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Africa nella storia politica internazionale

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La storia dell’Africa non comincia con il colonialismo, ma è molto più antica.
Lingue: strumento che è stato utilizzato per definire modelli di gerarchia e anche modelli
razziali. È però incorretto associare lingue e razze.
4 gruppi linguistici in Africa più il Madagascar (ceppo malese/indonesiano)

# Bantu - termine che è stato utilizzato in Sudafrica (per identificare le persone di colore rispetto
a quelle bIanche) e in Ruanda.

Agricoltura (attività fondamentale in Africa):


- Pastorizia
- Coltivazione permanente
- Attività forestali
- Agricoltura itinerante (continente con un ambiente ostile, a bassa densità demografica e che
sviluppa un agricoltura a basso sviluppo tecnologico. Terra abbondante rispetto alla
popolazione. Le coltivazioni si spostano su diversi terreni e un terreno vieni a riutilizzato solo
dopo che riacquisto la sua fertilità)

DOVE SI COLLOCA L’AFRICA


J.Saul 1999: nel senso marxiano del termine secondo alcuni studiosi, l’Africa ha sofferto non per
essere stata trascurata, ma per non essere stata sfruttata abbastanza.
Cioè non ci sono stati nel corso del 1900 importanti investimenti di capitale, di
imprenditorialità nel continente per creare surplus e i reinvestimenti sono stati pochi.
Investimenti deboli che sonno particolarmente evidenti durante il colonialismo, ma anche dopo il
colonialismo.

L’imperialismo inteso come una politica che corrispondeva all’età del capitalismo, del
monopolio e degli oligopoli. Imperialismo come fenomeno del capitalismo, che aveva raggiunto
un centro stadio di sviluppo.
Se per Lenin l’imperialismo era l’ultimo stadio del capitalismo, per l’Africa è stato il primo.
L’Africa è inserita nei circuiti globali/internazionali, e quando ciò accade vi è la necessità di
nuovi mercati e materie prime. L’Africa si immette nei mercati globali, dove però ha un ruolo
marginale e debole.
Però spesso si ritiene erroneamente che l’Africa sia al di fuori dai circuiti dell’economia globale.
È vista come una cultura remota, tribale (parola chiave del colonialismo), un qualcosa di
eccezionale, come una forma di caos primordiale..

In Africa non si è assistito al processo di sviluppo capitalistico avvenuto in Europa (e quindi


l’emergere del proletariato).
Inoltre non si è realizzato un sviluppo economico di successo mediante il ruolo politico di stati
autoritari centralizzati forti (come accade in alcune parti dell’Asia dagli anni 60/70. Ex Cina e le
tigri asiatiche (Corea del Sud, Singapore, Taiwan e Hong Kong)).

In un contesto neoliberista emergono nuovi interessi economici verso le economie africane.


Alcuni studiosi parlano di un nuovo scramble del continente africano (in continuità con la storia
coloniale).
Secondo altri studiosi il contesto internazionale è cambiato molto, è multipolare (non più
bipolare come nel periodo della guerra fredda), sono emersi nuovi attori che prima non avevano
un ruolo, come la Cina e altri attori come UE assumono ruoli nuovi attraverso l’introduzione di
modelli di cooperazione. Perciò c’è una differenza rispetto a quelli che erano gli interessi
meramente neo-coloniali delle ex potenze colonizzatrici (anche se rimane comunque un grande
interesse per quanto riguarda le risorse dell’Africa).

L’AFRICA PRE-COLONIALE
La dimensione politica dell’Africa nel momento in cui si va verso la struttura coloniale era
caratterizzata da una molteplicità di entità politiche.
In particolare due tipologie:
- Regni e principati (di vario tipo e dimensione). Entità politiche aventi una certa struttura
amministrativa, una certa economia, un apparato militare. Società complesse ed articolate.
- Società decentralizzate, poco strutturate, acefale. Società basate su sistemi di parentela (clan e
lignaggi) e/o sulle classi di età. Alcuni studiosi hanno definito tali sistemi sociali come sistemi
politici dell’uguaglianza (concetto contestato invece da altri, in quanto anche in questi contesti
c’è stratificazione sociale, ci sono disuguaglianze, anche se magari più attenuate). Sono
società flessibili — demarcazione sociale e territoriale fluida (alcuni gruppi si potevano
sovrapporre agli altri). Tale caratteristica risulterà poi essere un problema per il colonialismo.
# Clan: struttura della discendenza che si identifica partendo da un antenato mitico
# Lignaggio: genealogia che fa riferimento ad un antenato certo/individuabile (in un clan si
possono trovare più lignaggi).

Abolizione della schiavitù (nell’800): si passa da un’economia centrata sul commercio di schiavi
ad un’economia basata invece sul commercio lecito internazionale di prodotti di export — cash
crops (sia agricoli che minerari). Questo trasforma non solo l’economia, ma che la società e gli
stati dell’Africa (soprattutto africa occidentale e la regione sudafricana).
A partire dalla metà dell’800 c’è una trasformazione dell’agricoltura verso i cash crops (cioè
prodotti che poi vengono veduti sul mercato internazionale. prodotti di export.): cacao, arachidi,
cotone, tabacco, the, sisal (fibra tessile naturale, che entra in crisi quando vengono introdotte le
fibre sintetiche), olio di palma (produzione storica dell’Africa),..
Questo non è però accompagnato da avanzamenti di tipo tecnologico
Inoltre tale internazionalizzazione modifica solo in parte la tipica agricoltura itinerante.
Nuova fase dell’imperialismo europeo che guarda sia ai territori che possono offrire risorse, sia a
quelli che rappresentano snodi strategici per le vie commerciali.

L’800 PRE-COLONIALE
TRASFORMAZIONI IN AFRICA OCCIDENTALE e NORDAFRICA
Trasformazione dei sistemi politici africani (prima dell’avvio formale della colonizzazione).
Molti stati e regni decadono e emergono nuove entità statali (sopratutto in africa sub-sahariana).

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Trasformazioni legate a:
Fine tratta degli schiavi
Attività commerciali delle popolazioni nomadi
Ruolo dell’islam e delle confraternite
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In Africa occidentale: grandi trasformazioni, questa area riceve molti contraccolpi con la fine
della tratta degli schiavi (tratta atlantica).
Tutta una serie di regni (Oyo, Ashanti, Dahomey, Benin) entrano in crisi:
- regni Oyo e Benin ubicati nell’attuale Nigeria
- regno Ashanti ubicato nell’attuale Ghana. Si era affermato grazie al commercio dell’oro.
Questi regni tentano di riconvertire le loro attività produttive verso i cash crops e
successivamente faticano a resistere alle pressioni coloniali. Tutto ciò porta alla loro fine.

Ruolo dell’Islam e i nuovi sistemi politici sahariani


In Africa occidentale e in Nordafrica, tra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo, si assiste a
trasformazioni dei sistemi politici e allo sviluppo di nuovi stati legati al mondo mussulmano e a
forme di rinascimento/risorgimento (nahda) dell’Islam e delle sue confraternite (diffuse tra
Sahara, Nord Africa e aree saheliane).
L’Islam nell’800 diventa quindi un elemento di modernizzazione delle aree nordafricane e
saheliane, in quanto porta ad una ridefinizione socio-politica e statuale necessaria per far fronte
ai mutamenti del tempo e alla crisi attraverso: riorganizzazione dell’Islam, reinterpretazione del
messaggio religioso, ruolo delle confraternite (espressione di auto-organizzazione locale), ruolo
delle comunità nomadi (che si fanno promotrici di tale riformismo).
Tali processi di trasformazioni non sono indotti dal colonialismo (con eccezione dell’Algeria),
ma cominciano prima. Il risorgimento africano era chiamato a rispondere ad esigenze che
andavano al di la della sola necessità di difesa da minacce esterne.
Sicuramente però cambiamenti a livello globale avuto un’influenza (ex. la fine della tratta degli
schiavi,..), che avevano portato soprattutto nelle zone desertiche a forti crisi economiche. C’era
la necessita di dare forma a nuovi assetti sociali e politici e di ridefinire l’accesso alle risorse
limitate e ai nuovi circuiti commerciali.
Alla vigilia del colonialismo i teorici della modernizzazione del pensiero islamico dovettero
affrontare l’ostracismo degli europei, che erano interessati ad affermare il loro controllo
imperale, e non a favorire la modernizzazione.

Confraternite: nelle comunità nomadi la riorganizzazione politica avviene attraverso le


confraternite (tariqa). Erano forme di auto organizzazione locale grazie alle quali le popolazioni
nordafricane esprimevano la loro autonomia politica e religiosa. Erano associazioni spontanee di
persone che si uniscono sotto la guida di un individuo, la cui leadership emerge per motivi
carismatici, spirituali, politici o sociali. Non sono comunità religione ma laiche, che si ispirano ai
valori di un condiviso sentimento religioso. Soprattutto nelle fasi di insicurezza e indebolimento
istituzionale le comunità locali si rivolgevano ai legami delle fratellanze come a custodi degli
interessi collettivi minacciati.

Si parla di:
- rinascita dell’Islam — a nord del Sahara
- Jihad (lotta)— a sud del Sahara (moti collettivi ispirati all’adesione ad un nuovo islam e rivolti
contro nemici esterni ma anche vecchie leadership)
Tali processi di trasformazioni non sono indotti dal colonialismo (con eccezione dell’Algeria),
ma cominciano prima. Sicuramente però cambiamenti a livello globale avuto un’influenza (ex. la
fine della tratta degli schiavi,..)

#Fulani: gruppi nomadi diffusi in tutta la regione che andava dal lago Ciad alle coste del Senegal,
noto come Sudan (parola storico-politica. Espressione araba che significa ‘terra dei neri’).
Svolgono varie attività economiche legate al commercio.

Jihad Islamiche
Primi anni del 19° secolo nell’area saheliana dell’Africa occidentale (dal lago Chad al Senegal)
si definirono delle guerre per l’espansione della fede e per il recupero dell’Islam autentico (più
puro, più vicino alle origini. Purificazione religiosa che porta a rinnovamento delle società).
Le confraternite sufi (che si sviluppano tra l’Africa del Nord e l’Africa occidentale) ebbero in
questo un ruolo importante. Tijaniyya è tra gli ordini più importanti e diffusi nella regione
(nonostante sia nata più a nord e solo in seguito penetrata nella zona occidentale grazie ai fulani).
Movimenti che hanno l’intento di ridefinire le società attraverso espansione e purificazione della
fede e guerra. Un rinnovamento non solo sociale ma anche economico, politico e morale.
Portano alla costruzione di nuovi Stati e sistemi di potere.
Sono fenomeni endogeni all’Africa, che solo successivamente si intersecano con i fenomeni
coloniali e con gli interessi economici europei.
Le jihad permettono di attuare una riorganizzazione statuale, con confini ben definiti, comunità
locali ridefinite e ampi territori. Inoltre si compie una effettiva islamizzazione. La superiorità
militare e tecnologica delle potenze europee però porterà questi stati ad essere fagocitati
all’interno del sistema coloniale (perlopiù francese).

Tre principali jihad (Sahara Occidentale)


1) quella di Usman dan Fodio. Si sviluppa all’inizio dell’800 nel nord dell’attuale Nigeria, da
fiume Niger fino al lago Chad, tra le popolazioni Hausa. In pochi anni si sviluppa
un’importante entità politica che ha come centro la città di Sokoto. Questa città diventa il

cuore politico, sociale e militare di un califfato/stato forte e dinamico, con grandi capacità di
controllo sui territori e sulle attività economiche grazie al ruolo unificante dell’Islam e che
dura per quasi un secolo (fino all’arrivo dei britannici). Era un impero molto vasto. A
differenza di altre città africane, che usciranno annientate o ridimensionate dal colonialismo,
Sokoto riesce a mantenere un suo spazio politico e sociale importante.
2) Quella di Sekou Ahmadu. Si sviluppa più ad ovest, nella regione del Macina o Masina (area
del delta interno del fiume Niger, nell’attuale Mali), dove le genti fulani vengono unificate
creando uno Stato, lo Stato fulani del Masina. Agricoltura, commercio, pesca sono favoriti
dalla presenza del delta del fiume Niger. Caratterizzata da processi di modernizzazione delle
economie e delle società e spinge alla sedentarizzazione. Era espressione di rinascita islamica
ma anche di adattamento locale alla crisi dei traffici transahariani e alla fine della tratta
atlantica. In quest’area hanno fine in questa fase le ultime società ancora non assoggettate
all’islamismo, in quanto i culti locali vengono contrastati. Tale regno finì poi per essere
inglobato nel regno Tukulor.
3) Quella di Umar Tal. Si sviluppa fra gli attuali Senegal e Mali e prende il nome di regno
Tukulor. Da un lato si estende verso est (inglobando il regno del Macina) e dall’altro entra
per primo in conflitto con i francesi (da cui saranno sconfitti) che procedevano lungo il corso
del fiume Senegal. Inizialmente, nel 1880, viene firmato un accordo con i francesi che
garantiva al regno una certa autonomia e stabilità (trattato di Mango). Ma nel 1892 le ostilità
riprendono e i francesi entrano nell’area (tra i fiumi Senegal e Niger) e sconfiggono
definitivamente il regno Tukulor.

- Lo stato di Samori Tourè


Si sviluppa tra le popolazioni mandinka sull’alto percorso del fiume Niger (nell’attuale stato
della Guinea) e si rafforza nella seconda metà dell’800.
Ultimo movimento legato alle jihad, più tardivo rispetto agli altri, che si sviluppa proprio nel
periodo in cui i francesi stavano penetrando dalle coste e che con essi si scontrerà. Vari scontri
con i francesi che durarono molti anni, entra in crisi nel 1881 e viene sconfitto definitivamente
nel 1898.
Ultima jihad che si differenzia dalle altre per due motivi: è uno stato maggiormente militare e vi
è un pieno e diretto scontro con i francesi.

Tuareg (uomini blu, nella retorica coloniale)


erano gruppi politico-sociali fluidi considerati in periodo coloniale come società di lignaggio,
mentre per altri erano società basate su modelli complessi e gerarchici. Il loro assetto politico era
flessibile (capace di integrare sistemi economici e sociali differenti tra loro).
Importante ruolo politico e commerciale: Avevano acquisito prestigio attraverso il controllo delle
attività commerciali lungo le rotte carovaniere che attraversavano il Sahara (schiavi, oro, sale,
animali,..). Questo gli permetteva di esercitare controllo economico e militare nella regione del
Sahara (centrale), su cui riscuotevano diritti di passaggio.
Gli assi di commercio e comunicazione dei Tuareg erano 3:
- verso nord e le coste del nord Africa (Libia)

- verso est (aree dell’attuale Niger e Ciad. Avevano un centro importante ad Agadez attuale
Niger)
- verso sud (aree Hausa del Sahel occidentale)
#Sahel: area a sud del Sahara
Tutta una serie di processi trasformano e mettono in crisi le vie carovaniere e la loro economia
tradizionale già a partire dall’inizio dell’800.
Nel periodo coloniale la Francia marginalizzerà ulteriormente i Tuareg e l’Africa sahelo-
sahariana dei deserti verrà espulsa in modo definitivo dalle nuove reti del capitalismo globale,
subendo un irreversibile collasso economico e sociale.

Nel Sahara orientale:


- A nord emerge nel deserto libico la confraternita Senussia. Nella regione desertica tra Libia e
Chad i nomadi ridefinivano i nuovi assetti regionali spostando progressivamente le loro basi. La
confraternita aveva come missione l’urbanizzazione del deserto e la creazione di nuove
istituzioni per emanciparsi dal potere imperiale turco. Ascetica, esaltava il culto e rigettava ogni
ostentazione.
- A est nell’area sudanese si afferma il controllo egiziano (regno di Muhammad Ali) in seguito
alla spedizione napoleonica. Inoltre si sviluppa una forma di messianismo, attesa di un salvatore
(mahdi).
- A sud (lago Chad) persiste la monarchia Wadai

TRASFORTMAZIONI AFRICA DEL NORD: EGITTO, MAROCCO, TUNISIA, ALGERIA


Sin dal 500 l’Africa del Nord era stata una delle principali aree di transito e aveva un ruolo
strategico di mediazione commerciale e culturale, di comunicazione tra Mediterraneo e l’Africa
nera attraverso il deserto del Sahara. Il Nordafrica era stato definito la forza trainante del
Mediterraneo.
Durante l’800 questo ruolo di connessione si stava esaurendo, a causa del rafforzarsi di
compagnie mercantili europee, che fornivano una via alternativa di transito per le merci (via
marittima).
Gli scambi transahariani non erano più indispensabili e si stavano esaurendo, sconvolgendo gli
equilibri economici e sociali di tutto il Nordafrica. In particolare in tutte quelle aree aride (africa
sahariana) che senza il commercio subiscono un vero e proprio collasso politico, economico e
sociale e che sono interessate da grandi movimenti migratori.
In Nord Africa non c’è a quei tempi un processo di colonizzazione (con eccezione dell’Algeria),
in quanto non era ancora un obbiettivo diretto di conquista europea. I paesi europei guardavano
maggiormente al Mediterraneo come ad uno spazio per il controllo delle rotte commerciali,
ritenendo importante presidiare la costa atlantica del Marocco (molto importante prima della
creazione del canale di Suez come parte della rotta marittima verso l’Asia orientale) e contrastare
l’attività corsara presente sulle coste nordafricane.
Nel corso dell’800 in Egitto, Marocco e Tunisia si assiste a trasformazioni e riorganizzazioni
della statualità

Sulle coste nordafricane la sovranità era esercitata da:


1) Sultanato alawita del Marocco, nell’estremo occidente
2) Impero ottomano, in tutto il resto dell’Africa mediterranea (dominazione tramite dinastie
militari turche)
Le iniziative militari più significative di inizio ‘800 coinvolsero Alessandria d’Egitto e Algeri.

Egitto
Importante fu la spedizione napoleonica in Egitto di inizio ‘800, che dura circa 3 anni e ha come
obiettivo da un lato la competizione con la GB e dall’altro la riscoperta dell’Africa anche dal
punto di vista culturale (romanticismo culturale) e non solo per interessi strategici, economici e
commerciali.
Si può dire che la spedizione fu il simbolo di una nuova fase storica europea.
Allo stesso tempo l’occupazione è una spinta propulsiva alla modernizzazione dell’Egitto stesso
e in generale delle entità politiche del Nord Africa, sostenuta da confraternite e intellettuali
religiosi.
Inviato nel paese per far fronte all’invasione francese, nel 1805, dopo l’umiliazione dello sbarco
napoleonico, viene nominato governatore Muhammad Ali (capostipite di un’ultima dinastia di
sovrani d’Egitto).
Egli era consapevole della complessità della crisi che non era solo economica e commerciale, ma
anche sociale, politica e militare. E per questo si fa promotore di riforme politiche, economiche e
militari, mettendo in atto un primo esperimento di modernizzazione nordafricana precoloniale.
L’Egitto diventa più dinamico, rimanendo però dipendente dall’impero ottomano, e quando
Muhammad Ali comincia a rafforzare il suo potere entra in conflitto con il Sultano ottomano. Le
varie tensioni (controllo di Siria e Palestina) tra Ali e il sultano portano anche all’intervento di
Francia e Gran Bretagna (diventando più presenti nell’area), che temono possibili crisi nella
regione, destabilizzazione nel mediterraneo e forme di interventismo dello zar russo, per evitare
scontri diretti.
Anche se Muhammad Ali aveva ottenuto il solo titolo di wali, egli si era autoproclamato khedivè,
ovvero viceré ereditario, già durante il suo periodo di incarico.
Il sultano riconosce ufficialmente il titolo di khedivè (vice re) d’Egitto sotto Ismail, che prosegue
con l’opera di modernizzazione.
Si delinea uno stato organizzato (sia internamente, sia dal punto di vista regionale), con
modernizzazione dello stato e una politica imperiale che guarda a sud, conquistando una vasta
area dell’attuale Sudan. Con Ismail l’Egitto si spinge ancora più a sud verso l’Etiopia e il lago
Vittoria, ma qui verrà bloccato. Il vicereame attua quindi una politica di tipo imperialista (come
accade anche in Etiopia nello stesso periodo).
La modernizzazione si concentrò sulle infrastrutture: linee ferroviarie, apertura del canale di
Suez nel 1869 (evento importante in quanto modifica le rotte economiche, apre una via marittima
verso l'oriente). A causa di un continuo aggravarsi delle finanze dello stato, le quote azionari del
canale vengono acquisite dalla Grand Bretagna (ciò favorisce le successive ingerenze britanniche
sul territorio).

A causa dell’inasprirsi della crisi, della tassazione e con l’attuazione di nuove riforme, crescono
ostilità popolari. Il vicereame crolla e questo apre le porte ad ingerenze da parte delle potenze
straniere. Nascono rivolte interne dai toni nazionalisti e di opposizione al controllo europeo,
come quella del movimento di Urabi Basha nel 1879. Questa rivolta viene soffocata con un
intervento militare da parte degli inglesi nel 1882, che spiana la strada alla formazione del
protettorato britannico in Egitto.

Tunisia
Il bay Hamad, reggente per conto del sultano ottomano, avviò ampie riforme di modernizzazione
in modo simile a quando avveniva in Egitto (anche se rimangono delle differenze): sviluppo di
attività culturali, lotta alla schiavitù, nuovo slancio alle attività diplomatiche con paesi europei.
Anche qui si afferma un’élite che prefigura una modernizzazione dal punto di vista istituzionale
e culturale, e che aspira a guidare il movimento di riforma.
Nel 1861 con Sadiq viene stilata una Costituzione (la prima nel mondo islamico), che limitava il
potere del sovrano e rifondava lo stato beylicante. Verrà poi sospesa pochi anni dopo. Infatti,
nonostante la grande vitalità culturale, vi sono problematiche economiche, contrasti con le elitè
politiche e insurrezioni contro le imposizioni fiscali, i controlli dei commerci e le riforme
costituzionali. Queste difficoltà economiche e la fragilità della modernizzazione favoriranno poi
l’intervento militare e la nascita del sistema coloniale francese (che già aveva una posizione
consolidata in Algeria).

Marocco
Un processo analogo a quello tunisino e egiziano coinvolse anche il sultanato alawita del
Marocco: rafforzamento dello stato e dell’esercito, definizione del rapporto tra entità politico-
amministrative, infrastrutture (porti atlantici), cooperazione con l’Europa (rapporti con gli
spagnoli). Inoltre diventa importante una miglior definizione del controllo del territorio, che era
molto frammentato, vasto, a bassa demografia e costituito da tante piccole comunità mobili e
autonome. Ci fu anche un tentativo di inglobare e rivendicare i territori meridionali (quelli che
poi diventano il Sahara spagnolo occidentale).
Il Marocco da sostegno alla resistenza algerina contro i francesi (1930).
Qui a differenza degli altri due casi il sultanato è autonomo. Importante nel dare legittimità al
sovrano e nel compattare il sultanato è il ruolo delle confraternite, dei gruppi di credenti e
dell’Islam.
Inoltre nel territorio si avviano forme di sedentarizzazione dei gruppi nomadi, a causa della crisi
dei commerci transahariani. Soprattutto nelle zone provinciali interne esplodono dissidi (terre
della dissidenza nomade). Nonostante ciò il sultanato era riuscito a controllare gran parte del
Marocco costiero e centrale.
La spinta propulsiva di maggior modernizzazione avviene sotto il sultano Mawlay al-Hassan, che
riformò finanze ed esercito. Ma alcune debolezze, anche commerciali, favoriranno poi
l’instaurarsi del protettorato francese.
Già in questa fase possiamo parlare della nascita di un modello di proto nazionalismo (sul
modello egiziano). Mentre in Marocco il nazionalismo precede il colonialismo (con cui poi però
dovrà fare i conti e che subirà una rielaborazione nella fase post-coloniale), nel resto dell’Africa

il nazionalismo sarà legato al colonialismo. Viene promossa la diffusione dell’islam sunnita,


mentre viene ridotto lo spazio del suffisso e di altre attività socio-religiose locali (forme di
autonomia locale).

Algeria — si differenzia dai casi di Tunisia, Marocco ed Egitto


Ad inizio 800 diventa più esplicata una politica definita delle cannoniere, esercitata da singoli
stati o con azioni congiunte per ottenere vantaggi commercial, senza però contestare la sovranità
formale degli stati africani
Tra 1800 e 1830 ci furono ripetute spedizioni navali e assedi ai porti maghrebini di Algeri, Tunisi
e Tripoli.
Si apre cosi una nuova fare e gli equilibri mercantili nel Mediterraneo vengono ridefiniti.
Con le spedizioni si imponevano anche trattati ineguali, che in certi casi prevedevano clausole
per favorire gli interessi europei in terra africana (come il trattato imposto dalla Francia al bey di
Tunisi, che assegnava ai francesi il monopolio della pesca).
Gli interventi navali francesi su Algeri nel 1830 avviano una precoce conquista coloniale
francese in Africa. L’esperienza algerina può essere visto come un primo approccio coloniale
della Francia. L’altro caso in cui il modello colonialista è anticipato è quello del Sudafrica.
Inizialmente la Francia non aveva idee coloniali (voleva risolvere un contenzioso nato a causa di
un debito con l’Algeria che la Francia non aveva pagato), di vera e propria conquista del
territorio, ma successivamente decide di voler creare una sua base nel Mediterraneo, anticipando
in un certo senso le tendenze coloniali.
La conquista di Algeri e del suo territorio fu portata avanti a lungo e in diverse fasi, anche per
questo non è assimilabile alle conquiste propriamente coloniali della fase successiva. Inoltre fu
l’unica conquista territoriale destinata a diventare ufficialmente territorio francese (ciò non
accade all’interno degli altri contesti coloniali).
A causa dell’occupazione francese di Algeri e dei litorali mediterranei, le comunità autoctone
arretrano verso l’interno. Le comunità locali perdono il raccordo con l’impero ottomano,
subiscono effetti di marginalità, impoverimento, fragilità e tentano di proteggersi dandosi un
nuovo assetto di coordinamento autoctono (non mancavano però le rivalità interne).
Tra il 1840 e il 1847 le mire coloniali della Francia aumentano, l’influenza francese divenne più
dominante e nuovi armi e soldati vengono messi a disposizione per contrastare la resistenza
locale (organizzata come una nuova jihad di difesa).
Le zone interne però era prevalentemente desertiche e quindi di difficile penetrazione da parte
dei francesi.
L’Algeria vive un esperienza coloniale che la distingue dalle altre regioni, ma dal punto di vista
interno i territori algerini condividono gli effetti del declino economico sahariano.
Processo di graduale marginalità politica delle aree del maghreb, dove è il modello coloniale che
indirizza le scelte.
L’imperialismo di fine secolo raccolse i frutti della crisi economica e sociale che aveva travolto il
Nordafrica, ma già a metà 800 tutto il sistema di rete commerciali maghrebino appariva travolto
dal nuovo assetto mercantile europeo. I flussi mercantili erano gestiti da altri e questo andava a

compromettere sia l’autonomia dei poteri locali nel trarne benefici sia nel governare i processi
locali.

# Il colonialismo è collegato all’espansione del capitalismo in Europa. La riorganizzazione


economica dell’Europa di tipo capitalistico porta a interessi globali verso territori nuovi, verso il
mondo afro asiatico. Africa vista come fornitore di materie prime (cash crops) (punto importante
perché è una caratteristica che manterrà una certa continuità storica. anche al giorno d’oggi è
un’idea condivisa da molti). Materie prime sia di tipo agricolo sia di tipo minerario. Le questione
mineraria diventerà più centrale nel 900.
Capitalismo globale: elementi di riorganizzazione economica/mercantile/produttiva che
caratterizza l’800 e in cui l’Europa guarda a nuovi territori.

