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LA VITA
- NASCITA: 1867, Agrigento, da famiglia borghese agiata
- STUDI: lettere a Roma, ma a seguito di un contrasto con un professore proseguì gli studi in Germania,
dove si laureò
- MOGLIE: la ricca cugina Maria Antonietta Portulano, da cui avrà 3 figli
- A ROMA: divenne docente di Linguistica e Stilistica in un istituto superiore, anche se manchevole di una
vocazione per l’insegnamento e dell’amore per la materia insegnata.
Il dissesto economico della famiglia Pirandello a seguito di uno sfortunato investimento del padre di Luigi
(Il fu Mattia Pascal sarà specchio di questo periodo complesso), minò il già fragile equilibrio psichico di
Maria Antonietta, sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, a causa delle quali o lei rientrava dai genitori
in Sicilia, o Pirandello era costretto a lasciare la casa.
La malattia prese la forma di una gelosia delirante, che la portava a scagliarsi contro tutte le donne che
parlassero col marito; perfino la figlia Rosalia susciterà la sua gelosia, e a causa del comportamento della
madre tenterà il suicidio per poi andarsene di casa.
Si capisce dunque bene che la convivenza con la donna fu per Pirandello un tormento, germe della sua
concezione della famiglia come trappola soffocante.
Il dissesto economico costrinse Luigi anche a integrare lo stipendio di professore con ripetizioni private (di
italiano e tedesco), nonché avviando una collaborazione con il Corriere della sera, e prestandosi a lavorare
per l’industria cinematografica.
Pirandello divenne però soprattutto scrittore teatrale, pur non abbandonando mai la narrativa; erano gli anni
della guerra, destinati a segnare la sua vita: suo figlio Stefano fu fatto prigioniero dagli Austriaci e ciò
aggravò la malattia mentale di sua moglie, che egli fece ricoverare in una casa di cura in cui restò fino alla
morte.
In seguito Pirandello, avendo riscontrato i suoi drammi successo in tutto il mondo, si dedicò interamente al
teatro, prima seguendo varie compagnie per cui lavorò nelle loro tournees in Europa e in America, poi
dirigendo il Teatro d’Arte a Roma, dove visse un amore platonico con una giovane attrice, Marta; la
direzione gli era stata affidata dal Partito fascista, cui Pirandello si era iscritto per ottenere appoggi da parte
del regime.
La sua adesione al fascismo però, ebbe vita breve, pur non sfociando mai in una vera rottura.
Da un lato il suo conservatorismo lo spingeva a vedere nel fascismo una garanzia di ordine, dall’altro il suo
spirito antiborghese lo induceva a vedervi l’affermazione di un’energia vitale.
Il regime era un esempio di quella falsità dei meccanismi sociali tanto criticata da Pirandello.
Due anni dopo aver ricevuto il premio Nobel per la Letteratura si ammalò di polmonite e morì, mentre
assisteva alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal.
POETICA
Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica, per cui la realtà è
movimento vitale e tutto ciò che si stacca da essa per assumere una forma propria inizia a morire.
Ciò vale soprattutto per gli uomini, che tendono a cristallizzarsi in identità che loro stessi si danno ma che in
realtà non sono che illusioni.
Inoltre, anche gli altri, vedendoci ciascuno secondo la propria prospettiva, ci danno delle forme, sicché noi
crediamo di essere “uno” per noi e per gli altri, mentre siamo “centomila”.
Ciascuna di queste forme è una maschera, sotto la quale non c’è un volto definito, non c’è “nessuno”, solo
un fluire in perenne trasformazione.
Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo francese Binet sull’alternarsi della personalità ed era
convinto che nell’uomo esistessero più persone.
Caratteristico della visione pirandelliana è così un relativismo conoscitivo: ognuno ha la sua verità, sicché
gli uomini non possono intendersi mai fino in fondo.
Tutto ciò riflette la crisi sia di una realtà oggettiva interpretabile con gli schemi della ragione (crisi del
positivismo), sia di un io definito: è il periodo dell’affermarsi di tendenze spersonalizzanti (delle macchine
che meccanicizzano l’esistenza umana, delle metropoli che rendono difficili i legami interpersonali), in cui
entra in crisi l’idea dell’individuo creatore del proprio destino.
