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# Bantu - termine che è stato utilizzato in Sudafrica (per identificare le persone di colore rispetto
a quelle bIanche) e in Ruanda.
L’imperialismo inteso come una politica che corrispondeva all’età del capitalismo, del
monopolio e degli oligopoli. Imperialismo come fenomeno del capitalismo, che aveva raggiunto
un centro stadio di sviluppo.
Se per Lenin l’imperialismo era l’ultimo stadio del capitalismo, per l’Africa è stato il primo.
L’Africa è inserita nei circuiti globali/internazionali, e quando ciò accade vi è la necessità di
nuovi mercati e materie prime. L’Africa si immette nei mercati globali, dove però ha un ruolo
marginale e debole.
Però spesso si ritiene erroneamente che l’Africa sia al di fuori dai circuiti dell’economia globale.
È vista come una cultura remota, tribale (parola chiave del colonialismo), un qualcosa di
eccezionale, come una forma di caos primordiale..
L’AFRICA PRE-COLONIALE
La dimensione politica dell’Africa nel momento in cui si va verso la struttura coloniale era
caratterizzata da una molteplicità di entità politiche.
In particolare due tipologie:
- Regni e principati (di vario tipo e dimensione). Entità politiche aventi una certa struttura
amministrativa, una certa economia, un apparato militare. Società complesse ed articolate.
- Società decentralizzate, poco strutturate, acefale. Società basate su sistemi di parentela (clan e
lignaggi) e/o sulle classi di età. Alcuni studiosi hanno definito tali sistemi sociali come sistemi
politici dell’uguaglianza (concetto contestato invece da altri, in quanto anche in questi contesti
c’è stratificazione sociale, ci sono disuguaglianze, anche se magari più attenuate). Sono
società flessibili — demarcazione sociale e territoriale fluida (alcuni gruppi si potevano
sovrapporre agli altri). Tale caratteristica risulterà poi essere un problema per il colonialismo.
# Clan: struttura della discendenza che si identifica partendo da un antenato mitico
# Lignaggio: genealogia che fa riferimento ad un antenato certo/individuabile (in un clan si
possono trovare più lignaggi).
Abolizione della schiavitù (nell’800): si passa da un’economia centrata sul commercio di schiavi
ad un’economia basata invece sul commercio lecito internazionale di prodotti di export — cash
crops (sia agricoli che minerari). Questo trasforma non solo l’economia, ma che la società e gli
stati dell’Africa (soprattutto africa occidentale e la regione sudafricana).
A partire dalla metà dell’800 c’è una trasformazione dell’agricoltura verso i cash crops (cioè
prodotti che poi vengono veduti sul mercato internazionale. prodotti di export.): cacao, arachidi,
cotone, tabacco, the, sisal (fibra tessile naturale, che entra in crisi quando vengono introdotte le
fibre sintetiche), olio di palma (produzione storica dell’Africa),..
Questo non è però accompagnato da avanzamenti di tipo tecnologico
Inoltre tale internazionalizzazione modifica solo in parte la tipica agricoltura itinerante.
Nuova fase dell’imperialismo europeo che guarda sia ai territori che possono offrire risorse, sia a
quelli che rappresentano snodi strategici per le vie commerciali.
L’800 PRE-COLONIALE
TRASFORMAZIONI IN AFRICA OCCIDENTALE e NORDAFRICA
Trasformazione dei sistemi politici africani (prima dell’avvio formale della colonizzazione).
Molti stati e regni decadono e emergono nuove entità statali (sopratutto in africa sub-sahariana).
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Trasformazioni legate a:
Fine tratta degli schiavi
Attività commerciali delle popolazioni nomadi
Ruolo dell’islam e delle confraternite
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In Africa occidentale: grandi trasformazioni, questa area riceve molti contraccolpi con la fine
della tratta degli schiavi (tratta atlantica).
Tutta una serie di regni (Oyo, Ashanti, Dahomey, Benin) entrano in crisi:
- regni Oyo e Benin ubicati nell’attuale Nigeria
- regno Ashanti ubicato nell’attuale Ghana. Si era affermato grazie al commercio dell’oro.
Questi regni tentano di riconvertire le loro attività produttive verso i cash crops e
successivamente faticano a resistere alle pressioni coloniali. Tutto ciò porta alla loro fine.
Si parla di:
- rinascita dell’Islam — a nord del Sahara
- Jihad (lotta)— a sud del Sahara (moti collettivi ispirati all’adesione ad un nuovo islam e rivolti
contro nemici esterni ma anche vecchie leadership)
Tali processi di trasformazioni non sono indotti dal colonialismo (con eccezione dell’Algeria),
ma cominciano prima. Sicuramente però cambiamenti a livello globale avuto un’influenza (ex. la
fine della tratta degli schiavi,..)
#Fulani: gruppi nomadi diffusi in tutta la regione che andava dal lago Ciad alle coste del Senegal,
noto come Sudan (parola storico-politica. Espressione araba che significa ‘terra dei neri’).
Svolgono varie attività economiche legate al commercio.
Jihad Islamiche
Primi anni del 19° secolo nell’area saheliana dell’Africa occidentale (dal lago Chad al Senegal)
si definirono delle guerre per l’espansione della fede e per il recupero dell’Islam autentico (più
puro, più vicino alle origini. Purificazione religiosa che porta a rinnovamento delle società).
Le confraternite sufi (che si sviluppano tra l’Africa del Nord e l’Africa occidentale) ebbero in
questo un ruolo importante. Tijaniyya è tra gli ordini più importanti e diffusi nella regione
(nonostante sia nata più a nord e solo in seguito penetrata nella zona occidentale grazie ai fulani).
Movimenti che hanno l’intento di ridefinire le società attraverso espansione e purificazione della
fede e guerra. Un rinnovamento non solo sociale ma anche economico, politico e morale.
Portano alla costruzione di nuovi Stati e sistemi di potere.
Sono fenomeni endogeni all’Africa, che solo successivamente si intersecano con i fenomeni
coloniali e con gli interessi economici europei.
Le jihad permettono di attuare una riorganizzazione statuale, con confini ben definiti, comunità
locali ridefinite e ampi territori. Inoltre si compie una effettiva islamizzazione. La superiorità
militare e tecnologica delle potenze europee però porterà questi stati ad essere fagocitati
all’interno del sistema coloniale (perlopiù francese).
cuore politico, sociale e militare di un califfato/stato forte e dinamico, con grandi capacità di
controllo sui territori e sulle attività economiche grazie al ruolo unificante dell’Islam e che
dura per quasi un secolo (fino all’arrivo dei britannici). Era un impero molto vasto. A
differenza di altre città africane, che usciranno annientate o ridimensionate dal colonialismo,
Sokoto riesce a mantenere un suo spazio politico e sociale importante.
2) Quella di Sekou Ahmadu. Si sviluppa più ad ovest, nella regione del Macina o Masina (area
del delta interno del fiume Niger, nell’attuale Mali), dove le genti fulani vengono unificate
creando uno Stato, lo Stato fulani del Masina. Agricoltura, commercio, pesca sono favoriti
dalla presenza del delta del fiume Niger. Caratterizzata da processi di modernizzazione delle
economie e delle società e spinge alla sedentarizzazione. Era espressione di rinascita islamica
ma anche di adattamento locale alla crisi dei traffici transahariani e alla fine della tratta
atlantica. In quest’area hanno fine in questa fase le ultime società ancora non assoggettate
all’islamismo, in quanto i culti locali vengono contrastati. Tale regno finì poi per essere
inglobato nel regno Tukulor.
3) Quella di Umar Tal. Si sviluppa fra gli attuali Senegal e Mali e prende il nome di regno
Tukulor. Da un lato si estende verso est (inglobando il regno del Macina) e dall’altro entra
per primo in conflitto con i francesi (da cui saranno sconfitti) che procedevano lungo il corso
del fiume Senegal. Inizialmente, nel 1880, viene firmato un accordo con i francesi che
garantiva al regno una certa autonomia e stabilità (trattato di Mango). Ma nel 1892 le ostilità
riprendono e i francesi entrano nell’area (tra i fiumi Senegal e Niger) e sconfiggono
definitivamente il regno Tukulor.
- verso est (aree dell’attuale Niger e Ciad. Avevano un centro importante ad Agadez attuale
Niger)
- verso sud (aree Hausa del Sahel occidentale)
#Sahel: area a sud del Sahara
Tutta una serie di processi trasformano e mettono in crisi le vie carovaniere e la loro economia
tradizionale già a partire dall’inizio dell’800.
Nel periodo coloniale la Francia marginalizzerà ulteriormente i Tuareg e l’Africa sahelo-
sahariana dei deserti verrà espulsa in modo definitivo dalle nuove reti del capitalismo globale,
subendo un irreversibile collasso economico e sociale.
Egitto
Importante fu la spedizione napoleonica in Egitto di inizio ‘800, che dura circa 3 anni e ha come
obiettivo da un lato la competizione con la GB e dall’altro la riscoperta dell’Africa anche dal
punto di vista culturale (romanticismo culturale) e non solo per interessi strategici, economici e
commerciali.
Si può dire che la spedizione fu il simbolo di una nuova fase storica europea.
Allo stesso tempo l’occupazione è una spinta propulsiva alla modernizzazione dell’Egitto stesso
e in generale delle entità politiche del Nord Africa, sostenuta da confraternite e intellettuali
religiosi.
Inviato nel paese per far fronte all’invasione francese, nel 1805, dopo l’umiliazione dello sbarco
napoleonico, viene nominato governatore Muhammad Ali (capostipite di un’ultima dinastia di
sovrani d’Egitto).
Egli era consapevole della complessità della crisi che non era solo economica e commerciale, ma
anche sociale, politica e militare. E per questo si fa promotore di riforme politiche, economiche e
militari, mettendo in atto un primo esperimento di modernizzazione nordafricana precoloniale.
L’Egitto diventa più dinamico, rimanendo però dipendente dall’impero ottomano, e quando
Muhammad Ali comincia a rafforzare il suo potere entra in conflitto con il Sultano ottomano. Le
varie tensioni (controllo di Siria e Palestina) tra Ali e il sultano portano anche all’intervento di
Francia e Gran Bretagna (diventando più presenti nell’area), che temono possibili crisi nella
regione, destabilizzazione nel mediterraneo e forme di interventismo dello zar russo, per evitare
scontri diretti.
Anche se Muhammad Ali aveva ottenuto il solo titolo di wali, egli si era autoproclamato khedivè,
ovvero viceré ereditario, già durante il suo periodo di incarico.
Il sultano riconosce ufficialmente il titolo di khedivè (vice re) d’Egitto sotto Ismail, che prosegue
con l’opera di modernizzazione.
Si delinea uno stato organizzato (sia internamente, sia dal punto di vista regionale), con
modernizzazione dello stato e una politica imperiale che guarda a sud, conquistando una vasta
area dell’attuale Sudan. Con Ismail l’Egitto si spinge ancora più a sud verso l’Etiopia e il lago
Vittoria, ma qui verrà bloccato. Il vicereame attua quindi una politica di tipo imperialista (come
accade anche in Etiopia nello stesso periodo).
La modernizzazione si concentrò sulle infrastrutture: linee ferroviarie, apertura del canale di
Suez nel 1869 (evento importante in quanto modifica le rotte economiche, apre una via marittima
verso l'oriente). A causa di un continuo aggravarsi delle finanze dello stato, le quote azionari del
canale vengono acquisite dalla Grand Bretagna (ciò favorisce le successive ingerenze britanniche
sul territorio).
A causa dell’inasprirsi della crisi, della tassazione e con l’attuazione di nuove riforme, crescono
ostilità popolari. Il vicereame crolla e questo apre le porte ad ingerenze da parte delle potenze
straniere. Nascono rivolte interne dai toni nazionalisti e di opposizione al controllo europeo,
come quella del movimento di Urabi Basha nel 1879. Questa rivolta viene soffocata con un
intervento militare da parte degli inglesi nel 1882, che spiana la strada alla formazione del
protettorato britannico in Egitto.
Tunisia
Il bay Hamad, reggente per conto del sultano ottomano, avviò ampie riforme di modernizzazione
in modo simile a quando avveniva in Egitto (anche se rimangono delle differenze): sviluppo di
attività culturali, lotta alla schiavitù, nuovo slancio alle attività diplomatiche con paesi europei.
Anche qui si afferma un’élite che prefigura una modernizzazione dal punto di vista istituzionale
e culturale, e che aspira a guidare il movimento di riforma.
Nel 1861 con Sadiq viene stilata una Costituzione (la prima nel mondo islamico), che limitava il
potere del sovrano e rifondava lo stato beylicante. Verrà poi sospesa pochi anni dopo. Infatti,
nonostante la grande vitalità culturale, vi sono problematiche economiche, contrasti con le elitè
politiche e insurrezioni contro le imposizioni fiscali, i controlli dei commerci e le riforme
costituzionali. Queste difficoltà economiche e la fragilità della modernizzazione favoriranno poi
l’intervento militare e la nascita del sistema coloniale francese (che già aveva una posizione
consolidata in Algeria).
Marocco
Un processo analogo a quello tunisino e egiziano coinvolse anche il sultanato alawita del
Marocco: rafforzamento dello stato e dell’esercito, definizione del rapporto tra entità politico-
amministrative, infrastrutture (porti atlantici), cooperazione con l’Europa (rapporti con gli
spagnoli). Inoltre diventa importante una miglior definizione del controllo del territorio, che era
molto frammentato, vasto, a bassa demografia e costituito da tante piccole comunità mobili e
autonome. Ci fu anche un tentativo di inglobare e rivendicare i territori meridionali (quelli che
poi diventano il Sahara spagnolo occidentale).
Il Marocco da sostegno alla resistenza algerina contro i francesi (1930).
Qui a differenza degli altri due casi il sultanato è autonomo. Importante nel dare legittimità al
sovrano e nel compattare il sultanato è il ruolo delle confraternite, dei gruppi di credenti e
dell’Islam.
Inoltre nel territorio si avviano forme di sedentarizzazione dei gruppi nomadi, a causa della crisi
dei commerci transahariani. Soprattutto nelle zone provinciali interne esplodono dissidi (terre
della dissidenza nomade). Nonostante ciò il sultanato era riuscito a controllare gran parte del
Marocco costiero e centrale.
La spinta propulsiva di maggior modernizzazione avviene sotto il sultano Mawlay al-Hassan, che
riformò finanze ed esercito. Ma alcune debolezze, anche commerciali, favoriranno poi
l’instaurarsi del protettorato francese.
Già in questa fase possiamo parlare della nascita di un modello di proto nazionalismo (sul
modello egiziano). Mentre in Marocco il nazionalismo precede il colonialismo (con cui poi però
dovrà fare i conti e che subirà una rielaborazione nella fase post-coloniale), nel resto dell’Africa
compromettere sia l’autonomia dei poteri locali nel trarne benefici sia nel governare i processi
locali.
spazio politico e forza all’impero. Questo anche perché gran parte delle terre erano possedute
dalla chiesa stessa. Quindi l’opera di modernizzazione si svolse in connessione con il ruolo della
Chiesa cristiana ortodossa monofisita, che soprattutto nella fase è il principale motivo di unità
nazionale sull’altopiano.