ALTRE TRASFORMAZIONI: ETIOPIA E STATO ZULU


Consideriamo altre 2 aree in cui avvengono processi di modernizzazione e riorganizzazione pre
coloniale molto diversi da quelli visi fino ad ora
Etiopia
Il contesto etiope era molto frammentato, composto da molteplici piccoli regnanti. Si parla
quindi di era dei principi.
Dalla metà dell’800 di sviluppa l’impero etiopico moderno sulle aree dell’altopiano del Corno
d’Africa (considerato il cuore dell’impero).
L’ Impero durerà fino al 1974 (storia di quasi un secondo), salvo la breve parentesi di
occupazione coloniale italiana tra il 1936 e il 1941. Dopo il 1974 si instaura uno stato marxista-
leninista.
Dopo l’iniziale frammentazione, si forma un impero avente maggiore unità e maggiore potenza
militare.
Due elementi che contribuiscono all’opera di modernizzazione:
(1) Idea che la rinascita e la modernizzazione derivino dalle capacità politico-sociali dei suoi
regnanti; legittimati dalla discendenza dal re Salomone e dalla regina di Saba. Richiami di storia
antica per legittimare storicamente i futuri regnanti.
Tre principali imperatori:
- Teodoro II (1855-1868) — che riesce a ridurre i conflitti tra i principi e da avvio al
rafforzamento dello stato. Riesce gradualmente ad unire le aree centrali dell’impero e a costruire
un esercito sempre più forte ed organizzato.
- Giovanni IV (1871-1888) — riesce ad intensificare il processo di unificazione del Tigrai e dello
Scioa (aree centrali dell’altopiano), a respingere le rivendicazioni straniere e a ritrovare appoggio
nelle campagne (grazie ad un rinnovato rapporto con la chiesa).
- Menelik II (1889-1913) — che con la vittoria ad Adua (1896 contro gli italiani) ottenne
maggiore forza politica e legittimità, che gli permettono di ampliare le conquiste territoriali che
porteranno poi alla formazione dell’Etiopia contemporanea. Espansione non solo territoriale, ma
anche economica. Riesce a rafforzare l’amministrazione e le finanze dello stato.
(2) Ruolo della chiesa cristiana ortodossa monofisita (che di instaura con Teodoro II). Monofisita
nel senso che non riconosce la trinità. Questa connessione con la religione conferisce ulteriore

spazio politico e forza all’impero. Questo anche perché gran parte delle terre erano possedute
dalla chiesa stessa. Quindi l’opera di modernizzazione si svolse in connessione con il ruolo della
Chiesa cristiana ortodossa monofisita, che soprattutto nella fase è il principale motivo di unità
nazionale sull’altopiano.

Sul piano nazionale si crea un nuovo equilibrio che riesce ad unire gli interessi di monarchica,
chiesa e dei principi locali.
Sul piano internazionale il nuovo Stato etiopico riuscì a respingere sia le rivendicazioni della
Gran Bretagna (attraverso l’Egitto e il Sudan) sia quelle provenienti dall’Impero Ottomano (che
operavano lungo le coste del Mar Rosso) sia quelle italiane.
La pace di Addis Abeba (nuova capitale dell’impero), in seguito alla sconfitta italiana ad
Adua, consacra il mantenimento dell’indipendenza dell’Etiopia sul territorio conquistato
da Menelik e secondo i confini concordati con Francia, Gran Bretagna ed Egitto.
L’Etiopia ottenne anche legittimità internazionale, entrando a far parte della Società delle
Nazioni nel 1923 (unico paese non europeo presente).

Hailè Selassie dal 1930 guida un’impero sempre più centralizzato e moderno. Egli rafforza la
monarchia e i privilegi economici di nobili e sostenitori. Lo stato diventa
sempre più assolutista e basato su una politica di sottomissione delle entità regionali al
centro imperiale.
Nel 1974 si arriva colpo di stato marxista-leninista, che pone ufficialmente fine all’impero.

Lo stato zulu
All’inizio dell’800, sotto impulso del re Shaka si forma il regno zulu nelle regioni orientali
dell’attuale Sudafrica dall’unione di diverse entità politiche preesistenti.
Il regno si struttura politicamente e militarmente diventando uno stato potente predatorio e di
conquista. La struttura militare era forte, in quanto il regno era riuscito a irreggimentare i giovani
che obbedivano e appoggiavano il re.
Le guerre di conquista degli zulu provocano lotte, violenze, spostamento di popoli in tutta la
regione dell’Africa australe. Tale processo è noto come mfecane o difacane e rappresenta una
fase di trasformazioni endogene/interne alle società africane della regione.
L’affermarsi di questo fenomeno sono varie (non ci cono cause storiche certe):
- crescita demografica
- crisi delle attività agricole e di allevamento
- fattori ambientali (siccità,..)
- nuove opportunità commerciali nell’attuale Mozambico (baia di Delagoa) dove erano già
arrivati i portoghesi (rafforzamento dell’espansione commerciale)
Con l’affermarsi del regno, anche la società si trasforma, e molti gruppi iniziano ad identificarsi
come zulu (anche se rimangono resistenze in seno al regno).
Grande trasformazione geopolitica della regione:
(1) Migrazioni — persone che scappano dal nuovo regno o settori del regno che si muovono per
conquistare nuovi territori (incorporazione di altri stati)

(2) Nuove entità statali centralizzate. Casi importanti:


- Regno di Swaziland (tra Sudafrica e Mozambico)
- popolazioni di lingua Sotho (si spostano/scappano dal nuovo regno verso aree di montagna
sotto la guida del re Moshoeshoe. Chiedono la protezione dei britannici, che creano il
Protettorato del Basutoland, oggi Lesotho)
- Regno di Gaza (Mozambico meridionale)
- popolazioni Ndebele (gruppo ribelle a Shaka che si stabilisce nelle regioni sud occidentali
dell’attuale Zimbabwe. Qui fondano il Regno Matabele, che in seguito diventa parte della
colonia britannica della Rhodesia)
Il regno si va poi a scontrare con i processi di intervento britannico in Sudafrica, a partire dal
1830. Con le cosiddette guerre zulu (1879) si arriva alla sconfitta definitiva del regno, che viene
incorporato nel sistema coloniale britannico e poi nell’attuale Sudafrica.

# La penetrazione nel bacino del fiume Senegal (Africa Occidentale) nell'800:


Il territorio dell’attuale Senegal è una regione in cui l’affermazione del controllo militare e
politico europeo aveva preceduto temporalmente lo scramble di fine 800. In particolare nel corso
del 700 si afferma una dura competizione commerciale tra Francia e Gran Bretagna in questi
territori, dove poi si afferma la sfera di influenza francese.
I cosiddetti 4 comuni del Senegal dati i rapporti economico-politici con la Francia
subiscono delle trasformazioni, anticipando ciò che negli altri possedimenti avverrà
solo più avanti.
A partire da metà 800 gli abitanti dei quattro comuni iniziano a godere di uno status
giuridico particolare, sono considerati cittadini francesi e durante il periodo coloniale
furono esentati dal regime dell’indigenat.
La Francia nel tempo riesce a inserirsi in una fitta rete di scambi soprattutto sale, oro,
gomma, schiavi (impiegati anche all’interno della regione stessa).
La Francia consolida sempre di più la propria presenza lungo il corso del fiume Senegal, con
un’intensificazione delle esportazioni prima di gonna e poi di arachidi. La politica francese si fa
più aggressiva e mira ad espandersi.
L’espansione coloniale francese in Africa occidentale anticipa la corsa alla spartizione:
si ampliano e consolidano i possedimenti attorno al bacino del Senegal e vengono conquistati
territori lungo il corso del Niger (che diventa il Sudan francese). A questi si aggiungono la
regione della Casamance e di quella che diventa la Guinea Conakry.
Il Gambia rimane alla GB.

LA SPARTIZIONE COLONIALE — lo scramble


Il sistema coloniale e i modelli imperiali di fine ‘800 rendono ancora più internazionale il
continente africano.
L’Europa degli stati-nazione, delle trasformazioni economiche e tecnologiche e della
civilizzazione va alla conquista del mondo afro-asiatico.

Scramble for Africa: rapido e con grandi rivalità tra nazioni. Fenomeno complesso
Dal punto di vista delle relazioni internazionali la corsa alla spartizione dell’Africa
(scramble) vede le potenze europee utilizzare il colonialismo come strumento
diplomatico che permetteva di scaricare sulle periferie (le colonie) le tensioni interne.
Gioco diplomatico tra le nazioni. Il colonialismo fu importante nella politica di
mantenimento dell’equilibrio fra le grandi potenze europee.
Inoltre è importante, per comprendere i processi di spartizione, tenere conto anche di ciò
che accade all’interno del contesto africano e le dinamiche politiche locali.
Attori importanti nella prima fase coloniale: gli esploratori (Livingston esploratore e
missionario scozzese) e le compagnie concessionarie (entità economico amministrative
più o meno private attraverso cui tutti i sistemi coloniali hanno gestito i territori in una
prima fase. In molti casi a causa di mancanza di capitali o eccessivo uso della violenza, i
governi si sono visti costretti ad assumere il controllo diretto dei territori africani)

I MOTIVI DELLA SPARTIZIONE


Gli studiosi evidenziano diversi fattori ed elementi che hanno concorso allo sviluppo del
colonialismo nel mondo afro-asiatico ed hanno anche sviluppato un ampio dibattito, in
particolare sulla rilevanza dei fattori economici e non economici (politici, sociali,
nazionali). Fattore economico è stato elemento di discussione, in quanto per alcuni
studiosi sarebbe meno importante e rilevante rispetto ai fattori politici.
Il mondo afro-asiatico entra a far parte di processi internazionali di trasformazione di
stati, società ed economie.

Fattore economico (ricerca di nuovi sbocchi commerciali)


Nei quattrocento anni precedenti il rapporto con l’Europa era concentrato (1) sulla tratta
degli schiavi e (2) su postazioni commerciali lungo le coste (con popolazioni locali come
intermediari con le zone interne).
Successivamente con la rivoluzione industriale (trasformazioni tecnologiche) si erano
rafforzati gli interessi europei verso le materie prime e verso l’apertura di nuovi mercati.
Sovrapproduzione ed eccesso di capitali spinsero alla conquista di nuovi territori.
La penetrazione all’interno del continente africano fu facilitato dalle trasformazioni e
innovazioni tecnologiche della rivoluzione industriale (es. motore a vapore, che permette
di navigare i fiumi africani) e da scoperte in campo medico (farmaco per contrastare una
malattia ampiamente diffusa in Africa, cioè la malaria).
L’avvio del sistema coloniale è un’ulteriore fase della storia globale e produce modelli
imperiali delle società occidentali verso gli altri contesti. Imperialismo come politica
estera che corrispondeva all’era del capitalismo europeo.
Durante questo processo l'Africa non ha beneficiato di investimenti: il fattore
economico diventa importante in termini di sfruttamento, molto meno nei termini di
immaginare un processo di sviluppo interno all’Africa attraverso gli investimenti.

Tre elementi internazionali da ricordare:


1) Guerra dell’oppio 1839-1942 tra la Cina e gli Inglese. Costrinse la Cina ad aprirsi agli

interessi inglesi. Processo che accresce gli interessi europei verso l’Asia, verso l’oriente.
2) Apertura di attività commerciali in Giappone
3) Attenzione al ruolo dell’impero ottomano per definire la gestione dello spazio nel
Mediterraneo (importante è l’apertura del canale di Suez, che modifica i rapporti
internazionali). Interesse sia economico che strategico verso l’Africa settentrionale e
l’Egitto.

Mentre si rafforzavano gli interessi inglese di tipo imperialista (legati ai nuovi commerci
internazionali, al libero scambio, al ruolo finanziario della City), aumentava la
competizione fra la Gran Bretagna e le altre potenze europee, favorendo la conquista del
mondo afro-asiatico.
Gli interessi coloniali si legano al rafforzamento di modelli nazionali e a considerazioni
strategiche nei rapporti tra i diversi paesi.
Nel caso specifico dell’Africa meridionale (es. caso del Sudafrica), la scoperta dei
diamanti e dell’oro innestò un nuovo processo economico di conquista del territorio
sudafricano e successivamente dei territori a nord del fiume Limpopo, processi in cui
la costruzione delle ferrovie insieme alle attività economiche e militari furono centrali.
Fattori non economici
- Nazionalismo
L'espansione coloniale di fine secolo segnò il passaggio da un colonialismo informale a
una vera e propria spartizione basata su un modello imperialista, dipendente dalle
profonde trasformazioni degli Stati europei così come dalla maturazione di elementi di
crisi del liberalismo (es. politiche protezioniste), mentre emergevano i nazionalismi.
La formazione (Germania, Italia) / riorganizzazione (Francia, Gran Bretagna, Portogallo)
degli Stati europei ha rafforzato dei modelli nazionalisti che hanno favorito l’emergere le
colonialismo.
• Importante considerare la guerra franco prussiana. Sconfitta della Francia, nascita della
III repubblica, cresce la tensione tra i nuovi nazionalismi europei (squilibrio politico). La
necessità di riscatto dopo la sconfitta è un elemento per capire il ‘guardare oltre’, il
guardare a nuove opportunità per rafforzare il proprio nazionalismo, anche rispetto alle
altre nazioni. Ciò si esplica nel colonialismo e anche nella fase ultima che porta la
Francia alla conquista dell’Algeria (e trasferimento di colonie francesi in Algeria).
Proiezione oltre il mediterraneo della Francia. La Francia vuole essere un
paese libero, ma anche un paese che vuole esercitare la sua influenza sui destini del
mondo diffondendo i propri costumi, la sua lingua e la sua cultura (Jules Ferry).
• La Germania aveva interesse a rafforzare la sua posizione in Europa attraverso la
partecipazione alla spartizione coloniale. Il cancelliere Bismarck (è lui che indice la
conferenza di Berlino) si rivolse quindi alla politica coloniale per legittimare un ordine
sociale che si stava trasformando (governo, istituzioni,..), una questione che in qualche
modo emerse anche nel caso italiano dove tuttavia lo sviluppo capitalista era in ritardo.
Per questo si parla di imperialismo sociale.
• Come i tedeschi anche gli italiani cercarono di convincersi di essere una grande potenza
e di poter usare il nazionalismo per soddisfare e giustificare le ambizioni coloniali. Si

parla di un colonialismo improvvisato, che avviene più per imitazione e che si sviluppa
tardi.
• Il Portogallo era interessato a seguire questi processi anche in rapporto al fatto che la
sua presenza da secoli stabilita sulle coste (Angola e Mozambico) permettevano ora di
espandersi verso l'interno.
• A questi si aggiungeva l'interesse specifico del Belgio, mediato nella prima parte dagli
interessi personali del re Leopoldo. Caso particolare. Grande colonia del
Belgio è il Congo.

- Missione civilizzatrice e di evangelizzazione


Elemento importante anche se non trainante
Percezione diffusa nell’Europa dell’epoca in particolare nell’Inghilterra vittoriana: idea
che l’Europa sia un’avanguardia civilizzata dell’umanità che doveva civilizzare i popoli
arretrati. Il “fardello dell'uomo bianco” espresso dallo scrittore Kipling nel 1899
esprimeva questa idea di una crociata umanitaria che giustificava l'imposizione del
modello coloniale su Africa e Asia. Elemento che giustifica le imprese coloniali.
Elemento affiancato da altre azione di tipo filantropico, di assistenza (anche sanitaria) e
anche azioni di tipo educativo (scuole) e religioso.
L’imperialismo diventa così economia, nazionalismo, civiltà che si uniscono in qualche
modo nella missione civilizzatrice (carica di concezioni di razzismo e evoluzionismo). A
questo si affiancò il ruolo delle chiese cristiane e dell’evangelizzazione, tutte svolte nel
nome della civilizzazione, che diedero giustificazione morale all'intervento colonialista.
L’imperialismo europeo era nazionalista, ma aveva un certo legame con i modelli di
espansione economica (rapporto proficuo tra politiche interne e politica estera).
Cambiano gli interessi economici globali.

LA CONFERENZA DI BERLINO (1884)


Si tratta dell’avvenimento fondante, anche dal punto di vista simbolico, della spartizione
dell’Africa. Sancisce in modo ufficiale l’inizio del periodo coloniale.
L'iniziativa prese spunto da primo ministro prussiano Bismarck il quale, preoccupato di
un accordo fra portoghesi e britannici del 1884 per la spartizione dell’Africa meridionale
(foce del fiume Congo), voleva partecipare ai processi coloniali. La conferenza di Berlino
definì la spartizione dell'Africa anche se formalmente la questione non era direttamente in
agenda. La Germania vuole essere l’attore che indirizza le strategie.
Nel frattempo la Germania cercava di espandere il controllo sull'Africa del sud-ovest,
Togo e Camerun e in Africa orientale, mentre il re del Belgio cercava di estendere il suo
controllo sul Congo. Il Marocco invece era nelle mire francesi, britanniche, tedesche e
anche dell’impero austro-ungarico.

Tre punti principali di discussione:


- Libertà di commercio nel bacino del Congo (il Congo era un territorio di grande
sfruttamento e interesse commerciale, data la presenza di avorio, legname, gomma

naturale e minerali)
- Libertà di navigazione sui fiumi, come il Congo e il Niger
- Definire norme da tenere in considerazione rispetto ad eventuali occupazioni ulteriori
del suolo africano (da allora i paesi europei che occupavano un territorio, dovevano
esercitarvi un’autorità effettiva. Fine dell’epoca degli imperi informali.

I risultati della conferenza vennero divisi in 6 testi relativi a:


1. Commercio nel bacino del Congo
2. Tratta degli schiavi
3. Territori del bacino del Congo che dovevano essere neutrali.
4. Norme per la navigazione del Congo
5. Norme per la navigazione del Niger
6. Norme dei rapporti internazionali riguardanti possibili occupazioni del continente
Questo sesto punto fu al lungo dibattuto, e fu ciò che diede poi avvio allo scramble del
continente e al colonialismo.
In particolare:
Articolo 34 - dove si diceva che la potenza che avesse preso possesso di un territorio sulle
coste e che avesse stabilito dei possedimenti lo avrebbe notificato alle altre potenze al
fine di far valere le proprie rivendicazioni
Articolo 35 - ricordava che le potenze firmatarie della norma avevano l’obbligo di
realizzare nei territori occupati una situazione in grado di far rispettare i diritti acquisiti e
di garantire diritti di libero di commercio e di transito.

LA SPARTIZIONE E LA CONQUISTA
La conquista coloniale fu molto spesso un atto violento e realizzato in modo militare e
caratterizzato da tensioni costanti.
Le popolazioni africane cercarono in molti contesti di resistere alle penetrazioni coloniali,
per preservare una loro autonomia. Tale resistenza si articola secondo modalità diverse.
Gli europei avevano una superiorità tecnologica per quanto riguarda gli armamenti,
nonostante l’inferiorità numerica. Ad esempio in Etiopia l’Italia fu sconfitta, gli etiopi
erano riusciti a schierare 100.000 soldasti (netta inferiorità dell’esercito italiano).
Ci sono però stati casi in cui gli attori africani non hanno esitato ad allearsi con gli stessi
europei, sfruttando l’occasione di avanzamento economico e sociale che in contesto
coloniale poteva offrire.

Alcuni casi emblematici di resistenza in Africa occidentale:


- Samori
- Regni quali Benin, Tukulor, Ashanti, Dahomey

Altri casi di resistenza (diversi tra loro ma con punti in comune: aree a predominanza
mussulmana, ruolo delle confraternite, dura risposta militare da parte delle potenze
coloniali):

- Libia — resistenza Uman al-Mukhtar


- Somalia (Somalia italiana e Somaliland britannica) — lotta anticoloniale (Mad Mullah)
- Sudan (scontro con lo Stato del Madhi)

Movimenti di rivolta che non derivano da statualità forti o modelli di aggregazione


religiosa. I modelli di aggregazione che si creano sono di aggregazione dal basso, che
nascono come risposta ai tentativi di conquista dei contadini, delle persone comuni. Sono
comunque presenti elementi di spiritualità, legati però alle religioni tradizionali africane.
- Rhodesia — Chimurenga (ribellione degli Shona e Ndebele, lotta contro i colonizzatori)
- Africa del Sud Ovest (Namibia) — rivolta Nama Herero
- Tanganika (Tanzania) — rivolta Maji Maji

# Rhodesia del Sud corrisponde all’attuale Zimbabwe, mentre la Rhodesia del Nord allo
Zambia

Altra questione centrale: se c’è un collegamento diretto tra le resistenze alla


colonizzazione e le successive lotte per l’indipendenza. Alcuni dicono di si, altri sono più
cauti sottolineando anche come il quadro nazionale e internazionali in cui le rivolte si
inseriscono sia profondamente diverso.

GEOGRAFIA DEL COLONIALISMO


Germania: Togo, Africa del Sud ovest (Namibia), Camerun, Tanganyka, Ruanda, Burundi
Tutti questi territori passano ad altre potenze europee dopo la prima guerra mondiale, che
avevano il compito di mantenere ordine, buon governo e promozione di benessere tra gli
abitanti. La spartizione di tali territori tra le potenze si basa sull’istituto del Mandato della
società delle nazioni (tutti mandati di tipo B, con eccezione dell’africa del sud-ovest).
• Mandati di tipo B:
- Togo e Camerun di Francia (anche la Grand Bretagna ne controlla alcune aree)
- Tanganyika alla Gran Bretagna
- Ruanda e Burundi al Belgio
• Mandato di tipo C:
- Africa del Sud ovest (Namibia) — passa sotto diretta amministrazione del Sudafrica
(anche in questi territori come in Sudafrica ci saranno lotte armate per la liberazione e
casi di segregazione. É un caso unico rispetto agli altri)
• Mandati di tipo A
- Palestina, Transgiordania e Iraq alla Gran Bretagna
- Librano e Siria alla Francia
- Papua Nuova Guinea prima ad Australia, poi a Grand Bretagna e infine all’Indonesia

A questo punto Francia e Gran Bretagna controllano 4/5 del continente africano.

Francia
- Prima federazione (africa occidentale francese. Formata già nel 1895, subisce delle

variazioni): Dahomey (attuale Benin), Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Mauritania,


Niger, Senegal, Sudan francese (attuale Mali), Alto Volta (attuale Burkina Faso)
- Seconda federazione (1908. Africa equatoriale francese): Gabon, Congo Brazzaville,
Chad, Ubangi Shari (attuale Repubblica centro africana)
- Tunisia, Algeria, Marocco (in Africa settentrionale)
- Madagascar, Isole Comore, Gibuti
- Più i territori ottenuti dalla società delle nazioni (Togo e Camerun)
Molti dei territori francesi nella parte occidentale erano desertici e quindi poco utili,
anche nella zona equatoriale solo alcune aree potevo essere sfruttate per coltivazione e
estrazione di risorse (legno)

Gran Bretagna
- Africa occidentale: Nigeria, Costa d’oro (oggi Ghana), Sierra Leone, Gambia
- Sudan (codominio anglo-egiziano), Zanzibar, Kenya, Somaliland, Uganda, Seychelles e
Mauritius
- Africa australe: Rhodesia del nord (Zambia) e del sud (Zimbabwe), Swaziland,
Bechuanaland, Basutoland, Sudafrica (caso analizzato a parte), Nyasaland
- Più i territori ottenuti dalla società delle nazioni (Tanganyika)

Portogallo
- Africa australe: Angola, Mozambico
- Guinea Bissau, arcipelago di Capo Verde e e Sao Tomè e Principe.

Belgio
- Congo
- Ruanda e Burundi (mandati B)

Italia
- Libia, Eritrea, Somalia
- Etiopia (solo per un brevissimo periodo)

Spagna
- Guinea Equatoriale
- Sahara Occidentale (abbandonato con la fine del franchismo. Anche le popolazioni
locali tentano di rivendicarne l’indipendenza e allo stesso tempo c’è una rivendicazione
da parte del Marocco. Questo apre un contenzioso internazionale).

Liberia — non è stato colonizzato. Nasce come stato indipendente nel 1816 dagli
interessi filantropici, umanitari di società antischiaviste statunitensi, per promuovere il
ritorno in Africa di ex schiavi liberi .
Vanno ad occupare territori verso l’interno (utilizzando gli stessi metodi di
conquista degli europei) e all’inizio del ‘900 vengono sanciti dei confini definitivi, in
accordo con le potenze coloniali della regione.

Quindi la Liberia vive una sua storia specifica, e non sarà coinvolta in prima persona nel
processo coloniale. Si instaura però una forma di colonizzazione economica, legata ad
interessi internazionali sulla gomma (di cui il paese era ricco). Sarà interessata da una
guerra civile negli anni ‘90.
Sierra Leone e Gabon solo altri due Stati in cui ritornano ex schiavi liberati.

Etiopia: rimane uno stato indipendente. L’Italia viene sanzionata dalla Società delle
Nazioni quando occupa l’Etiopia.

MODELLI DELLA DOMINAZIONE COLONIALE E LE DIVERSE POTENZE


COLONIZZATRICI
Analizzeremo il colonialismo rispetto a:
- Modelli delle amministrazioni
- Modelli di sfruttamento economico

MODELLI DI SFRUTTAMENTO ECONOMICO


3 modalità di sfruttamento economico:
1. Le colonie dei settler: casi emblematici sono il Sudafrica, la Rhodesia del sud, il Kenya
e possiamo anche includervi l’Algeria francese. Notiamo una maggiore vicinanza tra
questo tipo di sfruttamento e il modello coloniale britannico. Nelle colonie portoghesi
questo modello non si afferma.
Caratteristiche: esproprio delle terre e creazione di riserve indigene (cioè aree riservate
all’insediamento e alle attività economiche), controllo economico e politico diretto dei
coloni presenti sul territorio. L’intervento dei coloni è anche un intervento di tipo
produttivo.
2. Il commercio lecito e i cash crops: La caratteristica principale è il fatto che lo stato
coloniale controlla i flussi commerciali e le redite del commercio lecito (tramite
tassazione, ecc.), ma tale commercio viene gestito dai piccoli produttori locali (che
comunque ne ricavano qualcosa). Ci sono spesso modelli di produzione obbligatoria, si
producono cash crops (arachidi, cotone, caffè, cacao, olio di palma). Tipico dell’africa
occidentale (che entra in un circuito di commercio globale non più legato alla tratta degli
schiavi). Si rafforza quindi l’agricoltura commerciale.
In questo contesto possiamo dire che si forma un capitalismo senza capitalisti (non si
forma una classe agraria capitalista), in gran parte infatti non c’è separazione dei mezzi di
produzione (capitale, terra, lavoro) perché non c’è la proprietà privata della terra
(effettiva, nel senso capitalista del termine. Ma è la società, sono le convenzioni sociali
che stabiliscono chi ha diritto di controllo e su quali territori. Questo aumenta la
stratificazione sociale, perchè determinate persone riescono ad ottenere socialmente più
territori di altri). Questo implica che tutto si svolge all’interno dell’ambiente sociale della
famiglia produttrice.
La società e i sistemi produttivi si trasformano, ma non si verifica una transizione verso il
capitalismo.

Crisi dell’agricoltura alimentare e danni ambientali.


3. Economia di sfruttamento e rapina: basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse
naturali (gomma, legname, avorio) e in seguito minerarie. In particolare in Africa
Centrale: Congo belga e Gabon. In queste zone c’è una forte presenza e predominanza di
compagnie concessionarie (più spregiudicate), che gestiscono i modelli di sfruttamento e
di esproprio/rapina delle risorse naturali (e anche di sfruttamento delle persone, obbligate
ad esempio a raccogliere la gomma). Lo sfruttamento fa parte del colonialismo in sé, ma
qui troviamo un modello esasperato di sfruttamento. Modello più coercitivo rispetto alla
2a modalità di sfruttamento citata precedentemente.

MODELLI DI AMMINISTRAZIONE
Le due principali potenze coloniali Francia e Inghilterra si ispirarono nella costruzione
delle strutture statuali coloniali a dottrine diverse e divergenti.
La Francia mise in piedi sistemi centralizzati e relativamente uniformi, l’Inghilterra
sistemi decentralizzati e maggiormente diversificati.
Entrambi però puntavano a coinvolgere alcune autorità locali nella gestione del potere,
anche se con modalità diverse. Inoltre entrambe le potenze preferirono attuare una
politica che andava a rimarcare le differenze tra colonia e madrepatria.
Vengono adottati modelli che mettono in competizione diverse comunità locali,
ostacolando così la formazione di legami di solidarietà e indebolendo le possibili
rivendicazioni politiche nei confronti dell’autorità coloniale.