La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita smarrimento nei personaggi, che si “vedono
vivere”, si sentono sdoppiati; la stessa società gli appare come enorme trappola che isola l’uomo e lo porta
alla morte (anche se apparentemente continua a vivere).
La frantumazione dell’io pone Pirandello al di là del Decadentismo (cui pure è vicino sia per la crisi
gnoseologica che per il suo vitalismo irrazionalistico), che identificava io e mondo.
L’istituto in cui più si manifesta la trappola della forma è la famiglia, seguita dal lavoro.
La società borghese che egli esamina è manifestazione di una condizione di annichilimento universale.
Alla base dell’opera pirandelliana si scorge, poi, un rifiuto della vita sociale e dei ruoli che essa impone, e
di contro un disperato bisogno di autenticità.
L’unica via di salvezza è la fuga nell’irrazionale, nell’immaginazione o nella follia.
Il rifiuto della socialità dà vita alla figura del “forestiere della vita”, colui che ha capito “il giuoco”, ha cioè
preso coscienza del carattere fittizio del meccanismo sociale e si isola, rifiutandosi di indossare la maschera e
osservando invece chi lo fa con un atteggiamento umoristico di irrisione e pietà; è la “filosofia del lontano”,
che consiste nel contemplare la realtà come da un’infinita distanza, per vedere da una prospettiva straniata
ciò che sembrerebbe normale.
Tale è pure l’atteggiamento di Pirandello intellettuale, che rifiuta il ruolo politico attivo perseguito dagli
intellettuali a lui contemporanei e si riserva un ruolo contemplativo.
L’umorismo, che dà il titolo all’omonimo saggio, è alla base della concezione pirandelliana dell’arte: esso
consiste nel cogliere di una persona e/o di un fatto sia il ridicolo che il fondo dolente, e viceversa, ciò in
considerazione del fatto che in una realtà multiforme comico e tragico vanno sempre insieme.
Nel saggio Pirandello fa l’esempio di una vecchia signora tinta e imbellettata: il comico nasce
dall’ “avvertimento del contrario”, ossia dall’avvertire che ella è tutto il contrario di ciò che una vecchia
signora dovrebbe essere.
Subentra poi il “sentimento del contrario”, che suggerisce che quella signora si imbelletta sperando di poter
trattenere l’amore del marito più giovane; a quel punto non si può solo ridere.
POESIE
La consapevolezza della fine dell’antropocentrismo e della pluralità dell’io è al centro delle poesie di
Pirandello, il quale, agli albori della sua carriera, fu infatti anche poeta, un poeta che lasciava già intravedere
chiare tracce della sua particolare visione del mondo.
Basti pensare al titolo della sua prima raccolta poetica, Mal giocondo, ossimoro che anticipa le incoerenze
che saranno parte integrante delle successive opere teatrali e dei romanzi e in cui l’umorismo, l’aspetto più
significativo della poetica pirandelliana, inizia a gettare le proprie basi.
Ad essere un mal giocondo è per Pirandello, per esempio, il sentimento amoroso.
Nella poesia vengono presentate in forma allegorica le lusinghe d’amore attraverso la rappresentazione di
una selva che avvinghia l’eroe: il rinvio è chiaro ai luoghi bucolici, come quelli dell’Orlando Furioso o della
Gerusalemme liberata.
Tutte le raccolte poetiche dell’autore sarebbero state pubblicate in un volume unico nel 1960.
NOVELLE
Scritte per tutta la sua vita e nate per la pubblicazione su quotidiani (poi organizzate in raccolte), furono
sistemate in un unico volume in 15 libri, Novelle per un anno, così intitolato perché il suo intento era quello
di scrivere 365 novelle, una per ogni giorno dell'anno (ne scrisse solo 256).
A differenza della raccolta di Boccaccio, in quella pirandelliana non si riesce a individuare un ordine
determinato: la molteplicità di situazioni, casi e personaggi riflette la caoticità del mondo.
All’interno della raccolta è possibile distinguere comunque le novelle collocate in una Sicilia contadina e
arcaica da quelle focalizzate su ambienti borghesi.
Se le prime possono ricordare il clima verista, in esse in realtà non si riscontra l’indagine sui meccanismi
della lotta per la vita, anzi: le figure di quel mondo sono deformate fino al parossismo.
