtrario,
quello di un dio creatore discesò al livello di uno tri. Il suo mito brah­
manico, però, ci riporta a concezioni antichissime, forse pre-vediche,
172 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

proprie certamente al patrimonio comune dei popoli indoeuropei:


cioè ad una primordiale rivalità fra due classi diverse di dèi, in segui­
to alla rottura di un solenne accordo (p. e . la lotta fra gli Aesir e i Wa­
nir germanici) o al rapimento di una creatura femminile di stirpe ce­
leste (v. lo stesso mito di Elena greca).
Brhaspati era, in origine, precettore sia degli Asura che dei Deva.
Si narra che, in seguito al rapimento della sua sposa Tara («la Salvatri­
ce» , oppure «la Stella», cfr. il nome della greca Heléné/Seléné, cioè
«Splendente» o «Luna») da parte del dio-Luna, Soma (personificazio­
ne «inebriante» di Candra) , scoppiò una guerra fra i Daitya (Danava) ,
figli di Diti (o Dunu) condotti da Soma e i Deva guidati da Indra,
conclusasi con la restituzione della celeste donna contesa, ma non
prima che questa avesse generato Budha al dio-Luna. È un tipico mi­
to relativo alla lotta fra due tipi di civiltà, una solare e l' altra lunare,
originariamente complementari.
Il saggio Agastya, che gli Indiani identificano a Canopo, è ricorda­
to come il portatore della civiltà brahmanica nel Sud dravidico . Rap­
presentato come un nano, è considerato il genio della medicina e del­
la grammatica ( vyakartz1Ja: si ricordi che la retta parola e il retto ragio­
namento, sat-tarka, ad esso relativo sono considerati strumenti di Li­
berazione in terra e di comunione con gli dèi). Si dice che egli, per
primo, abbia dettato le leggi della grammatica tami/'. Dal suo eremo,
situato nell' estremo Sud dell' India, egli parti per accompagnare Ra­
ma alla riconquista di Sita nell' isola di Lanka . A lcune leggende, con­
siderandolo sotto l' aspetto cosmico e non come eroe di un mito etio­
logico, gli attribuiscono il merito di aver bevuto il mare (elemento al
quale la civiltà brahmanica è sempre stata ostile) per aiutare gli dèi a
vincere i demoni celati in esso. Agastya, nella sua marcia verso il Sud ,
costrinse anche la catena dei Vindhya a piegarsi per rendere più age­
vole il passaggio verso le nuove terre, di modo che questi monti non
potessero raggiungere l' eccelsa altezza dello Himalaya. Queste sue
leggende hanno avuto diffusione anche fuori del mondo indiano, in
particolare in Insulindia.
I miti religiosi ed epici indiani si svolgono in uno scenario saturo di
presenze divine talché , anche se il protagonista è un uomo la cui esi­
stenza sia storicamente presumibile e il luogo sia geograficamente de­
terminato , purtuttavia l' ambiente acquista un aspetto sovrannaturale
e mutevole come se, per osmosi, gli stessi pensieri e sentimenti degli
attori prendessero forma, plasmandosi in altrettanti esseri di consi­
stenza fluida ed onirica. I miti indiani ci trasportano in una vera at­
mosfera di sogno, impregnata di immagini vibranti ed ondeggianti:
le rocce, le piante, gli alberi, gli animali e gli invisibili esseri dell' at­
mosfera partecipano all' azione, assumendo ora forme fugaci, veri e
propri simboli del destino che nel dramma si matura, ora forme defi­
nitive. Questa premessa è necessaria per comprendere la proliferazio­
ne di esseri, per l' Occiden tale mostruosa, nella mitologia indiana e
A LTRE DIVINITA E SETTE 173

per afferrare il sentimento di partecipazione della natura universa,


che anima i miti dell'Hinduismo. I principali gruppi divini che inter­
pretano questi miti sono quello degli Asttra - che dopo l'eclissi ve­
dica, ritornano protagonisti - i Naga, gli Yak!a, i Pifaca, i Kirii/a,
gli Yatudhana, i Bhitta, i Kinnara, i Vidyadhara, alcuni dei quali co­
me i Kirata e forse anche i Niiga ed i Pifaca sono la demonizzazione
di antiche popolazioni indigene e dei loro cicli culturali.
Gli Asura, che nei Veda ancora assumono l'aspetto ambiguo di
«vecchi dèi» ( tanto è vero che il termine denota anche importanti de­
va, come Mitra e Varu1Ja! ) diventano ora la classe dei nemici per ec­
cellenza dei deva, senza peraltro assumere carattere di malvagità. Pur
non popolando più i cieli, dato che non seguono esplicitamente il
Dharma, si sono rifugiati negli inferi, ma più spesso nell'atmosfera
(antarikfa} dove abitano meravigliosi palazzi costruiti per loro
dall'architetto Maya; il quale poi non sdegna di servire virtuosissimi
mortali come i Pa11flava del Mahiibharata (v. infra). Con tutta la de­
monizzazione a cui sono stati soggetti, si comportano frequentemen­
te secondo le regole brahmaniche, tanto da mettere frequentemente
in pericolo il potere degli dèi, a cagione delle terribili ascesi a cui si
assoggettano; talvolta, invece, aiutano gli dèi loro avversari come nel
famoso frullamemo del mare. Dal punto di vista teologico, gli Hindu
considerano gli Asura come i fratelli maggiori dei Deva, essendo nati
dal primogenito di Prajàpati (si ricordino a tale proposito quei tardi
miti iranici ché attribuiscono la primogenitura ad Anra Mainy u ri­
spetto ad Ahura Mazdah) . A loro sono assimilati frequentemente i
Danava e i Daitya, figli di Kafyapa, e le due figlie di Dakfa, Danu e
Diti, le quali nel mondo vedico erano i geni malvagi della limitazio­
ne e della oscurità, ostacolatoci della chiara percezione e comunione
dd mondo divino.
I Riikfasa, geni malefici pullulanti nelle foreste e nelle caverne, che
di not te si aggirano per divorare carne umana, sono i disturbatori per
eccellenza dei sacrifici e delle meditazioni degli eremiti. Buona parte
del Riimiiyiina è dedicata alle gesta dell'eroe solare Rama contro tali
demoni, per proteggere i santi riti di Vifviimitra. Il loro capo è Riiva-
1Ja, l'eroico dèmone dalle dieci teste, al quale - pur essendo l'Arei­
nemico degli dèi - la tradizione ortodossa riconosce eminenti meriti
sapienziali ed ascetici. La tradizione meridionale, anzi, lo considera
autore di importanti opere di medicina amidemoniaca. È possibile
che tutto il mito di Valmiki (v. Riimiiyiina, infra) o!:_iemato contro Rà­
va1'Ja, rifletta un'eco delle lotte sostenute dagli Arya per penetrare
nelle sedi di una diversa civiltà nel Sud. Per iJaina e Buddhisti Riiva-
1'/a è addirittura il pio re di la1Jka: così tramanda il buddhistico
Lankavatàra-sittra.
Grandissima importanza hanno assumo, nella letteratura piiral)ica
e in quella buddhista settentrionale, i Niiga, cioè i geni-serpenti che
t alvolta hanno testa umana o assumono completamente aspetto urna-
174 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

no, ai quali si è già ac�ennato. Essi risiedono nelle regioni sotterra­


nee, oppure subacquee, ove abitano in palazzi meravigliosi; la loro
capitale è Bhogavati («I ' Abbondante di Godimenti»). Gli stessi Tibe­
tani buddhisti e bon-po li venerano come «serpenti-pesci» (klu) e, al
pari degli Indiani, attribuiscono loro il possesso di innumerevoli ric­
chezze che talvolta rapiscono o concedono agli uomini. Discendenti
di Kafyapa e di Kadru, figli di Dak!a, posseggono l'ambrosia e, per
lo stesso motivo, conoscono forme di sapienza ignote agli umani. Nel
Buddhismo settentrionale essi sono ritenuti, assieme a varie specie di
pericolosi dèmoni femminili, le 'f;)iikini e le Yogini, i custodi e, tal­
volta, i rivelatori dei Tantra delle classi supreme (anuttara) , nei quali
le varie fakti esercitano funzione preminente . In queste concezioni
traspare il rapporto, noto più o meno a tutte le tradizioni sapienziali
del Mondo Antico, fra i temi serpente-sapienza-donna (faktt) . Fre­
quenti sono i loro rapporti con gli uomini, e non è raro il caso in cui
una bellissima Niigini avvinca a sé un essere umano . Lo stesso rjuna si
unì, nel corso delle sue intricate avventure, con la niigini Uliipi. In
regioni tardivamente brahmanizzate ( Nepal, Assam) i Niiga sono
consideraci ora alla stregua di genii loci, ora i capostipiti di dinastie
storiche, ora gli iniziatori di sette più o meno occulte . Eguale funzio­
ne svolgono in tale area i geni femminili «volanti» 'f;)iikini (rad. t/ak,
volare), femmine pericolose datrici di sapienza non diversamente
dalle Niigini con cui si confondono. Quanto a tali spiriti, più o meno
connessi al culto dei serpenti, si può ricordare che nei paesi dravida è
comune la venerazione di serpenti avvinghiati a pietre ritte, dette
Niigakkal, «pietra del Naga» .
Simile genia è quella degli Yak!a, termine che in linguaggio vedi­
co significava «spettro», «essere meraviglioso». Assieme alle loro fem­
mine, le driadi Yakfi!Zi (geni dell' aria, divoratrici di bambini, talvol­
ta invece pure e semplici ninfe boschereccie), non assumono sempre
una funzione negativa . Tutt'altro: accoliti di Kubera e detti, perciò,
Guhyaka, «gli Occulti», custodiscono i tesori della terra e qualche
volta li dispensano ai mortali . La mitologia buddhista e jaina li consi­
dera protettori dei limiti dei campi, delle porte, dei confini e, spesso,
geni della vegetazione che, nell'iconografia, fanno da sfondo alla raf­
figurazione di pie leggende .
Gli Yatudhiina, «Ricettacoli di Magia», esecrati in qualche tardo
passo vedico e in tutto l'Avesta, sono esseri magici semiumani, cosi
pure i Vidyiidhara, che si librano attraverso l' aria come i Kefin ve­
dici. I Vidyiidhara, al contrario degli Yiitudhiina, sono considerati es­
seri soccorrevoli che, in antico, erano stati incarnati come uomini. La
loro sede è preferil:1ilmente immaginata nelle alte valli dello Hima­
laya.
I Bhiita, «Elementi», o Preta («pra-ita» , «Trapassati»), sono, invece,
dei Lemuri, spettri di uomini morti di morte violenta, che occorre
placare e propiziarsi con oblaz ioni e sacrifici vari.
ALTRE DIVINITA E SETTE 175

I Vetiila, simili a i precedent i , sono lemuri che talvolta ani mano i


cadaveri , talvolta si comport ano nei riguardi degli esseri umani come
dei vam piri , talaltra , invece , d ispensano insegnamenti di grande sag­
gezza. Secondo il noto principio dell ' am bivalenza del mondo divino
minore , essi possono essere sia nocivi fino al limite mortal e , che salva­
tori : in alcu ne forme tantriche , ove fungono da servitori di Siva ( così
come le varie Yogini, «Adept e allo Yoga» , e altri esseri terrificanti) ,
eserc i t ano importan t i compit i . In certe forme di magia ce�imon iale ,
rnme quelle proprie ad alcune sette h i m alayane (cfr. gli Si- by ed-pa
tibetan i ) , essi vengono evocati quale proiezione percepibile di ele­
menti negat ivi della persona umana: lo y ogin , poi , li risolve , subli­
mandoli con le tecniche delle q uali si è già parlat o .
Poco variate o , meglio , amplificate sembrano essere le fun zioni
dei Gandharva nell ' H induismo , rispetto ai tempi vedici . Can tori e
musici al servizio di Indra, vivono in meragliose città in compagnia
delle Apsaras , loro compagne ed amanti . La loro fun zione resta sem­
pre di genere erot ico : ispirano inoltre la passione per il vino , il gioco e
il can t o . Si dire che l ' i n t ervento di un Gandharva è indispensabile af­
finché una donna concepisca e viene pertan to , ch iamato « Gandhar­
va» quel l ' essere , propaggine d i un ' esistenza anteriore che, nel l ' ateo
della concezion e , entra nel grem bo femminile come em brione . I
Gandharva sono anche ritenuti impen itenti cacciatori di don n e che
essi , sot to travest imento umano , cercano di possedere : il rito della di­
visione fra i nuovi sposi con un bastone posto sul talamo nuziale ha lo
scopo d ' impedire al Gandharva di sost ituirsi al marito , cagion ando
impotenza a quest ' u lt imo. Una specie di Gandharva che , anche nel
suono del nome ricordano i Cenrauri dell ' A n t ichità, sono i Kinnara
( t' t imo popol are : «sono essi uomini» ( nara) ? ) o Kùp -puru!a, raffigu­
rat i con busto di uomo C' rorpo di cavall0 0 di uccello , servitori e mu­
sici al servizio di Kubt'rd .
10. Luoghi ed Entità numinose

Nella folla degli esseri, non tutti totalmente divini, che gli Indiani
venerano o adorano , abbiamo in primo luogo le sorgenti di quasi tut­
t i i fiumi dell'India , specialmente il Gange, Ganga, nata dai piedi di
ViJ�U e trattenuta nella sua discesa da Siva, affin ché il suo peso non
schiacci la Terra. Si dice che questa dea abbia un triplice corso, per­
ché fluisce in cielo , sul suolo e sotto terra. Fra gli animali è sacra prin­
cipalmente la Vacca (g o , gauh), sulla cui simbologia ci siamo già di­
lungati a proposito dei Veda. La vacca per eccellenza è la Kama­
dhuk, cioè la Vacca di Prthu, detta anche Surabhi («la Ben Profuma­
ta»), nata dal frullamento del mare. La espressione Go-loka, «Mondo
delle Vacche», indica uno dei cieli brahmanici o la regione ove Kn�a
si dilettava con le pastorelle di vacche (g opz), detta anche Go-kula. Il
dono della vacca è la ricompensa, menzionata più volte nelle Upani­
�ad e nei testi della smrti, che si dava ai bràhmal)a e i cinque prodotti
della vacca (panca-gavya, cioè latte, burro, quaglio , urina e sterco)
sono ritenuti essere gli ingredienti rituali purificatori e medicamento­
si per eccellenza. Il culto popolare della vacca è invero uno degli ele­
menti più impressionanti della religiosità indiana popolare, nonché
uno dei problemi igienico-sociali più gravi nell'India moderna, dato
il pullulare nelle cit tà di queste bestie assolutamente incoercibili alle
quali non si può recare offesa né morte misericordiosa, allorché sono
vecchie e malate.

Il rnlto del serpente, invece, sembra essere di origine pre-arya, da­


te le forme assunte in India e la sua presenza fra le popolazioni abori­
gene primarie di tipo australoide e munda , anche fuori dall' area
st ret t amente indiana. In ogni caso i Veda già conoscono l'oblazione
ai serpenti (sarpa-balz), successivamente giustificata come l'espiazio­
ne del fat t o rnn cui inizia la narrazione del Mahàbharata, sul quale si
fonda anrhe il rarconto del Bhagavata pura,;ia. Avendo il re dei ser­
pent i, Takiaka, morso il re Parikfit, in seguito ad una maledizione da
questi rirevuta , suo figliojanamejaya derise di distruggere tutti i ret­
tili, mediante un sacrificio speciale i rni esorcismi li avrebbero co­
strett i a but tarsi nel fuoco. Così avvenne , salvo che per Takfaka , il
quale fu salvato per intercessione del saggio A !(aka. Da questo even-
LUOGHI ED ENTITA NUMINOSE 177

to mit ico deriva l ' oblazione suaccennata. Il serpente è , inoltre , vene­


rat o (ancorché giustamente temuto in un Paese , come l ' India, infe­
stato d� tale specie di animali) perché simbolo terrestre del gran ser­
pen te Se.fa o Ananta, sul quale giace assopito Vz°f?'lu n el l ' i n tervallo fra
un ciclo e l ' altro . Piuttosto sfumato nella memoria mitica collettiva è
il ricordo della «Serpe degli A bissi» (Ahir budhnyal;) , che sembra
piut tosto rial l acciarsi alla figura del Drago nei miti di altre popolazio­
� i i � doeuro pee , i n particolare dello Azi Dahiika, «Serpe bruciante» ,
iran ico .
Gli Indiani venerano e rispettano molti altri animal i , sia per ragio­
r.i direttamen te religiose ( che t alvolta hanno un ' origine totemica
pre- aria) , sia per l ' i n n ata ripugnanza che h a ogni I ndiano a versare il
sangue di animal i , la quale si concreta nel famoso precetto buddhista
e jaina: ahif!Jsa paramo dharmab , «il non-uccidere è suprema legge» .
Ciò non impedisce , n atural mente, i sacrifici cruenti alle varie Dee ,
specie a Durga-Kiili, alla quale vengono offerti talora , ancor oggi , sa­
crifici umani o suicidi oblatori da pane dei suoi devoti esortati in so­
gno ad immolarsi per la dea. Inoltre le Upan i�ad e altri testi relat iva­
mente antich i , oltre alle test imonian ze del Canone budd h ista, ci mo­
strano un quadro della società indiana non totalmente vegetariana , o
scarsamente carn ivora , come è quella odierna : tori , cavall i , vacche ve­
nivano tran quil lamente sacrificati anche in numero ri levante e consu­
mati dagli oblatori ( t alvolta, seppur raramen t e , ven ivano compiuti
sacrifici uman i ) . Con il progressivo brah manizzarsi di una società che
in origine conservava vivo il retaggio pastorale asiatico-centrale degli
Arya, molti animali sono diventati ritual mente impuri (come i l pe­
sce , gli asi n i e i can i , i quali ricordano - come presso i Greci - il
guardiano degli Inferi ) , altri , invece , sono stati eliminati dalla dieta
alimen t are per ragion i opposte e , cioè , perché erano sacri a questa o
quella divin ità . Del resto , la famil iarità e la pazienza con ogn i specie
di an imal i , in un paese , che letteral mente pullula di bestie di ogn i
di mension e , è uno dei caratteri p i ù notevoli del l ' In diano medio .
Oltre alle vacche, sacre o n o , che i ngom brano gli agglomerati ur­
ban i ind ian i , nei pressi dei templi vigmiti e presso i luogh i sacri alla
memoria d i qualche personaggio ( anche mussulman o , come l ' impe­
ratore Akbar! ) vivono e si moltiplicano indisturbate , circondate dalla
veneraz ione popolare , orde d i scimmie ( probabilmente in ricordo
del l ' armata delle scimmie condotta da Sugriva e Hanumant in aiuto
a Rama, per la riconquista della rapita Sita) . Anche gli elefanti sono
molto venerat i - ma non per ciò esentati dai lavori agricol i od altri
- perché simbolo vivente di saggezza e forz a , veicol i , pertanto di
Gane.fa e di Indra ( elefante Airavata) e immagi n i viventi degli «otto
guardiani delle regioni». Venerata è pure l ' anatra selvatica , poetica­
ment e «il cigno» , cioè l ' uccello haf!Jsa/.J , simbolo del sole, del l ' etern i­
tà e del l ' anima m igrat rice fra mondi , abitante mitologico del sacro
lago Manasa ( i l Mana.rarrJ11ar sulle pendici dello Himalaya, v . infra) .
1 78 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

In genere , gli uccelli sono circondati da una venerazione dovuta, sia a


ragioni retigiose , sia a reminiscenze letterarie , specialmente di carat­
tere erotizzante. Il rncciatore nella civiltà indiana è considerato gene­
ralmente sinonimo di aborigeno non-ario, salvo che - almeno nella
letteratura - la figura del re o del guerriero, dedito furiosamente
all'arte venatoria, come Dufyanta che scopre Sakuntala durante una
battuta alle gazzelle, o Dafaratha, padre di Ràma, cacciatore incalli­
to, che uccide un asceta tirando una frecciata al buio convinto di col­
pire un elefante. Sia i testi ri tuali brahmanici che quelli buddhistici
stigmatizzano severamente coloro che osano uccidere la tigre , atto
equivalente all'omicidio di un brahmaQa (e dire che le tigri erano si­
no a poco tempo fa una piaga nazionale in India! ).
Come il mondo animale è percepito dall' hindu quale esteriorizza­
zione delle forze vitali , che nell'interiorità fisica dell'uomo operano
al livello sognante , ancor più vivacemente è sentita dall'Indiano la sa­
certà del mondo vegetale. Già negli strati aborigeni della popolazio­
ne l'albero è concepito in generale come un essere sacro, sede numi­
nosa di geni che bisogna propiziarsi, poiché possono essere temibili ,
come invece benefici e risanatori. Norme severe regolano l'abbatti­
mento delle piante e perfino la raccolta della legna per il fuoco do­
mestico, o di alberi caduti per l'erezione di pali sacri (y11pa) . Nel Sud
ogni tempio ha il cosiddetto sthala- vrk.ra, «albero di fondazione», che
è la sede naturale della deità venerata e contemporaneamente l'ar­
chetipo spirituale del tempio stesso. Esiste un albero in India , I ' afvat­
tha o pippala (Ficus religiosa Lynnaet) , che è considerato simbolo vi­
vente e del cosmo e dell'uomo, in quanto essere spirituale. Testi fa­
mosi , come la Bhagavad-gita raffigurano l'uomo-cosmo come un a­
fvattha con le radici rivolte verso il ciel0 , significando che esso trae la
sua vita ed il suo alimento dalle superiori sfere del Brahman . L'afvat­
tha è ritenuto essere l' albero nel quale risiede la Trimurti, soggiorno
delle anime dei trapassati e, al tempo stesso, il simbolo della fecondi­
tà; si dice anche che esso contenga, come femmina, Agni nel suo se­
no e, come masch io, lo susciti mediante il soffregamento del legno
da lui tratto. Simbolismo cosmico simile è pure attibuito al vara o
nyagrodha (Ficus indica Roxb . ) , il baniano dalle radici aeree consa­
crato a Siva; il nimba (Azaddirachta indica]uss. ) sacro a Kali; l ' afoka
Uonesia Asoka Roxb . ) , albero dalla fioritura meravigliosa celebrato
nella letteratura e nella iconografia , al quale vanno le donne a chie­
dere il dono della fecondità, eccetera. Né sono di meno venerati i fio­
ri, poiché le loro ghirlande sono lo strumento principale per quella
forma di adorazione detta puja (v. infra) , in particolare per la pujà
ta'n trica : i vari fiori, come del resto accade anche in Occidente, sono
ritenuti simboli di particolari sentimenti che il misticismo e la litur­
gia sublimano quali proiezioni di stati sovrasensibili dell'anima .
Egualmente sono venerate molte erbe ed arbusti, perché portatrici di
virtù risanatrici proprie ad alcuni dèi , o strumenti di offerta liturgica.
LUOGHI ED ENTITA NUMINOSE 1 79

In epoca vedica il soma era il vegetale più famoso, dato che se ne


estraeva il succo inebriante: si dice che l'attuale dimenticanza della
pianta a cui identificarlo dipenda dalla decadenza dell'umanità
odierna, che più non si merita l'ebbrezza sacra che esso suscitava.
L'erba kufa (Poa cynosuroùles Retz.) ed il darbha (Saccharum cy­
lindn·cum Lambk.) sono usate ancora oggi come strato sull'altare per
deporvi le offerte, o come seggio per gli asceti meditanti, oppure per
venire impugnate durante riti particolari (come il baresman zoroa­
striano in ambiente iranico). La tu/asi ( Ocymum sanctum Lynn. ) o
basilico, è sacro a Vtjriu. Il loto (padma, kamala, utpala) è forse l'ele­
mento del mondo vegetale che in sé assomma la massima venerazio­
ne ed ammirazione, sia come elemento culturale e liturgico sia come
simbolo microcosmico (si pensi soltanto ai centri sottili dell'organi­
smo umano, detti appunto «loti>, oltre che «cerchi>) sia ancora come
emblema mistico (yantra tantrici). La poesia, inoltre si effonde a lo­
dare i diversi tipi di loto, che si aprono di giorno o di notte, assumen­
doli come termini di paragone per la bellezza dei suoi protagonisti .
Le pietre, in particolare le gemme, sono ritenute sede di spiriti o
prodotti di esseri sovrannaturali: si crede, infatti, che siano i fram­
menti del corpo dell'asura Baia, folgorato dagli dèi. Ognuna - co­
me avveniva nell'Occidente antico - è ritenuta a possedere una virtù
particolare derivante da una delle massime divinità, oppure dal nu­
me reggitore di una sfera planetaria. Oltre alle concrezioni calcaree
(le «pietre>) dovute a malattia o a formazioni naturali, che si trovano
nella testa dell'uomo, dei serpenti e delle rane, dotate da poteri ma­
gici, gli Indiani hanno avuto care sin dai tempi remoti le pietre pre­
ziose oppure rare . Il diamante (vajra, «folgore>) è il simbolo filosofico
dell'Assoluto e del corpo spirituale (vajra-kaya), che solo i massimi
siddha possono conquistare ed inverare in se medesimi: esso si divide
in nove «caste> a seconda della luce e della regione di provenienza,
ecc . . . Il cintamaf}i è la «pietra che soddisfa ogni desiderio>, (cinta),
cioè la pietra filosofale delle trasmutazioni, variamente identificata.
Fra le diverse origini attribuite alla perla c'è quella, comune ad altri
popoli, che sia nata da una goccia di pioggia caduta nella conchiglia
sotto il segno di Svati (Arcturus, la 1 5 a casa lunare). Fra le ptetre che
si scelgono per erigere il lii}ga, cioè il simbolo fallico sacro a Siva, vi è
il falagrama, dal nome della località ove lo si rinviene, presso il fiume
Gandaki: esso è l'ammonite a nove sfumature, riferite ai nove avatara
prin�ipali di Vi.ffJ U diventata simbolo del suo disço, in virtù della sua
vaga rassomiglianza a tale oggetto. Il simbolo di Siva, invece, è un'al­
tra pietra, detta narmadefvara, per il fatto che la si trova nei pressi
della Narmada: in genere vengono venerate o tenute per amuleti tut­
te le pietre cristalline di forma ovoidale, dette in hindi fiv-JÌ ki pilli.
Il Sole ha come simbolo terrestre il cristallo di rocca, siirya-kanta, che
trasforma . i suoi raggi in fuoco; la «pietra di Luna>, candra-kanta, è
naturalmente il simbolo dell'omonimo pianeta: è comune credenza
180 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