IL SISTEMA FRANCESE DELL’ASSIMILATION


Il sistema coloniale francese dell’assimilation si inseriva nella tradizione universalistica
ereditata dalla rivoluzione francese e dall’illuminismo e nella missione civilizzatrice della
Francia (che insieme al Portogallo rafforzano l’idea di missione civilizzatrice, in quanto
si inserisce nella loro visione del sistema coloniale).
Coerentemente con le dottrine evoluzioniste, la teoria dell’assimilation partiva dalla
concezione che la diversità tra le razze potesse essere ridotta a forme sociali universali e
che per mezzo della dominazione coloniale si sarebbero potute trasformare le società
indigene a immagine e somiglianza della civiltà francese (teoria di evoluzione delle
culture e delle società, che si sarebbero dovute evolvere a immagine e somiglianza della
Francia). Era una dottrina coerente con la concezione giacobina della Repubblica come
una e indivisibile che venne sostenuta come riferimento ideale nella storia coloniale
francese.
Nella teoria coloniale francese quindi la dominazione e lo sfruttamento delle colonie
erano legittimati in nome di tali presupposti. L’idea della civilizzazione completava la
struttura concettuale e politica della dominazione francese.
L'assimilation non implicava il riconoscimento dell’uguaglianza, al contrario si fondava
sull’ineguaglianza fra le razze (distinguendo tra cittadini e sudditi coloniali).
Il dominio si concretizzava in un sistema centralizzato e gerarchico (che poi varia da
colonia a colonia e con il tempo), con politiche verticistiche finalizzate a promuovere lo

sviluppo economico dei territori, dove i sudditi erano sottoposti al controllo coloniale
attraverso il regime dell’indigenat. Era un sistema che voleva creare un ordine coloniale;
applicato inizialmente in Algeria e poi si estende agli altri possedimenti francesi in africa
Subsahariana. Dava alle autorità amministrative il potere e l'autorità di comminare
sanzioni penali senza che vi fosse giudizio, mediante un sistema di giurisdizione di
appositi tribunali per gli indigeni. Sistema quindi di discriminazione che rimarrà in vigore
fino al 1946. Gli indigeni erano inoltre obbligati a prestazioni in natura (cioè lavoro
obbligatorio) per le opere considerate di pubblica utilità (es. strade/ferrovie. processo
chiamato corvet).
Evoluet: sudditi che acquisiscono diritti specifici perché la Francia riconosce loro un
livello superiore di avanzamento sociale/politico.
Il modello francese è estremamente centralizzato sopratutto nella fase iniziale (in
particolare in Algeria, mentre in Marocco meno).
Dopo la prima guerra mondiale (anni ’20/30 dopo una serie di disordini nelle campagne e
crescenti rivendicazioni politiche degli evoluet) si ebbe una graduale trasformazione che
portò ad un avvicinamento ai capi tradizionali, intesi però come strumenti funzionali alla
trasmissione degli ordini coloniali (tramite tra la Francia e i ‘sudditi’). Si creano quindi
rapporti preferenziali con alcune élite mussulmane (i possedimenti francesi erano infatti a
maggioranza mussulmana).
(Tale modello verticistico non si traduce in una uniformità amministrativa sul territorio.)
Aumenta sempre più la distanza da ogni ipotesi di assimilare i sudditi africani ai cittadini
francesi (i criteri per ottenere la cittadinanza erano molto selettivi)
# La Mauritania è un eccezione in quanto in questi territori si applicherà un modello
britannico (forma di governo indiretto)
# in Algeria abbiamo una colonia dei settler

IL SISTEMA BRITANNICO DELL’INDECT RULE


Il sistema britannico si definisce come Indirect rule (governo indiretto).
L’indirect rule derivava da una concezione del tutto opposta all'ideale universalistico
sostenuto dalla Francia. Infatti parte dalla premessa che non fosse possibile e non si
dovesse operare un’omogenea civilizzazione, mentre si doveva mettere in primo piano il
primato e l'esclusività della diversità culturale (non si riteneva che i sudditi potessero
diventare cittadini in futuro).
L’Inghilterra fa della gerarchia il suo punto di riferimento: gerarchia dei coloni che hanno
il controllo politico, militare e sociale.
La diversità culturale diventa un valore fondamentale (concetto problematico perché
dietro a tale presupposto c’è l’idea di gerarchia delle razze, di superiorità razziale. Tale
elemento si riproduce anche in fase post coloniale nel rapporto con i paesi che erano stati
colonizzati).
La Gran Bretagna punta anche a contenere i costi di tale sistema coloniale (una
dominazione diretta sarebbe stata più costosa e rischiosa).
La dominazione coloniale britannica basata sul governo indiretto consisteva di: un

governo coloniale (che si occupava dei problemi generali di gestione delle risorse, che
guidava e definiva le priorità) e un governo indigeno (che svolgeva compiti di
amministrazione locale). Tale governo indigeno si fondava sul collegamento con autorità
indigene tradizionali, dette native authorities (autorità che poteva essere individuale ma
anche anche collegiale), le quali gestiscono e controllano una native administrations
(amministrazione indigena. Sono aree territoriali, designate dai britannici, amministrate
da autorità indigene).
Alle autorità locali si chiedeva di: gestire la consuetudine, gestire tribunali locali basati
sulle norme consuetudinarie, esigere le imposte, controllare i sistemi tradizionali di
controllo e accesso alla terra (ossia il regime fondiario).
Quindi è un sistema in cui le direttive dello stato coloniale vengono messe in atto dalle
autorità locali indigene.
La Gran Bretagna aveva quindi la necessità di sapere chi poteva rappresentare la native
authorities in un determinato territorio.
A questo scopo:
- Laddove i sistemi politici locali erano ritenuti abbastanza avanzati, centralizzati e
gerarchici, l’amministrazione coloniale fece esplicito riferimento a queste entità.
Questo accade ad esempio nella parte settentrionale della Nigeria, dove la native
authorities venne identificata con il califfato di Sokoto e in generale tutta la struttura
legata all’islam. O accande anche in Uganda con il regno dei Buganda.
- Laddove le società indigene erano basate su sistemi “elementari”, centrate sui sistemi di
parentela e acefale, dove quindi il potere era frammentato e diffuso, l’autorità coloniale
va ad identificare strutture locali da utilizzare nella gestione del territorio.
Ad esempio questo accade in alcune aree meridionali della Nigeria, dove non c’erano
strutture centralizzate (come Sokoto) e quindi non c’erano autorità direttamente
individuabili. Erano aree che Lord Lugart definì come abitate da tribù arretrate (backward
tribes).
In questo caso le autorità devono quindi essere cercate, identificate e adattate o perfino
inventate. In una società mobile e variegata la GB deve definire egli stessa un’autorità
centrale (che non esisteva prima).
Nel caso della Nigeria meridionale si tratta di piccoli gruppi locali: gli Ibo (che vengono
definiti come autorità indigena e in tal modo rielaborati e resi diversi dagli altri). Si crea
cosi un modello di differenziazione culturale. Inoltre, attribuendo in modo esclusivo il
potere ai cosiddetti capi tradizionali, l’amministrazione coloniale attua una
semplificazione della complessità dei modelli di autorità dell’Africa precoloniale.

—————————————-
TERMINE TRIBU. É problematico. È fuori luogo parlando del sistema contemporaneo.
Le tribù sono una costruzione del colonialismo, infatti prima del colonialismo molti
gruppi etnici non esistevano. Inoltre determinati gruppi che prima esistevano anche prima
del colonialismo (es. Ibo) si ampliano in tempo coloniale perchè in alcuni casi definirsi in
un certo modo poteva portare con sé dei vantaggi e privilegi.
La classificazione in tribu è inadeguata a dire contro delle profonde trasformazioni

sperimentate da quelle società che provenivano dal nomadismo. Inoltre i colonialismo ha


utilizzato tale concetto per imporre idee di primitivismo africano e per avvalorare il mito
razzista di un continente senza storia o istituzioni.
——————————————

Lo studioso ugandese Mamdani parla di questo modello come di un modello di


costruzione di “gabbie tribali” (finalizzato a definire in modo netto le popolazioni e ad
ottenere un maggiore controllo).
L’etnicità e la tradizione sono funzionali a creare questo tipo di controllo (“gli africani
con i pantaloni” spaventavano i colonialisti europei. Perché stavano assumendo elementi
che uscivano dalle dinamiche tradizionali e tribali. Cioè erano persone che si stavano
trasformando culturalmente e quindi tendevano a sfuggire al controllo dei coloni
britannici).
Il colonialismo identifica ciò che vede e la definisce come la tradizione. Va a fossilizzare
tradizioni che ormai non sono più in uso e su di esse basa il proprio controllo sul
territorio. Tradizione che è frutto di una rielaborazione colonialista.
Inoltre, attribuendo in modo esclusivo il potere ai cosiddetti capi tradizionali,
l’amministrazione coloniale attua una semplificazione della complessità dei modelli di
autorità dell’Africa precoloniale.
Questo vale in tutti i controlli di tipo coloniale, ma è particolarmente rilevante in Gran
Bretagna (“gabbie tribali”).
Ricordiamo inoltre che le tradizioni stessa presentano al loro interno disuguaglianze (es.
disuguaglianze di genere - patriarcato).

Lo studioso ugandese Mamdani definisce il sistema coloniale britannico come:


STATO BIFORCATO: lo stato coloniale è divaricato/biforcato tra i colonizzatori e i
colonizzati. Definizione importante perché riassume l’eredità dello stato indipendente,
cioè lo stato indipendente tenta di riconciliare tale divisione dello stato (in alcuni casi
senza grande successo).
DISPOTISMO DECENTRALIZZATO: il sistema coloniale si basa su tirannia e
coercizione, utilizzando forme di decentralizzazione, cioè lo spostamento/la trasmissione
di alcuni aspetti e compiti dello stato coloniale ad un livello di gerarchia più basso (native
authorities).
Questa è una riflessione che possiamo comunque usare per interpretare tutti i sistemi
coloniali e che poggia sulla differenza stabilita dal colonialismo fra sudditi e cittadini.

# Diverso è invece il caso delle colonie dei settler (Kenya, Rhodesia,Sudafrica) dove il
sistema è incentrato sul dominio diretto dei coloni e lo sfruttamento delle risorse. Questo
per assicurare il benessere economico e sociale al vasto numero di coloni bianchi che
risiedevano in questi territori.
In seguito gli interessi dei coloni bianchi e il desiderio di emancipazione delle
popolazioni nere si scontrano, provocando grandi lotte e violenze.

Casi tipici di indirect rule: Nigeria e Uganda

GRAN BRETAGNA
Colonialismo come funzione difensive delle proprie aree di influenza contro le politiche
di altri paesi come Francia e Germania
Interventi importati da parte della Gran Bretagna: Sudafrica, Egitto e delta del Niger

L’area del delta del Niger è quel territorio che poi diventa la colonia della Nigeria (Paese
più popoloso dell’Africa con una storia complessa e tesa che si riflette anche al giorno
d’oggi).
A partire dalla seconda metà dell’800 Londra svolge un ruolo centrale nel promuovere
l’intensificazione del commercio lecito tra la regione del delta del Niger e l’Europa (dopo
aver posto fine al commercio degli schiavi), e la competizione commerciale si fa sempre
più intensa. La regione inizia ad attirare gli interessi delle compagnie commerciali,
interessi legati soprattutto all’olio di palma (la cui domanda sul mercato internazionale
era in aumento), in cui le città-stato della zona fanno da intermediario tra i produttori di
olio di palma e i commercianti europei (in particolare britannici).
La GB afferma cosi una sua sfera di influenza informale sulla regione del delta del Niger.
Nel passaggio dalla tratta al commercio lecito le società africane subiscono
trasformazioni economiche e sociali, che sfociano in tensioni politiche, e la competizione
all’interno della regione si fa sempre più acuta. Questo porta i britannici a imporre un
crescente controllo politico, commerciale e militare, andando a minare la sovranità delle
città-stato.
Nel 1861 Lagos diventa una colonia britannica.
Gli interessi commerciali della National African Company si estendono verso nord, dove
le popolazioni locali firmano dei trattati di rinuncia alla loro indipendenza.
Dopo la proclamazione dei protettorati tedeschi in Togo e Camerun, il governo britannico
dichiara nel 1885 un protettorato Niger Districts Protectorate (sulla costa tra Lagos e
Camerun), la cui amministrazione viene affidata alla Royal Niger Company (che aveva
qui diritti esclusivi di sfruttamento commerciale).
Dalle coste la GB comincia a spingersi verso nord e verso ovest.
La regione occidentale dell’attuale Nigeria (Yorubaland) diventa protettorato britannico.
Spostandosi verso nord si creano tensioni con la Francia, con la quale però la Gran
Bretagna riesce a raggiungere un accordo (1898), che stabilisce la sfera di influenza
francese e riconosce alla Gran Bretagna il controllo sull’intera Nigeria.
La GB va a ad occupare quello che era il vecchio califfato di Sokoto e la città di Kano
(1903). Oltre all’azione militare vi sono negoziazioni con il Califfato per quanto riguarda
l’amministrazione del territorio (non c’è quindi un azione militare violenta in questo
caso).
Nel 1914 il Protettorato della Nigeria Meridionale e il Protettorato della Nigeria
Settentrionale vengono accorpati in un’unica colonia.
Il primo governatore della colonia nigeriana è Lord Lugard (che era stato in India. Nome

importante perché elabora concezioni che saranno poi alla base del modello di
amministrazione coloniale britannico).

La Nigeria è definita multiple dependency, essendo l'amalgama culturale e organizzativo


di diverse entità amministrative, di territori diversi tra loro e che vengono uniti con
modalità, caratteristiche e tempi diversi. Si è estesa a partire dalla città di Lagos per poi
espandersi nei dintorni creando un vasto protettorato ai quali cui si aggiunse dopo la
prima guerra mondiale quello che sarebbe diventato il Camerun britannico.
La colonia era una creazione artificiale che includeva molte e diverse popolazione su
un'area molto vasta (elemento che caratterizza tutta l’Africa).
Il governo indiretto doveva salvaguardare la tradizione e i diritti consuetudinari nelle sue
diverse sfaccettature (che erano funzionali a garantire il modello che i britannici volevano
costruire). Meccanismo di controllo dei capi tradizionali (native authorities) e modelli di
tribalizzazione (gabbie tribali). Definire dove inizia e finisce una popolazione è
importante per il mantenimento del modello coloniale britannico.
Il governo indiretto si rappresenta attraverso:
1) la ricerca di entità locali forti e organizzate (sopratutto il Califfato di Sokoto a Nord)
2) l’identificazione di altri gruppi etnico linguistici ai quali assegnare in compito di native
authorities in quei territori dove tradizionalmente non c’erano state entità politiche
rilevanti (Nigeria sud orientale: individuazione di gruppi di elite cristianizzati e si
produce una ridefinizione dell’eticità degli Ibo (che diventano uno di quei gruppi ritenuti
idonei a svolgere il ruolo di native authorities e per questo la definizione etnica ibo
diventa in questo periodo più ampia e rafforzata).

Uganda
Mentre in Nigeria abbiamo entità politiche forti nella parte nord, in Uganda questo
riguarda la parte meridionale.
In Uganda si sviluppò un modello molto simile a quello della Nigeria.
Due erano le macro aree:
- il Sud facente riferimento alle strutture statuali forti e centralizzate pre-coloniali (Toro,
Bunyoro, Ankole, Buganda) (ancor più che in Nigeria, la Gran Bretagna punta in questi
territori alla valorizzazione del potere politico del Buganda e in funzione di ciò si crea
una stretta relazione tra amministrazioni coloniali e le élite del regno. Il regno non viene
quindi abolito, ma riorganizzato e ridefinito nel quadro dell’indirect rule britannico).
- la parte più settentrionale composta di società considerate decentralizzate, fragili e
senza strutture politiche di rilievo. In queste aree si formano native authorities.

Inizialmente vi è l’intervento di una compagnia concessionaria IBEAC (la stessa che


aveva operato in Kenya) e a partire dal 1890 si rafforzò il modello coloniale sotto la
guida di Lord Lugard (in seguito governatore della Nigeria), che amministratore della
IBEAC. Egli approfitta delle rivalità tra il partito protestante e quello cattolico all’interno
del regno del Buganda per affermare l’autorità britannica sul Buganda stesso.

La IBEAC si trovava in grave difficoltà e va in bancarotta. Viene quindi istituito nel 1894
l’Uganda Protectorate. Inizialmente comprendeva solo il regno del Buganda e
successivamente l’autorità della GB si estende anche al Bunyoro, che era stato sconfitto
per mano dell’esercito del Buganda. Il Toro invece si mantiene indipendente.
L’affermazione dell’autorità britannica in Uganda fu un processo lento e irto di difficoltà .
Particolarmente importante è l'accordo firmato nel 1900,
il Buganda Agreement, che definiva un modello di governo indiretto e sancisce l’avvio
del protettorato. Con questo accordo da una parte l’élite politica del Buganda riconosceva
il protettorato, di cui il regno del Buganda costituiva una provincia, e dall’altra, Londra
riconosceva i confini del regno come si erano venuti a determinare negli anni più recenti
e la leadership politica del re (kabaka).
Rilevante fu la riorganizzazione del sistema di accesso alla terra: il mailo system (un
sistema rivoluzionario di regime fondiario).
L’accordo stabiliva che le terre non coltivate (circa metà del regno) sarebbero passate
sotto il controllo della corona britannica. L’altra metà della terra venne assegnata sotto
forma di controllo diretto al kabaka, ai capi della corte e a una serie di capi locali.
La GB quindi assegna diritti quasi di proprietà privata alle élite del regno del Buganda.
Questo è un caso unico in Africa e che porta a grandi trasformazioni economiche.
Tale riorganizzazione porta la GB ad acquisire più potere e allo stesso tempo anche le
élite del regno acquisiscono maggiore potere economico (grazie ad un accesso più diretto
alla terra e con l’appoggio britannico).
Si accentuano le divaricazioni sociali (tra il cuore del regno del Buganda rispetto alle aree
più periferiche) e i processi di gerarchizzazione e si rafforza l’eticità Buganda, portando
ad un aumento dell’instabilità politica del paese.
Il modello delineato dal Buganda Agreement viene applicato con tempi e modalità
diverse anche all’interno di altri regni e regioni dell’Uganda e si delinea un modello di
native authorities, in cui capi e funzionari baganda affiancano o sostituiscono le élite
politiche locali in varie regioni dell’Uganda.
I baganda diventano in un certo senso collaboratori della GB.

Egitto
Gli interessi britannici in Egitto sono legati a motivazioni strategiche: controllo del canale
di Suez e interesse nella penetrazione verso sud.
Nel 1882 l’intervento militare inglese pone fine alla rivolta di Urabi Basha e
porta alla nascita di un protettorato sull’Egitto, da molti definito ‘velato’.
Infatti si ha un processo intermedio di colonizzazione, in cui l’Egitto formalmente era
legato all’impero ottomano, ma nella pratica erano i britannici a proteggerlo/tutelarlo in
caso di rivolte interne o squilibri all’interno del continente.
Londra controllava politica estera, finanze e forze armate. Mentre lo stato egiziano
mantenne un certo controllo sulle questioni interne.
Il popolo egiziano continua però a resistere e ad opporsi alle ingerenze britanniche, e
nascono diverse forze nazionaliste, che però subiscono grandi repressioni.

Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Inghilterra combatte contro l’impero ottomano
e si stabilisce un protettorato formale sull’Egitto (il khedivè viene deposto e le
opposizioni represse).
La guerra mondiale e la fine del potere ottomano trasformano il panorama medio
orientale (si aprono nuovi scenari di emancipazione nazionale). L’Egitto è toccato dalla
guerra solo in rapporto a Suez, ma la politica interna rimane accesa.
Nel 1918 nasce un importante partito politico in Egitto (Wafd). Anche in Tunisia e
Sudafrica nascono importanti partiti politici già in questa fase (cioè quella di
consolidamento del colonialismo), invece negli altri paesi africani ciò avverrà solo in
seguito.
Con la fine della prima guerra mondiale la Gran Bretagna ottime tramite mandato nuovi
territori in Medio oriente e cerca di tutelare i suoi interessi coloniali, nonostante dichiari,
come fa anche la Francia, di impegnarsi a favore dei 14 punti ideati dal
presidente americano Wilson, che mettevano in risalto il concetto di autodeterminazione
dei popoli. Francia e GB si spartiscono il Medio oriente (arabi non ritenuti pronti ad
autogovernarsi).
Nel frattempo continua la lotta nazionalista in Egitto (scoppia una rivolta 1919), che 1922
diventa formalmente indipendente (prima indipendenza formale in nord africa). Nascita
di una monarchia costituzione indipendente, ma rimane un legame forte con la GB, che
ad esempio continua a mantenere il pieno controllo economico del canale di Suez
(controllo della penisola del Sinai) e truppe nel paese.
Fuad I diventa re e alle elezioni parlamentari vince il Wafd.
Nel dopo guerra l’Egitto vive una fase positiva, di trasformazione economica e sociale, e
traeva benefici dall’essere parte dell’economia mondiale. Nuova immigrazione, cambia la
società.
1928 nasce la Fratellanza mussulmana. Attore fondamentale fino ad oggi nella storia
dell’Egitto. Non è un vero e proprio partito politico, ma un movimento sociale che
chiedere la fine dell’ingerenza britannica e un nuovo proselitismo islamico (l’Egitto si era
allontanato troppo dalla tradizione islamica). Era un gruppo di azione anticoloniale che
nasce nella zona del canale.
L’Egitto è un caso particolare perché ottiene l’indipendenza nel pieno del periodo
coloniale, indipendenza quindi precoce.
Durante il secondo conflitto mondiale la GB aveva rafforzato il suo intervento militare in
Egitto e nel paese cresceva il sentimento anti.-inglese. Nel secondo dopoguerra,
l’opposizione popolare al filo-britannico re Faruq I e all’ingerenza inglese sulla vita
politica egiziana e sul canale era giunta ai limiti dell’insofferenza. All’opposizione
primeggiavano due schieramenti: il nazionalismo del Wafd, che stava subendo un certo
logoramento per la deludente prova di governo, e il nazionalismo più esplicitamente
islamico della Fratellanza, che iniziava ad avere una più netta visibilità politica.
Infine, all’interno dell’esercito si preparava a costituirsi segretamente, già dal 1945, una
cellula di militari, gli “Ufficiali Liberi”, che erano determinati a cospirare per chiudere
esperienza della monarchia filo-britannica e combattere per una repubblica egiziana
pienamente indipendente.

Dopo due anni dal termine della guerra, nel 1947, il governo britannico ritirò
definitivamente le sue truppe dalla zona del Canale di Suez, visto che sentimenti
antibritannici continuavano ad alimentarsi nel paese per questa questione.
Le tensioni sfociano poi nel 1952 con il colpo di stato da parte degli Ufficiali Liberi.

Nel frattempo in Sudan egiziano la popolazione era scontenta delle condizioni


economiche, della corruzione dei governatori egiziani, della nuova fiscalità cui era
sottoposta e delle riforme che tendevano a contrastare il commercio di schiavi dell’area
(attività che coinvolgeva molti interessi locali).
Dal 1874 il khedive (viceré) d’Egitto aveva nominato come governatore dei distretti
sudanesi conquistati dagli egiziani l’ufficiale inglese Charles George Gordon.
Nel 1881 Muhammad Ahmad si proclama Mahdi, il Salvatore. Egli aveva aderito ad una
confraternita mistica ed aveva elaborato un orientamento pio e ascetico, basato su
povertà, rinascita religiosa e opposizione ai potenti.
Egli entra in conflitto prima con l’Egitto e più tardi con la Gran Bretagna (dopo
l’intervento britannico in Egitto del 1882).
La Gran Bretagna invia il governatore Gordon a Khartum.
I madhisti avevano capacità militari strategiche forti e riescono a respingere le
offensive. Nel 1884 assediano Karthum e la conquistano.
Nasce lo Stato del Madhi, entità politico/religiosa che riuniva popolazioni mussulmane
attorno ad un messaggio di rifondamento religioso, e poi diventa un movimento di lotta e
resistenza coloniale.
Dopo la morte del madhi il suo successore riesce a rafforzare sempre più lo stato andando
a conquistare nuovi territori verso il Darfur e l’Etiopia.
Quando la competizione coloniale si rafforza la GB va alla conquista di questi territori e
lo stato mahdista viene sconfitto (diventando poi l’attuale Sudan). Diventa un’area
strategica per i britannici di connessione tra Egitto, Corno d’africa e la regione dei Grandi
Laghi. Nel 1898 il Paese viene conquistato e si istituisce una vera e propria colonia,
definita come “condominio anglo-egiziano” (che si protrasse dal 1899 sino
all’indipendenza nel 1956).

Una volta delineati i confini dei possedimenti francesi e britannici in Africa


occidentale, la loro attenzione si sposta verso est, nella regione sudanese dell’alto Nilo:
L’incidente di Fashoda — Tensione tra GB e Francia, che poi si risolve senza confronto
armato diretto. Avviene a Fashoda sulle rive del Nilo Bianco (nell’attuale Sudan), dove
nel luglio del 1898 era giunta una spedizione francese guidata da Jean Baptiste
Marchand (con l’intento di assicurare alla Francia dei territori nella regione).
Nello stesso anno soldati al comando del generale britannico Kitchener, arrivarono a
Fashoda (la GB non voleva che un’altra potenza europea prendesse il controllo del
Sudan, che era funzionale per il mantenimento del controllo sull’Egitto). Ne scaturì un
grave incidente diplomatico.
Il governo francese, isolato sulla questione egiziana a livello internazionale e deciso ad

evitare che l’incidente degenerasse in un conflitto armato con la GB, ordinò di


ritirarsi. La questione si risolse quindi per vie diplomatiche.
Nel gennaio del 1899 Gran Bretagna ed Egitto conclusero un accordo in base al quale il
Sudan divenne un condominio anglo-egiziano. Anche se formalmente condividevano la
sovranità sul Sudan, quest’ultimo rimase sotto il controllo effettivo dei britannici.

Kenya
Inizialmente è la Imperial British East African Company (IBEAC) ad amministrare il
territorio di quello che sarebbe in seguito divenuto il Kenya (e dal 1890 anche
dell’Uganda). La crisi finanziaria dell’IBEAC spinge alla proclamazione nel 1895
dell’East Africa Protectorate. In queste zone il processo di controllo sulle popolazioni
locali fu lento e conflittuale. Era un territorio strategico per la GB (che afferma la propria
autorità prima sulla cosa e da li si sposta) in quanto metteva in comunicazione l’Uganda
con l’Oceano Indiano (costruzione di una rete ferroviaria, opera di grande significato
strategico/economico).
La GB afferma la propria autorità sulla costa, dove scoppiano delle rivolte che i britannici
riescono a pacificare, e poi da li si sposta, avanzando verso il lago Vittoria e procedendo
con la costruzione della ferrovia.
In questo contesto i Masai, popolazione locale dedita al pastorizia che si trovava in uno
stato di debolezza politica ed economica, collaborano con le autorità britanniche in azioni
militari contro altre popolazioni locali (che vengono sottomesse) in cambio di bestiame.
La penetrazione britannica alimenta divisioni interne alle società africane e provoca
mutamenti di tipo economico: intensificazione dei commerci legati alla ferrovia (mentre
in precedenza la regione aveva perlopiù fornito avorio e schiavi) e domanda crescente di
derrate alimentari ridefiniscono i rapporti tra le popolazioni dedite alla pastorizia e quelle
agricole, favorendo queste ultime.
Lo sfruttamento economico della regione si intensifica e il baricentro economico del
protettorato si sposta dalle coste vedo la regione dell’altopiano, dove a inizio 900 viene
promosso l’insediamento di coloni bianchi con la creazione di una vera e propria colonia
dei settler (che doveva assicurare lo sviluppo agricolo della regione).
La necessità di mettere a disposizione agli europei terre da coltivare porta ad una politica
di esproprio delle terre a danno delle popolazioni locali (masai, kamba, kikuyu — che
erano già state fortemente indebolite da calamità naturali e sottomesse ai britannici).
Si attua un processo volto a privare gli agricoltori africani dell’altopiano dell’accesso alla
terra, mentre aumenta sempre più la richiesta di manodopera da parte dei settler
(Utilizzo di manodopera migrante e modelli di lavoro forzato altamente coercitivi).
Vengono inoltre create riserve indigene e nel tempo si rafforza una rigida divisione tra
aree destinate agli europei e quelle riservate agli africani.
Le riserve indigene si configurano anche come un perfetto serbatoio di manodopera
disposta a lavorare nelle terre dei coloni o per sopperire alle necessità
dell’amministrazione coloniale.
La terra allocata agli africani risulta però insufficiente per garantire il benessere della
società.

In questo contesto lo sviluppo della produzione capitalistica e l’esercizio dell’autorità


sugli africani diventano inestricabilmente fusi.
Nel secondo dopoguerra la separazione tra settler e elite africane da una parte i contadini
kikuyu dall’altra si fa sempre più intensa, aumentando i malcontenti all’interno delle
riserve (anche a causa di programmi di sviluppo agricoli attuati dai britannici).

