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Felicia Desiderato

Politica Sociale
CAP. 1

“L’analisi delle politiche sociali e del welfare state”

Le politiche sociali (p.c.) sono lo studio di un sottoinsieme di corsi di azioni, volti a risolvere
problemi e raggiungere obiettivi che hanno a che fare con il benessere dei cittadini. Sono alcune
opportunità di vita considerate meritevoli di essere garantite dall’autorità dello stato. Nelle
democrazie moderne queste norme sono incorporate nella nozione di cittadinanza sociale.
Essere cittadino vuol dire godere di:
- Diritti civili/politici
- Speci ci diritti sociali, ovvero diritti-spettanze: danno titolo a ottenere risorse (es. una pensione)
e fruire di opportunità (es l’accesso a un servizio) che sorreggono le condizioni di vita. La
cittadinanza sociale contribuisce alla realizzazione concreta di: libertà, uguaglianza, solidarietà e
sicurezza.
Le p.c. organizzano la produzione/distribuzione di queste risorse/opportunità (es. attraverso gli
schemi previdenziali, i servizi sanitari o quelli per l’impiego). Lo stato può incidere sulle condizioni
di vita dei cittadini attraverso:
- Le erogazioni dirette
- Maniera indiretta, disciplinando l’operato di soggetti non pubblici (es. diritto di famiglia o al
diritto del lavoro)
In Europa l’apparato statale svolge un ruolo importante come fornitore diretto di servizi e prestazioni
a nalità sociale: i paesi dell’EU spendono più 1/4 del loro PIL per le prestazioni e i servizi sociali
dello stato, 2 altre nozioni sono importanti per la caratterizzazione delle p.c.:
1. Bisogno indica una carenza, un bene mancante oppure necessario per sopperire/rimediare alla
mancanza (un bisogno sanitario nasce a causa di un qualche de cit di salute, che crea l’esigenza
di qualche assistenza medica)
2. Rischio indica l’esposizione a determinate eventualità che possono accadere (es. la malattia) e
che, quando si veri cano, producono effetti negativi e generano dei bisogni
Ad entrambe si può far fronte ricorrendo a risorse e opportunità connesse:
a. Alla sfera del mercato (il mercato del lavoro, dal quale si attingono redditi)
b. Alla sfera della famiglia (comprese le reti parentali e amicali)
c. Associazioni intermedie (si fa riferimento alle comunità informali come il vicinato, anche a gruppi
organizzati come le associazioni di categoria e ai soggetti del terzo settore, ovvero le organizzazioni
che operano senza ni di lucro non pro t organizations)
Il quadrilatero costituito da Stato, famiglia, mercato (del lavoro) e mondo associativo è chiamato il
diamante del welfare. Il sistema di relazioni formali e informali fra le 4 punte del diamante è a
sua volta denominato regime di welfare o anche welfare mix:
- Lo Stato svolge un ruolo predominante all’interno del diamante: da un lato è il contenitore di tutti i
processi di produzione di benessere, dall’altro, è il regolatore sovrano di questi processi
- I bordi esterni del diamante rappresentano i con ni territoriali del sistema di welfare di un paese e
svolgono un ruolo di ltro nei confronti dei non cittadini: l’UE prevede libertà di movimento fra i
paesi membri , il diritto ad accedere alla protezione sociale di qualsiasi stato per tutti i titolari
della cittadinanza UE; Per gli extracomunitari continuano ad essere i governi a decidere chi può
accedere al territorio nazione e chi ha diritto ad avere diritti
Le p.c. più importanti sono:
a. Le politiche pensionistiche riguardano il rischio della vecchiaia, in particolare la perdita di
capacità lavorativa, e dunque di sicurezza economica, di cui si ha bisogno nell’età anziana.
Oltre la vecchiaia, coprono anche il rischio di invalidità e il rischio di morte in presenza di
famigliari superstiti

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b. Le politiche del lavoro rispondono al rischio di restare disoccupati. Mirano a regolare il


mercato del lavoro e a promuovere l’incontro fra domanda e offerta, in modo da prevenire
l’emergenza della disoccupazione e da sostenere l’inserimento/reinserimento delle persone
senza (o in cerca di) occupazione all’intento del mercato del lavoro, attraverso servizi per
l’impiego e politiche di formazione
c. Le politiche sanitarie riguardano il rischio di malattia e in particolare i bisogni sanitari a esso
connessi
d. Le politiche di assistenza e dei servizi sociali hanno per oggetto livelli di rischi e bisogni:
perdita dell’autosuf cienza personale, povertà economica, dif coltà di accesso all’abitazione.
All’interno di questo comparto vi sono anche le prestazioni e i servizi per le famiglie e i minori: assegni
famigliari, congedi parentali e indennità, servizi di conciliazione vita-lavoro
La spesa sociale è utilizzata per prestazioni monetarie, nanziare i consumi pubblici sociali e per
l’investimento in infrastrutture. L’insieme delle p.c. è chiamato stato del benessere o welfare state.
De nizione precisa del concetto di welfare state, basata su 3 elementi:
1. Il welfare state è un insieme di politiche pubbliche, ovvero di corsi di azione che poggiano
sull’autorità dello stato. Questo insieme va collocato sullo sfondo di un processo di
trasformazioni economiche, sociali e politico-istituzionali che le scienze sociali hanno de nito
processo di modernizzazione, ha interessato le società europee. Nato come risposta alla nuova
con gurazione di rischi e bisogni originata dalla modernizzazione e si trova ad affrontare i
cambiamenti delle società neomoderne e postindustriali
2. Tramite queste politiche lo Stato fornisce protezione contro rischi e bisogni secondo 3 modalità:
assistenza, assicurazione, sicurezza sociale.
3. I diritti sociali (e i doveri di contribuzione nanziaria). L’introduzione dei d.s. è stata
un’innovazione dello stato moderno.
Sin dagli anni ’50 esistono 3 diversi modelli di intervento biblico a ni di protezione sociale:
1. L’assistenza (pubblica o sociale) comprende tutti quegli interventi a carattere condizionale volti a
rispondere in modo mirato (targeted) a speci ci bisogni individuali. E’ con questo tipo di
interventi che lo stato moderno fece la sua apparizione della sfera sociale già a partire dal ‘600:
- In Inghilterra vennero introdotte le poor laws, in base alle quali i cittadini dovevano essere
mantenuti dallo stato, ed internanti in apposite case di lavoro (workhouse), queste prigioni chiusero
i battenti poco dopo.
Ciò che caratterizza l’assistenza come modalità di protezione sociale è il fatto che le sue prestazioni
sono subordinate all’accertamento da parte pubblica di 2 condizioni:
1. Uno speci co bisogno individuale manifesto (particolari condizioni di disagio famigliare…) e
l’assenza di risorse (reddito) per farvi fronte autonomamente, una condizione accertata tramite
una veri ca della situazione economica dei richiedenti (chiamata prova dei mezzi, means-test).
L’insuf cienza di reddito dà titolo a qualche forma di reddito minimo garantito. L’assistenza è una
forma di protezione selettiva (rispetto alle condizioni di bisogno e di reddito) e residuale (rispetto
alle capacità di risposta individuale o familiare)
2. L’espressione assicurazione sociale (obbligatoria): indica un tipo concentrato sull’erogazione di
prestazioni semi-standardizzate in forma automatica, sulla base di precisi diritti\doveri
individuali (come il pagamento di contributi) e secondo modalità istituzionali specializzate.
Costituisce il nucleo centrale del moderno Welfare State. Dal momento dell'iscrizione, per
ciascun lavoratore assicurato veniva aperto una specie di conto individuale, nel quale uivano i
contributi versati direttamente dal lavoratore e dal datore di lavoro. I nuovi schemi assicurativi
pubblici hanno 2 tratti distinti in confronto alle precedenti forme di assicurazione privata e
volontaria:
a. Il principio dell’obbligatorietà mirava a contrastare comportamenti di irresponsabilità, anche a
ripartire i rischi all'interno di platea di lavoratori , prevedibili e relativamente stabili nel tempo,
mantenendo così bassi l'importi contributivi e impedendo quei fenomeni di scrematura tipici del
settore assicurativo privato e volontario (es. il ri uto di assicurare i lavori pericolosi)

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b. Anche il passaggio dei premi ai contributi sociali comportò vantaggi economici. Il premio è una
somma pattuita, collegata al suo pro lo di rischio (es. nel caso di uno schema assicurativo
privato e volontario contro la malattia, l'ammontare del premio tenderà ad essere più elevato al
crescere dell’età)
Il contributo sociale è una fonte di nanziamento che prescinde dai pro li di rischio individuali. E’
proporzionale al reddito dell'assicurato (es. il 10% della sua retribuzione lorda, quale che sia il suo
ammontare). Grazie al suo carattere obbligatorio e al suo nanziamento tramite contributi,
l'assicurazione sociale ha potuto coprire la disoccupazione, e ha consentito di attivare i ussi
distributivi non solo in direzione orizzontale (non danneggiati e danneggiati, come nel caso
dell'assicurazione privata) ma anche in direzione verticale (dai redditi più elevati a quelli meno
elevati). Le aliquote contributive hanno potuto essere anche modulate in modo da favorire certe
categorie occupazionali (es. quelle più deboli, i braccianti agricoli) oppure certe situazioni personali
(il congedo di maternità).
A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, in molti paesi sono state introdotte salvaguardie minime di
prestazioni (nel settore delle pensioni) con formule retributive (prestazioni commisurate alle
retribuzioni percepite, con varie formule di computo). Il sistema della capitalizzazione dei contributi
versati è stato sostituito dal sistema della ripartizione, le somme versate dei membri attivi di un dato
schema vengono utilizzate per il pagamento delle prestazioni e i membri inattivi.
L’espressione sicurezza sociale comparve negli Stati Uniti, per designare i primi schemi di
assicurazione obbligatoria contro la vecchiaia, l’invalidità e i superstiti introdotti con il Social Security
Act del 1935 . Nel 1938 l’espressione Social Security venne utilizzato dalla Nuova Zelanda per
indicare il primo servizio sanitario nazionale completamente scalizzato, rivolto a tutta la
popolazione residente.
Durante la Seconda guerra mondiale, il rapporto di una commissione istituita dalla governo
britannico e presieduta da Lord Beveridge (noto come Rapporto Beveridge) consolidò ed estese l'accezione
neozelandese: la sicurezza sociale si estese a tutta la popolazione attiva per quanto riguarda la garanzia
del reddito e a tutti i cittadini, per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, volto a fornire prestazioni
uniformi, corrispondenti a un minimo nazionale. Tale sistema venne poi messo in pratica dopo la ne
della seconda guerra mondiale dal governo di Clement Attlee, 1946-1948.
La Svezia fu il primo paese ad adottare il nuovo approccio in campo pensionistico: nel 1946 istituì il
primo esempio di pensione popolare non contributiva, a somma ssa, usato da tutti i cittadini con
più di 65 anni, senza prova dei mezzi e indipendentemente dal loro precedente status
occupazionale. Dopo le riforme anglo-scandinave, la sicurezza sociale è diventata quella di uno
schema di protezione obbligatorio caratterizzato da copertura universale (estesa a tutti cittadini) e
prestazioni uguali per tutti (senza differenziazioni di accesso). La traiettoria evolutiva del
WelfareState europeo può essere suddivisa in 5 fasi:
1. Instaurazione
Il background storico del moderno Welfare State è rappresentato dalle misure di assistenza ai
poveri, sviluppatesi in tutti gli Stati europei in un insieme organico di leggi a carattere assistenziale-
repressivo ( le Poor Laws). L'istituto dell'assicurazione obbligatoria fu una innovazione istituzionale di
vasta portata. L’assistenza ai poveri si basava su interventi occasionali. L'erogazione di prestazioni
assistenziali avveniva secondo modalità istituzionali indifferenziate e su base locale. L'assicurazione
obbligatoria ribaltava completamente questa impostazione: offriva prestazioni standardizzate, fondate
sui diritti individuale secondo modalità istituzionali specializzate, su base nazionale, delegando
l'amministrazione degli schemi assicurativi a organi bipartiti o tripartiti. Il primo paese ad
introdurre l'assicurazione obbligatoria fu la Germania opera del cancelliere Bismarck (1883-1889). A
questo proposito appare opportuno distinguere:
a. Fattori cornice: connessi alla Grande trasformazione dell'economia e delle società europee
causata dalla Rivoluzione industriale. Secondo Karl Polanyi la Grande trasformazione fu
caratterizzata da 2 movimenti:
1. Lo scardinamento dell'economia e delle relazioni sociali preindustriali, l’ascesa del mercato capitalistico
di nuove forme di produzione concentrate sulle macchine.
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2. L'insorgenza di un contromovimento da parte della società contro gli eccessi di merci cazione e le loro
conseguenze sociali. Le associazioni sindacali e i partiti operai furono le forze trainanti di questa
seconda fase della Grande trasformazione.
b. Fattori speci ci: ci si concentra sull'ordine politico-istituzionale. Fu la mobilitazione operaia a
dare la spinta decisiva per l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria seguendo 2 percorsi:
- Nei regimi monarchico-autoritari (quelli in cui i poteri del parlamento rimanevano limitati rispetto
alla corona), la costituzione di un partito operaio segnò un campanello di allarme per le Élite
conservatrici al governo e le spronò a concedere l'assicurazione obbligatoria ai ni di controllo
sociale e di autolegittimazione.
- Nei regimi parlamentari (caratterizzati dalla centralità politica del parlamento rispetto alla corona),
l'assicurazione obbligatoria dovette aspettare che il partito operaio la includesse nel proprio
programma politico e raggiungesse una consistenza parlamentare suf ciente a imporne
l'introduzione, condizione che si veri cò dopo la democratizzazione del suffragio.
3. Consolidamento
Fu quasi completamente integrato il catalogo dei rischi coperti dei vari schemi. Molti paesi
cominciarono ad estendere il raggio d'azione di tali schemi, includendo altri segmenti della
popolazione oltre ai lavoratori dipendenti, o istituendo schemi per questi nuovi segmenti. Sono tipici
in questo caso gli assegni familiari: una forma di assicurazione la cui titolarità spetta al capofamiglia
lavoratore, le cui prestazioni si erogano in base ai familiari inattivi. Questa fase segna il passaggio
dalla nozione più stretta di assicurazione dei lavoratori a quella più ampia di assicurazione sociale, che dava
una de nizione più estesa dei rischi. Si faceva strada l'idea di una protezione minima in base ai bisogni.
Nell’area scandinava questa fase segnò anche la congiunzione tra politica sociale e politica
economica .
4. Espansione
Il 1945-1970 fu un periodo di sviluppo. In tutti i paesi vi fu un’estensione della protezione offerta
dallo Stato. Dopo la Seconda Guerra mondiale la prova dei mezzi venne abolita e la copertura fu
estesa a tutta la popolazione. Questo fu il percorso seguito dei paesi anglo-scandinavi, dove nel
decennio successivo alla guerra si consolidò un modello universalistico di welfare (detto anche
beverigeano, perché ispirato dal Rapporto Beveridge), concentrato su schemi onnicomprensivi (dal punto
di vista della copertura),concentrati sui principi egualitari (dal punto di vista delle formule di
prestazione), nanziato tramite il gettito scale. Nei paesi dell'Europa continentale, il processo di
estensione della copertura è stato dif cile e ha proceduto in direzione orizzontale, coprendo
gradualmente i buchi esistenti nella struttura dell'assicurazione sociale. In quest'aria si è consolidato il
modello occupazionale di welfare (anche detto bismarckiano, perché inaugurato dalle riforme del
cancelliere Bismarck), basato su una pluralità di schemi professionali, con regole e formule di
prestazioni differenziate, nanziato tramite contributi sociali. Durante il Trentennio glorioso
(1945-1975) la spesa sociale crebbe e vengono sviluppate tecniche per migliorare l'estrazione di
imposte e contributi. Molto importante fu l'adozione del meccanismo della ripartizione per il
nanziamento delle pensioni in base al quale: i contributi versati dalla generazione attiva sono
immediatamente utilizzati per nanziare le prestazioni della generazione inattiva.
Vennero creati nuovi schemi di natura non assicurativa per l’erogazione di prestazioni e servizi di
assistenza sociale e andarono sviluppando sistemi sanitari pubblici sempre più articolati e complessi.
4. Crisi
A partire dalla metà degli anni ’60 il Welfare State è entrato crisi, originata dalla crescente
inadeguatezza delle vecchie soluzioni di fronte ai nuovi problemi. Sia il modello universalistico sia il
modello occupazionale poggiavano su una serie di premesse socio-economiche e politico-
istituzionali che sono venuta meno nel corso degli anni ’70:
1. Secondo la prima premessa (economia in rapida crescita) entrambi i modelli davano per scontata
un'economia in rapida crescita. A partire dalla metà degli anni ’70, le economie occidentali
registrano cali nei propri tassi di crescita: sono comparsi de cit e debiti pubblici.
2. La seconda premessa (società industriale) il Welfare State degli anni d'oro era designato su
economie e società industriali, fondate sul paradigma fordista: produzione e consumo di massa,
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forza-lavoro maschile occupata nelle fabbriche. Negli anni ’70, gran parte delle economie
occidentali hanno varcato il con ne della società post-industriale: decentramento produttivo,
consumi differenziati e essibilità dei rapporti di lavoro. Nel nuovo secolo è entrata a regime la
Quarta Rivoluzione industriale, basata su digitalizzazione e robotizzazione (la prima rivoluzione fu
quella basata sul vapore, la seconda sulla elettricità, la terza sul computer). La quarta
rivoluzione sta provocando profondi rivolgimenti nel mercato del lavoro.
3. La terza premessa era costituita (soprattutto per il modello occupazionale) dalla stabilità dell'istituto
familiare, nella tradizionale divisione del lavoro tra i due generi, per cui gli uomini erano
responsabili di una produzione coperta dalle assicurazioni sociali e le donne di una riproduzione
a carico.
4. La quarta premessa era costituita da strutture demogra che equilibrate nella loro composizione
interna (sia rispetto ai rapporti tra le varie fasce di età, sia rispetto ai saldi migratori). A partire
dalla metà degli anni ’70 è diventato chiaro che il declino della fertilità iniziato pochi anni prima
era una tendenza di lungo periodo. Alle tensioni demogra che di natura endogena si sono poi
aggiunte tensioni di natura esogeno, connesse al crescente af usso di immigrati dai paesi meno
sviluppati, che nel corso 2008-2018 hanno provocato crisi in conseguenza di shock internazionali
come la crisi libica e la guerra in Siria.
5. La quinta premessa era di ordine socio-culturale: entrambi i modelli di Stato sociale presumevano
aspirazioni congrue rispetto ai pro li attuariali della propria categoria (nei modelli
occupazionali) oppure limitate a livelli di adeguatezza minima (nei modelli universalistiche). Ne
è derivato un effetto di moltiplicazione tanto sulle dinamiche di spesa quanto sulle spese
con gurazioni istituzionali.
6. La sesta premessa era la solidità e la centralità dello Stato-nazione, come bacino di riferimento sia ai
ni della redistribuzione sia ai ni della giurisdizione. Le dinamiche dell'interdipendenza
economica e dell'integrazione sovranazionale hanno eroso anche questa premessa nel corso
dell'ultimi trent'anni, soprattutto nell'area europea. Il Welfare State sì è trovato ad essere minato
nelle sue stesse fondamenta politico-istituzionali. La fase della crisi è iniziata verso la ne degli
anni ’70 si è protratta per tutti gli anni ’80.
5. Riforma
Il passaggio da uno sviluppo economico sostenuto a uno sviluppo lento ha originato problemi di governo
nanziario delle spese sociali, incentivando l'adozione di politiche di controllo dei costi e di riforme
restrittive nelle formule di prestazione. Il contenimento dei costi ha interessato i settori pensionistico e
sanitario:
- Nel settore delle pensioni le riforme hanno riguardato l'età pensionabile (che è stata elevata)
- In campo sanitario sono state introdotte misure di contenimento dei costi (tramite le
compartecipazioni nanziarie degli utenti) e misure per accrescere l'ef cienza dei servizi.
Provocando una complessiva redistribuzione delle opportunità lavorative tra settori produttivi e aree
geogra che. La maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro e la ride nizione dei
rapporti di genere hanno posto il problema di una più ef cace conciliazione tra vita professionale e
riproduzione sociale. L’instabilità del matrimonio e della famiglia tradizionale ha fatto emergere
sindromi di nuova povertà (famiglie monogenitoriali) che non hanno trovato tutele. Inizia la fase di
ricalibratura. Il concetto di ricalibratura può essere articolato in alcune sottodimensioni:
a. La ricalibratura funzionale: riguarda i rischi in risposta ai quali i sistemi di welfare si sono
sviluppati nel corso del tempo e si riferisce a quegli interventi volti a ribilanciare le diverse
funzioni di protezione sociale (contenimento della tutela della vecchiaia)
b. La ricalibratura distributiva: riguarda i gruppi sociali e si riferisce a quegli interventi che
mirano a ribilanciare il grado di protezione sociale delle categorie iper-garantite (i dipendenti
pubblici) a quelle sotto-garantite (le persone in cerca di occupazione)
c. La ricalibratura normativa: si riferisce a norme/valori e denota quelle iniziative di natura
simbolica (discorsi pubblici) che forniscono argomentazioni per trasformare lo status quo in
quanto inef ciente

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La ricalibratura del welfare è stata utile anche a fronte delle dinamiche di globalizzazione. La
liberalizzazione del commercio internazionale e la crescente integrazione dei mercati a livello globale
richiedono un riadattamento istituzionale volto a conciliare redistribuzione e solidarietà sociale:
a. Da un lato, con ef cienza
b. Dall’altro competitività economica
La globalizzazione ha preso avvio con l'integrazione dell'economia mondiale di Cina, India, Russia,
e con la rapida crescita di Corea del sud, Taiwan, Brasile. Una combinazione di crescita vertiginosa
nei paesi in rapida industrializzazione e bassa crescita nell’area OCSE (organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico) ha determinato una diminuzione della disuguaglianza fra il Nord e
il Sud del mondo. Al miglioramento delle condizioni di vita nei paesi in via di sviluppo, corrisponde
una disuguaglianza all'interno dei paesi sviluppati. Fino all'inizio della crisi (2008), il Pil pro-capite
dei paesi OCSE ha continuato a crescere, ma non sono saliti i redditi della famiglia media. Ad
aumentare sono stati i redditi delle famiglie più ricche. Dagli anni 2000 ad oggi la disuguaglianza e
la povertà continuano a crescere nei paesi dell’UE. L’aumento della disuguaglianza ha avviato un
processo di disarticolazione della struttura sociale. La struttura di classe delle società avanzate si è
articolata in 4:
1. In alto troviamo un'Élite di plutocrati. Il decile più ricco è inserito nei circuiti globali ( nanziari), in
grado di consumare e vivere in un mondo senza con ni. Per questo la globalizzazione è stata
grande vantaggio
2. Troviamo il ceto borghese, benestante ma ancorato ai patrimoni e ad attività nazionali. Questo
ceto controlla ancora buona parte delle posizioni di autorità all'interno dei vari paesi.
3. Vi è la massa media, un ammasso di categorie sociali (compresa la classe operaia) che possono
contare sui ussi di reddito regolare da lavoro dipendente, autonomo o da pensione. La massa
media ha registrato una stagnazione dei propri redditi, e durante la crisi una riduzione. E’ è in
qualche modo collegata ai circuiti globali, in quanto consumatrice di beni. Molte famiglie
hanno perso il lavoro e hanno dovuto ridimensionare il tenore di vita.
4. I deprivati, gli esclusi e soprattutto la maggior parte dei precari. I vantaggi economici della
globalizzazione non sono stati equamente distribuiti.
In questo contesto, a partire dal 2008 l’U.E è stata investita da una crisi nanziaria che ha provocato
una severa recessione, soprattutto nel Sud Europa:
- Il tasso di disoccupazione è aumentato soprattutto fra i giovani e i lavoratori oltre in 46 anni.
- Fino al 2011 la quota della popolazione a rischio di povertà era rimasta stabile. Da allora in poi il
rischio è cresciuto.
Sotto pressione dei mercati nanziari, questi paesi hanno dovuto aumentare le tasse e ridurre la
spesa sociale in modo molto rapido, contribuendo alla generale compressione dei consumi. L’U.E ha
reagito istituendo schemi sovranazionali di prestito di emergenza, come il meccanismo europeo di
stabilità, ma l'accesso dei giovani a tali prestiti è stato condizionato al rapido ripristino dei saldi di
bilancio e al contenimento del debito sovrano. A partire dal 2014 la recessione è andata
attenuandosi. Alla ne del decennio in alcuni paesi (fra cui l’Italia) non sono stati ancora recuperati i
livelli di reddito pro-capite del 2008: la crisi è destinata a lasciare profonde cicatrici.
Sono in monti a chiedersi se non sia in atto una Seconda Grande trasformazione. Le dinamiche endogene
descritte appartengono al Primo Movimento: quello che Polany chiamava disruption, ossia l'ascesa di
nuovi modi di produrre e la conseguente rottura dei vecchi equilibri di una Seconda Grande
trasformazione. Ma il Secondo Movimento non sembra ancora decollato.
L'automazione consentirà di produrre più velocemente, nel nuovo contesto l'obiettivo potrebbe
essere quello di garantire a tutti non solo una base di sicurezza economica ma molto tempo libero.
Quando furono introdotti i primi schemi di assicurazione obbligatoria le modalità di nanziamento
(chi doveva pagare e quanto) furono più discusse delle stesse formule di prestazione. La crescita
economica ha trasformato il pro lo delle società europee, che ha abbandonato la forma della
piramide (ricchi in alto, poveri in basso) per assumere quella del rombo, in cui la maggioranza della
popolazione si trova in condizioni intermedie fra ricchezza e povertà. La struttura occupazionale ha
dato luogo a un caleidoscopio. Questa massa media è diventata la protagonista del welfare state. La
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p.c. ha acquistato una natura distributiva: si sa chi riceve e quanto, ma non si sa più chi paga. Il passaggio
dalle redistribuzione alle distribuzioni ha alterato il funzionamento del welfare state da un punto di vista
politico:
- Le politiche distributive operano secondo una logica sui generis, caratterizzate da un'asimmetria fra
bene ci e costi:
a. I bene ci sono tangibili e concentrati (una pensione)
b. I costi sono scarsamente visibili (i contributi sociali sulle retribuzioni, prelevati alla fonte) oppure
occulti e diffusi su grandi numeri
Questo elemento incentiva gli attori politici ad adottare strategie di cooperazione di compromesso
reciproco: cooperazione per massimizzare le dimensioni della torta da spartire, a discapito dei
pagatori occulti. Le p.c. normale ha poggiato più sulle microcollusioni che sulle macrocollusioni. Durante gli
anni '90, le leggi annuali di bilancio erano diventati dei provvedimenti-omnibus: ossia pacchetti
distributivi tanto precisi nella elencazione dei vari bene ci categoriali quanto vaghi e generici
nell’imputazione dei costi. Lo scivolamento distributivo è stato alimentato da altri 2 fattori di natura
politica:
1. Il versante della domanda ha a che fare con la frantumazione della struttura sociale registrata in
tutte le democrazie occidentali a seguito sia delle rapide trasformazioni socio-economiche sia del
declino dei tradizionali collanti ideologici. La politica di classe ha lasciato il posto alla politica delle
categorie: nuovi aggregati sociali de niti in base al settore, spesso il micro-settori occupazionali di
appartenenza (commercianti, liberi professionisti), oppure in base al loro pacchetto di spettanze
(dipendenti pubblici in quiescenza)
2. Versante dell'offerta è connesso con l'affermazione di partiti-pigliatutto. Il declino della politica di
classe ha spinto i partiti ad adottare strategie di competizione espansiva a tutto campo, mentre
l'estensione della sfera di in uenza partitica sulle decisioni di politica pubblica ha messo a
disposizione nuove risorse per questa competizione. Il sostegno elettorale è diventato la
questione più importante di lealtà ideologica. L’aggregazione intercategoriale del consenso
attraverso micro-distribuzione dei bene ci pubblici è diventata l'obiettivo primario degli attori
politici. La logica della pressione pluralistica dei gruppi di interesse (sul lato della domanda) e
quella della competizione a tutto campo fra partiti pigliatutto (sul lato anche dell'offerta) si sono
rinforzati a vicenda
A partire dagli anni ‘90, la crisi delle nanze pubbliche, il processo di integrazione europea, le s de
della globalizzazione hanno riportato in primo piano il problema dei costi del welfare state,
forzando gli obiettivi del risanamento. I provvedimenti di riforma implicano l'imposizione di
sacri ci. Nel corso degli anni ’90 la p.c. ha assunto i contorni di una politica sottrattiva:
- La variante più intrattabile di politica redistributiva, in cui si devono attribuire quasi
esclusivamente delle perdite, almeno nel breve periodo, e per di più sottoforma di cancellazione
(o sensibile diminuzione) di spettanze codi cate e considerate alla stregua di veri e propri diritti di
proprietà.
I processi redistributivi includono per gli attori al confronto esplicito, a ni difensivi, offensivi e pro-
attivi. Non è un caso che le grandi ondate di protesta contro i tagli abbiano visto come protagonisti
le confederazioni sindacali. La nuova politica sociale sottrattiva ha registrato una dislocazione delle sedi
di con itto. Se l'arena privilegiata dei vecchi scambi distributivi era quella parlamentare, più ospitale
ai negoziati occulti, i con itti sulla riforma del welfare avvengono nell'arena elettorale. Le decisioni
riguardo i tagli sono state elaborate nell'arena governativa. In alcuni paesi i governi hanno cercato
di risanare con uno stile avversariale: il Regno Unito durante il lungo governo di Margaret Thatcher.
Nella maggior parte dei paesi lo stile è stato concertativo: i governi hanno cercato di contrattare le
misure restrittive con i rappresentanti degli interessi coinvolti (a cominciare dai sindacati). Tutte
queste dinamiche complicano e rallentano il processo di riforma e ne condiziona anche la rotta.
Negli anni ’90 il welfare state è entrato in una nuova fase evolutiva: riforme. Questa fase ha
prodotto importanti innovazioni istituzionali. Ma la strategia privilegiata tuttora è quella del
inseguimento adattivo:

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- Poche riforme di struttura e molti tagli ai margini, lungo le linee di minor resistenza socio-
politica. Nel riformare il welfare state i politici prestano la massima attenzione a minimizzare le
perdite di consenso: una strategia che il politologo americano Weaver ha de nito blame avoidance. Il
fatto è che riducendo la gamma delle opzioni politicamente praticabili, l'obiettivo della blame
avoidance ha condizionato il processo di riforma, rallentandone il ritmo.
Il principale criterio di distinzione fra modello universalistico e modello occupazionale è il formato di
copertura: ovvero le regole di accesso e af liazione ai principali schemi di protezione sociale (in
particolare quelli pensionistici e sanitari):
- Nel modello universalistico (adottato dai paesi angloscandinavi) gli schemi di protezione sociale
coprono tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione lavorativa. Hanno creato
solidarietà
- Nel modello occupazionale (adottato dalla grande maggioranza dei paesi europeo-continentale) gli
schemi di protezione sociale sono invece rivolti ai lavoratori. Hanno assecondato le tradizionali
demarcazioni tra settori produttivi (industria e agricoltura) e gerarchie occupazionali (operai e
impiegati)
Dalla ne della Seconda guerra mondiale agli anni ’70, il welfare state europeo è passato attraverso
una seconda giuntura evolutiva, nella quale sono diventate rilevanti le dimensioni del quanto e del
come, oltre a quella del chi.
Esping-Adersen secondo lui, durante il periodo espansivo del capitalismo keynesiano si sono consolidati 3
diversi regimi di welfare:
1. Liberale
Predominanza di misure di assistenza basate sulla prova dei mezzi (means-test). Schemi di
assicurazione sociale circoscritti, destinatari principali: bisognosi. Il welfare state incoraggia il ricorso
al mercato: in modo passivo (minima interferenza e regolazione, soprattuto per quanto riguarda il
mercato del lavoro) o in modo attivo (incentivi per il ricorso a schemi assicurativi non statali)
- Demerci cazione bassa: forte dipendenza degli individui\lavoratori dal mercato
- Destrati caizone bassa: dualismo fra il “welfare dei poveri” e il “welfare dei ricchi”
Casi emblematici: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia
2. Conservatore-corporativo
Predominanza di schemi assicurativi pubblici collegati alla posizione occupazionale. Formule di
computo collegate ai contributi e\o alle retribuzioni, destinatari principali: i lavoratori adulti maschi
capofamiglia. Enfasi sulla sussidiarietà degli interventi pubblici: lo stato interviene solo nella misura in
cui i bisogni non trovano risposta a livello individuale.
- Demerci cazione media: la dipendenza dal mercato è attenuata ma non annullata
- Destrati cazione medio-bassa: Il errare tende a preservare le differenze di status e classe
Casi emblematici: Germania, Austria, Paesi Bassi e Francia
3. Socialdemocratico
Predominanza di schemi universalistici di sicurezza sociale con alti standard di prestazione. Formule
di computo: generose, ma prevalentemente a somma ssa, con nanziamento scale, destinatari:
tutti i cittadini. Il welfare state mira a marginalizzare l’importanza del mercato come fonte id
risposta ai bisogni è molto attenuata
- Demerci cazione alta: la dipendenza dal mercato è molto attenuata
- Destrati cazione alta: uguaglianza di trattamento per tutti i cittadini
Casi emblematici: Svezia, Danimarca, Norvegia
Con l’espressione regime di welfare, lo studioso fa riferimento all’intero sistema di interrelazioni fra
queste e il mercato del lavoro, da un lato, e la famiglia, dall’altro.
- In quale misura le politiche sociali hanno oggetto ai lavoratori risorse e opportunità per
contrastare la loro dipendenza dal mercato del lavoro?
- In quale misure queste politiche sono riuscite a creare una “comunità di eguali”?
Queste sono le due domande più importanti per Esping-Andersen, da porre se siamo interessati a
cogliere gli outcomes. Sul piano analitico, le 2 domande identi cano 2 diverse dimensioni di
variazione:
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1. La dimensione della demerci cazione. Durante la Prima grande trasformazione, la forza-lavoro si


convertì in una merci cazione, in cui il valore era determinato dall’offerta tra domanda e
lavoro. Ispirandosi alle idee di Polany, Esping-Andersen utilizza il termine per connotare il grado in
cui gli individui situati all’interno di un dato regime di welfare, possono liberamente astenersi
dalla prestazione lavorativa, senza rischiare il posto di lavoro
2. La dimensione della destrati cazione. Con questo termine Esping-Andersen indica il grado in cui la
conformazione delle prestazioni sociali dello stato attutisce ( no, al limite, ad annullare) i
differenziali di status occupazionale o di classe sociale
I 3 regimi si differenziano in modo rilevante lungo queste due dimensioni, dando luogo a diversi
mondi del capitalismo welfarista caratterizzati da diversa ef cacia. L’ef cacia è massima nel regime
socialdemocratico, media in quello conservatore-corporativo e minima in quello liberale. La loro
differenziazione è riconducibile a dinamiche di natura sociopolitica. Anche se i 3 regimi vengono
de niti in base alla triade stato\mercato del lavoro\famiglia, l’attenzione nei confronti di
quest’ultima sfera è discussa da Esping-Andersen in riferimento al regime corporativo-conservatore: durante
la fase dell’espansione dei regimi di welfare hanno imboccato traiettorie diverse sul privano dei
rapporti di genere:
- All’interno del regime corporativo-conservatore, ad es. la Francia ha adottato un modello di
relazioni fra lavoro retribuito e lavoro non retribuito parzialmente diverso da quello dominante
negli altri paesi dello stesso regime e in larga misura anche nel regime liberale. Lewis e Ostner
hanno de nito questo modello moderate breadwinner model, per distinguerlo dallo strong breadwinner
model prevalente negli altri paesi dei due regimi. In Francia lo stato riconosce la posizione delle
donne sia come lavoratrici sia come madri.
- Nei paesi scandinavi si è invece consolidato un terzo modello, de nito dual earner model, basato
sulla doppia partecipazione lavorativa di uomini e donne e su un maggior coinvolgimento dei
primi anche nel lavoro non retribuito.
Quali sono le caratteristiche salienti di questa quarta Europa sociale?
Nelle prime due fasi del loro sviluppo (instaurazione e consolidamento) questi paesi hanno
seguito la via bismarckiana, introducendo una vastità di schemi assicurativi occupazionali in campo
sia pensionistico sia sanitario. Durante la fase dell'espansione essi hanno edi cato sistemi di
protezione sociale in larga misura diversi rispetto a quelli degli altri paesi conservatori-corporativi:
- La prima diversità riguarda gli schemi di trasferimento del reddito (soprattutto pensioni). Questi paesi
hanno introdotto formule di prestazioni generose per le categorie centrali del mercato del lavoro
(come i dipendenti pubblici), mentre per le categorie più periferiche (lavoratori precari) le formule
previste sono più modeste.
Fino a tutti gli anni ’80, i paesi dell'Europa meridionale erano del tutto privi di una sicurezza di base
contro il rischio di povertà. Il periodo della Grande espansione ha creato un sistema di protezione
dualistico e polarizzato. Questa conformazione del welfare state ha interagito con mercati del lavoro
e relazioni familiari: i mercati del lavoro attraversati da profonde divisioni settoriali e territoriali, il
modello di famiglia caratterizzato da relazioni solidaristiche molto strette fra i vari componenti è
incline a funzionare come armonizzatore sociale. Naldini ha coniato un’espressione per cogliere i tratti
della famiglia sud europeo: il modello delle solidarietà familiare parentali, fondato sull'assunto che il sistema
familiare funzioni in base all'esistenza di forti relazioni intergenerazionali e di parentela lungo tutto
l'arco della vita.
Utilizzando i concetti di Esping-Andersen, il regime dell'Europa meridionale è caratterizzato da livelli
fortemente sbilanciati di demerci cazione: molto alti in Svezia, bassi negli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la destrati cazione, come nel regime liberale essa è bassa. A differenza del regime
liberale però, il regime dell'Europa meridionale non riproduce tanto le differenze di classe, ma tende
a produrre nuove differenziazioni in parte trasversale rispetto alla struttura di classe, segmentando
gli individui in 2 gruppi contrapposti:
- Insiders: titolari di spettanze forti
- Outsiders: titolari di spettanze deboli o del tutto privi di spettanze

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Fra gli anni ’70 e gli anni ’80, tutti e 4 i paesi hanno istituito il servizio sanitario nazionale a vocazione
universale, basati cioè su diritti di cittadinanza. Si è trattato di innovazioni importanti, in quanto "fuori
linea" rispetto al sentiero bismarckiano imboccato nella fase genetica del welfare state. La presenza di
un servizio sanitario nazionale può esercitare effetti importanti sia di demerci cazione che di
destrati cazione, rispetto ai sistemi prima vigenti. In Europa meridionale non è solo il welfare ad
aver assunto una con gurazione sui generis, ma lo è anche lo State: uno Stato assai poco “weberiano”,
facilmente manipolabile dagli interessi organizzati (in particolare dei partiti politici). I welfare state
sud europei sono a lungo rimasti caratterizzati da un basso grado di statualità.
- Dal punto di vista sociopolitico, il regime sud europeo è stato il prodotto di una costellazione
causale complessa: il corporativismo, l'ingombrante presenza della Chiesa cattolica (Spagna,
Portogallo e soprattutto in Italia), ma anche la competenza politica fra destra e sinistra. Nei paesi
sud europei si è registrata e per lungo tempo un'intensa polarizzazione ideologica, ossia un'ampia
distanza di posizioni fra estrema destra ed estrema sinistra, nonché la diffusione di orientamenti
ostili al mercato.
Grazie al processo d’integrazione europea, fra i quattro regimi ha cominciato a manifestarsi un
processo di ibridazione reciproca (es. nell'area scandinava le tradizionali formule di computo a somma
ssa sono state trasformate in formule legate ai contributi, mentre nei paesi sud europei sono stati
introdotti nuovi schemi di reddito minimo garantito contro la povertà).
Il dibattito comparato più recente ha cominciato ad abbandonare il concetto di regime, tornando da
un lato, a quello originario di welfare state oppure muovendo verso concezioni più ampie di welfare
mix, dove accanto al mercato del lavoro e alla famiglia occupa una posizione di primo piano il terzo
settore delle associazioni non pro t e volontari.
L'attenzione più recente si è rivolta verso una quinta Europa sociale. Comprende i paesi ex comunisti
dell'Europa centro-orientale, entrate a far parte dell'Unione Europea fra il 2004 (Polonia, Ungheria,
Repubblica ceca, Slovenia, Slovacchia Estonia, Lettonia e Lituania) e il 2007 (Bulgaria e Romania).
Prima dell'adesione, tali paesi hanno dovuto affrontare il compito di creare un'economia di mercato
è un sistema democratico, cercando il sostegno delle istituzioni internazionali, in particolare del
Fondo monetario internazionale (FMI); hanno dovuto affrontare molte crisi, soprattutto l’invecchiamento
demogra co. In ne, durante il processo di adesione, ciascun paese ha dovuto assorbire il cosiddetto
acqusi communautaire (l'insieme delle norme UE) e attrezzarsi per partecipare ai vari processi di
coordinamento europea. Per effetto di queste dinamiche, i welfare state centro-orientale si
presentano oggi come sistemi ibridi.
Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Polonia sono i paesi più avanzati dell’area. Sotto
i regimi del cosiddetto socialismo reale, fra gli anni ’50 e gli anni ’70. Il welfare assunse tratti
paternalistico-autoritari e fu usato da un lato, per nalità di controllo sociale (soddisfare i bisogni
primari dei lavoratori onde evitare rivolte) dall’altro, per nalità produttivistiche (sostenere la
produzione economica la piena occupazione). Le donne erano incluse al pari degli uomini
nell'economia di Stato, ma le loro condizioni erano ben lontane da quelle dei paesi nordici. Anziché
un modello di famiglia del tipo dual-earner e dual-carer (doppia partecipazione lavorativa e
condivisione dei carichi familiari), nei paesi socialisti si affermò un modello dual-earner e double burden
(donne lavoratrici e al tempo stesso esclusive responsabili dei carichi familiari).
Il welfare comunista fu caratterizzato da un mix di universalismo (copertura, formule di prestazioni) e
particolarismo (qualità ltrate dall'appartenenza pratica).
Dopo la caduta del muro di Berlino (1989), i paesi dell’ex-blocco sovietico avviarono la transizione
dalla democrazia all'economia di mercato. Questa seconda transizione seguì percorsi diversi:
- Ad esempio una modalità più rapida avviene in Polonia, più graduale in Ungheria (che si divise
nel 1993 fra repubblica ceca e Slovacchia)
Negli anni ’90, la transizione al sistema di mercato fu accompagnata da stravolgimenti sociali e
occupazionali (i nuovi mercati del lavoro adottano un modello improntato alla massima essibilità e
alla minima imposizione scale sulla retribuzione ai pro tti), i quali causarono un’aumento della
povertà e delle disuguaglianze. Grazie al FMI, i paesi centro-orientale smantellarono gli schemi
creati da regimi comunisti istituirono nuovi sistemi di protezione basati su 3 pilastri:
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1. Una safety net (rete di sicurezza) di base, ltrata dalla prova dei mezzi, come contrasto alla povertà
estrema
2. Assicurazioni sociali con formule contributive con nanziamento a capitalizzazione
3. Assicurazioni e servizi privati
L’assorbimento dell’acquis e l'adesione all'Unione Europea ha negli ultimi anni temperato la
componente residuale-liberali della quinta Europa sociale, promuovendo misure migliorative nel
campo dei servizi e dell’occupazione.
La necessità di contenere il de cit e debiti a fronte di un rapido invecchiamento demogra co ha
d'altra parte spinto la maggior parte di questi paesi a varare incisive riforme pensionistiche. I welfare
state stanno fronteggiando una nuova s da: bilanciare le aspirazioni dei propri cittadini e ottenere
livelli di protezione di standard.
- Il trattato di Lisbona (2009) ha de nito in modo chiaro la missione dell’U.E su questo fronte
(piena occupazione, progressione sociale, un elevato livello di tutele, lotta all'esclusione alle
discriminazioni, della parità tra donne uomini) questi sono gli obiettivi elencati nell’art. 3 (TUE)
del trattato. A seconda dello speci co settore di intervento, l'unione può agire tramite
regolamenti, direttive, il recepimento di accordi fra le parti sociali a livello UE (dialogo sociale), il
cosiddetto metodo aperto di coordinamento basato su soft laws (prescrizioni non vincolanti) e l'impiego
di risorse nanziarie proprie. Le disposizioni sociali del Trattato di Lisbona sono il frutto di un
lungo sviluppo. La p.c., in senso lato, ha esordito come strumento voluto ad assicurare
l'integrazione del mercato ma ha allargato il suo campo di azione in 3 direzioni:
1. L'armonizzazione delle misure nazionali tramite la ssazione di standard comuni (perlopiù minimi)
2. La correzione del mercato, tramite politiche regolative, compensative o preventive a livello UE
3. Il coordinamento delle politiche nazionali volto a promuovere la loro modernizzazione e la
convergenza verso l’alto
- La libertà di movimento dei lavoratori è una delle 4 libertà fondamentali sanciti dal Trattato di Roma
(1957), che vietò tutte le forme di discriminazione basate sulla nazionalità da parte degli Stati
membri in materia di occupazione. Si è aggiunta la lotta alle discriminazioni di genere.
- Dagli anni ’90 si è affermato il principio del gender mainstreaming, l'integrazione esplicita della
dimensione di genere in tutte le politiche dell’U.E e nella valutazione del loro impatto. Nel 1997 il
Trattato di Amsterdam sancì la parità di genere come obiettivo fondamentale della integrazione.
Per facilitare la mobilità di lavoratori persone, l’U.E ha introdotto regole comuni per l'accesso alle
prestazioni sociali di ciascun paese membro. In caso di mobilità transfrontalieri i lavoratori hanno
gli stessi diritti nazionali, al ne del calcolo e delle prestazioni, e il diritto a esportare quest’ultimi nel
paese di nuova residenza. Nel 2004 una direttiva ha aperto la possibilità di istituire schemi pensionistici
integrativi transfrontalieri. L’U.E impiega una buona parte del proprio bilancio per nanziare misure a
sostegno dell'occupazione e dell'inclusione, nel quadro più generale della politica di coesione:
- Fondo sociale europeo (FSE), istituito già dal Trattato di Roma. L’obiettivo è quello di sostenere
l'occupazione, investendo in misure a favore dei giovani e dei disoccupati
- Nel 2006 è stato istituito il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), eroga risorse per
ammortizzare le espressioni di lavoratori a seguito di chiusure di dislocalizzazioni aziendali (in
generale situazioni di grave crisi economica) riconducibili alle trasformazioni del commercio
mondiale e alla liberalizzazione dei mercati
- Nel 2014 è stato creato il Fondo europeo di aiuto agli indigenti (FEAD), fornisce contributi
Dagli anni ’90 l’U.E ha iniziato a svolgere un ruolo sempre più rilevante di guida e raccordo delle
politiche nazionali per l’occupazione e il welfare. Questo ruolo è basato sul metodo aperto di
coordinamento (MAC), uno strumento giuridico non vincolante (soft laws) volto a favorire la
convergenza verso obiettivi comuni. Le sue origini risalgono al Trattato di Amsterdam, che rafforza
le competenze dell’U.E nel settore dell'occupazione e lanciò una strategia volta a modernizzare i
mercati del lavoro, accrescendo le opportunità dei lavoratori. Dopo il Trattato di Nizza (2001), il
MAC è esteso anche al settore della protezione sociale. Questo metodo si basa su:
- Identi cazione e de nizione di obiettivi da raggiungere, formalmente adottati dal consiglio
- Strumenti di monitoraggio de niti congiuntamente (statistiche, indicatori, linee guida)
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- Benchmarking, vale a dirsi l'analisi comparativa dei risultati di ciascun paese e lo scambio delle
migliori pratiche (procedura monitorata dalla commissione)
- Formulazione di piani nazionali annuali, valutati dalla commissione anche tramite speci che
raccomandazioni
Il MAC è stato uno dei pilastri fondanti della strategia di Lisbona (2001-2010), incentrata sulla
promozione dell'occupazione (soprattutto femminile), sull'innalzamento del capitale umano e sulla
lotta all'esclusione. La nuova strategia Europa 2020 ha incorporato i vari processi di coordinamento
in campo occupazionale e sociale all'interno di un nuovo strumento semestre europeo:
- Si tratta di un ciclo annuale di coordinamento dell'intera gamma di politiche economiche e di
bilancio. Nell’ambito del semestre, ciascun paese membro è tenuto ad illustrare (all'interno del
proprio piano nazionale di riforma) obiettivi/risultati delle misure riguardanti il mercato del
lavoro e del welfare, rispettando le raccomandazioni speci che per paese formulate dall’U.E nel mese di
giugno dell'anno precedente. Nel mese di dicembre la commissione pubblica la propria analisi
annuale della crescita, completata da una relazione comune sull’occupazione, che contiene delle
linee guida basate sugli andamenti strutturali e congiunturali dell’economia.
La crisi scoppiata nel 2008 e l'irrigidimento dei vincoli dell'Unione economica monetaria hanno
rallentato il raggiungimento degli ambiziosi target quantitativi sulla partecipazione lavorativa. Il
MAC è stato un ef cace strumento per riorientare i contenuti e gli approcci di policy verso nuovi
obiettivi:
- È questo il caso della exicurity, volta ad adattare il mercato del lavoro alle dinamiche competitive
globali tramite contratti di lavoro più essibili (soprattutto per quanto riguarda il licenziamento
per ragioni economiche), da un lato, e il rafforzamento delle tutele monetaria e soprattutto i
servizi per l'impiego per i disoccupati, dall’altro. Possiamo pensare anche all'inclusione attiva:
riformare i sistemi pubblici di assistenza in modo da ampliare la loro copertura ed ef cacia (in
particolare attraverso la garanzia di un reddito minimo). L’investimento sociale: incentrato
sull'accrescimento del capitale umano e dell'opportunità sin dalle primissime fasi del ciclo di vita,
in modo da capacitare le persone a far fronte ai rischi e bisogni delle varie transizioni (dalla
scuola al lavoro)
Nella prima metà degli anni 10 di questo secolo l’U.E ha adottato 2 pacchetti di misure volte ad
incentivare l'adozione dei 3 nuovi approcci:
- Pacchetto sugli investimenti sociali
- Pacchetto sull’occupazione. Ha messo a disposizione risorse per nanziare nei vari paesi uno
schema denominato Garanzia giovani, volto a favorire l'inserimento lavorativo tramite servizi
per l'impiego dedicati
L’innovazione più importante è presa nel 2017 , Pilastro europeo dei diritti sociali: fornisce un quadro di
riferimento basato sul diritto dell’U.E, per promuovere la convergenza verso l'alto dei sistemi
nazionali di protezione sociale. Si compone di 20 principi diritti, raggruppati in 3 aree:
1. Pari opportunità e accesso al mercato del lavoro
2. Condizioni di lavoro eque
3. Protezione sociale adeguata e sostenibile
In ciascuna delle 3 aree dell’U.E potrà proporre iniziative legislative, raccomandazioni e
comunicazioni. Potrà anche mettere a disposizione risorse nanziarie per la realizzazione dei
principi tramite i propri fondi strutturali.
L'espressione un po' generica di modello sociale europeo è af ancata dall'espressione modello
sociale UE (che include il ruolo dell'unione nella sfera del welfare), il quale viene posto a contrasto
con quello americano e asiatico.
Nell'ultimi anni si è affacciata all'idea di istituire una Unione Sociale Europea (USE), che dovrebbe
operare come controparte dell'Unione economica e monetaria. Si tratterebbe di un'unione fra
sistemi nazionali sempre più integrati e sorretti da una forma di condivisione dei rischi (solidarietà
paneuropea) in caso di avversità.
L'Italia spende per la protezione sociale una quota del PIL un po' più alta della media UE. Nel
welfare italiano gran parte della spesa sociale è assorbita dal sistema pensionistico. L'Italia presenta
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inoltre una seconda distorsione, di natura distributiva. La situazione italiana presenta caratteri di
eccezionalità in seno allo stesso raggruppamento dei sistemi bismarckiani e sud europei.
- Sull'asse orizzontale è collocata la distorsione funzionale, l'iperprotezione del rischio vecchiaia/superstiti
a discapito dei rischi e dei bisogni collegati alle altre tre fasi del ciclo di vita (come la povertà)
- Sull'asse verticale è collocata invece la distorsione distributiva. Identi ca 3 diversi gruppi sociali:
1. Il gruppo dei garantiti è composto da lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche e
delle grandi imprese. La loro protezione è molto elevata (++++), è più o meno in linea con gli
standard europei nel caso di rischi diversi dalla vecchiaia (+++)
2. Il gruppo dei semigarantiti è composto da una combinazione di lavoratori dipendenti (piccole
imprese), lavoratori autonomi (come piccoli commercianti) e lavoratori atipici. Il rischio
vecchiaia (++), la forma di protezione tipica di questo gruppo è la pensione al minimo, mentre
per quanto riguarda i rischi diversi dalla vecchiaia le prestazioni e le tutele sono limitate negli
importi e nella durata (+) oppure assenti
3. Il gruppo dei non garantiti è composto dai quei lavoratori che restano legati nell'economia
sommersa (molto diffusa in Italia, nel sud), senza riuscire a conquistare un ancoramento stabile
con il mercato del lavoro regolare. Il rischio “vecchiaia” è in qualche modo tutelata grazie
all'esistenza delle pensioni/assegno sociale (+) : una prestazione means-tested, rivolta agli anziani
sprovvisti di reddito. Per quanto riguarda gli altri rischi (fatto salvo il rischio di malattia) questi
lavoratori non godono di alcuna tutela (-).
Sottolineamo 2 punti soltanto, sulle cause e sulle conseguenze della distorsione:
- Cause: le specialità del modello italiano di stato sociale al sistema di governo che ha
caratterizzato l'Italia dal 1948 al 1992 , imperniato sul governo dei partiti, in un contesto di alta
polarizzazione ideologica fra destra e sinistra e bassa statualità. Nel caso italiano, questo sistema
di potere si è consolidato durante i decenni della prima Repubblica intorno ad una partitocrazia
distributiva, che ha utilizzato il diritti-spettanze e gli apparati amministrativi dello Stato ai ni di
cattura del consenso.
- Conseguenze: si sottolinea che il modello italiano di Stato sociale ha dato origine a problemi sul
piano dell'ef cienza, dell'ef cacia e dell'equità: sia all'interno delle generazioni (pensiamo ai ripari
categoriali) sia fra diverse generazioni
Le 2 distorsioni del modello hanno attivato circoli viziosi che hanno teso a rafforzare lo status quo e a
ostacolare il cambiamento istituzionale. Se il welfare state non offre ai giovani risorse/opportunità
per entrare nel mercato del lavoro, la famiglia di origine resta il punto di riferimento, in molti casi
l'unico ammortizzatore sociale. In questo modo la famiglia può trasformarsi in una trappola che
trattiene i giovani. Il familismo all'italiana ha provocato conseguenze negative sul piano economico,
sociale e politico.
Con il primo governo dell’Ulivo, guidato da Prodi, la doppia distorsione fu riconosciuta come la
radice del malfunzionamento dello stato sociale italiano. Formulazione chiara di questo principio
dato della commissione Onofri, 1997, per valutare le compatibilità macroeconomiche della spesa
sociale, i 2 obiettivi da conseguire per il riequilibrio del welfare state dovevano essere:
- La riduzione delle risorse destinate ad assicurare per impiegarle nella tutela del rischio economico
reddito
- Si dovrà attenuare la generosità di alcune prestazioni oggi previste per l'occupazione standard, la
protezione per le categorie sociali più deboli
Quali fattori hanno consentito l'avvio di un signi cativo ciclo di riforme?
- In primo luogo, vanno tenute presenti le crescenti pressioni funzionali (invecchiamento
demogra co), stimolate dal vincolo esterno imposto dal Trattato di Maastricht e più in generale
dalla globalizzazione dei mercati nanziari
- In secondo luogo, le riforme sono state in precedute/accompagnate da trasformazioni della
cultura politica, sul terreno della politica sociale. Dopo il crollo del muro di Berlino, la sinistra dei
sindacati si sono liberati del retaggio antisistema, diventando riformisti. In base agli stimoli e ai
nuovi orientamenti dell’U.E si è diffuso in Italia un nuovo discorso favorevole alla ricalibratura.
Come valutare gli sviluppi dell'ultimo trentennio?
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Qualsiasi valutazione deve poggiare su un benchmark:


- Se il benchmark è l'Italia dei primi anni ’90, oppure ciò che essa sarebbe diventata in assenza di
riforme, è bene nei bilanci dell'ultimo trentennio non è affatto negativo.
- Se il benchmark diventa però l'Europa (ad es. gli obiettivi della cosiddetta "strategia Europa 2020”),
o il paradigma dell'investimento sociale, il bilanciamento resta deludente.
La crisi scoppiata nel 2008 ha sferrato un duro colpo all'economia, mettendo nuovamente in luce le
preesistenti carenze strutturali del nostro modello di welfare state. Alla ne del 2011 è stata varata
una nuova riforma delle pensioni che ha corretto le numerose anomalie distributive. La riforma
Fornero ha accelerato la calibratura sottrattiva in campo pensionistico.

CAP 2.

“La politica pensionistica”

In senso lato il concetto di pensione individua quella prestazione pecuniaria vitalizia prevista a fronte
dei rischi di vecchiaia e invalidità, in relazione al grado di parentela con un assicurato/ pensionato
defunto (rischio di premorienza). Le pensioni che spettano in relazione al grado di parentela con un
assicurato nel caso di premorienza dello stesso sono essenzialmente di 2 tipi:
1. La pensione indiretta: Nel caso in cui l'assicurato che ha raggiunto i requisiti minimi per il
pensionamento muoia prima di essersi ritirato dal lavoro, il coniuge (o in assenza di questi parenti
più stretti) ha diritto a percepire una prestazione previdenziale, corrispondente a parte della
pensione che sarebbe spettata all’assicurato
2. La pensione di reversibilità: Spetta invece ai medesimi soggetti nel caso in cui il decesso
avvenga dopo il pensionamento dell’assicurato. Anche nel caso dell'invalidità si prevedono 2 tipi
di prestazioni:
1. La pensione d’invalidità previdenziale: Corrisposta ai lavoratori assicurati a seguito della
perdita della capacità di lavoro per un evento invalidante
2. La pensione d’invalidità civile: Prestazione prettamente assistenziale rivolta agli invalidi
civili (totali e parziali), ai ciechi e ai sordomuti che si trovano in condizioni di bisogno, accertata
tramite una “prova dei mezzi”
L'attenzione è rivolta sulle forme di tutela della vecchiaia per una serie di ragioni:
- In primo luogo, perché la spesa per le pensioni di vecchiaia rappresenta la prima voce di spesa
sociale in tutti i paesi europei
- In secondo luogo, perché la spesa per le pensioni di vecchiaia è molto più elevata di quella per le
pensioni di invalidità/superstiti
Con l'espressione politica pensionistica facciamo riferimento a quelle azioni attraverso cui viene tutelata
la vecchiaia. Può essere garantita tramite interventi che ricadono anche in altri settori di politica
sociale (sanità, lavoro, assistenza sociale). L'obiettivo speci co consiste nel garantire all'individuo
anziani un reddito vitalizio nella fase della vita non vi è un'attività retribuita.
Nell'evoluzione dei sistemi pensionistici europei la tutela della vecchiaia è stata af data al settore
pubblico, settore privato, all'integrazione tra i due. Gli attori che operano possono essere enti
previdenziali pubblici (l’INPS, nel caso italiano) e parapubblici, istituzioni private (fondi pensione,
banche)
Un sistema pensionistico per la tutela della vecchiaia è costituito dall'insieme di regole/istituzioni
preposte ad erogare prestazioni vitalizie in denaro a coloro che hanno terminato la carriera
lavorativa e/o hanno superato una certa soglia di età, garantendogli una certa sicurezza economica.
Il nanziamento si fonda sulle versamento di parte dal reddito percepito dai lavoratori e/o cittadini,
tramite contributi sociali e/o imposte dirette, e sull'utilizzo delle risorse provenienti da altre imposte
(IVA, imposte sulla casa). Nei paesi europei possiamo individuare 4 tipi:
1. Previdenziale
2. Assistenza sociale
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3. Sicurezza sociale
I primi 2 tipi:
• Pensioni previdenziali di vecchiaia
• Pensioni previdenziali di anzianità
Sono rivolte ai lavoratori e hanno natura previdenziale (o assicurativa), mirano al mantenimento del
reddito nella fase di quiescenza. Sono collegate con la retribuzione precedente del lavoratore, con i
contributi versati e si distinguono per le differenti condizioni di accesso:
- La forma più tipica (pensione previdenziale di vecchiaia) spetta al lavoratore al superamento di
una certa soglia di età (età pensionabile). Il diritto è condizionato al pagamento di contributi per
un periodo pre ssato, variabile tra i 15 e i 25 anni (periodo contributivo minimo). L'età
pensionabile può essere ssa o essibile
- Nel secondo caso il pensionamento è consentito nel periodo che intercorre tra un'età anagra ca
minima e un’età massima. In alcuni paesi è possibile ottenere la pensione di vecchiaia in anticipo
rispetto all'età pensionabile, con una decurtazione dell'importo della prestazione (pensione di
vecchiaia anticipata)
Il raggiungimento di una soglia di età anagra ca non è richiesto per accedere alla pensione
previdenziale di anzianità per la quale è necessario un versamento contributivo per un numero
prestabilito di anni. L'obiettivo è quello di conferire al lavoratore maggiore discrezionalità rispetto al
momento in cui ritirarsi dalla vita attiva
La pensione sociale individua quei trattamenti, con nalità assistenziali, previsti negli ordinamenti
pensionistici di molti paesi europei, allo scopo di garantire un livello minimo di reddito a quegli
individui che, superata una soglia di età anagra ca, non hanno versato i contributi a ni
pensionistici.
4. La pensione di base (nazioni nordiche): garantisce un livello minimo di reddito a tutti i
cittadini anziani. Svolge una funzione di sicurezza sociale tramite prestazioni a somma ssa
(non collegate alla precedente reddito del lavoro) per tutti i cittadini (residenti da un certo
numero di anni) che hanno superato una soglia di età anagra ca, indipendentemente dalla
partecipazione al mercato del lavoro e dalla condizione economica.
Le prestazioni possono essere erogate sia da enti pubblici (opera pubblici) sia da istituzioni private
(fondi pensione, assicurazioni, banche). Le prestazioni sono nanziate in modi differenti:
1. Finanziamento scale: associato (per la maggiore capacità redistributiva verticale, cioè tra
diverse fasce di reddito) alla pensione sociale e a quella di base
2. Finanziamento contributivo: con il pagamento dei contributi sociali, i lavoratori (e i datori
di lavoro) nanziano le prestazioni pensionistiche per loro stessi, per i lavoratori già in
quiescenza. Richiede di spostare l'attenzione ai sistemi con cui queste ultime vengono gestite al
ne di erogare le prestazioni pensionistiche a coloro che hanno diritto.
In un sistema fondato sul nanziamento scale e la gestione delle risorse, è af data
all'amministrazione centrale dello Stato:
- Le imposte/tasse (dirette e indirette) con uiscono nel circuito della nanza pubblica e da qui,
vengono trasferite a un ente responsabile dell'ora erogazione delle prestazioni.
In un sistema nanziario tramite i contributi le cose sono più complesse ed esistono 2 alternative:
1. Nella creazione di risparmio a ni previdenziali attraverso il versamento, l'accumulazione e
l'investimento di contributi sociali. Richiama la logica di quello che viene de nito un sistema
pensionistico a capitalizzazione:
- In un sistema a capitalizzazione (fully funded) i contributi versati sono accumulati in conti
individuali, investiti sui mercati nanziari e sono poi convertiti in rendita al momento al
pensionamento
2. Si fonda sullo scambio di una quota del proprio reddito dal lavoro con il diritto a una porzione
di reddito futuro, in altre parole, ad una prestazione pensionistica una volta terminata la fase
lavorativa. Richiamo alla logica di un sistema a ripartizione:
- In un sistema a ripartizione (pay-as-you-go o payg) i lavoratori versano i contributi a un determinato
tempo t e questi vengono immediatamente utilizzati per il pagamento delle prestazioni ai
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pensionati, i lavoratori ottengono il diritto a ricevere una pensione quando, al tempo t + 1, essi
stessi si ritireranno dall'attività
Le dimensioni ripartizione/capitalizzazione e pubblico/privato si sovrappongono nel dibattito
pubblico, in realtà sono del tutto indipendenti.
Le risorse economiche per la tutela della vecchiaia devono poi essere convertite in prestazioni. In
linea generale esistono 3 metodi per de nire i trattamenti pensionistici:
1. Il valore delle pensioni è indipendente dal precedente reddito da lavoro, dalla durata della
carriera professionale e dei contributi eventualmente versati: le prestazioni sono a somma ssa
( at rate). È il caso della pensione sociale della pensione di base
2. Il secondo metodo prevede un collegamento delle prestazioni pensionistiche con la precedente
retribuzione del lavoro. In un sistema retributivo le pensioni sono calcolate in percentuale (il
60%, l'80%) sulla media delle retribuzioni di n anni di carriera: tale media è detta retribuzione
pensionabile. Vengono presi in considerazione solo gli ultimi (oppure i migliori) anni di attività,
ma in alcuni casi la retribuzione pensionabile rappresenta la media delle retribuzioni di tutta la
vita lavorativa (in Germania).
Sempli cando in un sistema retributivo la pensione è calcolata con una formula analoga la seguente:

P = rp ° c ° r

P = pensione
Rp = retribuzione pensionabile, calcolata come media delle retribuzioni di n anni di lavoro
C = numero degli anni di lavoro/contribuzione
R = aliquota di rendimento, che esprime quanto rende (la percentuale) un anno di contribuzione
Il calcolo delle pensioni con questo modo tende a ri ettere la durata della contribuzione (attraverso
il fattore C), non l’effettivo ammontare della stessa.
3. Il terzo metodo è detto contributivo, in cui l'importo della pensione viene calcolato
considerando la somma dei contributi effettivamente versati (montante contributivo) e dipende
da un parametro detto reale in un sistema a capitalizzazione (corrisponde al tasso di rendimento
degli investimenti) è un convenzionale del sistema ripartizione (in questo caso viene stabilito
dalla legislatore) e può consistere nel tasso di crescita economica. Anche nel sistema contributivo
le prestazioni sono in ultima analisi collegate al reddito da lavoro (perché i contributi sono
calcolati in percentuale sul reddito) ma questo collegamento tende ad essere più debole
Il sistema contributivo e retributivo possono combinarsi con in 2 sistemi di gestione delle risorse
(ripartizione e capitalizzazione), generando così 4 modelli alternativi di schemi previdenziali:
- Sistema retributivo e sistema contributivo, 2 a ripartizione
- A prestazione de nita e a contribuzione de nita, 2 a capitalizzazione
Sia nella versione ripartizione sia in quella capitalizzazione, i sistemi retributivi e contributivi hanno
logiche di funzionamento differenti:
- I sistemi contributivi de niscono il livello del prelievo contributivo e lasciano invariato l'importo
delle prestazioni in base ad una serie di fattori (es. invecchiamento demogra co). Scaricano
direttamente sugli assicurati i rischi connessi ad eventuali dinamiche sfavorevoli tramite la
diminuzione del valore delle prestazioni
- Nei sistemi retributivi è il livello della prestazione ad essere prede nito in base al reddito
dell'assicurato, mentre il livello della contribuzione viene adeguato di conseguenza. Incorporano
una promessa circa il livello della pensione futura da erogare: nel caso di dinamiche sfavorevoli il
rischio ricade sul promotore degli schemi pensionistici, che deve colmare il divario tra contributi e
prestazioni
Nella maggior parte degli Stati europei la protezione della vecchiaia è ancora af data a schemi
pubblici, che rappresentano il primo pilastro pensionistico. Questo presenta vari livelli (tiers)con
caratteristiche/ nalità differenti tra loro:
- Assicurazione obbligatoria, nanziati tramite i contributi sociali gestiti a ripartizione
- Assistenziali (pensione sociale)
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- Sicurezza sociale (pensione di base) tipicamente nanziati dalla scalità generale


Agli schemi pubblici si af ancano gli schemi complementari privati di secondo pilastro, istituiti
tramite la contrattazione collettiva da sindacati. Sono caratterizzati da copertura occupazionale (si
rivolgono a speci ci gruppi di lavoratori, individuati in base alla categoria), adesione volontaria (in
alcuni casi l'adesione è obbligatoria per via legislativa come la Svizzera o contrattuale come i Paesi
Bassi) a gestione a capitalizzazione:
- A capitalizzazione sono gestite le forme pensionistiche di terzo pilastro, ad adesione sempre
volontaria e individuale, istituiti da banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio
Fino alla seconda metà dell'800 la produzione economica della vecchiaia era af data all'intervento
dei corpi intermedi, in primis le società di mutuo soccorso operaio e le istituzioni di assistenza e
bene cenza di matrice ecclesiastica. I primi schemi pensionistici pubblici vennero istituiti in
Germania (1889) e in Danimarca (1891)
- In Germania, il primo intervento si realizzò in uno schema di assicurazione sociale obbligatoria
per la categoria di lavoratori esposti al rischio (gli operai)
- In Danimarca si optò per garantire la protezione (tramite un intervento a carattere assistenziale) a
quei cittadini che, superata una certa età si trovano in condizioni di bisogno, da accertarsi tramite
la prova dei mezzi. Nella fase originaria può essere de nito beveridgeano , perché si è universalistico,
ma selettivo ,diretto ai soli anziani poveri. La forza di questo modello viene esercitata sulle aree
scandinave e anglosassoni.
Nel dibattito internazionale questi 2 modelli sono noti come:
- Modello bismarckiano, deriva dal cancelliere Bismarck, che ne fu ispiratore. Ha come obiettivo il
mantenimento del tenore di vita dei lavoratori durante la fase di quiescenza: le prestazioni sono
collegate al precedente reddito da lavoro, nanziati tramite il versamento dei contributi da parte
della popolazione occupata. Questo versamento costituisce la condizione per accedere al
programma. La copertura è di tipo occupazionale, nel senso che sono i lavoratori ad essere
assicurati attraverso l'inclusione in schemi che in genere ricalcano le demarcazioni professionali.
L’evoluzione del modello ha registrato l'istituzione dell'assicurazione obbligatoria per gli operai
industriali e la successiva estensione della copertura ad altri gruppi occupazionali (come
impiegati, lavoratori agricoli, i lavoratori autonomi). Da questo discende la caratteristica
frammentazione dei sistemi bismarckiani. Questo schema viene preso come modello nell'Europa
continentale e mediterranea
- Modello beveridgeano, con riferimento a Lord Beveridge, fu l'ideatore, nel 1942, di un piano di
riorganizzazione del sistema di protezione sociale britannico, che orientò le riforme (inclusa
quella pensionistica) adottate dal governo Attlee dopo la ne della Seconda guerra mondiale verso
un modello universalistico e inclusivo, rivolta a tutti i cittadini. Assume come gura di riferimento
il cittadino anziano, in condizioni di bisogno di una fase originaria del welfare. L'obiettivo è la
prevenzione della povertà tra le persone in età avanzata indipendentemente dalla partecipazione
del soggetto al mercato del lavoro e dai contributi versati
Nel 1919 viene istituito in Italia il sistema pensionistico pubblico (che si aggiunge allo schema
preesistente del 1864) con la de nizione di uno schema obbligatorio per la tutela di vecchiaia e
invalidità, rivolto ai lavoratori dipendenti del settore privato, e la costituzione della cassa nazionale
per le assicurazioni sociali. Le altre caratteristiche dello schema sono:
- Il nanziamento contributivo paritario di lavoratori e datori di lavoro, cui si aggiunge una quota a
carico dello Stato
- La gestione delle risorse a capitalizzazione
- Requisiti stringenti per l'accesso alla pensione di vecchiaia (65 anni) e un sistema ibrido di calcolo
delle prestazioni, sono agganciate ai contributi versati, con tassi di rivalutazione predeterminati
che consentono di assicurare un certo livello di copertura (modesto) delle pensioni rispetto al
precedente reddito da lavoro
Lo schema occupazionale-bismarckiana e la caratteristica frammentazione del sistema si rafforza
durante il periodo fascista . Il decreto di riordino n.3184/1923:
- Estende la copertura obbligatoria all'impiegati con retribuzione no a 800 lire mensili
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- Sancisce l'esclusione dei lavoratori agricoli


Il ventennio fascista è una fase di consolidamento istituzionale nella quale i provvedimenti mirano
ad una riorganizzazione amministrativa/rafforzamento della tutela, al ne di recuperare il
consenso. Con la riforma del 1939 si estende la copertura agli impiegati con la retribuzione mensile
no a 1500 lire, la misura più importante riguarda l'introduzione della pensione di reversibilità e la
riduzione dell'età pensionabile: uomo (60 anni) e donne (55 anni) requisiti rimasti tali no alla
riforma Amato del 1992.
Tutti i sistemi pensionistici si fondano su schemi pubblici, poco articolati ed erogano prestazioni di
importo modesto. Il trentennio postbellico 1945-1975 è caratterizzato:
- Da una serie di condizioni di natura economica e demogra ca
- Dal paradigma dominante di politica economica di stampo keynesiano
La politica pensionistica ha un carattere distributivo, strumento molto importante nella
competizione democratica tra le varie forze politiche. L'irrobustimento della tutela nella fase
espansiva avviene lungo 3 principali direttrici di sviluppo:
1. Individuazione di nuovi metodi di nanziamento e nuove modalità di gestione delle risorse
2. Rafforzamento della protezione di base
3. Introduzione di nuove prestazioni e/o incremento della generosità degli schemi esistenti
Al variare degli assetti istituzionali per la tutela della vecchiaia mutano anche le domande da parte
di cittadini gruppi di interessi, e differenti sono le risposte dei policy marker: Il primo tipo di
intervento che caratterizza l'età dell’oro deriva da una crisi contingente: la spirale in azionistica
attivata dal Secondo con itto Bellico mondiale. Nei paesi con sistemi pensionistici bismarckiani, che
avevano schemi gestiti a capitalizzazione, l'impennata del costo della vita negli anni del con itto-
dopoguerra erode il patrimonio delle casse previdenziali, riducendo il valore delle prestazioni. Molti
giovani fanno fronte all'emergenza rimpiazzando la gestione a capitalizzazione con il metodo a
ripartizione, che permette di trasferire immediatamente parte del reddito nazionale ai bene ciari
delle prestazioni di vecchiaia. L'esigenza primaria dopo la Seconda Guerra mondiale è il
rafforzamento della protezione di base per gli anziani sia nei paesi bismarckiani che in quelli
beveridgeriani:
- I paesi bismarckiani costituiscono pensione sociale, d’importo modesto, erogata a fronte di una
prova dei mezzi
- I paesi beveridgeriani, già disponevano di uno schema assistenziale, eliminano la prova dei mezzi
estendendo la copertura a tutta la popolazione anziana residente. La pensione sociale diviene una
vera e propria pensione di base.
La crescita economica, da un lato rende possibile l'estensione del welfare state, dall’altro, si ri ette
nell'espansione dei consumi e nell’innalzamento del tenore di vita delle classi medie. E’ il ceto medio
ad avanzare richieste per l'introduzione di nuove prestazioni pensionistiche e/o una maggiore
generosità di quelle esistenti. Nei paesi bismarckiani i decisori politici rispondono a tali domande
con:
- L'estensione della copertura pensionistica tramite l'istituzione di nuovi schemi volti a proteggere
tutte le categorie di lavoratori.
- La riduzione dell'età pensionabile
- Passaggio a sistemi retributivi, che collegano direttamente la pensione al precedente reddito da
lavoro. Questo passaggio una delle cause dell'aumento della spesa pensionistica
Nelle nazioni con sistemi previdenziali di matrice beveridgeriana le prestazioni pensionistiche sono a
somma ssa e inadeguata a mantenere il livello di vita dei lavoratori a reddito medio-alto. La
soluzione individuata dai policy marker consiste nell'introdurre schemi con prestazioni collegate alle
retribuzioni per i lavoratori. Tale sviluppo rappresenta una svolta per i sistemi beveridgeriani :
• Essi abbandonano il sentiero imboccato nella fase originaria ( nalizzato alla prevenzione della
povertà tra gli anziani)
• Nella scelta delle forme previdenziali con prestazioni collegate alle retribuzioni si determina una
divaricazione all'interno del gruppo

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Alcune nazioni introducono gli schemi retributivi prima degli anni ’70, optando per una gestione a
ripartizione attraverso sistema pubblico (Svezia)
Al contrario nei Paesi Bassi a metà degli anni ’70 lo Stato assicura soltanto una tutela di base a tutti i
cittadini: l'erogazione di prestazioni collegate alle retribuzioni verrà quindi in larga parte af data
alla diffusione dei fondi pensionistici privati a capitalizzazione. In quasi tutti i paesi è andata
emergendo un sistema pensionistico articolato: Con un primo livello di prestazioni nalizzato a
prevenire la povertà; Un secondo livello volto a mantenere i differenziali di reddito generati nel
mercato del lavoro.
La diffusione sulla scena pensionistica di attori non pubblici ha cambiato i sistemi previdenziali che
sono andati a costruirsi su diversi pilastri. Tale di con gurazione multipilastro non consente più di
concentrare l'attenzione esclusivamente sugli schemi pubblici di tutela della vecchiaia. Poiché
l'elemento centrale (in termini di spesa) di un sistema di protezione della vecchiaia è rappresentata
dagli schemi con prestazioni collegate al reddito, il trattamento classi catorio presta l'attenzione alla
natura di questi schemi, specialmente al fatto che erogazione di tali prestazioni sia af data al circuito
pubblico/stato con schemi a ripartizione, ovvero quello privato/mercato con fondi a
capitalizzazione. I paesi europei hanno operato scelte differenti:
1. Nella fase originaria con sistemi pubblici a ripartizione all'inizio della fase espansiva (paesi
Bismarckiani)
2. Tra il Secondo dopoguerra- ne’60 sempre con schemi pubblici a ripartizione (Norvegia)
3. Dopo la metà degli anni ’70 af dandosi a piani privati a capitalizzazione (Danimarca)
Questi 3 gruppi possono essere ridotti a 2 perché alla ne dell'età dell’oro i paesi del gruppo 2 (Svezia,
Finlandia, Norvegia) presentano una con gurazione pensionistica molto simile a quella dei paesi di
derivazione Bismarckiana (gruppo 1). In entrambi il cuore del sistema pensionistico è costituito da
schemi assicurativi pubblici, obbligatori a ripartizione e con prestazioni collegate alle retribuzioni.
Esse presentano una con gurazione molto diversa dei paesi di matrice beveridgiana che si sono
af dati alla previdenza complementare privata (gruppo 3). Il sistema pubblico fornisce una
protezione di base, mentre la funzione di mantenimento del reddito è af data agli schemi a
capitalizzazione del 2/3 pilastro, ai quali è anche imputabile la quota maggioritaria di spesa
pensionistica. I sistemi pensionistici di questo gruppo sono stati denominati: multipilastro
I casi svedese/italiano sono simili tra loro. Il sistema si struttura su un unico pilastro pubblico
composto da 2 livelli. Il cuore è rappresentato dagli schemi a ripartizione con nalità previdenziali
del 2 livello, mentre la differenza più importante tra i 2 paesi consiste nel diverso assetto del 1 livello:
- Universalistico inclusivo con la pensione di base in Svezia
- Universalistico selettivo e assistenziale (pensione sociale) in Italia
I Paesi Bassi presentano un'architettura pensionistica del tutto differente, fondata sull'integrazione di
3 pilastri:
- Pubblico, concentrato sulla pensione di base universalistica
- Occupazionale a capitalizzazione
- Individuale sempre a capitalizzazione (sistema multipilastro)
Nella fase età dell’oro si assiste all’espansione del sistema pensionistico italiano lungo direttrici molto
simili a quelle degli altri sistemi Bismarckiani:
- Viene estesa la copertura dell'assicurazione pensionistica obbligatoria, con la creazione di nuovi
schemi per le diverse categorie di lavoratori autonomi
- Viene creata una rete di protezione minima (safety net) per gli anziani
- Vengono modi cati il metodo di calcolo delle prestazioni, da contributivo a retributivo
La traiettoria italiana è caratterizzata da:
- L’eccessiva generosità della tutela previdenziale per quanto riguarda i requisiti di accesso al
pensionamento, da cui nasce la disuguaglianza per le varie categorie professionali
Tra il 1945-1947 viene creato il Fondo di integrazione per le assicurazioni sociali (FIAS), nanziato dai
contributi obbligatori aggiuntivi sulle retribuzioni volto sia, a erogare sussidi integrativi delle
pensioni più modeste, sia, garantire un livello minimo di pensione. Si tratta del primo passo verso la
creazione di una rete di protezione minima, che verrà poi istituzionalizzata con l'introduzione della
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integrazione al minimo per le prestazioni previdenziali di importo inferiore ad una soglia


prestabilita (1952) e l’introduzione della pensione sociale (1969), nalizzata a prevenire la povertà
erogato a fronte di una prova dei mezzi a tutti i cittadini sopra i 65 anni. La creazione del FIAS e
poi del Fondo di solidarietà sociale nel 1947 sono importanti perché comportano l'innesto dei primi
fondi gestiti a ripartizione.
Negli anni ’50 e '60 l'irrobustimento del sistema di tutela della vecchiaia sarà l'esito di una politica
pensionistica caratterizzata da progetti di riforma rimasti incompleti (il progetto del CNEL nel 1963
volti a orientare il sistema verso un modello di impostazione universalistico-beveridgiano) e un
policy making di tipo graduale, diretto ad apportare soltanto modi che di tipo emergenziale.
Sul lato della copertura, venne estesa per tutti i lavoratori. L’aumento della generosità del sistema è
stato perseguito:
- Sia tramite l'incremento dell'importo delle prestazioni
- Sia in relazione alle condizioni di accesso
Viene introdotta la possibilità per i dipendenti pubblici di ritirarsi dal lavoro prima del
raggiungimento dell'età pensionabile, si introduce il diritto ad una pensione di anzianità dopo soli
20 anni di contribuzione (baby pensioni). Il requisito di 20 anni era ridotto a 15 per le donne
coniugate/ glio. Le pensioni di anzianità vengono estese (1965) ai dipendenti del settore privato/
lavoratori autonomi. L’introduzione delle pensioni di anzianità ha rappresentato uno snodo
rilevante della tutela della vecchiaia del nostro paese per 2 ragioni:
1. I modesti requisiti contributivi avrebbero determinato, nei decenni successivi, l'approfondirsi del
divario tra contributi versati/prestazioni percepite, intaccando gli equilibri nanziari del sistema
2. Le diverse regole per le varie categorie di lavoratori hanno aumentato la frammentazione
La riforma del 1969, de nisce i tratti fondamentali del sistema pensionistico poi rimasti in buona
parte inalterati per oltre 2 decenni. Il sistema contributivo viene rimpiazzato da quello retributivo.
Le pensioni verranno calcolate con la formula ( P = rp ° c ° r ) secondo la quale, ipotizzando una
carriera lavorativa di c = 40, la prestazione pensionistica p corrisponde all'80% della retribuzione
pensionabile (rp).
Negli anni ’70 alcuni provvedimenti incrementano la generosità del 1 pilastro pubblico. Modi ca il
meccanismo di incitazione, legava la crescita delle prestazioni pensionistiche all'aumento dei prezzi,
sostituendolo con un indice composto che collega i trattamenti pensionistici anche alla dinamica
delle retribuzioni nel settore industriale. Il risultato dei numerosi interventi espansivi danno vita ad
un sistema pensionistico frammentato lungo le linee occupazionali e oneroso, con il forte incremento
della spesa pesistica sul PIL e l'emergere di sbilanci nei conti dell’INPS.
Tra gli anni ’50 e ’60, il governo e le forze politiche che lo componevano sono stati impegnati
nell’opera di stabilizzazione del nuovo assetto costituzionale, DC e PCI. Si sono aperti importanti
spazi di azione per i gruppi di pressione (sindacati). La competizione tra DC e PCI, hanno operato
in un contesto in cui la posta in gioco era il sostegno al regime democratico durante
consolidamento.
Dagli anni ’70 iniziano a delinearsi alcuni cambiamenti in 4 sfere istituzionali:
1. Sistema economico
2. Mercato del lavoro
3. Struttura demogra ca della società
4. Famiglia e rapporti tra i generi
Queste rappresentano s de esogene ai sistemi di protezione della vecchiaia dei paesi europei, si
aggiungono anche quelli di natura endogena, connessi alle decisioni di policy della fase espansiva e
alla stessa evoluzione istituzionale degli schemi pensionistici. Altri 2 processi di mutamento sono
stati:
- La sostituzione nel paradigma economico keynesiano
- Le trasformazioni politico-istituzionali connesse al rafforzamento dell’Unione economica/
monetaria
I processi di cambiamento hanno prodotto 2 problemi nei sistemi pensionistici monopilastro:
1. Una crisi di tipo economico- nanziario
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2. Uno spiazzamento delle regole pensionistiche rispetto al contesto in cui erano state de nite, con
conseguente rischio di minore ef cacia della tutela della vecchiaia
L'esposizione agli interventi di riforma degli schemi pensionistici nei sistemi monopilastro derivano
da 3 ordini di fattori:
- In questi paesi durante la fase espansiva sono stati istituiti schemi retributivi, che erogano
prestazioni molto generose, assorbe una quota considerevole del PIL e costituisce la prima voce di
spesa sociale, per cui eventuali tagli nel settore del welfare vengono primariamente indirizzati
verso tale comparto
- Nei sistemi monopilastro il cuore del sistema pensionistico è costituito da schemi pubblici a
ripartizione: sono vulnerabili alle trasformazione
L'equilibrio nanziario di un sistema a ripartizione si fonda sulla equivalenza tra le entrate e le uscite
in un determinato periodo temporale:
Entrate = uscite —> RLK = PN
R = retribuzione media
L = numero degli occupati
K = aliquota contributiva di equilibrio
P = valore della pensione media
N = numero dei pensionati
RLK esprime il valore del prelievo contributivo complessivo sul montante retributivo (calcolato
come prodotto tra retribuzione media/numero dei lavoratori occupati), cioè le risorse economiche
che entrano nel sistema in un determinato periodo di tempo. PN esprime la spesa (uscite), calcolata
come prodotto tra la pensione media e il numero dei pensionati.
Dalla metà degli anni ’70, il cambiamento delle dinamiche demogra che/economiche, che avevano
favorito l'espansione pensionistica, altera l'equilibrio dei sistemi pensionistici a ripartizione,
incidendo sulle entrate e uscite. Le risorse a disposizione (RLK), sono in crisi per alcuni fattori:
- Il rallentamento della crescita economica e delle retribuzioni, che incide sull'andamento del
fattore R
- L'aumento dei tassi di disoccupazione che tende a ridurre la platea (L) su cui operare il prelievo
contributivo
- La modi cazione della struttura demogra ca della società (dovuta al declino del tasso di fertilità e
all'allungamento della vita media) che tende a contrarre il numero di lavoratori occupati (L)
Sul versante delle uscite (PN) gli elementi importanti sono:
• La generosità delle prestazioni
• Il numero delle pensioni erogate
• La durata dell'erogazione delle stesse
L’invecchiamento rappresenta la principale causa di aumento della spesa pensionistica. Le
dinamiche demogra che (in particolar modo l'andamento del rapporto tra gli anziani sopra i 65
anni e la popolazione in età dal lavoro 15-64 anni, indice di dipendenza demogra ca degli anziani)
hanno un impatto indiretto sulla sostenibilità nanziaria degli schemi pensionistici a ripartizione, su
cui incide direttamente l'andamento del rapporto tra i pensionati (che ricevono effettivamente la
prestazione di vecchiaia, indice di dipendenza economica dei pensionati). Tale rapporto dipende:
- Evoluzione demogra ca
- Speci che scelte di policy dei governi nei settori pensionistico
- Della politica del lavoro
- Delle misure per la famiglia e di conciliazione
Queste considerazioni afferma che sugli squilibri nanziari dei sistemi pensionistici pubblici a
ripartizione in uiscono i fattori endogeni.
Le dif coltà degli schemi a ripartizione derivano anche dal processo di maturazione degli stessi,
specie in combinazione con il (prossimo) pensionamento della generazione del cosiddetto baby boom.
Per quanto riguarda invece le opzioni di policy adottate durante il Trentennio glorioso, l'aumento
della generosità delle prestazioni hanno in uenzato rispettivamente sull'importo della pensione
media (P) e sul mercato di pensionati (N), riducendo il numero di lavoratori occupati (L).
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In ne il ricorso a forme di prepensionamento ha inciso negativamente sul tasso d'occupazione dei