che questa pietra, sotto i raggi del pallido pianeta notturno, essudi
gocce d'acqua. Simbolo di Durga è la svaT?Ja- rekha (specie di pepita
aurea, che si trova nel Sud), quello di Ga1'_1efa è una pietra analoga, lo
svaT?Ja- bhadra che si rinviene nella regione di Patna.
La pietra, specialmente per sette alchemiche indiane (rasayana si­
vaita), è considerata come una forma spirituale, un suono, rappresa
che, pur nella fisicità non abbia perduto la virtu delle potenze celesti
che in essa si riflettono, che il tapas dell'asceta può far rivivere com­
pletamente. Come «memento» quotidiano di questi poteri, occulti
reggitori del destino umano, della forza, salute, fecondità ed alimen­
to, in quasi tutti i villaggi indiani si trovano alcune pietre sacre, di
fo,ma generalmente fallica, nelle quali si concentra un potere magi­
co, oppure una sacertà indeterminata. Ad esse si collega in genere il
culto dei serpenti.
Al culto reso alla terra, ai fiumi ed agli astri, è connessa la venera­
zione con cui gli Indiani riguardano parecchie montagne, non solo
per il fatto generico che, in tutte le culture, la montagna è simbolo di
«polarità» ed «altezza», quindi sorgente di ispirazione estatica, ma
anche, per la stessa origtne geografica e storica, di alcune fra le mag­
giori divinità indiane ( Siva, originariamente adorato sullo Jaguifa e
nella zona montuosa nord-ovest dell'India; Visnu-Krsna venerato sul
Govardhana, eccetera). Il monte per eccelleni� è ii "già citato Meru,
che si eleva sotto la stella polare Dhruva, che probabilmente al tem­
po dei Veda doveva corrispondere, piuttosto che alla stella attuale,
all'«alfa» ( Thuban) del Draco, o alla «beta» dell' Orsa Minore, asse
dell'Universo, attorno al quale sono disposte le residenze divine, fra
le quali il paradiso di Brahma, quello di Indra, quello di Vi[1'}U ( Vai­
kuf!/ha) , il Katlasa di Siva,eccetera. Il Meru, o Su-meru, è la base del­
le rappresentazioni mistico-cosmologiche degli Indiani che, poi, si
sono diffuse in tutta l'Asia orientale compreso il Tibet. Per i Purlir;ia,
la Terra è un loto, di cui il Meru forma il pericarpo; attorno a questo
monte sono ripartiti i quattro continenti (dvipa, «isole», circondati a
loro volta dall'Oceano vedico il fiume Rasa (la Ranha avestica), o
sam- udra, «insieme delle acque», oppure sagara, dal nome del re di
Ayodhya, Sagara, al quale Indra aveva rubato il cavallo sacrificale,
sicché i suoi 60 mila figli, scavando la terra per cercarlo, allargarono
smisuratamente il letto del mare, che finì per prendere il nome del
loro padre).
Un'altra concezione, di probabile origine iranica, se non sumero­
babilonese, vuole che attorno al monte Meru siano disposti concen­
tricamente sette paralleli detti var[a ( «pioggia», nel senso di clima
naturale) . La prima di queste regioni è, naturalmente, l'India detta
Jambu-dvipa («Isola» dijambu, l'albero Eugenia jumbolana Lambk. )
o Bharata- var-!a («Clima di Bharata» dal nome del mitico antenato
della tribu omonima protagonista del Maha-bharata). A sud del Me­
ru, dal quale s'immagina che sgorghi il Brahmaputra, l'Indo e il Su-
LUOGHI ED ENTITÀ NUMINOSE 18 1

tlej ecc. , vi è lo Himalaya (Himavant), sposo dell'apsaras Menaka,


padre di Gangli e di Parvati, la rediviva Durga sposa di Siva. Ai meri­
dionali Vindhya è connessa, come si è accennato, la leggenda di Ag a­
sty a, il Govardhana è sacro per le avventure di Krn1a, mentre il Man­
dar, nell'attuale Berar, sdoppiamento di un altro Mandar nell'estre­
mo Nord, ha collaborato con gli dèi al famoso frullamento del mare.
Il Mahendra ( Picco di Adamo nell'estremo Sud) , omonimo di un al­
tro monte al nord sacro a Siva, fu visitato da Indra e fu da là che Ha­
numant spiccò il celebre balzo che lo fece penetrare nella città di Ra­
vana a Lanka.
Se l'ecc�lsa altezza dei monti indiani li rende oggetto di venerazio­
ne, da parte di un popolo incline a ravvisare la presenza del sacro ove
la maestà dei luoghi li renda oggetto di ammirazione, il suo senti­
mento religioso è particolarmete esaltato nei cosiddetti tirtha (etim.
«guado»), luoghi resi sacri da un lago, uno stagno o dalla confluenza
fra due fiumi, insomma dalla presenza dell'acqua, purificatrice e vi­
vificatrice per eccellenza. lvi sorgono templi famosi e luoghi di culto,
ai quali, in date stagioni, accorrono sterminate folle di pellegrini. Il
più celebre tirtha è, probabilmente, la confluenza a Prayag a ( Allah1l­
bad) fra i fiumi-deità Gang a ( Gange) «dalle acque chiare» e Yamuna
Oumna), figlia del Sole e sorella di Yama, «dalle acque oscure», non­
ché l'invisibile Sarasvati (v. infra), oppure il lago Manasarovar ai pie­
di del Kailasa. Ai tirtha sono assimilate città sante come Kafi o Vara­
f!asi (Benares), ove si discende al Gange per i cinque sacri gradini
(g hata), Han·dvara («la Porta per Vtjriu), ove il Gange dilaga nella
piana gangetica, Ay odhya Audh), patria di Rama, Dvaraka, ove
Km1a condusse gli Yadava, Mathura, sua patria, Kajipuram (Conjee­
veram) ed Ujjay ini ( Avanti, oppure Ujjain). Queste ultime costitui­
scono la costellazione ideale delle sette città sacre, alle quali vanno
aggiunti di vari pifha, i luoghi ove, secondo il mito già qui trattato,
caddero le membra di Parvati frantumata dal disco di VtjtJU, oppure
secondo le tradizioni tantriche sivaite e buddhiste, i luoghi nei quali
fu rivelato un particolare ciclo tantrico.
1 1 . Riti e pratiche liturgiche

I pitha ed i tirtha sono per l'Indiano medio, amantissimo di pelle­


grinaggi, la proiezione geografica di eventi spirituali, che egli cerca di
ricreare nel suo spirito, ivi meditando e rivivendo interiormente i
drammi eroici o divini, che in quei luoghi ebbero il loro scenario. Il
conseguimento di questa catarsi, questo distacco dalla transeunte
personalità quotidiana, è lo scopo ultimo di quasi tutta la letteratura
indiana, sia essa didascalica, che filosofica, scientifica, filologica, epi­
ca, drammatica e lirica. I tre gradini della scala dei valori, kama (il
piacere sensibile), artha (l'utile), dharma (il bene spirituale), posso­
no singolarmente, se adempiuti con perfezione e consapevolezza,
menare al bene supremo, cioè la Liberazione (mukti, mokfa): ognu­
no di essi è una scienza completa, riflessa nei mondi spirituali e rive­
lata da un dio, il cui compimento implica la perfezione interiore e la
virtù del distacco da parte di chi voglia conseguirla. Si ha, quindi, il
fatto stupefacente per molti Occidentali, che i vari Kama-fastra, trat­
tati dell'amore erotico, o gli Artha-fastra, trattati di politica, siano
stati esposti nel sanscrito più classico da brahma9a di elevata catego­
ria a discepoli regali, come insegnamento procedente da una sfera es­
senzialmente religiosa. Il principio fondamentale al quale si confor­
ma il discepolo indiano è quello di risalire dall'arte parti_çolare all'ar­
chetipo divino che ne è la sorgente, come, ad esempio, Siva Nataraja
è l'archetipo delle arti coreutiche e drammatiche. La condizione che
permette tale compimento è lo stato sacro, che separa l'individuo
dalla necessità contingente, facendolo riconvergere verso le fonti divi­
ne del suo stesso essere. Questa consacrazione (dik,fa), può essere con­
tingente ad una determinata necessità cultuale, o ad una funzione
sociale (come I'abhistjka, battesimo regale), oppure può essere inizia­
tica, implicante, cioè una totale trasformazione interiore, fino al
punto denotato dallo Yogacara buddhistico come «revulsione
dell'appoggio» (afraya-paravrttz). L'apice di questa realizzazione, che
trascende il cosiddetto trivarga (tripartizione: kàma, artha, dharma)
è, appunto la Liberazione, detta anche ni/;-freyasa, cciò di cui non vi
è meglio», per cui l'uomo esaurisce il proprio karman, sfuggendo al
ciclo delle rinascite e, quindi, dal samsara, sciogliendosi da ogni mac­
chia (mala), nata dall'Ignoranza radicale (avidyà).
Tre sono le vie che si aprono per chi voglia conseguire questa rige-
RITI E PRATICHE LITURGICHE 183

nerazione spirituale . Una scienza, o , meglio detto, una Gnosi (j;;ana)


che a �bia come veicolo una delle tante_ forme di Yoga; una grazia im­
provvisa (lo Jakti-pata, «caduta della Sakti») con la quale la Divinità
si rivela improvvisamente all'uomo prescelto, trasformandolo total­
mente - anche questa , per<) , secondata dal frutto di azioni compiu­
te in infinite esistenze precedenti. Infine, una minuziosa catarsi , fon­
data sull'osservanza del Dharma, cioè la legge morale e della legge
religiosa , che, secondo la casistica indiana , si ripartisce in otto vie pa­
rallele: sacrificio, preghiera, dono , ascesi , verità , pazienza, dominio
di se stessi , distacco dai beni . Il Dharma è posto, nei testi classici , al
di sopra della Liberazione medesima: «La tua ascesi è vana» , dice un
cacciatore ( quindi un uomo di casta bassissima) ad un brahmaQa «se i
tuoi genitori sono nella tristezza! ». I grandi eroi , come Rama od Ar­
juna, non tengono al paradiso , che è una delle tante forme dell'esi­
stenza condizionata, e neppure alla Liberazione , quanto a compiere
il proprio dovere (sva-dharma) di sovrani o, più semplicemente , di
guerrieri .
Rama, obbedendo al dharma regale che gli impone di proteggere e
contentare i sudditi , sempre , abbandona Sita nella foresta, benché
sia innocente . Nel caso più pratico ed universale, il dharma consiste
nell'osservanza dei doveri inerenti alla propria casta , in primo luogo
quelli religiosi , che si articolano negli innumerevoli riti delle liturgie
comuni o di quelle settarie. La straordinaria varietà rituale e, allo
stesso tempo, la pratica universale della bhakti nel senso di «devozio­
ne estatica» ed immedesimazione nella persona di Dio , rende accessi­
bile la pratica religiosa alla grandissima massa della popolazione ,
compresi gli Judra, i fuori-casta e le donne che, in epoca tardo-vedica
erano esclusi dalla comunione religiosa. Si assiste, quindi , al parados­
so per il quale. da una parte , la moltiplicazione delle caste in innu­
merevoli sottocaste ha generato altrettanti gruppi endogamici rigoro­
samente separati dal punto di vista liturgico, mentre , dall'altra, la
diffusione delle pratiche settarie, specialmente quelle di origine tan­
trica , tende a unire quotidianamente enormi masse di «hindu», di­
versi per casta , razza, lingua e costume , nella pratica religiosa . Nono­
stante le pretese corporative e professionali dei brahmar:ia, fondate su
ragioni rituali e genealogiche , il potere spirituale vero e proprio è di
là delle caste. La stessa divisione della vita nei diversi stadi (gli lifra­
ma) che progressivamente avvicinano l'uomo alla condizione di
«svincolato» , nirgrantha, o di «distaccato», sa1{tnyasin , conduce fuori
dall'ordinamento terreno delle caste . Nella società indiana, dai tem­
pi vedici al giorno d'oggi , i detentori effettivi del potere religioso, li­
beramente riconosciuti da tutte le classi del popolo, sono i sadhu, che
impersonano l'ideale della santità, i siddha, cioè «i Riusciti», deten­
tori di poteri sovrannaturali , i jivan-mukta, o «liberati m vita» che, di
là dall'apparenza fisica destinata a disciogliersi con la morte o la spa­
rizione volontaria, hanno in sé inverato il Supremo Spirito, quindi ,
1 84 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

spezzato la ruota delle rinascite: così pure sono i Mahatman, «i Ma­


gnanimi» , o i Pararia-haf!tSIZ, «i Supremi haf!tsal;» che, pur nella loro
parvenza umana, sono in realtà gli occulti reggitori di un'epoca ed i
rivelatori di nuove vie alla Liberazione (v. nell'epoca contemporanea
i vari Ramakrsna Paramahamsa , Ramana Maharsi, Aurobindo Ghosh,
etc. , v. infr�j : Vi sono, qui�di, nella s�cietà religiosa e civile indiana
due gerarchie reciprocamente «perpendicolari»: una è quella delle ca­
ste, endogamica, liturgica e professionale, e l'altra, che è di ordine
esoterico , è fondata sulla qualificazione individuale , sul presunto
rapporto mistico del singolo con lo Spirito universale. In questa se­
conda domina la figura del Maestro , il guru, la guida in cui si presu­
me che si sia realizzata in modo permanente l'esperienza di una veri­
tà trascendente: egli è, per antonomasia, di là dalle caste, ati-va171a, e
non è neppure tenuto ad atti di culto verso la divinità , di cui è ritenu­
to essere la personificazione temporale. Questa contraddizione nella
società è molto ben rappresentata dalla condizione della donna. Da
una pane. essa soggiace ad una serie lunghissima di interdizioni risa­
lenti all'epoca vedica, le quali la assimilano più o meno ai fiidra, ren­
dendola incapace di accedere ai riti, leggere i Veda, eccetera: nei
drammi classici, perfino , le donne non parlano sanscrito ma un ver­
nacolo che hanno in comune con i servi e le persone inferiori.
Tanto più grave è questa impurità della donna, anche se di casta
arya, in quanto non esiste prayafcitta adatto a conferirle una piena
capacità religiosa e quindi sociale, che non ha mai posseduto. La don­
na, inoltre , è considerata come «creatura fatta di libidine» , con il
compito di distrarre l'uomo dalla meditazione (la quale, fondamen­
talmente, avrebbe in teoria lo scopo di sublimare le funzioni vitali in
un ambito spirituale: ùrdhva-retas, «che ha portato in alto (nell'in­
tercilio) lo sperma» , è il termine con cui si denota un asceta di classe
superiore). «Guardarsi dalla moglie» è uno dei precetti fondamentali
per il brahma�a praticante. Le accidenze fisiologiche della donna co­
stituiscono altro motivo per la sua impurità, nonostante che esse ven­
gano, assai singolarmente, identificate al «necessario delitto» com­
messo da Indra, allorché spezzò con il vajra le «montagne-nuvole» ,
cioè il demone Vrtra, affinché le acque fecondanti e salutari potessero
cadere sulla terra. La condizione della donna hindu relegata nei gine­
cei, maritata bambina e costretta a salire viva sulla pira del marito al­
lorché questi moriva (è la cosiddetta sati, «la Essente» , la buona spo­
sa) peggiorò enormemente durante i secoli delle irruzioni islamiche e
della dominazione delle varie dinastie turche e moghol, fatte le debi­
te eccezioni, in quanto essa era l'anello più fragile di una società per­
seguitata . Con tutto ciò , i testi Brahmaoa, l'epopea e, spesso, il
dramma attribuiscono alla donna , come sposa, madre e fidanzata, la
precedenza a re e sacerdoti: le figure di donne, già umanamente vis­
sute, come Arundhati e Savitri, ornano le preghiere quotidiane
dell'Indiano osservante e vengono evocate nei riti solenni. Nei riti
RITI E PRATICHE LITURGICHE 185

settari v! �•,r niti e, ancora d i più, i n quelli fiikta l a donna assurge ad


una p� smo_ne e ! evata: es�a rappresenta, sulla terra, la sposa del dio,
la damce d1 sapienza e vita, nonché di morte, più o meno come nei
mist_eri _del mondo a!l tico occidentale che ruotavano attorno alle figu­
re d1 C1bele, Artemide e Persephone, come già si è accennato a pro­
posito dei riti settari.

Non è facile orientarsi nella complessa ritualistica hindu . Le prati­


che religiose si possono dividere «grosso modo» in riti brahmanici, o
comunque ereditati dall'epoca ario-vedica, riti innovati nelle succes­
sive fasi religiose, riti e liturgie settarie, nei quali si ha una straordina­
ria reviviscenza di culti indigeni pre-ari risalenti ad un remotissimo
passato, pratiche espiatorie, ascetiche, propiziatorie generalmente
connesse a culti gnostico-settari, le quali costituiscono, praticamente,
l'attenuazione, quindi la ritualizzazione liturgica di quelle che in
origine erano esperienze di ordine mistico. A queste si aggiungono
innumerevoli feste stagionali e celebrazioni ricorrenti dei fatti narrati
nei diversi miti, dei quali si è già data ragione. I riti vedici, se si eccet­
tuano la loro parziale reviviscenza nel culto smiirta ( v. ) e quelli propri
alla liturgia privata (matrimonio, consacrazione dei vari aframa, inve­
stitura del cordone sacrificale, eccetera), sono quasi scomparsi, e per la
loro intrinseca difficoltà e per le alterate condizioni politico-sociali
che difficilmente permettono l'esecuzione dei riti solenni, come era­
no quelli srauta (afvamedha, viijapeya eccetera). Le innovazioni for­
mali della liturgia brahmanica sono da addebitarsi soprattutto al
Tantra ( ciò che dimostra, fra l'altro, l' ampia base di consenso popo­
lare a quelli che dovrebbero essere riti riservati ad un'eletta accolta di
iniziati), i quali conferiscono importanza preminente all'elemento di
interiorizzazione «magica», cioè all'orientamento interiore dell'oran­
te. La preghiera diventa, pertanto, giaculatoria, japa, che agisce «ex
opere operato»; il sacrificio è sostituito dall'omaggio rituale, pii/ii, ri­
volto ad un'immagine la quale, con diversi procedimenti, viene
«emanata» dall'orante, indi imaginata e, finalmente, realizzata come
elemento interiore del celebrante. Il tempio, praticamente sconosciu­
to nei Veda, diventa il centro della vita religiosa ed assume la struttu­
ra di un ma,it/ala, cioè una proiezione di un mondo spirituale entro
lo spazio sensibile, che ripete nella sua struttura la costituzione sottile
dello stesso uomo. La liturgia templare, ignota ai Veda, diventa rito
collettivo e sociale, una «sacra rappresentazione» con finalità di ordi­
ne estatico, per la comunione con il dio di tutti i partecipanti.
Per quanto riguarda la preghiera, già in epoca vedica si conosceva il
valore magico, efficiente, della parola rettamente pronunciata. Come
i romani indigitamenta, il siikta vedico operava nel mondo oggetti­
vo, in quanto rettamente articolato ed intonato. Il brahman assisteva
al rito proprio per «medicarlo» degli eventuali errori. L'articolazione
del pensiero ( rad. man-) in un insieme di sillabe (a-ks_ara, «indistrut-
186 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

tibili») che convogliano un suono: tale è il senso primo del termine


mantra, che ·nei Veda ha il senso di inno-preghiera. Nel tantrismo al­
la recitazione, patha, della preghiera si sostituisce la giaculatoria, ja­
pa, che consiste nella ripetizione (audibile, o sussurrata, o meramen­
te pensata) del mantra ridotto nella sua forma più sintetica ( quella
che nel Buddhismo settentrionale verrà chiamata dhiirar,i) . Questo
japa conduce ali'interiorizzazione del mantra, quindi al risveglio, en­
tro la coscienza dell'orante, del suo archetipo che è il significato stes­
so del dio o, comunque, dell'oggetto evocato: in tale modo il mantra
conduce all'ottenimento di poteri magici (siddht) . Il Tantrismo inse­
gna tipi di giaculatorie dette kullukii, «sulla testa», setu, «ponte», en­
tro il cuore, che hanno diversa efficienza. Il japa è straordinariamente
più efficace allorché è inserito nel ritmo respiratorio, sicché l'atten­
zione della mente non è distratta dagli oggetti esteriori: è il cosiddet­
to metodo haf!Z-sab (in cui la m e I'h, simboleggiano i due poli,
puru!a-prakrti, del Creato, oppure il punto di pura consistenza in se
medesimo, bindu,e l'atto della emissione creativa, visarga) , che può
durare giornate intere. Il puro e semplice respiro seguito con atten­
zione inflessibile per una intera giornata di 24 ore, costituisce il co­
siddetto a-japa-mantra; come dire «il mantra non-pronunciato», cioè
I'«adorazione continua» costituita da quelle 2 1. 600 giaculatorie che
sono le altrettante inspirazioni ed espirazioni che si compiono in tale
spazio di tempo, cifra talvolta ragguagliabile approssimativamente a
quella degli anni in cui si verifica la totale precessione degli equinozi:
l'esercizio di tale pratica corrisponde, pertanto, ali' interiorizzazione
di un «giorno del Brahman» .
I mantra più comuni sono delle litanie (stotra) che riassumono la
dottrina di una setta, o la manifestazione di devozione verso una di­
vinità, oppure ancora la sequela di nomi con cui si evoca una deità
P,articolare, che possono essere mille (sahasra-niiman) come quelli di
Siva o di Vtj1',lu o della Devi. Pratica comune è la ripetizione, talvolta
nel numero sacro 1 08, di un mantra (purafcaratza) . Esempi di mantra
sono, quelli sivaiti «namal; fivaya» , «omaggio a Siva», fivo 'haf!Z , «io
sono Siva», e quelli viHmiti del genere: namo ramiiya, «omaggio a
Rama», frt-kr,'!ab faratiam , «il Signore Km1a mi è rifugio», dei man­
tra tantrici: so 'haf!Z , «io sono Lui», e, sa 'haf!Z , «io sono Lei», si è già
parlato. In questi, come nella sillaba 0 1('t si ha la sintesi estre­
ma di una dottrina, di una fede e di un' esperienza. Per quest'ul­
timo mantra piace ricordare la prescrizione data da uno dei principali
testi tantrici, la Gheratzc/a-saf!Zhita (VI, v. 1 7 ) : « . . . quello splendore
essenziato della sillaba O:fyi si mediti, congiunto alla vampa ( tejas) ,
fra i due sopraccigli, al di sopra del mentale ( manas) . . . » tanto per ri­
cordare come l' evocazione di un' idea-parola venga dagli Indiani to­
talmente interiorizzata, ad un livello, addirittura, di corrispondenza
fisica .
Il mantra-preghiera di tipo vedico ancor oggi quotidianamente re-
RITI E PRATICHE LlTURGICHE 18 7

citato dagli appartenenti alle caste arya, sia nella modalità invocato­
ria, che in quella interiorizzata di tipo tantrico,(v. più avanti il rito
siindhya) è la celebre e bella giiyatrf ( o siivitrf, perchè diretta a
Savitar) , il cui testo sanscrito suona: «tat savitur vare1'}ya,rt bhargo de­
vasya dhimahi - dhiyo yo nal; pracodayiJt» ( «Questo di Savitar desi­
derabile splendore meditiamo! possa le nostre menti impèllere ! »).
Gli appartenenti alle diverse sette sogliono sostituire , nel caso geniti­
vo, il nome della propria divinità a quello di Savitar. Occorre anche
ricordare che vengono abitualmente recitati o cantati o bisbigliati a
mo' di preghiere , le lodi o gli inni di amore composti dai fondatori
delle diverse sette , dedicati alle varie divinità, nelle quali essi ravvisa­
vano la potenza o la gloria dell'Uno , come i kirta1}a di Caitanya,
Tulasi-das, Kabir eccetera. Essi costituiscono il nocciolo della liturgia
vocale dei vari gruppi religiosi.
Connessi ai mantra sono i bi'ja, «semi» dei vari aspetti della realtà,
identificati a varie divinità, ed i nyasa, o «imposizioni» del bija sul
corpo dell'adorante o su quello della divinità esteriormente rappre­
sentata, le mudra, o gesti rituali che evocano particolari funzioni del
nume , gli asana, o posture del corpo, già accennate a proposito del ri­
tuale tantrico fakta. Poiché tutto l'Universo è suono e, così pure , il
corpo dell'uomo è suono «rappreso» nello spazio e nel tempo, così
pure il bija costituisce il corpo del dio. È generalmente formato da
una o più corsonanti articolate con una vocale e finenti nella sonante
nasale � o M, che ne designa l'efficienza, la fakti. Noti sono hrirp , il
maya-bija, che evoca per colui che lo pronunci la sakti quale causa
della creazione , kli1ft , il kama-bija che designa la kama-kalà, cioè il
triangolo del desiderio divino, hii'l?l , il kiirca-bija, kro'/?l , lo ankufa­
bfja, eccetera.
Prima di parlare della puja, cioè dell'adorazione dell'immagine
del dio o di qualsiasi oggetto che lo rappresenti, occorre spendere due
parole su quest'ultimo. Non si hanno per l'epoca vedica precise indi­
cazioni circa il culto delle immagini (pratimii) o di statue che , invece ,
rappresentano un elemento caratteristico della religiosità hindu. Nel
periodo epico e, ancor di più , all'epoca dei PuraQa , tale culto appare
perfettamente stabilito, non solo , ma molti testi settari , puri!t1'_1a,
samhita, agama, fi/pa-fiistra, eccetera, contengono veri e propri ma­
nuali di iconografia sacra, con regole minuziose circa la fabbricazione
delle statue , la loro dipintura e , soprattutto, circa il metodo di «ani­
mazione» delle icone , del quale si tratta in seguito. Le immagini sono
considerate vere e proprie incarnazioni divine , magicamente proiet­
tate nell'idolo che le rappresenta; la loro importanza è denotata dal
termine medesimo che le indica, arca, cioè «omaggio» (dalla rad. re,
che significa contemporaneamente: lodare, ascondere , splendere ir­
raggiando). Come nell'Occidente medievale cristiano, vi �ono imma­
gini dipinte o scolpite da santi o da creature sovrannaturali; a queste
si aggiun·gono idoli di provenienza divina, improvvisamente apparsi
188 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

o miracolosamente ritrovati in località sacre. Le immagini divine in­


diane, fino nei loro minimi particolari, riflettono la simbologia esote­
rica del culto : sono dei veri e propri trattati di gnosi, l'«invenzione»
dell'artista limitandosi al fattore plastico, non nell'atteggiamento,
che può essere «terribile», ugra (krodha nel Buddhismo), o «placido»,
fanta (fiva nel Buddhismo). Altre, come quelle di Vtj11u, conoscono
fino a quattro atteggiamenti: yoga (meditazione profonda o sonno
cosmico), bhoga (fruimento pacifico del creato), vira (eroico, nei
combattimenti contro i demoni), abhicarika (di magia nociva) . Gli
tisana e le mudra sono pure stabilite in dettaglio, queste ultime in
modo particolare se la deità è raffigurata con parecchie braccia e te­
ste, simboleggianti le sue funzioni. Le massime divinità settarie (Si­
va, Vtjriu con i suoi avatara, Brahma, Ganefa,eccetera) sono frequen­
temente raffigurate con le loro fakti accanto, oppure sedute sul loro
ginocchio, in genere di misura più piccola. Non mancano rappresen­
tazioni realistiche e crude (frequenti nel Tantrismo hindu e buddhi­
sta) di deità maschili accoppiate alle loro fakti, significanti l'infinita
efficienza del principio divino, presente a se stesso eternamente nei
tre momenti di creazione, mantenimento e riassorbimento.
I riti di istallazione (pratzj/ha) nell'immagine del santuario sono
numerosi e complicati, poiché richiedono anche la scelta di un tempo
astrologicamente favorevole e di una persona (lo sthiipaka, «erettore»)
che in sé raduni le conoscenze necessarie, la nascita e le vircu, tali da
renderlo degno di patrocinare l'operazione. L'immagine viene consa­
crata (adhiviisana, «posta in dimora») con varie offerte oblatorie e
preghiere che culminano con il gesto tipicamente indiano, dell'un­
zione sacrale, che poi è la pujii. Altra operazione, che implica il risve­
glio della potenza magica della icona o dell'idolo, è )'«apertura degli
occhi», nayana- unmilana, con la quale il globo oculare dell'immagi­
ne viene dipinto di colore vivace (oppure se ne riveste l'iride con una
foglia d'oro).
Seguono varie e numerose cerimonie, alla fine delle quali l'imma­
gine, rivestita di un candido drappo, viene portata e collocata nel
tempio al posto destinatole. Nel rituale tantrico, la cerimonia si con­
clude con I'«imposizione» (nyasa) delle diverse «lettere-matrici»
(matrkal;) sull'idolo : questa funzione è strettamente collegata con
I'«instaurazione del soffio», pra1Ja-prattj(ha, che conferisce magica
efficienza ali' icona o alla statua. L ' operazione tantrica che, a titolo di
curiosità, si descrive a seguito, si effettua in questo modo : l' asceta,
cioè il sadhaka, dopo aver proceduto al controllo del proprio flusso
respiratorio ed al risveglio della sua valenza ignea (v . in seguito, a
proposito della saf!Zdhya), raccoglie nelle mani un fascio di fiori e
medita sulla Dea: allorché ne ha immaginato chiaramente la figura
entro il proprio cuore e realizzato l' identità fra questa figura interiore
e quella esteriormen te rappresentata nell'idolo, proietta fuori di sé il
tejas, cioè il «riverbero» del «calore-luce» di tale intuizione, assieme al
RITI E PRATICHE LITURG!CHF. 189