Rhodesia del Sud


La British South Africa Company (BSAC), guidata da Cecil Rhodes, va alla conquista dei
territori a nord del fiume Limpopo. In particolare il territorio che sarebbe poi diventato la
Rodesia del Sud.
Infatti in Sudafrica erano stati scoperti minerali importanti, e ciò spinge le compagnie a
cercare nuove ricchezze nelle zone più a nord.
Nel 1888 viene firmato un trattato (ambiguo) con il re Lobenguala del regno Matabele
che getta le basi per la conquista coloniale della regione. Un primo accordo stabiliva che
il re si impegnava a non concludere accordi con altre potenze europee; un secondo
accordo stabiliva i diritti esclusivi sulle risorse minerarie del regno (Rudd Concession).
Lobenguela contesta l’accordo chiedendo alla GB di dichiarare un protettorato sul suo
regno. Invece il territorio viene dato in concessione alla compagnia BSAC, che ne
mantiene il controllo dal 1889 al 1922.
All’inizio del 1890 una «colonna di pionieri» attraversò il Matabeleland in direzione del
Mashonaland. Una volta insediatisi presso le popolazioni shona, i coloni avviarono
attività di prospezione mineraria, grazie agli espropri di terra perpetrati dalla BSAC.
Nel 1893 con un pretesto si scatena una guerra contro gli ndebele. Il Matabeleland venne
invaso dalle truppe della BSAC, sostenute da alcuni reparti britannici. Lobenguala tenta
di scappare, ma rimane ucciso e, privi di leadership, gli Ndebele si arrendo. Nel 1894 la
BSAC aveva quindi assunto il controllo del territorio che avrebbe preso il nome di
Rhodesia del Sud.
Le tensioni crescenti tra le popolazioni africane e i coloni europei arrivati nella regione
sfociarono tra il 1896-1897 in una ribellione delle popolazioni Ndebele, complice il
dispiegamento di gran parte delle truppe della British South African Company nel raid
guidato da Jameson (amministratore del Mashonaland) contro la boera Repubblica
Sudafricana nel 1895.
La Rhodesia non aveva grandi giacimenti minerari e questo spinge a incentivare l’arrivo
di coloni e a guardare all’agricoltura e all’allevamento, con l’attuazione di grandi
espropri di terre (Tale fenomeno caratterizza sono il specifiche aree: in Africa del
Sudovest (Namibia), Rhodesia, Sudafrica, Algeria.) Inoltre la BSAC era in difficoltà e
delega molte responsabilità ai coloni stessi, che attuano gravi abusi sulle popolazioni
locali. Anche gli Shona, stanchi di brutalità e abusi degli europei, si sollevarono.
La ribellione prende il nome di Chimurenga (ossia la lotta contro i colonizzatori) e
rappresentò un duro colpo per il governo della BSAC. Le ribellioni vennero represse in
modo violento. Ad esempio gli spiriti medium, considerati come origine delle
rivolte, vengono uccisi (gli spiriti medium fanno parte delle religioni tradizionali/pre

coloniali).
La vicenda è stata oggetto di dibattito fra gli studiosi, per quanto riguarda le cause e il
ruolo svolto da alcuni leader religiosi. Secondo alcuni, furono proprio questi ultimi a
incoraggiare la rivolta e a fornire un’ideologia ai ribelli shona e ndebele.
Questa ricostruzione storica è stata vista come un aspetto fondamentale di quella
storiografia patriottica che avrebbero poi contribuito a legittimare il governo di Robert
Mugabe nello Zimbabwe indipendente.
Altri studiosi hanno invece ridimensionato il ruolo delle autorità religiose, evidenziando
come gli effetti drammatici delle calamità naturali (in particolare la peste
bovina che colpì il bestiame degli ndebele), degli espropri delle terre e degli abusi
compiuti dai coloni spinsero la popolazione ribellarsi contro l’amministrazione della
BSAC.

Come abbiamo già detto, risulta evidente che quest’area a differenza del Sudafrica non
era cosi ricca di minerali. Per questo la BSAC decide di attirare coloni e investimenti
nella regione, tramite concessione di terre, e di delegare alcune funzioni amministrative ai
coloni (riscossione tasse) per ridurre le spese. Tale politica generò però gravi abusi.
A partire dal 1922 diventa ufficialmente un territorio autogovernato dai settlers (coloni
bianchi).
In Rhodesia del Sud si va riproducendo un modello di sfruttamento e di esproprio delle
terre indigene sempre più accentuato. Le popolazioni vengono relegate nelle riserve
indigene e aumentano forme di segregazione razziale in linea con quanto stava
avvenendo in Sudafrica.
In Rhodesia del Sud come in Kenya e Sudafrica al modello dell’indirect rule si preferisce
una forma più accentuata di subordinazione delle autorità africane all’influenza e al
controllo coloniale. Tale politica voleva assicurare benessere economico e sociale al
grande numero di coloni bianchi che risiedevano in questi territori.
In seguito alle seconda guerra mondiale i coloni bianchi, intenti a proteggere i loro
interessi, si scontrano con il desiderio di emancipazione politica ed economica delle
popolazioni nere. La decolonizzazione di questo territorio sarà lunga e interessata da un
lungo conflitto armato (del contesto della guerra fredda e degli interessi sudafricani).

Rhodesia del Nord e Nyasaland


La Gran Bretagna si estende anche a nord. Varie entità statuali vengono incorporate e si
avvia la formazione delle colonie della Rhodesia del Nord e del Nyasaland (attraverso
trattati che permettono il controllo politico sulle popolazioni).
- La Rhodesia del Nord è il risultato della fusione tra Northeastern Rhodesia (territorio
ottenuto sconfiggendo le popolazioni locali, come i gruppi ngoni, bemba e il regno
Kazembe) e Northwestern Rhodesia (qui il regno dei Lozi aveva chiesto protezione
britannica per difendere il regno dagli ndebele e firma un accordo con la BSAC, che
garantisce protezione al regno e alla quale vengono anche concessi i diritti esclusivi sulle
risorse del territorio) in un’unico protettorato (fusione che avviene nel 1911) per

risparmiare sui costi di amministrazione.


La Rhodesia del Nord (oggi Zambia), rimase sotto il protettorato della compagnia BSAC
fino al 1924 e poi passò sotto l’amministrazione britannica diretta.
- L’espansione a nord del fiume Zambezi fu difficoltosa per vari motivi: scarsità di risorse
(umane e finanziarie), difficoltà politiche e militari, opposizioni nei confronti della
compagnia dei missionari, interessi britannici nella regione a sud del lago Malawi,
competizione con il Portogallo. Nel 1889 la GB dichiara un protettorato sulle Shire
Highland (a sud del lago Malawi), che negli anni successivi si amplia (a ovest del lago
Malawi) e prende il nome di Central African Protectorate, (poi Nyasaland, oggi Malawi),
per contrastare i portoghesi.

FRANCIA
Si concentra in:
• Africa Occidentale
La penetrazione nel bacino del fiume Senegal (Africa Occidentale) nell’800
Il territorio dell’attuale Senegal è una regione in cui l’affermazione del controllo militare e
politico europeo aveva preceduto temporalmente lo scramble di fine 800. In particolare nel corso
del 700 si afferma una dura competizione commerciale tra Francia e Gran Bretagna in questi
territori, dove poi si afferma la sfera di influenza francese.
I cosiddetti 4 comuni del Senegal dati i rapporti economico-politici con la Francia
subiscono delle trasformazioni, anticipando ciò che negli altri possedimenti avverrà
solo più avanti.
A partire da metà 800 gli abitanti dei quattro comuni iniziano a godere di uno status
giuridico particolare, sono considerati cittadini francesi e durante il periodo coloniale
furono esentati dal regime dell’indigenat.
La Francia nel tempo riesce a inserirsi in una fitta rete di scambi soprattutto sale, oro,
gomma, schiavi (impiegati anche all’interno della regione stessa), con un passaggio dalla
tratta degli schiavi alle produzioni lecite.
La Francia consolida sempre di più la propria presenza lungo il corso del fiume Senegal, con
un’intensificazione delle esportazioni prima di gonna e poi di arachidi. La politica francese si fa
più aggressiva e mira ad espandersi.
L’espansione coloniale francese in Africa occidentale anticipa la corsa alla spartizione:
si ampliano e consolidano i possedimenti attorno al bacino del Senegal e vengono conquistati
territori nella regione dell’alto fiume Niger, definita come Sudan francese.

Da una parte la penetrazione francese lungo l’alto fiume Niger venne facilitata dalle
divisioni e rivalità tra gli Stati africani, come le tensioni all’interno dell’impero Tukulor e
quelle fra i regni di Porto Novo e del Dahomey, e dalla superiorità delle armi a
disposizione degli europei. Dall’altra una serie di fattori rallentarono e ostacolarono la
conquista coloniale.
La Francia infatti rimase a lungo incerta rispetto all’ipotesi di assumere responsabilità di
governo su vasti territori in Africa (costi molto alti).

Inoltre si trova a dover far fronte alla resistenza opposta dall’impero Tukulor e da quello
di Samori Tourè.
Tukulor: l’impero a metà 800 deve far fronte a varie crisi interne ed inoltre le pressioni da
parte dei francesi aumentano. 1880 trattato di Mango con il quale a Tukulor viene
riconosciuta l’indipendenza e alla Francia viene data libertà di commercio lungo il Niger.
Nel 1890 i francesi si muovono all’attacco e viene decretata la fine dell’impero.
Samori: a partire dal 1880 circa mentre Samori cerca di imporre la sua leadership su una
vasta regione, iniziano anche i primi scontri con le truppe francesi a cui Samori riesce a
tenere testa (esercito forte, con armi moderne). A fine anni 80 l’impero entra in una fase
di crisi, con rivolte sparse, e si riaccende lo scontro con i francesi. Samori decide di
spostare l’impero verso ovest, ma viene catturato e l’impero cade nel 1898.
Venute meno queste minacce il governo del Sudan francese viene affidato ad
amministratori civili.
La Francia conquista nel 1892 il Dahomey (zona dell’attuale Benin), mentre il Togo
diventa un protettorato tedesco.
• Nord Africa — Algeria, Tunisia e Marocco
In Algeria l’occupazione precede il colonialismo formale e durante il periodo del
colonialismo il territorio vedrà una massiccia presenza di coloni francese.
Tunisia diventa protettorato della Francia nel 1881, mentre il Marocco solo nel 1912.
Anche nel Maghreb, come in Algeria, la Francia rinuncia alle politiche di assimilation.

Tunisia
La Tunisia, dopo l’Egitto aveva la statualità più organizzata e solida del Nordafrica
(ampie riforme e modernizzazione nella fase precoloniale).
La conquista della Tunisia vede un dissidio diplomatico tra potenze europea, in
particolare tra Italia e Francia. L’Italia però era in una posizione ancora debole e timorosa
nel lanciarsi verso l’esperienza coloniale (politica delle mani nette. Solo qualche anno
dopo la volontà di conquista si rafforza).
Un incidente sulla frontiera tra Algeria e Tunisia (terra dei krumiri) è il pretesto
utilizzato dai francesi per entrare a Tunisi e per far firmare al bey un accordo che lo
avrebbe posto sotto la protezione delle Francia. Nel 1881 nasce il protettorato.
Il contesto internazionale non ostacola l’occupazione francese, anzi tende ad appoggiarla.
Sul piano interno il beylicato sa di non poter combattere contro la Francia, ma scoppiano
delle rivolte nel sud e nelle zone interne (che poi vengono sedate).
La Francia svolse una politica di appoggio alle élite locali attraverso il bey, leader
politico/monarca che gestiva il territorio sotto l’impero ottomano e che mantenne alcune
delle sue funzioni durante l’occupazione francese.
Viene messa da parte l’idea di un riformismo autoctono a cui la Tunisia aveva aspirato
negli anni precedenti, e si attua invece una rapida modernizzazione di stampo europeo
(scisma culturale), in cui i tunisini erano indotti a collaborare con il protettorato.
Viene anche incoraggiato l’insediamento e la presenza nel territorio di coloni francesi,
che vengono avvantaggiati sotto molti aspetti (es. controllo delle terre).
Dopo una prima fase di consolidamento coloniale, dal 1930 si apre una seconda fase di

graduale declino, in cui l’egemonia francese viene contrastata da una giovane


generazione di leader politici.
In Tunisia, come in Egitto e in Sudafrica, nasce un partito politico già attivo e
organizzato all’inizio del 900. In particolare il Partito Dusturiano nasceva nel 1919 e i
suoi obbiettivi erano: nuova costituzione, piena cittadinanza, uguaglianza tra tunisini e
francesi. Nasce una nuova generazione di tunisini, i cosiddetti ‘giovani tunisini’ (gruppo
con idee nazionaliste, che rappresentava una nuova classe media, una nuova elite
tunisina) che si vuole sostituire alla vecchia guardia. Il principale esponente era Habib
Burguiba (che poi diventa anche il primo presidente della repubblica indipendente).
In pochi anni il movimento diventa il nuovo partito nazionalista tunisino e anche il
principale movimento di opposizione al dominio coloniale.
Durante la 2WW il beylicato vive un momento difficile, a causa degli scontri tra i due
schieramenti per il controllo del Maghreb.
Dopo la guerra la repressione dei moti tunisini si intensifica, ma nel 1954, dopo lo
scoppio della rivoluzione algerina, per evitare lotte nazionaliste che avrebbero reso l’area
ingestibile e per difendere il territorio nazionale algerino, la Francia accelera la
decolonizzazione e Tunisia e Marocco ottengono l’indipendenza nel 1956.

Marocco
In Marocco come il Libia il colonialismo si insedia tardi (solo alla vigilia della prima
guerra mondiale). La crisi del sultanato favorì la conquista francese, in un momento in
cui stava entrando in crisi l’Impero ottomano nel suo complesso (anche se il sultanato
non ha mai fatto parte dell’impero).
La penetrazione coloniale in Marocco fu complessa a causa dell’interesse confliggente tra
vari paesi europei (tra cui Spagna, Germania, Gran Bretagna,..), in quanto punto
strategico per i commerci. Grande tensione e varie rivendicazioni rendono complessa
l’istituzione del protettorato francese.
A metà 800 c’è un iniziale supremazia inglese nel sultanato (trattato commerciale) e
anche la Spagna ha interessi in Marocco (scoppia una guerra).
La Spagna ottenne con la Conferenza di Berlino il controllo su quello che sarebbe
diventato il Sahara occidentale spagnolo (uno degli unici territori che non hanno visto
una soluzione conclusiva alle rivendicazioni dell’indipendenza. Caso di mancata
decolonizzazione. Caso molto importante ed interessante).
A fine secolo il sultanato è caratterizzato da continue crisi interne.
Ai primi del ‘900 la Francia raggiunse un accordo con la Gran Bretagna che regolava le
rispettive rivendicazioni (all’Inghilterra l’Egitto, alla Francia il Marocco), la Spagna si
allarga verso le zone di Ceuta e Melilla e tra Francia e Germania si acuiscono le tensioni.
Con il trattato di Algesiras (1906) però viene ribadita la sovranità del sultanato sul
Marocco. Si arriva poi ad una soluzione per via diplomatica tra Francia e Germania, che
rinuncia alle sue deboli rivendicazioni sul Marocco.
Nel 1912 viene istituito il protettorato francese sul Marocco.
Dopo la conquista Parigi opera per consolidare la propria posizione sul territorio, e il
residente generale francese diventa il vero detentore del potere (civile e militare).

Nascono delle rivolte (come quella del Medio Atlante o la rivolta del Rif) e iniziava a
strutturassi un’opposizione nazionalista guidata dalle nuove generazioni.
Come in Tunisia anche in Marocco si attua un modello di governo indiretto (tipico della
GB, ma che in questo caso presenta delle specificità), in cui la classe dirigente locale
diventa strumento utile all’interno del protettorato. Ad ogni amministrazione marocchina
viene però affiancato un controllore francese.
Muhammad V sale al trono alawita.
La Francia comincia ad applicare politiche che mirano a spezzare la solidarietà intera tra i
dominati creando divisioni etniche e linguistiche. In particolare decide di favorire gli
imazighen delle regioni interne (definiti come berberi e che erano considerati più
assimilabili alla cultura francese rispetto agli arabi), tentando di creare un’autonomia
degli imazighen. Nascono nuove opposizioni e il nazionalismo ottiene più consensi.
Durante la 2WW il Marocco non fu coinvolto negli sconti.
Come per la Tunisia l’idea di decolonizzazione si concretizza solo dopo il. 1954.

Algeria
Storia unica nel panorama francese.
Si avvicina al modello di colonizzazione di colonia dei settler.
La colonizzazione agraria d’Algeria fu il più compiuto esempio di insediamento di
europei nel Nordafrica, avviato già prima della spartizione dell’Africa e che in seguito
ebbe nuovo slancio a seguito della sconfitta francese contro la Prussia nel 1870.
Tra il 1830 e il 1880 inizia la storia di un’Algeria francese e di una immigrazione
massiccia di europei. Nella prima fase c’è un controllo militare dell’area e furono proprio
i militari a tracciare le linee di conquista e le forme embrionali dell’amministrazione
coloniale francese. Piano piano l’esercito assume il controllo di tutta l’Algeria (le regioni
meridionali furono le ultime ad essere controllate).
L’area è interessata da vari moti insurrezionali e le repressioni delle rivolte nelle piccole
comunità rurali erano viste come un’occasione per infliggere multe collettive e confische
di terre, disarticolando le già fragili economie dei villaggi.
Le regioni del nord passarono ben presto da terreno di conquista militare ad esperimento
di popolamento coloniale e, dopo la guerra franco-prussiana del 1870, nuove ondate di
migranti francesi si riversarono in Algeria (in numero significativo). Questo avviene per
varie ragioni, era ed esempio un modo per proiettare sulle colonie il recupero della
propria identità nazionale (dopo la sconfitta).
Questo porterà all’instaurarsi di una colonia che potremmo definire dei settler (anche se
poi è un caso unico a sé stante).
Via via che procedeva la colonizzazione francese a nord, gli algerini venivano spinti più a
sud (verso aree meno rilevanti dal punto di vista economico e politico per la Francia.
Cioè le zone che guardano al deserto del Sahara). Inoltre fame ed epidemie stavano
decimando la popolazione algerina.
La Francia dovette affrontare la reazione di leader algerini che si opponevano alla
colonizzazione. Vari tentativi di ribellione. Gli scontri e la repressione segnarono una

svolta e la colonizzazione inizia a mostrare il suo volto più duro.


I coloni diventavano sempre più numerosi, esercitando una crescente pressione (e
un’accelerazione) sulla politica coloniale riuscendo a sottrarre ai militari il controllo
dell’amministrazione algerina, che diventa un’amministrazione civile (a inizio 900).
Nel 1879 la sottomissione del Paese poteva dirsi conclusa.
L’assenza di proprietà privata (elemento tipico dell’Africa), nell’Algeria precoloniale, era
il retaggio tipico dell’organizzazione itinerante.
L’Algeria passava rapidamente da un assetto di proprietà comuni (funzionale allo
sviluppo dell’economia nomade) a un assetto di proprietà privata (compatibile con i
nuovi processi di territorializzazione e sedentarizzazione).
Questa trasformazione del controllo della terra si compie sotto controllo dell’egemonia
militare francese, che favoriva i coloni (in inglese settler; nel caso algerino definiti anche
pieds noirs). Perciò si crea una proprietà privata che era funzionale all’attribuzione di
diritti di proprietà privata ai francesi.
Le migliori risorse agricole locali vengono assegnate ai giovani emigranti europei e
inoltre si inizia a consolidare una produzione agricola per l’esportazione (l’export diventa
parte del processo di consolidamento dei pieds noirs. A differenza dell’africa occidentale
dove la popolazione indigena è maggiormente partecipe).
Un simile modello lo tenta anche l’Italia in Libia (ma la Libia non potrà essere
considerata come una colonia dei settler, anche se ci sarà un grande numero di coloni
italiani su quei territori, a causa delle residenze della Senussia).
Da un lato c’è esproprio delle terre o terre che passano sotto il controllo dei
francesi e dall’altro la marginalizzazione delle comunità locali nelle altre aree più
marginali e remote (ma non si crea un modello di riserve).
L’economia agricola tradizionale si indebolisce e si creano forme di sedentarizzazione dei
gruppi nomadi (legato al lento esaurirsi dei commerci transahariani). Queste debolezze
rendevano più efficace il controllo coloniale. (fenomeno che si verifica anche in
Rhodensa e Sudafrica).
La forza di occupazione coloniale poteva contare su due strumenti principali: la creazione
di uno statuto coranico (che permette di erigere una separazione etnica coloniale) e la
politica fondiaria (che sottrae terre agli algerini. Il sistema di spoliazione delle risorse
agricole risulta essere particolarmente brutale).
Il sistema giuridico locale viene smantellato.
Come abbiamo già detto dopo la sconfitta francese con la Prussia (1970) gli sbarchi di
immigrati in Algeria si intensificano e con essi la colonizzazione culturale che doveva
accompagnare il progetto di insediamento. In questi anni viene favorita una cauta
assimilazione delle elite algerine alla cultura francese e viene data la possibilità agli
algerini di diventare cittadini francesi, a patto che rinunciassero allo statuto di
musulmani.
Si accentua sempre più la separatezza tra coloni e popolazione locali, e in tutte le colonie
francesi dal 1887 fu imposto il sistema dell’indigenat, che diventa fondamentale in
Algeria. È un modello chiaro di demarcazione/di separazione/di disuguaglianza tra
coloni e sudditi (assimilabile all’apartheid. Hanno caratteristiche in comune, ma sono due

sistemi differenti. L’apartheid infatti è un modello esclusivamente caratteristico del


Sudafrica). Rimane in vigore fino al 1946.
I sudditi erano privati di molti diritti politici e di libertà, e a inizio 900 l’azione politica
dei coloni stessi contribuì a rendere la rivendicazione di tali diritti ancora più difficile.
Oltre ad opporsi al potere coloniale, le popolazioni locali si scontrano anche con i coloni
(che si opponevano all’emancipazione degli algerini).
Questa specificità del colonialismo in Algeria, per il suo essere divenuta terra francese e
terra di insediamento, avrebbe contribuito in seguito a far volgere in tragedia la stagione
della decolonizzazione.

GERMANIA
La Germania aveva interessi commerciali a Zanzibar e da qui cerca di espandersi
nell’entroterra, verso Tanganyika e Rwanda-Urundi (missioni esplorative di Karl Peters).
A fine 800 si definisce l’assetto di cosa apparteneva alla Germania e cosa alla Gran
Bretagna per quanto riguarda i territori dell’Africa Orientale, a danno del sultanato
di Zanzibar, che storicamente rivendicava la sovranità non solo su un tratto di costa che
da Kilwa si estendeva fino ai porti della Somalia, ma anche su ampie regionidell’interno.
# Zanzibar: il sultanato di Zanzibar era diventato nel tempo il centro di una fitta rete
commerciale che univa l’africa orientale. Venivano esportati sul mercato internazionale
principalmente avorio e schiavi, poi anche chiodi di garofano. L’amministrazione del
sultanato era però rimasta, con poche eccezioni, confinata ai porti sulla costa dell’Oceano
Indiano. Rimase comunque un centro culturale e politico importante per la formazione
della cultura swahili in Africa orientale, anche dopo l’istituzione di un protettorato
britannico sull’arcipelago.
Il processo di spartizione verrà poi riaperto dopo la prima guerra mondiale.

La presenza tedesca in Africa orientale era ‘accettata’ del governo britannico, che già
esercitava una forte influenza sul sultanato di Zanzibar. Infatti la GB non attribuiva valore
strategico alla regione dell’entroterra e giudicava la presenza tedesca un «male minore»
rispetto all’eventualità che la Francia ottenesse possedimenti nella regione.
Inoltre in questa fase (1885) la GB era impegnata in Sudan e in Afghanistan, aree che
ritiene più importanti, lasciando quindi più spazio alla conquista tedesca.
Nel 1886 Londra e Berlino firmano un accordo che limitava la sovranità del sultano di
Zanzibar.
La competizione commerciale nella zona dei Grandi Laghi aumenta sempre più e si
definiscono due sfere di influenza in Africa orientale:
- la GB aveva interesse e poi ottenne il controllo di Kenya e di Uganda, potendo così
avere il controllo delle sorgenti del Nilo (importante a seguito del raggiungimento del suo
controllo su Sudan ed Egitto). Inizialmente è la Imperial British East African Company
(IBEAC) ad amministrare il territorio di quello che sarebbe in seguito divenuto il Kenya
(e dal 1890 anche dell’Uganda).
Karl Peters nel 1889 entra nel regno del Buganda, dove ottiene dal re Mwanga la firma

di un trattato che poneva il regno sotto la protezione della Germania. Allarmata


dall’interesse tedesco per l’Uganda (che sfida il controllo britannico nella regione
dell’alto Nilo) la GB avvia un negoziato. Viene firmato un nuovo accordo per ristabilire i
rispettivi possedimenti coloniali. La Gran Bretagna ottiene il controllo dell’Uganda in
cambio della cessione alla Germania dell’isola di Heligoland (rilevante dal punto di vista
strategico) nel mare del Nord.
Nel 1890 nasce il protettorato britannico sull’arcipelago di Zanzibar.
L’Uganda divenne protettorato britannico nel 1894. L’Uganda era importante in quanto
poteva permettere alla GB di espandersi verso la zone dei Grandi Laghi e allo stesso
tempo contenere gli interessi tedeschi in Africa orientale

- I tedeschi si estendevano nel Tanganyika dove viene proclamato un protettorato tedesco.


La spedizione iniziale in questi territori nel 1884 provoca le poteste del sultano di
Zanzibar, ma l’invio forze navali tedesche nei pressi di Zanzibar spinge il sultano a
riconoscere le rivendicazioni tedesche sulla regione settentrionale del Tanganika (1885).
La Germania, come la GB, preferì attribuire a imprese concessionarie il compito di
promuovere la valorizzazione economica e di governare i territori.
La German East African Company (GEAC, che aveva sostituito la Society for German
Colonization) era stata incaricata di amministrare il protettorato del Tanganika, ma si
trova alle prese con gravi difficoltà.
La GEAC non disponeva dei capitali necessari ad avviare lo sfruttamento economico del
territorio e si trovò impreparata a fronteggiare lo scoppio nel 1888 di rivolte e sommosse
nelle città della costa. Queste rivolte, che le autorità tedesche definirono «rivolte arabe»,
attribuendone la causa al rifiuto delle aristocrazie locali legate al mondo arabo/swaili di
porre fine alla tratta degli schiavi, furono in realtà provocate da altri elementi economici.
Infatti il sempre più marcato inserimento delle regioni della costa nelle reti del
commercio internazionale (negli ultimi decenni del XIX secolo) aveva messo in moto
trasformazioni economiche e ridefinito i rapporti di potere tra i diversi gruppi sociali a
livello locale, che rivendicano nuovi spazi economici.
Sprovvista dei mezzi per sedare le rivolte (con le quali si chiedeva una maggiore
autonomia politica), la GEAC si vide costretta a chiedere l’intervento dell’esercito
tedesco, che nell’arco di pochi mesi ristabilì l’ordine sopprimendo con violenza le rivolte.
Nel 1891 il governo di Berlino assunse l’amministrazione diretta del protettorato, in
cambio del pagamento di un indennizzo alla GEAC, che mantenne una parte dei suoi
monopoli commerciali.
Nel 1905 in Tanganika abbiamo la rivolta Maji Maji (il termine «maji» significa «acqua»
in swahili). Secondo gli amministratori coloniali tedeschi tali rivolte erano causate
dall’irrazionalità degli insorti, che avevano prestato fede ad un profeta, il quale aveva
affermato che l’acqua da lui distribuita e di cui le persone dovevano cospargersi li
avrebbe resi invulnerabili alle armi da fuoco.
Nella realtà l’impatto della conquista coloniale sui diversi contesti locali era stato centrale
per il nascere e propagarsi di tali rivolte.
Nella regione costiera di Umatumbi la coltivazione obbligatoria del cotone da parte delle

autorità spinse i contadini africani a ribellarsi (controllo coercitivo, agricoltori locali


obbligati a produrre determinati beni).
Più a nord, le trasformazioni socio-economiche legate alla costruzione di una linea
ferroviaria (polo di attrazione per uomini in cerca di lavoro salariato) fu motivo di
ribellioni.
Nell’entroterra della città di Kilwa, polo importante per le rotte carovaniere che
collegavano l’attuale Tanzania meridionale alla costa dell’oceano Indiano, la rivolta si
configurò come un tentativo da parte dei rivoltosi di mantenere autonomia politica e
accesso a opportunità economiche, che la penetrazione coloniale tedesca stava
minacciando.
Ancora più a ovest la rivolta si sovrappone ad una serie di lotte che andavano avanti da
decenni.

Africa del Sud ovest - Namibia


Nel 1884 la Germania dichiara un protettorato in Africa del Sud Ovest, i cui confini
vengono successivamente definiti con Portogallo e Gran Bretagna.
Inizialmente il controllo fu dato al capitale privato (investitori) e poi alla German South
West African Colonial Company, che però era a corto di capitali e quindi il governo
tedesco fu costretto ad assumere l’amministrazione della colonia.
Il tentativo tedesco di concludere trattati di protezione con nama e herero, due
popolazioni dedite all’allevamento che dominavano rispettivamente le regioni
meridionali e centrali, si rivelò da subito molto difficoltoso.
Il governatore cercò di evitare l’uso diretto della violenza ove possibile, scegliendo di
sfruttare le divisioni politiche tra le popolazioni africane e attuare modelli di indirect rule.
Questo permette di avviare una politica di colonizzazione economica del territorio (arrivo
di coloni europei, intensificazione delle attività delle imprese concessionarie e opere
infrastrutturali).
Tra il 1903 e il 1904 l’incerto equilibri politico viene travolto dallo scoppio di una rivolta
tra gli Herero nelle regioni centrali della colonia, sedate con la violenza.
La brutale repressione militare tedesca e il crescente risentimento delle popolazioni Nama
contro l’amministrazione coloniale portano nel 1904 a insurrezioni e scontri diretti con i
tedeschi da parte dei Nama guidati da Witbooi. Il conflitto nel sud della colonia si
protrasse fino al 1907.
Le tecniche di guerriglia impiegate dai Nama e l’estensione geografica dell’insurrezione
resero difficile il ristabilimento del controllo tedesco sulla regione.
Queste insurrezioni ebbero costi altissimi per le popolazioni Nama e Herero, anche a
causa della decisione da parte dei tedeschi di creare campi di concentramento per i
superstiti, funzionali alla fornitura manodopera per le imprese e aziende agricole europee
e per lavori di pubblica utilità.
I campi di concentramento vennero utilizzati non solo dai tedeschi, ma anche da altri stati
colonizzatori. Come in Sudafrica da parte dei britannici nei confronti di popolazioni
autoctone e anche boere. Sono modelli estremamente violenti.
Al termine della guerra si stima che il numero di Herero presenti su territori fosse

diminuito di 4/5 e che il numero di Nama si fosse dimezzato.