lavoratori più anziani riducendo di conseguenza la base su cui operare il prelievo delle risorse (L). I
sistemi pensionistici monopilastro hanno evidenziato una sindrome comune, caratterizzata da costi
crescenti e dall'approfondirsi del divario tra contributi e prestazioni. La spesa pubblica per pensioni
continuerà a crescere nei prossimi decenni.
RKL = PN —> K = PN / RL
Si intuisce come a fronte di un aumento della spesa pensionistica (PN) più rapido della crescita del
montare retributivo (RL) il fattore (PN / RL) tende ad aumentare. Per riportare in equilibrio il
sistema senza operare tagli alle prestazioni (senza intervenire su P e N) si deve intervenire sul prelievo
contributivo (K), portandolo a livello al quale soddisfatta l’uguaglianza K = PN / RL o, che è lo stesso,
si raggiunge l'equilibrio tra entrate ed uscite (RLK = PN), con K che rappresenta in questo caso
l'aliquota contributiva di equilibrio.
L'aumento delle aliquote contributive ha rappresentato il principale provvedimento adottato per
proteggere gli schemi previdenziale accompagnate da trasferimenti dal bilancio pubblico per
riparare i de cit della previdenza. Entrambe hanno consentito di evitare tagli alle prestazioni sociali.
I parametri di convergenza inclusi nel Trattato di Maastricht hanno imposto forti vincoli di bilancio
ai paesi comunitari, incentivando i governi ad adottare misure che, riducendo la spesa pensionistica,
diminuissero i trasferimenti dal bilancio pubblico volto ad appianare lo squilibrio nanziario.
Durante la fase espansiva, tali programmi erano stati disegnati con riferimento al modello del male
breadwinner (fondato sulla famiglia monoreddito garantito dal capofamiglia). Anche i requisiti di
accesso e le modalità di calcolo delle prestazioni erano stati de niti sulla base del lavoratore tipo,
lavoratore maschio, con una carriera non frammentata ed un periodo di contribuzione continuativo.
Con l'aumento della partecipazione delle donne, coppie eterosessuali, famiglie monogenitoriali,
ricostituite sul mercato del lavoro, hanno prodotto un effetto di spiazzamento degli assetti
pensionistici esistenti, mettendone a repentaglio la capacità.
Dai primi anni ’90 in tutti i paesi europei con sistemi pensionistici incentrati sul pilastro pubblico a
ripartizione sono state adottate riforme volte a contenere la spesa pubblica per tutela della vecchiaia.
Tali misure sono state perseguite lungo 2 traiettorie di riforma:
1. La prima traiettoria ha previsto interventi sottrattivi cosiddetti parametrici (agiscono sui
parametri fondamentali degli schemi pubblici a ripartizione mantenendo inalterata
l'architettura complessiva del sistema) nalizzati a ristabilire l'equilibrio nanziario e la
sostenibilità economica del 1 pilastro. Tali interventi hanno riguardato:
- L'innalzamento dell'età pensionabile
- La diminuzione dell'importo delle prestazioni tramite (la riduzione dell'aliquota di rendimento)
L'istituzione di un più stretto legame tra contributi versati/prestazioni erogate tramite:
- Il passaggio da un sistema retributivo a un sistema contributivo
- L'estensione dei periodi contributivi per accedere alle pensioni di vecchiaia e di anzianità
Questi provvedimenti sono stati accompagnati da misure nalizzate ad adattare gli schemi
pensionistici al mutato contesto sociale/occupazionale e da riforme delle politiche del lavoro volte a
aumentare il tasso di occupazione.
2. Accanto all'interventi sottrattivi, c’è l'adozione di riforme strutturali volte a modi care
l'architettura del sistema pensionistico con lo spostamento di parte della spesa per la tutela della
vecchiaia su schemi (privati) a capitalizzazione. Sono state de nite cornici per le forme
pensionistiche complementari a capitalizzazione (i fondi pensione) e predisposti incentivi scali
volti a favorire lo sviluppo del secondo e del terzo pilastro
Le riforme strutturali sono dif cile da costruire nei paesi con sistemi a ripartizione estesi per via del
problema del doppio pagamento, si fa riferimento al fatto che durante la transizione da un sistema a
ripartizione a uno a capitalizzazione, ovvero ad un sistema multipilastro, le generazioni attive
dovrebbero pagare due volte:
• Devono continuare a nanziare il sistema a ripartizione pre garantire il pagamento delle
prestazioni in essere
• Dovrebbero versare i contributi nei fondi a capitalizzazione per costruirsi la loro futura pensione
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Inizio anni ’80 il sistema pensionistico italiano presentava una con gurazione monopilastro,
incentrata su un sistema pubblico a 2 livelli:
1. Il primo volto a contrastare la povertà tramite pensione sociale e integrazione al minimo
2. Il secondo composto da schemi a ripartizione con prestazioni (contributive/retributive) collegati
al reddito del lavoro
La maggior parte della popolazione occupata era iscritta a 6 regimi pensionistici:
- 4 rivolti ai lavoratori del settore privato
- 1 per i lavoratori dipendenti (FPLD)
- 3 per le principali categorie del lavoro autonomo (agricoli, artigiani commercianti)
- 2 per i dipendenti del settore pubblico
- 1 per i dipendenti dell'amministrazione centrale dello Stato
- Il 2° per le addetti dell'amministrazioni locali
La frammentazione del sistema era più elevata per effetto dei provvedimenti adottati nella fase
espansiva in risposta alle pressioni microcorporative delle varie categorie professionali, che hanno
condotto a quello che è stato de nito il labirinto delle pensioni:
- Un sistema pensionistico pubblico è caratterizzato da schemi per le diverse categorie professionali
con regole differenti
Dalla metà degli anni ’70, l'Italia ha dovuto fronteggiare dinamiche sfavorevoli, queste sono le cause
esogene:
- Le dif coltà occupazionali, segnate dal basso tasso di occupazione e la crescente disoccupazione
- La debole crescita economica, specie nei primi anni 80 dalla ne degli anni 90 al 2019
- L'emergenza demogra ca, per effetto della brusca riduzione del tasso di fertilità e il rapido
allungamento della vita media
Fine degli anni ’70 il settore pensionistico mostra alcune criticità sia, sul fronte della sostenibilità
nanziaria, sia, dell'equità distributiva, frutto delle scelte di policy della fase espansiva (cause
endogene). Le criticità riguardano:
- Un rapido aumento della spesa, non bilanciato da un equivalente aumento delle entrate
- Il de cit strutturale delle gestioni per i lavoratori autonomi
- Dilemmi distributivi orizzontali (tra categorie professionali) dovuti alla frammentazione
normativa, verticale per via degli effetti redistributivi della formula adottata nel 1969, che
favoriva i lavoratori (più alto reddito)
- L'elevato livello delle prestazioni a fronte di requisiti contributivi poco stringenti in prospettiva
comparata, specie con riferimento alle pensioni di anzianità per i dipendenti pubblici (le baby
pensioni), in misura minore, per i lavoratori del comparto privato
Si accompagna l'inconsistenza dei pilastri complementari a capitalizzazione e le peculiarità
rappresentata dall'esistenza di prestazioni obbligatorie di ne servizio per i dipendenti privati il
trattamento di ne rapporto (TFR) e pubblici (indennità di buonuscita).
Va tenuto anche presente che in Italia la questione previdenziale emerge nel quadro del deterioramento della
nanza pubblica negli anni ’80, con il decollo del debito pubblico. Le prime proiezioni uf ciale sulla spesa
pensionistica pubblica sono state elaborate nel 1981:
- Si prevede che la spesa cresca no all'11,7% nel 1985 nello scenario più favorevole e al 12,4% in quello
meno favorevole
- Aumenterebbero i trasferimenti dal bilancio pubblico dal 4,2% al 6,1% del Pil e la spesa pensionistica
raggiungerebbe poi quota 12-19% del Pil nel 2000.
’70-’90 la questione previdenziale entra nell'agenda di policy di 15 governi, 8 presidenti del consiglio e 9
ministri del lavoro. L'attivismo si riduce in numerosi piani di riforma, che presentano obiettivi nalizzati al
contenimento dei costi specialmente tramite l'armonizzazione delle regole previdenziali. I piani di riforma
vengono abbandonati a causa del cambio di governo. Tra gli interventi espansivi:
- L'abolizione del tetto sulla retribuzione pensionabile (1988)
- La l. n. 233/1990 che estende il metodo retributivo alle 3 categorie di lavoratori autonomi assicurati presso
l’INPS. In primis sancisce la generalizzazione dell'obiettivo del mantenimento di un elevato livello di reddito
tramite l’iscrizione al 1 pilastro per tutti lavoratori. Le altre conseguenze dell'intervento sono meno
virtuosi:
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- il metodo retributivo viene applicato ai lavoratori autonomi senza adeguare il livello di prelievo
contributivo per tali categorie, che è circa la metà (12%) di quello richiesto ai dipendenti del settore
privato.
Questo comporta:
- L'aggravamento delle prospettive nanziarie degli agricoltori, artigiani e commercianti
- Introduce l'ennesimo elemento distorsivo sul piano delle parità di trattamento tra le diverse categorie di
lavoratori
La causa principale della contraddittoria policy pensionistica degli anni ’80 ha natura politica e va
rintracciata nel sistema politico italiano. Il governo dispone di una autonomia ancora troppo limitata dalla
coalizione di sostegno, e fosse troppo spesso coinvolto in scontri con il parlamento, per potersi dedicare a
interventi molto rischiosi sul piano politico-elettorale come l'adozione di politiche sottrattive nel campo
pensionistico previdenziale. Molto più facile era continuare a perseguire politiche distributive, tramite
provvedimenti espansivi.
Il periodo 1992-2012 ha registrato una serie di importanti riforme caratterizzate da misure parametriche
sottrattiva e sul pilastro pubblico e interventi a carattere regolativo volti ad avviare la trasmissione ad un
sistema multi pilastro (riforme strutturali).
Si possono distinguere 3 diverse fasi del processo di riforma del sistema pensionistico italiano:
1. 1992-1997: E’ detta di emergenza per via della crisi multidimensionale (politico-istituzionale e economico-
nanziaria) che investe l’Italia. Con le riforme Amato (1992-1993) e Dini (1995) viene disegnata la nuova
architettura del sistema di tutela della vecchiaia
2. Fine anni 90-2007: E’ caratterizzata da nuove riforme previdenziali, parametriche e contraddittorie tra
loro, adottate nel quadro del rinnovato sistema politico-istituzionale della Seconda Repubblica
3. Con il 2008 si apre una seconda fase di crisi che conduce all'adozione di nuovi interventi emergenziali che
culminano con la riforma Fornero-Monti a ne 2011
Il periodo si apre con i 2 provvedimenti del governo Amato nel 92-1993 per poi proseguire con la riforma di
Dini (1995) e l'aggiustamento del governo Prodi nel 1997. Questa prima serie di interventi sottrattivi è riuscita
a riportare sul sentiero della sostenibilità economica dell'equilibrio nanziario gli schemi pensionistici
pubblici; a armonizzare le regole tra le varie categorie di lavoratori; ha trasformato l'architettura complessa
del sistema previdenziale
Si è avviata la transizione verso un assetto multipilastro favorendo lo sviluppo dei pilastri complementari a
capitalizzazione accanto ad un pilastro pubblico meno generoso rispetto al passato. La fase ha registrato
anche il fallimento del progetto di riforma elaborato dalla primo governo Berlusconi nel 1994.
La riforma pensionistica adottata dal governo Amato, si colloca nel quadro della grave crisi economica-
nanziaria e politico-istituzionali che attraversa l'Italia. Nei primi anni ’90 le condizioni di nanza pubblica
sono critiche. Il nuovo trattato dell’U.E. rmato a Maastricht nel 1992 stabilisce un obiettivo del 3% per il
rapporto de cit/Pil e del 60% per debito/Pil. L'Italia è lontana da entrambi gli obiettivi. E’ lacerata dalla
crisi politico-istituzionale caratterizzata dallo scoppio dello scandalo di Tangentopoli nel 1992. L'inchiesta
giudiziaria si innesta sulle dinamiche di destrutturazione del sistema partitico (già emerse nelle elezioni del
1990 e poi nel 1992) accelerandole, nel corso del 1993, dissoluzione dei partiti: DC, PSI, PSDI, PLI, PRI
In questo quadro la spesa pubblica è allarmante. Il socialista Giuliano Amato, nominato alla presidenza del
consiglio, costituisce un governo tecnico sostenuto da una coalizione quadripartita (DC, PSI, PLI, PSDI) e
accetta la s da di intraprendere il processo di risanamento della nanza pubblica. Dopo l'adozione di alcune
misure restrittive sottrattive in campo pensionistico, si registra un'accelerazione del corso del 1992 quando,
per bloccare l'ondata speculativa contro la valutazione nazionale, si procede alla svalutazione della lira. Il
governo Amato (a fronte della progressiva delegittimazione delle forze che compongono una maggioranza
parlamentare) mira ad acquisire almeno la quiescenza delle parti sociali, sindacati in primis. L'operazione ha
successo e si completa in 3 tappe:
1. L'approvazione della legge che delega il governo a ristrutturare per decreto l'assetto della previdenza (l. n.
421/1992)
2. D. lgs. 503/1992
3. D. lgs. n. 124/1993
Il d. lgs. n. 503, emanato nel 1992, prevede una serie di misure parametriche sottrattiva e sul pilastro
pubblico volte a:
- Migliorare la sostenibilità economico- nanziaria
- Avviare una prima armonizzazione normativa e di trattamento tra le diverse categorie professionali,
specialmente tra dipendenti pubblici e privati
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I 2 obiettivi vengono perseguiti con l'innalzamento di 5 anni dell'età pensionabile e l'eliminazione delle baby
pensioni, oltre che con l'estensione del periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione pensionabile in
modo da rendere meno generose le prestazioni future. Viene modi cato il meccanismo di indicizzazione delle
pensioni, che non saranno più rivalutati in base all'aumento delle retribuzioni bensì agganciate all'in azione,
andando così a intaccare anche la ricchezza previdenziale di lavoratori già in pensione.
Il governo Amato de nisce, con il d. lgs. n. 124/1993, il primo framework regolativo per lo sviluppo dei
pilastri complementari in Italia. Le scelte di Amato prevedono che si possano costituire forme pensionistiche
complementari esclusivamente a capitalizzazione, che erogano prestazioni a contribuzione de nita. Il decreto
delinea 2 diversi tipi di fondi complementari:
1. I fondi pensione chiusi (o negoziali), che potranno essere creati tramite la contrattazione collettiva (a livello
di settore) e rappresentano forme di 2 pilastro caratterizzate dal ruolo centrale dei rappresentanti di
lavoratori e dei datori di lavoro nell'istituzione e nel controllo dei fondi stessi
2. I fondi aperti, concepiti inizialmente come forme residuali di 3 pilastro, istituiti e gestiti direttamente da
istituzioni nanziarie quali banche, assicurazioni e società di gestione del risparmio
Il problema principale di Amato consiste nel trovare le risorse economico- nanziarie per avviare la
transizione verso un sistema multipilastro. In Italia la ristrutturazione dell'architettura previdenziale viene
lanciata in condizioni diverse, per via del problema del doppio pagamento, e risorse disponibili limitate. Il
governo Amato decide di prevedere la possibilità di utilizzare il TFR per nanziare i fondi
complementari.Tramite un assetto decisionale di stampo neocorporativo (fondato sulla concentrazione
tripartita governo-sindacati-Con ndustria) si delinea una convergenza delle parti sociali riguardo
all'esclusione della trasferimento obbligatorio del TFR ai fondi a capitalizzazione. Da questo deriva uno dei
tratti caratteristici della previdenza complementare italiana: l’adesione sempre volontaria individuale a nuovi
fondi a capitalizzazione. La previdenza complementare è sì volontaria, ma i lavoratori entrati nel mercato del
lavoro dopo il 1 gennaio 1993 devono versare obbligatoriamente il TFR ai fondi pensione nel caso in cui
decidono di sottoscrivere un piano pensionistico. Le parti sociali consentono di trasferire, informa volontaria,
il TFR ai fondi a capitalizzazione purché sia previsto un quadro regolativo di favore per le forme
complementari occupazionali di 2 pilastro (fondi chiusi). Questi elementi innovativi non produrranno
immediatamente gli effetti desiderati, giacché nessuna forma pensionistica a capitalizzazione verrà istituita in
conformità alle nuove regole no alla revisione della cornice normativa nel 1995. Rispetto al pilastro pubblico, i
risultati attesi delle misure adottate sono signi cativi:
- Le regole riguardanti il calcolo delle prestazioni sono state armonizzate
- Si è avviata la graduale omogenizzazione di requisiti per accedere alle pensioni di anzianità tra dipendenti
pubblici e privati
- L'introduzione di lunghi periodi di transizione sia per l'innalzamento dell'età pensionabile, sia per
eliminazione delle pensioni baby, l'allungamento del periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione
pensionabile, sono il prezzo da pagare per ottenere il consenso dei sindacati
Questi elementi, condurranno ad ulteriori interventi di contenimento dei costi e armonizzazione delle regole
negli anni successivi. Dopo l'approvazione della riforma Amato l'INPS pubblica un rapporto nel quale si
evidenzia come lo schema per i lavoratori autonomi (artigiani) mostrano prospettive allarmanti, la situazione
è peggiorata dopo la riforma del 1990. Meno critica è la condizione del fondo pensioni per i lavoratori
dipendenti.Alla tornata elettorale del 1994 si registra la parziale ristrutturazione del sistema partitico e la
formazione di una maggioranza di centro-destra a sostegno del primo governo pienamente politico dopo i 2
gabinetti tecnici guidati da Amato e Ciampi. Silvio Berlusconi è nominato Presidente del Consiglio ed è
deciso a proseguire la linea di rigore scale intrapresa dai suoi predecessori. Con Lamberto Dini alla guida
del Ministro del Tesoro e Clemente Mastella al Lavoro viene istituita una commissione, presieduta da
Onorato castellino, per elaborare un progetto di riforma delle pensioni. Il pacchetto previdenziale presentato
nel 1994 mira al contenimento dei costi e al prolungamento dell'attività lavorativa nel breve periodo ed è
concentrato sul 3 provvedimenti principali:
1. Penalizzazione in caso di pensionamento per anzianità pari al 3% per ogni anno di anticipo rispetto
all'età pensionabile
2. Riduzione dell'aliquota di rendimento dal 2 all'1,75% per i lavoratori con più di 15 anni di Crowe di
contributi, in precedenza meno colpiti dalla riforma Amato
3. Nuovo meccanismo d’indicizzazione delle pensioni all'in azione programmata
Le misure scatenarono una protesta dei sindacati. L'accordo siglato il 1 dicembre 1994 tra governo e
sindacati prevede solo alcuni interventi temporanei, sancisce che entro il giugno 1995 dovrà essere approvata
una riforma organica/strutturale del sistema pensionistico altrimenti le aliquote contributive dovranno essere
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elevate per decreto. Il 22 dicembre Silvio Berlusconi rassegna le dimissioni, concludendo la sua prima
esperienza politica con una scon tta sul terreno delle pensioni.
Dopo le dimissioni di Berlusconi, il Presidente della Repubblica Scalfaro opta per non indire nuove elezioni
anticipate. L'instabilità politica ha provocato una forte svalutazione della lira, richiedendo un’intervento da
parte del governo. La palla passa così nelle mani del Presidente del Consiglio Lamberto Dini, ex ministro del
Tesoro del governo Berlusconi e ora a capo, di un gabinetto sostenuto in parlamento dai partiti di centro-
sinistra della Lega Nord. Il nuovo governo è concepito per rimanere in carica in tempo necessario ad
adottare alcune misure urgenti. La riforma delle pensioni è già prevista dall'accordo tra governo Berlusconi e
sindacati del 1994. Il provvedimento di riforma viene elaborato tramite un processo di concentrazione
tripartita tra governo, parti sociali, che si snoda per circa 3 mesi no all’accordo dell'8 maggio 1995.
L'accordo non viene siglato da Con ndustria che lamenta l'approccio troppo graduale nel piano di riforma
diretto a stabilizzare la spesa pensionistica in rapporto al Pil nel medio-lungo periodo. Presentato alla camera
dei deputati dal 17 maggio, il disegno di legge procede con un Iter parlamentare spedito e viene approvato il 4
agosto ( l. n. 335/1995)
La trasformazione del 1 pilastro rappresenta un rivoluzione nella tutela pubblica della vecchiaia per le
categorie professionali coinvolte (lavoratori pubblici e privati, le tre categorie di lavoratori autonomi assicurati
presso l’Inps). La logica del 1 pilastro viene cambiata con il passaggio ad un sistema di tipo contributivo. Il 1
pilastro rimane a ripartizione, ma il metodo contributivo presuppone la de nizione di una determinato livello
di contribuzione sulla base della quale vengono calcolate le prestazioni pensionistiche che possono variare
secondo alcuni parametri. Le pensioni quindi ri ettono soltanto la durata della contribuzione ma anche
l'effettivo ammontare dei contributi versati, questo mette in evidenza come l'adozione del sistema
contributivo miri a rafforzare il nesso a livello individuale tra contributi versati/prestazioni. Il nuovo metodo
agisce anche in altre 2 direzioni:
1. Il superamento delle disparità di trattamento. L'applicazione del metodo contributivo alle gestioni per i
dipendenti pubblici e privati e alle tre gestioni per i lavoratori autonomi rende omogenei il trattamento
previdenziale
2. Il contenimento dei costi. Il metodo contributivo, scarica sugli assicurati i costi di eventuali dinamiche
sfavorevoli rafforzando la stabilità e la sostenibilità nanziaria del sistema. Il sistema contributivo
permette un contenimento della spesa nel medio-lungo periodo per effetto della riduzione delle
prestazioni pensionistiche
2 elementi sono diretti a favorire il prolungamento dell'attività lavorativa:
1. Gli incentivi a differire il pensionamento impliciti nel sistema contributivo, per via del valore crescente di
coef cienti di trasformazione in relazione all'età effettiva di quiescenza
2. L'innalzamento del requisito contributivo per l'accesso alle pensioni di anzianità, con il passaggio da 35 a
40 anni entro il 2008. Viene prevista, nel periodo di transizione, la possibilità di accedere al
pensionamento per anzianità combinando requisito contributivo (35 anni) ed età anagra ca (crescente da
52 anni a 57 nel 2006)
Tra i provvedimenti volti a migliorare l'adattamento delle regole previdenziali sono da ricordare:
- L'estensione dell'assicurazione obbligatoria ai lavoratori parasubordinati con la creazione di una nuova
gestione separata presso l'INPS
- L'introduzione dei crediti contributivi, a carico della scalità generale, versati nelle casse pensionistiche per
i periodi di disoccupazione/non occupazione per attività di cura dei gli/di persone non-autosuf cienti
- La riduzione a 5 anni del periodo contributivo minimo per avere diritto a una pensione di vecchiaia
La riforma prevede la sostituzione della pensione sociale e dell'integrazione al minimo con una nuova
prestazione means-tested (l'assegno sociale) per tutti i cittadini sopra i 65 anni . Sul piano dell'intergenerazionale
la riforma è stata meno virtuosa, producendo una frattura tra diversi corti di lavoratori. Il sistema
contributivo sarà pienamente a regime soltanto attorno al 2035.
Il governo Dini ha cercato di compensare le giovani generazioni per la riduzione del livello di protezione
garantito dalla 1 pilastro, quanto l'inserimento della l. n. 335/1995 a favorire il decollo della previdenza
complementare. Sul versante tributario la misura più importante è rappresentata dal passaggio da un regime
di detraibilità a uno di deducibilità dei contributi versati dai lavoratori no alle 2% del reddito entro il limite
assoluto di 2,5 milioni. Per quanto riguarda la copertura, la riforma estende la possibilità di adesione ai fondi
pensione complementare anche ai soci-lavoratori di corporative, lo scopo di agevolare la diffusione della
previdenza integrativa nel comparto pubblico, viene sancito il passaggio al regime di TFR per i dipendenti
statali contrattualizzati assunti dopo il 1996.