Sul piano nazionale si crea un nuovo equilibrio che riesce ad unire gli interessi di monarchica,
chiesa e dei principi locali.
Sul piano internazionale il nuovo Stato etiopico riuscì a respingere sia le rivendicazioni della
Gran Bretagna (attraverso l’Egitto e il Sudan) sia quelle provenienti dall’Impero Ottomano (che
operavano lungo le coste del Mar Rosso) sia quelle italiane.
La pace di Addis Abeba (nuova capitale dell’impero), in seguito alla sconfitta italiana ad
Adua, consacra il mantenimento dell’indipendenza dell’Etiopia sul territorio conquistato
da Menelik e secondo i confini concordati con Francia, Gran Bretagna ed Egitto.
L’Etiopia ottenne anche legittimità internazionale, entrando a far parte della Società delle
Nazioni nel 1923 (unico paese non europeo presente).
Hailè Selassie dal 1930 guida un’impero sempre più centralizzato e moderno. Egli rafforza la
monarchia e i privilegi economici di nobili e sostenitori. Lo stato diventa
sempre più assolutista e basato su una politica di sottomissione delle entità regionali al
centro imperiale.
Nel 1974 si arriva colpo di stato marxista-leninista, che pone ufficialmente fine all’impero.
Lo stato zulu
All’inizio dell’800, sotto impulso del re Shaka si forma il regno zulu nelle regioni orientali
dell’attuale Sudafrica dall’unione di diverse entità politiche preesistenti.
Il regno si struttura politicamente e militarmente diventando uno stato potente predatorio e di
conquista. La struttura militare era forte, in quanto il regno era riuscito a irreggimentare i giovani
che obbedivano e appoggiavano il re.
Le guerre di conquista degli zulu provocano lotte, violenze, spostamento di popoli in tutta la
regione dell’Africa australe. Tale processo è noto come mfecane o difacane e rappresenta una
fase di trasformazioni endogene/interne alle società africane della regione.
L’affermarsi di questo fenomeno sono varie (non ci cono cause storiche certe):
- crescita demografica
- crisi delle attività agricole e di allevamento
- fattori ambientali (siccità,..)
- nuove opportunità commerciali nell’attuale Mozambico (baia di Delagoa) dove erano già
arrivati i portoghesi (rafforzamento dell’espansione commerciale)
Con l’affermarsi del regno, anche la società si trasforma, e molti gruppi iniziano ad identificarsi
come zulu (anche se rimangono resistenze in seno al regno).
Grande trasformazione geopolitica della regione:
(1) Migrazioni — persone che scappano dal nuovo regno o settori del regno che si muovono per
conquistare nuovi territori (incorporazione di altri stati)
Scramble for Africa: rapido e con grandi rivalità tra nazioni. Fenomeno complesso
Dal punto di vista delle relazioni internazionali la corsa alla spartizione dell’Africa
(scramble) vede le potenze europee utilizzare il colonialismo come strumento
diplomatico che permetteva di scaricare sulle periferie (le colonie) le tensioni interne.
Gioco diplomatico tra le nazioni. Il colonialismo fu importante nella politica di
mantenimento dell’equilibrio fra le grandi potenze europee.
Inoltre è importante, per comprendere i processi di spartizione, tenere conto anche di ciò
che accade all’interno del contesto africano e le dinamiche politiche locali.
Attori importanti nella prima fase coloniale: gli esploratori (Livingston esploratore e
missionario scozzese) e le compagnie concessionarie (entità economico amministrative
più o meno private attraverso cui tutti i sistemi coloniali hanno gestito i territori in una
prima fase. In molti casi a causa di mancanza di capitali o eccessivo uso della violenza, i
governi si sono visti costretti ad assumere il controllo diretto dei territori africani)
interessi inglesi. Processo che accresce gli interessi europei verso l’Asia, verso l’oriente.
2) Apertura di attività commerciali in Giappone
3) Attenzione al ruolo dell’impero ottomano per definire la gestione dello spazio nel
Mediterraneo (importante è l’apertura del canale di Suez, che modifica i rapporti
internazionali). Interesse sia economico che strategico verso l’Africa settentrionale e
l’Egitto.
Mentre si rafforzavano gli interessi inglese di tipo imperialista (legati ai nuovi commerci
internazionali, al libero scambio, al ruolo finanziario della City), aumentava la
competizione fra la Gran Bretagna e le altre potenze europee, favorendo la conquista del
mondo afro-asiatico.
Gli interessi coloniali si legano al rafforzamento di modelli nazionali e a considerazioni
strategiche nei rapporti tra i diversi paesi.
Nel caso specifico dell’Africa meridionale (es. caso del Sudafrica), la scoperta dei
diamanti e dell’oro innestò un nuovo processo economico di conquista del territorio
sudafricano e successivamente dei territori a nord del fiume Limpopo, processi in cui
la costruzione delle ferrovie insieme alle attività economiche e militari furono centrali.
Fattori non economici
- Nazionalismo
L'espansione coloniale di fine secolo segnò il passaggio da un colonialismo informale a
una vera e propria spartizione basata su un modello imperialista, dipendente dalle
profonde trasformazioni degli Stati europei così come dalla maturazione di elementi di
crisi del liberalismo (es. politiche protezioniste), mentre emergevano i nazionalismi.
La formazione (Germania, Italia) / riorganizzazione (Francia, Gran Bretagna, Portogallo)
degli Stati europei ha rafforzato dei modelli nazionalisti che hanno favorito l’emergere le
colonialismo.
• Importante considerare la guerra franco prussiana. Sconfitta della Francia, nascita della
III repubblica, cresce la tensione tra i nuovi nazionalismi europei (squilibrio politico). La
necessità di riscatto dopo la sconfitta è un elemento per capire il ‘guardare oltre’, il
guardare a nuove opportunità per rafforzare il proprio nazionalismo, anche rispetto alle
altre nazioni. Ciò si esplica nel colonialismo e anche nella fase ultima che porta la
Francia alla conquista dell’Algeria (e trasferimento di colonie francesi in Algeria).
Proiezione oltre il mediterraneo della Francia. La Francia vuole essere un
paese libero, ma anche un paese che vuole esercitare la sua influenza sui destini del
mondo diffondendo i propri costumi, la sua lingua e la sua cultura (Jules Ferry).
• La Germania aveva interesse a rafforzare la sua posizione in Europa attraverso la
partecipazione alla spartizione coloniale. Il cancelliere Bismarck (è lui che indice la
conferenza di Berlino) si rivolse quindi alla politica coloniale per legittimare un ordine
sociale che si stava trasformando (governo, istituzioni,..), una questione che in qualche
modo emerse anche nel caso italiano dove tuttavia lo sviluppo capitalista era in ritardo.
Per questo si parla di imperialismo sociale.
• Come i tedeschi anche gli italiani cercarono di convincersi di essere una grande potenza
e di poter usare il nazionalismo per soddisfare e giustificare le ambizioni coloniali. Si
parla di un colonialismo improvvisato, che avviene più per imitazione e che si sviluppa
tardi.
• Il Portogallo era interessato a seguire questi processi anche in rapporto al fatto che la
sua presenza da secoli stabilita sulle coste (Angola e Mozambico) permettevano ora di
espandersi verso l'interno.
• A questi si aggiungeva l'interesse specifico del Belgio, mediato nella prima parte dagli
interessi personali del re Leopoldo. Caso particolare. Grande colonia del
Belgio è il Congo.
naturale e minerali)
- Libertà di navigazione sui fiumi, come il Congo e il Niger
- Definire norme da tenere in considerazione rispetto ad eventuali occupazioni ulteriori
del suolo africano (da allora i paesi europei che occupavano un territorio, dovevano
esercitarvi un’autorità effettiva. Fine dell’epoca degli imperi informali.
LA SPARTIZIONE E LA CONQUISTA
La conquista coloniale fu molto spesso un atto violento e realizzato in modo militare e
caratterizzato da tensioni costanti.
Le popolazioni africane cercarono in molti contesti di resistere alle penetrazioni coloniali,
per preservare una loro autonomia. Tale resistenza si articola secondo modalità diverse.
Gli europei avevano una superiorità tecnologica per quanto riguarda gli armamenti,
nonostante l’inferiorità numerica. Ad esempio in Etiopia l’Italia fu sconfitta, gli etiopi
erano riusciti a schierare 100.000 soldasti (netta inferiorità dell’esercito italiano).
Ci sono però stati casi in cui gli attori africani non hanno esitato ad allearsi con gli stessi
europei, sfruttando l’occasione di avanzamento economico e sociale che in contesto
coloniale poteva offrire.
Altri casi di resistenza (diversi tra loro ma con punti in comune: aree a predominanza
mussulmana, ruolo delle confraternite, dura risposta militare da parte delle potenze
coloniali):
# Rhodesia del Sud corrisponde all’attuale Zimbabwe, mentre la Rhodesia del Nord allo
Zambia
A questo punto Francia e Gran Bretagna controllano 4/5 del continente africano.
Francia
- Prima federazione (africa occidentale francese. Formata già nel 1895, subisce delle
Gran Bretagna
- Africa occidentale: Nigeria, Costa d’oro (oggi Ghana), Sierra Leone, Gambia
- Sudan (codominio anglo-egiziano), Zanzibar, Kenya, Somaliland, Uganda, Seychelles e
Mauritius
- Africa australe: Rhodesia del nord (Zambia) e del sud (Zimbabwe), Swaziland,
Bechuanaland, Basutoland, Sudafrica (caso analizzato a parte), Nyasaland
- Più i territori ottenuti dalla società delle nazioni (Tanganyika)
Portogallo
- Africa australe: Angola, Mozambico
- Guinea Bissau, arcipelago di Capo Verde e e Sao Tomè e Principe.
Belgio
- Congo
- Ruanda e Burundi (mandati B)
Italia
- Libia, Eritrea, Somalia
- Etiopia (solo per un brevissimo periodo)
Spagna
- Guinea Equatoriale
- Sahara Occidentale (abbandonato con la fine del franchismo. Anche le popolazioni
locali tentano di rivendicarne l’indipendenza e allo stesso tempo c’è una rivendicazione
da parte del Marocco. Questo apre un contenzioso internazionale).
Liberia — non è stato colonizzato. Nasce come stato indipendente nel 1816 dagli
interessi filantropici, umanitari di società antischiaviste statunitensi, per promuovere il
ritorno in Africa di ex schiavi liberi .
Vanno ad occupare territori verso l’interno (utilizzando gli stessi metodi di
conquista degli europei) e all’inizio del ‘900 vengono sanciti dei confini definitivi, in
accordo con le potenze coloniali della regione.
Quindi la Liberia vive una sua storia specifica, e non sarà coinvolta in prima persona nel
processo coloniale. Si instaura però una forma di colonizzazione economica, legata ad
interessi internazionali sulla gomma (di cui il paese era ricco). Sarà interessata da una
guerra civile negli anni ‘90.
Sierra Leone e Gabon solo altri due Stati in cui ritornano ex schiavi liberati.
Etiopia: rimane uno stato indipendente. L’Italia viene sanzionata dalla Società delle
Nazioni quando occupa l’Etiopia.
MODELLI DI AMMINISTRAZIONE
Le due principali potenze coloniali Francia e Inghilterra si ispirarono nella costruzione
delle strutture statuali coloniali a dottrine diverse e divergenti.
La Francia mise in piedi sistemi centralizzati e relativamente uniformi, l’Inghilterra
sistemi decentralizzati e maggiormente diversificati.
Entrambi però puntavano a coinvolgere alcune autorità locali nella gestione del potere,
anche se con modalità diverse. Inoltre entrambe le potenze preferirono attuare una
politica che andava a rimarcare le differenze tra colonia e madrepatria.
Vengono adottati modelli che mettono in competizione diverse comunità locali,
ostacolando così la formazione di legami di solidarietà e indebolendo le possibili
rivendicazioni politiche nei confronti dell’autorità coloniale.
sviluppo economico dei territori, dove i sudditi erano sottoposti al controllo coloniale
attraverso il regime dell’indigenat. Era un sistema che voleva creare un ordine coloniale;
applicato inizialmente in Algeria e poi si estende agli altri possedimenti francesi in africa
Subsahariana. Dava alle autorità amministrative il potere e l'autorità di comminare
sanzioni penali senza che vi fosse giudizio, mediante un sistema di giurisdizione di
appositi tribunali per gli indigeni. Sistema quindi di discriminazione che rimarrà in vigore
fino al 1946. Gli indigeni erano inoltre obbligati a prestazioni in natura (cioè lavoro
obbligatorio) per le opere considerate di pubblica utilità (es. strade/ferrovie. processo
chiamato corvet).
Evoluet: sudditi che acquisiscono diritti specifici perché la Francia riconosce loro un
livello superiore di avanzamento sociale/politico.
Il modello francese è estremamente centralizzato sopratutto nella fase iniziale (in
particolare in Algeria, mentre in Marocco meno).
Dopo la prima guerra mondiale (anni ’20/30 dopo una serie di disordini nelle campagne e
crescenti rivendicazioni politiche degli evoluet) si ebbe una graduale trasformazione che
portò ad un avvicinamento ai capi tradizionali, intesi però come strumenti funzionali alla
trasmissione degli ordini coloniali (tramite tra la Francia e i ‘sudditi’). Si creano quindi
rapporti preferenziali con alcune élite mussulmane (i possedimenti francesi erano infatti a
maggioranza mussulmana).
(Tale modello verticistico non si traduce in una uniformità amministrativa sul territorio.)
Aumenta sempre più la distanza da ogni ipotesi di assimilare i sudditi africani ai cittadini
francesi (i criteri per ottenere la cittadinanza erano molto selettivi)
# La Mauritania è un eccezione in quanto in questi territori si applicherà un modello
britannico (forma di governo indiretto)
# in Algeria abbiamo una colonia dei settler
governo coloniale (che si occupava dei problemi generali di gestione delle risorse, che
guidava e definiva le priorità) e un governo indigeno (che svolgeva compiti di
amministrazione locale). Tale governo indigeno si fondava sul collegamento con autorità
indigene tradizionali, dette native authorities (autorità che poteva essere individuale ma
anche anche collegiale), le quali gestiscono e controllano una native administrations
(amministrazione indigena. Sono aree territoriali, designate dai britannici, amministrate
da autorità indigene).
Alle autorità locali si chiedeva di: gestire la consuetudine, gestire tribunali locali basati
sulle norme consuetudinarie, esigere le imposte, controllare i sistemi tradizionali di
controllo e accesso alla terra (ossia il regime fondiario).
Quindi è un sistema in cui le direttive dello stato coloniale vengono messe in atto dalle
autorità locali indigene.