bija (che m questo caso ha proprio il senso di «suono seminale») che


le corrisponde. Contemporaneamente l'asceta espira il fiato, già trat­
tenuto, attraverso i fiori , sui fiori che ha avvicinato al proprio volto.
Così la Dea «esce» da lui , entra nei fiori e di là , per contatto, nell'im­
magine della divinità , divinità che può anche essere astrattamente
simboleggiata da uno yantra , cioè da uno schematico disegno geome­
trico. Il segreto di tutta l'operazione consiste, come si è altrove detto,
nella bhavanà («messa in esistenza») , cioè nel realizzare e ravvivare
meditativamente una immagine interiormente concepita.
Veniamo ora alla puja, che ha sostituito completamente lo yajP/a e
lo homa vedici. Essa, rispetto al sacrificio tradizionale (consacrazione
alla sfera divina di qualcosa appartenente al mondo materiale, ani­
male o vegetale) , sembra rivestire un carattere più immediatamente
magico, quale «evocazione» del nume invisibilmente presente
nell'oggetto che lo raffigura ( che può anche essere, come si è accen­
nato, una pietra informe), mediante omaggio rituale (puja vera e
propria, oppure le sue forme dette vandana ed arcana) , contatto con
lui e suo riassorbimento nell'anima dell'adorante. La pujà, che si ef­
fettua come rito privato o pubblico , è compiuta, nel primo caso dal
padre di famiglia, al quale può sostituirsi il sacerdote familiare, il fi­
glio e perfino la sposa; questo ultimo particolare , assieme ad altri, co­
me il silenzio nelle parti più antiche della letteratura vedica , fanno ri­
tenere che si tratti di un antico rito indigeno, forse proprio alle genti
dravida in seguito brahmanizzato. La cerimonia in sé è un rito cosid­
detto arghya (cioè di onoranza ad un ospite) , comportante offerte ve­
getali, lavacro oppure unzione dell'idolo e suo rivestimento. Nei
Tantra, ove la cerimonia assurge alla massima importanza, essa è no­
tevolmente complicata da elementi, originariamente di mistica yo­
ghica, che compaiono durante la manifestazione di omaggio da parte
del devoto. Accenniamo rapidamente ad alcuni di questi. Purifica­
zione del suolo (prthivi-fodhana) col tracciato di un triangolo sul luo­
go che occuperà la divinità; meditazione ed invocazione (meglio
«evocazione») della dea-Terra , cerimonie e riti apotropaici vari , istal­
lazione di lampade nei luoghi consacrati dagli yantra ( cioè quelle fi­
gure geometriche che simboleggiano l'efficienza magica del nume);
controllo del respiro da parte dell'officiante, adorazione della ghir­
landa ( malapujana, che il devoto poggia sulla regione del cuore indi
sul capo , prima di collocarla sul recipiente contenente acqua profu­
mata con la quale asperge l'idolo).
Seguono singolari cerimonie che hanno lo scopo di risolvere il ma­
crocosmo divino entro il corpo dell'officiante, onde poi proiettarlo
sull'immagine divina. La prima è l'imposizione dei bij'a sul corpo del
devoto (antar-m?itrka) , come già descritto, indi la «purificazione de­
gli elementi» ( bhuta-fuddhz) , che è il simulacro del risveglio di ku11-
r/alini, cioè della potenza cosmogonica assopita alla base del cor�o
umano: mediante questa purificazione l'officiante, attraverso vane
190 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

meditazioni unite a particolari ritmi respirator1 , «risolve» l ' uno


nell'altro, dal basso verso l'alto i var1 elementi dei quali si compone
la sua entità psico-fisica. Questo processo, che è un vero e proprio
processo di laya-yoga (v. infra) , viene poi di nuovo proiettato, me­
diante l' imposizione dei bijii, sull' idolo, nel quale «si pongono in ef­
ficacia» (utkilana) , in tale maniera, tutte le preghiere. Esso, pertanto,
diventa un «medium» , un mesocosmo che assicura il perdurare della
comunione fra l'officiante e la Dea (o il dio).
Il rituale della pujii ed il culto dei tirtha inducono a considerare
un'altra imponente istituzione indiana: quella dei templi. Essi non so­
no sempre esistiti nelle maestose proporzioni attuali, che sono il risul­
tato dello sviluppo dei culti settari , della diffusione degli ideali religio­
si nella massa della popolazione e, contemporaneamente, della preva­
lenza dell' elemento sacerdotale . Nei Veda vi sono appena allusioni ai
cosiddetti ayatana, letteralmente «ricettacoli» o «punti di contatto> del­
le divinità. Perfino nelle grandi cerimonie vediche non esistevano tem­
pli, bensì semplici superfici consacrate, ove si rizzavano i capannoni
necessari per effettuare al coperto le operazioni rituali come, ad es. , la
spremitura del soma. L'altare del Fuoco, agny-ayatana, comincia ad es­
sere qualcosa di simile ad un tempio, anche se privo dell' edificio neces­
sario per ripararlo convenientemente dalle intemperie. Il tempio india­
no come ci viene documentato dal Ramayana in poi , consta come al so­
lito di un ma1J,jala, una superficie coperta di edifici , simboleggianti al
contempo gli elementi costituenti il cosmo e l'uomo. Esso si sviluppa
attorno ad una cella sacra (garbha, letteralmente «il germe»), ritenuta
essere qualcosa come «un luogo di là dallo spazio», ove la deità è pre­
sente con tutto il suo potere. Ad essa conduce una porta, dviira, ai lati
della cui soglia vigilano due «guardiani» (dviira-pala). Attorno o sopra
questo «Sancta sanctorum» si sviluppa l' insieme degli edifici , che costi­
tuiscono il tempio, quello che gli Europei con un termine storpiato
medio-indiano chiamano dagopa o pagoda.
Le sue specie e forme sono numerose; i testi tradizionali ne anno­
verano oltre venti, differenti per dimensioni, numero di piani (bhu­
mi, cioè «terreni») , per la disposizione e numero di pinnacoli (iikha­
ra) , per la forma della pianta , che può essere rigidamente geometri­
ca , oppure simboleggiante un animale (già in epoca vedica, si parla
di un altare del fuoco a forma di falco) , o un veicolo divino, come il
carro di Surya . Il tempio-mar,t/ala classico è quello testimoniatoci
dalla Brhat-sa1'flhitii, detto sarvato-bhadra («fausto da tutte le parti>) ,
con le sue quattro porte ai quattro punti cardinali, i numerosi pinna­
coli disposti geometricamente attorno a quello centrale e le sue cin­
que terrazze sovrapposte, cioè le bhumi, simboleggianti i cinque ele­
menti (terra , acqua , aria , fuoco, etere) ascendendo la quale l'offi­
ciante compie simbolicamente la purificazione interiore dei piani di
coscienza corrispondenti a quegli elementi e la loro soluzione ognuno
entro il successivo più sottile.
RITI E PRATICHE LITURGICHE 19 1

Il tipo massimo del tempio è quello che riproduce il monte Meru,


l'asse del mondo, corrispondente, come si è detto, alla spina dorsale
umana (meru-da11efa) , con i vari sacrari che rappresentano i paradisi
(pan·vana) dei diversi dèi orientati attorno ai cortili interni (praklira)
nella direzione loro attribuita dai testi sacri, adorni del numero sim­
bolico di 1 08 pinnacoli. Un tipo di tempio indiano molto caratteristi­
co, che poi darà luogo allo stupa buddhistico, è il vimlina («veicolo»),
a forma piramidale, le cui successive terrazze riproducono , i piani del
cosmo come descritti dai Purli1'}a, oppure il «carro» di cui reca il no­
me. Il vimiina assume forme diverse, a seconda se l'immagine del la
divinità che esso accoglie è ritta in piedi, oppure seduta, o recumben­
te (supina, come Vig1u immerso nel sonno cosmico, o sdraiata sul
fianco, nel cosiddetto SÙ'rt ha-asana, «postura del leone» , che poi eter­
nerà l'immagine del Bhudda morente. Il tempio indiano tende ad
essere diversamente dalle chiese cristiane, una vera e propria città sa­
cra deva-grha, go-pura) , nella quale non si compiono soltanto le sacre
liturgie, ma si eseguono anche in sale apposite (fa/a, mandira) nume­
rose altre attività connesse con la sacra tradizione (studio dei Veda,
rappresentazioni drammatiche , non necessariamente di argomento
sacro), recitazione di epopee e spettacoli di danza (nafya) eseguiti da
ierodule (deva-dlisi, «schiave del dio» , generalmente Siva), fanciulle
chiamate con nome portoghese «baiadere» . Nel tempio classico non
mancano alloggi per studenti , ospedali e ricoveri per pellegrini ed iti­
neranti. Talvolta essi sono situati nel mezzo della città, nel luogo di
massima affluenza, talvolta invece fuori di essa, per ragioni magiche
vicino a cimiteri (fmafana) o luoghi di cremazione come i santuari a
Ciimu11efa. Le grotte di Ellora ed Elefanta ci hanno tramandato, nel
campo archeologico, esempi insigni di templi sotterranei, adorni di
meravigliosi bassorilievi, affreschi murali e sculture. Ve ne sono ancor
oggi moltissimi in uso per tutta l'India.
Il tempio, quando non è un sacello oppure una cappella (ko.r�ha)
dedicata ad una divinità locale o ad un «genius loci» (viistu-deviztif) è,
come si è visto, un centro di vita religiosa piuttosto che un semplice
luogo di preghiera. Esso è abitualmente retto da un sacerdote di casta
brahmai:ia: non è , però, infrequente che I'«abate» - specialmente
nelle sette sivaite meridionali - sia un prete di casta diversa, addirit­
tura uno :ftidra; né mancano ricordi storici di templi retti da sacerdo­
tesse, specialmente quando questi sono dedicati al culto di qualche
forma della Grande Dea. In questo caso esistono permanentemente
nel tempio le cosiddette ptijiiri, incaricate di compiere la ptijli nelle
date sinodiali.
Qualche parola circa le suaccennate deva-diisi, «schiave del dio». I
testi classici le dividono in nartaki, danzatrici incaricate di compiere
le sacre rappresentazioni evocanti la danza cosmica di Siva o della sua
Sposa, e ve:fy ii, cortigiane, o deva-vara-vanitli (dette nel Sud vafavi,
madangi o; con termine dravida, valangz). La loro istituzione sembra
192 RELIGIONI E MITI DEU.' INDIA

risalire al IX-X secolo, quando furono costruiti i grandi templi nel


Sud.
Le deva-diisf, come le amiche sacerdotesse babilonesi di fttar o
quelle ericine di Afrodite, sono talvolta ritualmente «sposate» al dio,
ciò che conferisce loro illimitata libertà sessuale: perciò, oltre ai com­
piti liturgici di flabellifere, cantatrici e danzatrici nelle processioni,
ecc . , esercitano la prostituzione sacra , nel tempio stesso , come rap­
presentami reali e fisiche della Sakti universale: la loro professione
che, d'altra parte, sembra esistere sin dai tempi vedici , non incorre
pertanto nella censura morale di una società particolarmente severa
nei costumi familiari, come quella indiana fondata gerarchicamente
sulle caste , la cui sussistenza è possibile perché le donne non si ab­
bandonano a connubi esogamici o comunque irregolari.
Dato il precetto universale hindu della ahi1?Zsa (i1 non-uccidere) , le
offerte alle divinità - salvo le eccezioni che verranno trattate in se­
guito - sono soprattutto di genere vegetale o comunque incruento,
fiori , riso , focacce d'orzo , latte, burro, miele (il madhu-parka che si
offre al dio come ospite) e così via . Nei culci sivaiti e fiikta, peraltro,
non sono infrequenti Le immolazioni e sacrifici che, da una parte si
adattano al carattere «tremendum» di divinità come Kiili e Siva e le
loro molteplici emanazioni, dall'altra sono giustificati, di fronte alle
miei usanze indiane , dal facto che dette divinità simboleggiano il su­
peramento della morale corrente, del dharma. Il Kiilika-puriiria, ad
esempio, elenca un numero considerevole di animali suscettibili di
essere sacrificati , e il Mahii-nirvana-tantra ne menziona dieci immola­
bili a Durga: antilope, caprone ." montone , bufalo, maiale , porcospi­
no , lepre , iguana , tartaruga, rinoceronte, il sangue dei quali deve ca­
dere sullo yantra che simboleggia l'organo della generazione della
dea . Talvolta , invece dell'animale reale, si trafigge simbolicamente la
sua immagine. Il sacrificio di animali viene anche giustificato dal fat­
to che, con la morte , la bestia viene ipso facto liberata da una forma
inferiore di esistenza e quindi può ascendere a forme superiori di ri­
nascita. Il sacrificio della vergine viene talvolta menzionato nei testi
let terari (ad es. nel Miilamati-madhva) , ma salvo casi di fanatismo re­
ligioso , sono praticamente inesistenti e limitati attualmente agli usi
di tribù al di fuori della società hindu (i Naga dell' Assam, i Bhilla ed
i Pulinda). In queste tribù non ancora hinduizzate vige l'uso della
caccia rituale all'uomo designato al sacrificio , che però viene preav­
vertito del suo destino e indotto a fuggire . Allorché viene raggiunto
dai suoi cacciatori , quest i lo stordiscono e successivamente lo svenano
presso la tana del serpente sacro del villaggio. Anche i casi sporadici
di sacrifici umani offerti alla Dea , che possono venir compiuti simbo­
licamente offrendo il proprio sangue quale forma estrema di «devo­
tio», non rientrano necessariamente nel quadro della religiosità in­
diana . Si tratta di sopravvivenze di culti aborigeni «pre-indiani» co­
muni anche ad altre aree culturali (mon-khmer, maleo-polinesiaca ,
RITI E PRATICHE LITURGICHE 193

semang , australoide.eccetera) , che hanno lo scopo generico di assicu­


rare fecondità e prosperità alla tribù che li pratica.
Fra le uccisioni rituali , quella che più è impressionante almeno ai
nostri occhi è il suicidio delle vedove, che qua e là ha continuato ad
essere praticato fino a relativamente pochi anni fa, nonostante la resi­
stenza di molti gruppi sivaiti, l'opposizione delle classi illuminate e
la sorveglianza oculata delle autorità civili. La cerimonia era un vero
rito religioso , eseguito secondo una precisa liturgia. Si presupponeva
che la vittima (sali) , destinata a salire sulla pira funebre del marito,
avrebbe partecipato alla felicità degli dèi nell'oltretomba. Rivestita
degli abiti di festa , trattata come un essere sacro , essa veniva condotta
alla pira secondo un rituale che si ispirava agli usi nuziali. Dopo il sa­
crificio , alla sua memoria veniva eretto un monumento funebre, re­
golarmente onorato con la pujà e unto di pittura rossa; la vittima fre­
quentemente veniva innalzata al rango di santa locale. (L 'Jnde Clas­
sique, 1 189) . Questo sacrificio presunto volontario delle vedove -
che, si badi bene , non è prescritto in alcun modo dai sacri testi - sto­
ricamente venne in uso generale durante le sanguinose invasioni mu­
sulmane dell' XI secolo e quelle successive , trattandosi di sottrarre
(specie fra i fieri Rajput e Mahratta) le donne indifese, come le vedo­
ve, alla possibilità di venir razziate e vendute �chiave da bande di
predoni islamici.
Innumerevoli sono i riti con cui gli Indiani consacrano la fondazio­
ne di villaggi, di città , la costruzione di edifici di abitazione, la dedi­
cazione a determinate deità di stagni , fonti, parchi , la messa a dimo­
ra degli alberi.eccetera . In questi gioca grande parte l'insieme dei riti
di propiziazione ( vàstu- upafamana) , di purificazione ed espulsione
dei démoni locali che , in generale, vengono sublimati e trasformati i
deità protettrici dei quattro angoli ( ad es . : Caraki, Vidiiri, Pu{anii,
Riiktasi o Pàpii) . I riti comportanti la meditazione ( dhyàna) per assi­
milare il luogo consacrato alle membra della divinità , le offerte di lat­
te, sesamo, riso e fiori ai quattro punti cardinali, l'adorazione del ge­
nio del luogo, rappresentano i momenti fondamentali di questi atti
sociali di grande importanza nella vita collettiva indiana.
Dai tempi classici fino all'epoca contemporanea sono sopravvissuti
alcuni riti vedici, parzialmene modificati ed arricchiti di particolari
liturgici per adattarli al nuovo pantheon. Fra questi, il rito della con­
sacrazione regale, il raja-siiya, è diventato il battesimo sacro (abhzje­
ka, «aspersione») per eccellenza, con il quale si celebra l'iniziazione
dell'adepto ai riti tantrici, in particolare nel Vajra-yiina («Veicolo di
Diamante») buddhistico. Come rito d'intronizzazione, gli sono stati
aggiunti alcuni particolari, quali l'accompagnamento della regina,
che viene anche lei consacrata. Già nei testi epici si parla di una con­
sacrazione dell'erede presuntivo al trono (yuva-rajan) allorché questi
viene designato dal sovrano in carica , e, perfino, del capo delle trup­
pe in camp� .
1 94 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

Il matrimonio classico delle classi arya è stato conservato fino ai


giorni nostri, con tutti i particolari già sommariamente descritti. La
minuziosa casistica giuridica dei brahmaoa ha anche classificato altre
specie di connubio extra-tradizionale, attribuendone l'istituzione ad
esseri divini oppure a demoni, come Gandharva , Asura, Riikfasa e Pi­
fiica, ai quali corrispondono rispettivamente le forme «matrimoniali»
per mutuo impulso erotico, per compera della sposa, per ratto e per
violenza alla fanciulla. Il tipo di matrimonio classico, come tutt'ora si
celebra fra gli appartenenti alle caste àrya e, per imitazione, anche fra
i membri delle altre caste, almeno nelle città, si può riassumere come
segue :
La cerimonia di benvenuto
I . Il benvenuto allo sposo e ai suoi genitori ed amici dai genitori ed amici della sposa.
2. Pregh iera a Dio per la pace e la sua benedizione.
3 . Incontro degli sposi e la cerimonia delle ghirlande .
Cerimonia sul! ' Altare
1. Preghiere
a. preghiera a Ganesa, il dio della conoscenza
b. preghiera a Gauri, la madre di Ganesa
c. preghiera ai 7 pianeti
2. Cet''imonia del miele come fausto segno
3. Incontro e ghirlande
4. Slokàcara preghiera per il benessere della coppia
5. I parenti della sposa danno la sua mano al marito che la pren­
de e recita:
lo prendo la tua mano nella mia, bramando la felicità;
ti chiedo di vivere con me come tuo marito, fino a quando ambedue raggiungere­
mo la più tarda età.
Sappi questo .
Poiché io dichiaro che gli dei Bhaga, Aryama,Savita e Purandh'ì hanno donato la
tua persona .

Allora la sposa offre come sacrificio al fuoco i grani versati nella sua
mano dal fratello e mentre sta in piedi sulla pietra e dopo altri riti, lo
sposo rectta:
Questo sono io
questa sei tu;
- infatti quello che sei tu sono io -
lo il cielo,
tu la terra ;
Io il saman ( musica , canzone , verso) ,
Tu , allora, il ]:lk ( la poesia, il verso),
sposiamoci dunque,
sposiamoci qui.
uniamoci e generiamo i nostri piccoli .
Amandoci l ' u n l ' altro
desiderosi di grandezza morale con le menti e i cuori felici ;
così , sì così , noi
si possa vivere attraverso cento autunn i .
RITI E PRATICHE LITURGICHE 195

. Il sari della sposa legato alla fascia girata intorno alla spalla, la cop­
pia fa i sette passi della felicità intorno al fuoco.
Preghiamo insieme
- per la linfa della vita, mentre facciamo il primo passo
- per il potere della vita mentre facciamo il secondo passo
- per la ricchezza più abbondante, mentre facciamo il terzo passo
- per la felicità nella vita, mentre facciamo il quarto passo
- per i figl i , mentre rinnoviamo i nsieme il quinto passo
- per una lunga vita mentre facciamo il sesto passo insieme
- Sii tu la mia compagna per la vita mentre facciamo il settimo passo .
- Così camminerai sempre i nsieme a me per sempre e per sempre
- Preghiamo di potere avere molti e molti figl i , e che essi possano vivere a
lungo .

6 . I sette passi
7. Le sette promesse
a. richiesta dello sposo di venire al suo lato sinistro (fino al quando la ragazza non
accetta questo rimane fanciulla)
b. le sette promesse richieste dalla sposa
c. le condizioni per l ' accettazione

8. Il punto rosso (eterno segno di matrimonio e felicità) dono


dello sposo alla sposa.
9. Le benedizioni di Dio e di tutti i presenti alla coppia.

A queste forme di matrimonio che , in parte, costituiscono delle


classificazioni astratte ai fini canonici, vanno aggiunte le varie forme
di «matrimonio sacro» o ierogamia, prive di valore ai fini dell' istitu­
zione familiare, che rivestono fini puramente mistici e iniziatici.
Questi connubi, che talvolta non vengono effettivamente consumati,
talaltra giungono alla congiunzione vera e propria, hanno validità li­
mitata al tempo della celebrazione , che avviene nel corso dei riti not­
turni del pa,lca- tattva (v . Tantra infra) . Il matrimonio faiva, al quale
qui si allude , è prevalentemente un rito colletti".'.o· Nell'interno dello
yantra, simboleggiante la Parli Sakti, Suprema Sakti, seggono in cer­
chio le otto coppie di siidhaka-siidhikii («adepto-adepta»): nel centro
siede il direttore (cakrefvara) assieme alla propria fakti. Ogni distin­
zione di ca�ta è abolita e le coppie partecipanti sono misticamente as­
similate a Siva e la propria sposa Kiilio Durgii. Il rito è differente per
coloro che seguono la cosiddetta «via destra» o quella «sinistra» (va­
macara). Nel primo caso, ogni siidhaka si serve della propria legittima
moglie, detta iidy ii fakti, «s. primaria», nel secondo caso ogni cele­
brante si serve dell' altrui moglie, detta parastri-fakti. Il celebre tantra
Kula1"1'} ava giustifica l' uso della parastri con la spiegazione: «. . . l' ani­
ma è vincolata al " mio" ; essa si libera mediante ciò che è fuori del
" mio" . . . »: In certe forme di ierogamia, il rito viene consumato con
196 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

una donna di comune appartenenza, detta siidhiirliT.Ji. Queste cele­


brazioni dànno luogo di rado ad un matrimonio del senso sociale del
termine e sono teoricamente ammesse solamente per un fine religioso
determinato, quello esemplificato dal pa1zcatattva, e compiute solo
da yog in e yog ini qualificati (v. vira e divya in Sétte sivaite, infra). Se
la validità di questo matrimonio faiva non è temporanea, ma indefi­
nita, la sposa (saha-dharmi'}i) diventa per l'adepto una fakti divina
vera e propria e come tale venerata: il connubio è preceduto da un
lungo periodo di avvicinamento, affinché il siidhaka possa giungere
all'acme dell'amorosa devozione verso la donna, simbolo terrestre di
un'esperienza celeste, la realizzazione dell'androgine spirituale (v.
L 'Inde Classique, 1 2 17-24 ss. ).