Emblematica in tal senso la novella Ciàula scopre la luna, il cui protagonista, un lavoratore di miniera,
potrebbe ricordare Rosso Malpelo, ma che è in realtà molto diverso, nel suo essere un minorato mentale
dedito a una vita di puri istinti; inoltre, Pirandello non adotta il procedimento dell’eclisse/regressione ma
narra dall’alto, giudica.
Lo stesso vale anche per le novelle ambientate a Roma, che presentano piccoli borghesi intrappolati in
famiglie oppressive, senza che gli sia data un’effettiva possibilità di salvezza.
Emblematica in tal senso la novella Il treno ha fischiato, il cui protagonista è Belluca, un contabile
sottoposto a pressioni sia nell'ambito familiare sia in quello lavorativo.
Al lavoro, infatti, i colleghi cercano di provocare sue reazioni violente, poiché sempre controllato.
In famiglia, deve mantenere la moglie, la suocera e la sorella della suocera - tutte e tre cieche - più le due
figlie vedove e sette nipoti.
Belluca per mantenere la famiglia e poter soddisfare le esigenze delle donne è costretto a intraprendere un
secondo lavoro, il copista di documenti, nelle ore notturne.
Una sera, dopo aver sentito il fischio di un treno si ribella alle angherie del capoufficio producendosi in un
imprecisato vaniloquio.
Con queste reazioni, fuori dagli schemi della società e dal suo modo di essere, i suoi colleghi lo ritengono
pazzo e lo fanno rinchiudere direttamente nell'ospizio.
Solo un vicino di casa si rende effettivamente conto delle motivazioni che l'hanno spinto a tale gesto ed è
l'unico a capire che il protagonista non è diventato pazzo, bensì il suo comportamento è stato una semplice
reazione alla situazione diventata ormai insostenibile.
Le novelle nel complesso rispondono al criterio dell’inverosimiglianza, per cui al rapporto di causa ed
effetto postulato dal Naturalismo si sostituisce la casualità più bizzarra.
I ROMANZI
L’esclusa
È la storia – ambientata in Sicilia – di Marta Ajala (il cui nome, inizialmente, dava il titolo al romanzo),
accusata ingiustamente di adulterio e per questo cacciata di casa dal marito per poi esservi riammessa dopo
essersi effettivamente resa colpevole.
Il romanzo sembrerebbe avere contatti col Naturalismo:
- nell’impianto (la narrazione in terza persona)
- nella materia (lo scontro tra la gretta mentalità provinciale e l’intelligenza dell’emancipata Marta)
Ma a ben vedere se ne distacca: al rapporto di causa-effetto si sostituisce il caso, per cui Marta viene
condannata per una colpa non commessa e riaccolta dopo essersene davvero macchiata.
Il turno
È la storia (narrata in terza persona) di una ragazza, indotta dal padre a sposare un vecchio ricco e prossimo
alla morte; il vero fidanzato della giovane, Pepè, riuscirà solo dopo la morte del vecchio (arrivata più tardi
del previsto in quanto la vicinanza alla ragazza aveva riacceso le sue energie) a sposarla.
Suo marito
Questo romanzo, di impianto eterodiegetico, vede al centro un conflitto tra una scrittrice emancipata e suo
marito, attento solo agli aspetti economici della vita.
Giustino Boggiolo è un modesto impiegato che sposa la giovane scrittrice Silvia Roncella e, dopo che questa
diventa celebre, rivela uno straordinario fiuto negli affari, prendendo tutte le iniziative di contratto con gli
editori, i critici, i giornalisti, i traduttori e il pubblico, per reclamizzare e far fruttare la produzione letteraria
della moglie.
Questa sua frenetica attività di agente pubblicitario lo espone alla malignità dei colleghi d'ufficio, che lo
ridicolizzano appioppandogli il nomignolo di “Roncello”.
Silvia, che vede il ridicolo della situazione, si distacca sempre più dal marito e si separa da lui, non
ritornandovi insieme neanche quando viene lasciata dal suo nuovo compagno, sicché entrambi restano soli,
ciascuno per la propria strada.
All'interno del romanzo è rilevabile il tema dell'incomunicabilità tra gli uomini: se da principio al lettore è
offerto il punto di vista della moglie, che si ritiene strumentalizzata dal marito, in una seconda parte il punto
di vista del marito emerge, con la conseguenza che agli occhi del lettore non esistono più una ragione e un
torto: Giustino e Silvia propongono due versioni degli stessi eventi che sono entrambe verità.