La Gran Bretagna aveva quindi la necessità di sapere chi poteva rappresentare la native
authorities in un determinato territorio.
A questo scopo:
- Laddove i sistemi politici locali erano ritenuti abbastanza avanzati, centralizzati e
gerarchici, l’amministrazione coloniale fece esplicito riferimento a queste entità.
Questo accade ad esempio nella parte settentrionale della Nigeria, dove la native
authorities venne identificata con il califfato di Sokoto e in generale tutta la struttura
legata all’islam. O accande anche in Uganda con il regno dei Buganda.
- Laddove le società indigene erano basate su sistemi “elementari”, centrate sui sistemi di
parentela e acefale, dove quindi il potere era frammentato e diffuso, l’autorità coloniale
va ad identificare strutture locali da utilizzare nella gestione del territorio.
Ad esempio questo accade in alcune aree meridionali della Nigeria, dove non c’erano
strutture centralizzate (come Sokoto) e quindi non c’erano autorità direttamente
individuabili. Erano aree che Lord Lugart definì come abitate da tribù arretrate (backward
tribes).
In questo caso le autorità devono quindi essere cercate, identificate e adattate o perfino
inventate. In una società mobile e variegata la GB deve definire egli stessa un’autorità
centrale (che non esisteva prima).
Nel caso della Nigeria meridionale si tratta di piccoli gruppi locali: gli Ibo (che vengono
definiti come autorità indigena e in tal modo rielaborati e resi diversi dagli altri). Si crea
cosi un modello di differenziazione culturale. Inoltre, attribuendo in modo esclusivo il
potere ai cosiddetti capi tradizionali, l’amministrazione coloniale attua una
semplificazione della complessità dei modelli di autorità dell’Africa precoloniale.
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TERMINE TRIBU. É problematico. È fuori luogo parlando del sistema contemporaneo.
Le tribù sono una costruzione del colonialismo, infatti prima del colonialismo molti
gruppi etnici non esistevano. Inoltre determinati gruppi che prima esistevano anche prima
del colonialismo (es. Ibo) si ampliano in tempo coloniale perchè in alcuni casi definirsi in
un certo modo poteva portare con sé dei vantaggi e privilegi.
La classificazione in tribu è inadeguata a dire contro delle profonde trasformazioni
# Diverso è invece il caso delle colonie dei settler (Kenya, Rhodesia,Sudafrica) dove il
sistema è incentrato sul dominio diretto dei coloni e lo sfruttamento delle risorse. Questo
per assicurare il benessere economico e sociale al vasto numero di coloni bianchi che
risiedevano in questi territori.
In seguito gli interessi dei coloni bianchi e il desiderio di emancipazione delle
popolazioni nere si scontrano, provocando grandi lotte e violenze.
GRAN BRETAGNA
Colonialismo come funzione difensive delle proprie aree di influenza contro le politiche
di altri paesi come Francia e Germania
Interventi importati da parte della Gran Bretagna: Sudafrica, Egitto e delta del Niger
L’area del delta del Niger è quel territorio che poi diventa la colonia della Nigeria (Paese
più popoloso dell’Africa con una storia complessa e tesa che si riflette anche al giorno
d’oggi).
A partire dalla seconda metà dell’800 Londra svolge un ruolo centrale nel promuovere
l’intensificazione del commercio lecito tra la regione del delta del Niger e l’Europa (dopo
aver posto fine al commercio degli schiavi), e la competizione commerciale si fa sempre
più intensa. La regione inizia ad attirare gli interessi delle compagnie commerciali,
interessi legati soprattutto all’olio di palma (la cui domanda sul mercato internazionale
era in aumento), in cui le città-stato della zona fanno da intermediario tra i produttori di
olio di palma e i commercianti europei (in particolare britannici).
La GB afferma cosi una sua sfera di influenza informale sulla regione del delta del Niger.
Nel passaggio dalla tratta al commercio lecito le società africane subiscono
trasformazioni economiche e sociali, che sfociano in tensioni politiche, e la competizione
all’interno della regione si fa sempre più acuta. Questo porta i britannici a imporre un
crescente controllo politico, commerciale e militare, andando a minare la sovranità delle
città-stato.
Nel 1861 Lagos diventa una colonia britannica.
Gli interessi commerciali della National African Company si estendono verso nord, dove
le popolazioni locali firmano dei trattati di rinuncia alla loro indipendenza.
Dopo la proclamazione dei protettorati tedeschi in Togo e Camerun, il governo britannico
dichiara nel 1885 un protettorato Niger Districts Protectorate (sulla costa tra Lagos e
Camerun), la cui amministrazione viene affidata alla Royal Niger Company (che aveva
qui diritti esclusivi di sfruttamento commerciale).
Dalle coste la GB comincia a spingersi verso nord e verso ovest.
La regione occidentale dell’attuale Nigeria (Yorubaland) diventa protettorato britannico.
Spostandosi verso nord si creano tensioni con la Francia, con la quale però la Gran
Bretagna riesce a raggiungere un accordo (1898), che stabilisce la sfera di influenza
francese e riconosce alla Gran Bretagna il controllo sull’intera Nigeria.
La GB va a ad occupare quello che era il vecchio califfato di Sokoto e la città di Kano
(1903). Oltre all’azione militare vi sono negoziazioni con il Califfato per quanto riguarda
l’amministrazione del territorio (non c’è quindi un azione militare violenta in questo
caso).
Nel 1914 il Protettorato della Nigeria Meridionale e il Protettorato della Nigeria
Settentrionale vengono accorpati in un’unica colonia.
Il primo governatore della colonia nigeriana è Lord Lugard (che era stato in India. Nome
importante perché elabora concezioni che saranno poi alla base del modello di
amministrazione coloniale britannico).
Uganda
Mentre in Nigeria abbiamo entità politiche forti nella parte nord, in Uganda questo
riguarda la parte meridionale.
In Uganda si sviluppò un modello molto simile a quello della Nigeria.
Due erano le macro aree:
- il Sud facente riferimento alle strutture statuali forti e centralizzate pre-coloniali (Toro,
Bunyoro, Ankole, Buganda) (ancor più che in Nigeria, la Gran Bretagna punta in questi
territori alla valorizzazione del potere politico del Buganda e in funzione di ciò si crea
una stretta relazione tra amministrazioni coloniali e le élite del regno. Il regno non viene
quindi abolito, ma riorganizzato e ridefinito nel quadro dell’indirect rule britannico).
- la parte più settentrionale composta di società considerate decentralizzate, fragili e
senza strutture politiche di rilievo. In queste aree si formano native authorities.
La IBEAC si trovava in grave difficoltà e va in bancarotta. Viene quindi istituito nel 1894
l’Uganda Protectorate. Inizialmente comprendeva solo il regno del Buganda e
successivamente l’autorità della GB si estende anche al Bunyoro, che era stato sconfitto
per mano dell’esercito del Buganda. Il Toro invece si mantiene indipendente.
L’affermazione dell’autorità britannica in Uganda fu un processo lento e irto di difficoltà .
Particolarmente importante è l'accordo firmato nel 1900,
il Buganda Agreement, che definiva un modello di governo indiretto e sancisce l’avvio
del protettorato. Con questo accordo da una parte l’élite politica del Buganda riconosceva
il protettorato, di cui il regno del Buganda costituiva una provincia, e dall’altra, Londra
riconosceva i confini del regno come si erano venuti a determinare negli anni più recenti
e la leadership politica del re (kabaka).
Rilevante fu la riorganizzazione del sistema di accesso alla terra: il mailo system (un
sistema rivoluzionario di regime fondiario).
L’accordo stabiliva che le terre non coltivate (circa metà del regno) sarebbero passate
sotto il controllo della corona britannica. L’altra metà della terra venne assegnata sotto
forma di controllo diretto al kabaka, ai capi della corte e a una serie di capi locali.
La GB quindi assegna diritti quasi di proprietà privata alle élite del regno del Buganda.
Questo è un caso unico in Africa e che porta a grandi trasformazioni economiche.
Tale riorganizzazione porta la GB ad acquisire più potere e allo stesso tempo anche le
élite del regno acquisiscono maggiore potere economico (grazie ad un accesso più diretto
alla terra e con l’appoggio britannico).
Si accentuano le divaricazioni sociali (tra il cuore del regno del Buganda rispetto alle aree
più periferiche) e i processi di gerarchizzazione e si rafforza l’eticità Buganda, portando
ad un aumento dell’instabilità politica del paese.
Il modello delineato dal Buganda Agreement viene applicato con tempi e modalità
diverse anche all’interno di altri regni e regioni dell’Uganda e si delinea un modello di
native authorities, in cui capi e funzionari baganda affiancano o sostituiscono le élite
politiche locali in varie regioni dell’Uganda.
I baganda diventano in un certo senso collaboratori della GB.
Egitto
Gli interessi britannici in Egitto sono legati a motivazioni strategiche: controllo del canale
di Suez e interesse nella penetrazione verso sud.
Nel 1882 l’intervento militare inglese pone fine alla rivolta di Urabi Basha e
porta alla nascita di un protettorato sull’Egitto, da molti definito ‘velato’.
Infatti si ha un processo intermedio di colonizzazione, in cui l’Egitto formalmente era
legato all’impero ottomano, ma nella pratica erano i britannici a proteggerlo/tutelarlo in
caso di rivolte interne o squilibri all’interno del continente.
Londra controllava politica estera, finanze e forze armate. Mentre lo stato egiziano
mantenne un certo controllo sulle questioni interne.
Il popolo egiziano continua però a resistere e ad opporsi alle ingerenze britanniche, e
nascono diverse forze nazionaliste, che però subiscono grandi repressioni.
Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Inghilterra combatte contro l’impero ottomano
e si stabilisce un protettorato formale sull’Egitto (il khedivè viene deposto e le
opposizioni represse).
La guerra mondiale e la fine del potere ottomano trasformano il panorama medio
orientale (si aprono nuovi scenari di emancipazione nazionale). L’Egitto è toccato dalla
guerra solo in rapporto a Suez, ma la politica interna rimane accesa.
Nel 1918 nasce un importante partito politico in Egitto (Wafd). Anche in Tunisia e
Sudafrica nascono importanti partiti politici già in questa fase (cioè quella di
consolidamento del colonialismo), invece negli altri paesi africani ciò avverrà solo in
seguito.
Con la fine della prima guerra mondiale la Gran Bretagna ottime tramite mandato nuovi
territori in Medio oriente e cerca di tutelare i suoi interessi coloniali, nonostante dichiari,
come fa anche la Francia, di impegnarsi a favore dei 14 punti ideati dal
presidente americano Wilson, che mettevano in risalto il concetto di autodeterminazione
dei popoli. Francia e GB si spartiscono il Medio oriente (arabi non ritenuti pronti ad
autogovernarsi).
Nel frattempo continua la lotta nazionalista in Egitto (scoppia una rivolta 1919), che 1922
diventa formalmente indipendente (prima indipendenza formale in nord africa). Nascita
di una monarchia costituzione indipendente, ma rimane un legame forte con la GB, che
ad esempio continua a mantenere il pieno controllo economico del canale di Suez
(controllo della penisola del Sinai) e truppe nel paese.
Fuad I diventa re e alle elezioni parlamentari vince il Wafd.
Nel dopo guerra l’Egitto vive una fase positiva, di trasformazione economica e sociale, e
traeva benefici dall’essere parte dell’economia mondiale. Nuova immigrazione, cambia la
società.
1928 nasce la Fratellanza mussulmana. Attore fondamentale fino ad oggi nella storia
dell’Egitto. Non è un vero e proprio partito politico, ma un movimento sociale che
chiedere la fine dell’ingerenza britannica e un nuovo proselitismo islamico (l’Egitto si era
allontanato troppo dalla tradizione islamica). Era un gruppo di azione anticoloniale che
nasce nella zona del canale.
L’Egitto è un caso particolare perché ottiene l’indipendenza nel pieno del periodo
coloniale, indipendenza quindi precoce.
Durante il secondo conflitto mondiale la GB aveva rafforzato il suo intervento militare in
Egitto e nel paese cresceva il sentimento anti.-inglese. Nel secondo dopoguerra,
l’opposizione popolare al filo-britannico re Faruq I e all’ingerenza inglese sulla vita
politica egiziana e sul canale era giunta ai limiti dell’insofferenza. All’opposizione
primeggiavano due schieramenti: il nazionalismo del Wafd, che stava subendo un certo
logoramento per la deludente prova di governo, e il nazionalismo più esplicitamente
islamico della Fratellanza, che iniziava ad avere una più netta visibilità politica.
Infine, all’interno dell’esercito si preparava a costituirsi segretamente, già dal 1945, una
cellula di militari, gli “Ufficiali Liberi”, che erano determinati a cospirare per chiudere
esperienza della monarchia filo-britannica e combattere per una repubblica egiziana
pienamente indipendente.
Dopo due anni dal termine della guerra, nel 1947, il governo britannico ritirò
definitivamente le sue truppe dalla zona del Canale di Suez, visto che sentimenti
antibritannici continuavano ad alimentarsi nel paese per questa questione.
Le tensioni sfociano poi nel 1952 con il colpo di stato da parte degli Ufficiali Liberi.
Kenya
Inizialmente è la Imperial British East African Company (IBEAC) ad amministrare il
territorio di quello che sarebbe in seguito divenuto il Kenya (e dal 1890 anche
dell’Uganda). La crisi finanziaria dell’IBEAC spinge alla proclamazione nel 1895
dell’East Africa Protectorate. In queste zone il processo di controllo sulle popolazioni
locali fu lento e conflittuale. Era un territorio strategico per la GB (che afferma la propria
autorità prima sulla cosa e da li si sposta) in quanto metteva in comunicazione l’Uganda
con l’Oceano Indiano (costruzione di una rete ferroviaria, opera di grande significato
strategico/economico).
La GB afferma la propria autorità sulla costa, dove scoppiano delle rivolte che i britannici
riescono a pacificare, e poi da li si sposta, avanzando verso il lago Vittoria e procedendo
con la costruzione della ferrovia.
In questo contesto i Masai, popolazione locale dedita al pastorizia che si trovava in uno
stato di debolezza politica ed economica, collaborano con le autorità britanniche in azioni
militari contro altre popolazioni locali (che vengono sottomesse) in cambio di bestiame.
La penetrazione britannica alimenta divisioni interne alle società africane e provoca
mutamenti di tipo economico: intensificazione dei commerci legati alla ferrovia (mentre
in precedenza la regione aveva perlopiù fornito avorio e schiavi) e domanda crescente di
derrate alimentari ridefiniscono i rapporti tra le popolazioni dedite alla pastorizia e quelle
agricole, favorendo queste ultime.
Lo sfruttamento economico della regione si intensifica e il baricentro economico del
protettorato si sposta dalle coste vedo la regione dell’altopiano, dove a inizio 900 viene
promosso l’insediamento di coloni bianchi con la creazione di una vera e propria colonia
dei settler (che doveva assicurare lo sviluppo agricolo della regione).