Altri riti vedici conservati fino ai giorni nostri sono i cinque «grandi
sacrifici» (mahii-yajna) quotidiani: il deva-yajna, «sacrificio agli dèi»,
detto anche .vaifva-deva, «a tutti gli dèi», consistente in un'oblazione
di particelle di cibo al fuoco, prima del pasto del mezzogiorno, dedi­
candole alle varie divinità: (Agni, Soma, Ag ni-e-Soma assieme, Vifve
deva/; («Tutti-gli-dèi», v. infra), Dhanvantari Kuhu, Anumati, Pra­
japati, Dyavà-prthivi, Ag ni (Svistakan) ; il bhuta-yajna, o bali,«sacri­
fìcio agli esseri elementari»; il pitr-yajna, «sacrificio ai mani• ; il
brahma-yajna, o recitazione dei Veda, attualmente compreso ed assi­
milato all'importante rito della sa,fftdhvà. Quest'ultimo è, forse, il

I riti funebri si sono conservati, nell'Hinduismo, fondamental­


mente secondo il modello vedico già illustrato ( v. cap. 1, in fine) . Lo
fr!iddha, ovvero la cerimonia che mira a trasformare il defunto, preta
(«dipartito») in un mane (pitar, cioè «padre») - da fraddha. creden­
za, fede, costume - si è notevolmente amplificato nel corso dei seco­
li, sistemandosi in una dozzina di riti diversi, ricorrenti in date fisse,
votivi e propiziatori. L'Indiano, infatti, si volge ai trapassaci, speran­
zoso di ottenere consiglio e protezione nei suoi affari e nelle sue im­
prese. Ai morti viene offerta la focaccia, o meglio, una massa di riso,
vegetali e, in tempi post-vedici, carne, detta pi'! c/a, da parte del fi­
glio e dell'erede. La parentela, nella società ortodossa hindu, è difatti
fondata sulla comunione al rito degli antenati. Sa-PiTJ cfa sono coloro
che hanno in comune alcuni antenati morti nelle tre generazioni im­
mediate anteriori, maschili e femminili, alla quale è proprio il sa­
PiTJtfana, consistente nell ' associare nell'offerta al mane del defunto,
quella rivolta ai suoi tre antenati immediati. A quelli ancora anteriori
nel tempo spetta di diritto soltanto il resto del piT_J cfa, quello che ri­
mane attaccato alle mani dell'officiante (lepa).
RITI E PRATICHE LITURGICHE 1 97

più importan.te fra i riti quotidiani degli Indiani ortodossi, avendo


preso il posto dell'agni-hotra (v. Cap. 1, infra) vedico. Saf'!Zdhya si­
gnifica letteralmente «congiunzione» fra il giorno e la notte, cioè cre­
puscolo mattutino e vespertino. Poiché in questo atto liturgico sono
più o meno riassunti tutti gli elementi rituali e psicologici della reli­
giosità indiana attuale, è il caso di descriverlo con qualche dettaglio.
Levatosi prima del sorgere del sole, il brahma9a, compiuta l'abluzio­
ne esteriore con l'invocazione alle acque, compie l'lJcamana, sciac­
quatura della bocca, seguito dal ma1y'ana, aspersione sul capo. Indi
recita mentalmente la siivitri/gayatri. Allorché il disco del sole sorge,
egli lo adora, recitando ad alta voce la gayatri e tenendo in mano un
fascio di erba kufa. Seguono altre operazioni purificatorie seguite da
una silenziosa meditazione (dhyana), scandita da tre atti di controllo
del respiro, secondo i precetti dello Yoga (prarzayama). Questo è il
punto centrale della saf'!Zdhyii, in cui si manifesta con maggiore evi­
denza il mutamento di orizzonte spirituale verificatosi dall'epoca ve­
dica in poi, dacché la pura e semplice orazione dei tempi antichi si è
andata integrando a pratiche meditative di natura psico-fisica proprie
allo Yoga, quali il controllo del respiro e l'interiorizzazione all'atto
cultuale.
In particolare: l'orante, occludendo la narice sinistra con il pollice
e medio della mano destra inspira (puraka, «riempimento») attraver­
so la narice destra per un tempo determinato da accorgimenti vari
(battito del cuore,eccetera) indi, occludendo ambo le narici, trattiene
l'aria inspirata {kumbhaka, «a mo' di orcio») per un periodo di tem­
po sufficiente a ripetere la giiyatn, le 7 o 3 vyiihrti ( cioè i nomi mistici
di bhur, bhuva/_J, svar, «terra, atmosfera, cielo»), l' ak�ara O 'f/Z e, tal­
volta, il testo cosiddetto firas ( «capo», cioè iipo, jy oti, raso, mrta'f/Z -
«acque, luce, sapore, ambrosia»). Compiuto questo atto di medita­
zione, riapre la narice destra per espellere l'aria (recaka, «svuotamen-
to»).
Questa operazione respiratorio-meditativa viene ripetuta tre
volte, la seconda volta in senso contrario alla prima (inspirazione at­
traverso la narice sinistra.eccetera). Compiuto questo atto di «adegua­
mento cosmico», il brahmar:ia è pronto per procedere all'adorazione
vera e propria (namas). Ritto sul piede sinistro (l'altro è poggiato alla
caviglia ed al tallone del primo), quindi assimilatosi ali' Asse del
Mo11 Jo, lau t a aJ t � l . l ll l l l p i t l ' .in;ali (una mudra simile all'atto di
preghiera cristiana attuale: palme giunte, lievemente concave, pollici
ali'altezza dell'intercilio) verso il sole, pronuncia vari mantra ed offre
ali'astro sorgente l'oblazione «ospitale» ( arghy a): sesamo, fiori, orzo,
acqua, polvere di sandalo rosso, alla quale seguono altre recitazioni
della siivitri. Lo stesso rito, in direzione opposta, viene ripetuto alla
sera dall'officiante, questa volta seduto. A mezzogiorno può venire
compiuto coil altre variazioni. I Tantra aggiungono a questo rito la
pratica del ny asa e la meditazione sulla Dea quale creatrice (Brahma-
198 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

11i) al mattino, conservatrice ( VaiJnavi) a mezzogiorno, e distruttrice


(Rudra1:1i) alla sera.

I riti dell'offerta, della donazione ospitale (arghya) si sono smisu­


ratamente accresciuti rispetto alt'epoca vedica , in quanto rappresen­
tano la base fisica del culto agli dèi e della onoranza dovuta a quelle
persone con le q uali si ha un rapporto sacrale (maestro, sacerdote, so­
vrano, parente ed amico): dato il predominio spirituale acquistato
dalla casta sacerdotale nella società hindu, il dono al brahmar:ia e la
ricompensa (dakJirJa) per i riti effettuati da costui non conoscono pra­
ticamente limiti . Le Upani�ad, redatte evidentemente in un'epoca
ancora «carnivora», parlano di mandrie intere di bovini donate ai
brahmar:ia come premio per un insegnamento rivelato o un sacrificio
bene eseguito . Un dono del quale pure si parla frequentemente è il
cosiddetto sumeru-parvata («monte Meru»), cioè un'immagine di ta­
le montagna con i quattro monti adiacenti ai quattro punti cardinali,
fatta di materie pregiate, commestibili o meno (pasta, zucchero, sale,
cotone, ecc. ) . Vi è poi il «grande dono che cancella i peccati, distrug­
ge i cattivi sogni, fa ottenere lunga vita», che comprende non meno
di 16 varietà di regali diversi, fra i quali quello tipicamente indiano
di una massa d'oro (hiran_ya-garbha) del peso dell'offerente (tula-
puru!a) .

Le pratiche religiose presso gli Indiani investono tutti gli aspetti


della vita, discendendo fino ai minimi particolari dell'attività quoti­
diana . L' alimentazione è una specie di operazione religiosa, dato che
l'Indiano ritiene, forse non a torto, che cibarsi di alimenti puri sia
una condizione per favorire la purezza dello spirito. Secondo la nota
tripartizione delle qualità o gu11a, in tamas, oscurità, rajas, mobilità
e .rattva, quiete luminosa , o trasparenza, anche gli alimenti sono divi­
si in queste tre specie, a seconda dell' elemento dominante e dell' ef­
fetto che cagionano sul corpo e sulla psiche.

Il pranzo, come presso i Romani, inizia con l' omaggio al nutri­


mento, la benedizione ai presenti e la libazione agli dèi. Vi sono nu­
merosissime interdizioni concernenti i cibi , i luoghi e perfino l'orien­
tazione del luogo in cui si consumano gli alimenti. Si può affermare
che, dopo il matrimonio e i riti religiosi ortodossi, la commensalità
costituisca il carattere distintivo delle caste: incorre, difatti, in un'im­
purità maggiore chi, assieme all'appartenente ad una casta inferiore
RITI E PRATI CHE LITURGICHE 1 99

alla propria - peggio se è un non-àrya - si nutra in un luogo chiuso


(basta una copertura, una tenda, per renderlo tale). Qualora ci si ac­
corga di una simile circostanza, occorre, teoricamente, buttare via il
resto del cibo e compiere un insieme di operazioni purificatorie , il co­
siddetto prayaf-citta («pensiero di soddisfazione» , «espiazione» , v. in
seguito). Le bevande alcooliche (madya) , ad esempio , sono religiosa­
mente impure, a pane che attualmente sono anche proibite dalle leg­
gi , specialmente i liquori (assimilati alla surii vedica). Così pure il
precetto dell'ahi�sà vieta genericamente l'uso della carne, perfino
quella di pesce, agli appartenenti alle caste più alte: probabile so­
pravvivenza di un tabu pre-ario, data l'assimilazione analogica dei
pesci ai Niiga (v . infra) come avviene per i klu tibetani. Deroghe al
nutrimento carneo si verificano nei riti ospitali (arghya) e nel culto
dei Mani (v. infra); la carne di vacca è più o meno rigorosamente
esclusa , anche in questi casi , in quanto l'animale è simbolo della Vita
Universale ed è detto perciò, sin dai tempi vedici , a-ghnyii, «colei che
non si deve uccidere». Alcuni vegetali sono pure evitati , come presso
gli antichi Pitagorici i legumi: l'Hinduismo aborre generalmente
l'aglio e la cipolla. Perfino nelle caste e nelle sette in cui la carne è
permessa (ad esempio presso gli Sivaiti , esclusi i Lingiiyàt) , essa viene
di nuovo esclusa in determinate circostanze religiose, come durante i
digiuni , ai quali gli Indiani si abbandonano con notevole frequenza,
o nelle pratiche yoga (nel quale caso la nutrizione carnea ottunde la
percezione sottile dei processi psico-fisici , quindi il loro controllo) e
durame le innumerevoli osservanze religiose che gli Indiani denomi­
nano vrata, voto. I vrata sono forme di ascesi minore compiute al fine
di conseguire uno scopo particolare, spesso in concomitanza a deter­
minate fasi lunari. Questi vrata, che talvolta durano periodi lunghis­
simi , sono caratterizzati , come presso altre civiltà religiose, da asti­
nenze, digiuni vari , continenza sessuale , purificazioni mediante ba­
gni di acqua mista a sostanze vegetali (in genere sesamo) , offerte agli
dèi , giaculatorie (iapa) di formule sacre (mantra) e recitazione (pa­
{ha) di testi sacri , come i Purà11a; alla fine di un vrata è di regola fare
un dono ai sacerdoti , talvolta di smisurata entità. D'a-ltra pane, la
pratica universale dei vrata, osserva l'indianista francese Renou , ca­
ratterizza l'invadenza della casta brahmanica nella vita spirituale in­
diana. Il medesimo studioso cita in una sua opera (L 'Jnde Classique,
voi. I, 5 87-8) alcuni esempi di vrata, che riassumiamo in seguito, per
dare un'idea della severità e rigore con cui gli Indiani si assoggettano
alle osservazioni religiose.
Il kal_yii,;ini - o bhima-dviidafa-vrata dura dal 1 0 al 1 8 del mese lu­
nare di mag ha (gennaio-febbraio). Dopo un bagno purificatorio,
l'officiante compie la prima sera l'omaggio a ViJ11u-Niiriiyii11a, rivol­
gendogli una serie di appellativi diversi che corrispondono alle diver­
se pani del corpo del dio oggetto della sua medtazione, indi onora
con sandalo; incenso, fiori e cibo Garru:/a, krn1a, Siva, Ganefa; si nu-
200 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

tre , in seguito , di una polentina di latte e sesamo e, dopo essersi puri­


ficato la bocca e pulito i denti, dorme per terra . La mattina seguente ,
dopo le solite purificazioni alle quali aggiunge la frizione con le cene­
ri , dedica un lungo tempo alla lettura, oppure all'audizione dei Pu­
ra1;1a e delle altre narrazioni leggendarie. Indi rizza fuori della sua
abitazione una tenda con un portico davanti ed un bacino triangola­
re ; rende omaggio ai quattro, oppure agli otto Lokapala e poi, seduto
sulla pelle di un'antilope nera (simbolo della «entrata in sacro») si sie­
de in uno degli asana prescritti, dopo essersi collocato sulla testa un
orcio d' acqua, in modo che questa gli coli addosso , goccia a goccia.
Seguono le offerte rituali ad Agni di genere vedico (agni-hotra , v . in­
fra) effettuate da quattro brahmar;ia rgvedin , le preghiere a Rudra
pronunciate da quattro brahmai;ia yajurvedin , ed i canti a Vift1!' ese­
guiti da quattro brahmaqa samavedin . Tutti questi brahmar:ia ricevo­
no naturalmente doni di ghirlande , sandalo , anelli d'oro , vesti,ecce­
tera . La notte trascorre in musiche e- canti. I giorni successivi conti­
nuano similmente fino a quando il sacrificante offre , come congedo,
i doni inaggiori al proprio guru ed ai brahmaqa, consistenti in 1 3 vac­
che lattifere dalle corna dorate e gli zoccoli inargentati.
Un' altra specie di vrata , che testimonia un esempio singolare di
prostituzione religiosa, è il cosiddetto ananga-dana-vrata («il voto del
dono all'Incorporeo», cioè al dio dell' Amore, Kama) . Inizia una do­
menica sotto favorevoli costellazioni celesti. Le donne si consacrano
in un bagno misto di acqua e piante diverse , adorano, poi, l' immagi­
ne di Vif?JU appellandolo con nomi per i quali ogni parte del suo cor­
po è designata con un appellativo di Kama . Dopo le consuete offerte
d' incenso , fiori, sandalo e cibi , il sacrificante alberga in casa propria
un brahmai:ia dotato di speciali requisiti morali e fisici per un periodo
della durata di tredici mesi, durante i quali costui è servito e venerato
come se fosse Kama in persona: ogni suo desiderio deve venir soddi­
sfatto dalla moglie del sacrificante che gli si dona totalmente. Al ter­
mine dei tredici mesi il brahmana riceve in dono un letto con tutte le
,-
coltri , una vacca lattifera e un immagine di Kama e Rati. Da quel
giorno in poi, qualunque brahmar;ia capitasse di domenica in quella
casa per placare un desiderio erotico, dovrà venir accolto , onorato e
soddisfatto.
Altri vrata sono di genere puramente espiatorio, come se si trattas­
se di una forma di prayafcitta maggiore: tali sono il go- vrata («espia­
zione per l'uccisione di una vacca») , per cui il penitente vive in mez­
zo alle vacche ininterrottamente per tre mesi , rivestito della pelle
dell'animale ucciso, con la testa rasata , lavandosi quotidianamente
nell'orina di vacca e nutrendosi almeno per il primo mese di un de­
cotto di orzo. L'ipotetica uccisione di un brahmaqa, il che per gli In­
diani è naturalmente il massimo delitto, oppure l' aborto procurato ,
vengono espiati con il cosiddetto maha- vrata, il grande voto, che du­
ra dodici anni.
RITI E PRATICHE LITURGICHE 201

Ai vrata sono con nesse le numerose e talvolta dolorose (krcchra)


pratiche espiatorie , le quali si basano sulla concezione del peccato co­
me di una sostanza dannosa , di uno schermo che separi dallo stato sa­
cro . Questa condizione viene allontanata mediante una penitenza
che assume frequentemente l ' aspetto di asceti (tapas) consistente in
diverse macerazioni , digiun i , continenze, controlli prolungati del re­
spiro , posizioni fisiche particolari , eccetera , sì da assimilarla ad una
pratica yoga vera e propria . Si considera infatti che la Sacra Scienza,
lo Yoga in particolare , costituisca una forma di espiazione preventiva
perché conduce l ' uomo di là dal peccato , non solo , ma anche d i là
dal dharma. Le penitenze durano una dozzina di giorni , durante i
qual i , per tre giorni , il penitente si nutre scarsamente solo di matti­
na, per tre altri solo di sera , per tre solo «di ciò che si è ottenuto men­
dicando» e, per gli ultimi tre , digiuna completamente. Un altro vra­
ta, il candriiyana, è un digiuno che dura per tutto un mese lunare ,
nel corso del quale lo scarso cibo , in genere riso , viene progressiva­
mente ridotto fino ad un minimo insignificante (un chicco) , indi
progressivamente accresciuto di nuovo , a seconda del l ' assottigliarsi e
del crescere della immagine lunare . Durante questa pratica , natural­
mente, si recitano testi sacri , si compiono libazioni, eccetera .
Un altro gruppo di espiazioni sui generis consiste nel l ' equilibrare
il cattivo karman con un insieme di buone azion i , in particolare
creando istituzioni benefiche (ciò però è più comune fra i Buddhisti) ,
oppure consegnando i soliti doni ai brahmai:ia conoscitori del Veda e
«ad altre persone degne, mai al re o ai parenti dell ' eventuale vittima
della cattiva azione» . Gli Indiani conoscono , però , sin dai tempi ve­
dici , anche il nostro «guidrigildo» ( vaira) medievale, con il quale si ri­
compensa l ' uccisione di un uomo mediante una somma determinata
a seconda della sua casta . Tale istituzione si estende anche all ' uccisio­
ne di animali . Fra le opere espiatorie vi sono pure i pellegrinaggi ai
tTrtha ed innumerevoli altre opere di pietà religiosa che non presenta­
no particolare interesse .
Il limite estremo del l ' espiazione è quello del suicidio sulle cui for­
me si dilungano i testi della Smtjti. In generale vige il principio che
la punizione debba essere una forma di contrappasso rispetto al delit­
to . Con ciò si esce dal campo meramente religioso , per entrare in
quello giuridico . Accenniamo solamente alla pena prevista dal Codi­
ce di Manu (Miinava-dharma-fiistra) per il discepolo che abbia com­
messo adulterio con la moglie del maestro : egli deve perire su un let­
to di ferro reso incandescente .
La manifestazione più comune e collettiva della religiosità indiana
è data dalle feste (yatrii, processione; utsava, feria; manga/a, augurio,
eccetera), il significato liturgico delle quali si colloca fra la pujii e il
vrata. Il calendario che le regola è lunare e stagionale , poiché la de­
terminazione dei giorn i festivi si basa sui gradi ascendenti e discen­
denti di ogni lunazione, rioè sulle cosiddette tithi, o giornate lunari ,
202 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

bianche (di luna crescente) , nere (di luna calante). I due periodi fon­
damentali per le celebrazion i festive, sono naturalmente quello della
luna piena (punJima) e dell'estrema luna calante (amavasya) . In que­
st i due periodi han no luogo le festività pubbliche fisse ( nitya) e quel­
le occasionali ( naimittika) , queste ultime celebrate , di regola , in casa
dal sacerdote domestico o dal padre di famiglia. Esistono , però , feste
e riti riservati alle don ne, come nella Roma antica, uno dei quali è la
cosiddetta Àrati, che viene compiuta accendendo al vespero una lam­
pada che viene agitata verso i quattro punti cardinali.
Dalle innumerevoli feste religiose trascegliamo alcune fra le più
importanti , di carattere pan- indiano, prescritte da testi fondamentali
come il Bhavzjya-pura1Ja:

1 . il phalg una ( - utsaval- Phalguna è il mese lunare fra febbraio e


marzo, detto anche ho/i. E una specie di moderato saturnale, che se­
gna la fine dell'inverno, durante il quale si eseguono canti e riti li­
cenziosi ed una celebrazione apotropaica che ricorda la fuga del de­
mone Holika (femm. ) , cacciato e bruciato da ragazzi armati di scia­
bole di legno. A parte il carattere «fescennino» della festa che celebra
la rinascita delle forze della generazione, si può osservare che la cac­
ciata e l'arsione del pupazzo animato rappresentante l'inverno è co­
mune a molti paesi anche europei , come il nostro Abruzzo.
2 . il damana-mahotsava ( «la grande festa della pianta damana» ce­
lebrato nella penultima tithi del medesimo mese , è la festa dell' amo­
re Kiima , travestito sotto le spoglie di Siva che , d'altro canto , è il suo
distruttore ! ) . La festività è celebrata con grandi luminarie .
3 . l'andolaka- mahotsava («la grande festa dell'altalena») , celebra­
ta ali' in izio della primavera , festa pure dedicata a Kiima, durante la
quale si fanno «oscillare» (andola) le immagin i. Nella medesima da­
ta , altri fedeli compiono la medesima operazione con l'immagine di
Kn,:ia , detta dola-yiitrii: le donne, poi, compiono il rito nella terza ti­
thi chiara del mese di caitra (marzo-aprile) in onore di Gauri. Nello
stesso mese si onora Surya, conducendone l'immagine in processione
su un carro ( ratra-yiitrii) , accompagnato da un corteo, fra il suono as­
sordante di conche, timpani e tamburi . La folla entusiasta getta sul
carro riso, fiori ed incenso.
4. frequentemente confusa con le feste descritte qui sopra è la «fe­
sta dell'Amore» ( madana- utsava, let t . «festa dell'ebbrezza») , che ha
luogo nelle 1 3 a e 1 4 a tithi chiare dello stesso mese , nel corso del qua­
le è onorato dalle donne Kiima, assieme all'amorosissimo Krsna , sim­
boleggiati da un albero A.foka, al quale si offrono fiori. ecc�t�ra . Nel
corso della processione che si effettua in tale circostanze si gettano
sulla folla polveri rosse tratte da piante o fiori disseccati dalle virtù
afrodisiache oppure , mediante siringhe, sch izzi di acqua colorata e
profumata contenente tali polveri .
5 . una festa di carattere carnevalesco e licenzioso, durante la quale
RITI E PRATI CHE LITURGICHE 203

uomini e donne si scambiano gli abiti, è quella della Bhiita-matar, la


«Madre degli Spiriti», che dura ben quindici giorni. La Bhiita-matar è
un genio androgino dimorante pelle acque dei fiumi, diventato nel
corso del tempo il prototipo di Siva ardhanarifvara (5. «mezzo uomo
e mezzo donna»).
6. gli amuleti ( rak!a) vengono consacrati ed assegnati ai devoti nel
corso di una festa detta ra/qa-bandha-piirr;ima, che si celebra, come
indica il nome, nella notte di plenilunio (piinJima) del mese di frava-
na ( luglio-agosto).
7 . Durga, la temibile ed invocata sposa di Siva, arcana signora del­
la vita, è onorata nel Durga-mahotsava, nei due mesi successivi di
bhadrapada ( agosto-settembre , 8 ° -9 ° giorno) ed afvina (settembre­
ottobre 7 ° -9 ° giorno). L'immagine viene trasportata su un carro ad­
dobbato di tele e di panni pregiati, ornato di specchi mentre donne e
fanciulle gettano fiori, steli di erba diirva ( panìco), riso non mondato
ed acqua. Le porte delle case restano aperte, gli alberi non vengono
abbattuti durante quei giorni e i prigionieri, possibilmente, sono li­
berati.
8. alla fine della stagione delle piogge viene naturalmente celebra­
to lndra, che con)a sua folgore spezzò le nubi-montagna ( Vala) , libe­
rando le acque. E questa l'epoca in cui si celebra l ' lndra-mahotsava,
nel corso della quale si esalta soprattutto lo stendardo di Indra (dhva­
ja) , che egli prestò agli dèi affinché, agitandolo, intimorissero e scon­
figgessero i Danava, o Daitya. Lo stendardo è qui rappresentato da
un albero che il re, dopo averlo accuratamente scelto nella foresta,
abbatte personalmente e fa trasportare nella piazza centrale della cit­
tà, ove viene ornato dalle immagini di Indra e della sua sposa Saci.
Dopo i cinque o sette giorni di onoranze ed oblazioni, che gli vengo­
no tributate dalla popolazione, esso viene rimosso ed abbandonato
sul filo della corrente di un fiume vicino. Questa festa di origine sola­
re viene celebrata nel Sud col nome dravida di PongaL (v.) qualche
mese più tardi.
9. Notissima per la sua singolarità è la festa delle «Illuminazioni»
( dipalika- utsava, dipavali, mod. deva/i) , che viene celebrata in tutta
l'India dalla 14• alla 16• tithi oscura di karttika ( ottobre-novembre).
Si tratta di una commemorazione di origine cronica, diretta a ricorda­
re i Mani dei defunti ed il demone Bali, al quale, dopo averlo vinto,
lndra concesse la grazia di ritornare sulla terra una sola volta ali' anno.
Per accogliere degnamente questo revenant, alla vigilia della festa si
effettuano lustrazioni rituali e libazioni in onore di Yama, il re dei
morti. La sera ha luogo I'«offerta delle luci» al demone Naraka, du­
rante la quale tutti i templi e le case dell'India sono ornate di lumi
accesi per tutta la notte. Il giorno seguente, sotto l'imperio di Bali,
hanno luogo danze, ubriacature, giochi d'azzardo e manifestazioni,
ricordate e prescritte nei testi tradizionali, le quali, per il gusto occi­
dentale, sono francamente oscene; secondo la Sanat-kumara-sa�hita
204 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

i giovanotti debbono inseguire le fanciulle ostendendo il pene e il


popolo , teoricamente, dovrebbe avere libero accesso alle prostitute.
Dopo una nuova lustrazione il re esce, senza scorta, per mescolarsi al
popolino . Al mattino seguente, le prostitute passano di casa in casa
facendo gli auguri ai cittadini. Il re distribuisce doni e fa eseguire
combattimenti di animali: hanno luogo anche mostre di bestiame e
la festa si conclude con l'adorazione dell'immagine del demone Bali.
Attraverso i riti apparentemente strani e formalmente immorali di
questa festa, non è difficile distinguere alcuni elementi aborigeni -
culto della fecondità, scongiuro delle sventure mediante esibizione
degli attributi virili - ed altri elementi liturgici volti a rievocare
l'epoca «caotica», quella degli Asura, anteriore al tempo in cui venne
istaurato il dominio celeste dei Deva. Così come i Romani con le Sa­
e
turnalia ricordavano il tempo primigeneo in cui uomini dèi viveva­
no frammisti in una libertà naturale e non esistevano né leggi, né
classi sociali, né stranieri, né nemici - ma neppure l'ordine -
egualmente gli Indiani, con le celebrazioni dello ho/i e della dipliva­
li, rimettono liturgicamente in libertà quei demoni che simboleggia­
no le forze naturali connesse alla generazione, che in tempo «norma­
le» sono severamente raffrenate dal dharma.
1 0 . A queste feste altre si aggiungono, nel Sud dravidico, fra le
quali due soprattutto meritano di essere ricordate; il nava-rattirigam ,
«i nove giorni-e-notte», consacrato alle fakti Durgii, Lakfmi e Sarasva­
ti, durante la quale gli studenti recitano pubblicamente i poemi
composti dai loro maestri e vengono ricompensati con regali. Con­
temporaneamente avviene la consacrazione delle armi, seguita da
duelli sanguinosi fatti da una casta speciale di pugili detti in telegu
jetti. Altra festa è il PongaL , che si celebra nel mese detto Tei
(gennaio-febbraio), nel giorno della cosiddetta makara-sa1?1krlinti,
«entrata del Sole in Ariete», in onore di lndra Bhogin , «fruitore», in
tamil Pogi. La festa consiste nell' «ebollizione» (pongaL) di riso cotto
nel latte da pane delle donne sposate, che poi viene offerto a divinità
varie ed alle vacche. Nel secondo giorno della festa, le donne vengo­
no escluse: sono gli uomini ad aspergere di acqua consacrata le vac­
che, al cui collo sono attaccate ghirlande di fiori e di frutti ( special­
mente noci di cocco) che, quando cadono a terra, vengono consumati
dai festeggianti. Gli armenti sono dispersi e lasciati liberi di pascolare
ove loro piaccia. In seguito le mandrie sono di nuovo riunite ed a loro
si presentano, in processione, le immagini del dio. L'alternarsi liturgi­
co dei due principi, l'uomo e la donna, e delle due condizioni, la liber­
tà e l'ordine negli armenti, ne caratterizzano l'aspetto propiziatorio e
al tempo stesso, quello mitico, rendendola una delle più importanti
celebrazioni collettive dell'India meridionale dei giorni nostri.
1 2 . Le sette a ten den za innovatrice