Nelle fasi successive al conflitto (prima che le truppe di Gran Bretagna e Sudafrica
invadessero il territorio nel 1914) l’amministrazione tedesca compie espropri di
terre su larga scala e tenta di imporre un sistema di tassazione e controlli per garantire un
flusso costante di lavoratori neri verso le miniere di diamanti e le aziende agricole
europee.

PORTOGALLO
All’inizio del XX secolo il Portogallo era un paese economicamente debole e anche per
questo era alla ricerca di nuovi spazi economici nelle colonie.
Dopo la Conferenza di Berlino le mire espansioniste portoghesi si dovettero fermare
definite dal predominio britannico sudafricano in Africa australe.
Inizialmente il modello coloniale portoghese è debole, anche a causa di lunghe campagne
di pacificazione nei territori conquistati e pressioni da parte delle altre potenze europee.
Il Portogallo ottenne il controllo di Angola e Mozambico solo dopo lunghe e violente
campagne militari di pacificazione che durano fino alla metà degli anni ’20 del 900.
Queste due colonie sono molto importanti per il Portogallo, che voleva costruire una
colonia che andasse dall’oceano atlantico a quello indiano, ma ciò non sarà possibile a
causa degli interessi coloniali francesi.
Il Portogallo aveva una lunga storia di presenza in alcuni di questi territori, presenza non
tanto coloniale, ma soprattutto di tipo commerciale, ad esempio in relazione alla tratta
degli schiavi (che in Africa Orientale dura di più rispetto all’Africa occidentale)
Area swaili: da cui deriva una lingua diffusa in africa orientale, oggi lingua ufficiale della
Tanzania. Era una lingua bantu (africana), ma con influenze arabe e portoghesi.
Il mondo arabo-swaili fu importante in questa fase insieme all’affermarsi del
colonialismo portoghese (gli europei non erano gli unici ad avere rapporti con l’Africa).
Il ruolo delle compagnie concessionarie in questi territori era fondamentale e durò molto
più a lungo rispetto agli altri sistemi coloniali, alcune resistono fino agli anni ’40 (come il
caso del Mozambico). Queste amministravano immense regioni ed è interessante notare
come alcune di queste compagnie ricevevano investimenti stranieri, ad esempio dalla GB,
che dovevano servire per promuovere lo sviluppo del modello coloniale portoghese.
Sistema coloniale inizialmente (fino agli anni ’30) debole anche perchè legato alle
priorità economiche del Sudafrica, in particolare il colonialismo in Mozambico, e
fortemente dipendente dal capitale internazionale.

La struttura burocratica amministrativa del colonialismo portoghese si consolida in modo


tardivo (soprattutto in Mozambico), solo negli anni 30, con il nuovo nazionalismo
economico dell’Estado Novo di Salazar (1930). Si voleva cercare di diminuire la
dipendenza dai capitali stranieri e di ottenere risorse per modernizzare i sistemi di
sfruttamento delle colonie a vantaggio della metropoli coloniale. Processo di
rafforzamento e ristrutturazione del sistema coloniale, che prima aveva avuto delle
difficoltà.

Principali colonie: Mozambico e Angola


Elementi principali:
- abolizione delle compagnie concessionarie;
- rigido controllo del lavoro, anche forzato (diverso da schiavitù);
- modello coercitivo
- riorganizzazione amministrativa gerarchica e rigida: i capi tradizionali vengono posti
sotto il potere degli amministratori coloniali e risultano funzionali allo sviluppo di un
sistema di controllo; quindi il sistema portoghese è diretto e centralizzato, ma con un
utilizzo funzionale dei capi tradizionali.
- si intensifica lo sfruttamento economico. Si rafforzano le produzioni agricole e si
diffusero coltivazioni obbligatorie sia alimentari che commerciali. Obbligo di coltivare
determinati prodotti, ad esempio il cotone in Angola e Mozambico, che vengono poi
commercializzati esclusivamente dallo stato coloniale. Questo modello viene applicato
nelle colonie portoghesi e anche in quelle francesi dell’Africa Saheliana;
Tale politica riguardava anche produzioni volte al mercato interno, come nel caso della
produzione di mais in Angola.
In alcune aree a nord dell’Angola si produce anche il caffè. In questo specifico caso i
piccoli produttori riescono ad ottenere margini di manovra, di produzione e di profitto,
diventando un gruppo agrario unico, che si distingue da tutti gli altri produttori agricoli in
Angola.
- venne rafforzato il sistema di tassazione
- Aumento dei coloni bianchi (negli anni ‘60 circa 85.000 in Angola e 200.000 in
Mozambico). Ma queste colonie non si possono definire colonie dei setter perché: (1) il
ruolo politico e economico dei coloni non è particolarmente centrale (anche se in Angola
ci sono gruppi di élite bianca che cercarono di ottenere un proprio spazio di
emancipazione dal sistema coloniale, questi possiedono quella forza ed influenza che si
raggiunge nelle colonie dei setter), (2) non c’è un modello ampio e diffuso di esproprio di
terre (l’esproprio avviene anche in questi territori, ma non in modo esteso e significativo
come accade nelle colonie dei setter).
- rigida differenziazione razziale tra indigeni e bianchi.

Il Mozambico diventerà in modo particolare un esportatore di forza lavoro migrante


(temporaneo) a basso costo verso il Sudafrica e la Rhodesia.
Tale processo si realizza per varie ragioni:
(1) il sistema sudafricano ha bisogno di grandi quantità di forza lavoro (soprattutto per il
lavoro nelle miniere), tale forza lavoro arrivava da varie aree ed in maniera significativa
dal Mozambico (soprattuto dal Mozambico centro meridionale). Il reclutamento avveniva
tramite il Sudafrica/le compagnie sudafricane stesse;
(2) sostegno da parte del Portogallo. Infatti per mezzo del sistema di pagamento detto
differito il sistema coloniale portoghese ne aveva un enorme guadagno, funzionale al
mantenimento del governo nella colonia.
Una volta rientrato in Mozambico il lavoratore veniva pagato solo in parte e poi il resto
della somma veniva dato allo stato coloniale in oro e poi era lo stato coloniale che

ripagava il lavoratore con la valuta locale.


In Angola la coercizione si esprime nel controllo delle attività agricole. Da un lato si
cerca di sostenere le produzioni dei coloni portoghesi e dall’altro avviene una rigida
riorganizzazione dell'agricoltura indigena.
Nei territori dell’altopiano meridionale il controllo sulla produzione e sul commercio del
mais rappresenta il simbolo dell’oppressione.
Nel bassopiano centrale il cotone e la sua obbligatorietà furono causa di povertà e crisi
dei sistemi agricoli tradizionali.
Nel Nord le tensioni sulla produzione di caffè rappresentarono un elemento di dissenso e
lotta politica. Quest’area era parzialmente più ricca rispetto alle altre, in quanto i
produttori locali riuscivano a partecipare alla produzione del caffè traendone alcuni
vantaggi.
Tra il 1950/1960 in Angola si rafforza la produzione minerari (diamanti, petrolio) e del
caffè.
Nel secondo dopoguerra, mentre le altre potenze europee iniziavano a trasformare i loro
modelli coloniali, portando gradualmente alla decolonizzazione, il Portogallo rafforzava
il suo dominio e favoriva l’insediamento di coloni portoghesi.
Le colonie portoghesi diventano indipendenti molto tardi, quando nel resto del continente
l’indipendenza era già avvenuta, e attraverso una lunga guerra di liberazione.

BELGIO
Congo
La questione congolese e la navigazione lungo il fiume Congo furono centrali nel
determinare la spartizione dell’Africa e uno dei punti che spinse Bismarck ad indire la
conferenza di Berlino.
La Francia si stava estendendo in Africa centrale e nel 1880 a seguito delle missioni esplorative
di De Brazza, la Francia aveva istituito un protettorato nella zona del bacino del Congo
(stipulando un accordo con il re dei Bateke).
La Gran Bretagna, preoccupata per l’espansione francese e temendo restrizioni, stipula nel 1884
un patto con il Portogallo (a cui viene riconosciuta la sovranità sulla foce del fiume Congo, in
cambio di libero commercio). Francia e Germania si oppongono al trattato rifiutandone la
validità.
Anche il re Leopoldo II del Belgio voleva espandersi in queste aree a seguito delle spedizioni
esplorative di Stanley. Inizialmente il re aveva interessi economici e mire commerciali
monopolistiche sulla regione congolese, mire mascherate da ideologie umanitarie e di
civilizzazione.
Ben presto (1882) il re riconsidera la sua politica nella regione, ordinando a Stanley di far
firmare ai capi locali dei trattati in cui cedevano all’Association Internationale du Congo la
sovranità sui loro territori, che vengono unificati sotto il nome di Stato libero del Congo. In
cambio del riconoscimento internazionale della sovranità della AIC sui territori del bacino del
Congo, il re si impegnava a garantire libertà di commercio nell’area.

Lo Stato libero del Congo era un possedimento personale del re, e solo nel 1908 diventa colonia
belga.
Una volta ottenuta la sovranità Re Leopoldo II avvia uno sfruttamento economico del territorio,
puntando sulla raccolta e l’esportazione di avorio e gomma selvatica.
Nel 1885 tutte le terre vacanti diventano proprietà dello Stato (che detiene anche i diritti di
sfruttamento delle risorse naturali presenti su quelle stesse terre).
Inoltre assegna in concessione territori a imprese private (che godevano di monopolio
commerciale), non rispettando l’impegno preso nel mantenere libero il commercio.
Il lavoro forzato, i metodi coercitivi e brutali applicati per la raccolta di gomma e avorio, la
malnutrizione e il diffondersi di malattie causano un brusco declino delle popolazioni locali.
Lo sdegno dell’opinione pubblica a causa delle violenze perpetrate in questi territori porta nel
1908 lo Stato libero del Congo a diventare ufficialmente una colonia belga, sotto il nome di
Congo Belga.

Il Congo belga si caratterizza per rapporti organici fra controllo coloniale e interessi
economici, fra cui quelli delle compagnie concessionarie e degli interessi minerari.
In quest’area le compagnie concessionarie (alle quali erano state affidate ampie
concessioni territoriali) non sono solo un tramite amministrativo, ma attuano un modello
di rapina delle risorse naturali (per vantaggi economici).
Data la ricchezza di risorse minerarie, tale modello persiste nel tempo.
Lo Stato coloniale porta poi a termine una politica di conversione, da una economia
semplicemente estrattiva basata su prodotti come gomma e avorio a un'economia di
produzione più articolata basata sulla produzione agricola e soprattutto le risorse
minerarie.
In particolare dopo la prima guerra mondiale la colonia fu interessata da importanti
investimenti e sviluppo delle infrastrutture (ferrovia), che si ricollega alle ingenti
esportazioni minerarie dell’epoca.
Il sistema coloniale del Belgio fu particolarmente coercitivo, violento e oppressivo, anche
in funzione del reclutamento di manodopera (per il lavoro in miniera e per la costruzione
di infrastrutture).
Se nel primo periodo si utilizza molto il modello di lavoro migrante, dopo la 1WW c’è un
ripensamento del sistema di reclutamento e i lavoratori vengono incoraggiati a trasferirsi
nelle zone adiacenti alle miniere.
In campo agricolo inizialmente viene incentivata la produzione alimentare per il consumo
interno, ma dopo la guerra viene promossa e consolidata la produzione per l’esportazione,
introducendo anche coltivazioni obbligatorie (olio di palma) e assegnando in concessione
ad imprese private ampie regioni territoriali.
La colonia era povera e arretrata, soprattutto nelle zone rurali, e anche le riforme che
negli anni ’20 vanno ad assegnare alcuni poteri ai capi locali non migliorano la
situazione, ma piuttosto aumentano divari sociali e tensioni locali e regionali.
La crescita industriale ed economica delle aree urbane non beneficia i lavoratori neri.
Il sistema coloniale belga può essere definito come un sistema politico misto tra modello
francese e britannico.

Rwanda e Burundi
Per quanto riguarda i mandati di Rwanda e Burundi (amministrati come un’entità unica) il Belgio
applica una sorta di sistema indiretto sul modello britannico, basato su quella che fu definita la
politique des races (aspetto importante da considerare per comprendere anche le problematiche
post indipendenza).
Una politica ispirata a modelli evoluzionisti che consideravano la presenza di due diverse
razze (una inferiori, gli hutu, e una superiore, i tutsi) e che faceva riferimento al mito
camitico (camiti come gruppo etnico razziale superiore. Superiorità degli antichi egizi
sugli altri africani).
Questo mito parlava di una supposta (e mai storicamente provata) origine etiopica delle
popolazioni Tutsi, che erano prevalentemente allevatori, arrivati nella regione come
conquistatori asservendo gli agricoltori Hutu già stanziati sul territorio.
Tutsi visti come un gruppo sociale superiore e privilegiato. Sono stati definiti da alcuni
come europei sotto pelle nera, pastori camiti venuti dall’Etiopia per sottomettere tribù
bantu (cioè gli hutu), razza degna di ammirazione, camiti di probabile origine semita,..
Differenza anche fisica: tutsi alti, hutu tozzi.
Tale stratificazione sociale si riflette anche sulle attività economiche (allevatori -
agricoltori).
Si crea quindi una gerarchia non solo tra colonizzati e colonizzatori, ma anche tra gli
stessi popoli colonizzati.
Processo già iniziato dai tedeschi e che fu ripreso in maniera più strutturata dai belgi e
facilita il controllo belga sul territorio, sia in Rwanda che in Burundi.
Il risultato fu una netta e rigida separazione etnico-razziale che avrà conseguenze
drammatiche nella storia successiva (es. genocidio in Rwanda).
Le differenze etniche vengono esasperate, diventando fisse e immutabili. Se prima del
colonialismo c’era una gerarchia che poteva però essere “scalata”, con il colonialismo
non c’è flessibilità e possibilità di cambiare il proprio status. Non c’è inoltre spazio per i
gruppi misti.

ITALIA
Anche nel caso italiano, in linea con tutti i modelli coloniali, importante fu la presenza di
esploratori (come Piaggia, Gessi, Antinori).
L’espansione coloniale in Italia fu tardiva rispetto agli altri paesi europei, infatti in un primo
periodo l’Italia è incerta su come agire dal punto di vista coloniale.
Le prime iniziative mercantili italiane, ad opera di alcune compagnie di navigazione, non
erano riconducibili a disegni di politica coloniale, ma semplice volontà di inserirsi nei
nuovi commerci internazionali.
Inoltre l’Italia non aveva un capitalismo che poteva sostenere grandi investimenti e una
solida produzione industriale.
Solo successivamente, a seguito della Conferenza di Berlino (dove però non ha un grande ruolo)
e in particolare sotto il governo della sinistra storica di Crispi, (dal 1887) si rafforzò e prese
definitivamente identità la politica coloniale italiana.

Il sistema coloniale italiano si realizzò inizialmente per mezzo di compagnie (soprattuto


nel corno d’africa) che però falliscono in pochi anni, seguito da alcuni esperimenti di
piccola colonizzazione volti a sviluppare un'agricoltura dei coloni (però non si creano mai
colonie dei settler).
Il modello di amministrazione coloniale oscillava tra dominazione diretta e indiretta.
Aree di interesse per l’Italia:
- il Mar Rosso e il Corno d'Africa, idea strategica di una continuità fra Mediterraneo e Mar
Rosso per arrivare fino alla Somalia.
- la Libia, la cui conquista avviene soltanto a partire dal 1911.
L'interesse coloniale italiano in parte era residuale a scelte che avevano già fatto gli altri
paesi. Ad esempio la Francia aveva imposto il suo controllo su Algeria e Tunisia.
Nel Corno la presenza italiana era vista come una forma di equilibrio fra le reciproche
rivendicazioni di Francia e Gran Bretagna (la Francia nel territorio degli Issa e Afar, oggi
Gibuti, la Gran Bretagna nel Somaliland)
Nel 1882 passa sotto il diretto controllo del governo italiano la baia di Assab ,che la
compagnia di navigazione genovese Rubattino aveva preso in affitto da alcuni sceicchi
locali e che permette l’avvio della formazione della colonia dell’Eritrea, ufficialmente
proclamata nel 1890 (prima colonia italiana e quella più strutturata e che dura più a
lungo). Il 1882 viene considerato come l’anno di inizio del colonialismo italiano.
Nel 1885 il ministro Mancini (ministro degli Esteri del governo Depretis) convince il
Parlamento, affermando che la chiave del Mediterraneo è il Mar Rosso.
Ed è poi Crispi a farsi grande portavoce del colonialismo all’interno della politica
italiana.
A partire dall’Eritrea l’Italia tenta di espandersi verso l’altopiano etiopico. L’Etiopia era
un antico regno che nel corso dell’800 si era modernizzato, e la sua conquista si rivela più
complicata del previsto per gli italiani.
Nel 1889 viene stipulato tra Italia ed Etiopia il trattato di Uccialli, che doveva garantire la
base dell’indipendenza etiopica, mentre nelle intenzioni del governo italiano doveva
rappresentare l’inizio della penetrazione italiana sul territorio. Tale differenza di
interpretazione del trattato spinge l’Italia all’attacco.
Gli italiani vengono sconfitti ad Adua nel 1896 e tale sconfitta blocca il tentativo italiano
di conquista dell’Etiopia e di controllo sul Corno d’Africa (Etiopia come simbolo
dell’Africa libera). Viene firmato un nuovo trattato (di Addi Abeba), con il quale appunto
viene riconosciuta la sovranità etiopica e che pone fine alle mire verso l’Etiopia, fino alla
conquista in epoca fascista (1935-1936).
L'altro filone di penetrazione, sempre in Africa orientale, fu quello sulle coste della Somalia,
inizialmente tramite compagnie commerciali e poi da parte diretta
dell’amministrazione italiana.
Il controllo diretto parte dalle regioni meridionali, dove ci sono corsi d’acqua che
possono favorire la creazione di villaggi e la produzione agricola.
La Somalia italiana fu proclamata colonia nel 1908. Quest’area però non era particolarmente
significativa dal punto di vista sia economico che ambientale. Per questo nel primo dopoguerra il

duca Amedeo di Savoia creò la Società agricola italo-somala per cercare di valorizzare
l’agricoltura. Si producono banane e cotone.
Le società somale erano prevalentemente pastorali e frammentate in gruppi classici, con
strutture politiche decentralizzate (non necessariamente gerarchiche), per questo l’Italia
incontra varie difficoltà nell’esercitare un effettivo controllo su questi territori.
Le confraternite svolgono un ruolo importante: vari gruppi di clan somali legati a
confraternite mussulmane Sufi si riuniscono e fondano un’entità politica, lo Stato dei
dervisci somali. Dervisci è un termine con cui vengono definiti i fedeli di confraternite
Sufi, votati.a povertà e virtù. Tale stato assume la forma di un movimento nazionalista
ostile al dominio italiano e a quello britannico.
La lotta anticoloniale (in alcuni casi simile a quella della Libia) dura fino alla morte
del leader Mad Mullah nel 1920.
In questo contesto l’amministrazione italiana cerca di attuare una decisa centralizzazione
del potere e una rigida gerarchia interna.
Solo più tardi con il fascismo lo sviluppo e il controllo della colonia si rafforza e viene
incorporata nell’Africa orientale italiana.

Durante il regime fascista si realizza un rilancio coloniale e una maggiore strutturazione


politico-amministrativa. La politica coloniale divenne parte integrante della retorica del
regime e inizia una fase di rafforzamento della supremazia sulle colonie attraverso
l’utilizzo di strumenti coercitivi e repressivi sul modello portoghese, basati anche su
discriminazione razziale.
Indubbiamente la cultura nazionalista anche nel caso italiano aveva effetti che
rafforzavano l'idea dello sviluppo coloniale e il mito di una politica da grande potenza.
Gli esponenti della sinistra storica, cresciuti negli ideali mazziniani, avevano invece una
minor simpatia per i programmi di conquista che pensavano potessero compromettere la
causa dell'irredentismo italiano.

In Eritrea, come in Libia, si cerca di attuare una politica di colonizzazione sul modello
inglese delle colonie dei settlers, cercando di favorire una colonizzazione agraria che si
affidava a concessioni di poderi di piccole dimensioni su base familiare, con forte
sostegno dello Stato per creare una vasta e stabile popolazione rurale. Non si crea mai
però una vera e propria colonia dei settler.

L'Etiopia viene invasa dall'Italia nel 1935 con l’intento di creare un grande impero
coloniale italiano nel Corno d’Africa (il generale Badoglio entra ad Addis Abeba) e poi
liberata dagli inglesi nel 1941.
La conquista dell’Etiopia non ottiene riconoscimento internazionale e anzi l’Italia viene
sanzionata l’aggressione ad un paese sovrano (l’Etiopia era entrata a far parte della
Società delle Nazioni).
Nel breve periodo di occupazione l'Italia cerca di consolidare la sua presenza nella
regione creando l'Africa orientale italiana (AOI).
L'occupazione italiana dell'Etiopia fu molto breve e caratterizzata da molti investimenti in

infrastrutture, che avevano l'obiettivo di favorire una eventuale colonizzazione agricola e


imprenditoriale, e si cerca di favorire l’insediamento di coloni italiani.
Forte era la discriminazione razziale, la separatezza tra coloni e sudditi e la violenza
perpetuata sul territorio etiope dagli italiani.
La politica italiana verso i capi locali (l’impero etiopico era forte, con una forte èlite
aristocratica) fu una politica di cooptazione ma anche di forte repressione dopo il fallito
attentato al vicerè Graziani nel 1937.

Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia perde tutte le sue colonie, e non partecipa
quindi ai processi di decolonizzazione.
Solo negli anni 50 all’Italia viene data in amministrazione fiduciaria la Somalia. Secondo
cui alla Somalia viene riconosciuto il diritto di accedere all’indipendenza e all’Italia viene
dato il compito di amministrare la transizione verso tale indipendenza.

Libia
Alla vigilia della prima guerra mondiale prende avvio l’intervento italiano in Libia:
Tripolitania sotto il controllo Ottomano, Cirenaica controllato localmente dalla
confraternita della Senussia.
Quest’area non era caratterizzata da entità statuali forti, ma da società più frammentale, in
parte nomadi, legate al deserto.
Grande ruolo delle confraternite Sufi, in particolare quella della Senussia, che riesce ad
unire questo mondo diversificato e frammentato che sottostava all’impero ottomano,
anche se in modo marginale. La Senussia era una storica confraternita mussulmana
dell’area centro orientale del mondo sahariano. A seguito dell’indebolimento delle rotte
commerciali antiche e di un debole controllo ottomano su alcune aree, la sua struttura
socio-culturale si estende andando ad amalgamare gruppi di popolazioni nomadi
precedentemente poco coese.
L’interesse per queste aree aveva già trovato spazio ideologico dopo l’impossibilità di
colonizzare la Tunisia e l’avvio dello scramble post Conferenza di Berlino. Con l’accordo
franco-italiano del 1900 si garantiva all’Italia la possibilità di occupare questo territorio
ancora governato dall’impero ottomano (mentre alla Francia veniva lasciato spazio in
Marocco).
Dopo lo sbarco in Tripolitania e Cirenaica nel 1911 (con Giolitti) ha inizio la guerra italo
turca e la conquista termina ufficialmente nel 1912 con la firma di un trattato di pace da
parte dell’impero ottomano.
Nello stesso periodo si apre però una violenta lotta di resistenza interna alla colonia
duramente repressa dall’Italia e che mette in difficoltà l’Italia per quasi un ventennio.
Il patriottismo locale si ispiravano a versioni autoctone dell’Islam e ad un nascente
nazionalismo regionale. Con l’inizio della 1WW la resistenza prende maggiore vigore, in
particolare da parte della Senussia, che iniziava ad avere più influenza anche in
Tripolitania.
L’amministrazione coloniale oscillava tra governo diretto e governo indiretto.
Nella prima fase, Italia liberale, si cercò di creare un’amministrazione volta anche a

rispettare le tradizioni e le consuetudini locali (in qualche modo l’idea dell’indirect


rule britannico), benché il sistema fosse più centralizzato e decisamente egemonico.
Ad esempio viene stipulato lo Statuto libico, che doveva offrire agli autoctoni una
limitata partecipazione all’amministrazione.
Lo stesso Giolitti però parlava del colonialismo come di una missione civilizzatrice, di
controllo di popoli arretrati e barbari. E successivamente si torna ad un programma di
pura sottomissione delle popolazioni locali.
La valorizzazione dell’agricoltura era un’aspetto importante per l’Italia, sia nel contesto
nazionale che in quello coloniale. Per questo in Libia viene avviato lo sviluppo di aree
agricole, inizialmente grandi aziende, in cui lavorano gli indigeni.
Si voleva incentivare l’emigrazione di coloni italiani, per poter ricreare nei terrori libici
un modello di piccoli agricoltori, di piccoli poderi in mano ai coloni stessi (e non un
modello di grandi latifondi).
Inizialmente c’erano due territori coloniali separati (Tripolitania e Cirenaica), che
vengono poi unificati nel 1929 e Badoglio ne diventa governatore.
Viene anche intrapresa una campagna militare per conquistare la regione più a sud del
Fezzan.
Durante il fascismo, in particolare dal 1930, aumentano le azioni di repressione delle
resistenze (guidata dal leader Uman al-Mukhtar, che viene poi giustiziato) e conquista,
guidate dal governatore della Cirenaica Graziani. La repressione della popolazione locale
fu molto pesante, con deportazioni e presenza di campi di prigionia che decimarono la
popolazione. Di tali violenze la Libia indipendente chiese a lungo riparazioni
(contenzioso che si protrae fino al trattato italo-libico del 2008).
Avvengono anche una serie di espropri di terre a danno della Senussia.
Nel 1934 Italo Balbo diventa governatore su tutta la Libia, e ha inizio una nuova ondata
di immigrazione italiana.
Alla fine degli anni 30 vengono scoperti i primi giacimenti di petrolio, che l’Italia non
sfrutta a causa dell’imminente scoppio della 2WW.
Con la sconfitta militare l’Italia perde tutte le colonie compresa la Libia, che viene
occupata dai britannici ad eccezione del Fezzan che diventa dominio francese.
La Libia diventa indipendente con il sostegno dell’ONU nel 1951, sotto la guida del re
Idris (leader della Senussia).