La necessità di mettere a disposizione agli europei terre da coltivare porta ad una politica
di esproprio delle terre a danno delle popolazioni locali (masai, kamba, kikuyu — che
erano già state fortemente indebolite da calamità naturali e sottomesse ai britannici).
Si attua un processo volto a privare gli agricoltori africani dell’altopiano dell’accesso alla
terra, mentre aumenta sempre più la richiesta di manodopera da parte dei settler
(Utilizzo di manodopera migrante e modelli di lavoro forzato altamente coercitivi).
Vengono inoltre create riserve indigene e nel tempo si rafforza una rigida divisione tra
aree destinate agli europei e quelle riservate agli africani.
Le riserve indigene si configurano anche come un perfetto serbatoio di manodopera
disposta a lavorare nelle terre dei coloni o per sopperire alle necessità
dell’amministrazione coloniale.
La terra allocata agli africani risulta però insufficiente per garantire il benessere della
società.
coloniali).
La vicenda è stata oggetto di dibattito fra gli studiosi, per quanto riguarda le cause e il
ruolo svolto da alcuni leader religiosi. Secondo alcuni, furono proprio questi ultimi a
incoraggiare la rivolta e a fornire un’ideologia ai ribelli shona e ndebele.
Questa ricostruzione storica è stata vista come un aspetto fondamentale di quella
storiografia patriottica che avrebbero poi contribuito a legittimare il governo di Robert
Mugabe nello Zimbabwe indipendente.
Altri studiosi hanno invece ridimensionato il ruolo delle autorità religiose, evidenziando
come gli effetti drammatici delle calamità naturali (in particolare la peste
bovina che colpì il bestiame degli ndebele), degli espropri delle terre e degli abusi
compiuti dai coloni spinsero la popolazione ribellarsi contro l’amministrazione della
BSAC.
Come abbiamo già detto, risulta evidente che quest’area a differenza del Sudafrica non
era cosi ricca di minerali. Per questo la BSAC decide di attirare coloni e investimenti
nella regione, tramite concessione di terre, e di delegare alcune funzioni amministrative ai
coloni (riscossione tasse) per ridurre le spese. Tale politica generò però gravi abusi.
A partire dal 1922 diventa ufficialmente un territorio autogovernato dai settlers (coloni
bianchi).
In Rhodesia del Sud si va riproducendo un modello di sfruttamento e di esproprio delle
terre indigene sempre più accentuato. Le popolazioni vengono relegate nelle riserve
indigene e aumentano forme di segregazione razziale in linea con quanto stava
avvenendo in Sudafrica.
In Rhodesia del Sud come in Kenya e Sudafrica al modello dell’indirect rule si preferisce
una forma più accentuata di subordinazione delle autorità africane all’influenza e al
controllo coloniale. Tale politica voleva assicurare benessere economico e sociale al
grande numero di coloni bianchi che risiedevano in questi territori.
In seguito alle seconda guerra mondiale i coloni bianchi, intenti a proteggere i loro
interessi, si scontrano con il desiderio di emancipazione politica ed economica delle
popolazioni nere. La decolonizzazione di questo territorio sarà lunga e interessata da un
lungo conflitto armato (del contesto della guerra fredda e degli interessi sudafricani).
FRANCIA
Si concentra in:
• Africa Occidentale
La penetrazione nel bacino del fiume Senegal (Africa Occidentale) nell’800
Il territorio dell’attuale Senegal è una regione in cui l’affermazione del controllo militare e
politico europeo aveva preceduto temporalmente lo scramble di fine 800. In particolare nel corso
del 700 si afferma una dura competizione commerciale tra Francia e Gran Bretagna in questi
territori, dove poi si afferma la sfera di influenza francese.
I cosiddetti 4 comuni del Senegal dati i rapporti economico-politici con la Francia
subiscono delle trasformazioni, anticipando ciò che negli altri possedimenti avverrà
solo più avanti.
A partire da metà 800 gli abitanti dei quattro comuni iniziano a godere di uno status
giuridico particolare, sono considerati cittadini francesi e durante il periodo coloniale
furono esentati dal regime dell’indigenat.
La Francia nel tempo riesce a inserirsi in una fitta rete di scambi soprattutto sale, oro,
gomma, schiavi (impiegati anche all’interno della regione stessa), con un passaggio dalla
tratta degli schiavi alle produzioni lecite.
La Francia consolida sempre di più la propria presenza lungo il corso del fiume Senegal, con
un’intensificazione delle esportazioni prima di gonna e poi di arachidi. La politica francese si fa
più aggressiva e mira ad espandersi.
L’espansione coloniale francese in Africa occidentale anticipa la corsa alla spartizione:
si ampliano e consolidano i possedimenti attorno al bacino del Senegal e vengono conquistati
territori nella regione dell’alto fiume Niger, definita come Sudan francese.
Da una parte la penetrazione francese lungo l’alto fiume Niger venne facilitata dalle
divisioni e rivalità tra gli Stati africani, come le tensioni all’interno dell’impero Tukulor e
quelle fra i regni di Porto Novo e del Dahomey, e dalla superiorità delle armi a
disposizione degli europei. Dall’altra una serie di fattori rallentarono e ostacolarono la
conquista coloniale.
La Francia infatti rimase a lungo incerta rispetto all’ipotesi di assumere responsabilità di
governo su vasti territori in Africa (costi molto alti).
Inoltre si trova a dover far fronte alla resistenza opposta dall’impero Tukulor e da quello
di Samori Tourè.
Tukulor: l’impero a metà 800 deve far fronte a varie crisi interne ed inoltre le pressioni da
parte dei francesi aumentano. 1880 trattato di Mango con il quale a Tukulor viene
riconosciuta l’indipendenza e alla Francia viene data libertà di commercio lungo il Niger.
Nel 1890 i francesi si muovono all’attacco e viene decretata la fine dell’impero.
Samori: a partire dal 1880 circa mentre Samori cerca di imporre la sua leadership su una
vasta regione, iniziano anche i primi scontri con le truppe francesi a cui Samori riesce a
tenere testa (esercito forte, con armi moderne). A fine anni 80 l’impero entra in una fase
di crisi, con rivolte sparse, e si riaccende lo scontro con i francesi. Samori decide di
spostare l’impero verso ovest, ma viene catturato e l’impero cade nel 1898.
Venute meno queste minacce il governo del Sudan francese viene affidato ad
amministratori civili.
La Francia conquista nel 1892 il Dahomey (zona dell’attuale Benin), mentre il Togo
diventa un protettorato tedesco.
• Nord Africa — Algeria, Tunisia e Marocco
In Algeria l’occupazione precede il colonialismo formale e durante il periodo del
colonialismo il territorio vedrà una massiccia presenza di coloni francese.
Tunisia diventa protettorato della Francia nel 1881, mentre il Marocco solo nel 1912.
Anche nel Maghreb, come in Algeria, la Francia rinuncia alle politiche di assimilation.
Tunisia
La Tunisia, dopo l’Egitto aveva la statualità più organizzata e solida del Nordafrica
(ampie riforme e modernizzazione nella fase precoloniale).
La conquista della Tunisia vede un dissidio diplomatico tra potenze europea, in
particolare tra Italia e Francia. L’Italia però era in una posizione ancora debole e timorosa
nel lanciarsi verso l’esperienza coloniale (politica delle mani nette. Solo qualche anno
dopo la volontà di conquista si rafforza).
Un incidente sulla frontiera tra Algeria e Tunisia (terra dei krumiri) è il pretesto
utilizzato dai francesi per entrare a Tunisi e per far firmare al bey un accordo che lo
avrebbe posto sotto la protezione delle Francia. Nel 1881 nasce il protettorato.
Il contesto internazionale non ostacola l’occupazione francese, anzi tende ad appoggiarla.
Sul piano interno il beylicato sa di non poter combattere contro la Francia, ma scoppiano
delle rivolte nel sud e nelle zone interne (che poi vengono sedate).
La Francia svolse una politica di appoggio alle élite locali attraverso il bey, leader
politico/monarca che gestiva il territorio sotto l’impero ottomano e che mantenne alcune
delle sue funzioni durante l’occupazione francese.
Viene messa da parte l’idea di un riformismo autoctono a cui la Tunisia aveva aspirato
negli anni precedenti, e si attua invece una rapida modernizzazione di stampo europeo
(scisma culturale), in cui i tunisini erano indotti a collaborare con il protettorato.
Viene anche incoraggiato l’insediamento e la presenza nel territorio di coloni francesi,
che vengono avvantaggiati sotto molti aspetti (es. controllo delle terre).
Dopo una prima fase di consolidamento coloniale, dal 1930 si apre una seconda fase di
Marocco
In Marocco come il Libia il colonialismo si insedia tardi (solo alla vigilia della prima
guerra mondiale). La crisi del sultanato favorì la conquista francese, in un momento in
cui stava entrando in crisi l’Impero ottomano nel suo complesso (anche se il sultanato
non ha mai fatto parte dell’impero).
La penetrazione coloniale in Marocco fu complessa a causa dell’interesse confliggente tra
vari paesi europei (tra cui Spagna, Germania, Gran Bretagna,..), in quanto punto
strategico per i commerci. Grande tensione e varie rivendicazioni rendono complessa
l’istituzione del protettorato francese.
A metà 800 c’è un iniziale supremazia inglese nel sultanato (trattato commerciale) e
anche la Spagna ha interessi in Marocco (scoppia una guerra).
La Spagna ottenne con la Conferenza di Berlino il controllo su quello che sarebbe
diventato il Sahara occidentale spagnolo (uno degli unici territori che non hanno visto
una soluzione conclusiva alle rivendicazioni dell’indipendenza. Caso di mancata
decolonizzazione. Caso molto importante ed interessante).
A fine secolo il sultanato è caratterizzato da continue crisi interne.
Ai primi del ‘900 la Francia raggiunse un accordo con la Gran Bretagna che regolava le
rispettive rivendicazioni (all’Inghilterra l’Egitto, alla Francia il Marocco), la Spagna si
allarga verso le zone di Ceuta e Melilla e tra Francia e Germania si acuiscono le tensioni.
Con il trattato di Algesiras (1906) però viene ribadita la sovranità del sultanato sul
Marocco. Si arriva poi ad una soluzione per via diplomatica tra Francia e Germania, che
rinuncia alle sue deboli rivendicazioni sul Marocco.
Nel 1912 viene istituito il protettorato francese sul Marocco.
Dopo la conquista Parigi opera per consolidare la propria posizione sul territorio, e il
residente generale francese diventa il vero detentore del potere (civile e militare).
Nascono delle rivolte (come quella del Medio Atlante o la rivolta del Rif) e iniziava a
strutturassi un’opposizione nazionalista guidata dalle nuove generazioni.
Come in Tunisia anche in Marocco si attua un modello di governo indiretto (tipico della
GB, ma che in questo caso presenta delle specificità), in cui la classe dirigente locale
diventa strumento utile all’interno del protettorato. Ad ogni amministrazione marocchina
viene però affiancato un controllore francese.
Muhammad V sale al trono alawita.
La Francia comincia ad applicare politiche che mirano a spezzare la solidarietà intera tra i
dominati creando divisioni etniche e linguistiche. In particolare decide di favorire gli
imazighen delle regioni interne (definiti come berberi e che erano considerati più
assimilabili alla cultura francese rispetto agli arabi), tentando di creare un’autonomia
degli imazighen. Nascono nuove opposizioni e il nazionalismo ottiene più consensi.
Durante la 2WW il Marocco non fu coinvolto negli sconti.
Come per la Tunisia l’idea di decolonizzazione si concretizza solo dopo il. 1954.
Algeria
Storia unica nel panorama francese.
Si avvicina al modello di colonizzazione di colonia dei settler.
La colonizzazione agraria d’Algeria fu il più compiuto esempio di insediamento di
europei nel Nordafrica, avviato già prima della spartizione dell’Africa e che in seguito
ebbe nuovo slancio a seguito della sconfitta francese contro la Prussia nel 1870.
Tra il 1830 e il 1880 inizia la storia di un’Algeria francese e di una immigrazione
massiccia di europei. Nella prima fase c’è un controllo militare dell’area e furono proprio
i militari a tracciare le linee di conquista e le forme embrionali dell’amministrazione
coloniale francese. Piano piano l’esercito assume il controllo di tutta l’Algeria (le regioni
meridionali furono le ultime ad essere controllate).
L’area è interessata da vari moti insurrezionali e le repressioni delle rivolte nelle piccole
comunità rurali erano viste come un’occasione per infliggere multe collettive e confische
di terre, disarticolando le già fragili economie dei villaggi.
Le regioni del nord passarono ben presto da terreno di conquista militare ad esperimento
di popolamento coloniale e, dopo la guerra franco-prussiana del 1870, nuove ondate di
migranti francesi si riversarono in Algeria (in numero significativo). Questo avviene per
varie ragioni, era ed esempio un modo per proiettare sulle colonie il recupero della
propria identità nazionale (dopo la sconfitta).
Questo porterà all’instaurarsi di una colonia che potremmo definire dei settler (anche se
poi è un caso unico a sé stante).
Via via che procedeva la colonizzazione francese a nord, gli algerini venivano spinti più a
sud (verso aree meno rilevanti dal punto di vista economico e politico per la Francia.
Cioè le zone che guardano al deserto del Sahara). Inoltre fame ed epidemie stavano
decimando la popolazione algerina.
La Francia dovette affrontare la reazione di leader algerini che si opponevano alla
colonizzazione. Vari tentativi di ribellione. Gli scontri e la repressione segnarono una
GERMANIA
La Germania aveva interessi commerciali a Zanzibar e da qui cerca di espandersi
nell’entroterra, verso Tanganyika e Rwanda-Urundi (missioni esplorative di Karl Peters).
A fine 800 si definisce l’assetto di cosa apparteneva alla Germania e cosa alla Gran
Bretagna per quanto riguarda i territori dell’Africa Orientale, a danno del sultanato
di Zanzibar, che storicamente rivendicava la sovranità non solo su un tratto di costa che
da Kilwa si estendeva fino ai porti della Somalia, ma anche su ampie regionidell’interno.
# Zanzibar: il sultanato di Zanzibar era diventato nel tempo il centro di una fitta rete
commerciale che univa l’africa orientale. Venivano esportati sul mercato internazionale
principalmente avorio e schiavi, poi anche chiodi di garofano. L’amministrazione del
sultanato era però rimasta, con poche eccezioni, confinata ai porti sulla costa dell’Oceano
Indiano. Rimase comunque un centro culturale e politico importante per la formazione
della cultura swahili in Africa orientale, anche dopo l’istituzione di un protettorato
britannico sull’arcipelago.
Il processo di spartizione verrà poi riaperto dopo la prima guerra mondiale.