Con Ramananda e la sua scuola, il Vigmismo , che potremmo de­


nominare ortodosso, raggiunse storicamente quelle che potevano
essere le sue capacità innate di sviluppo, (v. supra) : con lo
Saktismo e l' émanatismo di Caitanya (m. 1 5 3 3 ) giunse alla vetta del­
la sua capacità di sintesi di tutti gli elementi mistici , religiosi e filoso­
fici presemi nell' India medievale. Le evoluzioni successive che non
toccheranno solamente la religione vi�i;iuita, ma tutto l' Hinduismo
nel l ' accezione presente del termine, saranno dovute ad influssi reli­
giosi e filosofici estranei al mondo indiano tradizionale: dal secolo xv
al XVII I l ' Islam, nel XIX e XX secolo il Cristianesimo e le correnti filo­
sofiche pragmatiche, idealiste ed umanitarie dell' Occidente. Quest i
influssi sono stati variamente favoriti e d accentuati dalle due domi­
nazioni unificatrici subite dall' India successivamente: quella dei Mo­
ghol , che conobbe l' acme al tempo dell' imperatore Akbar ( 1 540-
16 1 3 ) , e quella britannica durata fino al 1 948 , durame la quale l' In­
dia si aprì ai più svariati influssi politici , economici e filosofici
dell' Europa. Nel primo periodo l' Hinduismo, attraverso l' opera di
eccezionali personalità come Ramananda medesimo , Kabir e Nanak.
cerca di ricondursi ai temi essenziali della sua esperienza religiosa (la
bhak.ti, la maya, il k.arman) , rivolgendosi, però a un Dio, che non è
più l ' ineffabile Brahman privo di attributi (nir-gur;a) , remoto nella
sua immobile luminosità, grado supremo di realizzazione anche per
le esperienze k���aite , bensì è un Dio-persona connesso a tutti i suoi
attributi (sa-guf!a) , in rapporto immediato con l' umanità: questi è il
Dio-un ico, Dio-padre, Dio-amico, come Allah dei musulmani (i
quali, come si osserva, sono ammessi e accolti nei riti Ramanandi) ,
come il Christus-Deus dei Cristian i. In questo primo periodo l' Hin­
duismo cerca di esprimere dal suo seno un movimento religioso che
possa essere la religione di tutta l ' India. Nel secondo periodo, invece,
l ' H induismo sembra subire dall' Occidente un triplice influsso: quel­
lo del Crist ianesimo, nel senso di attività morale e pratica al servizio
del l ' Umanità, quello della filosofia occiden tale, come attività intel­
let tuale pura volta ad indagare le basi del pensiero e, quindi . della
conoscenza del mondo e, infine, l ' influsso del la scienza critica euro­
pea, specialmen te quel la filologica e quella delle Religioni compara­
te, che pone agli Indian i il problema del le origini del la loro stessa tra-
206 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

dizione religiosa , risvegliando al contempo l' impulso a trarre dalla


loro stessa spiritualità un messaggio valido per rutta l'Umanità. In al­
tri termini , l'impulso ricevuto dall' Occidente , prima islamico, poi
europeo , indurrà paradossalmente gli Indiani a formulare l 'essenza
dell'Hinduismo nei termini di una Religione Universale.
In questo secondo periodo , che verrà trattato più avanti , emergono
le energiche personalità di Riimmohan Rày, Keshab Candra Sen,
Dayànanda Sarasvati, i contemporanei Riimakrf1Ja Paramaha,psa,
Vivekiinanda, Ràmana Mahiirfi ed Aurobindo Ghosh , questi ultimi
scomparsi rispettivamente nel 1 9 5 1 e nel 1 9 50 .
Kabir è il punto di partenza e l ' ispiratore del primo periodo di rin­
novamento. Noto come jnani, «colui che conosce», la sua biografia
vera , a parte la versione più leggendaria raccolta e pubblicata dai
Kabir-panthi nel 1 88 5 , si riduce a poch i fatti essenziali. Nacque pres­
so Benares , figlio illegittimo di una vedova brahmar;ia attorno al
1 39 8 , situazione biologica difficilissima che non gli impedì di cam­
pare in ottima salute per ben 1 1 9 anni , 5 mesi e 27 giorni , superando
così i 90 an n i di vita del suo maestro Ramiinanda ( 1 340- 1430) . Anco­
ra infante fu adottato da un tessitore (juliihà) musulmano di Benares,
che lo allevò amorevolmente insegnandogli il mestiere e probabil­
mente dandogli lo stesso nome ( kabir significa «grande» in arabo).
Ancora adolescente ascoltava rapito gli insegnamenti degli asceti che ,
come ancor oggi , affollavano la città natale. Si diede ben presto alla
pratica dello yoga , accoppiandolo ad una spregiudicata posizione re­
ligiosa , per cui di volta in volta si faceva ritenere un sadhu o un .fufi
con cale passione che la sua candida matrigna soleva dire che «da
quando Kabir ha imparato a sgranare il rosario , la felicità è uscita da
questa casa grano per grano».
Non era più canto giovane quando fu attirato dal circolo religioso
di Ramànanda. lvi , di fronte alle correnti semi-ortodosse dei grandi
poeti e mistici Nabhadàs e Tulsidiis, egli venne a rappresentare la
tenden za di riconciliare tutte le sette e religioni nel culto di un Dio
solo , nel senso del tawhid islamico, animato dalla bhakti hindu .
Condannò, pertanto , tutti i riti , l'adorazione delle sacre immagini , i
digiuni , le peniten ze e altre forme dell'ascesi hindu , specialmente
quelle complicate e dolorose. Suscita meraviglia il fatto che , in quei
tempi di astio e lotta religiosa ad oltranza, fra h indu e mussulmani e
fra h indu e h indu, sia riuscito a sopravvivere un uomo come Kabir
che, con allegra indifferenza , insultava pubblicamente i Veda e il Co­
rano e derideva i rit i delle due religioni dicendo che «mondare la pro­
pria anima è ben più faticoso che fare una nuotata nel Gange o una
passeggiata alla Mecca» . Mantenne nella sua semplice teoria religiosa
quelle dottrine sulle quali tutti gli Indiani convenivano, come quella
della Liberazione, quella del karman, quella del sa1'flsiira. Con il ter­
mine di miiya egli volle positivamente denotare il cosmo che l'Ente
Supremo , da lui denominato Ram (Riima) , ha la libertà di creare co-
LE SETTE A TENDENZA INNOV ATRI CE 207

me vuole . Fra gli elementi di origi ne cristiana , probabilmente media­


ti dall ' Islam , vi è la leggenda di Adamo e del Paradiso terrestre . I
suoi convincimen ti religiosi non sono particolarmente origin al i : lo è
l ' impeto con cui esercitò la sua m issione di apostolo del l ' Uno. Colui
che t rascen de nome e definizione , che contemporaneamente è l ' ir­
raggiungibile Brahman nirguria (di là dagli attributi) che è l ' amore­
vole Han· o Rama, e che egl i non si perirò di chiamare addiritt ura Al­
lah o Raf?im (arabo «clemente» ) . Più che dottrina dogmatica , egli fu
maestro di yoga: quanto era eterodosso in fatto di religione, altret­
t anto ortodosso era i n fatto di pratica , cioè di yoga , del quale insegnò
una semplificata versione, fondata sulla tradizione di Gorakh-nath
( Gorak1a-nàtha, secolo VII? , IX? ) . Si trattava , quindi di Ha(ha-y oga
(v . infra) , m irante al risveglio della sakti cosmogonica assopi ta alla
base del complesso umano (kurJc/a/irJi", v. infra) , la sua risalita nella
vena sujumna e la sua ricongiunzione , in un amplesso trascendenta­
le, al di sopra del capo , con lo Siva-bindu , il «punto» eccelso che,
«pur essendo più sottile della milionesima parte di una fibra di loto ,
ha il fulgore di dieci milioni di soli» . Da questo amplesso fluisce i l
nett are (rasa) , c h e è i nesauribile vita animica e corporale , «mirabile
melodia senza suono» (anahata nada) , che egli esaltò con tale i nno­
cente entusiasmo da non potersi dubitare che ne abbia avuto espe­
rienz a . Oltre a quella religiosa, ebbe anche seppur sciatta e disordi­
nata, una vita mondana . Si sposò due volte , la prima volta con una
don na scialba di casta incerta di nome Lai, la seconda con una donna
bel la, elegante ed affabile ricordata come Dhaniya, talvolta invece
come Ramjaniy an , termine che sign ifica «donna degli dèi» , ma anche
«prost ituta» , ciò che ha fatto pensare che, prima di conoscerlo , avesse
esercitato la sacra professione. Ebbe anche due figl i : uno maschio ,
Kamal, asceta anche lui ma in conflitto con il padre , perché adorato­
re del Dio sagu17a («dotato di attributi»), ed una figlia Kamali. La
leggenda delle sue esequ ie è un simbolo efficace di tutta la sua vita e
del suo insegnamen to. Allorché decise di abbandonare la vita terrena
e morì alla venerabile età suaccen nat a , hindu e mussulmani si dispu­
tarono il suo cadavere : alzato un lembo del sudario , si avvidero che di
lui rest ava solo u n mucchio di fiori , che equanimemente si divisero ,
in part e bruciandoli e gettandoli nel Gange , in parte seppellendoli .
Il suo insegnamento, sciorin a to in un insieme di canti molto bel l i ,
det t ati in una varietà di hindi detta sadhukkari («lingua d e i sadhu») e
det t i Bijak, i «Conti», fu raccolto dal discepolo Bhoga1te , più tardi
ordi nato nella cosiddetta Granthava/i («Raccolta delle Opere» , v .
t rad . italiana di L. P . Mishra , Torino 1 97 1 ), attorno al 1 5 70 dagli
adept i alle sue dottrine, che formarono la setta dei Kabir-panthi
(«rhe seguono la via di Kabir» ) , ancora esistente ed ammontante a
rirra un milione di persone . Questa setta si divise in varie sette e
sotto-sette_, ognuna delle quali ha una propria letteratura e qualche
differenza dot t rinaria. Il fi lone pri nripale ha conventi di monaci e
208 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

monache (poco numerose) , guidati da due abati detti Mahant,


«Grandi» , residenti nel monastero ( mafha) di Benares. Il movimento
rinnovatore iniziato da Kabir riveste grande importanza per due
eventi storici e religiosi da esso indirettamente provocati. Il primo, di
natura politico-religiosa , fu l' aver ispirato il geniale , seppur sterile
tentativo dell' imperatore moghùl Akbar ( 1 5 56- 1605) di creare una
religione unitaria , Din-i Iliihi(ar . - pers. «Religione divina») per tutti
gli Indiani , che superasse l' accanita ostilità fra Islam e Hinduismo.
Questa religione , sintesi di Zoroastrismo , Islam , Hinduismo e Cri­
stianesimo, non sopravvisse alla morte del saggio imperatore , altro
che come impulso religioso fra gli spiriti più avanzati della società in­
diana, fra i quali l' intelligente ma sventurato suo bisnipote , il princi­
pe Darli Shikoh (m. 1660). Il secondo evento fu la nascita della co­
munità dei Sikh (dal scrt. fzjya, «discepolo») , fondata dallo k�atriya­
commerciante di Lahore Nanak Dev ( 1469- 1 5 3 8). Costui propagò il
movimento di Kabir nell' India settentrionale recitando, assieme al
suo discepolo Mardiinii, ispirati inni religiosi composti in un misto di
hindi e panjab1. Radunato un grande numero di adepti, fondò un
embrione di Ordine al quale consegnò , come sintesi del suo insegna­
mento, il suojapJi, un breviario comprendente il «credo» di Kabir ed
un certo numero di preghiere da recitarsi quotidianamente: gli si at­
tribuiscono anche due trattati filosofici in sanscrito. La religione sikh
di Niinak Dev (che , in seguito, subì notevoli mutamenti) , rigetta le
pratiche hindu come quelle mussulmane , nonché i rispettivi testi ri­
velati. Nelle biografie di Niinak si parla frequentemente di conversari
da lui avuti con fufi mussulmani e di un pellegrinaggio da lui com­
piuto alla Mecca ed a Medina. A dispetto di questi particolari , che
possono anche essere veri , il Sikhismo appare sin dall' inizio come
una setta rigorosamente hindu , ispirato alla bhakti ed al culto
dell' azione incoraggiato dalla Bhagavad-gitii, quali propiziatori della
grazia divina (pus_�z) . L' elemento più evidente ispirato all' Islam, che
si andò affermando nel corso del secolo successivo , risiede nella tra­
sformazione della comunità sikh in un ordine militare e nella susse­
guente affermazione del principio dottrinale della «guerra santa» (il
cosiddetto jzhiid dei Mussulmani). Questo elemento religioso­
militare , fatto quasi unico nella storia (lo si può paragonare alla fon­
dazione degli Ismaeliti o della setta dei Drusi), trasformò i Sikh in
una nazione entro la complessa «nazionalità» indiana, che riunisce in
molti dei suoi individui eccellenti caratteri fisici delle genti nord­
occidentali del Sub-continente. A Niinak successero nove guru, che
vennero venerati, dopo morti, quali emanazioni delle Divinità me­
diatrici fra Dio e gli uomini.
Angad, il successore di guru Niinak , inventò, per trascrivere gli in­
ni del maestro, la scrittura gurumukhi; Amaràas e Riimdiis ne com­
posero altri che , poi, vennero riuniti a quelli di Kabir, di Niimdev e
di altri santi del «Libro» (�ii�ib Granth . «Signor Libro») , redatto nel
LE SETTE A TENDENZA INNOV A TRICE 209

1 604 dal quinto guru A rjan , costruttore del tempio della setta ad
Am�tsar (Hari- mandira o Darbàr �àf?ib) , con il quale la carica di guru
divenne ereditaria. La raccolta degli inni e delle parti liturgiche fu
completata dal decimo guru, Govind Rai, che guidò la comunità dal
1 6 7 5 al 1 708 .
Il credo religioso dei Sikh non si allontana molto, almeno ali ' ini­
zio , da quello dei Kabir-panthi. Se ne differenzia da questo solo per
la maggiore importanza attribuita al guru , il quale , come accade
nel l ' ambito tantrico , è concepito q uale trasmettitore carismatico
dell ' in iziazione, mediante il quale l ' insegnamento tradizionale viene
reso viven te ed attivo . Si aggiunga il fatto ignoto ai Kabir-panti, del­
la crescente ostilità verso l ' Islam , giustificata del resto dalle persecu­
zioni a cui i Sikh vennero sottoposti da alcuni imperatori moghiil
particolarmente bigott i , che divenne la ragion d ' essere del l ' Ordine.
Govind Rai accelerò la trasformazione della setta in una confraternita
militare , caratterizzata da costumi e abiti particolari , dominata da
un ' aristocrazia detta, con termine islamico , Khalsa, «la Purezza» , i
cui appartenenti ricevono, all ' atto della loro coopt�zion e , assieme al­
le insegne e ad uno speciale abito , il soprannome di Singh (scrt .Ìùp­
ha, «leone») . Non tutti accettarono le riforme di Govind; ad esse si
opposero i Niinak-panti ( «Seguenti la via di Nàn ak») o Sahzjdhari
(«Seguen ti la via facile» ) , ma ormai la via futura dei Szkh era segnata .
Govind proscrisse la maggior parte delle pratiche hindu , sostituendo­
le col culto del Granth ( al i ' opposto di Kabir , che aveva proscritto
qualsiasi libro sacro ! ) e della spada ( krpan) , che ogni Sikh praticante
deve portare addosso , oltre ad una chioma fluente (kef) , un pettine
per tenerla in ordine ( usi che contrastano con la rasatura del capo e la
depilazione abituali fra i M ussulmani del tempo antico), le brache
(kacch), eccetera. Govind istituì anche una specie di battesimo , me­
diante l ' aspersione con acqua zuccherata agitata dalla spada, detta
amr:ta, quindi , riten uta conferire immortalità spirituale . Di tendenze
rigorosamente ascetiche , prescrisse la pratica della castità anche nel
matrimonio. Il suo successore Banda (Bahiidur, 1 708) non assunse il
rango di guru , ma in cambio stimolò le tendenze ascetico-guerresche
propagate dal suo predecessore , scatenando una guerra spietata con­
tro i Mussulmani in generale ed il governo moghiil in particolare ( ret­
to allora dal severo imperatore Aurangzeb , m. 1 70 7 ) . A partire da
quest ' epoca (Banda morì nel 1 7 1 6 decapitato per ordine di Fazzukh­
siyàr: fu così il secondo guru martire dei Sikh , il primo essendo stato
Arjun , torturato e fatto uccidere nel 1 606 dall ' imperatore Jahllngir) ,
l ' ordine sikh cessa di avere importanza come innovazione religiosa ,
acquistando , in cambio , crescente peso politico . Con Govind Singh ,
il decimo guru, la khlilfa diventa l ' istituzione centrale dell ' ordine e
dello stato sikh , che riunita in sessione plenaria, detta guru-matti,
«opinione del guru» , assume potere dogmatico in fatto di religione e
legislati.vo-esecut ivo nell' ambito giuridico ; simbolo ufficiale dello
2 10 RELIGIONI E MITI DELL'INDIA

stato sikh diven nero le due scimitarre, il pugnale a due cagli e l' anel­
lo di ferro ( kara) dal bordo taglien te portato al braccio da ogn i singh,
che furono assun t i come emblema della virtù guerriera e dei poteri
temporale e spirituale. Govind Singh morì sulle rive della Goda.vari
nel 1 708 assassinato da due afghani a pugnalate. Con lui si conclude
lo sviluppo religioso del Sikh ismo. Accenn iamo soltanto al fatto che,
nel corso del secolo X VIII i Sikh s'impadronirono gradualmente del
Panjab , i n cui il capo Ranjit Singh ( 1797- 1839) creò uno stato organi­
co difeso da un formidabile esercito istruito da generali già napoleo­
n ici, fra i quali il modenese Giambattista Ventura e il napoletano
Paolo Avitabile, il cui severo rigore è ancora ricordato nelle provincie
nord-ovest dell'India e del Pakistan! Lo stato sikh venne poi distrutto
defin itivamente dagli Inglesi nel 1849. Attualmente i Sikh ammon­
tano a circa 8 milioni.
Una pleiade di altre scuole tuttora esisten ti derivò dalla set ta di
Kabir.
Fra queste si possono citare i Diidit-panti, discepoli di un cardatore
di lana, certo Diidii, vissuto ad Ahmad-abab (Gujrat) verso la fine
del secolo XVI, che venerano con la pitjii hindu il manoscritto dei
messaggi (bar/i) del suo fondatore , comprendenti circa 5000 versi , i
Liildiisi, i Satniimi, i Biibiiliili e infine i Siidh (scrt. siidhu, «buono»,
«yogin») , questi ultimi monoteisti di tendenze puritane, fondati da
Birbhiin nel 1 6 58, attualmente diffusi attorno a Delhi. Essi furono
gli eroi della rivolta hindu contro l'imperatore Aurangzeb nel 167 2 .
Quello che appare curioso è che, in tutto questo fervore d i rinnova­
mento e, fino a un certo punto, di unificazione religiosa, gli Sivaiti
non abbiano preso alcuna parte . Il fatto è dovuto. con ogni probabili­
tà , al carattere essenzialmente esoterico delle loro dottrine, che le
rende poco accessibili alle masse. facilmente attirate. invece,
dall'emotività bhakta dei Vi�Quiti. Si può , al massimo , citare la setta
fondata dal raj put Siva-niiriiya1Ja, che professa la credenza nel solo
nirgu1Ja Brahman . Cosa notevole, gli adepti di questa scuola, pur ve­
nerando la persona del loro fondatore come incarnazione del Brah­
man, non hanno riconosciuto dopo di lui alcun guru . Nelle loro pra­
tiche si fanno guidare dagli scritti lasciat i dal fondatore, circa 16 ope­
re in lingua hindi.
1 3 . Correnti spirituali moderne

Nel trattare il quadro complesso dello Hinduismo contemporaneo


(facendo , cioè, astrazione delle religioni «non-hindu» , praticate da
un numero non indifferente di Indiani: Jainismo, Buddhismo, Parsi­
smo, Cristianesimo , Islam e diversi culti aborigeni più o meno identi­
ficati), occorre tenere conto di due fatti: il primo è che , accanto ai
movimenti innovatori, sopravvivono perfettamente conservate e vi­
gorose nelle forme antiche tutte le precedenti correnti e scuole reli­
giose , con i relativi apparati teologici, liturgici, consuetudinali e filo­
sofici: ciò conferisce alla spiritualità hindu l'aspetto straordinario di
una stratigrafia di religioni, di una vivente «archeologia confessiona­
le» . Il secondo fatto , già accennato , è che l'Hinduismo, dietro alla
sua apparente immobilità, possiede un'infinita capacità di adatta­
mento a nuove esigenze spirituali. Ciò è dovuto alla circostanza che ,
per quanto complesse , articolate e autorevolmente imposte siano le
dottrine delle differenti scuole , esse si fondano non su di un dogma
rigidamente formulato, bensì su un'infinita varietà di esperienze mi­
stiche le quali , traslate sul piano confessionale o filosofico , danno
luogo a diverse teorie nel senso etimologico della parola, cioè «punti
di vista». È perciò che il singolo Hindu, a dispetto della solida orga­
nizzazione della sua società , che si articola in un insieme di caste teo­
ricamente impenetrabili, è l'individuo religiosamente più tollerante
che esista al mondo , tendenzialmente volto a creare sintesi sempre
più ampie che abbraccino , nel corpo delle sue tradizioni e delle sue
esperienze , anche quelle che gli provengono da ambienti radical­
mente diversi dal suo: ne è un esempio l'influsso dell'Islam sui
Kabir-panthi e sui Sikh , movimenti , questi ultimi . che , sulla base di
un minimo «credo» e di una massima possibilità di esperienza religio­
sa, data dalla bhakti rivolta ad un Dio-persona, furono ponte fra con­
fessioni diametralmente opposte . Questa attitudine religiosa degli
Indiani è stata la base per una religione pan-indiana che effettiva­
mente esiste di là dalle particolari confessioni di fede. Come si è de­
lucidato nelle pagine precedenti l'Hinduismo , essenzialmente , con­
siste in un processo di continuo amalgama che , attorno ad un nucleo
primitivo di credenze comuni ad altri popoli ari, espresse nei Veda,
aggiunse l'elaborazione filosofico-rituale di una casta di sacerdoti,
dando luogo al Brahmanesimo . att orno al quale, ancora, si conglo-
212 RELIGIONI E M ITI DELL' INDIA

merarono disparate forme di esperienza religiosa, ora derivanti dalla


pratica estatica di gruppi di asceti, gli Yogin, ora derivanti da anti­
chissime credenze di gruppi etnici, originariamente estranei alla pri­
mitiva «nazione» ario-indiana. Di fronte a questa «nazione», ormai
sfumata nel mito delle origini, si ergono - anch'esse profondamente
brahmanizzate (!) - le singole, splendide civiltà dravida del Sud, di
stirpe radicalmente diversa.
Nell'epoca moderna questa tendenza innata indiana verso il sin­
cretismo religioso (di cui l'imperatore Akbar fu un precursore) tende
a dilatarsi verso quel medesimo Occidente, di cui aveva subito l'im­
patto colonizzatore e missionario, assimilando i medesimi principi di
cui questo era stato portatore: l'impulso etico-sociale del Cristianesi­
mo, l'empirismo scientista anglosassone, l'idealismo filosofico a que­
sto opposto. Nella ricostruzione delle proprie fattezze religiose, l'In­
dia contemporanea aggiunge a questi principi la tendenza monotei­
stica, di cui si è trattato nelle pagine precedenti, rivelatasi nel suo
confronto con l'Islam. L'elemento veramente originale indiano in
questo processo, che tuttora continua, è lo Yoga, inteso nel suo signi­
ficato di categoria fondamentale dello spirito indiano: sfrondato,
quindi, da tutti i facili addentellati para-psichici, per cui rappresenta
per molti una via ali' evasione e non già alla realizzazione interiore
dell'Assoluto. Per i pensatori più vicini a noi, Riimat1a Mahiirsi e Au­
robindo Ghosh , si aggiunge un altro elemento che, secondo loro, è
connesso ad un'evoluzione spirituale dell'Umanità intera nell'epoca
presente. A detta di questi due pensatori che, seppure perfettamente
contemporanei e geograficamente vicini, non ebbero palesi rapporti
fra di loro, l'essenziale oggidì consiste nel promuovere l'emergenza e
lo sviluppo di una sorra di «Sé spirituale» ( Overself, secondo un ter­
mine caro ad Aurobindo), trascendente tutte le possibili condizioni
esistenziali - da quelle sublimi a quelle infime - che restituisca al
pensare la sua primordiale autonomia, sicché in esso operi la funzio­
ne di identità fra Io e Mondo. Una siffatta fulgurazione entro la co­
scienza umana le permetterebbe di penetrare anche i fatti materiali,
intuendoli immediatamente quali processi del divenire divino
nell'ambito terrestre, anziché assumere come loro realtà la trascrizio­
ne astratta del loro processo. A ciò soccorre la nuova forma di Yoga di
cui i due meditatoci, il primo allusivamente, il secondo esplicitamen­
te, si fecero propagatori .
Iniziatore delle correnti moderne hindu fu un brahmana di straor­
dinaria intelligenza ed energia, Riimmohan Riiy , nato a Burdvan nel
Bengala nel 1 7 7 2. Precoce conoscitore della letteratura brahmanica
ed uomo d'azione sin dall'adolescenza, compose a soli 16 anni un
trattato contro l'idolatria. Studiò nelle lingue originali, fra le quali il
greco e l'ebraico, i testi sacri delle maggiori religioni del mondo e
giunse a compiere un viaggio nel Tibet per documentarsi meglio sul
Buddhismo. Occupò alte cariche amministrative, sì da raggiungere
CORRENTI SPIRITUALI MODERNE 2 13

l ' investitura del titolo di rajà, ciò che non gli impedì di dedicarsi alla
propaganda etico- religiosa ; com batté il culto delle immagi n i , l ' uso
della sati ed il politeismo idolatra, men tre per iscritto diffuse idee ri­
formatrici ispirate al li beralismo occidentale . Maestro di prosa benga­
li , scrisse anche in i nglese e persiano , lingua di corte presso i Moghiil .
l n Jotta con gli ambien ti tradizion ali , fondò nel 1 8 14 a Calcutta,
I' A tmfya-sabhà («Assem blea spirituale») che, nel 1 8 28 si trasformò in
Bràhma-sàbha, detta più tardi Bràhma-samàj («Società dei fedeli al
Brah man» , cioè «al Dio unico») . Pur restando un brah ma1_1a in rap­
porti amichevoli con l e varie confessioni hindu ( nel suo samàj vi era
una sala riservata ai brahma,:ia per la lettura dei Veda) , conferì alla
sua società un carattere fortemente cristianizzan t e . Riteneva che il
Cristianesimo , epurato dai dogmi che lo frantumano in molteplici
confession i , fosse la migliore base per una religione universale , tanto
che propon e di istituire il «Pater noster» come preghiera comun e . La
sua personalità non è tanto in teressante per l e sue teorie , evidente­
mente impregnate dell ' etica religiosa e sociale europea dell ' inizio del
secolo XIX , quanto perché fu il primo a voler ricercare fuori dell ' India
qualcosa che potesse rinnovare spiritualmente e praticamente la tra­
dizione sociale e religiosa indian a , che egli non rinnegò mai . Ràm­
mohan Riiy morl nel 1 8 3 3 durante u n viaggio in Inghilterra , ove si
era fatto mandare come inviato straordinario del Gran Moghiil ma,
in effett i , per prendere con tatto con le personalità rel igiose del l ' Occi­
dente.
Dopo la sua morte, la sua setta subì diverse vicende: Devendranàth
Tagore ( padre del poeta bengalese Rabindranàth) , che n e assunse la
direzione, cercò di riformarl a su basi puramente hindu creando , nel
1839, la Tattva-bodhini-sabha, la quale però dopo una ventina d ' an ­
n i , tornò a fondersi con la società originaria. Personalità preminente
del Brahma-samàj fu Kefab Candra Sen , n ato nel 1 8 3 8 , che entrò a
f�rne pane nel 1 8 5 7 . Sotto il suo impulso , la società si scisse i n u n
A di-samhj ( Società originaria) e nel n uovo Bràhma-samàj, c h e adottò
le idee radicali di Kefab . Questi si proclamò ispirato messaggero di
una nuova rivelazion e , nella quale l ' elemento cristiano prevaleva
ideal mente su quello hindu . La sua morte, avvenuta nel 1 884 , portò
al decadimento e, prat icamen te, al i ' estinzione della Società .
Mentre il Brahma-samàj cercava di riunire gli appartenenti a fedi
diverse sul fondamento di un denominatore comune di aspira�ioni
spirituali e di convin zioni accettabil i , un altro movimento, I' Arya­
samaj ( «Società degli Ariani») muoveva in direzione opposta, cercan­
do di spogliare l ' Hinduismo e l ' organ izzazione sociale che gli è pro­
pria di tutte le credenze, usi e costumi assunti dal tramon to del l ' epo­
ca vedica in poi . Il fondatore di questo movimento ( nel 1 8 7 5 , a Bom­
bay) fu un brahmai:ia del Kaçh iyavar, Mùlfankar, noto col nome di
Dayananda Sarasvati ( 1 8 24- 1 88 3 ) , già discepolo di un guru adepto
del Veda.ma di Sankara, Viraiànanda Sarasvati, al quale dovette alcu-
2 14 RELIGIONI E MITI DELL ' I NDIA