I vecchi e i giovani
Di impianto eterodiegetico e di ambientazione siciliana, questo romanzo, è incentrato sul conflitto tra due
generazioni: quella che ha fatto l'Unità e che vede perduta l'eredità del Risorgimento, e quella più giovane,
che nel conservatorismo dei padri scorge solo la difesa di interessi reazionari.
Qui l’autore esprime un giudizio storico molto severo sul processo di riunificazione dell'Italia e dello stato
nato da essa.
si addossa tutte le colpe attribuitegli e, simulando un eroico ravvedimento, dona tutti i suoi averi per fondare
un ospizio per mendicanti in cui egli stesso si ricovera.
Moscarda, che voleva distruggere tutte le forme impostegli, finisce dunque per accettare quella dell’adultero
e per scontare una pena immeritata, ma proprio in questa sconfitta trova la guarigione, scegliendo di alienarsi
totalmente da se stesso, identificandosi di volta in volta nelle cose che lo circondano, rinunciando a qualsiasi
identità definita.
TEATRO
Fare distinzione tra i contenuti dei romanzi (o delle novelle) e le opere teatrali è difficile, in quanto molte
novelle sono state messe in opera a teatro, ad esempio:
- Liolà riprende il tema centrale dai capitoli iniziali de Il fu Mattia Pascal (che sposa Romilda, donna che,
rimasta incinta di lui, era stata convinta a fingere che il figlio fosse di un suo zio - che non riusciva ad
averlo insieme alla moglie Olivia - ; Mattia mette allora incinta Olivia, moglie di questo zio, che, pur
sapendo di non esserne realmente il padre, alla fine sceglie lui come suo figlio per non far scoppiare uno
scandalo, mentre Romilda può sposare Mattia);
- Così è, se vi pare è tratto dalla novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero.
MASCHERE
Per Pirandello sono 3:
- Quella esterna, che si mostra al mondo
- Quella interna, che si mostra ai più cari
- Quella interiore, che si mostra solo a sé stessi
RIVOLUZIONE TEATRALE
La rivoluzione teatrale di Pirandello consistette nello svuotare il dramma di impianto naturalistico (basato su
verisimiglianza, riproduzione fedele della vita quotidiana, rapporti causa-effetto).
I ruoli imposti dalla società borghese (il marito, l’uomo d’affari) vengono assunti sino ad essere smascherati
nella loro inconsistenza; in tal modo il criterio della verosimiglianza viene scardinato, gli spettatori si
trovano dinanzi a un mondo stravolto; a venir meno è pure lo psicologismo naturalistico: i personaggi sono
contraddittori.
I drammi pirandelliani rispondono alla poetica del “grottesco”, che è la forma che l’arte umoristica assume
sulla scena, per cui il tragico è sempre straniato dal comico e il comico rivela sempre un fondo di tragica
serietà.
Proprio per la portata delle novità introdotte, i drammi ottennero in un primo momento scarso successo di
pubblico e tiepidi giudizi da parte dei recensori.
LE FASI
I drammi sono tradizionalmente suddivisi, in base alla fase di maturazione dell'autore, in:
- Prima fase - Il teatro siciliano
- Seconda fase - Il teatro umoristico/grottesco
- Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro)
- Quarta fase - Il teatro dei miti
PRIMA FASE
Alla prima fase appartengono sei drammi, tra i più famosi:
Pensaci, Giacomino!
È la storia di un vecchio professore, il professor Toti, che non ha potuto farsi una famiglia a causa del suo
magro stipendio e che decide di “vendicarsi” sposando Lillina, una donna giovanissima, in modo da
costringere lo Stato a pagarle per molti anni la pensione; mette anche in conto le corna, anzi arriva a favorire
il legame della ragazza con Giacomo, un suo allievo del quale ella è incinta, affermando che le corna non
andranno in testa a lui ma alla parte che recita, quella del marito, che lo riguarda solo in apparenza.
Liolà
È la storia di un povero contadino, Neli Schillaci detto ‘Liolà’, che, messa incinta Tuzza, nipote di un
vecchio benestante ossessionato dalla sua incapacità di non riuscire ad avere figli, appreso che la ragazza
propone allo zio (che accetta) di attribuirgli pubblicamente il figlio (invece di sposare il suo seduttore, che
sicuramente si sarebbe dimostrato un pessimo padre), si vendica mettendo incinta la moglie del vecchio, che,
prima cacciata di casa, viene infine ripresa con sé dal marito, che preferisce questa paternità formalmente
legale ai vincoli del matrimonio a quella illegale di Tuzza. Liolà si ritira, pago della sua vendetta.