La presenza tedesca in Africa orientale era ‘accettata’ del governo britannico, che già
esercitava una forte influenza sul sultanato di Zanzibar. Infatti la GB non attribuiva valore
strategico alla regione dell’entroterra e giudicava la presenza tedesca un «male minore»
rispetto all’eventualità che la Francia ottenesse possedimenti nella regione.
Inoltre in questa fase (1885) la GB era impegnata in Sudan e in Afghanistan, aree che
ritiene più importanti, lasciando quindi più spazio alla conquista tedesca.
Nel 1886 Londra e Berlino firmano un accordo che limitava la sovranità del sultano di
Zanzibar.
La competizione commerciale nella zona dei Grandi Laghi aumenta sempre più e si
definiscono due sfere di influenza in Africa orientale:
- la GB aveva interesse e poi ottenne il controllo di Kenya e di Uganda, potendo così
avere il controllo delle sorgenti del Nilo (importante a seguito del raggiungimento del suo
controllo su Sudan ed Egitto). Inizialmente è la Imperial British East African Company
(IBEAC) ad amministrare il territorio di quello che sarebbe in seguito divenuto il Kenya
(e dal 1890 anche dell’Uganda).
Karl Peters nel 1889 entra nel regno del Buganda, dove ottiene dal re Mwanga la firma
PORTOGALLO
All’inizio del XX secolo il Portogallo era un paese economicamente debole e anche per
questo era alla ricerca di nuovi spazi economici nelle colonie.
Dopo la Conferenza di Berlino le mire espansioniste portoghesi si dovettero fermare
definite dal predominio britannico sudafricano in Africa australe.
Inizialmente il modello coloniale portoghese è debole, anche a causa di lunghe campagne
di pacificazione nei territori conquistati e pressioni da parte delle altre potenze europee.
Il Portogallo ottenne il controllo di Angola e Mozambico solo dopo lunghe e violente
campagne militari di pacificazione che durano fino alla metà degli anni ’20 del 900.
Queste due colonie sono molto importanti per il Portogallo, che voleva costruire una
colonia che andasse dall’oceano atlantico a quello indiano, ma ciò non sarà possibile a
causa degli interessi coloniali francesi.
Il Portogallo aveva una lunga storia di presenza in alcuni di questi territori, presenza non
tanto coloniale, ma soprattutto di tipo commerciale, ad esempio in relazione alla tratta
degli schiavi (che in Africa Orientale dura di più rispetto all’Africa occidentale)
Area swaili: da cui deriva una lingua diffusa in africa orientale, oggi lingua ufficiale della
Tanzania. Era una lingua bantu (africana), ma con influenze arabe e portoghesi.
Il mondo arabo-swaili fu importante in questa fase insieme all’affermarsi del
colonialismo portoghese (gli europei non erano gli unici ad avere rapporti con l’Africa).
Il ruolo delle compagnie concessionarie in questi territori era fondamentale e durò molto
più a lungo rispetto agli altri sistemi coloniali, alcune resistono fino agli anni ’40 (come il
caso del Mozambico). Queste amministravano immense regioni ed è interessante notare
come alcune di queste compagnie ricevevano investimenti stranieri, ad esempio dalla GB,
che dovevano servire per promuovere lo sviluppo del modello coloniale portoghese.
Sistema coloniale inizialmente (fino agli anni ’30) debole anche perchè legato alle
priorità economiche del Sudafrica, in particolare il colonialismo in Mozambico, e
fortemente dipendente dal capitale internazionale.
BELGIO
Congo
La questione congolese e la navigazione lungo il fiume Congo furono centrali nel
determinare la spartizione dell’Africa e uno dei punti che spinse Bismarck ad indire la
conferenza di Berlino.
La Francia si stava estendendo in Africa centrale e nel 1880 a seguito delle missioni esplorative
di De Brazza, la Francia aveva istituito un protettorato nella zona del bacino del Congo
(stipulando un accordo con il re dei Bateke).
La Gran Bretagna, preoccupata per l’espansione francese e temendo restrizioni, stipula nel 1884
un patto con il Portogallo (a cui viene riconosciuta la sovranità sulla foce del fiume Congo, in
cambio di libero commercio). Francia e Germania si oppongono al trattato rifiutandone la
validità.
Anche il re Leopoldo II del Belgio voleva espandersi in queste aree a seguito delle spedizioni
esplorative di Stanley. Inizialmente il re aveva interessi economici e mire commerciali
monopolistiche sulla regione congolese, mire mascherate da ideologie umanitarie e di
civilizzazione.
Ben presto (1882) il re riconsidera la sua politica nella regione, ordinando a Stanley di far
firmare ai capi locali dei trattati in cui cedevano all’Association Internationale du Congo la
sovranità sui loro territori, che vengono unificati sotto il nome di Stato libero del Congo. In
cambio del riconoscimento internazionale della sovranità della AIC sui territori del bacino del
Congo, il re si impegnava a garantire libertà di commercio nell’area.
Lo Stato libero del Congo era un possedimento personale del re, e solo nel 1908 diventa colonia
belga.
Una volta ottenuta la sovranità Re Leopoldo II avvia uno sfruttamento economico del territorio,
puntando sulla raccolta e l’esportazione di avorio e gomma selvatica.
Nel 1885 tutte le terre vacanti diventano proprietà dello Stato (che detiene anche i diritti di
sfruttamento delle risorse naturali presenti su quelle stesse terre).
Inoltre assegna in concessione territori a imprese private (che godevano di monopolio
commerciale), non rispettando l’impegno preso nel mantenere libero il commercio.
Il lavoro forzato, i metodi coercitivi e brutali applicati per la raccolta di gomma e avorio, la
malnutrizione e il diffondersi di malattie causano un brusco declino delle popolazioni locali.
Lo sdegno dell’opinione pubblica a causa delle violenze perpetrate in questi territori porta nel
1908 lo Stato libero del Congo a diventare ufficialmente una colonia belga, sotto il nome di
Congo Belga.
Il Congo belga si caratterizza per rapporti organici fra controllo coloniale e interessi
economici, fra cui quelli delle compagnie concessionarie e degli interessi minerari.
In quest’area le compagnie concessionarie (alle quali erano state affidate ampie
concessioni territoriali) non sono solo un tramite amministrativo, ma attuano un modello
di rapina delle risorse naturali (per vantaggi economici).
Data la ricchezza di risorse minerarie, tale modello persiste nel tempo.
Lo Stato coloniale porta poi a termine una politica di conversione, da una economia
semplicemente estrattiva basata su prodotti come gomma e avorio a un'economia di
produzione più articolata basata sulla produzione agricola e soprattutto le risorse
minerarie.
In particolare dopo la prima guerra mondiale la colonia fu interessata da importanti
investimenti e sviluppo delle infrastrutture (ferrovia), che si ricollega alle ingenti
esportazioni minerarie dell’epoca.
Il sistema coloniale del Belgio fu particolarmente coercitivo, violento e oppressivo, anche
in funzione del reclutamento di manodopera (per il lavoro in miniera e per la costruzione
di infrastrutture).
Se nel primo periodo si utilizza molto il modello di lavoro migrante, dopo la 1WW c’è un
ripensamento del sistema di reclutamento e i lavoratori vengono incoraggiati a trasferirsi
nelle zone adiacenti alle miniere.
In campo agricolo inizialmente viene incentivata la produzione alimentare per il consumo
interno, ma dopo la guerra viene promossa e consolidata la produzione per l’esportazione,
introducendo anche coltivazioni obbligatorie (olio di palma) e assegnando in concessione
ad imprese private ampie regioni territoriali.
La colonia era povera e arretrata, soprattutto nelle zone rurali, e anche le riforme che
negli anni ’20 vanno ad assegnare alcuni poteri ai capi locali non migliorano la
situazione, ma piuttosto aumentano divari sociali e tensioni locali e regionali.
La crescita industriale ed economica delle aree urbane non beneficia i lavoratori neri.
Il sistema coloniale belga può essere definito come un sistema politico misto tra modello
francese e britannico.
Rwanda e Burundi
Per quanto riguarda i mandati di Rwanda e Burundi (amministrati come un’entità unica) il Belgio
applica una sorta di sistema indiretto sul modello britannico, basato su quella che fu definita la
politique des races (aspetto importante da considerare per comprendere anche le problematiche
post indipendenza).
Una politica ispirata a modelli evoluzionisti che consideravano la presenza di due diverse
razze (una inferiori, gli hutu, e una superiore, i tutsi) e che faceva riferimento al mito
camitico (camiti come gruppo etnico razziale superiore. Superiorità degli antichi egizi
sugli altri africani).
Questo mito parlava di una supposta (e mai storicamente provata) origine etiopica delle
popolazioni Tutsi, che erano prevalentemente allevatori, arrivati nella regione come
conquistatori asservendo gli agricoltori Hutu già stanziati sul territorio.
Tutsi visti come un gruppo sociale superiore e privilegiato. Sono stati definiti da alcuni
come europei sotto pelle nera, pastori camiti venuti dall’Etiopia per sottomettere tribù
bantu (cioè gli hutu), razza degna di ammirazione, camiti di probabile origine semita,..
Differenza anche fisica: tutsi alti, hutu tozzi.
Tale stratificazione sociale si riflette anche sulle attività economiche (allevatori -
agricoltori).
Si crea quindi una gerarchia non solo tra colonizzati e colonizzatori, ma anche tra gli
stessi popoli colonizzati.
Processo già iniziato dai tedeschi e che fu ripreso in maniera più strutturata dai belgi e
facilita il controllo belga sul territorio, sia in Rwanda che in Burundi.
Il risultato fu una netta e rigida separazione etnico-razziale che avrà conseguenze
drammatiche nella storia successiva (es. genocidio in Rwanda).
Le differenze etniche vengono esasperate, diventando fisse e immutabili. Se prima del
colonialismo c’era una gerarchia che poteva però essere “scalata”, con il colonialismo
non c’è flessibilità e possibilità di cambiare il proprio status. Non c’è inoltre spazio per i
gruppi misti.
ITALIA
Anche nel caso italiano, in linea con tutti i modelli coloniali, importante fu la presenza di
esploratori (come Piaggia, Gessi, Antinori).
L’espansione coloniale in Italia fu tardiva rispetto agli altri paesi europei, infatti in un primo
periodo l’Italia è incerta su come agire dal punto di vista coloniale.
Le prime iniziative mercantili italiane, ad opera di alcune compagnie di navigazione, non
erano riconducibili a disegni di politica coloniale, ma semplice volontà di inserirsi nei
nuovi commerci internazionali.
Inoltre l’Italia non aveva un capitalismo che poteva sostenere grandi investimenti e una
solida produzione industriale.
Solo successivamente, a seguito della Conferenza di Berlino (dove però non ha un grande ruolo)
e in particolare sotto il governo della sinistra storica di Crispi, (dal 1887) si rafforzò e prese
definitivamente identità la politica coloniale italiana.
duca Amedeo di Savoia creò la Società agricola italo-somala per cercare di valorizzare
l’agricoltura. Si producono banane e cotone.
Le società somale erano prevalentemente pastorali e frammentate in gruppi classici, con
strutture politiche decentralizzate (non necessariamente gerarchiche), per questo l’Italia
incontra varie difficoltà nell’esercitare un effettivo controllo su questi territori.
Le confraternite svolgono un ruolo importante: vari gruppi di clan somali legati a
confraternite mussulmane Sufi si riuniscono e fondano un’entità politica, lo Stato dei
dervisci somali. Dervisci è un termine con cui vengono definiti i fedeli di confraternite
Sufi, votati.a povertà e virtù. Tale stato assume la forma di un movimento nazionalista
ostile al dominio italiano e a quello britannico.
La lotta anticoloniale (in alcuni casi simile a quella della Libia) dura fino alla morte
del leader Mad Mullah nel 1920.
In questo contesto l’amministrazione italiana cerca di attuare una decisa centralizzazione
del potere e una rigida gerarchia interna.
Solo più tardi con il fascismo lo sviluppo e il controllo della colonia si rafforza e viene
incorporata nell’Africa orientale italiana.
In Eritrea, come in Libia, si cerca di attuare una politica di colonizzazione sul modello
inglese delle colonie dei settlers, cercando di favorire una colonizzazione agraria che si
affidava a concessioni di poderi di piccole dimensioni su base familiare, con forte
sostegno dello Stato per creare una vasta e stabile popolazione rurale. Non si crea mai
però una vera e propria colonia dei settler.
L'Etiopia viene invasa dall'Italia nel 1935 con l’intento di creare un grande impero
coloniale italiano nel Corno d’Africa (il generale Badoglio entra ad Addis Abeba) e poi
liberata dagli inglesi nel 1941.
La conquista dell’Etiopia non ottiene riconoscimento internazionale e anzi l’Italia viene
sanzionata l’aggressione ad un paese sovrano (l’Etiopia era entrata a far parte della
Società delle Nazioni).
Nel breve periodo di occupazione l'Italia cerca di consolidare la sua presenza nella
regione creando l'Africa orientale italiana (AOI).
L'occupazione italiana dell'Etiopia fu molto breve e caratterizzata da molti investimenti in
Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia perde tutte le sue colonie, e non partecipa
quindi ai processi di decolonizzazione.
Solo negli anni 50 all’Italia viene data in amministrazione fiduciaria la Somalia. Secondo
cui alla Somalia viene riconosciuto il diritto di accedere all’indipendenza e all’Italia viene
dato il compito di amministrare la transizione verso tale indipendenza.
Libia
Alla vigilia della prima guerra mondiale prende avvio l’intervento italiano in Libia:
Tripolitania sotto il controllo Ottomano, Cirenaica controllato localmente dalla
confraternita della Senussia.
Quest’area non era caratterizzata da entità statuali forti, ma da società più frammentale, in
parte nomadi, legate al deserto.
Grande ruolo delle confraternite Sufi, in particolare quella della Senussia, che riesce ad
unire questo mondo diversificato e frammentato che sottostava all’impero ottomano,
anche se in modo marginale. La Senussia era una storica confraternita mussulmana
dell’area centro orientale del mondo sahariano. A seguito dell’indebolimento delle rotte
commerciali antiche e di un debole controllo ottomano su alcune aree, la sua struttura
socio-culturale si estende andando ad amalgamare gruppi di popolazioni nomadi
precedentemente poco coese.
L’interesse per queste aree aveva già trovato spazio ideologico dopo l’impossibilità di
colonizzare la Tunisia e l’avvio dello scramble post Conferenza di Berlino. Con l’accordo
franco-italiano del 1900 si garantiva all’Italia la possibilità di occupare questo territorio
ancora governato dall’impero ottomano (mentre alla Francia veniva lasciato spazio in
Marocco).
Dopo lo sbarco in Tripolitania e Cirenaica nel 1911 (con Giolitti) ha inizio la guerra italo
turca e la conquista termina ufficialmente nel 1912 con la firma di un trattato di pace da
parte dell’impero ottomano.