ne idee, come il fondamentale acosmismo sari karico , che egli tradus­


se in un vigoroso monoteismo. Dayananda ebbe molto successo so­
prattutto per le sue qualità personali : fu un formidabile polemista ,
oratore focoso e convincente e , cosa importante in un propagandista,
dotato di un atletico aspetto fisico , al quale corrispondeva una forza
leggendaria. Le sue teorie sono principalmente raccolte nell'opera
Satyartha-prakafa («Illuminazione circa il significato del Vero») scritto
in hindT, ove si leggono, fra l'altro violenti attacchi contro le sétte hin­
du , contro la Bibbia ed il Corano. Le idee di Dayananda sono assai
semplici: ritorno alla tradizione vedica , così come è stata tramandata
dagli inni. La sua interpretazione degli inni vedici (era un grande co­
noscitore del sanscrito) si basa sull'ipotesi che i Veda siano la piena e
totale rivelazione della verità religiosa, etica e scientifica. Secondo
Dayananda i Veda insegnano la fede in Dio unico sotto diversi nomi,
allusivi alle sue forze operanti nel cosmo. Nella sua criticabile, ma acu­
ta interpretazione dei Veda, fondata filosoficamente nella molteplicità
dei significati che le radici di tale lingua possono assumere, Dayananda
credette di scoprire nella Scrirçura una specie di filosofia cosmica e, ad­
dirittura, le nozioni di una scienza tecnicamente evoluta, dalla quale
non per progresso ma, in un certo senso, per decadenza ed alterazione,
sono derivate la medicina, l'alchimia e l'astronomia indiane, non certo
disprezzabili dal punto nostro di vista.
Il culto religioso in questa associazione religiosa si riduce ai capisal­
di seguenti: la stuti, lode invocativa , la prarthana, preghiera, I' upa­
sana, meditazione, i «cinque sacrific'i» (panca-yajiia) ed i sedici saf!Z­
skara, o sacramenti.
Il punto essenziale mantenuto dalla setta, che attualmente conta
un milione e mezzo di adepti, specie nel Panjab , è il monoteismo, al
quale si aggiungono istituzioni sociali di tendenza democratica e mo­
derna , che ne hanno favorito l'espansione: non riconoscimento delle
caste, abolizione del matrimonio combinato fra fanciulli, possibilità
di rimaritarsi per le vedove, estensione amplissima data alla pratica
del myoga ( connubio di una vedova col fratello , o altro parente pros­
simo del defunto marito allo scopo di avere figli). A dispetto delle
sue caratteristiche «nazionali» , oppo�te a quelle «universalistiche» del
Brahma-samaj, si deve proprio ali' A ry a-samaj il fatto che la cultura
religiosa , letteraria e filosofica indiana abbia accolto la ricerca filolo­
gica europea condotta su basi scientifiche e varie innovazioni di stam­
po moderno nella vita spirituale e sociale di alcune comunità india­
ne. Ad esempio , si deve all'influenza personale di Dayananda la
creazione dell ' Anglo- Vedic College di Lahore, fondato tre anni dopo
la sua morte da Là/a Hansraj, e dell'Università Nazionale Indiana, il
Gurukula di Haridvar , fondata nel 1902 da MunJi Ram , che è allo
stesso tempo scuola, comunità religiosa ed èremo (aframa) vedico.
Sul modello del Brahma-samaj e dell' A rya-samaj, verso la fine del
secolo scorso , sorsero numerose altre associazioni di carattere
CORRENTI SPIRITIJALJ MODERNE 215

religioso-sociale , che cercarono di creare altre sintesi fra Hinduismo ,


Islam e Cristianesimo, oppure cercarono di conciliare i dati della spe­
culazione t radizionale indiana con i risultati della moderna scienza
occidentale . Si tratta di tentativi che, visti nella prospettiva del tem­
po, presentano frequentemente caratteri teorici di ingenua semplici­
tà , ma che, sul piano pratico, costituirono effettivamente un inizio di
risposta ai terribili problemi spirituali , psicologici e materiali dell'In­
dia alle soglie dei nuovi tempi , quando, attraverso la dominazione
britan n ica , ven ne rapidamente a contatto con i fenomeni della realtà
del mondo moderno, prendendo coscienza delle proprie difficoltà.
Per questo motivo , molte delle scuole trattate nel presente capitolo,
pur iniziando la propria attività con fini dichiaratamente religiosi , fi­
nirono per partecipare attivamente alle lotte sul piano politico , iden­
tificandosi a questa o quella c�mente di rinnovamento della società
indiana. Questo è il caso dell ' A ry a-samaj e, con caratteri opposti , del
movimento Satya-graha (lett. «sincerità») , con cui Gandhi tentò di
suscitare nello Hinduismo la fedeltà , fino al sacrificio estremo , ai pro­
pri ideali , concepiti , però , sul piano etico , sociale e politico.
Associazioni simili alle due prime citate sono il Dev-samaj, «Socie­
tà divina», movimento ateo ma non materialista fondato nel 1 887 nel
Panj ab da un brahmal)a di nome Satyananda Agnihotn'n il quale
pretese di riformare l'Hinduismo su basi scientifiche (vzjnana­
miilaka-dharma, «la Legge che ha per radice la Conoscenza») , senza
soffermarsi a considerare la diversità dei piani sui quali procedono,
da una pane, le esperienze religiose-psicologiche e, dall'altra , la rac­
colta e l'uso di dati puramente esteriori relativi alle scienze naturali.
Il suo ideale era la formazione di superuomi n i (dev), il modello dei
quali è il guru , il «maestro» per eccellenza. Questo guru , ideale finale
e scopo dell'Umanità è il risultato di un processo cosmico , uno «spiri­
to divino» (devatma) forn ito di «energie divine» (devafaktz) . La filo­
sofia di questa setta si muove entro il quadro del sistema Sankhya,
variamente adattato alle tendenze scientifiche occidentali del secolo
scorso, senza tener conto del fatto , per noi evidente, che queste teorie
nascono da una percezione del mondo assunto come puro oggetto,
mentre quelle Sankhya assumono la nascita di un mondo obiettivo ,
in concomitanza e, psicologicamente, in dipendenza dalla nascita
delle facoltà sensibili (indn'ya) destinate a percepirlo. In particolare ,
le teorie indiane relative al linga-farfra, il «corpo sottile» di energie
esteriche reggenti la tessitura fisica dell'uomo e del mondo vivente ,
sono interpretate da Satylinanda in chiave «metapsich ica» . Natural­
mente il guru-prototipo dell'associazione era lui stesso venerato con
il nome di Devguru Bhagvan.
Una simile adorazione del guru , giustificata , però da un i ndirizzo
di carattere meno ibrido e più h indu si riscontra anche nel Radhasva­
mi Satsangha, «la Pia çomunità dei fedeli a Radhasvami» fondar � da
uno k�atriya di Agra . Sivadayal Singh . il quale nel 1 86 1 ebbe la nve-
2 16 RELIGIONI E MITI DEll' INDIA

lazione improvvisa di essere un avatara divino per cui, da allora in


poi , fu adorato dai suoi adepti col nome di Svamiji Maharaj. Attual­
mente questa comunità, che comprende circa 1 50. 000 persone, è una
società segreta come ne fioriscono in tutto l'Oriente, specialmente in
India ed in Persia, l'appartenenza alle quali non implica affatto l'ab­
bandono della religione di origine, anzi! Essa si pone di fronte a tutte
le religioni come un'interpretazione superiore, una rivelazione esote­
rica del loro vero significato. L'esperienza religiosa, secondo gli scritti
di Sivadayal e dei tre guru che gli successero, Hu�ur Maharaj, Rai Sa­
ligram, Jal;ib Bahadur ( 1 82B-9B) e Brahm Sankar Mzsra ( 1 86 1- 1 907),
istituisce Iddio, puro spirito, sorgente di tutte le energie che compe­
netrano l'Universo, secondo due aspetti, quello del Verbo (fabda) e
quello della Forma (1urat) . L'Universo, a sua volta, è concepito se­
condo tre piani, quello divino, sede dell'ineffabile Spirito Supremo
(radhasvami) , quello spirituale, al quale è proprio il «dio» delle varie
confessioni religiose (Brahman, Iahweh, Allah o, meglio, Lahut, «di­
vinità», ecc.) ed infine il piano psico-fisico retto da una gerarchia di
dèi promanati d�l Paramatman , «il Supremo A.tman». Il termine Ra­
dhasvami è già indice eloquente delle tendenze e delle ispirazioni
km1aite vigenti nella setta, il cui culto, poi, consiste in una forma di
yoga volto alla realizzazione interiore del guru (detto, in questo caso,
sad-gu(u) . manifestazione dell'Essere Supremo, il quale guru in ef­
fetti è Jfvara, il dio personale, che gli adepti dello Yoga meditano en­
tro il proprio cuore . Attraverso il gradino intermedio dell'adorazione
del guru , l'Essere Supremo si manifesta come «risonanza» ( nada) in­
teriore del Verbo, ciò che equivale alla Pberazione.
Questa setta fornisce un'idea abbastanza sintetica dei motivi fon­
damentali che hanno ispirato altre simili associazioni mistiche per il
rinnovamento dell'Hinduismo e che, nell'ultimo decennio hanno
proliferato anche in Europa e negli Stati Uniti sull'onda della moda
hinduizzante, fondamentalmente evasiva, che ha percosso le giovani
generazioni dell'Occidente alla ricerca di una via supposta «facile»
verso la trascendenza. Questi motivi sono: accettazione dell' egua­
glianza empirica di tutte le religioni «superiori» e conseguente rigetto
di quei precetti che rendono troppo sensibile la loro inconciliabilità ;
superamento di tutte le religioni mediante una forma di yoga che
conduca alla conoscenza diretta del Vero Supremo (lo yoga è. in fon­
do, assieme alla bhakti, il cardine di tutta l'esperienza mistica india­
na e, teoricamente, può essere applicato a qualunque altra forma re­
ligiosa - lo stesso �ufismo indo-persiano ne è ampiamente permea­
to) ; culto del guru , nella cui persona è concentrato il Divino e che
funge da mediatore fra il mondo puramente spirituale e quello psico­
sensibile (altro elemento pan-indiano: la meditazione del guru inte­
riorizzato porta alt'identificazione con lui); infine, provvedimenti sul
piano pratico, ispirati a dire il vero ad un modello cristiano­
occidentale , comt' la rnsiddt't 1 a .rt·va. st'rviz io sociale, diretto ad aboli-
CORRENTI SPIRITUALI MODERNE 217

re o mit igare le esagerazioni settarie , le assurdità cascali (anche sen za


rifiutare il principio delle caste) e a risanare le innumerevoli piaghe
sociali , economiche e sanitarie dell'I ndia. Ospedali , befotrofi, men­
d_icic? mi,ecc. costituiscono innegabili benemerenze di queste associa­
z10m.
Tracceremo, ora, di alcune personalità con temporanee , di gran
lunga più importanti di quelle dei fondatori delle suaccen nate comu­
nità, in quanto, pur non avendo intenzionalmente creato alcuna or­
gan izzazione religiosa , tuttavia costituiscono prove esemplari della
continuità della tradizione mistico-religiosa indiana e della sua possi­
bilità di insegnare qualcosa di efficace a culture e civiltà radicalmente
diverse. Si tratta di casi paradossali di esperienze puramente persona­
li di alcuni pensatori ed asceti che , senza alcuna intenzione da parte
loro , han no attinto alle vette di una validità universale e come tali so­
no stati riconosciuti anche in Occidente. Il primo caso è quello di Ra­
makn1Ja , detto Parama-haf!1sa ( titolo attribuito agli asceti di grado
molto elevato) , il cui nome mondano era Gadadhara Chaffopa­
dhyaya. Figlio di un brahmaça molto povero , nacque nel 1 8 34 presso
Calcutta. Privo di estesa cultura , fu esclusivamente grazie alla sua
straordinaria esperienza interiore , che traspariva in ogni modo dalla
sua persona , che egli si acquistò rapidamente fama di san to. A questa
altezza mistica Parama-ha,risa univa un insegnamento morale nobile e
puro, che dispensava mediante semplici parabole. La sua dottrina
religioso-filosofica non presenta caratteri particolarmente originali : si
tratta di una forma semplificata del Vedanta di Sankara che, come si
è già detto, insegna i due livelli del Brahaman : quello ineffabile , di
là da ogni conoscenza logica e distintiva che è, però , il tessuto di ogni
atto del nostro conoscere , e quello qualificato , che è il mondo divino,
o il «pleroma» , divino rettore e guida del cosmo. In terzo luogo vi è la
Maya, Potenza d'Illusione cosmogonica, o Prakrti (Natura) , che è
quella che ci fa sperimentare noi a noi stessi come separati ed «altri»
rispetto al Brahman. Essa è, però , anche la forza magica che foggia la
realtà nella quale esistiamo tutti noi , uomini e dèi. La Maya per lui
non è, però, un'illusione passiva, bensì lo strumento, · 1a sfera della
nostra responsabilità morale , quindi , in una certa misura , la proie­
zione della nostra volontà cosciente, ciò che abbiamo fatto di noi
stessi. Parama-haf!1sa conseguì nelle sue estasi l'esperienza delle due
forme del Brahman , quella sa-gui:ia , come quella n ir-gui:ia , i n cui
sperimen tava se stesso in una con la sorgente assoluta della realtà.
Concepì la prima come la via mediante la quale il Brahman si attua
nel mondo, attraverso la Maya e , inversamente, come il mezzo me­
diante il quale l'uomo può effettuare il suo ritorno in seno ali'Asso­
luto. Il pun to originale della sua vita mistica , è che , mentre nell'esta­
si egli sperimentava l'iden tità col Brahman , nella vita normale rico-·
nosceva il divino come diverso da lui ed accedeva , mediante la bhak­
ti, ad ogni fede che tendesse ad inverarlo, sia che questa si ponesse
2 18 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

come ideale di realizzazione Rama, Krsna, Visnu, Siva, Allah, il cn·­


sto stesso oppure Kali, per la quale ulti�a ebb� sin dall' infanzia una
particolare devozione , intuendola come l'amorosa Madre Universale.
Vedremo , poi , come tale concezione sia stata ripresa da A urobindo .
Si badi bene , però , che tale atteggiamento non implicava , come in
altri movimenti religiosi già descritti , una qualunque teoria di egua­
litarismo generico fra le diverse religioni , una specie di teismo razio­
nale . No : la religione , in quanto tale , appartiene - secondo Parama­
ha'!lsa - ad un piano contingente, storico , dell' esperienza del Divi­
no , propria ad una nazione , ad un ciclo culturale, ad una civiltà par­
ticolare . L 'Assoluto , invece , si pone di là dall'esperienza religiosa in
senso proprio: è l 'unificazione con la sorgente delpropnò essere. Vi è
di più: nella sua adorazione per la Madre (Kiili) , Ramakrf!1a attra­
versò il momento più critico della sua biografia mistica , quello che
per gli altri asceti indiani costituisce , invece , la massima delle realiz­
zazioni possibili.
Egli intuì durante un' estasi prolungata , la Madre presente in tutte
le cose , in tutti gli esseri , in tutti i pensieri , fondamento di tutte le
realtà. Immerso nell'onda di questa beatitudine , Ramakm1a percepì
di dover passare oltre , di dover riaffermarsi di là da questa esperien­
za , anziché perdervisi come sino ad allora era stato il fine supremo di
tutti i mistici . In quel momento , guidato da un misterioso maestro ,
in una forma che qui è superfluo indicare, lacerò il «velo» dell'onni­
presente Madre ed ebbe l'esperienza di ciò che trascende il mondo
delle forme , dell' Assoluto , cioè, di ciò che giace di là dalla possibilità
di essere o di non essere di ogni realtà. A parte l' importanza intrinse­
ca del movimento spirituale ispirato agli ideali insegnati da Ramakr­
n1a , il valore della sua esperienza mistica risiede proprio nel fatto che
essa costituisce un' «innovazione» nel mondo religioso indiano : è l 'af
fermazione del'Io - non dell '«egoità» ! - di là dal 1<mare mysticum»
in cui appare immersa la spiritualità indiana in generale.
Il suo discepolo e successore nella guida del gruppo , che si era
spontaneamente formato attorno al maestro , fu un altro bengalese ,
Narendranatha Datta, detto Vivekananda ( 1862- 1 902 ) , il quale ave­
va conosciuto Ramakrn1a nel 1 880 e ne aveva riportato una tale im­
pressione da abbandonare l' attività politica alla quale si era fino ad
allora dedicato, per darsi alla ricerca interiore . Dopo la morte del
maestro trascorse sei anni in ritiro nello Himalaya , compiuti i quali
ritornò nel mondo, dove riprese l'insegnamento del maestro. Nel
1 89 3 partecipò al Congresso dc-Ile Religioni a Chicago , ove la sua per­
sonalità e la sua convinta oratoria fecero un'enorme impressione.
All ' opposto di Riimakrn1a, egli fu intenzionalmente un apostolo del­
le idee del maestro , che cercò di rendere accessibili alla mentalità ra­
zionale degli Occidentali , compiendo a tal fine anche due lunghi
soggiorni in Europa e in America . Vivekananda era l' antitesi vivente
di Riimakrn1a. Uomo d'az ione , oratore . propagandista ed organizza-
CORRENTI SPIRITIJALI MODERNE 2 19

tare , istituì un ordine ( ma{ha) ascetico di adepti di Ràmakrnza appar­


tenenti a diverse confessioni religiose dal quale derivò , nel 1 89 3 , la
Ramaknshna Mùsion , diretta dai capi (svàmin) del l ' Ordine . Questa
missione si propone scopi ideali e pratici : diffusione fuori del l ' India
del l ' insegnamento di Ràmakrn1a, sotto la forma di un Vedanta adat­
tato alle necessità ed alla comprensione delle diverse culture e nazio­
n i , al quale si aggiungono intenti immediati di risanamento sociale:
numerose istituzioni benefiche sono state create , a tale fine, sia in In­
dia - ove Vivekananda raccomandava, come via iniziale , l ' osservan ­
za del culto hindu e l ' obbedienza razionale ai doveri della propria ca­
sta - sia fuori del l ' India, specialmente nelle grandi città nordameri­
can e , nelle quali , come in India , esistono col legi , monasteri (iiframa)
dediti al i ' opera sociale, sevà, che Vivekiinanda raccomandava come
via paral lela a quella della conoscenza , jnàna, a quella della devozio­
ne, bhakti, ed alla meditazione pura .
La diffusione universale di questo insegnamento non ha potuto ,
certamente, accompagnarsi alla genuina profondità che caratterizza
l ' esperienza personale di Riimakmz a, sia perché questa presuppone
un moto interiore di totale dedizione, che solo un adepto avanzato
nello Yoga può intuire e, quindi , suscitare in se medesimo . La Ra­
maknshna Mùsion resta, pertanto , un esempio della possibilità insita
nella tradizione spirituale indiana d i adattarsi a civiltà diverse dalla
propria e di articolarsi in modo tale da soddisfare le loro necessità,
indipendentemente dalle religioni che in queste civiltà si professano .
La realizzazione vera e propria di esperienze comparabili a quella
di Ràmaknf!a resta , pertant o , la possibilità di uomini isolati , capisal­
di talora sconosciuti di una tradizione antichissima che, attraverso lo­
ro , affronta le mutate condizioni dello spirito umano nel tempo pre­
sen te, del resto previste da millen n i , nella tradizione religiosa indi�­
n a . Fra questi uomini citiamo i due massim i : Riimarza Mahàrsi e sn·
A urobindo (Aravinda) Ghosh , spen tisi rispettivamente nel 1 9 5 1 e
nel 1 9 5 0 che , vivent i , furono considerati non a torto due Rsi redivivi .
Ramana trascorse la sua vita a Tiruvanniimalai, a sud di Madras , ai
piedi deila santa collina di Aru1Jiicala. I dati delle opere e della bio­
grafia di questo straordinario person aggio sono scarsissimi , ciò che
non sorprende i n India, dove il lavoro di un asceta non si misura sulle
opere esteriori , anche dai «miracoli» , ma dalla realizzazione interiore
che traspare dal l ' aura della sua stessa presenza . Questo era precisa­
mente il caso di Riimarza, la cui azione fra gli uomini si compiva , sia
attraverso brevi incontri , sia addirittura attraverso i silenzi del Mae­
stro . Il ricordo delle sue conversazioni ed alcune poesie in vernacolo
tamil, destinate ad essere cantate , è quanto resta della sua opera ma­
terialmente documentabile . Il suo insegnamento , come presso Rà­
makrsna, non veniva direttamente ed esplicitamente impartito , ma
suggerito od alluso nei casi pratici , che esamina� a durante gli incont � i
con i suoi discepoli . Esso consiste nella real izzazione dell ' essenza um-
2 20 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

versale del proprio Sé, non come indefinita e vaga spiritualità, bensì
come il significato attivo dell'essere del mondo, il suo concreto farsi,
che si articola nella infinita varietà e diversità dei karman personali. Il
mondo, quindi, non è la negatività da superare per raggiungere I' im­
mota sfera del Brahman, bensì la funzione perpetuamente variabile
di un Sé che è presente (come insegna la Bhagavad-gita) in ogni cuo­
re umano, «più sottile dell'atomo», il quale si attua nella vita di ogni
essere, senza però venir implicato oppure affetto. A questo Sé, quin­
di, il meditante deve slanciarsi con un moto totale dello spirito, libe­
ro da riflessi mentali, razionali o «mistici», per afferrare finalmente
ciò che egli stesso è. La rivelazione di questa nuova via, tanto simile a
quella allusa dallo Zen giapponese, giunse a Riimat1a in seguito ad
un'angoscia mortale, per cui egli dovette costringersi a «forzare la so-
glia» e sfociare nell'espe.r ienza centrale dell' Io.
Questa stessa esperienza, in termini diversi, è quella di sn· Auro­
bindo personalità, anche fuori della sfera mistica, interessantissima.
Dotato di cultura varia, profonda e raffinata, sia indiana che occiden­
tale, fornito di una robusta preparazione scientifica e filosofica, egli
era, anche sul piano esteriore, l'uomo destinato a rappresentare il
ponte fra l'India e l' Occidente. Nato a Calcutta nel 1 87 2 da una ricca
famiglia brahmar;ia completò senza pregiudizi la sua formazione nel­
le università inglesi e tedesche ottenendo brillanti risultati. Tornato
in India, si dedicò alla causa nazionale, soffrendo anche persecuzioni
da parte delle autorità britanniche. Nel 1 9 1 0, in seguito ad un' illu­
minazione improvvisa, decise di abbandonare la vita politica, ritiran­
dosi nell'établissement francese di Pondichéry, ove fondò quello ii­
frama meditativo, la cui fama attirò anche l'attenzione di studiosi
europei, desiderosi di superare il limite accademico-filologico con cui
viene affrontato in Europa lo studio della scienza delle religioni com­
parate. Aurobindo condusse a termine una vasta sintesi di tutto il
pensiero indiano, interpretando in chiave psicologica i suoi simboli
filosofici e religiosi, secondo, però, il linguaggio preciso ed obiettivo
della scienza occidentale. Le sue opere si estendono dai memorabili
commenti alla Bhagavad-gitii, agli Yoga-sutra, alle Upamjad, ad una
singolare reinterpretazione del [¼-veda, retaggio, secondo lui, di un
antichissimo sapere cosmico che i Vati primordiali, gli [!.st'; trasmisero
ad una élite dell'umanità, rivestito dei simboli e del linguaggio adat­
to ai loro tempi . L'essenza di questo sapere vedico è una specie di
esperienza aurorale, illuminativa: l'intuizione, cioè dell'Ordine in
cui si rinnovano tutte le cose, lo l,lta. Entro quest'ordine, gli «dèi», i
deva, sono contemporaneamente interiori (nell' uomo) ed esteriori
(nel cosmo) della Universale Natura. Intuizione già esplicitamente
annunciata dalla Chat1tfogya upanzjad, iii, 1 3, 1 - 8 e 8- 1 8, e dalla Ka­
tha upamjad, ii, 6, 1 1 .
Il Veda, quindi, è inteso primariamente per l'illuminazione e la
cultura del Sé : questo è il senso degli articoli da lui scritti per la rivista
CORRENTI SPIRITUALI MODERNE 22 1

Àrya. Come è giunto a tale conclusione? Mediante due vie. Da una


pane, servendosi della sua notevole preparazione filologica ( era fra
l'altro un buon ellenista) e filosofica , ha ricostruito - con ben mag­
giore profondità di Dayananda Sarasvati - i significati polivalenti
delle radici vediche e , pertanto , la diversa efficienza delle singole pa­
role e famiglie di vocaboli indicanti , di volta in volta , oggetti esteriori
ed esperienze spirituali. Da un'altra parte , percorrendo a ritroso, me­
diante la propria esperienza yoghica , le tappe dell'arricchimento for­
male subìto dalla cultura religiosa indiana , ha enucleato i motivi fon­
damentali di essa stessa identificandoli con sicurezza nelle antiche
tradizioni , Veda, fruti, smrti, eccetera . Il sapere primordiale di cui,
secondo lui , i Veda sono già un ricordo e non più una visione imme­
diata , ha trovato nel corso dei tempi altre maniere per manifestarsi
direttamente agli uomini. Ora , secondo A urobindo0 noi ci troviamo
sulla soglia di un nuovo tempo il cui simbolo esteriore è l'unificazio­
ne della cultura umana . Ciò è dovuto al fatto che nell'epoca attuale
sta sbocciando entro l'uomo una nuova forma di «essere-conoscere» ,
il Sé superiore ( Overse/f) , che si avvia ad essere la sintesi di tutte le
esperienze passate dell'umanità. (Questo evento è paragonabile allo
sviluppo della facoltà pensante razionale , che caratterizzò l'epoca
storica segnata dall'apparire sulla scena terrestre di Eraclito e Pitagora
in Grecia , il Buddha , i! Jina , i pensatori upani�adici in India, Lao-tzu
e Confucio' in Cina , per cui questa nuova forma dello spirito umano
soppiantò le antiche esperienze puramente naturalistico-religiose) .
Secondo A urobindo , a differenza dalle epoche anteriori in cui gli
uomini erano collettivamente guidati verso il loro perfezionamento,
in questo tempo essi debbono singolarmente volere ascendere questo
nuovo gradino , cioè devono intuire personalmente la necessità di far
nascere questo nuovo essere entro se stessi. A questo compito soccorre
una forma di Yoga, da lui personalmente attuata, che istrumenti in
motivi interiori la conoscenza intellettuale di questo mistero. Nelle
opere che racchiudono gli insegnamenti consegnati da A urobindo ai
suoi discepoli (spesso per lettera , dato che, dopo una certa età non
volle più parlare , divenendo quindi un «silenzioso» , un muni, sino­
nimo di yogin) , furono indicati i capisaldi di questo nuovo Yoga.
Quello antico , in fondo , si basava su una percezione immediata del
tramare delle forze sottili attraverso i medesimi processi fisici dell'uo­
mo, in particolare il respiro donde l'estensione delle tecniche del pra-
17ayama. Ora , invece , negli esseri umani i processi vitali sono caduti
nella fisicità più ottusa , legata ad un divenire automatico della Natu­
ra , irrimediabilmente separato dalla sfera spirituale dalla quale pur­
tuttavia ricevette il primo impulso. Lo yogin moderno deve pertanto
realizzare una prima separazione fra ciò che è spirito (puru.ra, nel sen­
so di «io» puro) e natura (prakrtr) . Enucleato, mediante l'arte medi­
tativa, questo elemento di autocoscienza , questo Sé superiore, occor­
re lasciare che esso operi spontaneamente, senza intervenire con moto
222 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

egoico, in modo che possa scendere a rettificare prima la psjche, indi


il vitale , quindi l'elemento fisico della compagine umana. E una for­
ma superiore di «lasciar fare» possibile soltanto per colui che, accanto
allo sviluppo della volontà sottile, appartenente alla sfera dell'Io, ab­
bia fomentato un totale, amoroso e fiducioso abbandono, la bhakti
insomma, rivolto alla Madre, che è la Suprema Sapienza, la legge del
divenire cosmico, che tesse le vicende del destino umano, affinché
l'uomo si trovi indotto a ricercarla. Con questa sintesi fra Yoga tradi­
zionale, bhakti religiosa e rigore filosofico-metafisico, A urobindo ha
inteso creare una forma di esperienza spiritualmente valida e adatta
agli uomini che partecipano alla complessa civiltà dei nostri giorni.
L'esperienza vissuta da Aurobindo ha indotto i suoi seguaci a ripe­
terla, o almeno a tentare di ricrearla nell'ambito di una comunità
che, secondo i diversi livelli, intenda seguire la sua via. Questa comu­
nità esercita particolare attrazione fra persone occidentali, europee ed
americane, che presumono ritrovare in una particolare organizzazio­
ne sociale quel contenuto, che per A urobindo rappresentò una realiz­
zazione interiore, indipendente, quindi, da condizionamenti collet­
tivi.
In ogni caso, wn questi ultimi tre pensatori e realizzatori, l'espe­
rienza filosofica e religiosa dell'India varca i confini del continente
che è stato lo scenario della sua remotissima nascita e del suo millena­
rio sviluppo, per diventare un bene comune dell'umanità intera.