Considerazioni conclusive sul colonialismo


La conquista coloniale è stato un processo lungo, soprattutto nella sua prima fase di
consolidamento e strutturazione
4 elementi importanti:
• Lo stato artificiale — esprime la costruzione dei confini che si determina attraverso gli
accordi con cui gli europei conquistano e occupano l’Africa. Nuovi confini che portano
ad una definizione spaziale e temporale, diversa da ciò che c’era prima del colonialismo.
Gli Stati coloniali sono stati artificiali e asimmetrici (asimmetrici perchè si creano
disuguaglianze) perché creati all'interno di confini non coincidenti con spazi culturali,

storici, politici.
Le popolazioni africane hanno quindi cominciato a definirsi in rapporto a questi nuovi
ambiti territoriali, in rapporto al potere e all'autorità coloniale e dei capi tradizionali
riconosciuti.
In questo modo lo Stato all'interno di confini “inventati” si è definito secondo strutture
statuali, amministrative, economiche e sociali fortemente modificate rispetto al passato,
al fine della valorizzazione economica di quelle aree funzionali allo sfruttamento e agli
interessi coloniali mentre al contempo si metteva in atto una politica considerata di
civilizzazione
• Invenzione della tradizione: dopo la prima guerra mondiale seguì un’ulteriore fase di
rafforzamento strutturale e riorganizzazione. Tale riorganizzazione faceva ancora
riferimento alla nozione di società africane tradizionali, con i propri diritti consuetudinari,
le proprie identità cristallizzate nel tempo e basate su identità immutabili e società che
nella loro essenza erano comunitarie, solidali ed egualitarie.
Anche in questa fase il modello di trasformazione in parte cerca di liberalizzare alcuni
aspetti della vita politica ai fini del mantenimento del controllo coloniale, ma fa anche
largo uso di politiche volte a retribalizzare le popolazioni africane ai fini di controllo.
La tradizione è stata rielaborata e riorganizzata in periodo coloniale.
Tale tradizione che viene cristallizzata dal colonialismo (mentre le tradizioni di per se è
un qualcosa di mutevole). Questa è una questione centrale nelle politiche di sviluppo
contemporaneo
Le identità etniche non erano mai state statiche, ma si erano continuamente modificate in
risposta a trasformazioni politiche, economiche e sociali, sono quindi sistemi stratificati,
flessibili e in movimento. Invece nel contesto coloniale l’identità etnica viene concepita
come un qualcosa di primordiale, di immutato e immutabile nel tempo, che va a relegare
le società africane ad uno stato di evoluzione umana inferire rispetto alle società
occidentali.
A questi processi partecipano anche gli stessi capi tribali, che rivendicano tali tradizioni
per poter consolidare il proprio potere e la propria posizione sociale.
Tale manipolazione delle divisioni etniche finalizzata al mantenimento del potere verrà
poi utilizzato anche da vari governi indipendenti.
• Consuetudine e autorità
• Sfruttamento economico: L'altro aspetto centrale da ricordare è il sistema di
sfruttamento economico aveva un elemento comune nelle diverse colonie: l’utilizzo delle
risorse delle colonie stesse attraverso le produzioni commerciali, l'estrazione mineraria, le
imposte e il lavoro forzato, che servivano a dare ulteriore ricchezza al sistema coloniale
stesso.
Oltre al lavoro forzato la coercizione si manifesta anche attraverso colture obbligatorie e
controllo sulle attività agricole degli indigeni nelle colonie di popolamento.
Importante soprattutto la coltivazione del cotone in Africa occidentale e in Mozambico
Le popolazioni africane rimasero quindi relegate a un'economia agricola marginale, la
quale però era costantemente immessa all’interno del sistema capitalistico internazionale;
sia da parte dei settori più avanzati che partecipavano alle produzioni per l’esportazione,

sia dei settori più indeboliti che comunque, attraverso imposte, lavoro migrante e altre
attività economiche legate alle trasformazioni coloniali, erano in qualche modo uscite dal
modello ancora ritenuto esistente della tradizionale economia di villaggio (una questione
centrale nell'immaginario delle politiche di sviluppo contemporaneo).
L’Africa è inserita nel contesto economico internazionale, anche se in una posizione di
grande debolezza (ad esempio viene marginalizzata, è irrilevante negli scambi globali) e
questo si riflette anche negli stati indipendenti.
L’export riguarda esclusivamente cash crops e c’è assenza di diversificazione. L’assenza
di diversificazione caratterizza non solo il periodo coloniale ma anche il periodo degli
stati indipendenti. Concentrandosi sull’esportazione di un’unico prodotto o pochi, se il
commercio di quel prodotto crolla questo può causare gravi crisi (come la crisi del rame
in Zambia negli anni 70/80). .
L’agricoltura sarebbe potuta diventare un punto di forza e una possibilità di sviluppo, ma
cosi non è stato.

Etnia e tribù (termini problematici):


Il termine etnia che viene dal greco ethnos (popolo, nazione), appare recentemente e
tende a essere distinto dalla nazione.
In francese tribù e etnia tendono ad avere lo stesso significato mentre invece
nell'antropologia anglosassone tribù tende a fare riferimento agli organismi sociali propri
delle società segmentarie basate sul lignaggio.
La parola tribù viene recuperata nel corso dell'ottocento dagli antropologi evoluzionisti
per indicare soprattutto l'ordinamento delle parentele dei popoli primitivi, e usata con
significati diversi: fra questi il legame genealogico e l’identità accettata come un dogma.
L’etnia è un gruppo sociale fisso avente una origine comune e che possiede una cultura
omogenea e che parla una lingua comune.

LA DECOLONIZZAZIONE E L’AVVIO DEL PROCESSO DI INDIPENDENZA


Le idee di emancipazione politica e sociale che nei territori coloniali del mondo afro
asiatico si erano andate rafforzando durante l’ultima fase coloniale e il grande
cambiamento dell’assetto internazionale (a seguito della fine della seconda guerra
mondiale) permettono di portare a compimento il processo di decolonizzazione. Inteso
come risultato congiunto di: (1) trasformazioni e di decisioni a livello internazionale,
(2) processi di riforma degli stati coloniali e (3) rivendicazioni politiche e sociali di
gruppi e movimenti i terni (che diverranno poi i movimenti nazionalisti e i partiti al
potere nel periodo post indipendenza).

Oltre all’anomalo caso del Sudafrica che nel 1948 istituzionalizza il regime di apartheid,
con la fine della 2ww solo 3 paesi erano già formalmente indipendenti:
- Liberia. Nasce come stato indipendente per interessi soprattutto statiunitensi
- Etiopia. Impero forte, interessato solo da una breve fase coloniale italiana
- Egitto. Godeva già di uno statuto di autonomia, anche se la GB esercitava comunque


una pressione, soprattutto nella zona del canale di Suez. Nel 1952 il suo assetto politico si
trasforma radica mente a seguito della presa del potere da parte dei militari guidati da
Nasser (destituiscono il re). L’Egitto inizia ad assume un ruolo preminente nella politica
nazionalista, anti-coloniale e pan-araba (questo è importante anche sul piano
internazionale)

Il secondo dopoguerra produce grandi trasformazioni:


Gran Bretagna e Francia iniziano una fase di decolonizzazione
Il Belgio attua una frettolosa decolonizzazione (inizio anni 60).
L’Italia aveva perso le sue colonie a seguito degli eventi bellici (anche se la Somalia nel
1950 gli verrà assegnata in amministrazione fiduciaria dalle Nazioni Unite).
Il Portogallo invece resta irriducibile nelle sue mire coloniali e non decolonizza.

Bastione Bianco — la non decolonizzazione portoghese contribuisce a creare in Africa


Australe il cosiddetto «bastione bianco», ossia un sistema regionale incentrato sul
controllo e la protezione degli interessi economici delle comunità bianche (ma anche la
protezione dei propri interessi contro l’URSS).
Era composto da:
- Colonie portoghesi di Mozambico e Angola
- Sudafrica dell’apartheid, che amministrava anche come propria provincia interna
l’Africa del Sud-Ovest (Namibia), che era formalmente un mandato assegnato dalla
Società delle Nazioni al Sudafrica dopo la prima guerra mondiale e la Rhodesia
(Zimbabwe) con la dichiarazione unilaterale di indipendenza della piccola comunità di
coloni bianchi li residenti.
Questo assetto porta ad una seconda decolonizzazione in Africa, caratterizzata da
movimenti armati di liberazione nazionale. Infatti paesi del bastone bianco otterranno
l’indipendenza solo successivamente (non nel 1960).

Dopo la seconda guerra mondiale si apre una nuova fase del contesto e delle relazioni
internazionali:
- La fine dell’imperialismo ottocentesco
- Nuovi elementi di geopolitica
- 1945 nascita dell’ONU
- Dottrina Truman (1947) e il discorso dei 4 punti (1949). Il punto 4 è importante per noi
perché parla della necessita di sviluppo per far fronte al problema del “sottosviluppo”.
Sottosviluppo è un concetto problematico perché sottintende un gerarchia tra le nazioni.
Si apre con questo discorso un ventaglio di analisi dello sviluppo a livello globale
all’interno del contesto bipolare.
- Bipolarismo – confronto est- ovest (guerra fredda). 1961 Muro di Berlino
- Cina di Mao-Tse Tung (porta ad un modello internazionale ulteriormente modificato. la Cina
si fa più interventista all’interno dello scacchiere internazionale )
- 1954 la conferenza di Bandung (città dell’Indonesia). Conferenza tra paesi appena
diventati indipendenti e a cui partecipano anche movimenti indipendentisti dell’area afro


asiatica. Porta alla nascita di un movimento terzo rispetto al bipolarismo: il movimento


dei paesi non allineati (paesi di nuova indipendenza afro-asiatici). I paesi che
promuovono tale movimento sono India, Egitto, Indonesia e la Jugoslavia.
Concetto di Terzo mondo: concetto elaborato da un economista francese. Termine che
voleva raggruppare i paesi afro-asiatici che non volevano essere collocati all’interno del
bipolarismo (occidente - URSS). Tali paesi cercano di trovare un loro spazio politico, che
però non riescono poi ad ottenere. Punto importante di svolta per studiare la pluralità del
mondo anche nel periodo della guerra fredda.
Per alcuni tale termine si può ancora utilizzare, per altri no perché non esiste più un
mondo bipolare. Oggi si utilizzano maggiormente altri termini come paesi in via di
sviluppo o sud del mondo. Il termine terzo mondo rimane comunque un termine
importante dal punto di vista storico.

Prima della fase di decolonizzazione, vi è un intermezzo caratterizzato da un tentativo di


sviluppo del controllo coloniale e di riforma della gestione coloniale; con lo scopo di
mantenere un certo controllo nella fase finale del colonialismo che interessa in particolare
Francia e Gran Bretagna.
Tale riforma della “missione coloniale” si esprime attraverso programmi di sviluppo che
hanno l’obbiettivo di far evolvere la situazione dei sudditi coloniali (creando anche
nuove elite locali) e di rivitalizzare le economie metropolitane (sviluppo economico).
Vi sono anche tentativi di cooptare in modo più esplicito alcune èlite.
Quello che le grandi potenze coloniali fanno è quindi mettere in atto tutte le possibili
strategie che potessero “salvare il salvabile” all’interno di un contesto globale in
cambiamento (dopo la fine della seconda guerra mondiale e anche a causa della grande
depressione del 29 e di ondate di scioperi nei possedimenti coloniali). Era necessario
dare nuova legittimazione agli imperi coloniali e allo stesso tempo fornire risposte alle
crescenti rivendicazioni economiche, sociali e politiche delle popolazioni africane.
- Il progetto di sviluppo britannico
Gli inglesi avviano specifiche politiche di sviluppo economico (intensificazione dei cash
crops, parziale industrializzazione).
Nel 1940 viene adottato il Colonial Welfare and Development Act, per favorire
programmi finalizzati a promuovere un aumento delle produzioni agricole e interventi
sociali a favore delle popolazioni locali.
- Nel 1946 l Francia istituisce il progetto di ristrutturazione francese FIDES (Fonds
d’Investissement pour le Développement Ec nomique et Social) per finanziare progetti di
sviluppo economico nelle colonie attraverso il rafforzamento dell’agricoltura e
investimenti in infrastrutture. Sicuramente l’intento di tali riforme era soprattutto politico,
cioè puntava a salvaguardare il controllo sulle colonie e la loro funzionalità rispetto alle
esigenze della metropoli. Una studiosa francese ha descritto tale periodo (1946 - 1952)
come «i grandi anni dell’imperialismo coloniale francese».
Tali progetti di sviluppo rurale finiscono spesso per suscitare un diffuso malcontento
tra le popolazioni locali (ad esempio in Costa d’Oro). Infatti, se da un lato tendono a
promuovere il progresso economico e sociale delle popolazioni africane, dall’altro


vogliono conservare le identità e le strutture politiche ‘tribali’ funzionali al dominio


coloniale (inoltre tendono ad avvenire in modo verticistico, senza coinvolgere le
popolazioni stesse). Tale contraddizione alimenta forti tensioni all’interno delle comunità.

IL PERCORSO VERSO L’INDIPENDENZA


Francia
Nel caso francese è stato più esplicito il tentativo di mantenere il controllo centralizzato
delle colonie rispetto a quello britannico, anche in considerazione del fatto che non
c’erano movimenti nazionalisti fortemente strutturati e forti nelle due federazioni
coloniali; anche se la Guinea e L’Union des populations du Cameroun (UPC) erano
orientate verso l’indipendenza e avevano svilu pato una struttura militante sul modello di
quello che stava avvenendo nella Costa d’Oro britannica.

Conferenza di Brazzaville (capitale del Congo francese)1944.


Durante la conferenza il generale De Gaulle aveva proposto una riforma del modello
coloniale attraverso decentramento amministrativo, formazione di assemblee locali e
l’elezione di rappresentanti delle colonie nell’Assemblea nazionale francese. Momento
importante in quanto esprime quell’idea di costruzione di una comunità francese che
includesse i territori africani.
Anche se le riforme di Brazzaville in qualche misura contribuirono a rafforzare le
richieste di indipendenza, quest’ultima era ben lontana nelle intenzioni dei responsabili
della politica francese, che scartavano qualsiasi idea di autonomia e di autogoverno delle
colonie.
L’assimilation e la volontà di creare una grande comunità franco-africana d’oltremare era
ancora forte all’interno della politica francese anche dopo la seconda guerra mondiale.
L’allora ministro delle colonie aveva detto che i popoli africani non volevano nessun’altra
libertà se non quella della Francia.
Inoltre vengono attuate delle riforme come l’eliminazione del lavoro forzato, l’abolizione
dell’indigenat, il cambiamento di status da sudditi a cittadini e la legalizzazione dei
sindacati, che avevano certamente l’obiettivo di trasmettere agli abitanti delle colonie una
fede rinnovata nella missione francese.
La nuova Costituzione francese (1946) rappresentò un compromesso fra le idee legate
all’assimilation (uguaglianza fra tutti i cittadini metropolitani e coloniali) e le tesi
associazioniste, in quanto promosse la riformulazione del sistema coloniale nel tentativo
di mantenere le colonie legate alla Francia.
Si abolì, grazie all’intervento dei deputati africani e dei territori d’oltremare caraibici, la
distinzione fra sudditi e cittadini e si rafforzarono le istituzioni della rappresentanza, con
l’estensione della cittadinanza francese a tutti i sudditi coloniali (1946).
Fondamentale fu la legge Defferre del 1956 (l’allora ministro della Francia delle colonie
d’oltremare) che smantellava lo stato centralizzato e riconosceva le autonomie dei diversi
territori aprendo l’ultima fase del colonialismo. Legge che smantella le due federazione
(l’africa occidentale francese e l’africa equatoriale francese), ridando spazio politico e


sociale ai singoli territori, per creare una comunità di eguali, di cittadini con al centro la
Francia e al fianco i singoli territori coloniali.

La Francia vive tre grandi crisi interne tra 1950 e 1956 (che vanno a dettare l’evolversi
della concessione di autonomia nel continente africano):
- Guerra in Indocina: la sconfitta portò problematiche interne (1954) (indipendenza del
Vietnam)
- Avvio della lotta di liberazione nazionale in Algeria (1954): evento significativo in
quanto produce fratture in seno alla società francese che sono difficilmente ricomponibili
e che ha sulla Francia effetti devastanti. Da un lato la lotta contro gli algerini, dall’altro i
pieds noirs che provocano problematicità all’interno della Francia stessa. Il sistema
sociale sul modello delle colonie dei settlers aveva portato nei territori algerini a
marginalità sociale e tensioni politiche. La decolonizzazione fu violenta e caratterizzata
tra il 1954 e il 1962 quella che possiamo definire come lotta d’indipendenza/guerra di
liberazione/rivoluzione, tra FLN e i francesi. Con la nascita della quinta repubblica di De
Gaulle (1958) si apre una fase di negoziati che si conclude solo nel 1962 con gli accordi
di Evian che portano l’Algeria all’indipendenza.
- Crisi del canale di Suez (1956): mette in crisi l’idea di poter ridefinire il progetto
coloniale e acuisce la crisi del sistema coloniale in Francia e Gran Bretagna. Infatti le due
potenze coloniali tentano di tutelare lo spazio economico in quella zona, ma anche di
definire un’ulteriore assetto coloniale, ma sono impossibilitati a fare ciò a causa di una
mancanza di appoggio da parte di URSS o USA.

Nel 1958 quando De Gaulle diventa presidente e si instaura la quinta repubblica, si avvia
l’ultima fase del colonialismo francese. C’è un ultimo tentativo di creare una comunità
franco-africana, che riguarda i possedimenti francesi in Africa (l’Algeria è un caso a parte
e in Nordafrica Tunisia e Marocco erano già indipendenti).
Nello stesso anno la costituzione venne sottoposta a referendum nei territori africani. Gli
esiti furono favorevoli al progetto di De Gaulle, con eccezione della Guinea Conakry che
diventa indipendente producendo cosi una prima frattura politico-culturale post coloniale.
Nonostante il riscontro positivo il processo si blocca e nel 1960 la maggior parte dei
territori occupati dai francesi diventano indipendenti. Ciò avviene per varie ragione:
difficoltà di gestione, tensioni economiche,… Inoltre in alcuni paesi si creano tensioni e
divaricazioni tra le stesse élite africane, che impediscono di creare quella federazione
voluta dalla Francia, come in Sudan francese (attuale Mali) e Senegal, in cui leader delle
élite avevano idee politiche e culturali su come costruire l’indipendenza opposte.

Grand Bretagna
Processo maggiormente graduale, preparato e pragmatico, che si attua in modo più
articolato, prendendo in considerazione caso per caso.
Per i britannici la decolonizzazione era vista soprattutto come un processo attraverso il
quale trasferire ai gruppi africani rit nuti più idonei il potere. Ma le riforme sviluppate


avevano comunque, come per la Francia, l’idea di poter salvare le col nie (Churchill
disse che non era primo ministro per presiedere alla liquidazione dell’impero).
C’è un tentativo di preservare l’egemonia britannica attuando riforme economiche di
sviluppo e di contenimento orientate a salvaguardare lo spazio politico ed economico di
interesse britannico (secondo modelli più flessibili).
In modo particolare, la Gran Bretagna a partire dagli anni ’30 aveva cercato di rafforzare
politiche di sviluppo, ad esempio tramite la già citata Colonial Welfare and Development
Act del 1940 e tramite forme di riorganizzazione del sistema di indirect rule volte a
favorire forme di partecipazione locale degli africani alla vita politica.
A questo proposito il segretario alle colonie del governo laburista prevede la formazione
di consigli locali elettivi e si prefigura il passaggio a forme di autogoverno locale.
La Gran Bretagna vuole attuare un modello di decolonizzazione che potesse garantire
forme di mantenimento di rapporti politici con le ex colonie, un atteggiamento che
secondo a cuni aveva l’obiettivo di ricreare un modello neocolonialista (anche cercando
di coltivare classi compradore funzionali a questo risultato), atteggiamento pragmatico.

Man mano le esigenze indipendentiste trovano accoglimento a livello nazionale:


Il Ghana fu il precursore dell’elaborazione politica post c loniale
Nel 1960 diventa indipendente la più importante colonia britannica: la Nigeria (fase di
decolonizzazione complessa, si forma uno Stato federale)
Anche in Kenya si incontrano evidenti difficoltà. L’ex colonia dei settler raggiunge
l’indipendenza nel 1963 a seguito di una delle più importanti ribellioni armate degli anni
’50 in Africa sub-sahariana, la rivolta Mau-Mau.
La GB si trova in difficoltà anche con il Beciuanaland (attuale Botwuana). Qui il leader
locale sposa una ragazza bianca. Questo crea tensioni in quanto in quel periodo in
Sudafrica è in atto un sistema di Apartheid e la GB punta a mantenere dei buoni rapporti
con tale paese. Anche a causa di questo evento il Beciuanaland diventerà indipendente in
modo ritardato rispetto ad altri paesi africani.

Portogallo
Il Portogallo segue un andamento differente rispetto alle altre potenze coloniali, in quanto
decide di non decolonizzare.
Il Portogallo è stata la potenza coloniale europea più povera ed arretrata economicamente,
in quanto non era riuscita a sviluppare adeguate politiche a favore delle proprie colonie.
Proprio per questo era più interessata ad ottenere vantaggi economici (attua forme di
integrazione economica) dallo sfruttamento delle attività economiche (agricoltura) e della
forza lavoro. Modello ad elevata coercizione.
A partire dagli anni ’50 il Portogallo cerca di ra forzare il suo controllo politico e di
evitare la decolonizzazione, in quanto sosteneva che le colonie in Africa fossero parte
int grante del Portogallo (lo fa anche perché l’africa australe si va ad inserire nel
cosiddetto bastione bianco).
La ristrutturazione di Salazar: si avvia a partire dal 1930 e viene successivamente
incorporata nella costituzione. Questa legge puntava a rafforzare il ruolo delle colonie





africane all’interno del nazionalismo corporativista dell’Estado Novo. Si basava sui


concetti di controllo e centralizzazione e dava vigore e riorganizzazione giuridica a tutta
la mitologia coloniale preesistente.
Il Portogallo fa un’azione politico culturale importante: attraverso la partecipazione
comune ad uno spazio lusitano, si crea uno spazio di multiculturalità e di unione di
popoli. Creazione di una nazione multiculturale lusitana: una nazione che va da Minho a
Timor (era uno dei possedimenti portoghesi in Asia), una madrepatria unitaria.

La decisione del Portogallo di non avviare un processo di decolonizzazione negli anni ’60
fu sostenuta dagli Stati Uniti e dalla NATO (il Portogallo era un paese NATO).
Perciò il Portogallo mantenne la sua politica, mentre nelle sue colonie (Angola,
Mozambico, Guinea Bissau) si stavano costituendo movimenti nazionalisti che danno
inizio ad una lotta di liberazione, cioè guerre nazionali non sempre unitarie ma
accomunate da una lotta al colonialismo e al fascismo portoghese.

Il 1960 può essere considerato come anno di svolta della formazione dell’Africa
indipendente (il cosiddetto anno dell’Africa), in quanto 17 stati diventano indipendenti:
Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo francese, Congo belga (oggi
Repubblica democratica del Congo), Dahomey (oggi Benin), Gabon, Costa d’Avorio,
Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Madagascar, Togo e Alto Volta (oggi
Burkina Faso).
A questi seguono Sierra Leone e Tanganyika nel 1961
Burundi, Rwanda e Uganda nel 1962
Kenya nel 1963
Nyasaland (Malawi) e Rhodesia del Nord (Zambia) nel 1964.

Negli anni precedenti il 1960 erano già diventati indipendenti Libia (1951), Sudan,
Marocco e Tunisia (1956), Costa d’Oro (col nuovo nome di Ghana) nel 1957 e Guinea
(Conakry) nel 1958.

L’AFRICA INDIPENDENTE
La maggior parte dei paesi africani diventa indipendente a partire dal 1960.
Le indipendenze degli anni 60 sono indipendenze pacifiche (le uniche eccezioni in questa
fase sono Algeria, Camerun e Kenya). Quelle che avvengono successivamente si basano
invece sulla lotta armata per l’indipendenza (colonie del Portogallo, Rodesia, Namibia,
Eritrea (caso particolare),…).
La lotta nazionalista si costituisce sulla contestazione ai governi coloniali e sulla
rivendicazione politica dei diritti di cittadinanza.

L’Africa era (ed è tuttora) un continente vasto e diversificato che comprende oggi 54
stati. Con le eccezioni di Etiopia, Liberia, Sudafrica ed Egitto si tratta di stati che hanno

tutti raggiunto l’indipendenza dopo i processi di decolonizzazione. Al fine di discutere


della storia e della politica dell’Africa contemporanea si deve indubbiamente tenere conto
delle grandi differenze che esistono fra i paesi in termini geografici, demografici, di
clima, di superficie, di accesso a risorse importanti come possono essere il petrolio o altre
ricchezze minerarie.
Sahara occidentale, ancora oggi una regione problematica.
Al di la delle differenze etniche e religiose che erano state funzionali ai modelli di
dominio coloniale, il continente africano chiedeva riscatto (economico, sociale e
politico), indipendenza e fine del colonialismo.
Questi paesi, nonostante le differenze, avevano alcuni punti in comune:
1- erano paesi ex coloniali
2- necessitavano di una nuova identità come stati-nazione moderni. Necessità di creare una
nazione unitaria a partire da un’ampia varietà di genti, culture e lingue diverse e con
situazioni diversificate di sviluppo politico, sociale ed economico
3- la maggior parte erano poveri (soprattutto le popolazione rurale, elemento che ancora
contraddistingue il continente) e fortemente deboli e dipendenti dai mercati internazionali
delle materie prime (dipendenza dai prodotti di esportazione e dipendenza da materie che
devono essere importate come il petrolio)
4 - dovevano costruire un'esperienza di cultura politica, sia da parte del governo (livello
istituzionale) e che della società (livello della società), in un contesto in cui le istituzioni
erano nuove e deboli. I modelli istituzionali erano quelli della quinta repubblica francese o
del modello di Westminster, che però non si adattavano in maniera veloce ad efficace a
situazioni cosi diverse.
5 - apparivano deboli nel contesto internazionale

Con l’ottenimento dell'indipendenza l’idea di creare una nazione e un sentimento


nazionale diventa centrale: i politici africani che andarono al potere basavano la propria
legittimità proprio su questo concetto. La nuova nazione avrebbe dovuto realizzare
emancipazione, riscatto sociale e politico e riconoscimento dei diritti.
I leader africani accettarono la nozione di stato-nazione quale elemento della
modernità; soltanto attraverso tale forma i paesi africani potevano inserirsi e dialogare
con il contesto internazionale, accedendo ai consessi internazionali e alle Nazioni Unite.
Per questo la maggior sfida per i governi indipendenti era riuscire a formare e
consolidare lo stato, ma tale processo incontra varie difficoltà.
All’interno di tale visione modernista il ruolo delle tradizioni (come rielaborato dal
colonialismo) era visto come elemento di instabilità per la costruzione della nazione (es.
questo succede in Ghana e Tanzania) e per questo alcuni paesi in questa fase decidono
di abolire il ruolo delle autorità tradizionali. Tutto ciò che poteva destabilizzare l’unità
nazionale viene definito tribalismo e represso (ciò porta a una sorta di totalitarismo).

Ci sono due principali visioni moderniste cui fanno riferimento i paesi africani dopo
l’indipendenza:
- Capitalismo africano — la gestione e la pianificazione dello stato deve portare ad un

capitalismo che produce sviluppo, crescita e ricchezza


Houphouët-Boigny (leader Costa d’Avorio): Non siamo socialisti nel senso che non
riteniamo di dare la priorità alla distribuzione della ricchezza, ma vogliamo
incoraggiare la creazione e la moltiplicazione della ricchezza prima di tutto. La nostra
principale preoccupazione riguarda l'aspetto umano della crescita. Il nostro sistema non
può nemmeno essere descritto come liberale in quanto è connesso a un’economia
pianificata. Noi stiamo seguendo una politica di capitalismo di Stato.
- Socialismo africano (da non confondere con marxismo/leninismo. Non è una lotta di
classe)
Nyerere (leader Tanzania): L’Ujamaa, cioè l'idea di famiglia descrive il nostro
socialismo. Si oppone al capitalismo che cerca di costruire una società felice in base allo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Ci opponiamo anche al socialismo dottrinario che
cerca di costruire la propria società felice sulla filosofia del conflitto inevitabile fra gli
uomini. Noi in Africa non abbiamo bisogno di essere convertiti al socialismo così come
non abbiamo bisogno che ci venga insegnata la democrazia. Entrambe sono radicate nel
nostro passato - nella società tradizionale che ci ha generati

#l’aggettivo africano evidenzia la volontà di trovare modelli locali che si differenziassero


da quelli occidentali del liberismo e del marxismo
I due modelli nella pratica non erano molto diversi tra loro

Si possono identificare quattro criteri che permettono di classificare i sistemi politici ed


economici africani al momento dell’indipendenza:
1- il ruolo di costruzione di una self-reliance nazionale (cioè fare affidamento sulle
proprie forze e sulle proprie risorse. Elemento di autocentramento, che era importante in
quanto l’Africa a quel tempo dipendeva dai mercati internazionali. La self-reliance
diventa un elemento importante di trasformazione.)
2- il ruolo dello Stato nello sviluppo e nella crescita
3- l'impegno verso il rafforzamento dell'eguaglianza sociale (welfare)
4- la partecipazione delle masse al processo politico

Considerando tali criteri possiamo dire che:


- Kenya, Malawi, Costa d'Avorio, Camerun, Gabon, Madagascar (fino al 1972, dopo si
instaura un modello marxista leninista), Marocco, Senegal, Tunisia — paesi “capitalisti”
(Anche se Senegal e Tunisia hanno caratteristiche politiche o di evoluzione temporale che
li collocano a cavallo fra le due definizioni)
- Ghana di Nkrumah (fino al 1966), Tanzania, Guinea, Mali di Modibo Keita (fino al
1968), Zambia, Egitto di Nasser, Algeria — “socialismo africano”.

# Esempio Kenya -Tanzania. Nonostante appartengano a modelli diversi,


all’indipendenza le differenze tra i due approcci erano minime. Solo a partire dal 1967 la
Tanzania assume una linea politica indipendente e non allineata (ne col socialismo ne col
colonialismo africano), che insisteva sull’importanza del mondo rurale.

Tutti i paesi africani erano riluttanti ad assorbire nuove forme di controllo europeo e
anche coloro che si avvicinarono al modello occidentale cercavano di rappresentarsi
attraverso le specificità africane, facendo riferimento all'idea della tradizione.
Accettare prescrizioni occidentali significava per loro riproporre un neo-colonialismo,
mentre invece gli africani cercavano di formulare proprie soluzioni per il proprio
sviluppo (soluzioni endogene).