Nello stesso periodo si apre però una violenta lotta di resistenza interna alla colonia
duramente repressa dall’Italia e che mette in difficoltà l’Italia per quasi un ventennio.
Il patriottismo locale si ispiravano a versioni autoctone dell’Islam e ad un nascente
nazionalismo regionale. Con l’inizio della 1WW la resistenza prende maggiore vigore, in
particolare da parte della Senussia, che iniziava ad avere più influenza anche in
Tripolitania.
L’amministrazione coloniale oscillava tra governo diretto e governo indiretto.
Nella prima fase, Italia liberale, si cercò di creare un’amministrazione volta anche a
storici, politici.
Le popolazioni africane hanno quindi cominciato a definirsi in rapporto a questi nuovi
ambiti territoriali, in rapporto al potere e all'autorità coloniale e dei capi tradizionali
riconosciuti.
In questo modo lo Stato all'interno di confini “inventati” si è definito secondo strutture
statuali, amministrative, economiche e sociali fortemente modificate rispetto al passato,
al fine della valorizzazione economica di quelle aree funzionali allo sfruttamento e agli
interessi coloniali mentre al contempo si metteva in atto una politica considerata di
civilizzazione
• Invenzione della tradizione: dopo la prima guerra mondiale seguì un’ulteriore fase di
rafforzamento strutturale e riorganizzazione. Tale riorganizzazione faceva ancora
riferimento alla nozione di società africane tradizionali, con i propri diritti consuetudinari,
le proprie identità cristallizzate nel tempo e basate su identità immutabili e società che
nella loro essenza erano comunitarie, solidali ed egualitarie.
Anche in questa fase il modello di trasformazione in parte cerca di liberalizzare alcuni
aspetti della vita politica ai fini del mantenimento del controllo coloniale, ma fa anche
largo uso di politiche volte a retribalizzare le popolazioni africane ai fini di controllo.
La tradizione è stata rielaborata e riorganizzata in periodo coloniale.
Tale tradizione che viene cristallizzata dal colonialismo (mentre le tradizioni di per se è
un qualcosa di mutevole). Questa è una questione centrale nelle politiche di sviluppo
contemporaneo
Le identità etniche non erano mai state statiche, ma si erano continuamente modificate in
risposta a trasformazioni politiche, economiche e sociali, sono quindi sistemi stratificati,
flessibili e in movimento. Invece nel contesto coloniale l’identità etnica viene concepita
come un qualcosa di primordiale, di immutato e immutabile nel tempo, che va a relegare
le società africane ad uno stato di evoluzione umana inferire rispetto alle società
occidentali.
A questi processi partecipano anche gli stessi capi tribali, che rivendicano tali tradizioni
per poter consolidare il proprio potere e la propria posizione sociale.
Tale manipolazione delle divisioni etniche finalizzata al mantenimento del potere verrà
poi utilizzato anche da vari governi indipendenti.
• Consuetudine e autorità
• Sfruttamento economico: L'altro aspetto centrale da ricordare è il sistema di
sfruttamento economico aveva un elemento comune nelle diverse colonie: l’utilizzo delle
risorse delle colonie stesse attraverso le produzioni commerciali, l'estrazione mineraria, le
imposte e il lavoro forzato, che servivano a dare ulteriore ricchezza al sistema coloniale
stesso.
Oltre al lavoro forzato la coercizione si manifesta anche attraverso colture obbligatorie e
controllo sulle attività agricole degli indigeni nelle colonie di popolamento.
Importante soprattutto la coltivazione del cotone in Africa occidentale e in Mozambico
Le popolazioni africane rimasero quindi relegate a un'economia agricola marginale, la
quale però era costantemente immessa all’interno del sistema capitalistico internazionale;
sia da parte dei settori più avanzati che partecipavano alle produzioni per l’esportazione,
sia dei settori più indeboliti che comunque, attraverso imposte, lavoro migrante e altre
attività economiche legate alle trasformazioni coloniali, erano in qualche modo uscite dal
modello ancora ritenuto esistente della tradizionale economia di villaggio (una questione
centrale nell'immaginario delle politiche di sviluppo contemporaneo).
L’Africa è inserita nel contesto economico internazionale, anche se in una posizione di
grande debolezza (ad esempio viene marginalizzata, è irrilevante negli scambi globali) e
questo si riflette anche negli stati indipendenti.
L’export riguarda esclusivamente cash crops e c’è assenza di diversificazione. L’assenza
di diversificazione caratterizza non solo il periodo coloniale ma anche il periodo degli
stati indipendenti. Concentrandosi sull’esportazione di un’unico prodotto o pochi, se il
commercio di quel prodotto crolla questo può causare gravi crisi (come la crisi del rame
in Zambia negli anni 70/80). .
L’agricoltura sarebbe potuta diventare un punto di forza e una possibilità di sviluppo, ma
cosi non è stato.
Oltre all’anomalo caso del Sudafrica che nel 1948 istituzionalizza il regime di apartheid,
con la fine della 2ww solo 3 paesi erano già formalmente indipendenti:
- Liberia. Nasce come stato indipendente per interessi soprattutto statiunitensi
- Etiopia. Impero forte, interessato solo da una breve fase coloniale italiana
- Egitto. Godeva già di uno statuto di autonomia, anche se la GB esercitava comunque
n
una pressione, soprattutto nella zona del canale di Suez. Nel 1952 il suo assetto politico si
trasforma radica mente a seguito della presa del potere da parte dei militari guidati da
Nasser (destituiscono il re). L’Egitto inizia ad assume un ruolo preminente nella politica
nazionalista, anti-coloniale e pan-araba (questo è importante anche sul piano
internazionale)
Dopo la seconda guerra mondiale si apre una nuova fase del contesto e delle relazioni
internazionali:
- La fine dell’imperialismo ottocentesco
- Nuovi elementi di geopolitica
- 1945 nascita dell’ONU
- Dottrina Truman (1947) e il discorso dei 4 punti (1949). Il punto 4 è importante per noi
perché parla della necessita di sviluppo per far fronte al problema del “sottosviluppo”.
Sottosviluppo è un concetto problematico perché sottintende un gerarchia tra le nazioni.
Si apre con questo discorso un ventaglio di analisi dello sviluppo a livello globale
all’interno del contesto bipolare.
- Bipolarismo – confronto est- ovest (guerra fredda). 1961 Muro di Berlino
- Cina di Mao-Tse Tung (porta ad un modello internazionale ulteriormente modificato. la Cina
si fa più interventista all’interno dello scacchiere internazionale )
- 1954 la conferenza di Bandung (città dell’Indonesia). Conferenza tra paesi appena
diventati indipendenti e a cui partecipano anche movimenti indipendentisti dell’area afro
l
o
p
sociale ai singoli territori, per creare una comunità di eguali, di cittadini con al centro la
Francia e al fianco i singoli territori coloniali.
La Francia vive tre grandi crisi interne tra 1950 e 1956 (che vanno a dettare l’evolversi
della concessione di autonomia nel continente africano):
- Guerra in Indocina: la sconfitta portò problematiche interne (1954) (indipendenza del
Vietnam)
- Avvio della lotta di liberazione nazionale in Algeria (1954): evento significativo in
quanto produce fratture in seno alla società francese che sono difficilmente ricomponibili
e che ha sulla Francia effetti devastanti. Da un lato la lotta contro gli algerini, dall’altro i
pieds noirs che provocano problematicità all’interno della Francia stessa. Il sistema
sociale sul modello delle colonie dei settlers aveva portato nei territori algerini a
marginalità sociale e tensioni politiche. La decolonizzazione fu violenta e caratterizzata
tra il 1954 e il 1962 quella che possiamo definire come lotta d’indipendenza/guerra di
liberazione/rivoluzione, tra FLN e i francesi. Con la nascita della quinta repubblica di De
Gaulle (1958) si apre una fase di negoziati che si conclude solo nel 1962 con gli accordi
di Evian che portano l’Algeria all’indipendenza.
- Crisi del canale di Suez (1956): mette in crisi l’idea di poter ridefinire il progetto
coloniale e acuisce la crisi del sistema coloniale in Francia e Gran Bretagna. Infatti le due
potenze coloniali tentano di tutelare lo spazio economico in quella zona, ma anche di
definire un’ulteriore assetto coloniale, ma sono impossibilitati a fare ciò a causa di una
mancanza di appoggio da parte di URSS o USA.
Nel 1958 quando De Gaulle diventa presidente e si instaura la quinta repubblica, si avvia
l’ultima fase del colonialismo francese. C’è un ultimo tentativo di creare una comunità
franco-africana, che riguarda i possedimenti francesi in Africa (l’Algeria è un caso a parte
e in Nordafrica Tunisia e Marocco erano già indipendenti).
Nello stesso anno la costituzione venne sottoposta a referendum nei territori africani. Gli
esiti furono favorevoli al progetto di De Gaulle, con eccezione della Guinea Conakry che
diventa indipendente producendo cosi una prima frattura politico-culturale post coloniale.
Nonostante il riscontro positivo il processo si blocca e nel 1960 la maggior parte dei
territori occupati dai francesi diventano indipendenti. Ciò avviene per varie ragione:
difficoltà di gestione, tensioni economiche,… Inoltre in alcuni paesi si creano tensioni e
divaricazioni tra le stesse élite africane, che impediscono di creare quella federazione
voluta dalla Francia, come in Sudan francese (attuale Mali) e Senegal, in cui leader delle
élite avevano idee politiche e culturali su come costruire l’indipendenza opposte.
Grand Bretagna
Processo maggiormente graduale, preparato e pragmatico, che si attua in modo più
articolato, prendendo in considerazione caso per caso.
Per i britannici la decolonizzazione era vista soprattutto come un processo attraverso il
quale trasferire ai gruppi africani rit nuti più idonei il potere. Ma le riforme sviluppate
e
avevano comunque, come per la Francia, l’idea di poter salvare le col nie (Churchill
disse che non era primo ministro per presiedere alla liquidazione dell’impero).
C’è un tentativo di preservare l’egemonia britannica attuando riforme economiche di
sviluppo e di contenimento orientate a salvaguardare lo spazio politico ed economico di
interesse britannico (secondo modelli più flessibili).
In modo particolare, la Gran Bretagna a partire dagli anni ’30 aveva cercato di rafforzare
politiche di sviluppo, ad esempio tramite la già citata Colonial Welfare and Development
Act del 1940 e tramite forme di riorganizzazione del sistema di indirect rule volte a
favorire forme di partecipazione locale degli africani alla vita politica.
A questo proposito il segretario alle colonie del governo laburista prevede la formazione
di consigli locali elettivi e si prefigura il passaggio a forme di autogoverno locale.
La Gran Bretagna vuole attuare un modello di decolonizzazione che potesse garantire
forme di mantenimento di rapporti politici con le ex colonie, un atteggiamento che
secondo a cuni aveva l’obiettivo di ricreare un modello neocolonialista (anche cercando
di coltivare classi compradore funzionali a questo risultato), atteggiamento pragmatico.
Portogallo
Il Portogallo segue un andamento differente rispetto alle altre potenze coloniali, in quanto
decide di non decolonizzare.
Il Portogallo è stata la potenza coloniale europea più povera ed arretrata economicamente,
in quanto non era riuscita a sviluppare adeguate politiche a favore delle proprie colonie.
Proprio per questo era più interessata ad ottenere vantaggi economici (attua forme di
integrazione economica) dallo sfruttamento delle attività economiche (agricoltura) e della
forza lavoro. Modello ad elevata coercizione.
A partire dagli anni ’50 il Portogallo cerca di ra forzare il suo controllo politico e di
evitare la decolonizzazione, in quanto sosteneva che le colonie in Africa fossero parte
int grante del Portogallo (lo fa anche perché l’africa australe si va ad inserire nel
cosiddetto bastione bianco).
La ristrutturazione di Salazar: si avvia a partire dal 1930 e viene successivamente
incorporata nella costituzione. Questa legge puntava a rafforzare il ruolo delle colonie
e
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f
o
o
La decisione del Portogallo di non avviare un processo di decolonizzazione negli anni ’60
fu sostenuta dagli Stati Uniti e dalla NATO (il Portogallo era un paese NATO).
Perciò il Portogallo mantenne la sua politica, mentre nelle sue colonie (Angola,
Mozambico, Guinea Bissau) si stavano costituendo movimenti nazionalisti che danno
inizio ad una lotta di liberazione, cioè guerre nazionali non sempre unitarie ma
accomunate da una lotta al colonialismo e al fascismo portoghese.
Il 1960 può essere considerato come anno di svolta della formazione dell’Africa
indipendente (il cosiddetto anno dell’Africa), in quanto 17 stati diventano indipendenti:
Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo francese, Congo belga (oggi
Repubblica democratica del Congo), Dahomey (oggi Benin), Gabon, Costa d’Avorio,
Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Madagascar, Togo e Alto Volta (oggi
Burkina Faso).
A questi seguono Sierra Leone e Tanganyika nel 1961
Burundi, Rwanda e Uganda nel 1962
Kenya nel 1963
Nyasaland (Malawi) e Rhodesia del Nord (Zambia) nel 1964.
Negli anni precedenti il 1960 erano già diventati indipendenti Libia (1951), Sudan,
Marocco e Tunisia (1956), Costa d’Oro (col nuovo nome di Ghana) nel 1957 e Guinea
(Conakry) nel 1958.
L’AFRICA INDIPENDENTE
La maggior parte dei paesi africani diventa indipendente a partire dal 1960.
Le indipendenze degli anni 60 sono indipendenze pacifiche (le uniche eccezioni in questa
fase sono Algeria, Camerun e Kenya). Quelle che avvengono successivamente si basano
invece sulla lotta armata per l’indipendenza (colonie del Portogallo, Rodesia, Namibia,
Eritrea (caso particolare),…).
La lotta nazionalista si costituisce sulla contestazione ai governi coloniali e sulla
rivendicazione politica dei diritti di cittadinanza.
L’Africa era (ed è tuttora) un continente vasto e diversificato che comprende oggi 54
stati. Con le eccezioni di Etiopia, Liberia, Sudafrica ed Egitto si tratta di stati che hanno
Ci sono due principali visioni moderniste cui fanno riferimento i paesi africani dopo
l’indipendenza:
- Capitalismo africano — la gestione e la pianificazione dello stato deve portare ad un
Tutti i paesi africani erano riluttanti ad assorbire nuove forme di controllo europeo e
anche coloro che si avvicinarono al modello occidentale cercavano di rappresentarsi
attraverso le specificità africane, facendo riferimento all'idea della tradizione.
Accettare prescrizioni occidentali significava per loro riproporre un neo-colonialismo,
mentre invece gli africani cercavano di formulare proprie soluzioni per il proprio
sviluppo (soluzioni endogene).
Il tentativo di creare di uno stato sviluppista, legato alle teorie internazionali della
modernizzazione, porta al consolidamento di stati estremamente dirigisti (in campo
economico) sia all’interno dei governi che si dichiaravano socialisti (dove diventa più
esplicito il modello di centralizzazione delle decisioni economiche), sia in quelli
‘capitalisti’. É lo Stato il motore dello sviluppo.