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Quanto alla concorrenza tra le diverse forme pensionistiche complementari, viene introdotta la possibilità di
adesione collettiva ai fondi aperti è consentito il trasferimento della propria posizione di eventuale a questi
stessi fondi dopo 3 anni di di permanenza nel fondo negoziale, pur con la rinuncia, in questo caso, il
contributo del datore di lavoro alla quota di TFR. Gli anni successivi a questi provvedimenti sottrattivi sono
stati contrassegnati dall'istituzione di alcune commissioni per l'analisi degli effetti delle riforme e la
elaborazione di previsioni per il futuro:
- Il primo passaggio dopo le elezioni del 1996 con la nomina della commissione per l'analisi delle
compatibilità macroeconomiche della spesa sociale presieduta dal prof. Onofri, cui seguono la riforma
Prodi nel 1997 e un intervento nel settore della previdenza complementare nel 2000
- La seconda tappa, e invece dopo le elezioni del 2001
La commissione Onofri viene nominata dal governo Prodi dopo la vittoria dell'Ulivo alle elezioni del 1996 e
la costituzione di un gabinetto che può contare sul sostegno della coalizione di centro-sinistra. Nel settore
pensionistico la commissione evidenza:
- Nel periodo 1997-2017 la spesa è prevista di aumentare di circa 1,5 punti percentuali sul Pil
- Le prospettive per il lungo periodo vedono una stabilizzazione del rapporto tra spesa pensionistica e Pil in
virtù dell'impianto della riforma Dini
Il 23 dicembre la cosiddetta riforma Prodi viene eliminata dal parlamento con la legge nanziaria (l. n.
449/1997). Sul fronte delle entrate si procede ad elevare le aliquote contributive per i lavoratori autonomi e i
parasubordinati rispettivamente dal 19 al 20%. Le misure di riforma Prodi sono immediatamente ef caci e
consentono di incidere sulle dinamiche di spesa nel breve-medio periodo (garantendo un risparmio attorno
allo 0,2% del Pil per il 1998). Si modi ca il regime scale, elevando il 12% del reddito complessivo entro il
limite assoluto di 5,164 € la soglia di deducibilità dei contributi versati dai lavoratori. La norma incide sul
modello di previdenza complementare originariamente delineato dal d. lgs. n. 124/1993 tramite 2 diversi
interventi:
1. L'ampliamento dell'offerta nel terzo pilastro con l'introduzione dei cosiddetti PIP, forme pensionistiche
individuali attuate mediante polizze di assicurazione
2. L'estensione delle agevolazioni scali a tutte le forme pensionistiche complementari, compresi quindi i
fondi pensione aperti e gli stessi PIP
Il provvedimento è rilevante per 2 ragioni:
- Contribuisce ad alterare in modo sostanziale l'originario impianto della previdenza complementare, che
prevedeva un ruolo sovraordinato per i fondi negoziali di 2 pilastro: armonizzando le regole per le varie
forme pensionistiche, favorendo una competizione tra le istituzioni di 2 pilastro (i fondi chiusi) e quello di 3
(PIP e fondi aperti).
- Incrementa le risorse destinate alla previdenza complementare, con la de nizione di un trattamento scale
più favorevole e quindi più ef cace nel sostenere sviluppo dei pilastri a capitalizzazione
Le elezioni politiche del 2001 vedono la formazione del centro-destra, che dà vita ad una coalizione di
governo più compatta, formata da una maggioranza parlamentare:
- Silvio Berlusconi è nominato Presidente del Consiglio per la seconda volta
- Roberto Maroni della Lega Nord è chiamato a dirigere il Ministero del Welfare
Nel 2001-2002 Maroni istituisce 2 commissioni per l'analisi del settore previdenziale è la formulazione di
proposte di intervento:
1. È af data al sottosegretario Brambilla
2. Viene presieduta dall'economista Cazzola
Entrambe le commissioni effettuano una ricognizione del sistema pensionistico dopo le riforme, mettendo in
evidenza i risultati e le criticità rimaste: si può affermare che le riforme degli anni ’90 hanno evitato il collasso
del sistema agendo su 2 versanti:
- Sostenibilità nanziaria e contenimento dei costi.
- Armonizzazione normativa e parità di trattamento intragenerazionale
La spesa economica degli anziani dovrebbe aumentare. Le commissioni:
- Breve periodo: rimangono le criticità riguardanti i trend di spesa e le disparità di trattamento delle diverse
categorie occupazionali. La commissione Brambilla sottolinea che il de cit delle gestioni obbligatorie (cioè
il saldo annuo tra spese per prestazione e contribuzioni) si mantiene su livelli elevati
- Lungo periodo: pare opportuno intraprendere azioni volte a garantire prestazioni pensionistiche adeguate
per le generazioni future cui si applicherà integralmente il metodo contributivo. Così ritorna al centro la
questione dell'adeguatezza del sistema pensionistico nel suo complesso, e del problema dell'equo
trattamento delle diverse generazioni/coorti
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Questa comprensione delle pensioni di primo pilastro investe i lavoratori più giovani.
I dati elaborati dalla commissione Cazzola:
- Mostrano come il tasso di sostituzione (che esprime il rapporto percentuale tra la pensione lorda al
momento del pensionamento e l'ultima retribuzione lorda percepita) rimanga invariato no al 2010,15
anni dopo l'adozione della riforma, per poi diminuire in 20 anni, no a rimpiazzare poco meno del 50%
dell'ultima retribuzione nel 2030 (in caso di pensionamento a 60 con 35 di contribuzione). Suggerisce
dunque 2 strategie per compensare la diminuzione del tasso di sostituzione e garantire pensioni di livello
adeguato anche in futuro:
1. Il prolungamento dell'attività lavorativa, che nel sistema contributivo si traduce in un maggior importo
della pensione
2. L'integrazione delle pensioni pubbliche con prestazioni complementari erogate dai fondi di secondo e
terzo pilastro a capitalizzazione
Le riforme hanno avviato una ricon gurazione complessiva dell'architettura previdenziale verso un sistema
multipilastro per cui, lo sviluppo della previdenza complementare è importante al ne di garantire pensioni
adeguate nei decenni futuri. Il primo fondo pensioni è divenuto operativo solo nel 1998. Mette in evidenza
che il quadro della previdenza complementare è molto più complicato di quanto dimostri, individuando che i
fattori che hanno precluso l'accesso alla maggior parte dei lavoratori. Al contrario, dove tali fondi sono
operativi il tasso di adesione dei dipendenti privati è più incoraggiante: 32,6%. Vi è una buona capacità di
attrazione dei fondi negoziali nelle grandi imprese rispetto alle piccole aziende. La situazione è più de citaria
per il lavoratori autonomi, tra i quali si contano 216.000 iscritti alle varie forme pensionistiche
complementari su circa 6 milioni di lavoratori indipendenti.I dipendenti pubblici rappresentano una realtà di
circa 3,6 milioni di occupati per i quali no alla ne del 2000 è rimasta preclusa la possibilità di integrazione
delle riduzioni della previdenza pubblica. L’ultimo punto che la commissione mette in evidenza il basso tasso
di adesione dei giovani, che dovrebbero essere quelli maggiormente interessati coinvolti per la prevista
riduzione del livello delle prestazioni pubbliche nei decenni futuri.
Le questioni sollevate dalle commissioni verranno affrontate tra il 2002 e 2007 in un quadro mutato, sia sul
fronte economico- nanziaria che su quello politico, rispetto alla fase delle riforme dell'emergenza. Da qui si
iniziano a raccogliere i frutti del risanamento nanziario, con livelli modesti di de cit in rapporto al Pil e una
diminuzione del debito pubblico ( no al 2005). A questo si accompagnano le tendenze positive per quanto
riguarda l'occupazione e la disoccupazione, almeno no al 2001. Sul fronte politico, l'Italia sembra avviata
verso una democrazia dell'alternanza di tipo (quasi) maggioritario, caratterizzata da un sistema partitico
frammentato e strutturato da una con gurazione bipolare. La principale dinamica competitiva coinvolge solo
2 coalizioni:
1. Quella di centro-destra, organizzata attorno a Forza Italia e al suo leader Silvio Berlusconi
2. E quella di centro-sinistra concentrata sul raggruppamento dell'Ulivo (poi Unione)
Tale alternanza e dinamica competitiva si ri ettono nell'area pensionistica, traducendosi in riforme, che
includono misure espansive accanto a quelle estrattive.
Nel 2001 vi sono 2 questioni fondamentali:
1. Il previsto incremento della spesa breve-medio termine, per via di un'età media di pensionamento
attorno ai 60. Agendo sia sul versante delle entrate sia su quello delle uscite, contribuirebbe alla
sostenibilità degli schemi di primo pilastro nella fase di transizione al sistema contributivo.
2. L'adeguatezza delle prestazioni per le generazioni più giovani. La necessità di garantire una tutela
suf ciente
Il piano di riforma contenuta nel disegno di legge delega presentato dal governo alle Camere dei deputati nel
2001 mira ad indurre un mutamento istituzionale del sistema previdenziale italiano attraverso una
ride nizione dei pesi. Le misure cruciali sono 2:
- La riduzione del prelievo contributivo nel primo pilastro per i nuovi assunti
- Il trasferimento obbligatorio del TFR
Per quanto riguarda l'innalzamento dell'età di pensionamento in governo intende agire tramite la
liberalizzazione del limite superiore dell'età pensionabile (65 anni), introduzione di incentivi per quei
lavoratori che, pur avendo raggiunto il requisito, decidono di posticipare il pensionamento, e l'eliminazione
del divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro. Rispetto alla previdenza complementare, in una prima
fase CGIL, CISL, UIL, contestano la proposta di trasferimento obbligatorio del TFR, accusando il governo
di esporre i lavoratori ai rischi derivanti dall'investimento delle risorse dei fondi a capitalizzazione, a fronte
del rendimento garantito dal TFR. In seguito, Con ndustria e altri attori sociali si uniscono ai sindacati e
fanno fronte contro la protesta del governo, sostenuto dalle associazioni di rappresentanza del settore
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assicurativo (ANIA) e bancario (ABI). Dopo una prima approvazione del disegno di legge da parte della
Camera dei deputati, le forti resistenze delle parti sociali inducono il governo a riconsiderare l'intervento,
eliminando le misure più strane:
- La decontribuzione per i nuovi entranti nel mercato del lavoro viene eliminata
- Le norme sul TFR e pensioni di anzianità vengono riviste
La riforma è approvata in via de nitiva nel 2004, con l'esecutivo costretto a ricorrere al voto di ducia per
garantirsi l'adozione del provvedimento. La l. delega n. 243/2004 riforma Maroni-Tremonti mantiene solo
alcune delle misure previste dal disegno di legge originario:
Per il primo pilastro, la riforma, è una versione simile del grand plan originario e prevede aggiustamenti
parametrici nalizzati a prolungare la permanenza nel mercato del lavoro degli occupati i più anziani. A
breve termine (2004-2007), sono previsti incentivi per il rinvio del pensionamento e una volta conseguito il
requisito minimo per accedervi, che consistono nel versamento di tutti i contributi in busta paga. Misure più
vincolanti vengono introdotte per il periodo successivo, con l'innalzamento di 3 anni (da 57 a 60) del requisito
anagra co per accedere alle pensioni di anzianità in combinazione con il requisito contributivo di 35 anni a
partire dal 1 gennaio 2008. Si tratta di quello che viene de nito scalone Maroni, per indicare il brusco
irrigidimento delle condizioni di accesso in una sola notte, tra il 31 dicembre 2007 il 1 gennaio 2008.
Con effetto nel medio-lungo periodo, viene abolita l'età pensionabile essibile, introdotta dalla riforma Dini
per i lavoratori soggetti al sistema contributivo, e reintrodotta l'età di pensionamento ssa e differenziata per
sesso (65 anni per gli uomini 60 per le donne). Gli anni di contribuzione necessari per accedere alle
prestazioni rimangono 5. Per quanto riguarda la previdenza complementare, alla ne del 2005, il governo
approva il testo unico che innova la disciplina di settore. Come già previsto nel d.lgs. n. 252/2005 l'originario
trasferimento obbligatorio del TFR ai fondi di pensione è convertito in un meccanismo di silenzio-assenso: la
cui implementazione viene rimandata a gennaio 2008. A partire dal 1 gennaio 2008 i lavoratori dipendenti
privati avranno 6 mesi per decidere la destinazione del TFR, nel caso rimangano silenti quest'ultimo
con uirà al fondo complementare collettivo (tipicamente un fondo chiuso) di riferimento. Il testo del decreto
si fonda su un compromesso tra il Ministro del Welfare Maroni (Lega Nord), favorevole alla costruzione di un
2 pilastro occupazionale attraverso il trasferimento del TFR in via prioritaria i fondi chiusi, e i Ministri di
Forza Italia, più ricettivi nei confronti delle pressioni provenienti dalle istituzioni nanziarie che gestiscono
fondi aperti e PIP.
Il d.lgs. n. 252/2005 contiene interventi nalizzati a favorire la concorrenza tra le varie forme pensionistiche
integrative attraverso l'armonizzazione della disciplina per i fondi di pensione (aperti e chiusi) e per i PIP, a
sostenere lo sviluppo della previdenza a capitalizzazione. Sul fronte della concorrenza tra le diverse forme
pensionistiche viene stabilito che i lavoratori possono decidere di versare il TFR indifferentemente ai fondi
pensione negoziali, a quelli aperti ovvero ai PIP, E che la posizione individuale possa essere trasferita da una
forma integrativa all'altra dopo soli due anni di iscrizione, rendendo così più agevole la porti abilità dei
contributi.Una posizione privilegiata per i fondi negoziali viene però mantenuta su 2 importanti aspetti:
- Nel caso di silenzio da parte del lavoratore si prevede il trasferimento del TFR alla forma pensionistica
collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo sia intervenuto un diverso
accordo aziendale (d.lgs. n. 252/2005 art. 8)
- La portabilità del contributo del datore di lavoro nel caso di trasferimento da un fondo negoziale ad altra
forma pensionistica è ammessa solo nei casi in cui ciò è consentito dal regolamento
Allo scopo di favorire lo sviluppo del settore, vengono introdotte più agevolazioni scali con riferimento alla
fase di contribuzione.
Nel Secondo governo guidato da Romano e Prodi, vengono adottati 2 provvedimenti di riforma sia del
pilastro pubblico sia del sistema di previdenza complementare. In entrambe le misure incluse nella riforma
Damiano, dal nome del ministro del Welfare in quota Partito Democratico, vanno ad apportare modi che
all'assetto emerso dalle riforme del 2004-2005. La l. n. 247/2007 interviene sugli schemi di previdenza
obbligatoria mirando a modi care alcune misure, giudicate inique, della riforma Maroni-Tremonti.
La revisione delle nuove condizioni di accesso alle pensioni di anzianità (scalone Maroni) rappresenta il cuore
del provvedimento. Si accompagnano l'incremento delle pensioni più basse e 2 misure nalizzate a favorire
l'adattamento delle regole previdenziali al nuovo mercato del lavoro post-industriale, caratterizzato da una
quota crescente di lavori atipici e della diffusione di carriere frammentate. La riforma prevede
l'irrobustimento della tutela per i parasubordinati con l'aumento delle aliquote di nanziamento e di computo
nella Gestione separata dell'INPS, avvicinandole a quelle vigenti per i dipendenti pubblici e privati. La
norma rende più agevole la totalizzazione dei contributi versati a 2/più gestioni pensionistiche, a favore dei
lavoratori con carriere discontinue.
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La riforma include misure volte al controllo delle dinamiche di spesa e al rafforzamento del legame
contributi-prestazioni nel sistema contributivo:
- Il governo Prodi interviene sul tema della revisione dei coef cienti di trasformazione (da cui dipende il
valore delle pensioni nel sistema contributivo) disponendo alla riduzione degli stessi a partire dal 2010 in
base ai nuovi dati demogra ci ed economici
- Per quanto riguarda la revisione dei coef cienti, l'esecutivo di centro-sinistra non si limita ad ottemperare a
quanto previsto dalla l. n. 335/1995, apportando anche due modi ca la procedura:
1. La revisione decennale prevista dalla riforma Dini viene rimpiazzata da una revisione triennale
2. Viene eliminato l'obbligo di consultazione delle parti sociali: l'adeguamento dei coef cienti diviene
materia interministeriale, gestita dal ministero del lavoro di concerto con quello dell'economia e delle
nanze
Sul fronte della previdenza complementare l'attività del nuovo esecutivo si concentra sulla revisione del d. lgs.
n. 252/2005 con l'obiettivo di anticipare l'implementazione del meccanismo del silenzio assenso (Maroni-
Tremonti). L'intervento del governo sui pilastri capitalizzazione avviene in 2 passaggi e apporta modi che al
meccanismo del silenzio assenso e ai tempi d’implementazione dello stesso:
- L'anticipo dell'implicazione del silenzio assenso viene sancito tramite decreto legge nel 2006 (d. l.
279/2006), poi inserito nella nanziaria 2007 (l. n. 296/2006), che contiene anche norme che comportano
una revisione del d. lgs. n. 252/2005.
Vengono delineati 2 percorsi nel caso di manifestazione esplicita della volontà della lavoratore di tenere il
TFR maturando in azienda:
- Nelle imprese sotto i 50 addetti, il TFR rimane presso l’azienda
- Nelle imprese con almeno 50 dipendenti il TFR viene trasferita ad un fondo di tesoriera, gestito dall'INPS,
che dovrà garantire condizioni analoghe a quelle previste per lo stesso TFR
La combinazione di questi interventi espansivi con quelli restrittivi sui coef cienti di trasformazione indica
che il governo Prodi ha seguito il modello distributivo delineatosi n agli anni ’90, fondato su una tutela dei
lavoratori più anziani nel breve periodo, con lo spostamento dei costi sulle giovani generazioni nei termini del
mantenimento di elevati aliquote contributive e di pensioni di importo modesto in futuro. Gli incrementi
selettivi delle pensioni più basse mostrano come la politica pensionistica del governo Prodi abbia mirato
anche al rafforzamento dei ussi redistributive degli schemi assistenziali per anziani poveri
Tra il 2009-2011 c'è una nuova crisi multidimensionale, simile a quella degli anni ’90, in cui si collocano 2
provvedimenti, sul primo 1 pensionistico:
1. Sul fronte economico- nanziario ci sono condizioni di dif coltà connesse alla crisi globale del periodo
2007-2009. La crisi economica va ad incidere su una situazione già compromessa sul piano della crescita.
La crisi pone inoltre ne ai positivi trend occupazionali registrati n dai primi anni 2000
2. Le dif coltà sul fronte politico-istituzionale sono ancora connesse al progressivo sfaldarsi della
maggioranza parlamentare a sostegno del Berlusconi IV
Si giunge alle dimissioni del governo Berlusconi, il quale diviene un gabinetto tecnico sotto la direzione
dell'economista Mario Monti, e sostenuto da PD, PDL, UDC. A partire dal 2010, lo scoppio della crisi greca
e del debito sovrano spinge l'Italia verso una nuova fase recessiva, che pone i governi italiani di fronte ad un
nuovo vincolo esterno. I nuovi interventi nel settore pensionistico sono indotti da pressioni internazionali e
sovranazionali. Entrambi i governi Berlusconi e Monti si trovano ad operare nel quadro di un rinnovato
vincolo esterno, derivante dall'interazione tra i parametri di bilancio europei e i mercati nanziari.
L'Italia è investita da dinamiche sfavorevoli dei mercati nanziari, con il conseguente incremento del
differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi (spread):
- Da un lato, una procedura rafforzata di sorveglianza scale da parte della commissione europea che nel
2009 ha aperto la procedura d’infrazione per de cit eccessivo contro l’Italia
- Dall'altro la Banca centrale europea, è intervenuta nel policy making domestico in campo pensionistico e
non solo
Entrambe le azioni hanno richiesto i governi italiani di riformare il sistema pensionistico tramite ulteriori
misure sottrattive di emergenza. Il primo provvedimento di riforma adottato nel 2009 rappresenta una
reazione alla crisi economica, anche nella risposta del governo Berlusconi alla pressione diretta e de facto non
derogabile da parte della Corte Europea di giustizia, che con sentenza del 13 novembre 2008 ravvisa nella
diversità età legale di pensionamento nel comparto del pubblico impiego (65 uomini, 60 donne) una
discriminazione a danno dei lavoratori maschi, con l'obbligo per l'Italia di eliminare la fonte di
discriminazione. Il ministro della funzione pubblica Brunetta, coglie l'occasione per puntare a un intervento
di riduzione della spesa tramite l'equiparazione dell'età pensionabile per le donne ai 65 anni vigenti per gli
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uomini. Queste coalizioni di attori provocano spaccature all'interno dei partiti e mandano in frantumi l'unità
sindacale (tra il ministro Brunetta e il responsabile della previdenza sociale Sacconi), si prevede la graduale
armonizzazione dell'età pensionabile no a raggiungere i 65 anni per le donne nel 2018. Il provvedimento
viene incluso nel primo pacchetto anticrisi del 2009 (la cosiddetta riforma sacconi 1). Con lo scoppio della
crisi greca e la pressione dei mercati nanziari sui paesi deboli dell'eurozona, la commissione europea impone
all'Italia di elevare l'età pensionabile a 65 anni per le donne impiegate nel comparto pubblico già a partire dal
2012: riforma sacconi 2. Nel settore privato rimane un'età pensionabile differenziata. I primi 2 pacchetti
anticrisi del 2009-2010 prevedono ulteriori interventi sottrattivi volti di rafforzare i meccanismi automatici di
contenimento della spesa previdenziale. Alla strumentazione prevista dalla riforma Dini:
- Rivalutazione dei contributi in base alla crescita del Pil
- Revisione dei coef cienti per il calcolo delle pensioni in relazione agli andamenti demogra ci
- Si aggiunge dal 2015, l'adeguamento automatico dei requisiti di accesso al pensionamento di vecchiaia, in
base alla variazione dell'aspettativa di vita.
Il secondo pacchetto anticrisi rende poi operativo il meccanismo, che avrebbe dovuto avviarsi nel 2015. Nelle
stime del governo la procedura avrebbe dovuto determinare un’inasprimento dei requisiti di circa 3,5 anni
nel 2050. Su questo assetto è andato ad incidere la riforma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
Elsa Fornero del governo Monti, inclusa nel decreto Salva Italia, la riforma Fornero-monti ha mirato a
accentuare le condizioni di accesso al pensionamento nel breve-medio periodo sulla base:
- Graduale armonizzazione, entro il 2018, dell'età pensionabile per le donne impiegate nel settore privato
alle altre categorie
- Revisione del meccanismo di adeguamento automatico dell'età pensionabile all'aspettativa di vita, con
primo incremento sso di 3 mesi anticipato al 2013, e successivi adeguamenti e triennale no al 2019 e
biennale in seguito
- Età pensionabile pari ad almeno 67 anni nel 2021
- Eliminazione nel periodo di attesa delle prestazioni pensionistiche, dopo il raggiungimento dei requisiti
( nestre mobili)
La riforma ha disposto una serie di condizioni aggiuntive per accedere alla pensione di vecchiaia:
- È stata introdotta la possibilità di pensionamento posticipato a 70 anni , è stato esteso da 5 a 20 il periodo
minimo di contribuzione
- Al ne di mantenere un adeguato livello delle pensioni pubbliche nel sistema contributivo, è stato disposto
che il pensionamento sia consentito prima dei 70 anni solo se l'importo della prestazione è almeno pari a
1,5 volte il valore dell'assegno sociale
- Con l'istituzione della pensione anticipata a 63 anni è stata di fatto reintrodotta un'età pensionabile
essibile tra i 63-70 anni
- Il pensionamento anticipato a 63 anni è possibile solo per i lavoratori integralmente soggetti a sistema
contributivo, soltanto nel caso in cui l'importo della prestazione mensile sia almeno pari a 2,8 volte
l'assegno sociale
- Nel caso invece dei lavoratori soggetti al sistema contributivo pro rata, nel breve periodo, la nuova
pensione anticipata ha reso più stringenti le condizioni di pensionamento con il solo requisito anagra co:
42 anni + un mese di contributi (41 e un mese le donne) sono richiesti nel 2012, con riduzione delle
prestazioni in caso di quiescenza prima dei 62 anni. Tutti i requisiti anagra ci/contributivi sono agganciati
automaticamente all'andamento dell'aspettativa di vita
La riforma ha previsto 2 interventi sull'importo e il calcolo delle prestazioni:
- La novità più rilevante, è rappresentata dall'accelerazione dell'entrata in vigore del nuovo sistema
contributivo con l'applicazione, a partire dal 2012, del nuovo metodo di calcolo pro-rata alle corti di
lavoratori precedentemente esentate e ancora soggetti integralmente al sistema retributivo. Allo scopo di
contenere la spesa a breve termine, è stata congelata la rivalutazione per il 2012-2013 e dei trattamenti
pensionistici superiore ai 1400 euro/mese lordi, un provvedimento che ha suscitato critiche
Le misure parametriche sottrattiva incluse nei 3 successivi pacchetti anticrisi (ispirati al rigore e alla austerità
scale perseguita dei governi Berlusconi IV e Monti) hanno riguardato le condizioni di accesso al
pensionamento e il calcolo delle prestazioni. Gli interventi del 2009-2011 hanno avuto come obiettivo
principale la riduzione dei costi a breve termine, accelerando l'entrata a regime.
C'è una nuova traiettoria di polizza a carattere espansivo che si è aperta con la riforma Poletti-Renzi
(adottata nel 2016) ed è poi proseguita con il d.d.l n. 4/2019, che delinea la nuova riforma delle pensioni
disegnate dal governo M52-Lega. Le 3 riforme sono una risposta alle misure di contenimento della spesa
attuate durante la crisi del debito sovrano 2010-2012. Queste hanno reso molto più severe le condizioni di
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accesso al pensionamento nel breve periodo. Le riforme della quarta ondata combinano misure volte ad
ammorbidire i criteri di accesso al pensionamento con interventi di sostegno ai pensionati a basso reddito:
marcano una discontinuità con i provvedimenti delle prime 3 ondate (1992-2011), segnando un ritorno ad
una politica pensionistica espansiva, promossa da dinamiche di competizione politico-elettorale domestica.
La riforma viene disegnata dal ministro del Lavoro del governo Renzi, in carica dal 2014 e a guida Partito
Democratico:
- L'anticipo nanziario a garanzia pensionistica (APE) consente di ricevere un’indennità in anticipo no a 3
anni/7 mesi rispetto all'età pensionabile ( no al 2019) a 66 anni/7 mesi. Si tratta di un prestito corrisposto
da una banca in 12 mensilità annue (è coperto da un'assicurazione contro il rischio di premorienza) no
alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia. A questo punto il pensionato inizia a restituire il
prestito ricevuto, con rate mensili e per una durata di 20 anni. Più innovativa, la versione sociale dell'APE
prevede la possibilità di richiedere, a 63 anni, un’indennità pari al valore della pensione (entro un massimo
di 1500 € mensili) da parte di alcune categorie di lavoratori svantaggiati con almeno 30 anni di contributi:
- Disoccupati che dal almeno 3 mesi abbiano esaurito integralmente la prestazione per disoccupazione
- Individui con invalidità almeno pari al 74%
- Si aggiungono i lavoratori, con almeno 36 anni di contributi, che da almeno 6 anni svolgono mansioni
considerate gravose
Gli interventi solidaristici riguardano anche il valore delle prestazioni e il reddito pensionistico dell'individui
già in quiescenza:
- L'importo della 14ª di pensione, estende quest'ultima a circa 1,2 milioni di pensionati percettori di assegni
no a 2 volte il minimo ed eleva a 8000 € la no-tax area per i pensionati sotto i 75 anni
Per quanto riguarda la previdenza complementare, il provvedimento sancisce che, i lavoratori che
accederanno all’APE potranno richiedere l'erogazione delle prestazioni complementari a contribuzione
de nita in forma di rendita integrativa temporanea anticipata (RITA). Più importante (nel settore
pensionistico italiano) è che diverse misure mettono in discussione l'idea che un sistema pensionistico equo
debba prevedere regole uguali per tutti. Tale idea è divenuta dominante nel dibattito previdenziale italiano
n dalla metà degli anni ’90. In contrasto, la riforma declina l'equità in senso sostanziale, aprendo al
riconoscimento del principio che i lavoratori non sono tutti uguali. 2 sono le s de che vengono messe nel
mirino della riforma con nalità equitativa:
1. Le condizioni di accesso al pensionamento, sia per la capacità di assorbimento di manodopera da parte
del mercato del lavoro ancora non è piena salute, sia per il pro lo di alcune categorie di lavoratori gure
professionali, da cui l'introduzione dell'APE sociale e delle misure per lavoratori precoci impegnati in
mansioni usuranti
2. La seconda mira a correggere la locazione delle risorse per le attuali pensionati, tramite misure di
sostegno ai percettori di di prestazioni modeste, quali irrobustimento ed estensione della 14ª e
innalzamento della no-tax area
I trend mostrano che all'incremento dell'occupazione dei lavoratori anziani c’è il rapido incremento dei
disoccupati over 50.
Nel 2019 viene licenziata la riforma delle pensioni Di Maio-Salvini, presenta misure volte ad ammorbidire i
criteri di accesso al pensionamento e interventi di sostegno ai pensionati a basso reddito.
La riforma di Maio-Salvini include diversi provvedimenti:
- Quota 100: consente il pensionamento prima del raggiungimento sia dell'età pensionabile (67 anni), sia del
periodo contributivo minimo per la pensione anticipata, in caso di soddisfacimento della quota 100,
calcolata come somma degli anni di età (minimo 62 anni) e di anzianità contributiva (minimo 38). Non è
agganciata alle dinamiche demogra che, diversamente dall'età pensionabile collegata alle variazioni
nell'aspettativa di vita. La riforma sospende, no al 2026, il medesimo collegamento automatico del
requisito contributivo per la pensione anticipata ai cambiamenti dell'aspettativa di vita: tale requisito
rimarrà sso
- La pensione di cittadinanza: è volto a contrastare la povertà nella fase di pensionamento tramite
l'erogazione di una prestazione assistenziale (con prova dei mezzi) a tutti coloro che hanno superato i 67
anni, risiedono in Italia da almeno 10 anni e si trovano in condizioni di dif coltà economica. Tale
prestazione è ssata a 630 euro/mese cui si aggiungono 150 € di contributo per l'af tto, per un totale di
780 € mensili
La riforma rappresenta il 3 provvedimento espansivo dopo i precedenti del 2016 e del 2018, comporta una
previsione di incremento della spesa pensionistica nei prossimi anni. Quota 100 e pensione di cittadinanza
mirano ad affrontare 2 criticità che riguardano:
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- Sia le dif coltà di una schiera più ampie di lavoratori prossimi al pensionamento ai quali si sono scaricate
le conseguenze negative del rapido incremento dell'età pensionabile
- Sia le condizioni economiche di una quota signi cativa di pensionati italiani
La pensione di cittadinanza è prevista a contribuire alla riduzione della quota di anziani che vivono in
condizioni precarie. D'altro canto, quota 100 dovrebbe migliorare le prospettive dei disoccupati di over 50,
che è andato ad ingrossarsi.
Per l'adozione degli interventi sottrattivi 2 fattori sembrano aver giocato un ruolo decisivo:
1. La combinazione di pressioni sovranazionali (U.E.) e internazionali (mercati nanziari) che, introducendo
un vincolo esterno non negoziabile, hanno determinato una forte spinta verso il superamento della
contraddittoria politica pensionistica degli anni ’80
Fino alla 3 fase 2009-2011, questo fattore ha rappresentato una condizione soltanto necessaria, ma non
suf ciente, per il successo dei progetti di riforma.
2. Una seconda condizione necessaria per l'approvazione dei progetti di riforma riguarda la capacità dei
governi di confezionare pacchetti distributivi accettabile dai sindacati, i principali attori di veto in Italia
sulla scena della politica previdenziale. Sul punto è indicativo il confronto tra il fallimento del piano di
Berlusconi e la rapida approvazione della riforma Dini:
- Nel primo caso il governo, appoggiato da Con ndustria che premeva per un intervento incisivo nel breve
periodo, decise di attaccare sui punti rispetto ai quali i lavoratori erano più sensibili (le pensioni di
anzianità). La sensibilità dei sindacati era più viva su questi temi in ragione della ampia distribuzione degli
scritti delle 2 sigle confederali: tra gli scritti a CGIL e CISL emergeva una sovrarappresentazione dei
lavoratori più anziani e dei pensionati. Il progetto fallì perché mirava a conseguire la sostenibilità
nanziaria e il contenimento dei costi spese nel breve periodo senza offrire ai sindacati alcuna misura
compensatoria, come fece il governo Amato nel 1992.
Contrariamente a Berlusconi, Dini e il Ministro del Lavoro Treu tennero in grande considerazione le
richieste delle organizzazioni dei lavoratori nel processo di concertazione, i quali ottennero in cambio:
- La tutela delle prestazioni già in erogazione e di quelle per i lavoratori più anziani, non chiede le
condizioni di accesso al pensionamento per questi ultimi
- Un trattamento omogeneo delle diverse categorie professionali
- Il superamento della redistribuzione indotta dal precedente metodo retributivo a favore dei lavoratori con
carriere più dinamiche
Le riforme Maroni-Tremonti e Damiano mostrano che le misure approvate in aperto contrasto con gli
interessi sindacali (come lo scalone Maroni), rischiano di non essere durature. Specie nel contesto di una
competizione politica bipolare. I provvedimenti vengono adottati in un quadro caratterizzato da basse
capacità di resistenza sindacale, e in alcuni casi, come nel 2010, della quasi totale assenza di dibattito. Per le
misure adottate nel 2009-2010 questo è comprensibile alla luce della rottura del fronte sindacale sulla scena
pensionistica, a cui si aggiunge, la non derogabilità della sentenza della Corte Europea di giustizia. D'altra
parte, specie nel 2010-2011, le pressioni esterne dei mercati nanziari, si sono rafforzate al punto di indurre i
governi ad adottare misure di contenimento dei costi, e a de nirne i contenuti: come nel caso della riforma
Fornero-Monti, l'azione degli organi comunitari si è trasformata da pressione indiretta orientata a chiedere la
riforma del sistema pensionistico a ni di contenimento della spesa pubblica in una pressione diretta volta a
con gurare uno scambio condizionato (condizionalità) con il governo italiano e a incidere sul contenuto delle
riforme. Allo scopo di calmare la speculazione nanziaria sui titoli di Stato italiani, nel 2011 la BCE ha
inviato una lettera al governo Berlusconi con la quale chiedeva di adottare una serie di incisive riforme, tra
cui quella delle pensioni con riferimento alla eliminazione delle pensioni di anzianità. La BCE ha
accompagnato tale richiesta con la promessa di acquistare ingenti quote di titoli di debito italiano in cambio
dell'adozione delle riforme. Lo scambio condizionato si è perfezionato con la repentina approvazione della
riforma Fornero-Monti (decreto Salva Italia, a ne 2011) e il successivo intervento della sul mercato dei titoli
che ha consentito di arrestare le dinamiche speculative anche prima del lancio quantitative easing nel corso
del 2012. La riforma Poletti-Renzi mirava a riconquistare i consensi sul lato sinistro dello schieramento
politico, e come tale, è stata preceduta da una fase di confronto con le organizzazioni sindacali, durata circa 4
mesi e conclusasi con un verbale di intesa nel 2016 che tratteggiava le principali misure da adottare.
A quasi 3 decenni dal primo intervento sottrattiva del governo Amato, in primis è opportuno valutare il
processo di riforma del sistema pensionistico italiano rispetto a 2 obiettivi originari:
- Contenimento della spesa: se da un lato la spesa per pensioni rimane più elevata rispetto alla media
europea, dall'altro i vari interventi parametrici sono stati in grado di ridurre l'aumento previsto di spesa
- Armonizzazione di regole e trattamenti previdenziali
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Le riforme della prima fase di emergenza (Amato e Dini) hanno avuto maggiore ef cacia. Questi interventi
hanno diluito i costi nel medio-lungo periodo rispetto all'interventi adottati nel 2009-2011, disegnati per
essere incisivi a breve-medio termine. Per effetto delle riforme adottate, il sistema pensionistico italiano è
insostenibile, con un decremento previsto della spesa sul Pil di 1,5% no al 2025 (pur a fronte del rapido
invecchiamento demogra co e dal prossimo pensionamento della generazione), un successivo aumento no al
picco del 15,8% attorno al 2035-2040, cui segue una lieve diminuzione con la piena entrata a regime del
metodo contributivo. Il ragionamento su armonizzazione regolativa e omogeneità di trattamento va
affrontata da 2 prospettive differenti:
1. Intragenerazionale: qui il sistema contributivo opera come uno strumento di omogenizzazione dei
trattamenti tra le diverse categorie professionali e tra sessi
2. L'applicazione integrale delle misure estrattive in via prioritaria alle giovani generazioni e l'esenzione dei
lavoratori più anziani da alcuni provvedimenti chiave, ha determinato una frattura intergenerazionale. I
nuovi entrati sul mercato pagano più contributi, avranno pensioni meno generose per un periodo di
pensionamento molto più breve
Il sistema si trova in una fase di transizione verso una con gurazione multipilastro ed è fondato su solide basi
nanziarie, ha un'impronta assicurativa, con limitata capacità redistributiva è ancora incompleto rispetto lo
sviluppo di pilastri complementari. Solidità nanziaria e limitata redistribuzione derivano dalla
combinazione, di un primo pilastro contributivo con pilastri complementari a contribuzione de nita. A
eccezione dell'assegno sociale e pensione di cittadinanza, tutti gli schemi sono ispirati a principi della
neutralità attuariale e mirano a immunizzare il sistema dagli shock esogeni, scaricando sugli assicurati rischio
connesso a sfavorevoli dinamiche. Il cuore del 1 pilastro è costituito dal secondo livello assicurativo, che copre
la totalità dei lavoratori, specialmente dagli schemi pubblici dell'assicurazione obbligatoria gestiti dall'INPS,
presso cui è assicurato oltre il 90% degli occupati. Per effetto della riforma Fornero-monti, dal 2012 l'INPS
copre, i lavoratori privati e pubblici. L'ente si articola in diverse gestioni rivolti a:
1. Lavoratori dipendenti (FPLD)
2. Lavoratori autonomi agricoli
3. Artigiani
4. Commercianti
5. Parasubordinati
6. Dipendenti pubblici
Le regole per il calcolo delle pensioni e le condizioni di eleggibilità sono state armonizzate tra i diversi regimi,
che in futuro non garantiranno più un livello predeterminato delle prestazioni, giacché con l'applicazione del
metodo contributivo queste dipenderanno da diversi fattori e dagli stabilizzatori automatici della spesa. La
funzione redistributiva è af data al primo livello pensionistico, a carattere assistenziale è concentrato su
assegno sociale pensione di cittadinanza erogati dall'INPS tramite la GIAS.
Al 1 pilastro si af anca il TFR per i lavoratori dipendenti; al 2 pilastro, fondi chiusi e fondi aperti di adesione
collettiva; al 3, fondi aperti e PIP. L’incongruenza tra l'obiettivo di copertura generalizzata della forza lavoro e
il carattere volontario dell'adesione alla previdenza complementare hanno fatto sì che, nonostante le misure
di incentivazione alla partecipazione ai fondi e alla devoluzione del TFR, la quota di lavoratori iscritti è
molto limitata. D'altra parte il numero complessivo di aderenti è poco signi cativo, perché il quadro è molto
frammentato e i tassi di adesione variano in relazione a diversi fattori:
1. Il comparto, pubblico o privato
2. Le dimensioni dell'impresa e il settore di attività
3. Il tipo di contratto
Delle imprese medio-grandi le parti sociali formano e incentivano a promuovere l'iscrizione alla previdenza
complementare, i tassi di adesione sono attorno al 50%. Nelle piccole-medie imprese la percentuale è molto
bassa. I lavoratori atipici, parasubordinati che non dispongono del TFR, gli assunti a tempo determinato
riescono dif cilmente ad aderire alle forme complementari. Per quanto riguarda gli autonomi, nell'ultimo
decennio si è registrata una signi cativa crescita delle adesioni. Da tutto ciò segue l'effetto paradossale, di
sostanziale spiazzamento delle riforme della terza ondata (2009-2011) rispetto alla necessità della previdenza
complementare e alla funzione della stessa.
Da un lato, le preoccupazioni sollevate riguardanti l'adeguatezza delle prestazioni dovrebbero essere state
superate almeno per i lavoratori con carriere lunghe; Dall’altro, se si abbandona il riferimento esclusivo al
lavoratore, poi il pensionato, “medio” per valutare i differenti pro li di rischio, il quadro cambia. Se i tassi di
sostituzione rimangono elevati per i lavoratori con catene non frammentate, i dati contenuti della
Commissione Europea mettono in evidenza le criticità tipiche dei sistemi contributive come quello italiano:
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- Per un lavoratore con contribuzione pari a 30 anni, il livello della pensione si riduce al 25% rispetto a
quello di una laureato che inizia l'attività a 25 anni e rimane interrottamente no all'età pensionabile
- Risultati simili appaiono dal confronto tra il livello della della pensione per un lavoratore costretto ad
abbandonare l'attività lavorativa prima dell'età pensionabile
Dovrebbe essere il sistema pensionistico a garantire la sicurezza economica nella vecchiaia nei decenni a
venire non solamente ai lavoratori con carriere lunghe e in interrotte?
1. Il primo punto da affermare è che il sistema di tutela della vecchiaia fondato sull'integrazione
multipilastro è oggi una realtà soltanto per una porzione
2. E’ la diversi cazione delle prospettive previdenziali per via della diffusione "a macchia di leopardo" della
previdenza complementare, oltre che per le aliquote contributive rimaste a lungo differenziate nel primo
pilastro, che si traducono in prestazioni di diverso importo
Si possono individuare 3 gruppi di lavoratori, per i quali sono immaginabili scenari previdenziali:
1. I dipendenti privati, con contratto a tempo indeterminato, carriere lunghe, occupati in imprese medio-
grandi. Essi dovrebbero disporre di una tutela adeguata, tramite la combinazione di pensioni pubbliche
elevate/pensioni integrative. Si aggiungono i dipendenti pubblici, non iscritti a schemi complementari,
per i quali il livello della tutela dovrebbe essere adeguato
2. I lavoratori impiegati nelle piccole imprese. Questi godono nel primo pilastro dello stesso livello di tutela
dei lavoratori inseriti nei campi privati. Non potranno contare su prestazioni complementari per via del
modestissimo tasso di adesione
3. I lavoratori con una carriera in occupazione atipica. Tra questi, i lavoratori con contratto a tempo
determinato, per i quali la maggiore discontinuità nella carriera si traduce in un ridotto livello di
protezione sia delle pensioni pubbliche sia del TFR, perché non si scrivono alle forme pensionistiche
integrative. I parasubordinati, percepiranno con il sistema contributivo pensioni pubbliche più modeste
rispetto ai lavoratori dipendenti, cui si aggiunge la probabilità di pro li di carriera discontinui e
frammentati che riducono ulteriormente il livello delle pensioni. Per l'indisponibilità del TFR e le basse
retribuzioni questi lavoratori rimangono esclusi dal sistema di previdenza complementare
Sempre con riferimento ad adeguatezza e equità, ma da una diversa prospettiva, va rimarcato il fatto che il
perseguimento di un adeguato livello di tutela pubblica tramite l'inasprimento dei requisiti di accesso solleva
problemi di equità, perché l'aspettativa di vita tende ad essere minore tra le fasce a più basso reddito e varia
tra le diverse categorie professionali.