Questione centrale: costruire la nazione


Idea di una nazione africana — a tal proposito Nkrumah (presidente del Ghana) aveva
ribadito la necessità di rigettare qualsiasi idea di spartizione poiché l'Africa era una e
indivisibile.
Istituzione OUA (organizzazione dell’unità africana) — forum diplomatico, cooperazione
per la sicurezza e lo sviluppo economico tra i paesi.
C’è la volontà di costruire un’Africa indipendente, che però nella realtà era molto
frammentata, divisa ed eterogenea (vera e propria balcanizzazione).
I governi dell’indipendenza affrontano il problema dell’espansione del proprio controllo
sul territorio partendo dall’ eredità coloniale e dai suoi confini artificiali, rifiutando la
tradizione precoloniale fatta di sovranità multiple sulla terra e confini flessibili (tale
posizione fu sostenuta dal sistema internazionale. Il ricorso alla tradizione viene quindi
limitato e utilizzato solo per definire nuovi modelli di potere).
Lo stato nazione doveva inoltre risolvere il problema delle difficoltà di unità all’interno
dei propri confini.

Il tentativo di creare di uno stato sviluppista, legato alle teorie internazionali della
modernizzazione, porta al consolidamento di stati estremamente dirigisti (in campo
economico) sia all’interno dei governi che si dichiaravano socialisti (dove diventa più
esplicito il modello di centralizzazione delle decisioni economiche), sia in quelli
‘capitalisti’. É lo Stato il motore dello sviluppo.
L’ottimismo del dopoguerra dura poco, gli Stati indipendenti si trovano a dover affrontare
sfide e debolezze che non gli permettono di raggiungere lo sviluppo economico e sociale
sperato e rendono difficile la costruzione dello stato-nazione.
Tra queste: una maggioranza di popolazione rurale e spesso dedita a un’agricoltura
fragile, difficile ambiente agro-ecologico e climatico, malattie , mancanza
di manodopera qualificata, crescita della popolazione, rapidi processi di crescita urbana,
risorse scarse (a volte anche spese male), classi sociali deboli.
Le politiche di sviluppo messe in atto non sono state in grado di sostenere adeguate forme
di accumulazione e la nascita di classi capitaliste locali.
Infatti la necessità di stabilità politica porta ad un’accumulazione capitalista, ma anche
socialista, disarticolata e non omogenea all’interno di network clientelari presenti nelle
strutture sociali tradizionali (nel modo in cui erano state riorganizzate in periodo
coloniale), favorendo procedure clientelari e populiste a discapito di un’allocazione
efficiente delle risorse. Quindi solo alcuni gruppi sociali beneficiano delle politiche di

sviluppo, mentre gli altri ne sono esclusi.


In particolare i contadini vengono marginalizzati, mentre i gruppi urbani che erano diretti
sostenitori delle élite politiche avevano maggiori privilegi.
Emerge un contrasto tradizione/modernità, nazione/”tribù”, in quanto il controllo basato
sui sistemi locali poteva ostacolare l’aumento di dipendenza da fonti che al contrario non
erano controllabili. Questo risulta evidente nella lotta politica per il controllo del mondo
rurale da parte del centro nazionale, che in generale colpisce in modo negativo i sistemi
agricoli, che all’interno di un continente essenzialmente rurale erano un possibile motore
di sviluppo. La lotta tra élite politiche e gruppi rurali (determinati a preservare i loro
ambiti di autorità), è una lotta irrisolta, che nemmeno le ondate di democratizzazione
degli anni ’90 hanno eliminato.

Per far fronte all’arretratezza si investe ampiamente nello sviluppo di infrastrutture e in


sevizi sociali (istruzione, sanità, welfare), ma investimenti e allocazioni di risorse non
sempre adeguati portarono a maggiori disparità, tensioni economiche e politiche e
crescita del debito (favorito anche dal contesto internazionale).
Risulta problematica l’idea di appoggiarsi alla produzione di cash crops, e al surplus
generato da tali esportazioni, per poter ottenere risorse e valute pregiare attraverso cui
costruire sviluppo interno e modernizzazione, il cosiddetto big push.
Il big push era centrato sull’industrializzazione (settoriale) per sostituzione delle
importazioni e interventi di politica economica che puntavano far crescere risparmio
interno e investimenti e quindi a ridurre la povertà.
Ma nel continente mancava l’industria pesante (siderurgica) e le risorse erano scarse (e
quelle presenti venivano dai cash crops). L’agricoltura era considerata solo in relazione ai
cash crops (venivano trascurate le colture alimentari) Il risparmio interno era debole, e lo
erano anche gli investimenti (la posizione dell’Africa nei mercati internazionali era
debole e secondaria).
Si riperpetua un modello ereditato dal capitalismo e la dipendenza esterna che si voleva
limitare non viene limitata (esportazioni, aiuti, cooperazione), portando alla creazione dei
cosiddetti Stati gatekeeper (nei quali i leader si trovano giocoforza intrappolati).

In sintesi i principali ostacoli alla formazione dello Stato, già dalla seconda metà degli
anni ’60, sono:
- gli effetti delle eredità coloniali sui modelli economici degli stati indipendenti. C’è una
continuità con i sistemi coloniali stessi;
- difficoltà nell’adottare procedure di sviluppo efficaci e adatte al contesto;
- modelli di integrazione delle nuove élite in strutture determinate dallo stato coloniale;
- problematiche relative al mantenimento, in molti paesi, di strutture di governo
tradizionali che rendono più complesse le relazioni politiche. Problematicità delle
strutture tradizionali ereditate dal colonialismo (soprattutto nelle aree rurali). Alcuni paesi
mettono da parte le élite tradizionali, mentre in altri casi queste rimangono come
intermediario tra stato e governo locale (la relazione tra il vertice e la base è costituito
dalle autorità tradizionali, che però non si affermano in modo democratico). Es. In

Mozambico nelle aree rurali non ci sono elezioni.

Presenza di nuove classi sociali: classi imprenditoriali. Questo accentua il legame politico
tra le leadership politiche e alcuni settori economici.
Nel caso africano si parla di élite compradore — élite economiche che vengono assorbite
in uno specifico modello di relazioni sociali, e che portano ad un connessione tra leader
politici e settori delle società. Tali classi non riescono ad avere una loro autonomia
nelle scelte economiche, ma le relazioni con la classe politica sono sempre più stringenti.

Possiamo identificare tre caratteristiche principali della politica africana degli anni ’60
(che dovevano garantire stabilità politica):
1) sistemi a partito unico e forme di centralizzazione del governo.
Con decolonizzazione si istituiscono sistemi politici democratici mutuati dalle ex colonie
(V repubblica francese o sistema di Westminster), in cui le nuove élite rivendicavano
emancipazione politica e uguaglianza dei diritti in quanto “cittadini” di coloro che nel
periodo coloniale erano definiti come “sudditi” delle autorità “tradizionali”. Ma già a
metà anni ‘60 le istituzioni democratiche dei paesi africani subiscono un indebolimento,
a causa di un aumento della concentrazione di potere nelle mani dei presidenti e con
l’introduzione di regimi a partito unico (a volte sancito da norme giuridiche).
I parlamenti (dove funzionanti) e le organizzazioni della società civile erano sottoposti al
controllo dell’esecutivo o cooptati all’interno del partito unico.
L'ideologia del partito unico viene presentata come un modello democratico, in quanto
esprimeva l’unità nazione e rappresentava tutto il popolo. Non venivano riconosciute
divisioni etniche regionali o di classe e qualsiasi opposizione al partito era vista
come retaggio delle politiche di divisione del modello coloniale/forma di oscurantismo
tribale/forme di squilibrio;
L’autoritarismo politico veniva giustificato in quanto necessario per assicurare l’unità
della nazione (costruzione della nazione) e per perseguire in maniera efficace politiche di
crescita economica (sviluppo).
Gli obiettivi politici post indipendenza erano lo sviluppo accelerato e lo sradicamento del
controllo coloniale sull’economia, e tutto ciò che poteva mettere in crisi questo progetto
doveva essere eliminato (anche la divisione della società su basi pluripartitiche era una
minaccia).
All’epoca in molti erano favorevoli ad uno sviluppo guidato dallo Stato — idea che lo
sviluppo economico viene prima della democrazia. Solo con il raggiungimento di un
determinato sviluppo sarebbero poi scaturite altre
opportunità in termini di democrazia.
Sia a livello interno che internazionale il sostegno alla democratizzazione svanì lasciando
spazio a sistemi a partito unico.
Alcuni paesi diventano sistemi a partito unico de facto altri solo de jure (continuano
forme di competizione interna al partito unico, come in Tanzania).
2- sviluppo di sistemi di potere fortemente personalizzati nelle mani del presidente
(modello presidenziale), che porta a detrimento di pluralismo politico e monopolio del

policy-making nelle mani del presidente e del suo establishment. Spesso è risultato in
modelli estremamente autoritari e coercitivi. Anche ad oggi sono pochi i sistemi non
presidenziali in Africa (tra i pochi esempi abbiamo: Sudafrica ed Etiopia).
3- lo sviluppo di sistemi politici autoritari, con forme di corruzione e di manipolazione
politica. Questo rende i sistemi politici poco democratici, coercitivi e autoritari (anche se
a livelli differenti).
I regimi a partito unico si sono costituiti anche su forme di rapporti di patronage (a volte
anche clientelare) centrati sul leader. La gestione economica dello stato viene
personalizzata e dominata da burocrati e funzionari in grado di poter accedere a risorse
politiche ed economiche, di arricchirsi e trarre beneficio dalle relazioni con i loro
sostenitori. Relazioni con l’establishment e creazione di equilibri politici che cercano di
soddisfare sia le élite politiche sia alcuni gruppi sociali/economici (mentre altri gruppi ne
sono esclusi).

Il rafforzamento di politiche autoritarie e a partito unico in molti casi si espressero


attraverso interventi dei militari (colpi di stato) che avevano la funzione di risolvere
crisi e/o contenere lotte politiche interne e divaricazioni in seno alle società.
I militari in questo processo di istituzionalizzazione dell’autoritarismo, diventano l’attore
portatore di stabilità, in un contesto che non poteva più essere gestito con modelli civili.
Elemento costante e caratteristico di quasi tutti gli stati africani.

IL CORNO D’AFRICA, FRA GUERRA E COLPI DI STATO


Corno d’Africa e Africa Australe sono aree in cui si esprime la tensione dei modelli di
opposizione est-ovest (mondo bipolare), attraverso una serie di conflitti.
Somalia
I paesi indipendenti nacquero seguendo i confini coloniali, ma nel caso della Somalia nel
1960 ci fu la fusione della colonia italiana e del Somaliland britannico, dopo il
decennio di Amministrazione Fiduciaria assegnata dalle Nazioni Unite all’Italia (AFIS).
In Somalia si sviluppa un forte irredentismo: l’obbiettivo era quello di riunificare tutti i
territori abitati da somali nei paesi circostanti (nelle province orientali del Kenya, nella
regione dell’Ogaden in Etiopia e in Gibuti, quest’ultimo indipendente dal 1977) per
costruire una grande Somalia.
La Somalia, a differenza del resto dell’Africa, era una nazione ancora prima di diventare
uno Stato. Il modello politico tradizionale, detto ‘democrazia pastorale’, non si conciliava
bene con le esigenze dello stato post-coloniale moderno.
La religione (mussulmana) e la lingua (somalo) sono elementi di unificazione, ma
nonostante ciò la Somalia è caratterizzata da importanti fratture interne fra le diverse
fazioni regionali e claniche (es. gruppo Ishaak, gruppo coeso che nel 1991 ha ricostruito
uno stato indipendente sui confini del vecchio Somaliland britannico).
Nel 1964 scoppia la prima guerra dell’Ogaden con l’Etiopia per la definizione del
confine tra i due paesi in questa regione etiope a maggioranza somala, che si conclude

con la firma di un trattato (posizioni internazionali caute e debolezza militare somala).


Tutte queste tensioni si riflettono in governi parlamentari post indipendenza
estremamente fragili.
Dopo le elezioni parlamentari del 1969, che aumentano la frammentazione su base
clanica , il presidente Shermarke viene assassinato e la situazione precipita. Nello stesso
anno sale al potere con un colpo di stato Siad Barre, che rimane al potere fino al collasso
dello stato somalo nel 1991 (data importante per il Corno d’Africa), che da inizio ad una
crisi ancora non completamente risolta.
Anche durante il regime di Siad Barre la questione del pansomalismo non si risolve, ma
viene solo ridimensionata. Il regime si focalizza principalmente sull’affrontare problemi
interni e sviluppare un programma di socialismo scientifico, che lo avvicina all’URSS.
Quello della Somalia è uno dei primi casi di governo di ispirazione marxista e leninista.
Nel 1977 scoppia una seconda guerra contro l’Etiopia nella regione dell’Ogaden, che si
conclude con una sconfitta delle mire somale e di fatto va ad acuire le difficoltà interne.
La Somalia si lancia in questa guerra credendo di avere il sostegno da parte
dell’occidente. Infatti dopo il colpo di stato in Etiopia (1974, stato di tipo marxista) c’era
stato un cambio di alleanze: la Somalia si riavvicina all’occidente mentre l’Etiopia si
avvicina all’URSS. I conflitti dell’Ogaden riflettono quindi anche tensioni est-ovest.
Inoltre era una regione importante economicamente per la presenza di petrolio e gas
naturali.

Etiopia
Anche tuttora è un paese molto diversificato (c’è un centro e poi molte periferie, che sono
state poste al margine)
Nel corso dell’800 l’Etiopia nasce come un’impero forte e subisce solo un breve
controllo coloniale italiano (1936-1941). Dopo il periodo di occupazione si riorganizza e
rafforza come Stato forte e si collocata nella svela di influenza dell’occidente (ha
l’appoggio degli Stati Uniti, che forniscono sia aiuti allo sviluppo sia aiuti militari)
L’Etiopia vuole assumere un ruolo egemone facendo leva su due concetti: unità
(dell’Etiopia e in generale dell’Africa indipendente) e balcanizzazione (per avere
maggiore controllo sugli stati più deboli, come Somalia ed Eritrea, ma anche all’interno
dell’Etiopia stessa).
Questo gli permette di rafforzare la sua politica di espansione e controllo regionale.
Vengono attuate riforme che permettono di rafforzare la monarchia assoluta (l’imperatore
regnava in modo fortemente autocratico) e di controllare le periferie dell’impero (anche
grazie ai rapporti con la chiesa ortodossa. Infatti molti contadini erano di fatto affittuari o
comunque soggetti al controllo dello stato, della chiesa e di élite proprietarie).
Il centro dell’impero era sull’altopiano dominato dalle popolazioni Amhara.
La situazione interna diventa più critica dopo il tentativo di colpo di stato del 1960, che
rivela le tensioni interne irrisolte e le fratture su cui era nato l’impero etiopico.
Nel 1974 avviene un colpo di stato dei militari guidati da Mengistu. Tale colpo di stato
provoca rovesciamento e assassinio dell’imperatore, occupazione del potere e lotta contro
la chiesa ortodossa (specificità di questo colpo di stato).

L’Etiopia diventa uno Stato di ispirazione marxista-leninista (diventa una e socialista).


Secondo alcuni, la rivoluzione del 1974 fu messa in atto dalla popolazione urbana, infatti
tale rivoluzione rappresentava soprattutto lavoratori e ceto medio conservatore (la sinistra
radicale era minoritaria e i contadini estranei a tale mutamento).
Le ragioni della rivoluzione: incapacità del sistema sociopolitico di modernizzarsi in
rapporto alle trasformazioni della seconda metà del XX secolo. La politica imperiale di
centralizzazione aveva rafforzato l’apparato burocratico mentre l’economia era arcaica e i
contadini erano senza terra e sottomessi al potere dei proprietari (inclusa la Chiesa) e
dello Stato.

Dopo la rivoluzione l’opposizione era soggetta a violenta repressione (politica e militare)


e nel 1984 nasce il partito unico (Partito popolare dei lavoratori)
Il regime militare marxista (Derg, comitato) attua politiche radicali, che dal punto di vista
internazionale lo avvicinano all’URSS.
Sul piano interno:
- nazionalizzazione di alcuni settori economici
- riforma agraria (slogan: la terra ai coltivatori) — Prevedeva la nazionalizzazione della
terra, l’abolizione della proprietà privata e la creazione di associazioni contadine.
Rimane nella realtà la presenza di proprietà privata (di piccoli e medi produttori) e di una
sorta di sistema feudale.
Si creano associazioni contadine, che dovevano rappresentare il punto di contatto
con il governo per attuare uno sviluppo del mondo rurale. Tale processo (guidato dal
centro) rimane molto burocratico, poco efficiente e gli aiuti non sufficienti per uno
sviluppo agricolo.
Nel 1985 si attua una politica di villaggizzazione, che includeva il reinsediamento di
popolazione verso le aree meno popolate del Sud. L’idea era quella di poter abbinare allo
sviluppo agricolo una migliore capacità produttiva trasferendo gruppi di popolazione.
Queste aree però non erano poi in grado di sostenere un’appropriato processo di sviluppo.
Tale politica fu attuata con metodi coercitivi e la riforma agraria ridistributiva si rivelò
disastrosa. Cresce la crisi economica ed alimentare, con carestie ricorrenti e siccità che
aumentano ancora di più le difficoltà (Fra il 1983-84 il paese fu colpito da una pesante
carestia. La comunità internazionale si mobilitò. Probabilmente un milione di persone
morì in quel periodo).
Tutti questi elementi favoriscono opposizioni sempre più ampie, che conducono nel 1991
alla caduta del regime.
La politica dell’Etiopia è definita bifronte: sosteneva l’indipendenza e
l’autodeterminazione dei popoli, ma non voleva che la sua posizione politica nel Corno e
nel continente in generale fosse minacciata.
Caso dell’Eritrea: nel 1952 le Nazioni Unite avevano deciso di creare una federazione tra
Etiopia ed Eritrea (decisione problematica). 10 anni dopo l’Eritrea viene annessa
all’Etiopia (gli viene negata l’indipendenza). Scoppia una guerra di liberazione, che non
trova l’appoggio del contesto internazionale (preferisce sostenere l’Etiopia) guidata
dall’Eritrean People Liberation Front (EPLF, nato nel 1972). La lotta fu lunga e violenta.

L’EPLF insieme ai movimenti di opposizione etiopici (Tigray People Liberation Front),


prendono il potere nel 1991 e l’Eritrea ottiene l’indipendenza nel 1993.
Si apre per l’Etiopia una nuova fase politica, definita come federalismo etnico.
Sudan
In passato era lo stato più esteso dell’Africa.
Ottiene l’indipendenza nel 1956 (come Tunisia e Marocco) ed è caratterizzato da
debolezza istituzionale ed equilibrio precario. Nonostante la religione islamica e la lingua
araba avessero in parte unificato, si mantiene una grande divisione etnico culturale,
soprattutto nella zona del Sud. Lo Stato unitario mantiene quei modelli di separazione
regionale che si erano rafforzati in periodo coloniale tra Nord e Sud (nel sud non si erano
creati poteri centralizzati e forti). Il conflitto storico tra Sudan e le regioni meridionali
durerà fino a primi anni del duemila.
Il paese era fortemente legato al contesto nord africano e medio-orientale, e la tensione
est-ovest complica ulteriormente la nascita dello Stato, che vedrà il susseguirsi di vari
colpi di stato.
Primo regime militare di Abboud nel 1958: avvia politiche di islamizzazione e
arabizzazione nel Sud (che erano ritenuti capisaldi indispensabili per creare una nazione
coesa) e il Nord islamico inizia a sviluppare modelli di supremazia, mentre nel paese la
popolazione continuava ad essere non omogenea. Il regime blocca i tentativi di alleanze
fra i gruppi non arabi, dando l'avvio ai primi movimenti di lotta nel paese.
Il tentativo di governo civile non regge perchè la società è frammentata e questo rende
difficile individuare meccanismi efficaci per costruire la nazione.
Nel 1969 va al potere un governo militare guidato da Nimeiri.
Inizialmente il regime si basa su un “retorico radicalismo” (politico) e un concetto di
“socialismo arabo”, con riforme radicali. Successivamente (dopo un tentato colpo di
stato) si passa ad un periodo di “neo-conservatorismo” e di orientamento “pragmatico”.
Durante il governo di Nimeiri le relazioni internazionali del Sudan sono caratterizzate
da continui cambiamenti, per cercare di far fronte a priorità interne e rapporti regionali,
facendo sempre attenzione alle dinamiche del medio oriente.
Dopo il colpo di stato si estese l'interesse sovietico verso il Sudan (venne considerato da
Mosca come la continuazione della rivoluzione dell’ottobre 1964), mentre si erano
allentati i rapporti con Gran Bretagna e Stati Uniti, ampliando il fronte dei paesi anti
occidentali uniti attorno all’idea nasseriana di unità araba (tra cui la Libia di Qaddafi).
Nel 1972 c’è una rottura con l’URSS, in quanto il Sudan si avvicina all’Egitto di Sadat.
C’è quindi una continua oscillazione e strappi nei rapporti, soprattutto con Egitto e
Libia, che impediscono di creare alleanze forti e ben definite.
#da ricordare: chiusura canale di Suez tra il 1967 e il 1975

Il nodo centrale delle crisi sudanesi: la questione del Sud.


A partire dal 1983 la crisi interna aumenta:
- Si rafforzano modelli di fondamentalismo islamico. Stavano crescendo nel paese attività
politiche di fondamentalismo islamico con la nascita del National Islamic Front (NIF).
- Ripartono gli scontro con il Sud. Nel 1972 si raggiunge una prima pacificazione, che

però non resiste al lungo e a patire dal 1983 riprende la guerriglia nel Sud guidata dal
Sudan People’s Liberation Movement/Army (SPLM/A).
- Crescono le tensioni con l’occidente (e con gli stati uniti guidati dal presidente Carter).
Il paese comincia ad essere considerato pericoloso, anche in seguito all’imposizione
della legge islamica (sharia) nel Paese.

Dopo la caduta di Nimeiri (1985) c’è un tentativo di governo civile e sale al potere
l’Umma party, un partito islamista guidato da Sadiq al-Madhi. Peggiorano i rapporti con
l’Egitto (che era vicino agli USA), mentre si rafforzano quelli con la Libia (che era tra i
paesi ostili agli USA) e persistono le divisioni interne con il Sud.
Nuovo colpo di stato nel 1989 che porta al potere al-Bahir (governa fino al 2019).
Governo autoritario e militarista (anche in riferimento ai conflitti con il sud, che
diventano più violenti) che ha grandi capacità di controllo sul territorio. Il governo
viene indirizzato e controllato dal National Islamic Front (partito di fondamentalismo
islamico). Le norme islamiche vengono rafforzate e si crea un governo centralizzato, con
un sistema parlamentare verticistico, sul modello della Libia.
Il Sudan era il secondo paese del mondo islamico dove gli islamisti erano andati al potere
dopo l’Iran (gli islamisti avevano un ruolo preponderante in vari settori, anche se in modo
diverso rispetto all’Iran. Modelli simili che però mantengono delle differenze).
É il primo paese in cui gli islamisti prendono il potere nel mondo sunnita e in un contesto
come quello del Corno d’Africa.
La fine del regime di al Bashir (2019) lascia aperti grandi spazi di grande incertezza e
instabilità che non sono ancora stati risolti ad oggi.
Nel 2011 il Sud Sudan diventa indipendente

Il Corno d’Africa diventa centrale nel bipolarismo (diventa un microcosmo della guerra
fredda. Contesto ‘caldo’ della guerra fredda). É un’area importante dal punto di vista geo
strategico. Il ruolo delle superpotenze nella regione si estende a partire dagli anni ’60, e
aumenta sempre più tra gli anni ’70/’80.
Etiopia — rapporto con USA fino al 1974
Somalia — interesse sovietico dopo il 1969
Sudan — forte legame con il contesto e le dinamiche del medio oriente
Patto di Bagdad: accordo che gli Stati Uniti vogliono creare tra Turchia, Pakistan, Iraq,
Siria, Libano nel 1955 (per attuare un processo di contenimento dell’unione sovietica).
Tale patto non funziona perché non si riesce a creare uno spazio di contenimento
organizzato politicamente e strategicamente.

LOTTE PER L’INDIPENDENZA, SECESSIONI, FEDERAZIONI


Camerun
La decolonizzazione del Camerun fu caratterizzata da violenze.
Nel 1948 nasce l’Union des Populations du Cameroon (UPC), guidata da Nyobe, che
rivendicava un Camerun unito e una politica nazionalista. In particolare rivendicava

l’unificazione del Camerun francese con quello britannico. Infatti la società delle nazioni
unite aveva assegnato il mandato del Camerun tedesco per 4/5 alla Francia e per 1/5 alla
Gran Bretagna (che lo amministrava insieme alla Nigeria).
Le richieste di Nyobe non furono accolte a livello internazionale, a causa
dell’opposizione dei paesi colonizzatori, di alcuni settori della società camerunese (che
vedevano nel colonialismo migliori opportunità di sviluppo) e della chiesa cattolica.
Nel 1955 scoppiano delle rivolte, che vengono represse in modo violento dai francesi,
che decretano la messa al bando dell’UPC. Gli scontri poi riprendono e dureranno fino al
1958 (quando il leader dell’UPC Nyobe viene ucciso).
Nel 1959 l’ONU approva una risoluzione che chiedeva l’indipendenza del Camerun
francese, che avviene nel 1960 (l’Union Camerounaise guidata da Ahidjo ottiene la
maggioranza).
La parte di Camerun sotto amministrazione britannica viene separata dalla Nigeria
quando questa ottiene l’indipendenza nel 1960.
Viene indetto un referendum e i territori del Nord vengono annessi alla Nigeria, mentre
quelli del Sud al Camerun appena diventato indipendente.
I territori anglofoni (che rappresentavano una minima parte del territorio, ma
contenevano un quarto della popolazione) vengono inseriti all’interno della struttura dello
stato in modo asimmetrico.
In Camerun si crea quindi un sistema federale che risulta essere molto squilibrato, e in cui
le due parti (anglofona e francese) continuano a mantenere forme di separazione
identitaria.
Questo è un elemento centrale ancora oggi, in quanto le regioni meridionali del Camerun
si sentono emarginate e attuano politiche di rivendicazioni di indipendenza.
Ahidjo era favorevole all’unificazione dei territori, ma non al modello federale, che a
causa delle sue debolezze viene abbandonato in modo definitivo nel 1972.
Ad oggi Camerun non è l’emblema della democrazia, con un leader che è al potere dal
1981 e che non trova appoggio locale e internazionale in quanto considerato come non
sufficientemente garante di politiche stabili.

Nigeria
È stata la più grande colonia della Gran Bretagna e ad oggi è il paese più popolato
dell’Africa. Paese difficile da collocare, potrebbe rientrare in un modello di
capitalismo africano (presenza di petrolio), ma data la costante presenza di modelli
militari è difficile dare una definizione.
La Nigeria era culturalmente molto diversa, con un forte divario fra il Nord e il Sud. Tale
diversità rende difficile trovare un equilibrio fra i diversi gruppi politici al momento
dell’indipendenza.
La Nigeria divenne indipendente nel 1960 come Stato federale, forma di governo che
mantiene tuttora. La prima costituzione federale, era stata lanciata dai britannici e si
basava sull’equilibrio fra le tre macro regioni Nord, Sud-Ovest e Sud-Est, che
disponevano dei propri organismi di rappresentanza.

L’indipendenza si ottiene tramite un accordo con la Gran Bretagna (non c’è scontro).
Dal punto di vista politico c’erano tre grandi partiti/movimenti (che rappresentavano le
tre macro-regioni federali):
- il National Council of Nigeria and the Cameroons (NCNC) (in quanto parte del Camerun, in
base al mandato della Società delle Nazioni, era stato amministrato dai britannici
insieme alla colonia nigeriana) aveva le caratteristiche di un movimento di massa, ma
era presente solo in alcune aree del paese. Il leader era Azikiwe. Il partito rappresentava
soprattutto i cristiani (e gli ibo) delle regioni centro-orientali
- il Northern People's Congress (NPC), che era espressione del sistema politico e sociale del
Nord dove era dominante. Guidato da Bello, Sardauna di Sokoto, una delle principali
entità politiche della Nigeria settentrionale. (Bello era discendente del fondatore del
Califfato); rappresentava gli interessi dei conservatori, mussulmani Hausa, che vivevano
nelle regioni a nord
- il terzo partito era l’Action Group (AC) (emerge dalle elezioni del 1952) guidato da Awolowo,
leader del governo della regione occidentale (sud-occidentali).