L’ottimismo del dopoguerra dura poco, gli Stati indipendenti si trovano a dover affrontare
sfide e debolezze che non gli permettono di raggiungere lo sviluppo economico e sociale
sperato e rendono difficile la costruzione dello stato-nazione.
Tra queste: una maggioranza di popolazione rurale e spesso dedita a un’agricoltura
fragile, difficile ambiente agro-ecologico e climatico, malattie , mancanza
di manodopera qualificata, crescita della popolazione, rapidi processi di crescita urbana,
risorse scarse (a volte anche spese male), classi sociali deboli.
Le politiche di sviluppo messe in atto non sono state in grado di sostenere adeguate forme
di accumulazione e la nascita di classi capitaliste locali.
Infatti la necessità di stabilità politica porta ad un’accumulazione capitalista, ma anche
socialista, disarticolata e non omogenea all’interno di network clientelari presenti nelle
strutture sociali tradizionali (nel modo in cui erano state riorganizzate in periodo
coloniale), favorendo procedure clientelari e populiste a discapito di un’allocazione
efficiente delle risorse. Quindi solo alcuni gruppi sociali beneficiano delle politiche di
In sintesi i principali ostacoli alla formazione dello Stato, già dalla seconda metà degli
anni ’60, sono:
- gli effetti delle eredità coloniali sui modelli economici degli stati indipendenti. C’è una
continuità con i sistemi coloniali stessi;
- difficoltà nell’adottare procedure di sviluppo efficaci e adatte al contesto;
- modelli di integrazione delle nuove élite in strutture determinate dallo stato coloniale;
- problematiche relative al mantenimento, in molti paesi, di strutture di governo
tradizionali che rendono più complesse le relazioni politiche. Problematicità delle
strutture tradizionali ereditate dal colonialismo (soprattutto nelle aree rurali). Alcuni paesi
mettono da parte le élite tradizionali, mentre in altri casi queste rimangono come
intermediario tra stato e governo locale (la relazione tra il vertice e la base è costituito
dalle autorità tradizionali, che però non si affermano in modo democratico). Es. In
Presenza di nuove classi sociali: classi imprenditoriali. Questo accentua il legame politico
tra le leadership politiche e alcuni settori economici.
Nel caso africano si parla di élite compradore — élite economiche che vengono assorbite
in uno specifico modello di relazioni sociali, e che portano ad un connessione tra leader
politici e settori delle società. Tali classi non riescono ad avere una loro autonomia
nelle scelte economiche, ma le relazioni con la classe politica sono sempre più stringenti.
Possiamo identificare tre caratteristiche principali della politica africana degli anni ’60
(che dovevano garantire stabilità politica):
1) sistemi a partito unico e forme di centralizzazione del governo.
Con decolonizzazione si istituiscono sistemi politici democratici mutuati dalle ex colonie
(V repubblica francese o sistema di Westminster), in cui le nuove élite rivendicavano
emancipazione politica e uguaglianza dei diritti in quanto “cittadini” di coloro che nel
periodo coloniale erano definiti come “sudditi” delle autorità “tradizionali”. Ma già a
metà anni ‘60 le istituzioni democratiche dei paesi africani subiscono un indebolimento,
a causa di un aumento della concentrazione di potere nelle mani dei presidenti e con
l’introduzione di regimi a partito unico (a volte sancito da norme giuridiche).
I parlamenti (dove funzionanti) e le organizzazioni della società civile erano sottoposti al
controllo dell’esecutivo o cooptati all’interno del partito unico.
L'ideologia del partito unico viene presentata come un modello democratico, in quanto
esprimeva l’unità nazione e rappresentava tutto il popolo. Non venivano riconosciute
divisioni etniche regionali o di classe e qualsiasi opposizione al partito era vista
come retaggio delle politiche di divisione del modello coloniale/forma di oscurantismo
tribale/forme di squilibrio;
L’autoritarismo politico veniva giustificato in quanto necessario per assicurare l’unità
della nazione (costruzione della nazione) e per perseguire in maniera efficace politiche di
crescita economica (sviluppo).
Gli obiettivi politici post indipendenza erano lo sviluppo accelerato e lo sradicamento del
controllo coloniale sull’economia, e tutto ciò che poteva mettere in crisi questo progetto
doveva essere eliminato (anche la divisione della società su basi pluripartitiche era una
minaccia).
All’epoca in molti erano favorevoli ad uno sviluppo guidato dallo Stato — idea che lo
sviluppo economico viene prima della democrazia. Solo con il raggiungimento di un
determinato sviluppo sarebbero poi scaturite altre
opportunità in termini di democrazia.
Sia a livello interno che internazionale il sostegno alla democratizzazione svanì lasciando
spazio a sistemi a partito unico.
Alcuni paesi diventano sistemi a partito unico de facto altri solo de jure (continuano
forme di competizione interna al partito unico, come in Tanzania).
2- sviluppo di sistemi di potere fortemente personalizzati nelle mani del presidente
(modello presidenziale), che porta a detrimento di pluralismo politico e monopolio del
policy-making nelle mani del presidente e del suo establishment. Spesso è risultato in
modelli estremamente autoritari e coercitivi. Anche ad oggi sono pochi i sistemi non
presidenziali in Africa (tra i pochi esempi abbiamo: Sudafrica ed Etiopia).
3- lo sviluppo di sistemi politici autoritari, con forme di corruzione e di manipolazione
politica. Questo rende i sistemi politici poco democratici, coercitivi e autoritari (anche se
a livelli differenti).
I regimi a partito unico si sono costituiti anche su forme di rapporti di patronage (a volte
anche clientelare) centrati sul leader. La gestione economica dello stato viene
personalizzata e dominata da burocrati e funzionari in grado di poter accedere a risorse
politiche ed economiche, di arricchirsi e trarre beneficio dalle relazioni con i loro
sostenitori. Relazioni con l’establishment e creazione di equilibri politici che cercano di
soddisfare sia le élite politiche sia alcuni gruppi sociali/economici (mentre altri gruppi ne
sono esclusi).
Etiopia
Anche tuttora è un paese molto diversificato (c’è un centro e poi molte periferie, che sono
state poste al margine)
Nel corso dell’800 l’Etiopia nasce come un’impero forte e subisce solo un breve
controllo coloniale italiano (1936-1941). Dopo il periodo di occupazione si riorganizza e
rafforza come Stato forte e si collocata nella svela di influenza dell’occidente (ha
l’appoggio degli Stati Uniti, che forniscono sia aiuti allo sviluppo sia aiuti militari)
L’Etiopia vuole assumere un ruolo egemone facendo leva su due concetti: unità
(dell’Etiopia e in generale dell’Africa indipendente) e balcanizzazione (per avere
maggiore controllo sugli stati più deboli, come Somalia ed Eritrea, ma anche all’interno
dell’Etiopia stessa).
Questo gli permette di rafforzare la sua politica di espansione e controllo regionale.
Vengono attuate riforme che permettono di rafforzare la monarchia assoluta (l’imperatore
regnava in modo fortemente autocratico) e di controllare le periferie dell’impero (anche
grazie ai rapporti con la chiesa ortodossa. Infatti molti contadini erano di fatto affittuari o
comunque soggetti al controllo dello stato, della chiesa e di élite proprietarie).
Il centro dell’impero era sull’altopiano dominato dalle popolazioni Amhara.
La situazione interna diventa più critica dopo il tentativo di colpo di stato del 1960, che
rivela le tensioni interne irrisolte e le fratture su cui era nato l’impero etiopico.
Nel 1974 avviene un colpo di stato dei militari guidati da Mengistu. Tale colpo di stato
provoca rovesciamento e assassinio dell’imperatore, occupazione del potere e lotta contro
la chiesa ortodossa (specificità di questo colpo di stato).
però non resiste al lungo e a patire dal 1983 riprende la guerriglia nel Sud guidata dal
Sudan People’s Liberation Movement/Army (SPLM/A).
- Crescono le tensioni con l’occidente (e con gli stati uniti guidati dal presidente Carter).
Il paese comincia ad essere considerato pericoloso, anche in seguito all’imposizione
della legge islamica (sharia) nel Paese.
Dopo la caduta di Nimeiri (1985) c’è un tentativo di governo civile e sale al potere
l’Umma party, un partito islamista guidato da Sadiq al-Madhi. Peggiorano i rapporti con
l’Egitto (che era vicino agli USA), mentre si rafforzano quelli con la Libia (che era tra i
paesi ostili agli USA) e persistono le divisioni interne con il Sud.
Nuovo colpo di stato nel 1989 che porta al potere al-Bahir (governa fino al 2019).
Governo autoritario e militarista (anche in riferimento ai conflitti con il sud, che
diventano più violenti) che ha grandi capacità di controllo sul territorio. Il governo
viene indirizzato e controllato dal National Islamic Front (partito di fondamentalismo
islamico). Le norme islamiche vengono rafforzate e si crea un governo centralizzato, con
un sistema parlamentare verticistico, sul modello della Libia.
Il Sudan era il secondo paese del mondo islamico dove gli islamisti erano andati al potere
dopo l’Iran (gli islamisti avevano un ruolo preponderante in vari settori, anche se in modo
diverso rispetto all’Iran. Modelli simili che però mantengono delle differenze).
É il primo paese in cui gli islamisti prendono il potere nel mondo sunnita e in un contesto
come quello del Corno d’Africa.
La fine del regime di al Bashir (2019) lascia aperti grandi spazi di grande incertezza e
instabilità che non sono ancora stati risolti ad oggi.
Nel 2011 il Sud Sudan diventa indipendente
Il Corno d’Africa diventa centrale nel bipolarismo (diventa un microcosmo della guerra
fredda. Contesto ‘caldo’ della guerra fredda). É un’area importante dal punto di vista geo
strategico. Il ruolo delle superpotenze nella regione si estende a partire dagli anni ’60, e
aumenta sempre più tra gli anni ’70/’80.
Etiopia — rapporto con USA fino al 1974
Somalia — interesse sovietico dopo il 1969
Sudan — forte legame con il contesto e le dinamiche del medio oriente
Patto di Bagdad: accordo che gli Stati Uniti vogliono creare tra Turchia, Pakistan, Iraq,
Siria, Libano nel 1955 (per attuare un processo di contenimento dell’unione sovietica).
Tale patto non funziona perché non si riesce a creare uno spazio di contenimento
organizzato politicamente e strategicamente.
l’unificazione del Camerun francese con quello britannico. Infatti la società delle nazioni
unite aveva assegnato il mandato del Camerun tedesco per 4/5 alla Francia e per 1/5 alla
Gran Bretagna (che lo amministrava insieme alla Nigeria).
Le richieste di Nyobe non furono accolte a livello internazionale, a causa
dell’opposizione dei paesi colonizzatori, di alcuni settori della società camerunese (che
vedevano nel colonialismo migliori opportunità di sviluppo) e della chiesa cattolica.
Nel 1955 scoppiano delle rivolte, che vengono represse in modo violento dai francesi,
che decretano la messa al bando dell’UPC. Gli scontri poi riprendono e dureranno fino al
1958 (quando il leader dell’UPC Nyobe viene ucciso).
Nel 1959 l’ONU approva una risoluzione che chiedeva l’indipendenza del Camerun
francese, che avviene nel 1960 (l’Union Camerounaise guidata da Ahidjo ottiene la
maggioranza).
La parte di Camerun sotto amministrazione britannica viene separata dalla Nigeria
quando questa ottiene l’indipendenza nel 1960.
Viene indetto un referendum e i territori del Nord vengono annessi alla Nigeria, mentre
quelli del Sud al Camerun appena diventato indipendente.
I territori anglofoni (che rappresentavano una minima parte del territorio, ma
contenevano un quarto della popolazione) vengono inseriti all’interno della struttura dello
stato in modo asimmetrico.
In Camerun si crea quindi un sistema federale che risulta essere molto squilibrato, e in cui
le due parti (anglofona e francese) continuano a mantenere forme di separazione
identitaria.
Questo è un elemento centrale ancora oggi, in quanto le regioni meridionali del Camerun
si sentono emarginate e attuano politiche di rivendicazioni di indipendenza.
Ahidjo era favorevole all’unificazione dei territori, ma non al modello federale, che a
causa delle sue debolezze viene abbandonato in modo definitivo nel 1972.
Ad oggi Camerun non è l’emblema della democrazia, con un leader che è al potere dal
1981 e che non trova appoggio locale e internazionale in quanto considerato come non
sufficientemente garante di politiche stabili.
Nigeria
È stata la più grande colonia della Gran Bretagna e ad oggi è il paese più popolato
dell’Africa. Paese difficile da collocare, potrebbe rientrare in un modello di
capitalismo africano (presenza di petrolio), ma data la costante presenza di modelli
militari è difficile dare una definizione.
La Nigeria era culturalmente molto diversa, con un forte divario fra il Nord e il Sud. Tale
diversità rende difficile trovare un equilibrio fra i diversi gruppi politici al momento
dell’indipendenza.
La Nigeria divenne indipendente nel 1960 come Stato federale, forma di governo che
mantiene tuttora. La prima costituzione federale, era stata lanciata dai britannici e si
basava sull’equilibrio fra le tre macro regioni Nord, Sud-Ovest e Sud-Est, che
disponevano dei propri organismi di rappresentanza.
L’indipendenza si ottiene tramite un accordo con la Gran Bretagna (non c’è scontro).
Dal punto di vista politico c’erano tre grandi partiti/movimenti (che rappresentavano le
tre macro-regioni federali):
- il National Council of Nigeria and the Cameroons (NCNC) (in quanto parte del Camerun, in
base al mandato della Società delle Nazioni, era stato amministrato dai britannici
insieme alla colonia nigeriana) aveva le caratteristiche di un movimento di massa, ma
era presente solo in alcune aree del paese. Il leader era Azikiwe. Il partito rappresentava
soprattutto i cristiani (e gli ibo) delle regioni centro-orientali
- il Northern People's Congress (NPC), che era espressione del sistema politico e sociale del
Nord dove era dominante. Guidato da Bello, Sardauna di Sokoto, una delle principali
entità politiche della Nigeria settentrionale. (Bello era discendente del fondatore del
Califfato); rappresentava gli interessi dei conservatori, mussulmani Hausa, che vivevano
nelle regioni a nord
- il terzo partito era l’Action Group (AC) (emerge dalle elezioni del 1952) guidato da Awolowo,
leader del governo della regione occidentale (sud-occidentali).
• Federazione del Mali, nasce nel 1960 ed era compost da Sudan francese (Mali) e
Senegal. A causa di crisi interne e difficoltà nel costruire tra i diversi leader (Keita,
Senghor e Dia) una fiducia condivisa, il Senegal si stacca dalla federazione nel 1961 e
diventa indipendente con Senghor come presidente.