Movimenti contemporanei.
La meditazione filosofico-religiosa i., diana, di là da queste nuove
sue form 1:1lazioni di ordine dottrinario, esercita ai nostri giorni un
crescente influsso su correnti spirituali occidentali e ciò per due moti­
vi apparentemente diversi. In primo luogo, l'Hinduismo tende ad af­
fermarsi come una tradizione che trascende le diverse religioni rivela­
te. I suoi Maestri, dei quali si è fatto cenno, da Ramananda in poi,
non pretendono dai propri seguaci di altre religioni e costumi una
«conversione» all'Hinduismo, cosa del resto impossibile, per il fatto
che si nasce hindu appartenente ad una casta determinata, secondo
gli Indiani, in seguito al frutto delle azioni compiute in una vita pre­
cedente, nella quale si poteva essere dei «barbari», mleccha. In secon­
do luogo, la medesima tradizione hindu offre ai suoi seguaci, hindu,
mussulmani o Occidentali che siano, una ricchissima metodologia
per la propria realizzazione interiore e ciò seguendo due linee, fra lo­
ro complementari: le precise tecniche dell'ascesi yoga, oppure la via
de�ozionale-entusiastica della bhakti. In questo senso molti Occiden­
tali hanno accolto la tradizione filosofico-religiosa dell'India nel sen­
so di u_na traditio perennis (sanatano dharmab) ; altri, perfino appar­
tenenti ad ambienti religiosi cattolici (Mariazell), ne seguono le disci-
CORRENTI SPIRITUALI MODERNE 223

pline estatico- meditative nelle loro pratiche quotidiane. Già a i primi


dell" 800 , dopo la fondazione dell' Asiatic Society di Calcutta (1784)
e la rivelazione dei capolavori letterari e filosofici dell' India per opera
ed impulso di William Jones e Charles Wilkins , la scoperta del san­
scrito rivoluzionò profondamente la scienze filologiche dando luogo ,
fra l ' altro , alla moderna glottologia indoeuropea , e così pure la rive­
lazione dei sistemi di pensiero indiano influenzò profondamente fi.
losofi come lo Schopenhauer, convertitosi praticamente alla metafisi­
ca vedanta , lo Herder e lo Schlegel, il quale ultimo scriveva nel 1808
( Ueber die Sprache und Weisheit der Inder) : «Anche la più sublime
filosofia europea , l ' idealismo della ragione così come è posto dai filo­
sofi grec i , paragonato alla forza luminosa ed al vigore del! ' idealismo
orientale , sembra solo una debole scintilla ondeggiante e continua­
mente pronta a spegnersi. . .> .
Una seconda rivoluzione sembra essere quella cagionata dalla ven­
tina di edizioni di testi tantrici (negli anni della I guerra mondiale)
ad opera di Sir Arthur Woodroffe e dei loro commentari ( The Gar­
land ofLetters, The Serpent Power) che fecero conoscere il Tantrismo
sakta all ' Europa , influendo cospicuamente su correnti neo-ermetiche
italiane (v. il gruppo di Ur e ] . Evola con le sue opere , l ' Uomo come
Potenza e Idealismo Magico) e tradizionaliste francesi , queste ultime
con un' accentuata colorazione vedantica ( v . R . Guenon, in l'Homme
et son Devenir sé/on le Védanta) . Lo sviluppo degli studi tantric i ,
contemporaneo a vari indirizzi d i analisi del profondo e a u n rinnova­
to interesse per le ricerche sullo Shamanesimo , conferì un nuovo
orientamento agli studi indiani ( G. Tucci , H . v. Glasenapp , L. Re­
nou , R. Gnoli , A. Padoux , J. Varennes ed altri), più attent i , ora , a
problemi di contenuto e indirizzo metafisico , che a quelli meramen­
te filologici .
Una terza rivoluzione a cui presentemente si assiste , di carattere
più emotivo e contingente, relativa anche a mutamenti di costume
sociale nell' Occidente , sembra essere in atto ad opera di una serie di
personaggi più carismatici , che pensatori veri e propri , i quali , su una
scala più popolare ed emotiva , propagano idee e comportamenti di
stampo hindu in tutto il mondo , seguiti da uno straordinario succes­
so , soprattutto in America , fra elementi giovani , al principio in ricer­
ca di evasione e di esperienze personali di ordine mistico. E parados­
sale il fatto come molti di costoro. partiti con un atteggiamento di ri­
bellione verso la società organizzat a , finiscano per assoggettarsi ad
una disciplina , che lascia ben poco margine alle loro velleità.
Il primo di questi personaggi è il cosiddetto Mahanshi (Mahiir,Ft)
Mahesh Yogi. Costui , nato da famiglia aristocratica, ebbe una forma­
zione perfettamente occidentale , si diplomò in scienze � sico :
matematiche e, quando sembrava tutto preso dalla prospetttva d1
una carriera tecnologica, lasciò improvvisamente i suoi studi e si fece
discepolo �i uno yogi, lo swami Brahmananda Sarasvati, che nel suo
2 24 RELIGIONI E MITI DELL' INDIA

aframa sullo Himàlaya praticava una forma rigorosa di Vedànta mo­


nistico. lvi il Maharishi compì una sua seconda formazione, questa
nell'ambito dello Yoga, come è insegnato da Patanjali, dalla
Bhagavad-gità e dalle Upani�ad. Ad un certo momento ritenne che
lo yoga severo e rigoroso non corrispondesse più alle necessità del di­
scepolo moderno. Per questo motivo concepì la cosiddetta «Medita­
zione Trascendentale», conducente ad una realizzazione dell'«essere»
inerente ad ogni ordine della realtà, sacra o profana che essa sia. Que­
sta «meditazione» implica il conferimento di un carisma, che il guru
impartisce a chiunque si senta chiamato a seguire la sua via, la quale
non richiede affatto l'abbandono della vita profana, degli agi e degli
affari, bensì una rivalutazione loro alla luce dell'intima realizzazione
di questo «essere» immanente in tutte le cose. La via ,._ apparentemen­
te «facile», di questo predicatore gli ha attirato un numero straordi­
nario di discepoli occidentali , specialmente anglo-sassoni, i quali
sembrano più desiderosi di attuare la rimozione dei propri blocchi
psichici, che di ritrovare l' àdito interiore ed un superamento effettivo
del proprio personale ego. Centro del suo insegnamento è lo aframa
di Rishikesh nello Himalaya, fondato da lui nel 1958, dal quale si al­
lontana frequentemente per «cura di anime» in varie località dell'Eu­
ropa e dell'America, dove ha impiantato numerose missioni e centri
di «meditazione».
Movimento di aspetto molto più hindu è la International Society
for Knrta Consciousness, fondata nel 1966 dallo swamin Prabhupa­
da, allo scopo di diffondere in tutto il mondo la via dell'estasi devo­
zionale, la bhakti, rivolta a Km1a nel suo aspetto di avatiira amoroso
di Vi�(,'IU. I fondamenti di questa setta, ispirata apparentemente
all'insegnamento di Caitanya (secolo XVI, v. infra), e così pure le con­
suetudini che la caratterizzano, sono totalmente hindu. I suoi adepti,
rivestiti dell'abito color zafferano ( il tn"-civara dei Buddhisti e dei
Vriijaka in generale), calzati di sandali e col capo raso (i maschi), vi­
vono in comunità che, fisicamente si sostentano di cibo vegetale da
loro stessi prodòtto e si mantengono con le offerte di simpatizzanti.
Sotto la guida di vari guru ordinati dal loro Maestro, studiano i sacri
testi vi�l,'luiti, specialmente il Bhagavata-puràl,'la, la Bhagavad-gita e i
passi più propriamente religiosi dell' epica indiana, dai quali traggo­
no esempi edificanti per la loro vita quotidiana . Il loro rito fonda­
mentale sembra essere una specie di mantra-naya (v. infra) estrema­
mente semplificato, consistendo nella pronuncia ininterrotta della
giaculatoria Hare Kr!tJIZ, Hare Riima, possibilmente accompagnato
dal suono di flauti, nacchere e cembali, sia nelle sessioni nel tempio
( Kr!tia-mandira), che fuori, allorché distribuiscono volantini di pro­
paganda. Il fine di questa monodia ripetuta all'infinito è apparente­
mente quello di ottenere un rapimento estatico nella sfera del loro
dio, non diversamente di quello che si propongono altre sette fuori
dell'India, come i dervisci !ufi con la ripetizione del dhikr «yii Hu, yii
CORRENTI SPIRITIJALI MODERNE 225

ljaqq» («oh Egli, o h i l Vero! »). Essi ritengono che l'estasi così ottenu­
ta sia il samadhi (v. infra) dello Yoga.
Aspetto apparentemente più semplice, se possibile, sembra carat­
terizzare l'insegnamento dispensato dallo swamin Rajnish nei pressi
di Patna. Nel suo aframa si predica la più assoluta spontaneità di
comportamento, ciò che provoca nei discepoli meno accorti un certo
rilassamento di costumi . Le riunioni di costoro sono caratterizzate da
numerosi fenomeni di estasi e rapimenti collettivi, come del resto si
verificano anche nei luoghi di pellegrinaggio dell'Europa mediterra­
nea, alla festa del Santo o del wali locale. La sua forma di insegna­
mento sembra essere una specie di yoga drasticamente ridotto all'es­
senziale, tendente a svuotare lo spirito di chi lo pratica di qualsiasi re­
siduo di trascorsa eperienza psicologica o mentale (afaya) , sì da per­
mettergli di cogliere l'essenza delle cose e realizzare il significato del­
la propria esistenza . Si tratta di una forma di quiete interiore conse­
guita paradossalmente attraverso un trauma emotivo.
L'India attuale , come del resto quella antica , sembra abbondare di
questi asceti stabili o itineranti, alcuni dei quali dotati di stupefacen­
ti poteri taumaturgici, come il noto Baba SayT , i quali, più che inse­
gnare qualche sistema coerente dotato di una originale cosmologia o
di un'antropologia ordinata, come quello di Aurobindo , si limitano
a dispensare insegnamenti spiccioli adatti alle singole persone dei lo­
ro adepti o a conferire loro semplicemente le «grazie» di cui hanno bi­
sogno. Ciò attira un enorme numero di europei ed americani devoti,
frustrati o semplicemente curiosi , il livello dei quali non raggiunge
nella maggior parte dei casi quello di una suora Nivedita , al secolo
Margaret Noble , che si fece monaca hinduista seguendo la parola di
Vivekananda. Il loro caso sembra essere quello di un'«evasione» col­
lettiva , piuttosto che di una realizzazione interiore di qualche consi­
stenza.
Tutti questi movimenti esercitano una suggestione profonda, spe­
cialmente sull'adepto occidentale il quale, praticamente , tende a sca­
ricarsi del marasma delle forze psichiche e degli stati di animo che lo
opprimono, semplicemente sottraendo loro l'appoggio dato dall'at­
tività dell'Io cosciente. Questa viene semplicemente rimossa e il pre­
teso «iniziato> occidentale , abbandonandosi alla volontà del guru , re­
gredisce ad una condizione prepersonale, in cui la volontà imprigio­
nata negli istinti e negli psichismi, abitualmente condizionati e raf­
frenati dall'Io , si libera dando luogo ad una effimera felicità . Natu­
ralmente si tratta di esperienze ben lungi dalla severità dello Yoga ,
come pure dal profondo slancio emotivo della Bhakti, anche come
sono stati insegnati da moderni meditatoci del genere di Ramai:ia Ma­
har�i. Il motivo di questo errore è dato dalla mediazione cerebrale_ di
cui l'Occidentale non riesce a liberarsi, per cui ogni esperienza «m­
diana., da una parte diventa rappresentazione astratta e , dall'altra,
potenzia, di converso, l'istintualità animale di cui il «discepolo» pre-
226 RELIGIONI E MITI DEll'INDIA

sume liberarsi. Questo grande equivoco è il prezzo che molti Occi­


dentali pagano nell'illusione di attingere con facilità a quelle mete
che anche per l'Indiano antico costituivano il compenso, non di una
sola, ma di molte vite dedicate all'ascesi più rigorosa. «Alzatevi! Sve­
gliatevi! Conquistati i doni , intendeteli! - Affilata come un rasoio,
difficile da attraversare, inaccessibile è la Via mostrata dal Saggio! >
(Kafha-up. , I, 3 , 14). Ad un livello più tecnico, il ricercatore occiden­
tale, rivolgendosi al proprio corpo per compiere, a. e. , esercizi di
Hatha-yoga, non si avvede di andare incontro ad un insieme di eser­
cizi di ordine meramente fisico laddove per l'Indiano antico, operan­
te su un livello psichico, si trattava di andare incontro al proprio «cor­
po sottile> , suk!ma-farira, ed adeguarlo ad una legge cosmica, supe­
rindividuale, la cui essenzialità si rifletteva immediatamente nel po­
tere di rappresentazione- «cardiaco> e non «cerebrale> dello yogin. Nel
campo, invece, della bhakti, propugnata dai vari seguaci di movi­
menti più propriamente emotivi , mancando una preventiva purifica­
zione o «mortificazione> degli impulsi senzienti , dominati ora
dall'istintualità, ora dalla mediazione cerebrale, il fallimento si tra­
duce spesso in una esplosione di emozione isterica , ben lontana dal
fervido raccoglimento della vera bhakti. Questo è l'aspetto negativo
dell'accettazione acritica ed ingenua, da parte di Occidentali , dei vari
movimenti mistico-religiosi indiani , la quale, fra l'altro, ne impedi­
sce una seria valutazione da parte del pensiero positivo dell'Occiden­
te.
Nonostante ciò , non vi è dubbio che l'Hinduismo stia attraversan­
do un movimento di rinascita, proprio perché la sua esperienza più
autentica sembra dare una risposta ad alcuni problemi posti dalla vita
moderna, primo fra i quali la possibilità di un'ascesi personale, pro­
prio in un mondo la cui sconsacrazione sembra escluderla, allo scopo
di ritrovare un collegamento fra il sé più profondo dell'individuo e
l'Universo nel quale si svolge la sua vicenda esistenziale.
Guida Bibliografica

I l panorama dell a Bibl iografia indologica, specialmente per la parte at tinente allo
studio dei Miti e delle Religio n i , è di sterminaca vastità. Occorre , pertanto , distinguere
quel le che sono le opere di esposizione generale , d a quelle che si occupano di un og­
getto o di un periodo particolare ; non solo, ma anche d iversamente c lassificare i l avori
diretti ad un auditorio specializzato di studiosi e que l l i destinati ad un pubblico colto,
ma non specializzato, come è i l caso più generale . Nell ' e lenco seguente si cercherà di
tenere distinti i due criteri .
In iziamo con l ' in dicare le principali riviste orientalistiche nelle quali periodicamen­
ce vengono pubblicati articoli d ' interesse indologico :

A I O N . A nnali de/1 '/Jtituto Universi/ano On'entale di Napoli


AO. Acta on·entaiia
BSOAS. Bulletin o/ the School o( On'ental and Afnean Studies, East and West , ed .
1', i t uto per il Medio ed Escremo Oriente
HOS. Harvard On'ental Sen'es
H R . History o/ Religions
I A . Indian Antiquary
IHQ. Indian Historical Quarlerly
11) . Indo-Iranian joumal
J A . joumal Asiatique
.J AOS. joumal o/ the American On'ental Sociely
JBBRAS. Joumal o/ the Bombay Branch o/ the Royal Asia/le Society
.JBORI. joumal o/ the Bhandarkar On'ental Research Institùte
.JBORS. Joumal o/ the Bihar and Onssa Research Institute
JOIB. journal o/ the On'ental Institute o/ Baroda
.J R A S . joumal o/ the Royal Asiatic Soct'ety
JARASB. Journal o/ the Royal Asia/le Socz'ely o/Bengal
NGCòW. Nachnehten des Gottinger Gesellschaft der Wùsenschaften
RSO. Rivista degli Studi On'entali (Un iversità di Roma)
SPAW. Sitzungsbenehle des Preussischen Akademt'e der Wissenschaften
WZK M . Wiener Zeilschrift zur Kunde des Morgenlandes
ZDMC i . Zeùschrift der Deutschen Morgenliindischen Gesellschaft
ZI I . Zeitschnft fiir lndologie und /ranistik

�I BI.IO( i R A fl A CiENERA I.E

Si denrano a segu ito una serie di opere generali su l le rel igioni - e le filosofie -
del l ' India rhiare, sni tce in l ingue abbastanza note (francese , inglese . tedesco) e faci l­
mente reperibil i . Pc-r u n · informazione generale. è consigliabile la Stona delle Religio­
ni a rnra di Hen ri-Charles Puerh . voi . 1 3 ( Religione vedzea e induismo , di Jean Varc-n­
nes e Anne M arie Esnou l ) , Bari. 1 97 8 ( t it . orig. Histoire des Religions. Paris , 1 970) .
Carat t ere em·icloped ico riveste, invece , L '/nde Classique. 3 vol i . a cura di L. Renou e ) .
Fi l l iozat , Han,o'i- Paris, 1 94 7 - � 3 . nella quale i divT:'rsi argomen t i , d isposti sistemat ica­
mT:'nt e , sono trattati in man iT:'ra sin rc-1 ira ma di gradevole IT:'t tura . Scient ificamente ben
228 G U I D A BIBLIOGRATTCA

docu mentata e di piana let t ura è l ' opera di J GON D A . les Rel1gions de l'Inde, Paris ,
1 96 2 , recenteniente uscita anche in tedesco in due volumi ( Die Rel1gionen Indiens,
voi . I Veda und iilterer Hinduismus, voi . Il Der fungere Hinduismus, Sruttgart , 1 960-
63 ). La più aggiorn ata t rattazione delle religioni chindù• dell ' India antica resta l ' opera
del sansai tista francese I.. RENOU . Religions ofAncienl India, London , 1 9 5 3 , come pure
lo Hinduism di R . e 7.AEHNER . Lon don , 1 966 , . reperibile anche nella traduzione italia­
n a , l 'Induismo , Bologn a , 1 9 7 2 . Come i n t roduzione filosofica al pensiero religioso in­
diano è particolarmente consigl iabile G . TUCC I . Storia della Filosofia Indiana, Bari .
1 9 5 7 , il cui svi l uppo completo può venir seguito nella classica opera di s. DAS GUPT A . A
History of Indian Philosophy, 5 vol i . , London , 1 9 2 2 - 2 6 . Una breve sin tesi delle rel i ­
gion i del l ' India classica è q u e l l a d i C L . BALLI N I . l e religioni dell'India, i n Storia delle
Religioni direua d a G . Castell an i , voi . I . p p . 5 9 5 - 8 3 9 . Tori no, 1 96 2 . Per penet rare nel­
la particol are mentalità mito-poietica indian a , sono di grande ausilio le opere: Mito e
Filosofia nella Tradizione Indiana, Milano, 1 9 74 , di CATER I N A CONIO. e l 'India antica e
la sua tradizione, Milano, 1 97 5 , di STEFANO PIANO. come pure l ' opera di A D A NIELOU.
Hindu Polytheism , London , 1 964 , e quella d i M. ELIADE. Images et Symboles, Paris ,
1 9 5 2 . Nonostante che si tratti di opere scritte molto tempo fa, possono essere consulta­
te con frutto: Il pensiero religioso e filosofico dell 'India, Firenze.- 1 9 1 0 , di F BELLONI e
FILIPPI. e i classici M . MONIER WILLI A M S . Hinduism. Calcutta, 1 8 7 7 , e J N. FARQU H A R . A
Primier o/Hinduism, Lon don , 1 9 1 2 . Opere di indiani credenti e prat icanti sono D. s .
S H A R M A . A Primier of Hinduism, M ad ras , 1929 e l a raccolta d i saggi d i ricercatori h i n ­
dù The Religion of the Hindus, New York , 1 9 5 3 . curato d a K . w . MORGA N .