CAP. 3 LA POLITICA DEL LAVORO

È possibile distinguere 2 accezioni di politica del lavoro:


1. Una allargata. La politica del lavoro può essere intesa come un insieme composito di interventi pubblici
volti al raggiungimento e al mantenimento di un elevato e stabile livello occupazionale. Così intesa, la
politica del lavoro nisce con il fondersi nella più ampia area delle politiche per l'occupazione, ovvero di
quegli interventi (di natura macroeconomica), che perseguono l'obiettivo della crescita dell'occupazione.al
ne di circoscrivere l'ambito del nostro interesse
2. Una ristretta
Una delle distinzioni più comuni è quella tra:
- Interventi passivi: di mera tutela del reddito della persona in cerca di occupazione (sussidi di
disoccupazione)
- Interventi attivi: volti a rendere più ef ciente il funzionamento del mercato del lavoro (la formazione e i
servizi di collocamento)
Possiamo distinguere 3 sottogruppi di politiche del lavoro:
1. Le misure indirizzate alla regolazione dei rapporti di lavoro. I paesi europei si differenziano per la
presenza di:
- Una diversa composizione del mercato del lavoro nazionale dovuta allo speci co mix di riforme di
occupazione che prevalgono nell'arco temporale preso in esame
- Un diverso insieme di vincoli relativi all'attivazione ed estinzione dei rapporti di lavoro
Per quanto riguarda il primo elemento di variazione, in tutti i paesi europei il rapporto di lavoro più
dominante è quello a tempo indeterminato. Nel 2007-2017 la percentuale di lavoratori assunti con contratto
a termine sul totale dei dipendenti è rimasta costante nel complesso dell'Unione Europea, mentre si osserva
una crescita dei lavoratori a tempo parziale. Per quanto riguarda i lavoratori precari, coloro che sono assunti
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con contratti di durata inferiore a 3 mesi, la loro percentuale non è cresciuta. Il lavoro a tempo parziale si è
molto diffuso in Germania, Italia e Spagna:
- In Italia e Spagna è aumentata considerevolmente la percentuale del part-time involontario
- In Germania, si assiste ad una riduzione di coloro che optano per questa forma di rapporto lavorativo in
assenza di alternative
In ne si osserva una diffusione di nuove forme di lavoro, favorita dai progressi tecnologici dell'economia
digitale. Si tratta di quelle occupazioni che tendono a collocarsi tra lavoro dipendente e autonomo, sono
spesso caratterizzati dalla totale assenza di tutele sociali.
La seconda dimensione di variazione riguarda il livello di tutela dell'occupazione assicurata dalle norme che
disciplinano il ricorso ai contratti di lavoro ( essibilità in entrata) e la loro recessione ( essibilità in uscita).
Uno degli indici più utilizzati per comparare le diverse legislazioni nazionali a tutela dell'occupazione è
l'indice di protezione dell'occupazione dipendente EPL (Employment Protection Legislation), elaborato
dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE):
- La presenza di un mercato del lavoro formalmente rigido, non corrisponde automaticamente ad un'elevata
diffusione di posti di lavoro sso nel settore privato
La tendenza comune in Europa è stata quella di liberalizzare la possibilità di ricorso ai contratti a termine,
mantenendo inalterate le norme a tutela dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e solo licenziamento
collettivo. È prevalsa una strategia di riforma a due livelli (two-tiers reform strategy), cioè l'adozione di riforme al
margine che hanno interessato rapporti a termine, lasciando quasi il livello di tutela dei lavoratori a tempo
indeterminato (insiders o core worker). In alcuni paesi, come l'Italia e la Svezia, tale processo di essibilizzazione
dei contratti a termine risulta signi cativo. Allo stesso tempo, è possibile osservare in Spagna anche una
diminuzione delle tutele connesse al lavoro a tempo indeterminato.
2. Le misure volte al sostegno o mantenimento del reddito a fronte della disoccupazione involontaria/delle
sospensioni dell'attività lavorative (disoccupazione temporanea). In tutti i paesi è presente un insieme
coordinato di strumenti di tutela del reddito dei disoccupati chiamati, ammortizzatori sociali.
L'articolazione di questo sistema è a 3 livelli:
- Un pilastro assicurativo, nel quale le prestazioni, sottoforma di indennità di disoccupazione, sono erogate
per una durata de nita, a fronte del versamento di una determinata quota di contributi
- Un pilastro assistenziale dedicato, che prevede l'elargizione di sussidi, sulla base di requisiti di reddito, nel
caso di impossibilità di accesso al primo pilastro oppure di esaurimento delle spettanze e persistenza dello
stato di disoccupazione
- Un pilastro assistenziale generale, quindi non speci camente rivolto ai lavoratori, dove le prestazioni
forniscono, in base ai requisiti di reddito, un reddito minimo garantito a chi si trova in condizioni di
indigenza
Il primo di questi schemi viene creato nel 1831 nel Regno Unito, per poi diffondersi. Lo schema adottato
nella cittadina belga di Gent divenne un modello per altre amministrazioni locali in Europa. Queste misure a
sostegno del reddito avevano un carattere selettivo, operavano solo a livello locale/riservati ai lavoratori
iscritti al sindacato. Aprirono la strada allo sviluppo di schemi assicurativi, di natura volontaria, che vennero
istituite a livello nazionale. Le crisi occupazionali degli anni ’30 del Secondo dopoguerra spinsero i governi
nazionali a istituire anche un secondo pilastro per fornire assistenza dedicata ai disoccupati privi della tutela
assicurativa, mentre, il terzo pilastro (chiamato assistenza generale) è più recente. Possiamo rilevare tre
dimensioni di variazioni che riguardano:
- Il livello di generosità della prestazione è de nito dall’importo/durata di erogazione. L'ammontare delle
indennità è calcolato come percentuale della retribuzione di riferimento, la quale consiste nella media delle
retribuzioni di un dato periodo. Il rapporto fra l'ammontare dell'indennità di disoccupazione/retribuzione
precedentemente percepita individua, il tasso di sostituzione che rappresenta una delle misure della
generosità economica delle prestazioni di disoccupazione. Il valore del tasso di sostituzione può essere
soggetta anche a variazione interna. Il tasso di sostituzione tende a diminuire con il trascorrere del periodo
di fruizione del bene cio stesso, questo meccanismo a scalare nel tempo, mira a incentivare il lavoratore al
rapido inserimento nel mercato del lavoro
- Il nanziamento delle indennità di disoccupazione deriva da contributi versati dai lavoratori e dei datori di
lavoro, con una percentuale di contribuzione a carico dell'una e/o dell'altra parte che cambia da paese a
paese. In caso di mancata copertura contributiva del nanziamento delle indennità interviene lo Stato
attraverso la scalità generale
- I requisiti di accesso, ovvero le condizioni che determinano la possibile fruizione dell'indennità di
disoccupazione:
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a. L'evento assicurato (la disoccupazione) deve essere involontario, è determinata da una decisione del
datore di lavoro
b. Il lavoratore deve soddisfare speci ci requisiti contributivi, ovvero il versamento di un ammontare
minimo di contributi, e talvolta anche requisiti di anzianità assicurativa, ovvero un periodo minimo di
iscrizione a una determinata classe assicurativa. Queste condizioni niscono con l'escludere l'accesso alle
prestazioni alle persone in cerca di una prima occupazione, o a coloro che hanno carriere lavorative
fortemente discontinue
c. La fruizione del bene cio economico è condizionata al rispetto di alcuni adempimenti amministrativi (la
prestazione di una domanda per il godimento del relativo trattamento economico di disoccupazione). Il
disoccupato deve dimostrare di essere attivo nella ricerca del lavoro. Il mancato rispetto è sanzionato con
l’interruzione/sospensione della prestazione monetaria
Nella maggior parte dei paesi europei esistono schemi assistenziali che offrono sussidi a favore dei lavoratori
privi o privati di copertura assicurativa:
- L'accesso è condizionato all'accertamento della mancanza di mezzi di sussistenza effettivi (means-testing).
Il loro importo consiste in un ammontare pattuito nanziato attraverso il sco, soggetto a veri che
periodiche
Alcuni paesi prevedono programmi di tutela per speci che situazioni di rischio (come le integrazioni salariali
per la sospensione delle attività lavorative a seguito di crisi aziendale). Anche sul fronte della spesa per le
misure a sostegno del reddito dei disoccupati ci sono differenze tra i paesi europei. Queste variazioni sono
riconducibile:
- L'andamento del mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione è il numero dei bene ciari effettivi di
sussidi)
- L'andamento dell'economia nazionale
3. Le misure volte alla rimozione degli ostacoli non legislativi all'ingresso e permanenza nel mondo del
lavoro, le cosiddette politiche proattive. In questo caso si tratta di un’insieme eterogeneo di provvedimenti
volti a favorire l'inserimento il reinserimento professionale delle persone attraverso l'acquisizione di
competenze (corsi di formazione). Fa riferimento alle politiche produttive che l’OCSE classi ca in 6
principali tipi di intervento:
1. I servizi per l’orientamento e il collocamento lavorativo
2. La formazione professionale
3. I sussidi dell’occupazione
4. I programmi occupazionali rivolti ai diversamente abili o alle persone con ridotta capacità lavorativa
5. La creazione diretta e temporanea di posti di lavoro
6. Il sostegno nanziario e i servizi per la nuova imprenditorialità
Bonoli propone una diversa classi cazione delle politiche proattive del lavoro basata su 2 dimensioni:
- La loro capacità di promuovere l'investimento nel capitale umano
- Il loro orientamento più o meno spiccatamente pro mercato
Queste dimensioni permettono di individuare 4 famiglie di politiche proattive:
1. Le politiche rivolte a mantenere le persone occupati in qualche attività lavorativa di formazione, senza
necessariamente/esplicitamente promuoverne il reinserimento nel mercato del lavoro (politiche di
mantenimento dell’occupazione)
2. Le politiche di diretta incentivazione dell’occupazione
3. Le politiche rivolte a fornire sostegno alla ricerca di una occupazione (politiche di assistenza
all'inserimento lavorativo)
4. Le politiche di formazione mirata (politiche di costruzione/potenziamento delle competenze)
Considerando lo sviluppo delle politiche proattive in Europa, possiamo distinguere 3 fasi:
- La prima fase ha inizio negli anni ’50 del secolo scorso, in un periodo di crescita delle economie nazionali,
è caratterizzata dall'introduzione di programmi di formazione professionale, nonché dall'istituzione di
sistemi pubblici di collocamento
- La seconda fase si apre a seguito degli shock petroliferi degli anni ’70, a causa del peggioramento della
situazione economica e dell'aumento della disoccupazione, le politiche proattive riconoscono un parziale
riorientamento verso l'obiettivo della creazione diretta di posti di lavoro
- La terza fase prende avvio nella metà degli anni '90, a seguito del diffondersi del paradigma
dell’attivazione. Questo fa riferimento alla promozione di interventi volti a incentivare il più rapido
ingresso/reingresso possibile nel mondo del lavoro, eliminando prevenendo eventuali ostacoli/disincentivi.
In questa fase le politiche proattive si indirizzano verso l'offerta di servizi mirati di collocamento e di
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assistenza intensiva ai disoccupati di lungo periodo. Sono adottate in molti paesi europei misure volte a
condizionare la percezione dell'indennità di disoccupazione alla ricerca effettiva in un lavoro, a ridurre la
durata complessiva e l'importo di sussidi con il passare del tempo o offrire trasferimenti integrativi a coloro
che accettano occupazione con bassi salari (in-work bene ts). Il successo del paradigma dell'attivazione è
stato accompagnato in molti paesi anche dalle riforme e dei servizi per l'impiego (SPI). I principali
cambiamenti riguardano 4 aspetti:
1. Il decentramento/devoluzione delle funzioni di collocamento della manodopera di assistenza dei
disoccupati
2. Il rafforzamento della collaborazione tra agenzie pubbliche private del lavoro, no alla parziale/totale
esternalizzazione di alcuni compiti, in passato svolti esclusivamente dall'operatore pubblico
3. Lo sviluppo di modalità di assistenza individualizzata, in alcuni casi intensiva, delle persone in cerca di
occupazione
4. Il coinvolgimento degli SPI nell'attività di sorveglianza dei bene ciari di indennità di disoccupazione,
anche attraverso lo sviluppo di un maggiore raccordo operativo, se non in alcuni casi di fusione (modello
dell’one-stop shop) tra gli SPI e le amministrazioni preposte all'erogazione di prestazioni monetarie
L'investimento complessivo delle politiche proattive varia in maniera signi cativa da paese a paese.
- In Danimarca in Polonia una parte molto consistente di risorse sono dedicate ai programmi rivolti a
persone con ridotte capacità lavorative
- In Italia la spesa per politiche proattive si concentra sostanzialmente sulla formazione sugli incentivi al
lavoro
Un’altro elemento di variazione delle politiche proattive riguarda l'effettivo livello di implicazione è la qualità
delle iniziative messe in opera:
- La presenza di de cit di implicazione/la scarsa qualità nella progettazione gestione degli interventi
possono generare, differenziazioni in merito ai risultati conseguiti da queste politiche, anche tra aree
territoriali all'interno degli stessi paesi
Le politiche del lavoro costituiscono un insieme di misure che rispondono a obiettivi diversi:
- Il primo sottogruppo (le misure volte a disciplinare i rapporti di lavoro) fa riferimento a provvedimenti di
natura regolativa
- Il secondo sottogruppo (le misure di sostegno al reddito) a interventi di natura distributiva
- Il terzo sottogruppo (linee politiche pro attive) a misure principalmente di natura organizzativa, ovvero di
erogazione di servizi
La combinazione fra i 3 sottogruppi dà vita a un sistema/modello di politiche del lavoro, che varia da paese a
paese e con il passare del tempo. Il modello originario di politica del lavoro prende forma tra ’50-'70 del
secolo scorso. Superato il dopoguerra, l'Italia ha una fase di crescita del Pil e di trasformazione della struttura
economica da agricola ad industriali. Questa crescita, indicata come miracolo italiano, è dovuta
all'espansione del settore industriale, trainato dal boom delle esportazioni, e alla promozione di politiche di
stampo keynesiano. L'intervento dello Stato nell'economia del paese, (attraverso l'istituzione della Cassa per il
Mezzogiorno), e al centro della strategia promossa dal partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana (DC).
Quest'ultima governò il paese no all'inizi degli anni ’90. Il Partito Comunista italiano rimane con nato
all’opposizione a livello nazionale. Il modello di politica del lavoro italiano si poggia su 3 punti:
1. Da una legislazione sui rapporti di lavoro di stampo garantista, volto alla tutela dell'occupazione a tempo
pieno/indeterminato attraverso norme che vietino il ricorso a forme contrattuali tipiche e sanzionano il
licenziamento illegittimo
2. Ammortizzatori sociali, concentrati sul pilastro assicurativo. Quest'ultimo presenta distorsioni distributive
dal momento che offre un elevato livello di tutela solo ad alcune categorie di lavoratori (i garantiti)
3. Dal sistema di monopolio pubblico del collocamento, inef cace, a cui si accompagna uno scarso
investimento di risorse per altre misure proattive
I principali provvedimenti:
1. La regolazione dei rapporti di lavoro: Le norme sui rapporti di lavoro all'inizio dell'Italia Repubblicana si
caratterizzano per un'impronta garantista, rivolta alla tutela del rapporto di lavoro subordinato a tempo
pieno/indeterminato. La promozione del principio di stabilità del lavoro nel diritto italiano giunge solo
tra ’60-’70. Nell’Italia prefascista vigeva il divieto di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Questo divieto viene meno con la codi cazione civile del 1942.
Tra gli anni ’50-’60 il nostro paese vive una crescita economica, e il settore agricolo perde il primato
occupazionale a favore di quello industriale. A questi cambiamenti si accompagna una regolamentazione dei
contratti di lavoro di durata predeterminata. La novità più importante:
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- È rappresentata dalla l. n. 230/1962, con la quale viene disciplinato il contratto di lavoro a tempo
determinato. Quest'ultimo è ammesso solo come un’eccezione.
La l. n. 604/1996 disciplina l'istituto del licenziamento individuale nei rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, sancendo l'abbandono del principio della libertà di licenziamento a favore dell'obbligo da
parte del datore di lavoro di comunicare per iscritto le ragioni del licenziamento. Inoltre è riconosciuta una
forma di tutela obbligatoria contro il licenziamento in legittimo:
- Giusta causa: ingiuria e grave insubordinazione verso il datore di lavoro o violenze verso gli altri lavoratori
- Giusti cato motivo: soggettivo sia dovuto a gravi inadempimenti degli obblighi contrattuali da parte del
lavoratore, oggettivo, se è determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva e all’organizzazione del
lavoro
Di fronte ad un licenziamento privo di giusta causa/giusti cato motivo, il datore di lavoro deve scegliere fra:
- Riassumere il lavoratore entro 3 giorni, instaurando un nuovo rapporto di lavoro
- Risarcimento pecuniario del danno
La l. n. 604 riconosce la nullità del licenziamento discriminatorio derivanti da ragioni di credo politico/fede
religiosa.
Il passo più importante nella costituzione del modello garantista della legislazione sul lavoro è compiuto nel
1970, con l'adozione dello statuto dei lavoratori:
a. I diritti di libertà sui luoghi di lavoro
b. La tutela del posto di lavoro, della professionalità e della salute
c. La protezione delle libertà sindacali
d. La tutela giurisdizionale delle libertà e attività sindacali
L’art.18 de nisce la sanzione in caso di licenziamento illegittimo:
- Stabilisce uno speci co regime sanzionatorio in caso di licenziamento individuale privo di giusta causa/
giusti cato motivo, applicabile solo ai lavoratori delle aziende che occupano più di 15 dipendenti nell'unità
produttiva
- L'atto del licenziamento riconosciuto illegittimo porta obbligatoriamente alla reintegrazione del lavoratore
nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione totale
mancante (a partire da un minimo di 5 mesi), aggiungendo i contributi assicurativi e previdenziali
Il culmine della fase af uente della legislazione a tutela del lavoro viene raggiunto nel 1975 con l'accordo
interconfederali Lama-Agnelli, dal nome del leader della Confederazione Generale italiana del lavoro
(CGIL), Luciano lama e del presidente di Con ndustria, Gianni Agnelli:
- Interveniva sul meccanismo di adeguamento dei salari all'in azione, la cosiddetta scala mobile e al ne di
rafforzare la tutela del potere d'acquisto dei lavoratori contro l'aumento dell'in azione che si era veri cato
a seguito della crisi petrolifera del 1973
- Questa scala mobile era stata istituita per la prima volta nel 1945 nel Nord Italia, per poi estendersi.
Consisteva in un sistema d’indicizzazione delle retribuzioni in base al quale questi ultime dovevano
adeguarsi automaticamente alle variazioni dell'indice dei prezzi.
- Negli anni ’50 fu stabilito che la scala mobile dovesse basarsi su un lavoro dell'indennità salariale da
corrispondere, il cosiddetto punto di contingenza, differenziato a seconda della categoria, della quali ca,
del genere e dell’età. Nel 1975 si stabilì invece, in cambio della riduzione della con ittualità sindacale,
l'uni cazione del punto di contingenze per tutti i lavoratori, a vantaggio dei seriali più bassi. In tal modo, il
meccanismo della scala mobile niva con il perseguire anche la riduzione dei divari salariali tra i lavoratori
2. Le misure di sostegno al reddito: L'Italia interviene in anticipo per quanto riguarda le politiche di
previdenza sociale contro la disoccupazione involontaria. Il primo schema pubblico di assicurazione
obbligatoria risale al 1919. Fino ad allora l'unico rischio sociale che godeva di riconoscimento da parte
dello Stato era l'infortunio sul lavoro. Un’aspetto importante riguarda la de nizione dei 2 requisiti di
accesso all'indennità di disoccupazione che saranno modi cati solo nel 2015:
- 2 anni di anzianità assicurativa, cioè l'iscrizione all'assicurazione per la disoccupazione almeno 2 anni
prima della perdita del lavoro
- Almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l'evento assicurato (anzianità contributiva)
Il secondo istituto centrale del sistema di armonizzatore sociali è rappresentato dalla Cassa integrazione
guadagni (CIG):
- Uno schema assicurativo volto a fornire un sostegno al reddito dei lavoratori dell'industria in caso di
sospensioni o riduzioni dell'attività produttive per eventi di natura transitoria. Il primo nucleo della CIG, la
Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO), nasce ai nanziamenti concessi da alcune aziende nel
1941 per far fronte ai rallentamenti delle produzioni dovute al periodo bellico. Nel 1968 è introdotta la
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Cassa integrazione guadagni a gestione straordinaria (CIGS), rivolta ai lavoratori di imprese industriali
con più di 15 dipendenti. L’istituto della CIG si differenzia dall'identità ordinaria di disoccupazione per 2
motivi:
- La CIG interviene previa l'attivazione di una procedura di autorizzazione e a fronte di una speci ca
casistica che sarà estesa per legge nel corso degli anni. La CIGS è riservata alle aziende al di sopra dei 15
dipendenti
- Le integrazioni previste dalla CIG ammontano all'80% della retribuzione per le ore non prestate. Nel
1968 il limite originario delle dichiarazioni è stato ssato in tre mesi, ma a partire dagli anni 70 era
prevista la possibilità di concedere un numero inde nito di proroghe
La CIG è spesso utilizzata per far fronte a veri e propri esuberi (licenziamenti de nitivi). Un caso
emblematico è l'estensione della CIGS alle procedure concorso concorsuali (come nel fallimento
dell’azienda). La conversione dello scopo originario della CIG è comprensibile per 2 fattori:
- Riguarda l'assenza di altri strumenti ef caci di tutela del reddito dei disoccupati e la mancanza di una
disciplina unitaria sui licenziamenti collettivi. A fronte di questa situazione, si accetta, attraverso il ricorso
prolungato alla CIG, di congelare i posti di lavoro, al ne di poter continuare a godere delle integrazioni
salariali
- Riguarda la logica di scambio politico che caratterizza la concessione di trattamenti della CIG. Di fronte al
perdurare di una crisi industriale, il ricorso è favorito da un intreccio di convenienza da parte delle autorità
pubbliche, di datore di lavoro e dei sindacati. I sindacati sono coinvolti nel processo di concessione
dell'integrazione salariale di livello molto più alto rispetto alle magre indennità di disoccupazione.
I datori di lavoro possono usufruire di una misura di essibilità in uscita che consente di rispondere alle
variabili esigenze di manodopera. Si spiega così perché la CIG abbia assunto in Italia un ruolo centrale.
3. Le politiche proattive: All'indomani del Secondo Con itto Mondiale le organizzazioni di rappresentanza
dei lavoratori cercano di riappropriarsi della funzione del collocamento della manodopera. Della salienza
del collocamento è al corrente il Ministro del Lavoro, Amintore Fanfani (DC), promotore della l. n.
264/1949. Quest'ultima introduce alcune novità:
- Il regime di monopolio statale del collocamento. La competenza esclusiva del collocamento è af data al
Ministero del Lavoro, il quale opera sul territorio attraverso la rete degli uf ci provinciali del lavoro. Viene
vietata l'attività di mediazione da parte di attori privati
- La legge stabilisce che l'avviamento al lavoro debba avvenire attraverso il canale della richiesta o chiamata
numerica. Il datore del lavoro non può scegliere la persona da assumere, deve inoltrare una richiesta
all'uf cio di collocamento. Quest'ultimo provvede a selezionare le persone da inviare al lavoro sulla base di
un apposita graduatoria in cui i disoccupati devono obbligatoriamente iscriversi. I lavoratori già occupati
possono essere assunti per passaggio diretto da azienda ad azienda. Solo in alcuni casi, è prevista la
richiesta o chiamata nominativa, che consente al datore di lavoro di selezionare direttamente il personale
che intende assumere
Una volta adottata questa legge la battaglia politica sul collocamento tra governo e sindacato si sposta
nell'area della mancata applicazione della riforma. L'aspetto più importante della protesta sindacale riguarda
il fenomeno dell’aggiramento delle procedure di avviamento al lavoro. Gli uf ci provinciali del lavoro
niscono ad occuparsi delle mansioni burocratiche e amministrative (il nullaosta obbligatorio per
l’assunzione). L'attenzione del governo è rivolta a trovare una soluzione immediata all'emergenza
occupazionale che si è creata al termine della guerra.Un altro provvedimento riguarda l'introduzione
dell’apprendistato:
- La l.n. 25/1995 disciplina per la prima volta questo nuovo istituto che prevede la possibilità di assumere
giovani a un salariale più basso di quello contrattuale , in cambio di una formazione tecnico-professionale
e in vista della loro futura assunzione a tempo indeterminato
L'utilizzo di questo strumento contrattuale non è andato a buon ne. In assenza di opportuni controlli,
l'apprendistato ha rappresentato un’occasione per usufruire di manodopera a costi ridotti. Solo dalla seconda
metà degli anni ’70 che sono adottati due provvedimenti in materia di politica proattive del lavoro:
- L. n. 285/1997 sull’occupazione giovanile, nalizzata all'inserimento lavorativo dei giovani, in particolare
nell'ambito del settore agricolo
- È rappresentato dal l. quadro n. 845/1978 sulla formazione professionale con la quale sono poste le basi
per la creazione di un sistema pubblico di formazione, assegnando alle regioni la competenza regolativa in
tale materia. L’Italia perde così l'occasione di approntare iun ef cace sistema di alternanza scuola-lavoro, a
differenza degli altri paesi

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Tra ’50-’70 emerge un modello di intervento pubblico nell'ambito delle politiche del lavoro. E’ incentrato
sulla tutela del lavoro a tempo pieno/indeterminato in un contesto in cui la partecipazione delle donne al
mercato del lavoro è molto limitata e la famiglia svolge ruolo di armonizzatore sociale. Tutti i provvedimenti
adottati mirano alla difesa del posto di lavoro e del salario. L'istituzione di un modello di politica del lavoro
ha come conseguenza la nascita di dualismi istituzionali, disparità di trattamento delle persone in termini di
diritti/bisogni analoghi:
- Il primo esempio riguarda la regolazione dei rapporti di lavoro, la disciplina sul licenziamento individuale
de nita dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Pone una differenziazione nei regimi sanzionatori basata
sulla soglia dimensionale dell'impresa, fra imprese con almeno 15 dipendenti e la maggioranza dei
lavoratori del settore privato. Tale disparità è aggravata dalla presenza di essibilità nascoste dovute alla
diffusione dell'occupazione sommersa
- Il secondo esempio riguarda le misure di sostegno al reddito. A fronte della disoccupazione i lavoratori
ricevono una diversa tutela a seconda del tipo di azienda in cui sono assunti. Il sistema originario di
ammortizzatori sociali si articola intorno in 2 schemi assicurativi (riferibili al 1 pilastro):
1. Ipertro co, rappresentato dai trattamenti di integrazione salariale (CIG ordinaria/straordinaria) che
offrono un buon livello di protezione, riservati ai lavoratori delle imprese medie-grandi (i garantiti) e non
con gurano un diritto soggettivo alla prestazione, poiché la loro concessione dipende dall'avvio di
procedure attivate dal datore di lavoro ed è soggetta all'approvazione dell'autorità pubblica (i sindacati)
2. Sottosviluppato, consiste in un'indennità ordinaria di disoccupazione di breve durata e ridotta entità,
accessibile solo ai lavoratori in possesso dei requisiti di anzianità assicurativa e contributiva (i semigarantiti).
A anco esiste una serie di schemi riservati a speci che categorie (lavoratori agricoli, edili), o di natura
straordinaria, che rendono il sistema italiano frammentato. L'assenza di schemi assistenziali generali di
secondo/terzo livello lascia senza alcuna tutela le persone in cerca di prima occupazione e molte altre
categorie di lavoratori (i non garantiti)
Collocamento pubblico: l'esercizio della funzione di mediazione che spetta agli uf ci provinciali del lavoro
risente di un bassissimo indice di effettività. Il sistema tende a favorire la convivenza di 2 regimi:
1. Uno liberistico, in cui il datore di lavoro può scegliere liberamente chi assumere (rivolto tendenzialmente
alla manodopera già occupata)
2. Uno vincolistico, soggetto al meccanismo della chiamata numerica, che di fatto penalizza i disoccupati,
soprattutto quelli in cerca di prima occupazione. Questi ultimi, il servizio pubblico è in grado di offrire
solo un'assistenza limitata
Si delinea una disparità di trattamento dovuta alle differenti procedure di avviamento al lavoro. Gli anni ’80
sono segnati da 3 s de che interessano le politiche del lavoro dei paesi europei:
- Agli effetti shock petroliferi degli anni ’70 che provocano una crescita dell’in azione. Al peggioramento
della situazione economica c’è l'aumento dei debiti pubblici nazionali, dovuto alla crescita della spesa per
le prestazioni sociali
- L'avvio di processi di transizione verso economie post-industriali caratterizzate dal predominio del settore
terziario, dall'aumento dell'occupazione atipica (lavoro a tempo parziale/indeterminato/interinale) e
dall'incremento del tasso di occupazione femminile.
- Processi di ristrutturazione industriale e di ammodernamento tecnologico che portano a consistenti tagli
del personale, di bassa quali ca. Si pone il problema di come far fronte all'aumento degli esuberi e alle
dif coltà di reintegrazione dei disoccupati di lungo periodo che niscono con il gravare sulla spesa
pubblica
A queste s de i governi europei rispondono con 3 strategie:
1. Adozione di misure di orientamento neoliberista nel dibattito volte all'adozione di misure di riduzione
della spesa pubblica/contenimento dell’in azione/costo del lavoro. Nel Regno Unito queste misure
comportano una drastica contrazione dei trasferimenti monetari passivi per i disoccupati, a fronte della
crescita degli investimenti per programmi di formazione-lavoro obbligatori al ne di accrescere le proprie
competenze. Questi interventi traggono ispirazione dei programmi sociali workfare (work-for-bene ts)
promossi negli Stati Uniti e volti a contrastare il rischio della dipendenza dei sussidi, condizionando la
loro percezione all'obbligo di svolgere attività lavorative e non remunerate
2. Labour reduction route, riguarda la promozione di misure volte a ridurre l'offerta di lavoro, al ne di lenire
l'impatto dei processi di ristrutturazione industriale. Tra questi strumenti possiamo ricordare i
prepensionamenti che consentono ai lavoratori di anticipare il loro ritiro della vita attiva, le pensioni di
invalidità, i contratti di solidarietà, un ricorso alle integrazioni salariali in caso di riduzione e sospensione
dell'attività lavorativa
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3. Flessibilizzazione del mercato del lavoro: si realizza attraverso l'allentamento dei vincoli posti ai
licenziamenti e al ricorso a rapporti di lavoro atipici (come il contratto di lavoro a tempo indeterminato e
a tempo parziale)
Durante gli anni ’80 sono adottati alcuni provvedimenti che incidono sul modello originario di politiche del
lavoro, senza trasformarlo più di tanto. Queste riforme hanno un duplice obiettivo:
- Contrastare la crescita dell’in azione
- L'aumento del tasso di disoccupazione, soprattutto quello giovanile e di lungo periodo
Con l'ingresso dell'Italia nel Sistema Monetario Europeo (SME) e l'acquisizione di un’indipendenza dalla
Banca d'Italia dal governo, la strada della monetizzazione del debito pubblico non appare più praticabile,
mentre la lotta all'in azione diventa un obiettivo prioritario. I governi italiani seguono la strada della
politiche espansive, concentrate sul fronte della spesa corrente, attraverso l'adozione di provvedimenti di
natura distributiva caratterizzati da bene ci concentrati su alcune categorie di lavoratori e costi diffusi, che
contribuiscono a far crescere il debito pubblico (decit spending). Sul fronte della politica nazionale, l'azione degli
esecutivi pentapartitici (Democristiani, liberali, Repubblicani, Socialdemocratici e Socialisti) rimane vittima
di un sistema politico bloccato a causa dei vincoli strutturali del parlamentarismo italiano. Superata la crisi i
governi si mostrano in capaci di avviare un ripensamento della politica del lavoro. Negli anni ’80 c’è un
indebolimento del fronte sindacale, della CIGL che subisce nel corso del decennio alcune scon tte:
- La prima è riconducibile alla marcia dei 40.000
- La seconda in relazione alle modi che apportate al meccanismo della scala mobile, dopo l'accordo
interconfederali del 1975. I governi che si succedono appaiono intenzionati ad allentare il meccanismo
della scala mobile, al ne di contenere il costo del lavoro e calmare la crescita dell'in azione che nel 1980
raggiunge il 21%
La Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL) e l'Unione italiana del lavoro (UIL) sono disponibili a
trattare sul tema, sostenendo le indicazioni di Ezio Tarantelli, economista che sarà assassinato dalle Brigate
Rosse, il quale aveva suggerito di badare il meccanismo d’indicizzazione dei salari sul tasso d’in azione
programmato in modo da controllare il rischio di spinte in azionistiche. La CIGL e il PCI si oppongono. La
situazione si sblocca grazie ad un accordo siglato con le parti sociali dal Ministro del Lavoro, il Democristiano
Vincenzo Scotti: protocollo Scotti, questo rappresenta uno dei primi esempi di accordi di concertazione
trilaterale in Italia che dà vita ad un tipico modello di scambio politico tra le parti sociali e di governo, le
prime disponibili a garantire il loro consenso sulle misure da attuare, il secondo a concedere bene ci a carico
della nanza pubblica. Il panorama politico è mutato a seguito delle elezioni del 1983, che segnano una
scon tta per la DC, portano alla formazione di un governo guidato dal leader socialista Bettino Craxi.
L’intento di Craxi era di intervenire a favore della riduzione del costo del lavoro, attraverso la scalizzazione
degli oneri sociali e il taglio del 3% della scala mobile (l'identità di contingenza). La proposta viene accolta
dalla CISL e dalla UIL, ma respinta nuovamente dalla maggioranza della CGIL. Craxi decide di imporre il
provvedimento ricorrendo ad un decreto legge adottato il 14 febbraio 1984 (il decreto di San Valentino).
L'episodio segna la ne di una fase che no ad allora era stata caratterizzata da una unità dell'azione
sindacale:
- Da una parte si schierano la CISL e la UIL, e la componente minoritaria socialista della CIGL, sostenitori
della linea di moderazione salariale
- Dall'altra il resto della CIGL non intenzionata a cedere al governo
La strategia di intransigenza del principale partito di opposizione italiano risponde ad un preciso disegno
politico, cioè al tentativo di recuperare spazio di in uenza dopo il fallimento della stagione del compromesso
storico e la crescita del successo politico del Partito Socialista Italiano (PSI). Il PSI si oppone, no a
promuovere nel 1985 un referendum che avrà comunque esito negativo. Per il PCI e la CGIL è una dura
scon tta che segna la profonda crisi del sindacato. In questo contesto mutato si aprono alcune importanti
opportunità che consentono l'adozione di una serie di provvedimenti destinati a modi care il modello
originario di politica del lavoro:
Gli anni '80 sono caratterizzati dal passaggio dall'iper-garantismo ad un garantismo essibile, realizzato sotto
il controllo sindacale. La prima novità riguarda i contratti di lavoro a tempo determinato. Nel 1983 la
possibilità di stipulare questi contratti è consentito a tutti i settori. Nel 1987, la rigidità delle norme sul
contratto a tempo indeterminato è nuovamente ridotta. Questo provvedimento apre la strada verso la
liberizzazione del ricorso a tale rapporto di lavoro. Il processo di essibilizzazione del mercato del lavoro
italiano è portata avanti con l'adozione della l. n. 863/1984, che recepisce una parte degli accordi raggiunti
con il Protocollo Scotti:

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- Tale norma prevede l'introduzione di nuove forme contrattuali nalizzate a incrementare i livelli
occupazionali, quali il contratto di lavoro a tempo parziale (part-time), il contratto di solidarietà e il
contratto di formazione lavoro
- Il part-time allo scopo di favorire l'occupazione femminile. I contratti di solidarietà consentono all'area
riduzione dell'orario di lavoro al ne di evitare i licenziamenti o a procedere a nuove assunzioni. Nel corso
del decennio questi due registrano un successo limitato
Per far fronte alle dif coltà dovute alla recessione economica i vari governi, ricorrono in modo estensivo alla
CIG, a quella di natura straordinaria, che funge da strumento principale per tamponare gli effetti
occupazionali dei processi di crisi e ristrutturazione aziendale. 2 novità di rilievo in materia di ammortizzatori
sociali:
1. Il prepensionamento introdotto con l. n. 155/1981 è nalizzato a consentire a operai/impiegati di over
50 (donne) e 55 anni (uomini), con un’anzianità contributiva di 15 anni, di godere del trattamento
pensionistico. Questo strumento appare in linea con la strategia di riduzione dell'offerta di lavoro (labour
reduction route). In Italia questo avviene come intervento a tutela dell'occupazione esistente
2. L'indennità di disoccupazione. Con l'adozione della l. n. 160/1988 il trattamento economico viene
erogato come una quota percentuale del precedente reddito da lavoro. Un’altro aspetto importante
riguarda l'introduzione dell'indennità di disoccupazione a requisiti ridotti rivolta alle persone che non
riescono ad accedere a questi trattamenti. Questo nuovo metodo mantiene inalterato il requisito
dell'anzianità assicurativa, ma riduce quello dell'anzianità contributiva. Il versamento di contributi per
almeno 78 giornate lavorative nell'anno precedente l'episodio di disoccupazione (anziché 1 anno nei 2
precedenti), consente l'accesso ad una indennità di pari importo rispetto a quella requisiti pieni, per il
numero di giornate di lavoro prestate, no ha un massimo stabilito per legge
L'indennità a requisiti ridotti è una forma di risarcimento. L'indennità è liquida in un’unica soluzione, di
norma all'anno successivo al veri carsi della disoccupazione, ed è proporzionata al numero di giornate in cui
si è effettivamente lavorato
La l. n. 863/1984 introduce il contratto di formazione e lavoro (CFL): uno strumento per l'inserimento dei
giovani (15-29), Nel mercato del lavoro e poi avere una durata massima di 24 mesi non rinnovabili. Nel 1985
il Ministro del Lavoro De Michelis presenta un piano decennale di politiche per il lavoro dove vengono
proposte una serie di iniziative a favore della crescita dell’occupazione:
- L. n. 44/1986, sull'imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno. Il governo intende favorire la costituzione di
cooperative agricole per i giovani tra i 18-29 anni, residenti al sud
- L. n. 56/1987, di riorganizzazione del mercato del lavoro. Vengono riconosciute ulteriori deroghe
all'obbligo del ricorso al meccanismo della richiesta numerica nelle procedure di avviamento al lavoro,
dopo la parziale liberalizzazione realizzata dalla metà degli anni 80
La legge istituisce anche a livello locale le commissioni sanzioni circoscrizionali per l'impiego, a cui è af data
l'attuazione delle politiche proattive, e le agenzie regionali per l'impiego, con il compito di fornire supporto
tecnico alle commissioni regionali per l'impiego. La riforma non produce risultati incoraggianti. L'azione di
governo è indirizzata alla riduzione degli elevati livelli di in azione/contrasto alla crescita della
disoccupazione:
- Il primo obiettivo si ri ette sulla vertenza sulla scala mobile che si chiuderà in via de nitiva nei primi anni
90
- Il secondo obiettivo, possiamo distinguere 2 direzioni di marcia:
a. Il governo è impegnato a dare risposta all’eccedenza della manodopera operaia ricorrendo a strumenti di
tutela del reddito, quali soprattutto la CIGL e i prepensionamenti
b. Si procede ad una parziale deregolamentazione della disciplina dei rapporti di lavoro e delle procedure di
avviamento. Vengono estese le possibilità di assunzione attraverso la chiamata nominativa e il ricorso ai
rapporti di lavoro a tempo indeterminato, e sono introdotte nuove forme contrattuali atipiche, lo scopo di
accrescere le possibilità d’inserimento delle fasce deboli
Negli anni ’80 ha inizio la stagione della deregolamentazione strisciante con la quale prende avvio un
processo di erosione del modello di legislazione sul lavoro di stampo garantista. E’ attraverso lo strumento
della contrattazione collettiva che si realizza il passaggio dalla rigidità alla essibilità controllata
sindacalmente. 1992-1994 assistiamo allo sfondamento dei partiti:
- Il PCI si scioglie e cambia nome, nasce il Partito democratico di sinistra (PDS)
- Democratici di sinistra (DS)
Dal 1994, nuove forze politiche (Forza Italia, Alleanza Nazionale,Lega Nord) conquistano posizioni
importanti di governo mentre la DC implode. Si apre la stagione della concertazione, che vede le parti sociali
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chiamati a confrontarsi con i governi sui temi del costo del lavoro/competitività/crescita occupazionale. Le
elezioni politiche del 1992 mostrano un arretramento del DC, che sarà travolta, assieme al PSI dalla grande
slavina di Mani pulite. L'incarico di governo è assegnato a Giuliano Amato (PSI) che dà vita a un’esecutivo,
presenza di ministri tecnici. Tra i temi da affrontare rimane la questione del sistema delle indicizzazioni
salariali (scala mobile). Anche per i sindacati e Con ndustria è chiaro che occorre provvedere ad una
revisione della politica dei redditi. Un primo passo è l'accordo de nitivo per la cessazione del sistema della
scala mobile nel 1992 con il protocollo sulla politica dei redditi/lotta all’in azione/costo del lavoro. La banca
d'Italia e il governo decidono di intervenire, attraverso la svalutazione della moneta italiana e l'approvazione
di una manovra di correzione del bilancio al ne di avviare un processo di stabilizzazione della nanza
pubblica. Il debito dello Stato è cresciuto. L'obiettivo della riduzione del disavanzo diventa centrale per i
governi che si succedono dal 1992 no alla ne del decennio. Nel 1993 si forma un governo tecnico, guidato
da Carlo Ciampi, già ai vertici della Banca d’Italia. Ciampi prosegue l'azione riformista.Viene sottoscritto
un’altro accordo (il protocollo Ciampi) che perfeziona i contenuti dell'intesa di Amato con le parti sociali. È
prevista una nuova articolazione degli assetti contrattuali sulla base di 2 livelli:
- Contratto collettivo nazionale di categoria
- Contratto aziendale o territoriale
Il governo Ciampi dura pochi mesi. La novità più rilevante è rappresentata da Forza Italia, guidata da Silvio
Berlusconi, che riesce a formare una maggioranza alleandosi con la Lega Nord, Alleanza Nazionale e il
Centro Cristiano Democratico. Le elezioni del 1994 portano alcuni cambiamenti, quali il ricambio della
classe politica, l'avvio di una nuova strutturazione bipolare, della competenza partitica e all'alternanza al
governo delle coalizioni di centro-destra e centro-sinistra. Nella seconda metà degli anni ’90, ci sono 3
ulteriori accordi:
- Nel 1995 il governo tecnico di Lamberto Dini, formatosi a seguito della caduta del primo governo
Berlusconi, raggiunge un'intesa con le parti sociali in materia di sistema previdenziale
- L'anno successivo i sindacati e Con ndustria siglano un nuovo accordo con il governo Prodi (patto per il
lavoro), volto a favorire la crescita dell'occupazione anche attraverso la promozione dei contratti atipici
- Dopo la crisi del governo Prodi il dialogo con le parti sociali procede sotto la presidenza del consiglio di
Massimo D'Alema, con la rma nel 1998, del patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione (patto di Natale)
Con questi patti sociali il governo e sindacati cercano di rispondere ad una situazione economica. Il leggero
miglioramento del tasso di occupazione conosce una battuta d'arresto nei primi anni ’90, a fronte di un tasso
di disoccupazione che torno a crescere. I governi che si succedono rispondono in maniera diversa a questi
problemi:
- Il contenimento della spesa pubblica. Nel 1992 il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti rma a
Maastricht il Trattato sull'Unione Europea, impegnando l'Italia in un processo di risanamento dei conti
pubblici e controllo dell'in azione, nell'intento di rispettare i parametri di convergenza economica/
monetaria concordati con gli altri Stati membri. Con l'adesione dell'Italia alla moneta unica europea il
governo è costretto a promuovere politiche volte al pareggio di bilancio, adottando misure restrittive in
materia di pensioni/anzianità. La rinuncia a ciò comporta all'impossibilità di ricorrere alla svalutazione
competitiva della moneta, che aveva consentito in passato di sostenere la crescita delle esportazioni/la
tenuta del Pil, scaricando il costo del debito sulle generazioni future. L'azione dei governi si muove lungo 2
direttrici:
- La prima riguarda le riforme che interessano i mercati dei beni e dei servizi
- La seconda riguarda la essibilizzazione del mercato del lavoro
Negli anni ’90 cambia il processo di essibilizzazione del mercato del lavoro. Questo processo si realizza al
margine, seguendo quella strategia di riforma a 2 livelli della legislazione a tutela dell'occupazione che
caratterizza l'esperienza della maggior parte dei paesi europei.Il processo di essibilizzazione interessa solo i
rapporti di lavoro a termine. Con la l. n. 223/19991 viene disciplinato anche l'istituto del licenziamento
collettivo a cui le imprese con più di 15 dipendenti devono ricorrere, quando sono coinvolte almeno 5
persone nell'arco di 120 giorni, per la riduzione/trasformazione/cessazione di attività aziendali. Per quanto
riguarda la disciplina dei rapporti a termine possiamo rilevare 3 novità: l'introduzione del lavoro interinale, la
diffusione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e le modi che alla normativa sul part-
time e sul tempo determinato. Nel 1997 la l. n. 196, nota come pacchetto Treu, traduce in legge alcune
misure de nite nel patto per il lavoro siglato dal governo Prodi con le parti sociali. La novità più importante è
la legalizzazione dei contratti per la fornitura/svolgimento di prestazioni di lavoro temporaneo/interinale.
L'introduzione del principio di condizionalità stabilisce l'interruzione dei trattamenti di disoccupazione,
qualora il bene ciario ri uti di partecipare a corsi di orientamento/formazione/accettare una proposta di
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lavoro. Un’altro cambiamento è l’innalzamento dell'importo dell'indennità di disoccupazione a requisiti pieni,


che sale al 40% della retribuzione media di riferimento, l'estensione della durata da 6 a 9 mesi per le persone
con età pari o superiore a 50 anni.
Nella prima metà degli anni '90, vengono adottati alcuni provvedimenti volti alla promozione
dell'occupazione dello sviluppo locale:
- L. n. 263/1993 interventi a sostegno dell'occupazione
- L. n. 451/1994 sui lavori socialmente utili
- L. n. 341/1995 istituiti i patti territoriali
La novità più importante riguarda la riforma delle procedure di avviamento al lavoro e dei servizi per
l'impiego (SPI). Viene sancita con la l. n. 223/1991, la piena libertà di ricorrere alla chiamata nominativa.
Nei primi anni ’90 gli SPI perdono il controllo diretto dell'attività di collocamento. Con il d. lgs. n. 469/1997,
di attuazione della l. n. 59/1997 (Bassanini 1) si realizza una svolta signi cativa negli SPI. In sintesi il decreto:
- Il trasferimento delle funzioni e dei compiti in materia di politiche attive del lavoro di collocamento dello
Stato alle regioni e agli enti locali
- L'abbandono della concezione monopolistica del collocamento come funzione pubblica
- La possibilità per i soggetti privati di svolgere, previa autorizzazione ministeriale con vincolo di oggetto
sociale esclusivo, l'attività di mediazione tra offerta e domanda di lavoro
Gli anni ’90 hanno rappresentato un periodo di svolta:
- Dopo il superamento della scala mobile, è stata inviata una strategia di razionalizzazione della politica dei
redditi, volta al contenimento delle dinamiche salariali
- Si è intervenuti sulla essibilizzazione dei rapporti di lavoro a termine
- È avvenuta una devoluzione di funzioni a livello regionale/locale, l'avvio della liberalizzazione dell'attività
di mediazione della domanda e dell'offerta di lavoro
Dall'adozione di queste riforme un ruolo importante è stato svolto da fattori endogeni ed esogeni rispetto al
contesto politico/relazioni industriali italiane:
- Fattori endogeni: la nuova prassi di concertazione tra governo e parti sociali, predispone un terreno
favorevole all'adozione di alcune riforme
- Fattori esogeni: sono riconducibili all'approfondimento del processo di integrazione economica/monetaria
europea. Questo ha agito come un vincolo esterno che ha condizionato le scelte dei governi e ha fornito
una base di legittimazione per scelte impopolari connesse al risanamento dei conti pubblici. Allo stesso
tempo, gli orientamenti in materia di politiche del lavoro hanno consentito l'avvio di una ricalibratura nel
modello italiano, favorendo una essibilità in entrata dell'occupazione e l'adattabilità dei lavoratori
L'Italia entra a far parte del club dei paesi che adottano la nuova moneta europea nel 1999, mentre nel 2000,
viene raggiunto l'obiettivo del pareggio di bilancio. Negli anni successivi la situazione nanziaria del paese
peggiora. Il rientro del disavanzo è realizzato dal governo presieduto nuovamente da Prodi che resta in carica
dal 2006-2008. Il tasso di occupazione continua a crescere.
Sul fronte politico, nel 2001, la coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi esce vittoriosa dal confronto
elettorale
Si apre una nuova fase per le politiche del lavoro caratterizzata da una ride nizione dei rapporti tra il
governo e le parti sociali. Nel 2001 il ministro del Welfare pubblica il libro bianco sul mercato del lavoro, alla
cui realizzazione partecipa Marco Biagi, giuslavorista assassinato dalle nuove Brigate rosse. Il libro bianco
presenta un progetto di modernizzazione del mercato del lavoro
Il governo si propone di innovare le modalità di confronto con i sindacati, respingendo la concertazione come
inef cace traendo spunto dalle recenti esperienze di consultazione (dialogo sociale) condotte in Europa
Si passa all'apertura di un con itto non appena l’esecutivo tenta di riformare l'articolo 18 dello statuto dei
lavoratori. Nel 2002, viene raggiunto un nuovo accordo con le parti sociali, il patto per l'Italia, a cui non
aderisce il CGIL. Il patto segna la rottura dell'unità di azione sindacale. Il processo di essibilizzazione del
mercato del lavoro italiano ha un’accelerazione durante il secondo governo Berlusconi (2001-2005). Prova ad
adottare una revisione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, al ne di consentire al datore di lavoro la
scelta tra il risarcimento del dipendente illegittimamente licenziato/suo reintegro. Le tensioni giungono al
culmine con la proclamazione, nel 2003, di uno sciopero generale su iniziativa della CGIL, a cui partecipano
CISL e UIL. A fronte del fallimento dell’art.18, il governo attua 2 provvedimenti:
- L'approvazione del d. lgs. n. 368/2001 sul lavoro a tempo indeterminato
- L’adozione della l. n. 30/2003, indicata come legge Biagi e dei relativi decreti di attuazione

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La l. n. 30 ha lo scopo di favorire l'inserimento nel mondo lavorativo dei soggetti deboli (giovani, donne,
lavoratori anziani, immigrati) e di contrastare la piega dell'occupazione sommersa. Le principali novità
introdotte:
- Il ridimensionamento del sistema di vincoli e garanzie connesse al lavoro a tempo parziale stabilite dalla
precedente normativa
- Rivisitazione del lavoro interinale, attraverso l'introduzione della somministrazione di lavoro. E’ introdotto
l'istituto dello staff leasing, la possibilità di stipulare contratti di fornitura di lavoratori somministrati anche a
tempo indeterminato
- Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che registrano un aumento considerevole a partire
dalla seconda metà degli anni ’90. La l. n. 30/2003 prevede che nel settore privato tali contratti di lavoro
possono essere stipulati solo se ricondotti a uno o più progetti speci ci o programmi di lavoro (diventando
così lavora progetto), ovvero a un'attività produttiva collegata a uno speci co risultato nale. L'obiettivo è
evitare che il rapporto di collaborazione nisca con l'essere utilizzato come semplice sostituto di un
rapporto di lavoro di fatto alle dipendenze. E’ stabilito che il lavoratore a progetto possa godere di alcune
tutele in caso di malattia, infortunio e gravidanza
- Sono stabilite altre forme di occupazione (lavoro ripartito, chiamata, occasionale e le associazioni in
partecipazione), nell'intento di favorire la regolarizzazione di attività sommerse e la crescita del tasso di
occupazione
La l. n. 30 rappresenta un passaggio nel processo di liberalizzazione del mercato del lavoro italiano. Il
principale capo d'accusa riguarda la precarietà, per i salari bassi. Nel 2007 l'esecutivo sottoscrive con le parti
sociali un nuovo accordo, il protocollo sul Welfare. Il governo cerca di apportare alcuni correttivi alla
regolamentazione della disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato (stabilendo la sua durata
massima, complessiva di rinnovi e proroghe,di 36 mesi). Queste modi che vengono meno con la vittoria del
centro-destra alle elezioni del 2008. Il secondo governo Berlusconi (2001-2005) si propone di rivedere il
sistema degli ammortizzatori sociali, ma il tentativo è destinato a fallire. Alcune modi che alle disposizioni in
materia d’indennità di disoccupazione sono adottate sia dalla maggioranza di centro-destra, con la l. n.
80/2005, di conversione del cosiddetto decreto sulla competitività, sia da quello di centro-sinistra, con il
Protocollo del Welfare, che ne accrescono gli importi:
- L'indentità a requisiti pieni passa al 60% della retribuzione di riferimento per i primi 6 mesi, al 50% per i
successivi due e al 40% per i mesi restanti, e la sua durata, no a otto mesi (12 mesi sei di età superiore ai
50)
- L'indentità a requisiti ridotti è incrementata al 35% della retribuzione di riferimento per i primi 120 giorni
al 40% per i giorni successivi, no a un massimo di 180 giornate lavorative
Nulla viene fatto a favore di coloro totalmente sprovvisti di tutele. La con gurazione tradizionale delle tutele
del reddito contro la disoccupazione appare sempre meno in grado di rispondere ai nuovi rischi sociali che
emergono. La conseguenza principale è l'ampliarsi dei divari che separano coloro che possono godere di una
buona tutela del reddito in caso di disoccupazione (garantiti), da coloro i quali accedono solo a tutti e di
importo e di durata limitata (i semi garantiti) e, i non garantiti. Le principali novità riguardano i servizi per
l'impiego e provvedimenti volti a favorire l'integrazione dei giovani nel mondo del lavoro. Il processo di
decentramento dei servizi per l'impiego trova compimento con la riforma del Titolo V della Costituzione, che
ha sede nella materia delle politiche attive del lavoro e degli SPI alla competenza concorrente di Stato/
regioni. Il governo interviene anche in materia di rapporti di lavoro con contenuto informativo, de nendo
una nuova disciplina dell'apprendistato e istituendo il contratto d’inserimento. Nel 2008-2009 l'Italia conosce
una recessione, a cui segue una ripresa a ritmi contenuti e una successiva ricaduta nel 2011-2013. Dal
2007-2014 il tasso di occupazione scende del 3%. Si registra un divario tra il Nord-Sud Italia. Si accompagna
anche la crisi interna della maggioranza politica di centro-destra formatasi a seguito delle elezioni del 2008.
Il governo Berlusconi fa ricorso all'integrazione salariali in costanza di rapporto di lavoro ovvero la CIG.
Durante gli anni ’80 questi strumenti avevano rappresentato una delle soluzioni per fronteggiare le
ripercussioni sul mercato del lavoro. In questa crisi l'elemento di novità consiste nell'utilizzo degli schemi della
CIG e dell'indennità di disoccupazione in una nuova versione, come provvedimenti derogatorie rispetto alla
normativa vigente per quanto riguarda le categorie dei lavoratori interessati, la dimensione dell'impresa, il
settore e la durata dell’intervento. Le motivazioni sono 2:
1. Estendere le misure di sostegno al reddito ed alcune categorie di lavoratori, soprattutto i lavoratori delle
piccole aziende, esclusi dal campo di applicazione della CIG
2. Reperire, con il reggimento delle regioni, i nanziamenti necessari a far fronte all'aumento delle
domande di integrazione salariali dovute alla crisi economica. Il governo ha stipulato con le
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amministrazioni regionali alcuni accordi per il nanziamento degli ammortizzatori in deroga,


prevedendo che una quota signi cativa della spesa complessiva venga coperta attraverso l'utilizzo delle
risorse del Fondo Sociale europeo
La recessione ha reso ancora più evidenti i buchi di copertura del sistema di tutela economica contro la
disoccupazione, mentre il ricorso agli ammortizzatori sociali ha favorito la nascita di una nuova coalizione
distributiva interessata al suo mantenimento. Una seconda linea di intervento riguarda il tentativo di
promuovere un processo di essibilizzazione dei rapporti a tempo indeterminato attraverso la modi cazione
delle norme relative al licenziamento individuale:
- Un primo tentativo riguarda l'adozione del collegato lavoro, con cui viene estesa la possibilità di ricorrere
in via esclusiva lo strumento dell'arbitrato per la soluzione di eventuali liti tra lavoratore/datore di lavoro. I
dubbi circa il pro lo di legittimità della norma costringono comunque il governo ad una parziale marcia
indietro. Per le controversie sul licenziamento resta obbligatorio il ricorso al giudice ordinario
- Un secondo tentativo risale alla manovra bis, approvata nel 2011, con la quale il governo ha inteso favorire
il decentramento degli assetti contrattuali attraverso la promozione della contrattazione collettiva di
prossimità (a livello aziendale territoriale). Sulla base di questa norma, un contratto di prossimità potrebbe
derogare all'obbligo della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, stabilendo per
quest'ultimo solo la possibilità di ottenere un indennizzo. E’ così concesso potere di regolamentazione alle
parti sociali che va ben oltre di quanto era stato de nito dall'accordo interconfederale del 2011, siglato dai
sindacati da Con ndustria:
- Questo accordo aveva previsto la possibilità di intese derogatorie a livello di contrattazione d'impresa,
stabilendo che la contrattazione aziendale potesse avvenire solo nelle materie delegate dallo stesso
contratto di lavoro nazionale di categoria o della legge
In sintesi, il governo cerca di promuovere una revisione del diritto del lavoro italiano. Questo intervento viene
giusti cata dal Ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, perché appare coerente con le indicazioni del libro
bianco sul lavoro del 2001, e dalle pressioni che giungono dall’esterno. Nel 2012 il governo Monti presenta
alle Camere un disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, riforma Fornero. La riforma è adottata
con la l. n. 92/2012. Si tratta di un intervento di carattere generale che tocca tutti i sottogruppi di politica del
lavoro (la regolazione dei rapporti di lavoro, le misure a sostegno del reddito e le politiche proattive).
Il governo interviene su 2 fronti, l'obiettivo è favorire il ricorso al contratto a tempo indeterminato, de nito
come contratto dominante, allentando la severità delle sanzioni connesse al licenziamento illegittimo e
circoscrivendo l'utilizzo del lavoro atipico:
1. Il primo intervento riguarda le modi che relative all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori. La riforma
Fornero individua differenti modalità sanzionatorie in connessione altre fattispecie di licenziamento
individuale:
- Il licenziamento per motivi disciplinari
- Il licenziamento per motivi economici
- Il licenziamento per motivi discriminatori
La novità riguarda il licenziamento illegittimo di natura disciplinare/economica delle aziende rientranti nella
disciplina del vecchio art.18. A fronte dell'accertata illegittimità del licenziamento, e non sia prevista anche la
sanzione conservativa per la condotta adottata (un’ammonizione/multa), il giudice non può più imporre la
reintegrazione del posto di lavoro, ma solo un'indennità risarcitoria in misura variabile dalle 12 alle 24
mensilità. Laddove invece il giudice accerti l'insussistenza del fatto, può ordinare al datore di lavoro alla
reintegrazione del dipendente e il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti, mentre
l'indennità risarcitoria è ssata no a un massimo di 12 mensilità
2. Il secondo intervento riguarda i contratti a termine. È prevista una stretta sul ricorso alle partite IVA e
alle collaborazioni a progetto, mentre è sancita la possibilità di stipulare un contratto di lavoro a tempo
determinato anche in assenza di giusti cazione causale, ma solo nel caso del primo contratto di durata
massima di 12 mesi oppure previo accordo collettivo per non più del 6% dei lavoratori occupati
nell'impresa interessata. È introdotta una nuova aliquota contributiva addizionale (pari a 1,4%) sui
contratti a tempo determinato, nalizzata al nanziamento delle indennità di disoccupazione
La riforma interviene sul sistema degli ammortizzatori sociali, stabilendo una separazione tra le misure a
sostegno del reddito in caso di disoccupazione e le integrazioni salariali in caso di sospensione/riduzione
dell'orario di lavoro. È istituito un nuovo schema, denominato assicurazione sociale per l’impiego (ASPI) che,
nelle intenzioni del governo dovrebbe rappresentare l'unico schema di garanzia del reddito in caso di
disoccupazione. La sua durata massima estesa 12 mesi, l'ammontare pari, nei primi 6 mesi, al 75% della
retribuzione di riferimento no a un massimo di 1180 € lordi, a cui si somma una 25% della retribuzione per
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la parte eccedente, per poi scendere a 60% nei ulteriori 6 mesi. Anche la vecchia indennità di disoccupazione
a requisiti ridotti è sostituita, l’ASPI-trattamento breve (mini-ASPI), è di importo pari all'indennità requisiti
pieni essere corrisposta mensilmente al veri carsi dell'evento assicurato. Vi è l'abolizione del requisito di
anzianità assicurativa (mentre mantenuto quello contributivo). Sempre sul fronte degli ammortizzatori sociali,
4 aspetti aprono la strada alla riforma del Jobs act:
- La riforma fornirò cancella l'indennità di mobilità a partire dal 2017
- È prevista l'uscita dal sistema delle casse integrazioni guadagni in deroga
- È cancellata la possibilità di integrazione straordinaria per fallimento e altre procedure concorsuali a
partire dal 2016
- In merito a quei settori non coperti dalla CIG, al ne di assicurare a tutti lavoratori una tutela è prevista la
costituzione di fondi di solidarietà bilaterali o residuali, nanziati dai datori di lavoro e dai lavoratori
Le principali novità riguardano i contratti di lavoro con i contenuti formativi. Il governo si propone di ssare
i livelli essenziali delle prestazioni che dovrebbero essere offerte dagli SPI, de nendo un sistema premiale per
il raggiungimento di tali livelli. Sono adottate alcune misure volte a favorire una maggiore inclusione delle
donne nel mercato del lavoro. Le elezioni del 2013 rappresentano un importante momento di svolta nella
politica italiana. L'aspetto principale è l'elevato tasso di volatilità elettorale:
- Segnala uno spostamento dal consenso tra i partiti mainstream di centro-destra e soprattutto di centro-
sinistra verso un nuovo partito antiestablishement, il Movimento 5 Stelle (M5S)
Dopo viene a crearsi un governo di coalizione guidato da Enrico Letta, esponente del PD, che appare debole.
L'esecutivo resta in carica solo 1 anno, Matteo Renzi induce Letta a rassegnare le dimissioni. Sul fronte
dell'andamento dell'economia del mercato del lavoro italiano la situazione di crisi profonda si protrae no a
2014. Il governo Letta, in particolare il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Enrico Giovannini, cerca
di far fronte alla situazione adottando alcuni provvedimenti che si basano sul contrasto alla povertà/alla
disoccupazione giovanile:
- Sono riviste le regole della social-card introdotta nel 2008, a favore delle persone indigenti, mentre una
commissione presieduta dal viceministro del Lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra,
sviluppa la proposta di di una nuova misura nazionale, il Sostegno all'inclusione attiva (SIA)
- Al ne di contrastare l'elevato livello di disoccupazione giovanile, il governo Letta introduce nuovi sgravi
scali mirati all'assunzione a tempo indeterminato di persone fra i 18-29 anni (bonus Letta), che non
riscuote successo. Viene istituito la garanzia giovani, un programma Europeo volto a favorire il rapido
inserimento lavorativo dei giovani che risultano non occupati/non coinvolti in qualche esperienza di
educazione o formazione.
Dopo le dimissioni di Enrico letta, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano assegna Renzi incarico
di formare un nuovo governo. Il nuovo Presidente del Consiglio cercherà di sfruttare il vasto consenso di cui
inizialmente gode al ne di promuovere un piano di riforme sia settore speci ci (come il lavoro, la scuola) sia
di natura istituzionale, con riferimento alla legge elettorale e al testo della costituzione italiana. Sul fronte
delle politiche del lavoro italiano, un svolta si realizza con il Jobs act. È introdotto dalla l. delega n. 183/2014,
ma la sua concreta realizzazione è af data 8 decreti attuativi adottati nel 2015. Con l'adozione del Jobs act il
governo Renzi realizza una riforma molto importante che interessa tutti sotto- settori di politica del lavoro.
Riguarda l'introduzione del contratto a tutele crescenti, che rivede la disciplina sui licenziamenti illegittimi
dei lavoratori a tempo indeterminato del settore privato. Le riforme cancellano il principio della tutela reale
nel caso dei licenziamenti economici valutati dal giudice come legittimi e prevedendo al suo posto
un'indennità risarcitoria. È prevista l'attivazione di una conciliazione per evitare rabbia giudiziaria. In questo
caso l'ammontare dell'indennità si riduce da un minimo di 2 a un massimo di 18 mensilità. Il Jobs Act pone 2
limitazioni alla valutazione discrezionale del giudice del lavoro:
- La prima riguarda l'applicazione del principio di tutela reale che nella licenziamento economico non è più
possibile nemmeno a seguito dell'accertamento dell'insussistenza del fatto contestato
- La seconda riguarda l'ammontare della sanzione risarcitoria, che è de nita in maniera puntuale e
automatica dalla stessa legge. La nuova disciplina permette alla datore di lavoro di prevedere gli eventuali
oneri derivanti dalla licenziamento dei lavoratori con mangiare precisione rispetto al passato
Un'altra caratteristica riguarda il fatto che la nuova disciplina dei contratti a tutele crescenti è applicabile solo
ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato del settore privato, signi ca che a seguito dell'entrata in vigore
del Jobs act, vi sono 2 regimi regolativi dei licenziamenti illegittimati:
- Uno valido per i contratti a tempo indeterminato siglati prima dell'entrata in vigore del decreto attuativo
l.n. 23/2015 per i quali vige ancora la disciplina prevista dalla riforma Fornero