SECONDA FASE
Alla seconda fase appartengono dodici drammi, tra i più famosi:
Il piacere dell’onestà
Vede come protagonista Angelo, un uomo non troppo stimato che, dopo aver accettato di sposare pro forma
una donna (Agata), in modo da dare un padre legale al figlio che questa aspetta dall’amante (un marchese già
sposato), finirà col tempo per voler osservare fino in fondo la forma e per prendersi realmente cura di Agata
e del bambino, riscattandosi.
Come già in Pensaci Giacomino, Pirandello usa l'espediente del falso matrimonio su cui si confrontano
personaggi, costretti a togliersi la maschera dietro la quale hanno ingannato se stessi e gli altri.
Si rivela così il vero volto dei protagonisti.
Chi finora era apparso al sommario giudizio degli altri un disonesto si rivela invece una persona rispettabile,
e chi agli occhi dei buoni borghesi godeva di alta considerazione, un marchese di alto lignaggio, si manifesta
per quello che è: un uomo infido e mediocre.
La patente
È la storia di Chiàrchiaro, considerato uno iettatore da tutto il paese, che querela per diffamazione due
giovani rei di aver fatto, nell’incontrarlo, un atto osceno di scongiuro per proteggersi dalla iella; il giudice,
perplesso, prima che si arrivi a processo convoca Chiarchiaro per consigliargli di ritirare la querela, giacché
non avrebbe mai potuto incriminare i due ragazzi querelati per un fatto così banale e alla fine Chiarchiaro
avrebbe visto consolidarsi ulteriormente la fama di iettatore, ottenendo l'effetto contrario; quando arriva
nell'ufficio del giudice, Chiàrchiaro ammette di essere effettivamente uno iettatore e il giudice meravigliato
gli chiede perché allora abbia querelato i due giovani; di tutta risposta, Chiarchiaro chiede al giudice di
istruire al più presto il processo: perdendo la causa, egli sarà considerato ufficialmente uno iettatore e
chiederà che gli sia rilasciata la patente di iettatore.
In questo modo potrà guadagnarsi da vivere: si metterà davanti ai negozi, vicino alle industrie, e i proprietari
lo pagheranno perché se ne vada; così, egli potrà riscattarsi anche dalla sottile malvagità della gente che fino
ad ora lo ha sempre scansato.
Emergono anche qui alcune tematiche care a Pirandello, come gli intrecci relazionali fra gli uomini resi
alterati e inquinati dai preconcetti, nonché dalle proiezioni che vengono applicate sui soggetti bersaglio in
base alle apparenze, alle esteriorità e ai giudizi superficiali.
La Madre, dopo la morte del suo nuovo compagno, per le difficoltà economiche si vede costretta a lavorare
come sarta presso un atelier che in realtà è una casa di appuntamenti in cui la figlia (Figliastra) si
prostituisce.
Qui un giorno giunge il Padre e, senza saperlo, sta per avere un rapporto con la Figliastra, che non ha
riconosciuto, ma sopraggiunge in tempo la Madre a impedire l’unione quasi incestuosa.
Il secondo atto è costituito dalla morte della Bambina (la figlia minore) per un incidente e dal presunto
suicidio del Giovinetto.
Pirandello volle mettere in scena l’impossibilità di scrivere e rappresentare una storia del genere, un
“drammone” dalle forti tinte, portando all’estremo il rifiuto del dramma borghese.
Egli è convinto che la rappresentazione scenica in assoluto, a prescindere dalla maggiore o minore bravura
degli attori, costituisca un tradimento e una deformazione dell’idea dell’autore. Pertanto, questa è la storia di
una rappresentazione che non si può fare.
Enrico IV
Si collega al ciclo del “teatro nel teatro” il dramma di un uomo che da vent’anni vive rinchiuso in una villa
solitaria, convintosi, dopo essere impazzito per una caduta da cavallo, di essere l’imperatore medievale
Enrico IV (che egli aveva rappresentato durante la mascherata in costume). Nella villa, in cui vive
assecondato da chi lo circonda, si introduce Matilde, la donna che egli un tempo amava, con l’amante e la
figlia Frida.