I VEDA . B R A H M A � A ED UPANl�AD

Per u n a conoscenza sintetica dei Veda e del mondo ved ico , i n rapporto , anche, alle
più recen t i ricerche conviene consultare la religione vedica d i JEAN V A RENNES , incluso
nella già menzionata Religione vedica e induismo ( v . supra) , che, però contiene anche
una t rattazione delle speculazioni dei Brlih mar:ia e ddle Upan i�ad , da noi assegnate .
invece , al successivo periodo di passaggio convenzionalmente designato come Brahma­
nesimo. I l medesimo autore ha pubblicato vari sagg i . fra i quali quello Di alcuni miti
cosmogonici del }J.gveda ( Istituto di I ndologia della Università di Torino, 1 969 ) . che
delinea elemen t i stru t t u rali e storici d i grande importanza . Eccellenti per rigore scien­
t ifico e ch iarezza sono gli Inni del R1g- Veda, 2 vol i . , Bologna , 1 929 e gli Inni
dell'Atharva- Veda, ibidem 1 9 3 3 , di VALENTINO PAPESSO: si raccomandano le ampie in­
troduzion i , ancorché influenzate da criteri estremamente posit ivistici. Guida indi­
spensabile alla conoscenza della mitologia vedica è l ' opera , t u t t ' altro che i nvecchiata.
del M A C DONEL ( A RTHU R A . ). Vedic Mythology. Strasbourg, 1 89 7 , al quale si debbono
egregi saggi grammaticali ed an tologici ( A Vedic Reader /or Students, London . 1 9 1 7
ecc . ) . U n a visione più «gnostica> dei Veda è q uella dello S R I AUROBINDO. O n The Veda.
Pon dicherry , 1 9 5 6 , che ricollega più stret tamente i l mondo vedico alla successiva spe­
culazione mistica indiana. A giudizio dello Zaehner (v. supra) , la migl iore analisi
dcl i ' A t h arva-Veda è quella del BLOOMFIELD ( M . ) . The Atharva- Veda, Strasbourg . 1 899 .
rist ampata a Del h i nel 1 96 5 come TheHy m n s ofthe A . V. G l i srudi vedici sono stati
particolarmente coltivati nello scorcio u l timo del secolo XIX e i primi de,e n n i del pre­
sen te. A parte le opere succitate, si ha A. BERGAIGNE. la Religion Védique. 3 voli . , Pa­
ris, 1 8 78-83 , L. DE LA VALLÉE POUSSJ N . le Védisme, K. F. GELDNER . Der f!.gveda. Gottin­
gen , 1923 ( ripu bbl icato nel 1 9 5 1 a Cam bridge , USA ) , A . H I LLEBR A N DT. Vedische Mytho­
logie , Breslau , 1 9 1 2 e 1 9 2 7 - 2 9 . Part icolarment e i m portante, ancorché arduo , resta A .
B . KEITH . The Rel,gion and Philosophy of the Veda and Upanishads, Cambridge , LISA
1 92 5 , a cui si deve , nel medesimo anno, The Veda of the 8/ack Yajur School. Una
buona guida alla conoscenza della religione vedica è H . OLDENBERG. la Re/1gion du Vé­
da, Paris , 1905 . A l l a scuola francese più recente si debbono molti studi sui Veda e sul
Vedismo. Molto import a n t i son o quelli linguistici e critici del RENOU. Hymnes spécu"1-
tift du Véda, Paris , 1 9 5 6 , Vocabulaire du rituel védique, Etudes védiques et paninée'!­
nes, vol i . I-XVI , 1 9 5 5 -66, ecc . , queste ult ime opere di carattere linguist ico e gram mati-
GUIDA BIBL IOG RAF IC A 229
cale. Traduzioni dassichc_. sulle quali s i fondarono più O meno c ut t e le successive , sono
quella del MAX M{JI.I.ER . R1g- Veda SaT?Zhitii, the sacred hymm 0/ the Brahmans together
with the co mmentary o/ Sayana�harya, Lindo n , 1 890 -92 (6 vol i . ) e lo Atharva- Veda
Sa1f1ht�a, 1 rado1 10 da W . D. Wh aney nel 1 905 ( Cambridge , USA ) ristampato nel 1 962
a Delh i . �dmone fondamentale del � g-veda è 9 uella dell 'AUfRECHT (THEOD OR) apparsa
per la prima voh a nel 1 86 1 -63 (lndtsche Stud,en , voli . v1.v11 ) , indi Bonn , 1 8 7 7 . Per
condudere si possono ci1 are i discussi ma interessantissimi studi di B. G. TILAK sulla cro­
nologia e topologia dei Veda, fra i quali il noto The Arctic Home in the Vedas ristam­
pato a Poona nel 1 97 1 , che attribuisce una sede boreale al i ' amico popolo indo-ario nel
IV-V millennio a . C . , in base a concordanze astronomiche documentate dal l,l.g-veda .
Per rnndudere , si può affermare che conserva validità documentaria e critica l ' imer­
pre1 azione alquanto hegeliana, a dire il vero , di P. DEUSSEN sui Veda e sulle Upani�ad
com enu1a nella Allgemeine Geschichte der Philosophie, vol i . 2 , Leipzig, 1 920 ( i l pri­
mo dei quali è dedicaw ai Veda , il secondo alle Upani�ad ) .
U n a guida alla considerevole letteratura d e i Brahmar;ia la s i può trarre dal l ' egregia
opera di o sono , lellertzture antiche dell'India, Torino 1 969 , (pp. 3 1 ss. ) . Fra le varie
opere l·he c rat tano l ' argomento si può raccomandare la traduzione di J. Eggeling,
Shatapatha-Briihmal')a compresa nei Sacred Books of the F.ast, vol i . 1 2 , 2 6 , 4 1 , 43, 44
rist ampat i � Del h i , 1 96 3 . e A . · Minard , Trois Enigmes sur /es Cenls Chemins (Recher­
ches sur le Satapatha-Briimal')a} , voi . I , Paris, 1 949. voi . 1 1 , 1 9 5 6 . Trattati sulla pratica ri­
t uale sono quelli di A . HILDEBRANDT. Ritual-Literatur, Scrasbourg, 1 897 , e SYLVAIN I.EVI .
La Doctrine du Sacnfice dans /es Briihm�as. U n ' opera classica sull ' argomento, che
rnnserva validità att uale è di H 0LDENBERG . Vorwissenschaftliche Wissenschaft. Die
Weltanschauung der Br!tmarza- Texle, Giittingen , 1 9 1 9 . Più recen t i sono le traduzioni
di ) . Varen ne, Mytht> e/ Légendes dans /es Briihmarza, Paris , 1 967 , e A . C. Banerjea,
Studies in the Briihmal')as, Del h i , 1 96 3 .
Una guida, anche s e sommaria , della letteratura upani�adica potrebbe contenere
qualche centinaio di titol i . Basterà qualche indicazione circa le Upani�ad «classiche•
tradot te e commentate in lingue europee , oltre agli studl migliori sulle medesime .
Un ' eccellente disamina di questa letteratura si trova nel l ' opera di CARLO DELLA CASA .
Upamjad, Torino, 1976. con la traduzione di trema di esse distinte in «vediche• e
«pose -vediche , settarie e yoga• ; questa medesima letteratura è esaminata secondo il
contenmo ideale e specifico nelle nostre (P. FILIPPANI-R0NC0NI). Upamjad antiche e me­
die. Torino, 3 vol i . , 1 960-6 1 , 2 ed . , 1 voi . , 1 968, e nelle introduzioni ad esse . Tradu­
zioni classiche sono, a part ire da quelle di E . Riier ( 1 8 5 3 ) , di E . B . Cowel l ( 1 86 1 ) e di
Mitra ( 1 862) nella «Bibl iot heca Indica• di Calcutta, le seguem i : M ax Miiller, The Upa­
nishads, nei Sacred Books of 1he Easl. vol i . I e xv. London , 1 879, 1 884 ( rise .
Delh i , 1 96 5 ) ; P. Deussen , Sechzig Upanischad's des Veda. Leipzig, 1 89 7 , rise . Darm­
stad t , 1 96 3 , opera fondamentale di riferimento e studio; R. E. Hume, The Thirteen
Pn.ncipal Upanishads, Oxford , 1 92 1 , rist . Madras , 1963 ; Swami Nikhilananda, The
Upanùhads, rnmeneme le 1 1 upan i�ad commentate da San kara , New York , 1 949- 5 8 ,
Lindon , 1 95 1 - 5 9 ; S . Radhakrish nan , The Principal Upanishads. ed. with . . . Traslation
by R . . Lindon 1 5 3 . 1 968; J . Varennes, Upanishads du Yoga; P . Lebail , Six Upani­
.rhadr majeur!, Paris, 1 97 1 . Fra le edizioni più prariche del l ' Upanisad , vi sono quelle
di W. L. Shastri Pa\lslkar, One hundred and eighl Upanishads, Bombay , 1 895 (4 ed .
1 9 .� 2 ) , quella citata di Radhakrishnan , i 5 vol i_. di Upan . minori pubblicate dalla
Adyar Library , Madras, a cura di A. Mahlideva Sast ri, dal 1920 al 1929. e l ' ediz . da
pane della medesima Adyar Library delle Unp11blished Upam°fhads, a cura di C. Kun­
han Raja, Madras , 1 9 3 3 . Sono la direzione di L. Renou ( Paris . 1 943 e sgg . ) sono state
pubblicate olt re ven ti Upan . in volumetti separaci, con la traduzione in francese e note
nitirhe. È il caso anche di citare per la cura e la praticità della pubblicazi ? ne, )_ ' edizio­
ne della Chli\lc;logya-up. e della Brhadllrany�ka-up. , Paris, 1930 e 1 934 ns p emvame � -
1 e . Sulle Upan i�ad sono stati effettuati molti studt critici, dato che esse temmomano m
modo ineguagliabile un t ipo di pensiero «am ico• confortato da una co � cr�ta esp_ene � ­
za mist ica , ,·iò che le rirnllega al mondo dello Yoga . A parte le ope �e g1.i. _ rn � te ? I o �d1-
llt" generale , che rnntengono importami sezion i dedicate alle Upam�ad , 1 prmopah la­
vori rri1 i,·i sono i seguen t i (in ordine alfabetiro ) :
230 GUIDA BIBLIOGRAFICA

SI I K i fll/K0III N l >0, L 'Jsh11 Upm,ish11d, Paris, 1 9 39: importante per l ' interpretazione gno­
st Ìl'a e sot eriulugil'a del testo;
<. DEI.I.A LASA , «Sukr1am in Tai t t iriya Upani�ad• , in A . G. J. , LV. 1 970;
<. Dlii.I.A CASA , «Di akune l'aratterist iche delle Up. più amiche•. in lndologic11 T1111ri­
nens11, 1. pp. 3 3-46 , Torino 1 9 7 3 ;
c . DEU.fl CASA , «Minima Upanisadica. , in St11di in onore di G . T11cà, p p . 3 7 1 - 37 8 ,
Napol i , 1978 ;
c .. l>l·. 1.1.fl LASA . Up11mj11d (v. s11pr11)
l'K . 1cm ;EKT0N. «The Upan i�ads: what do 1hey seek , and why?•. in JA OS, 49, 1929,
pp. 97- 1 2 1
l'K . EDGEKT0N , «Dumin:mt ldeas in the formation of lndian Culture• , in JAOS , 6 2 ,
1 94 2 , p p . 1 5 1 - 1 56
M . l'fl l.K . «Il Mito Psicologico nell ' India amica. , in Memorie de/111 Rellle AcctZdemifl
N11z. dei Lincei, V I . voi . VIII. 1 939. opera di estrema importanza per intendere
l ' orient amento psicologico del l ' am ica speculazione indiana.
K . c;AKHE. «Die Weisheit des Brahmanen oder des Kriegers?• in Beitr. zur /ndis,hen
Kulturges,hi,hte, Berlin 1 90 3 .
P FI I.I PPII NI-R0NC0N I . Up11n1't11d flntiche e medie, (v . suprlZ)
P. FILIPPANI-R0NCONI. Lfl Spe,ulflzione lndùmfl Pre-811ddhist1Z, Napoli , 1 939
J. M. VAN GEWER . Der J.1m11n in der grossen Wllld- Geheim-Lehre. psy,hologis,h gedeu­
lel, Den Haag, 1 9 5 7
H . D E GLASENAPP. Histoire de lfl Philosophie /ndienne. Paris, 1 948
e. HEIMANI\. «Die Tiefschlafspekula1 ion der alten Upanishaden• , in Z.fB. , IV. 1 9 2 2 ,
pp. 2 5 5-274
P THIEME. «Brahman• in ZDMG, 1 0 2 , 1 95 2 , pp. 9 1 - 102 , Wiesbaden , 1 97 1
Il . SflNNIN0 PELI.EGRINI. «Apas i n isa U p . • . . i n A/ON, 34 , pp. 1 2 3- 1 3 3 . Napoli

Per i rapport i fra il movimento speculat ivo delle Up. e gli inizi del Buddh ismo , rive­
ste part icolart importanza:
Il. OI.DENBERG. Die Lehre der Up1Znish11den und die Anfange des Buddhismus. Gottin­
gen , 1 9 1 5

Per quanto riguarda l a Bhagavad-gtr:i , l e principali traduzioni e comment i i n l ingue


on-idem al i sono le seguem i :
w . 1101 1c;us P Hll.l .. The Bh11g1Z1111dgita, Oxford Univ. Press , 1 928- 1 95 3 ;
FRANKLIN EDGERTO N . The Bh. tr11nsl1Zted m,d interpreted by F. E. , Harvard U niversity
Press, 1 944- 1 9 5 2 ;
GHERARDO GN0LI . 8h1Zg1Z111Zd-gità, Torino, 1 976 ( t raduzione accompagnata dal
commento di Abhinava-gupta, grandissimo maestro §ivaita);
M . KERBAKER. a rnra di C. Formichi e V . Pisani, Lfl Bh11g1Z1111d-g1ta ( i n ottave), Reale Ac-
cademia d ' Italia, Roma, 1 9 3 6 ;
o. NflZA R I . // C1Znlo Divino, Palermo, 1 904 :
"· M . PIZZAGIILLI , LIZ 8h1Zgt1111Zdgita, Lanciano , 1 9 1 7 :
E . SENART. Lfl Bh1Zg11111Zdg 1tà ( i n francese), Paris, 1 944 :
IDA VASSALINI . Bh11g1111tZdg1tà, ( r rad . ital . in esametri ) , Bari , 1 94 3 :
R c. ZAEHNER. The Bh11g1Z111Zd G1tà with fl commen/11,y btZSed the originlll sourr:es, Ox-
ford , 1 969.

Per le due opere fondamentali dell' epica e della religione bhakta indiana, le edizio­
ni fondamentali accessjbili (a coloro che conoscono il sanscrito! ) restano:
The M1Zhàbhàr1Zt1Z /or the first time criticlllly edited by V. S. Suk.th11nur - S. K. Bel­
vlllkflr, Poona , 1 927 e sgg .
Ràmày11n1Z, 1·ri1 . edit ion ( gen . ediror G. H . Bhatt), 4 vol i . Baroda , 1 960-65
G . UlRRESI0 . R11mt1JIRIIZ poema i,rdi1Z,ro di Va/miei. Te.rio .rfl'1scrito secondo i mm,o-
GUIDA BIBLIOGRAFICA 231

sentii della scuola Gaudana, voli . I-V e X l '"' " · VI-X e Xli crad . , Parigi, 1 848- 1 86 8 ,
1 867 - 1 8 70.

Traduzion i ( o h re a quella del Gorresio, suindica1a) e l avori critici più important i ,


sono:

E. w . HOPKINS. The Great Epic of India, New York , 1 90 1 ;


E . W . llOPKINS. Epic Mithology, Scrassburg , 1 9 n , 1es10 fondamentale d i consuh azione;
H . J ACOBI . Dtll R1Jmlyana, Geschichte und lnhalt, Bon n , 1 89 3 ;
H . J ACOBI . Mah1Jbh1Jrata, lnhaltsangabe, lndex und Concordanz der Calcuttaer
und Bombayer A usgaben, Bon n , 1 903
M . KEKBAKER , Il Mahizbh1Jrma tradotto in ottava rima nei suoi principali episodi, 5 voli .
Roma , 1 9 3 3 - 39 ;
H OI.DEN BERG . Das Mah1Jbh1Jrata, Seine Enwehung , sein lnhalt, seine Fo rm , Gottin-
gen , 1 9 2 2 ;
P E. PA VOLI N I . Mahizbh1Jrma, Episodi scelti, Palermo , 1 92 3 ;
v. PISA N I . Episodi scelti con introduzione e note, Torin o , 1 9 5 4 ;
The R1Jmay1Jna of Valmiki, t radotto da H . Shastri , 3 voi! . , London, 1 9 5 2 - 5 9 ;
v. s . SUKTH A N K A R . O n the Meaning of the Mahabh1Jrata, Bombay , 1 9 5 7

R ITI , CULTI E FILOSOFIE SElTARIE ! PU K A l'.'I A , AGAM A . TANTRA ETC . )

U n a guida all ' i m ril�• documentario e crit ico d i questa letterat ura, c h e praticamente
rns1i1uisce l a massa del l ' Hinduismo , può trarsi dai 1 es1 i e dalle bibl iografie d i alcune
opere , che si menzionano a seguiw:

Sir R.B. BHANDA R K A R . Vai1r,a11ism. 5aivism and Minor Relig ious Systems, Varanasi
( Ben ares ) , 1 9 1 3 . ris1 . 1 965 ( /ndolog ical &ok House) , che i n sole 1 60 pagine riassume
e sis1ema1izza un materiale i mmenso. È u n ' opera fondamentale di consultazione . Il
già ci1aco H . v . GLASE!I.APP ( Philosophie lndienne) forn isce solidi criteri per avvicinarsi
alla filosofia delle sene . U n ' eccel lente bibl iografia. anche delle fonti indiane si trova
i n due opere rel·en t i di diversa apert ura e orientamen to: CATERINA CONIO. Mito e Filoso­
fia nella Tradizione Indiana. Milano, 1 974 , e WENDY DONIGER O'FLA HERTY . Ascetism
and Eroticism in the M_ylholog_y ofSiva, Oxford Un iversi1y Press , 1 97 3 , 1 97 5 , che con­
t iene un i n t eressante studio mut turale dei miii relativi a Siva ed a ParvatT, abbraccian­
do, quind i , l ' ambi10 sllkt a . Una buona i n t roduzione antologica è quella curata da Ste­
fano Piano , L 'India antica e la .rua tradizione, M essin a-Firenze, 1 9 7 5 . Un i nsieme pa­
noramiw di monografie sul fenomeno del Km1aismo è quello edito da M ilton Singer,
Krùhna: Myths. Rile.r. and A11iludes, Ch icago-London , 1 968-7 1 , con tenente anche
set t e bibl iografie ed un u t ile indice . Un ' eccellente introduzione al fenomeno della
bhakt i a pan i re dalle Upan i�ad e sia nel campo visnuita, che in quello sivaita, è l ' opera
di c ;10Rc ;10 REN ATO fRANCI. La Bhakti. l 'A more di Dio nell'Induismo, Fossano
( Cuneo ) . 1 970 ( Ed i t rire Esperienze) . ! rapport i fra il Vedllnta e i movimenti senari ( sa­
rebbe forse meglio defi n irli «gnostici») sono c ra1tat i in due opere facilmente accessibili
in I t a l i a , M A R I O P I A NlHI.I . Sankara e la Rinascila del Brahmanesimo, Fossano (Cuneo) ,
1 974 e I . A X M A N PRASAD M I SH R A . Rizm1Jnuja e il misticismo visnuita nell'India meridio­
nale, Cit t à Nuova Editrire, Roma . 1 97 8 . Per quanto riguarda il campo della gnosi
sivaita in generale e dei movimen t i del KasmTr in particolare , un ' eccellente guida te­
stuale e hiografo·a, o h re ad una lu.-ida esposizione delle idee fondamen tal i . si può 1 ro­
vare nel l ' ormai d assica Essenza dei Tanlra ( t raduzione e i n t roduzione al Tantra-s1Jra di
Ahhinava-gu pta) di KA N IERO G NOI.I . Torino. 1 960, nella i raduzione da parte del mede­
simo indologo della Luce delle Sacre Scn'11ure (Tantr1Jloka) del medesimo autore , Tori­
no, 1 9 7 2 , che nella dotta introduzione (pp . 1 - 6 3 ) contiene u n ' ampia elucidazione del­
le wrrem i d i pensiero sivaite e una bibl iografia fondamentale. I Tesi� dello !ivaismo
(Torino, 1 96 2 ) , anrh ' essi t radou i da R A N I ERO GNOI.I presen tano le t re prmnpah raccolte
d i sutra e di kizrikiz ( aforism i) sulle quali si fondano i sistemi filosofico-rel igiosi suindi­
nt i . L' opera' d i K .L PANIWY . A hhina1•ax11pt.2. ,m Hi.rtori,·al and Philosophical Study .
232 GUIDA BIBLIOGRAFICA

edito da Chowkhamba Sanskri1 Series Offile, Varanasi- 1 , 1 96 3 , con tiene uno studio
an-uraw, anrnrlhé prolisso , delle varie spelie del pensiero sivai t a monist ico del Kasmir
e non solo relat ivo ad A bh inavagup1a, ma abbraccia anche le diverse correnti spanda,
kula e krama e la sel l a dei Siddha più an t ich i . Numerosi st udi di COR R A DO PENSA trat-
1 ano del l ' inerenza dello Yoga , sia quello «a otto mem bra. (Qf!izng a) , che «a sei mem­
bra• (1ar/anga) , ai vari sis1emi gnostici i n part icolare quell i sivai t i e quelli buddhistici
vajray/Jna: «Interdipendenza di purificazione, conoscenza e potere nello yoga i n rap­
pon o alla rnntinuità della t radizione indian a. ( A/ON, Napol i , 1 969 , voi . 29); «Osser­
vazioni e riferime n ti per lo studio del �ac;langa- yoga.. (ib. ) «On the Purificat ion Con­
ccpt i n l ndian Tradit ion with Special Regard to Yoga, i n East and West, New Series ,
voi . X I X . March-June 1 969 IsMEO, Rome; «Il Bodhavilasa di Ksemaràj a.. , i n Rivista de­
gli Studi OnentfJli, voi . X X X V I . pp. 1 26- 1 34, Roma, 1 962 e Il Terzo Bhàvanàkrama di
Kamalasì la, idem , voi . X X X I X . pp. 2 1 2-242, Roma , 1 964 . Odio saivasiddhanta si è oc­
rupata in h alia M A R I A PI A VIVA NTI : citiamo l ' eccellente «Il K irar;iàgamb ( testo e t radu­
zione del Vidyàpada) Suppi . al n. 3 degl i A/ON, voi . 3 3 ( 1 975) fase . 2 .
Per rhi si i n teressi del l ' a�pet to più propriamente gnostico-senario e d «arcano• della
rel igione sivaita vi sono, corredate da commen ti sistematici e da accurate t raduzioni , le
edizioni di Li l iane Silburn apparse nelle Pub/icatiuns de l'Institat de Civilisation In­
d1enne ( Paris), fra le quali il Vijniina Bhairava ( 1 96 1 ) , testo essenziale per la conoscen­
za dei metodi di autorealizzazione d i una serie d i scuole sivaite, lo studio «La Bhakti
dans le Sivaisme du Kash mir•. che illustra aspet t i trascurat i d i detto movimento misti­
co , i l Vilti1/11nath11 sutra, corredato dal commento d i Ananta-saktipada ( 1 959). impor­
tante per la rnnoscenza critica e sistematica della teoria della Parola. e. nella medesima
collana A PADOU X . Recherches sur /11 s_y mboliq ue et /'energie de la parole dfJns certains
textes lantriques. Testi che t rattino dd Mantra-naya sono mol t i , alcu n i dei qual i , re­
cen t i , piuttosto soggettivi ed emotivi , che scientificamente basat i . Sono molto i m por­
tanti le edizion i , t raduzioni e commen t i , pubblicat i da Arthur A valon ( SirJohn Geor­
ge Wood roffe) nella collezione dei Tamrik Texts che ci i n t roducono nd mondo ddla
spernlazione sàk 1 a . I più import an t i , a t ale riguardo , sono ( pubblicati fra il 1 9 1 2 e il
1 920 a Calcutta e Londra - Luzac and Co . ) il T11ntrizbh1dhizn11, lo Shatchakranirupa,:,11
( l a desrrizione dei sei cen t ri sot t i l i ) , il Pr11p11nch11Sizr11 Tantra, il Kulachi11/izma,;zi Tan ­
tra, il Kuliz"Jl1Vl1 Tantra, il Kizlivilizsa e i l T11ntr11rizj11 Tantra, ai q u a l i fan n!l corona ope­
re d ' int erpmazionr e ch iosa , come The Serpent Power ( London . 1 9 3 1 ) , Sakti and S?Jk­
ta: Essay and A ddresses on the SiJkta Tantra.fii.rtras. Madras 1 959 . •
A pane le ed izioni indiane dei Purai:ia . delle Sa1J1hità e degli Agama che possono
t rarsi dallr •·itare opere della Sig . na Conio e della S ig . n a Virale. si possono citare ( i n or­
dine alfabet i.-o) le seguenti opere crit iche più essenzial i :
v.s A < ò R A W A I . A . Matsya Puriina. A Study. Varanas i , 1 963
B H A H k A R Y A . Philo�ophy oj Srimad Bhiigavata. 2 voli . , Sant i n iketam , 1 960
BISW A S . Bhiig11v11111 P11rii1;111. A Iinguistic Study , Dibrugarh , 1 968
A . IJA N1f.1.ot 1 . Hind� Po(ytheism , London , 1 964
M. F.J.J A DE. Image.r el Sy mboles, Paris , 1 9 5 2
A < ; A n .. Bhakti im Bhiigavata Purii'!a, Wiesbaden , 1 969
.J . ( òO N D A . Aspecls o/ Early_ Vi11;1ui.rm . Ddh i , 1 969
J. 1 ;0NnA . Visnuism and Saivism, London , 1 970
v;;
:, . c;oNDA . Bhav�yapur�a. Wiesbaden , 1 967
A. I IOF.N BF.R< ò F. R . Die indische Flutsag e und das Matsapura,:,11, Wiesbade n , 1 9 30
n. l.A l l F.NSTF.I N . Erwache n des Gouesmystik in /ndien , Jen a , 1 9 1 7
Hl. SCl l R A DF.R . In1mduction lo the Piillcariilra, Adyar, 1 9 1 6
1 1 . ZI M M F. R . My ths and Sy mbols in lndian Ari and Civilizalion, New York , 1 948

SE'ITF. I N NOVATR ICI F. COR RENTI SPIRITI I A J.J MODF.RNF.

( VfJl/ahha, X V I scrnlo) 1 1 . v . GLASE N APP. Die Lehre VfJl/11bh11S, ZII 9 , 1 934


( Caitan_ya, XVI sernlo) G . N . M A LL I K . Philosophy o/ V11ishn11v11 Religion, Lahore, 1 927
111 / R C ò A C A IT A N Y A B H A R ATI . Teachings o(Sri Gouranga, Calcutta, 1933
GUIDA BIBLIOGRAFICA 233
s . u I A K K A Y II KTJ . Cailanya et Ja thé,me de l'amour divin , Paris, 1 9 3 3 ( Guru Niinak ed il
S1khùmo)
STl:l' II N < , PI J\ N c , . G. Niinak e 1/ S1khismo , Fossano, 1 97 1 . Con t iene una chiara esposizio­
ne della Religione Sikh , ampie t rad uzioni di test i sacri del Sikh ismo e una notevole
Bibl iografia ( p p . 26 1 -66)
I. K A NERJEE. Evolution o/ the Khalsa, 2 vol i . , Calcutta, 1 962-63
KI IUSI I V A N'I' S1Nc ; 1 1 _ The SzkhJ today; their religion, history, culture, and way of /ife ,
Bom bay, 1 959
K H U S H V J\ NT S I N C ; 1 1 . Hymns of Guru Nanak , Del h i , 1 969
P IITH A I.Yf.. Li/e of lokmanya Tzlak , Poona, 1 92 1
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s. LEM AlTRE. RiimakriJhna, Paris, 1 959
J M AJ U M D A R . Ràmmohun Roy and Progressive Movements, Calcutta, 1 94 1
G . E . MONOD-H ERZE N . Shri Aurobindo , Paris, 1 924
A . OSBORNE. The Collected Works o/ Ramana Maharshi, London , 1959
R ROLLA N O . Vie de Riimakrishna, Paris, 1 930
P K . SEN . Keshab Chander Sen , Calcutta, 1 938
v S H A STRI. History ofthe Brahmo Samàj, Calcutta, 1 9 1 2
E . V . THOMPSO N . Rabindranàth Tagore, London , 1 948
s . V I R AJ A N ANDA . Life o/ Swilmi Vivekànanda, Almora, 1 924

(Opere dei Riformatori stessi)


A U ROBINDO. SHRi, La Vie Divine, Paris, 1 960
AUROBINDO. SHRi. La Sintesi dello Yoga, 3 voli . , (rrad . ital . ) Roma , 1 97 1
A U ROBINDO . S H Ri. Le secret du Véda, Paris , 1 9 5 5 (ed . ingl . Pondicherry , 1 956)
DAYANANDA S A R A SVATi. Satyàrth Prakash translated, Lahore , 1 908
R A M A K R I SH N A . Gospel, New York , 1 942
R A M A N A M A H A R S H I . La connais1ance de l'Etre, Paris, 1 950
K . c:1 1 . SEN . Lecture1 in India, Calcutta, 1 890
VIVEKA N A N D A . EntretienJ et Cau1eneJ , Paris, 1 9 5 1

COR RENTI RECENTI DI TI PO 1 1'.TERNAZI O N A LE

Sulle recent issime correnti «indiane» o «para- indiane» venute in voga in Occidente
in seguito alla diffusione di varie forme semplificate di bhakti-yoga , vi è u n ' ampia let ­
temura. An·enn iamo a qualche opera reperibile in Italia:
BAGW A N SHREE R J\I N EESH . Meditazione dinamica, Mediterranee , Roma
BAGW A N SHREE R iJ N EESH . Tecniche di Liberazione. li corpo p1ichedelico al di lii della
follia: _yoga, uuualitìi, meditazione, energia creativa, La Salamandra, Milano, 1 97 5
M A R Y l.LI T Y E N S . Krishnamurti, Gli A n ni del Risveglio , Armen i a , Roma
M A ll A R I S H I M A H ESI I YOGIN. La Scienza dell'EJ1ere e l'Arte del Vivere , Astrolabio ,
Roma
SW A M I G F. ET G O V I N D . ( P I E R O V E R N l l . Vivere in In dia , id. M i l a n o , 1 9 7 7 .
Indice

p. 7 Caratteri generali della religiosità indiana

PARTE PRIMA. LA RELIGIONE DEI VEDA

1 7 La religione dei Veda

PARTE SECONDA. BRAHMANESIMO E HINDUISMO

69 1 . Concezioni generali
78 2 . Testi mitici , filosofici e letterari
111 3 . Le Scuole Classiche visnuite
1 14 4 . Scuole mistico-filosofiche vi�,:iuite : l a sintesi speculativa
1 19 5 . La figura di Siva secondo gli Agama e i Tantra
125 6 . Filosofia e metafisica delle sette sivaite : teorie fonetiche
135 7 . Altre sette sivaite (Vira-saiva e Lingayat ; Kapalika)
1 39 8 . Le deità femminili , gli Sakta e i Tantra . Riti iniziatici
157 9 . Altre divinità e sette
176 1 0 . Luoghi e d Entità numinose
182 1 1 . Riti e pratiche liturgiche
205 1 2 . Le sette a tendenza innovatrice
2 1 1 1 3 . Correnti spirituali moderne
227 Guida bih/ir,gr.1/ìca

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