Questi 3 partiti al momento dell’indipendenza trovano un accordo di equilibrio che regge


per alcuni anni sotto la presidenza di Azikiwe.
Nonostante i tentativi di formare governi di unità nazionale, le divisioni regionali e etnico
religiose aumentano le fratture politiche del paese. Infatti in ogni regione il gruppo etnico
maggioritario tendeva a dominare, creando ulteriore instabilità.
La struttura della federazione era ineguale dal punto di vista territoriale, demografico e
delle risorse (es. petrolio) e la rappresentanza al parlamento tendeva a favorire il nord
islamico.
Il petrolio fin da subito emerge come elemento critico della storia politica /economica
della Nigeria. Lo stato nigeriano infatti non riesce a trovare un equilibrio per la
ripartizione della rendita petrolifera tra interessi federali, interessi degli stati e interessi
delle aree dove in petrolio veniva estratto.
La crisi sfocia nel 1966 in un primo colpo di stato da parte del generale Ironsi, convinto
di poter portare unità e gestire la crisi.
Tale colpo di stato venne definito da alcuni come un complotto delle popolazioni Ibo per
prendere il potere. Infatti Ironsi era un ibo e le regioni del Nord temevano un possibile
rafforzamento del controllo da parte delle elite ibo.
La crisi si accentua, Ironsi viene arrestato e ucciso e tramite un colpo di stato sale al
potere Gowon, un generale cristiano (egli ripristina la federazione, che Ironsi aveva
temporaneamente sospeso).
Il conseguente massacro di migliaia di cittadini di etnia igbo nel nord del paese spinse
molti di loro a tornare nel sud-est, dove emersero e presero sempre più forza sentimenti e
progetti secessionistici da parte dell'etnia igbo.
Nel 1967 le province orientali, dove si produceva petrolio e a maggioranza ibo,
dichiarano la secessione dalla Nigeria e chiedono la piena autonomia: inizia cosi la guerra
del Biafra. Il conflitto nasceva da diverse concezioni politiche, culturali ed economiche
dello Stato. Il conflitto dura tre anni ed è caratterizzato da grande violenza e

devastazione, provocando milioni di morti per fame (a causa di un blocco navale e


commerciale che non permette l’arrivo di esportazioni, di cibo nella regione del Biafra).
La guerra oltre a mettere in evidenza le varie fratture in seno alla società nigeriana,
esprime anche tensioni internazionali e africane.
L’OUA sosteneva il governo federale, con eccezione di Tanzania, Gabon, Costa d’Avorio
e Zambia, i quali riconoscono l’indipendenza del Biafra (situazione simile in Congo).
Nel 1970 il Biafra si arrende e il conflitto viene vinto dalla Nigeria.
Il governo cerca di cambiare l’allocazione dei rendimenti derivanti dal petrolio (il 20%
degli introiti dovevano essere allocati agli stati produttori) , ma la questione non si
risolve.
Dopo la guerra in Biafra la federazione regge, anche se con il susseguirsi di governi
militari e con un equilibrio tra le diverse regioni alquanto precario. Il ruolo dei militari
diventa centrale nella politica nigeriana (in modo simile al Ghana, anche se rimangono
delle differenze).
Anche il ruolo del petrolio è centrale e rilevante per comprendere le relazioni politiche e
sociali del paese, per questo si definisce come Petro-Stato. Il petrolio però non porta a
stabilizzazione economica (anzi crea tensioni) e non riesce a far decollare il paese. Tale
aspetto si mantiene anche dopo la democratizzazione.
Tra il 1966 e il 1999 si susseguono regimi guidati da militari (musulmani e cristiani,
molti dei quali attuarono norme repressive), eccezion fatta per un ritorno ad un governo
civile nel 1979. La formazione di tale governo era stata favorita da un programma di
riforme attuate da una giunta militare (che aveva sostituito Gowon, in quanto accusato di
inefficienza e corruzione). Queste riforme avevano cercato di intervenire sulla crisi
petrolifera e sulla grave crisi dell’agricoltura nel paese. Ciò era stato facilitato anche da
un aumento delle rendite petrolifere, che portano ad un aumento delle entrate governative
(a fine anni ’70 rappresentavano circa l’80% delle rendite statali totali).
In questo periodo vengono attuate varie riforme che mirano a diversificare e sviluppare
l’economia del paese e inoltre viene ampliato il numero di stati all’interno della
federazione (19. Attualmente sono 36).
Il governo civile (National party of Nigeria) non dura a lungo, in quando da un lato il
governo aveva deluso le aspettative e dall’altro riemergono lotte e fratture interne, che
portano ad un colpo di stato (1983).
C’è un ulteriore tentativo di creare un governo civile tramite elezioni, che viene però
bloccato da un intervento militare.
Le transizioni alla democrazia nel paese sono state tutte controllate dall’alto dai militari. Il
rapporto centrale fra militarismo, potere statale e ruolo del petrolio ha acuito le tensioni sociali e
politiche ereditate dalla storia coloniale e in qualche modo ha poi reso costantemente difficile il
rafforzamento della democrazia.
Solo nel 1999 si instaura un governo civile, democraticamente eletto e multipartitico, che
sancisce la fine del susseguirsi di governi militari e l’inizio di un processo di
democratizzazione. Dopo le elezioni sale al potere un ex generale Obasanjo (che venne
riconfermato anche alle elezioni successive).

Altri casi di federazione


• Zanzibar e Tanganyika, che danno origine alla Tanzania.
L’arcipelago di Zanzibar ottiene l’indipendenza nel 1963 ed è caratterizzato da farti
frammentazioni etnico sociali, anche all’interno della popolazione africana. Infatti c’è
una divisone tra coloro che si considerano popolazione indigena delle isole (shirazi) e
coloro che provenivano dal continente (in quanto discendevano dalla tratta degli schiavi e
dal lavoro migrante).
Il Zanzibar Nationalist Party, che rappresentava la popolazione di origine araba, si allea
con il People’s Party (uno dei partiti di rappresentanza delle popolazioni africane).
Poco dopo con un colpo di stato prende in poter Okello, la cui intenzione era quella di
trasferire il potere politico dagli arabi agli africani (distruzione di piantagioni, uccisione
di molti arabi).
Il consiglio rivoluzionario è guidato da Karume (afro shirazi party), che attua un controllo
di tipo autoritario.
Nello stesso anno, 1964, viene favorito il dialogo che porta all’unione dell’arcipelago con
il territorio continentale, sotto il nome di Tanzania.
All’interno del nascente modello federale, le autorità delle isole continuano a mantenere
una certa autonomia. Nyerere diventa presidente della federazione, Karume diventa
vicepresidente e l’arcipelago ottiene varie posizioni di rappresentanza all’interno
dell’assemblea nazionale della repubblica unita.

• Federazione del Mali, nasce nel 1960 ed era compost da Sudan francese (Mali) e
Senegal. A causa di crisi interne e difficoltà nel costruire tra i diversi leader (Keita,
Senghor e Dia) una fiducia condivisa, il Senegal si stacca dalla federazione nel 1961 e
diventa indipendente con Senghor come presidente.
Il Sudan francese, rinominato Mali, assume un posizionamento politico radicale di tipo
socialista, allontanandosi dal Senegal moderato e avvicinandosi alla Guinea socialista di
Tourè. A cause di difficoltà economiche e un aumento delle contestazioni politiche, il
governo diventa sempre più autoritario e la crisi aumenta (con l’uscita dalla zona del
franco) fino ad arrivare all’arresto di Keita, che era presidente del Mali.
Il regime di Keita viene sostituito da un governo militare.

Uganda
L’Uganda diventa indipendente nel 1962 vedrà una lunga presenza di militari al potere,
che sostituiscono per lungo tempo i governi civili.
L'Uganda arriva all'indipendenza in una situazione educativa, amministrative e delle
infrastrutture migliore di molti altri paesi africani. Tuttavia il paese presenta forte
debolezza e differenza di potere e di ricchezza tra Sud e Nord (storicamente
marginalizzato), che sarà motivo di lotte e contrasti (elemento in comune con la Nigeria).
C’è anche una divaricazione importante tra gruppi cattolici e protestanti.
Le divisioni in seno al paese si instaurano a livello sociale, politico e anche religioso, e
impediscono di creare nel paese un equilibrio.

Il periodo fino al 1965 è tutto sommato positivo e l’accomodamento fra lo stato e le élite
del vecchio regno del Buganda permettono di avviare un processo politico calmo.
Ma nel 1966 l’accentuazione da parte del primo ministro Milton Obote verso la
centralizzazione del potere (ponendo fine al modello federale che si era inizialmente
instaurato con l’indipendenza) mise in crisi il delicato equilibrio, in particolare con
l’abolizione nel 1967 del regno del Buganda.
Nel 1971 le crescenti lotte politiche portarono ad un colpo di stato e la formazione del
governo militare di Idi Amin. Egli instaura un sistema politico duro, coercitivo e che va a
rafforzare ancora di più le divaricazioni sociali.
Inoltre cerca di rafforzare la propria legittimità, per esempio, ottenendo l’appoggio del
mondo arabo contro Israele e allontanando dal territorio le comunità asiatiche che
controllavano gran parte delle attività economiche (espelle la quasi totalità degli
indiani-ugandesi dal paese).
A partire dal 1973 rafforza il suo governo autoritario e personale mettendo in crisi le
istituzioni dello Stato e aumenta le differenziazioni etnico-regionali, favorendo in
particolar modo i popoli del Nord, mentre nelle aree rurali si viveva uno stato di quasi
anarchia.
Nel 1978 l'intervento armato diretto della Tanzania porta alla caduta di Amin e dopo le
elezioni del 1980 ritorna al potere Obote.
Egli attua una politica di vendetta contro gli oppositori e nasce una nuova lotta armata di
liberazione guidata da Museveni e dal National Resistance Movement/Army (NRM/A),
che dopo anni di guerra civile arriva al potere nel 1986.
Si crea un nuovo sistema politico che è al potere ancora oggi.

Rwanda e Burundi
Rwanda e Burundi sono caratterizzati da un’indipendenza travagliata e violenta.
Nel 1962 il Belgio concesse l’indipendenza tramite un processo rapido e senza nessun
tipo di preparazione. Questo destabilizza tale paesi, che erano deboli dal punto di vista
economico e sociale, e favorisce l’emergere di lotte continue tra hutu e tutsi.
In Rwanda l’indipendenza è preceduta da una rivoluzione Hutu, le cui rivendicazioni
erano sostenute dai belgi. Con la morte del mwani (re) le tensioni si acuiscono e si
rafforza la politica del principale movimento indipendentista hutu, che abolisce la
monarchia e reprime in maniera violenta la minoranza tutsi.
Nel 1962 si raggiunge l’indipendenza e sale al potere il movimento indipendentista, con
la formazione di un governo etnico della maggioranza hutu.
Gli hutu mantengono il potere in modo sempre più autoritario (rafforzandosi dopo il
colpo di stato del 1973) fino a culminare nelle drammatiche vicende del 1994.
In Burundi la monarchia è in grado di gestire il processo di decolonizzazione e
indipendenza, grazie al fatto che le popolazioni hutu erano state maggiormente
incorporate nei sistemi di potere locale (diversamente dal Rwanda).
Nel 1960 vince le elezioni amministrative il partito di Rwagasore, che rappresentava
un’élite istruita che godeva dell’appoggio di una parte della popolazione hutu. Rwagasore

viene ucciso e si aprono anni di turbolenze e di attacchi da parte degli hutu. Nel 1966 con
un colpo di stato viene abolita la monarchia e si avviano lottare in seno al paese, che
culminano in episodi di violenza contro gli hutu (pogrom del 1972).
In questi anni si susseguono colpi di stato che portano al potere gruppi di elite tutsi, solo
dopo la fase di democratizzazione vengo eletti alcuni presidenti hutu.

Ex colonie francesi che passano a sistemi di tipo marxista e leninista:


- Congo Brazzaville (che poi diventa repubblica popolare del Congo)
Il Congo aveva ereditato dal colonialismo francese le problematicità legate ad un modello
fortemente centrato sullo sfruttamento delle risorse, che aveva provocato livelli di
sviluppo diseguale tra la capitale e le aree rurali, e ad un rafforzamento della
competizione etnico-regionale.
Il primo governo del Congo indipendente, guidato da Youlou, era conservatore e pro
occidentale. Nel 1963 insurrezioni portano al potere gruppi militari e si rafforza un
sistema di tipo marxista leninista. Nel paese viene proclamata la repubblica popolare e il
sistema di controllo diventa sempre più repressivo. Nel 1979 prende il potere Sassou
Nguesso che prosegue tale politica, mentre nel paese la situazione economica si
fa critica, tanto che il governo è costretto a chiedere l’appoggio del FMI. Questo provoca
scontenti popolari e favorisce lo scaturire di lotte da parte del movimento sindacale nel
1990.
- Madagascar
Il paese diventa indipendente nel 1960, mantenendo però dei rapporti con la Francia. Da
allora si susseguono molteplici crisi politiche a causa di disequilibri storici che non si
sono mai completamente risolti.
Dopo una prima repubblica socialdemocratica, nel 1972 nascono delle proteste e nel 1975
con un colpo di stato si instaura un regime marxista leninista guidato da Ratsirka, che
dura fino alla fase di decolonizzazione.

FRA STABILITÀ E INSTABILITÀ, FRA CAPITALISMO E SOCIALISMO


Ghana
Il Ghana disponeva di ricchezze minerarie (oro) e aveva un sistema agricolo fatto di tanti
produttori agricoli di piccola scala, che erano riuscita a trovare un proprio spazio
economico anche all’interno del sistema coloniale (produzione di cacao).
Il Ghana diventa indipendente nel 1957, guidato da Nkrumah e dal Convention People’s
Party (CPP fondato nel 1949).
Nrumah riteneva necessario seguire un percorso unitario, anti-coloniale e panafricanista,
che però negli anni non produsse i risultati sperati.
Il governo indipendente mantiene politiche coercitive per sedare le sommosse, che
nascono ad esempio nel Territory of Southern Togoland (ex colonia tedesca e poi
amministrata dalla GB), e rafforza il suo controllo sull’opposizione e sul Paese.
Il Ghana di Nkrumah è considerato un esempio tipico di socialismo africano (che si
differenzia da quello della Tanzania), legato perlopiù ai modelli economici.

Riteneva che il socialismo fosse sinonimo di modernità e per questo si parla


maggiormente di mobilitazione alla modernità, rafforzamento dei processi educativi e
avanzamento economico, rifiutando qualsiasi modello di sfruttamento neocoloniale
(l’economia ereditata dal colonialismo doveva essere demolita) e favorendo la lotta alla
povertà e alle disuguaglianze.
Nkrumah sostiene grandi progetti infrastrutturali e abbraccia una visione ortodossa delle
sviluppo economico, secondo cui nel terzo mondo lo sviluppo poteva avvenire solo
superando gli squilibri strutturali attraverso il big push.
Le critiche che gli vengono mosse da parte dell’opposizione riguardano soprattutto la
gestione dell’economia, che viene considerata un fallimento (difficoltà economiche,
legate anche prodotti di export come il cacao) e porta il paese verso la bancarotta (debito
alto e prodotti alimentari costosi). Non si riesce a sviluppare un’industria efficiente e le
differenze tra élite e il resto della popolazione si acuiscono (cresce la stratificazione
sociale).
La politica agricola era volta a sostenere le grandi aziende, mentre i produttori agricoli
locali vengono trascurati creando tensioni. Inoltre la partecipazione politica rimane bassa.
Nel 1964 viene proclamato un sistema partito unico, limitando ancora di più la
partecipazione politica e il dibattito con l’opposizione (sistema che de facto era già in
vigore dal 1961).
Il malcontento nei confronti delle politiche messe in atto da Nkrumah porta nel 1966 ad
un colpo di stato da parte di Kotoka. Il regime si rivolge alle istituzioni internazionali per
risollevare l’economia e riesce ad ottenere alcuni risultati, anche se non sufficienti.
Dopo la caduta di Nkrumah nel 1966 il Paese è caratterizzato dal susseguirsi di
vari colpi di stato, alternati da tentativi di governi civili, che cercano di sostenere
l’economia e creare stabilità senza riuscirci. Infine nel 1981 riprendono il potere i militari
con Rawlings. Vengono messi in atto programmi di aggiustamento strutturale e di
liberalizzazione economica, controllati dal regime, che portano ad alcuni risultati positivi
in termini di crescita economica. Questo permette al regime di gestire il paese con
successo.

Costa d’Avorio
Nel 1960 Houphouet Boigny diventa presidente della Costa d’Avorio indipendente.
Houphouet Boigny proveniva da una ricca famiglia di piantatori di cacao; era stato eletto
all’assemblea costituente di Parigi e aveva sostenuto la legge Defferre (che dava
maggiore autonomia ai territori coloniali) e l’idea di De Gaulle di una comunità
franco africana.
La Costa d’Avorio decide dopo l’indipendenza di rimanere nell’orbita francese. Tale
politica di collaborazione si rivela in qualche modo vincente, in quanto permette al paese
di ottenere vantaggi economici.
A differenza di quanto accade in Ghana, la Costa d’Avorio non si sofferma tanto
sull’industrializzazione, ma si focalizza sullo sviluppo delle produzioni agricole per
l’esportazione come vettore dello sviluppo economico. Tra gli anni 60 e 70 il Paese vive

un periodo di prosperità e stabilità politica.


La politica sociale di Houphouet Boigny si orienta verso un vero e proprio patto di
inclusione delle diverse componenti (anche degli immigrati, che vengono inseriti nella
piccola produzione contadina). Si creano alleanze politiche con il mondo rurale,
mediante i leader tradizionale, ma nonostante ciò lo sviluppo del Paese presenta grandi
differenze regionali, con maggiori vantaggi per le zone costiere e le aree produttrici di
cacao.
Anche qui si avvia un modello a partito unico (giustificato dalla necessità di mantenere
l’unità del paese, prevenendo qualsiasi forma di divisione etnico-religiosa). Tale modello
ottiene ulteriore supporto, dato il successo economico che caratterizza la Costa
d’Avorio fino agli anni 80.
Principali prodotti: cacao, banane, noci di cocco, olio di palma, cotone.
A partire dagli anni ’80 la Costa d’Avorio entra in crisi per vari motivi:
- Crollo dei prezzi dei prodotti di esportazione
- Eccessivo sfruttamento del territorio
- Il fatto che lo sviluppo economico non era stato accompagnato da un adeguato sviluppo
dei servizi sociali
- Aumento delle disuguaglianze e dei divari tra le varie regioni e comunità
Tale crisi diventa irreversibile e porta negli anni Novanta ad un conflitto interno al Paese.

Guinea
La Guinea era un paese ricco dal punto di vista agricolo e minerario (bauxite); ex colonia
francese.
La guida del paese è affidata al leader Sekou Tourè.
La Guinea diventa indipendente nel 1958, rigettando i progetti di De Gaulle e
allontanandosi dalla Francia, con la quale i rapporti si fanno subito tesi.
Le relazioni diplomatiche con al Francia si chiudono e viene abbandonato l’utilizzo del
franco francese. C’è un’avvicinamento con il Ghana.
La Guinea, caratterizzata da un’economia e un settore agricolo arretrati, cerca aiuti
internazionali che arrivano principalmente dal blocco sovietico e soprattutto da capitale
privato (verso i giacimenti di bauxite). Già a metà anni 60 il paese è in crisi.
Nonostante l’avvicinamento al blocco sovietico Tourè cerca di mantenere una posizione
non allineata.
Il Paese si indirizza verso un modello di socialismo africano (viene data poca attenzione
alla questione di classe). Tourè ritiene che lo sviluppo doveva essere realizzato attraverso
il ruolo centrale dello Stato (in quanto non esisteva una classe capitalistica indigena) e per
questo la politica di controllo dell’economia si rafforza. L’economia del paese era
concentrata su bauxite (primo prodotto di esportazione) e ananas.
La classe dirigente ritiene necessaria una modernizzazione legata al socialismo, anche nel
settore agricolo. Vengono messi in atto degli interventi da parte dello Stato per favorire
un’agricoltura moderna, che però si rivelano dannosi in quanto i contadini resistono ai
tentativi di spingerli verso produzioni collettive.

La crisi si acuisce negli anni 70, anche a causa della crisi agricola e di un mancato
rafforzamento della spesa per i sevizi sociali (sanità, educazione).
Il regime politico diventa sempre più rigido e basato su un modello a partito unico.
La crisi conduce verso un allentamento del socialismo: si aprono canali i collaborazione
con la Francia e c’è riconciliazione politica con il Senegal e la Costa d’Avorio.
Tourè muore nel 1984 e si passa ad un governo militare guidato da Contè (il socialismo
viene abbandonato).

Senegal
In Senegal il leader Senghor abbina ad una politica cauta di tipo economico anche
riflessioni legate al concetto di Negritude (quale espressione di una coscienza e di valori
di civiltà nera precursori del nazionalismo) e ad una forma di socialismo umanistico.
La politica di Senghor puntava a forgiare un’alleanza tra il partito di governo (Unione
progressista senegalese) e (1) la comunità di affari francesi, (2) i Marabutti, cioè le elite
religiose delle confraternite mussulmane. Queste èlite svolsero un ruolo importante nello
sviluppo sociale ed economico e nel creare consenso politico e sociale, in quanto i leader
mussulmani erano particolarmente radicati nell’economia soprattuto attraverso la
gestione della produzione di arachidi (stato contadino).
Nel 1963 si instaura de facto un modello a partito unico.
Nel corso degli anni 60 e 70 l’economia del Senegal cresce in modo significativo, ma
l’economia rurale rimane fortemente dipendente dalle esportazioni di arachidi e si
mantiene un modello di gerarchie sociali. La dipendenza da una monocoltura porterà in
seguito a delle difficoltà.
Nel 1974 si aprono nuovi spazi politici e poco dopo viene approvata una costituzione che
pone fine al sistema a partito unico (vengono legalizzati nuovi partiti politici). Senghor
si dimette nel 1980 e prende il potere Abdou Diouf.

Zambia
Lo Zambia ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964 e le elezioni portano alla
vittoria dello United People’s Independence Party (UNIP) e a Kaunda come primo
presidente.
Il paese aveva del potenziale economico, in quanto ricco di depositi di rame, ma
rimaneva fortemente dipendente dalle reti ferroviarie (utili per il commercio) e dalla
fornitura di energia soprattutto nei confronti della Rodesia del Sud.
Il legame tra i due paesi era forte e la decisione del governo di Kaunda di sostenere la
lotta di indipendenza della ZAPU (a discapito dell’UDI, Unilateral Declaraton
of Independence) espone lo Zambia a ritorsioni economiche e militari da parte del regime
rhodesiano.
Kaunda, come Nyerere, fa riferimento all’ideologia dell’Umanesimo, che prendeva le
mosse dall’idea che le società precoloniali fossero intrinsecamente egualitarie e
socialiste.
Nel 1968 Kaunda attua una serie di riforme volte a realizzare l’indipendenza economica
nel quadro della politica dell’umanesimo, superando il modello coloniale e contrastando

le divisioni di classe: indigenizzazione del settore del commercio e processi di


nazionalizzazione (ad esempio delle miniere di rame).
L’obbiettivo era rilanciare gli investimenti e rafforzare il controllo del governo
sull’economia.
Si consolida una forma di capitalismo di Stato, che promuove il rafforzamento di una
borghesia africana fortemente dipendente dallo stato.
Il potere politico viene centralizzato sempre più nelle mani di Kaunda, che tra gli anni 60
e 70 viene messo in difficoltà a causa di contrasti con i partiti dell’opposizione e di
spaccature interne al suo partito. Nel 1972 viene proclamato un modello a partito unico,
che innesca una graduale atrofizzazione dell’attivismo politico a livello locale, rendendo
più difficile la realizzazione di programmi di sviluppo e aggravando la crisi economica.
A metà degli anni 70 la crisi è profonda, anche a causa del crollo del prezzo del rame, da
cui il paese era fortemente dipendente. Nonostante i tentativi di riforma la crisi peggiora e
Kaunda è costato a negoziare un programma di aggiustamento strutturale con il FMI e la
BM, misure che però non riescono a ripristinare la crescita.
L’incertezza e l’incapacità del governo nell’affrontare le difficoltà economiche e sociali
del Pese generano malcontento e indeboliscono la legittimità politica di Kaunda e
dell’UNIP. Nascono a fine anni 80 richieste di multipartitismo e di fine del regime a
partito unico, che ottengono ampio sostegno popolare.
Nel 1991 vengono indette elezioni multipartitiche che vengono vinte da Chiluba (che si
era fatto portatore delle rivendicazioni sopra citate). Tale vittoria segna la fine di un
modello verticistico e statalista di costruzione della nazione e di sviluppo che era risultato
inefficace.

Kenya
Esempio di socialismo africano
Era una colonia dei settler: le politiche coloniali avevano reso gli agricoltori bianchi
possessori di vasti tratti di terre fertili espropriate agli indigeni, soprattutto nelle zone
delle Highlands (altopiano), dove le condizioni climatiche erano favorevoli.
La rivolta Mau Mau (1952-1960)
Rivendicazione politico-sociale, che diventa anche militare, di gruppi di popolazione
kikuyu che avevano subito gli effetti negativi dell’esproprio delle terre.
Chiedono una politica sociale diversa, chiedono di riavere le loro terre. Il loro slogan era
‘Terra e Libertà’. Non assume però la forma di una lotta di liberazione nazionale.
La rivolta inizia nel 1952 guidata da alcuni settori della KAU (Kenya African Union di
cui Kenyatta era presidente). La GB dichiara lo stato di emergenza e Jomo Kenyatta
viene arrestato.
La lotta si rivolgeva sia contro i lealisti, fra cui i capi tradizionali e le elite considerati
vicini al governo coloniale e co-responsabili degli effetti negativi del processo coloniale
britannico, sia contro i settler.
Le autorità interpretano le rivolte come una reazione irrazionale al processo di
modernizzazione, facendo leva sulla ‘natura tribale’ dei Mau Mau.
La Gran Bretagna reprime tale rivolta con grande violenza: le vittime furono numerose

(almeno 12.000 morti) e molti vengono rinchiusi in campi di prigionia, dove subiscono
gravi violenze e abusi. Non solo i rivoltosi, ma anche ampie face di popolazione kikuyu
subiscono repressioni tramite processi di villaggizzazione forzata.
Gradualmente la rivolta viene repressa e nel 1960 viene abolito lo stato di emergenza.
A metà anni 50 viene avviato un programma di riforma agraria, il Swaynerton Plan, che
poi viene ripreso dopo l’indipendenza.
Era una riforma redistribuiva volta a creare una classe di piccoli imprenditori agricoli
indigeni. La redistribuzione non doveva essere coercitiva (cioè non avveniva con
espropri), ma i territori vengo venduti a prezzo di mercato. La Gran Bretagna appoggia
tale riforma dal punto di vista finanziario, in quanto elemento di stabilizzazione. Sarà
però un processo costoso.
La creazione di una classe agraria di piccoli agricoltori indigeni (efficienti e capaci di
stare sul mercato) diventerà poi un punto importante per la costruzione dello stato
nazione in Kenya.

Nel 1960 vengono fondati il KANU (Kenya Africa National Union) e il KADU (Kenya
African Democratico Union), che qualche anno dopo si va a fondere con il partito di
Kenyatta (KANU).
Dopo un processo negoziale che assegna maggiore rappresentatività agli africani, nel
1963 si arriva all’indipendenza, sotto la guida di Kenyatta e del suo partito KANU
(partito unico, utilizzato come strumento di controllo e stabilizzazione).
Jomo Kenyatta porta alla costruzione di un Kenya indipendente vicino all’occidente e
che segue modelli di modernizzazione capitalistica. Egli non era mai stato un leader
radicale (le accuse di essere uno dei leader della rivolta Mau Mau erano false).
Al momento dell’indipendenza Kenyatta ha una visione di collaborazione con i coloni
bianchi, approccio conciliatorio. Egli stringe un accordi con le autorità britanniche per la
realizzazione di una riforma agraria (sulle orme di quella attuata negli anni 50).
Scoppiano delle rivolte in una provincia del nord-est, dove la popolazione a maggioranza
di origine somala chiedeva l’annessione alla Somalia, che vengo represse in modo
violento (la regione rimane all’interno del Kenya, ma in una posizione di marginalità).
Nascono delle tensioni con l’opposizione della Kenya People’s Union, guidata da
Odinga, alle quali il governo risponde in modo autoritario. Inoltre in questo periodo
(metà anni Sessanta) l’economia è in forte crescita e questo rafforza la posizione e la
leadership di Kenyatta, togliendo spazio a qualsiasi alternativa radicale.
Con l’uccisione di Mboya, probabile successore di Kenyatta, Odinga viene arrestato e la
KPU viene messa al bando.
Negli anni ‘70 la politica di Kenyatta diventa maggiormente coercitiva e personalistica,
accentrando il potere nelle sue mani, contrastando qualsiasi forma di opposizione e
facendo leva sull’élite politica kikuyu.
Kenyatta viene anche accusato di non aver assicurato un accesso equo alla terre e di non
aver contrastato l’accaparramento delle risorse a vantaggio di una ristretta élite che
ruotava attorno al presidente stesso.
Attorno al 1975 nascono delle proteste, che iniziano ad incrinare la posizione di Kenyatta

all’interno del paese. Dopo la sua morte il Kenya attraverserà un fase di problematicità
dal punto di vista politico.

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