Il Sudan francese, rinominato Mali, assume un posizionamento politico radicale di tipo
socialista, allontanandosi dal Senegal moderato e avvicinandosi alla Guinea socialista di
Tourè. A cause di difficoltà economiche e un aumento delle contestazioni politiche, il
governo diventa sempre più autoritario e la crisi aumenta (con l’uscita dalla zona del
franco) fino ad arrivare all’arresto di Keita, che era presidente del Mali.
Il regime di Keita viene sostituito da un governo militare.
Uganda
L’Uganda diventa indipendente nel 1962 vedrà una lunga presenza di militari al potere,
che sostituiscono per lungo tempo i governi civili.
L'Uganda arriva all'indipendenza in una situazione educativa, amministrative e delle
infrastrutture migliore di molti altri paesi africani. Tuttavia il paese presenta forte
debolezza e differenza di potere e di ricchezza tra Sud e Nord (storicamente
marginalizzato), che sarà motivo di lotte e contrasti (elemento in comune con la Nigeria).
C’è anche una divaricazione importante tra gruppi cattolici e protestanti.
Le divisioni in seno al paese si instaurano a livello sociale, politico e anche religioso, e
impediscono di creare nel paese un equilibrio.
Il periodo fino al 1965 è tutto sommato positivo e l’accomodamento fra lo stato e le élite
del vecchio regno del Buganda permettono di avviare un processo politico calmo.
Ma nel 1966 l’accentuazione da parte del primo ministro Milton Obote verso la
centralizzazione del potere (ponendo fine al modello federale che si era inizialmente
instaurato con l’indipendenza) mise in crisi il delicato equilibrio, in particolare con
l’abolizione nel 1967 del regno del Buganda.
Nel 1971 le crescenti lotte politiche portarono ad un colpo di stato e la formazione del
governo militare di Idi Amin. Egli instaura un sistema politico duro, coercitivo e che va a
rafforzare ancora di più le divaricazioni sociali.
Inoltre cerca di rafforzare la propria legittimità, per esempio, ottenendo l’appoggio del
mondo arabo contro Israele e allontanando dal territorio le comunità asiatiche che
controllavano gran parte delle attività economiche (espelle la quasi totalità degli
indiani-ugandesi dal paese).
A partire dal 1973 rafforza il suo governo autoritario e personale mettendo in crisi le
istituzioni dello Stato e aumenta le differenziazioni etnico-regionali, favorendo in
particolar modo i popoli del Nord, mentre nelle aree rurali si viveva uno stato di quasi
anarchia.
Nel 1978 l'intervento armato diretto della Tanzania porta alla caduta di Amin e dopo le
elezioni del 1980 ritorna al potere Obote.
Egli attua una politica di vendetta contro gli oppositori e nasce una nuova lotta armata di
liberazione guidata da Museveni e dal National Resistance Movement/Army (NRM/A),
che dopo anni di guerra civile arriva al potere nel 1986.
Si crea un nuovo sistema politico che è al potere ancora oggi.
Rwanda e Burundi
Rwanda e Burundi sono caratterizzati da un’indipendenza travagliata e violenta.
Nel 1962 il Belgio concesse l’indipendenza tramite un processo rapido e senza nessun
tipo di preparazione. Questo destabilizza tale paesi, che erano deboli dal punto di vista
economico e sociale, e favorisce l’emergere di lotte continue tra hutu e tutsi.
In Rwanda l’indipendenza è preceduta da una rivoluzione Hutu, le cui rivendicazioni
erano sostenute dai belgi. Con la morte del mwani (re) le tensioni si acuiscono e si
rafforza la politica del principale movimento indipendentista hutu, che abolisce la
monarchia e reprime in maniera violenta la minoranza tutsi.
Nel 1962 si raggiunge l’indipendenza e sale al potere il movimento indipendentista, con
la formazione di un governo etnico della maggioranza hutu.
Gli hutu mantengono il potere in modo sempre più autoritario (rafforzandosi dopo il
colpo di stato del 1973) fino a culminare nelle drammatiche vicende del 1994.
In Burundi la monarchia è in grado di gestire il processo di decolonizzazione e
indipendenza, grazie al fatto che le popolazioni hutu erano state maggiormente
incorporate nei sistemi di potere locale (diversamente dal Rwanda).
Nel 1960 vince le elezioni amministrative il partito di Rwagasore, che rappresentava
un’élite istruita che godeva dell’appoggio di una parte della popolazione hutu. Rwagasore
viene ucciso e si aprono anni di turbolenze e di attacchi da parte degli hutu. Nel 1966 con
un colpo di stato viene abolita la monarchia e si avviano lottare in seno al paese, che
culminano in episodi di violenza contro gli hutu (pogrom del 1972).
In questi anni si susseguono colpi di stato che portano al potere gruppi di elite tutsi, solo
dopo la fase di democratizzazione vengo eletti alcuni presidenti hutu.
Costa d’Avorio
Nel 1960 Houphouet Boigny diventa presidente della Costa d’Avorio indipendente.
Houphouet Boigny proveniva da una ricca famiglia di piantatori di cacao; era stato eletto
all’assemblea costituente di Parigi e aveva sostenuto la legge Defferre (che dava
maggiore autonomia ai territori coloniali) e l’idea di De Gaulle di una comunità
franco africana.
La Costa d’Avorio decide dopo l’indipendenza di rimanere nell’orbita francese. Tale
politica di collaborazione si rivela in qualche modo vincente, in quanto permette al paese
di ottenere vantaggi economici.
A differenza di quanto accade in Ghana, la Costa d’Avorio non si sofferma tanto
sull’industrializzazione, ma si focalizza sullo sviluppo delle produzioni agricole per
l’esportazione come vettore dello sviluppo economico. Tra gli anni 60 e 70 il Paese vive
Guinea
La Guinea era un paese ricco dal punto di vista agricolo e minerario (bauxite); ex colonia
francese.
La guida del paese è affidata al leader Sekou Tourè.
La Guinea diventa indipendente nel 1958, rigettando i progetti di De Gaulle e
allontanandosi dalla Francia, con la quale i rapporti si fanno subito tesi.
Le relazioni diplomatiche con al Francia si chiudono e viene abbandonato l’utilizzo del
franco francese. C’è un’avvicinamento con il Ghana.
La Guinea, caratterizzata da un’economia e un settore agricolo arretrati, cerca aiuti
internazionali che arrivano principalmente dal blocco sovietico e soprattutto da capitale
privato (verso i giacimenti di bauxite). Già a metà anni 60 il paese è in crisi.
Nonostante l’avvicinamento al blocco sovietico Tourè cerca di mantenere una posizione
non allineata.
Il Paese si indirizza verso un modello di socialismo africano (viene data poca attenzione
alla questione di classe). Tourè ritiene che lo sviluppo doveva essere realizzato attraverso
il ruolo centrale dello Stato (in quanto non esisteva una classe capitalistica indigena) e per
questo la politica di controllo dell’economia si rafforza. L’economia del paese era
concentrata su bauxite (primo prodotto di esportazione) e ananas.
La classe dirigente ritiene necessaria una modernizzazione legata al socialismo, anche nel
settore agricolo. Vengono messi in atto degli interventi da parte dello Stato per favorire
un’agricoltura moderna, che però si rivelano dannosi in quanto i contadini resistono ai
tentativi di spingerli verso produzioni collettive.
La crisi si acuisce negli anni 70, anche a causa della crisi agricola e di un mancato
rafforzamento della spesa per i sevizi sociali (sanità, educazione).
Il regime politico diventa sempre più rigido e basato su un modello a partito unico.
La crisi conduce verso un allentamento del socialismo: si aprono canali i collaborazione
con la Francia e c’è riconciliazione politica con il Senegal e la Costa d’Avorio.
Tourè muore nel 1984 e si passa ad un governo militare guidato da Contè (il socialismo
viene abbandonato).
Senegal
In Senegal il leader Senghor abbina ad una politica cauta di tipo economico anche
riflessioni legate al concetto di Negritude (quale espressione di una coscienza e di valori
di civiltà nera precursori del nazionalismo) e ad una forma di socialismo umanistico.
La politica di Senghor puntava a forgiare un’alleanza tra il partito di governo (Unione
progressista senegalese) e (1) la comunità di affari francesi, (2) i Marabutti, cioè le elite
religiose delle confraternite mussulmane. Queste èlite svolsero un ruolo importante nello
sviluppo sociale ed economico e nel creare consenso politico e sociale, in quanto i leader
mussulmani erano particolarmente radicati nell’economia soprattuto attraverso la
gestione della produzione di arachidi (stato contadino).
Nel 1963 si instaura de facto un modello a partito unico.
Nel corso degli anni 60 e 70 l’economia del Senegal cresce in modo significativo, ma
l’economia rurale rimane fortemente dipendente dalle esportazioni di arachidi e si
mantiene un modello di gerarchie sociali. La dipendenza da una monocoltura porterà in
seguito a delle difficoltà.
Nel 1974 si aprono nuovi spazi politici e poco dopo viene approvata una costituzione che
pone fine al sistema a partito unico (vengono legalizzati nuovi partiti politici). Senghor
si dimette nel 1980 e prende il potere Abdou Diouf.
Zambia
Lo Zambia ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964 e le elezioni portano alla
vittoria dello United People’s Independence Party (UNIP) e a Kaunda come primo
presidente.
Il paese aveva del potenziale economico, in quanto ricco di depositi di rame, ma
rimaneva fortemente dipendente dalle reti ferroviarie (utili per il commercio) e dalla
fornitura di energia soprattutto nei confronti della Rodesia del Sud.
Il legame tra i due paesi era forte e la decisione del governo di Kaunda di sostenere la
lotta di indipendenza della ZAPU (a discapito dell’UDI, Unilateral Declaraton
of Independence) espone lo Zambia a ritorsioni economiche e militari da parte del regime
rhodesiano.
Kaunda, come Nyerere, fa riferimento all’ideologia dell’Umanesimo, che prendeva le
mosse dall’idea che le società precoloniali fossero intrinsecamente egualitarie e
socialiste.
Nel 1968 Kaunda attua una serie di riforme volte a realizzare l’indipendenza economica
nel quadro della politica dell’umanesimo, superando il modello coloniale e contrastando
Kenya
Esempio di socialismo africano
Era una colonia dei settler: le politiche coloniali avevano reso gli agricoltori bianchi
possessori di vasti tratti di terre fertili espropriate agli indigeni, soprattutto nelle zone
delle Highlands (altopiano), dove le condizioni climatiche erano favorevoli.
La rivolta Mau Mau (1952-1960)
Rivendicazione politico-sociale, che diventa anche militare, di gruppi di popolazione
kikuyu che avevano subito gli effetti negativi dell’esproprio delle terre.
Chiedono una politica sociale diversa, chiedono di riavere le loro terre. Il loro slogan era
‘Terra e Libertà’. Non assume però la forma di una lotta di liberazione nazionale.
La rivolta inizia nel 1952 guidata da alcuni settori della KAU (Kenya African Union di
cui Kenyatta era presidente). La GB dichiara lo stato di emergenza e Jomo Kenyatta
viene arrestato.
La lotta si rivolgeva sia contro i lealisti, fra cui i capi tradizionali e le elite considerati
vicini al governo coloniale e co-responsabili degli effetti negativi del processo coloniale
britannico, sia contro i settler.
Le autorità interpretano le rivolte come una reazione irrazionale al processo di
modernizzazione, facendo leva sulla ‘natura tribale’ dei Mau Mau.
La Gran Bretagna reprime tale rivolta con grande violenza: le vittime furono numerose
(almeno 12.000 morti) e molti vengono rinchiusi in campi di prigionia, dove subiscono
gravi violenze e abusi. Non solo i rivoltosi, ma anche ampie face di popolazione kikuyu
subiscono repressioni tramite processi di villaggizzazione forzata.
Gradualmente la rivolta viene repressa e nel 1960 viene abolito lo stato di emergenza.
A metà anni 50 viene avviato un programma di riforma agraria, il Swaynerton Plan, che
poi viene ripreso dopo l’indipendenza.
Era una riforma redistribuiva volta a creare una classe di piccoli imprenditori agricoli
indigeni. La redistribuzione non doveva essere coercitiva (cioè non avveniva con
espropri), ma i territori vengo venduti a prezzo di mercato. La Gran Bretagna appoggia
tale riforma dal punto di vista finanziario, in quanto elemento di stabilizzazione. Sarà
però un processo costoso.
La creazione di una classe agraria di piccoli agricoltori indigeni (efficienti e capaci di
stare sul mercato) diventerà poi un punto importante per la costruzione dello stato
nazione in Kenya.
Nel 1960 vengono fondati il KANU (Kenya Africa National Union) e il KADU (Kenya
African Democratico Union), che qualche anno dopo si va a fondere con il partito di
Kenyatta (KANU).
Dopo un processo negoziale che assegna maggiore rappresentatività agli africani, nel
1963 si arriva all’indipendenza, sotto la guida di Kenyatta e del suo partito KANU
(partito unico, utilizzato come strumento di controllo e stabilizzazione).
Jomo Kenyatta porta alla costruzione di un Kenya indipendente vicino all’occidente e
che segue modelli di modernizzazione capitalistica. Egli non era mai stato un leader
radicale (le accuse di essere uno dei leader della rivolta Mau Mau erano false).
Al momento dell’indipendenza Kenyatta ha una visione di collaborazione con i coloni
bianchi, approccio conciliatorio. Egli stringe un accordi con le autorità britanniche per la
realizzazione di una riforma agraria (sulle orme di quella attuata negli anni 50).
Scoppiano delle rivolte in una provincia del nord-est, dove la popolazione a maggioranza
di origine somala chiedeva l’annessione alla Somalia, che vengo represse in modo
violento (la regione rimane all’interno del Kenya, ma in una posizione di marginalità).
Nascono delle tensioni con l’opposizione della Kenya People’s Union, guidata da
Odinga, alle quali il governo risponde in modo autoritario. Inoltre in questo periodo
(metà anni Sessanta) l’economia è in forte crescita e questo rafforza la posizione e la
leadership di Kenyatta, togliendo spazio a qualsiasi alternativa radicale.
Con l’uccisione di Mboya, probabile successore di Kenyatta, Odinga viene arrestato e la
KPU viene messa al bando.
Negli anni ‘70 la politica di Kenyatta diventa maggiormente coercitiva e personalistica,
accentrando il potere nelle sue mani, contrastando qualsiasi forma di opposizione e
facendo leva sull’élite politica kikuyu.
Kenyatta viene anche accusato di non aver assicurato un accesso equo alla terre e di non
aver contrastato l’accaparramento delle risorse a vantaggio di una ristretta élite che
ruotava attorno al presidente stesso.
Attorno al 1975 nascono delle proteste, che iniziano ad incrinare la posizione di Kenyatta
all’interno del paese. Dopo la sua morte il Kenya attraverserà un fase di problematicità
dal punto di vista politico.