Un dottore maschera Frida come un tempo era la madre durante la cavalcata storica, nella speranza di
provocare uno choc che riconduca il folle alla ragione; questi però rivela di essere rinsavito da molti anni e di
essersi chiuso nella sua parte per disgusto di una società vile, rimanendo però anche escluso dalla vita; ora
vorrebbe vivere ciò che non ha vissuto all’epoca e avere la donna che non ha potuto avere, ma nella forma di
allora, cioè non Matilde ormai vecchia ma Frida; il padre della ragazza interviene per difenderla ma “Enrico”
lo uccide con la spada, tornando a rinchiudersi nella sua pazzia.
Il dramma si collega al ciclo del metateatro perché anche qui avviene una recita, quella di “Enrico” (il cui
vero nome non è mai rivelato), prosecuzione cosciente della finzione che è di tutti, costretti dal meccanismo
sociale a mascherarsi e recitare.
La più tarda produzione teatrale pirandelliana rivela un cambiamento di poetica rispetto a quella del
grottesco, col passaggio dal razionalismo umoristico a un irrazionalismo magico e simbolico, in direzione di
un ritorno al decadente.
BRANI
Ciàula scopre la luna - NOVELLE PER UN ANNO
La novella, tratta da Novelle per un anno, fu pubblicata sul Corriere della sera, poi nel volume Le due
maschere.
Temi chiave sono:
- La rappresentazione del duro lavoro in miniera
La novella si apre in medias res, con un “farneticava”, il cui soggetto resta indeterminato, anche se ben
sappiamo che si sta parlando di Belluca, impiegato protagonista della vicenda narrata, che ha
improvvisamente compiuto stranezze.
I colleghi sono quasi contenti della sua condizione, lui che per così tanto aveva manifestato una calma
disarmante e parecchio invidiata con loro e con la sua famiglia, che pian piano l’ha logorato.
Una mattina giunge a lavoro diverso dal solito, più felice, ma già dai suoi occhi era possibile percepire che
qualcosa non andava in lui: sembrava una montagna in procinto di crollare.
Per tutto il giorno non combina niente, e, alla sera, il capo chiede lui il perché.
Egli risponde d’aver sentito un treno fischiare per la prima volta, un treno che ha metaforicamente portato lui
da qualche parte sconosciuta, ovunque, ma non lì: il suo senno è scappato via, evaso, esasperato da quella
vita insostenibile.
Sentendo le risate dei colleghi, dunque, scoppia, si ribella, lui che per un infinito tempo era stato la vittima
delle loro angherie.
Così gli altri non perdono tempo a mandarlo in un manicomio.
Per il narratore, il vecchio vicino di casa, però, Belluca non è folle, anzi: nella sua situazione, per lui, era
riuscito già per troppo tempo a trattenere il senno.
Soprattutto per via della famiglia.
Egli, difatti, viveva con tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera.
Tutte e tre volevano essere servite, strillavano dalla mattina alla sera insieme ai rispettivi figli e Belluca era
costretto a portarsi anche il lavoro a casa di sera per riuscire a sfamare tutti.
La casa era troppo piccola e troppo caotica per tutte quelle persone.
Per questo qualora Oreste, sulla scena, vedesse aprirsi un buon nel cielo perdere tutte le sue certezze che fino
ad ora avevano caratterizzato la sua vita ed il suo comportamento e diventerebbe un nuovo Amleto perché
lacerato da dubbi, ed incapace di agire per eccesso di consapevolezza critica.
Il brano è ricco di metafore: la carta che nel sipario simula il cielo sono le convenzioni,le norme le istituzioni
e qualora esso si strappasse la recita si paralizzerebbe, come l’uomo moderno che non potrebbe vivere al di
fuori della perplessità e della convenzionale falsità che lo circonda.
La vita si basa sull’illusione non è altro che un inganno ed è sufficiente che si verifichi un incidente di poco
conto, come lo “strappo del cielo” per capire il vero senso dell’esistenza umana.
Anche il teatrino è una metafora: le marionette meccaniche recitano una parte senza rendersi conto di quello
che fanno e se si scopre la vera realtà ecco insorgere “vertigini e capogiri”, come scrive Pirandello alla fine
del brano.