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- Uno disciplinato dal nuovo d. lgs. n. 23/2015 che riguarda i contratti a tempo indeterminato stipulati dal
marzo 2015. La creazione di questo doppio regime sembra contraddire l'obiettivo del Jobs act di procedere
ad un’uniformizzazione delle tutele dei lavoratori. In realtà, questo doppio regime risponde al tentativo di
limitare le resistenze politico-sindacale nei confronti della riforma.
Il decreto attuativo n. 81/2015 conferma la liberalizzazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato,
estende la soglia annuale massimo dell'importi derivati dal lavoro accessorio (i voucher lavoro) da circa 5000 €
a 7000 €. I voucher introdotti nel 2003, sono stati estesi a tutti i settori produttivi. Un secondo ambito di
intervento riguarda la materia degli ammortizzatori sociali. Le novità sono 4:
1. La revisione dell'indennità ordinaria di disoccupazione, ribattezzata nuova assicurazione sociale per
l’impiego (NASPI), d’importo iniziale simile a quello della precedente ASPI. E’ introdotto un diverso
meccanismo a scalare tale per cui la somma erogata è destinata a diminuire del 3% ogni mese dopo il
primo trimestre.
- La durata della NASPI viene calcolata in misura pari alla metà delle settimane di contribuzione degli
ultimi 4 anni, entro un tetto massimo di 24 mesi. Sono scorporati dal calcolo della durata i periodi di
contribuzione che hanno già dato luogo alla erogazione delle prestazioni
L'aspetto più importante riguarda l'estensione della copertura potenziale della NASPI dovuta alla revisione
delle condizioni di eleggibilità. Abrogato il criterio dei 2 anni obbligatori di anzianità assicurativa introdotto
nel 1919: l'accesso è consentito a tutti i dipendenti del settore privato e che hanno versato almeno 13
settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione e che hanno svolto
almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l'inizio della disoccupazione
2. L'istituzione dell'assicurazione sociale di disoccupazione (ASDI) per i disoccupati di lungo periodo. Ha
importo ridotto, prevede criteri di eleggibilità stringenti che l’avvicinano di più a un intervento
categoriale/residuale. Rappresenta il primo schema di disoccupazione assistenziale dedicata di natura
non discrezionale adottato in Italia. Af ancandosi alle schemi di natura assicurativa, l’ASDI pone le basi
per la costituzione di un sistema di ammortizzatori sociali multipilastro
3. L'istituzione di un’indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori con contratto a progetto di
collaborazione coordinata/continuativa (DISCOL), introdotta nel 2017 come misura sperimentale,
estendendola anche agli assegnisti di ricerca e ai dottorandi con borse di studio
4. La revisione della disciplina della cassa integrazione guadagni volti sia fronteggiare situazioni di crisi
temporanea sia a contenerne la spesa. A tal ne, il d. lgs. n. 22/2015 prevede il divieto della cassa
integrazione a zero ore (sospensione di tutte le ore lavorabili) per tutto il personale dell’intero periodo
disponibile di cassa e restringe le casuali di concessione della CIGS, cancellando la possibilità di ricorso a
seguito di cessazione di attività produttiva di un'azienda o di un ramo di essa. La durata massima dei
trattamenti ordinari e straordinari e rivista indicando il limite di 24 mesi nelle quinquennio mobile
È introdotto un nuovo bonus che determina un’incremento addizionale progressivo dei contributi a carico
delle aziende che utilizzano maggiormente i trattamenti di integrazione salariale (prevedono al contempo la
riduzione generalizzata del 10% delle aliquote per la CIGO). La riforma estende anche la platea dei
potenziali bene ciari che crescono di 1,4 milioni di lavoratori e 150.000 datori di lavoro. Il d. lgs. n. 22/2015
conferma la disciplina dei fondi di solidarietà già introdotti dalla l. n. 92/2012 rivedendone alcuni aspetti. Il
terzo ambito principale su cui interviene il Jobs act è quello delle politiche proattive:
1. La creazione di una nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL). I suoi compiti
sono il coordinamento della rete dei servizi per il lavoro composta da una pluralità di soggetti tra cui le
strutture regionali delle politiche attive del lavoro, l’Inps, le agenzie per il lavoro
2. L’ANPAL si occupa della gestione del sistema informativo sul mercato del lavoro e dell'albo nazionale dei
soggetti accreditati.L'intento del governo era quello di riportare a sistema la governance delle politiche
attive del lavoro. Il governo Renzi aveva tentato di realizzare un ri-accentramento in capo allo stato delle
competenze in questa area di policy attraverso la promozione di una riforma costituzionale, respinta a
seguito del referendum del 2016
3. L'istituzione di un assegno di ricollocazione destinato ai richiedenti bene ciari della NASPI da almeno 4
mesi e ai lavoratori in CIGS previa sottoscrizione di un accordo di ricollocazione da parte delle aziende e
dei sindacati. Tale assegno consiste in un importo valido per la fornitura di servizi intensivi di assistenza
alla ricerca di una occupazione presso operatori pubblici e privati accreditati. Può variare da 250-5000 €
a seconda del pro lo del disoccupato, pagata direttamente al fornitore solo nel caso in cui il bene ciario
trovi un'occupazione a tempo indeterminato/determinato superiore a 6 mesi (3 mesi nelle regioni
meridionali)

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4. La previsione di una riordino della disciplina dell'incentivi e l'inasprimento delle norme sulla condizionali
ta (in particolare alle sanzioni) per poter continuare a bene ciare delle indennità di disoccupazione
Il governo Renzi ha adottato anche altri provvedimenti connessi alla sfera della politica del lavoro:
- Un rafforzamento delle misure di conciliazione della vita lavorativa e familiare (estendendo la possibilità di
ricorso al congedo obbligatorio di maternità)
- Con la l. n. 81/2017 è adottato il Jobs act degli autonomi, accresce alcune tutele sociali per i lavoratori
autonomi professionisti e i titolari di partita Iva non iscritti a un albo professionale
- La Buona scuola rafforza il ricorso alla metodologia didattica dell'alternanza scuola-lavoro
- Attraverso le leggi di stabilità 2016-2017, il governo ha cercato di promuovere lo sviluppo del welfare
aziendale consentendo la conversione del premio di produttività in servizi e beni di welfare che possono
usufruire delle agevolazioni scali previsti dall’art. 51 del Testo unico delle imposte sul reddito (TUIR)
Il Jobs Act mira a 5 obiettivi:
1. Contrastare il dualismo del mercato del lavoro italiano, incentivando la stabilizzazione occupazionale
2. Favorire la crescita della produttività del lavoro
3. Attirare maggiori investimenti in Italia e facilitare la ripresa economica e dell'occupazione dopo gli anni
di crisi economica
4. Razionalizzare il sistema degli ammortizzatori sociali e ridurre le disparità di trattamento tra le diverse
categorie di lavoratori
5. Rafforzare il sistema dei servizi per l'impiego e delle politiche attive
A qualche anno dalla sua adozione, non si può valutare in maniera generale la situazione. 2 aspetti appaiono
comunque molto chiari:
1. È possibile osservare, nel 2015-2018, un miglioramento della performance occupazionale italiana
2. Il Jobs act ha spostato i rapporti di forza tra capitale e lavoro a favore dell’imprenditori
L'anno 2015 è stato caratterizzato da un elevato livello di occupazione a tempo indeterminato. Si tratta di un
risultato che sembra essere dovuto dai generosi incentivi del governo Renzi. Questi incentivi hanno aggravato
le risorse pubbliche, dal 2016, è stata adottata una politica più selettiva che ha portato alla riduzione
dell'importo di tali incentivi e la loro focalizzazione su alcune categorie (i giovani) e aree territoriali (il
Meridione). Con il ridimensionamento della politica degli incentivi si è assistito ad un aumento
dell'occupazione soprattutto a partire dal 2017. Le proposte del governo Monte più importanti riguardano:
- L'incremento dell'indennità risarcitoria dovuta in caso di licenziamento illegittimo portandola da un
minimo di 6 mesi a un massimo 36 mensilità
- E’ reintrodotto l'obbligo per il datore di lavoro di speci care le causali del ricorso a tale contratto, se
superiore ai 12 mesi. Possono consistere sulla sussistenza di esigenze temporanee e oggettive. Cambia
anche la durata massima del rapporto a termine che può arrivare no ai 24 mesi
- Il mantenimento dell'incentivo occupazionale per i lavoratori al di sotto dei 35 anni no al 2020
- Il ripristino dei voucher nel settore del turismo, ad alcune categorie di persone (i disoccupati, i giovani
sotto i 25 anni, i pensionati)
La sentenza della corte costituzionale restituisce uno spazio di valutazione discrezionale al giudice del lavoro
che è chiamato a identi care l'adeguato compenso del lavoratore illegittimamente licenziato all'interno della
forbice rappresentata dalle sei alle 36 mensilità massima:
- Da un lato, mette parzialmente in discussione uno dei principi cardini del Jobs act, ovvero la possibilità per
il datore di lavoro di prevedere con certezza i possibili costi della licenziamento
- Dall'altro, potrebbe portare ad un’ulteriore revisione del d. lgs. n. 81/2015 a seguito della disapplicazione
di alcuni suoi elementi
Il governo Conte ha ridimensionato il monteore obbligatorio previsto per l’alternanza-scuola lavoro e
reintrodotto la CIGS per cessata attività. La legislazione sul lavoro ha conosciuto cambiamenti. Una prima
rottura rispetto al modello garantista si realizza con l'introduzione del lavoro interinale e il recepimento delle
direttive europee sul part-time e lavoro a tempo determinato, per poi proseguire con l’adozione della l. n.
30/2003. Questo processo di riforma presenta 2 caratteristiche di fondo:
- A luogo al margine del mercato del lavoro, dal momento che riguarda solamente i contratti a termine.
Seppure al margine, si è trattato di un processo di essibilizzazione con effetti molto rilevanti sulla
composizione e sui comportamenti degli attori del mercato del lavoro italiano
- La liberalizzazione del mercato del lavoro italiano si realizza in maniera selettiva, dal momento che
interessa le donne e i giovani
La riforma Fornero e il Jobs act intervengono sulla regolazione dei rapporti di lavoro, interessano anche i
lavoratori a tempo indeterminato. Sul fronte dei rapporti a termine il percorso appare più incerto:
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- Il legislatore si è espresso in direzione di una regolazione di alcuni rapporti di lavoro di breve durata, al
ne di contenerne gli abusi
- Le esigenze di essibilità del sistema economico post industriale premono in direzione di una
liberalizzazione anche su questo fronte, nonostante il tentativo di favorire il ricorso ai contratti a tempo
indeterminato
Tale cambiamento ha seguito 2 direttrici:
1. La prima riguarda la crescita della generosità delle indennità di disoccupazione. Gli importi e la durata
della CIG e dell'indennità di mobilità sono rimasti i medesimi, ovvero l'80% del reddito complessivo.
L'applicazione di massimali all'importo dell'integrazione salariale della CIG e dell'indennità di mobilità a
comportato ad una riduzione del loro ammontare effettivo. Già prima del 2012, una riduzione delle
disparità di trattamento economico tra le differenti categorie di lavoratori
2. La seconda riguarda l'estensione della copertura delle tutele sociali, ovvero dei lavoratori ammessi al
godimento delle misure economiche di sostegno al reddito in caso di disoccupazione. Fino a 2012 tale
assorbimento si è realizzato attraverso il ricorso discrezionale agli schemi di CIG e mobilità in deroga,
attraverso una parziale estensione dell'indennità di disoccupazione ordinaria, senza riuscire a fornire una
risposta adeguata alle limitate tutela del reddito per alcune categorie di lavoratori
Sul fronte degli ammortizzatori sociali la riforma Fornero e il Jobs act realizzano 4 risultati:
- Un’ulteriore crescita tendenziale della generosità delle misure a sostegno del reddito in caso di
disoccupazione
- Un'ulteriore uniformizzazione delle tutele del reddito in caso di disoccupazione
- L'estensione delle tutele garantite dal sistema degli ammortizzatori sociali, ovvero delle coperture dei
lavoratori potenzialmente a rischio di disoccupazione
- La razionalizzazione del sistema esistente, grazie a un parziale sempli cazione (desegmentazione) del
sistema delle indennità di disoccupazione di natura assicurativa (il primo pilastro) e la strutturazione di un
secondo pilastro assistenziale con l’ASDI. Quest'ultimo è nito con il fondersi nel terzo pilastro relativo alle
misure di sostegno di ultima istanza, con la creazione del REI
A partire dalla metà degli anni ’90 cresce in Italia la spesa per le politiche proattive del lavoro calcolata in
rapporto al Pil. Dal 2004 il divario nei dati di spesa tra questi 2 tipi di interventi si riapre, con una riduzione
della spesa per le misure protettive e una crescita di quelle volte a tutelare i redditi. Una seconda dimensione
rilevante del cambiamento riguarda la riforma degli SPI. Si tratta di una riforma che interessa:
- L'intera governance del sistema, con la devoluzione delle competenze in materia di SPI e politiche attive del
lavoro a livello regionale e provinciale
- La liberizzazione delle funzioni di mediazione del lavoro, abrogando i vincoli posti agli operatore privati
- La ride nizione della mission degli SPI
I nuovi SPI sono chiamati a implementare e a rendere effettivo il principio di condizionalità della percezione
di prestazioni monetarie, fornendo offerte di lavoro e offerte di formazione professionale le persone in cerca
di occupazione. Il problema principale risiede nella limitata capacità istituzionale degli SPI. In quanto la
percentuale di persone che dichiarano di aver trovato un'occupazione grazie a questi ultimi rimane bassa.
Il modello di politica italiana del lavoro ha posto l'attenzione su una pluralità di fattori che hanno permesso
l'adozione di numerose riforme:
a. Un primo fattore riguarda la presenza di pressioni a cambiamento endogene ed esogene rispetto al
sistema politico ed economico italiano:
- Pressioni endogene: gravi dif coltà del mercato del lavoro e dell’economia
- Pressioni esogene: ci riferiamo ai vincoli agli orientamenti derivanti dal livello sovranazionale
b. Le dif coltà del mercato del lavoro nazionale/vincoli/orientamenti europei non costituiscono
automaticamente un fattore di cambiamento. È necessario che si formi una coalizione di attori in grado
di sostenere l'adozione delle riforme nel contesto politico-istituzionale, hanno avuto il ruolo cruciale negli
anni 90, durante la stagione della concertazione, anche negli anni 2000
c. Un altro fattore è la trasformazione della meccanica del sistema di partito e lo svilupparsi di una
competizione elettorale bipolare hanno favorito l'adozione di riforme da parte di maggioranze di diverso
colore politico
Il modello originario di politiche del lavoro si fonda sul principio della difesa della stabilità e dell'impiego ed è
volto ad assicurare al lavoratore adulto di sesso maschile una fonte certa di reddito.Tra gli anni ’50-’70 si
instaura un forte legame tra il sistema di tutela sociale/modello produttivo/regolazione del lavoro, quello di
organizzazione sociale. Questo mostra i primi segni di cedimento nel corso degli anni ’80, a causa delle
trasformazioni del sistema economico/dell’impatto sociale delle crisi industriali. Dagli anni ’90 questo legame
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entra in crisi, quando anche in Italia in cominciano a porsi le basi per lo sviluppo di un'economia post-
industriale. Questi fenomeni sono accompagnati dall'emergere di nuovi rischi sociali (NRS) quali la
precarizzazione dell’attività lavorativa. I rischi tradizionali mostrano una natura aleatoria e circostanziata,
mentre i NRS appaiono cronici e necessitano di forme di intervento personalizzato. Se i rischi tradizionali
sono riconducibili a speci che categorie di lavoratori, i nuovi rischi riguardano i gruppi eterogenei di donne,
giovani e lavoratori con basse quali che. Le riforme delle politiche italiane del lavoro hanno saputo fornire
una risposta parziale alle s de dell'economia post industriale. Le politiche del lavoro possono essere orientate
verso forme di intervento nalizzati al contenimento dei rischi che interessano le diverse transizioni nel corso
del ciclo di una vita di una persona (tra scuole/formazione/lavoro). Per questo è opportuno proseguire
l'azione di riforma su 4 fronti:
1. Investire nella ricerca e sviluppo nella dotazione di un'adeguata infrastruttura materiale e digitale.
2. Investire maggiormente nelle politiche educative di formazione professionale
3. Promuovere pratiche e misure di conciliazione delle molteplici attività in cui una persona può essere
coinvolta (di cura, di volontariato)
4. Potenziare l'offerta di servizi pubblici e privati di assistenza alla ricerca del lavoro, che devono operare a
anco di adeguate misure di supporto economico contro i rischi connessi alla disoccupazione
In relazione a questi ambiti di intervento il nostro paese è ancora in ritardo

CAP 4.

Il sistema sanitario è l'insieme delle istituzioni, degli attori/risorse che concorrono alla promozione/
mantenimento della salute. Si compone di vari sottosistemi:
- Il sottosistema della domanda raggruppa la popolazione che esprime un bisogno di salute e richiede
prestazioni per ripristinare il proprio stato di benessere
- Il sottosistema dell'offerta ha il compito di produrre/distribuire servizi/prestazioni sanitarie
- Il sottosistema del nanziamento si occupa di raccogliere/distribuire le risorse monetarie necessarie a far
funzionare il sistema nel suo complesso
Gli interessi degli attori che vi operano sono diversi. Per questo un sistema sanitario persegue diversi nalità
che vanno dalla prevenzione della morte alla guarigione delle malattie. Le attività sono molteplici e si
raggruppano in:
- Prevenzione primaria: volta a eliminare le cause di insorgenza delle malattie e possibile fattore di rischio
per la salute
- Prevenzione secondaria: nalizzata a individuare le malattie in fase precoce e ad arrestarne l’evoluzione
- Diagnosi e cura: volte a identi care le cause delle malattie, rimuoverne lo stato patologico/ritardarne il
decorso attraverso cure primarie e specialistiche
- Riabilitazione: nalizzata a recuperare le capacità funzionali compromesse dalla malattia e a impedirne la
cronicità
Lo stato di salute dipende da una serie di fattori, che interagendo tra loro, possono condizionare in positivo
(l'esercizio sico) o in negativo (l'abuso di alcol e fumo) la salute. Questi fattori si possono raggruppare in 4
classi:
1. Patrimonio genetico
2. Fattori ambientali
3. Fattori socioculturali
4. Fattori economici e stili di vita
L’interrelazione tra questi fattori si evince se si considera che salute non è sinonimo di sanità e spendere di
più per la sanità non signi ca necessariamente migliorare lo stato di salute di una persona. Il sistema sanitario
può farsi da promotore, presso i decisori pubblici di altri settori, af nché vengono attuate politiche sane: nella
produzione di energie rinnovabili. Per funzionare, il sistema sanitario impiega risorse del sistema economico
(fattori produttivi/input: lavoro, capitali, beni e servizi) e li trasforma in prestazioni sanitarie (output),
destinate a migliorare lo stato di salute della popolazione. Nel processo produttivo le risorse sono combinate
secondo proporzioni tipiche dei diversi sottosettori sanitari (il settore ospedaliero è ad alta intensità di
capitale) per creare valore aggiunto, ossia un nuovo valore d'uso della prestazione prodotta. Il sistema
sanitario ha lo scopo di produrre salute (salute come risultato o outcome). Ci sono 4 i parametri principali con
cui valutare un sistema sanitario:

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1. L'ef cienza (rapporto prestazioni/risorse o output/input) è relativa all'impiego economico delle risorse
nel processo produttivo, è misurata dal numero di prestazioni realizzate da unità di fattore produttivo
impiegato (il numero di visite per ora di lavoro medico)
2. L'ef cacia (rapporto salute/prestazione o outcome/output) misura il contributo dei servizi sanitari al
miglioramento dello stato di salute. È misurata dalla miglioramento di salute in seguito al consumo di
una prestazione sanitaria (la riduzione delle morti per tumore al seno grazie all'introduzione di screening
periodici)
3. I costi, il cui indicatore principale è rappresentato dalla spesa sanitaria totale procapite
4. L'equità, l'uguaglianza di accesso alle cure sanitarie indipendentemente dalle condizioni
socioeconomiche degli individui: la salute non dipende solo dal servizio sanitario ma è la risultante di
molti fattori concomitanti (le condizioni lavorative)
Un sistema ideale deve offrire una giusta combinazione fra tutti questi indicatori. Si tratta di indicatori di
dif cile misurazione nella pratica. Se anche per assurdo un sistema sanitario non producesse salute, esso
produrrebbe comunque dei redditi. Le risorse impiegate generano redditi per coloro che le prestano (stipendi
per medici e infermieri). I sistemi sanitari dei diversi paesi sviluppati possono essere ricondotti a 3 diversi
modelli:
a. Il sistema delle assicurazioni sociali di malattie (di stampo mutualistico)
b. Il servizio sanitario nazionale
c. Le assicurazioni private di malattia
I primi 2 modelli si differenziano sotto diversi aspetti:
- In termini di copertura: nel 1° modello i principali destinatari delle prestazioni sanitarie sono i lavoratori,
nel 2 all'intera popolazione residente. I sistemi di tipo assicurativo, presentano differenziazioni di
trattamento tra le varie categorie occupazionali
- Rispetto alla natura pubblica/privata degli erogatori e alle caratteristiche dei servizi offerti: nel sistema
mutualistico il principale erogatore di prestazioni è privato, mentre nei sistemi sanitari nazionali è lo Stato
che si fa carico della gestione dell'assistenza sanitaria. Incide sulla gamma delle prestazioni offerte, nel 1°
caso è più circoscritta e in funzione della partecipazione assicurativa; nel 2 caso è più estesa, più omogenea
e in funzione del requisito di cittadinanza/residenza
- Rispetto al meccanismo di nanziamento, rispettivamente di tipo contributivo/ scale
Il modello delle assicurazioni private di malattia è nanziata attraverso i premi pagati da coloro che scelgono
liberamente di sottoscrivere una polizza assicurativa. Il sistema garantisce la protezione a tutti coloro che
sono disposti a pagare in base alla propria esposizione di rischio, sono esclusi tutti coloro che non sono in
grado di sostenere il costo di una polizza assicurativa. Questo modello è diffuso negli Stati Uniti (2 schemi
sanitari, rivolti ai cittadini poveri (Medicaid) e agli anziani ultra 65 (Medicare) ), non un sistema sanitario di tipo
mutualistico di tipo nazionale. Vengono garantite almeno 2 prestazioni monetarie connesse alla tutela della
salute:
- L'indennità di malattia, una somma che viene pagata in sostituzione della retribuzione ai lavoratori che si
ammalano. È previsto un periodo massimo di erogazione, i primi 2-3 giorni sono a carico dei datori di
lavoro mentre il restante periodo di assenza è a carico dell'ente gestore
- L'indennità di maternità, a cui hanno diritto le lavoratrici madri e che permette loro di assentarsi per un
periodo de nitivo dal posto di lavoro. Durante la loro assenza è prevista l'erogazione di un’indennità
sostitutiva della retribuzione
I sistemi sanitari dei diversi paesi si differenziano sotto il pro lo organizzativo, ma è possibile individuare
alcune somiglianze. I principali attori istituzionali del sistema sanitario sono:
- I cittadini, in qualità di fruitori delle prestazioni di servizi sanitari e in qualità di contribuenti, dal
momento che il modo diretto/indiretto essi costituiscono la fonte principale di nanziamento
- Gli enti centrali dello Stato e quelli periferici, che operano a livello subnazionale (regionale e/o comunale).
Questi attori svolgono un ruolo centrale nella fase di formulazione/approvazione della normativa sanitaria
anche nella fase di implementazione della politica sanitaria
- I soggetti economico- nanziari che acquistano e vendono le prestazioni sanitarie: soggetti pubblici/privati
(assicurazioni) il cui ne istituzionale è l'intermediazione di acquisto/vendita di servizi, fare da tramite tra i
cittadini-utenti e le strutture erogatrici dei servizi
- Le strutture di erogazione dei servizi: ospedali, ambulatori, laboratori
L'origine dei sistemi sanitari è connessa ai processi di modernizzazione/urbanizzazione/industrializzazione.
L’organizzazione sempre più intesa determina un peggioramento delle condizioni di vita è un
sovraffollamento delle città aumentando i rischi di epidemie. La sanità decollò quando scoppiò l'epidemia di
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colera nel 1832 in Europa. La neutralizzazione dei vincoli di contagio e la soppressione di ogni potenziale
forma di miasmi, furono i 2 principali obiettivi di politica sanitaria perseguiti dei paesi europei a partire dagli
anni ’30 dell’800. Nella fase originaria di sviluppo della sanità, oltre all'Elite di governo, le burocrazie statali e
medici, ebbero un ruolo importante anche le chiese/gli studi privati di bene cenza/movimenti popolari (i
sindacati/associazioni). Furono i movimenti politico-religiosi a sperimentare le prime forme di mutualismo
sanitario tramite le situazioni di appositi fondi assicurativi a iscrizione volontaria, creando così un nuovo
meccanismo di redistribuzione. Lo Stato viene stimolato a emanare provvedimenti di legge per regolare la
disciplina del mutuo soccorso. Al mutualismo sanitario a carattere volontario ha fatto seguito all'introduzione
dell'assicurazione pubblica obbligatoria contro le malattie, che ha rappresentato una svolta nei sistemi
sanitari. Inizialmente l'assicurazione di malattia tutelava dalle perdite del reddito e solo dopo le prestazioni in
denaro vennero integrate con prestazioni mediche. L'assicurazione obbligatoria si distingueva per il fatto di
offrire prestazioni su base nazionale, prescindeva da ogni preferenza politico-confessionale dei propri
bene ciari, creava un nuovo diritto sociale all'assistenza in caso di malattia, protetto da legge. Il paese giuda
in campo sanitario fu la Germania di Bismark, che introdusse il primo schema nel 1883, seguita dall’Austria.
Con il passare del tempo la medicina /chirurgia si affermarono come discipline di primo piano in ambito
accademico, la crescita economica favorì migliori condizioni di igene, l'aumento della scolarizzazione
contribuì alla mondializzazione dei comportamenti sanitari della popolazione. Dagli anni ’50 il settore
sanitario ebbe un’ espansione sotto il pro lo sia qualitativo sia quantitativo:
- Un primo indicatore è la percentuale di spesa sanitaria totale rispetto al Pil. Nei paesi industrializzati la
spesa sanitaria totale rispetto al Pil è e raddoppiata negli ultimi 60 anni. 1995-2017, la spesa sanitaria
procapite è cresciuta in tutti i paesi OCSE, l'aumento della spesa sanitaria pubblica su totale della spesa
sanitaria ha conosciuto una essione in numerosi Stati (Germania, Svezia, Regno Unito, Italia e Spagna)
per poi ricominciare a crescere.
- Un secondo indicatore è dato dai tassi di occupazione nel settore sanitario/socioassistenziale sul totale
degli occupati: tale percentuale è aumentata in tutti i paesi OCSE. Alla ne degli anni '90 questo
indicatore si assesta ormai sopra i 10%
- Il terzo è rappresentato dal grado di copertura dell'assistenza sanitaria, è cresciuto in tutti i paesi dagli anni
’60. I paesi che presentano un tasso di copertura pari al 100% hanno un sistema sanitario nazionale.
- Tra gli anni ’30-’40 si era affacciato la dottrina della sicurezza sociale. Questa proponeva il superamento
dell'approccio basato sull'assicurazione obbligatoria dei lavoratori e raccomandava l'istituzione di sistemi
integrati di protezione sociale, fornita direttamente dallo Stato, nanziata dal gettito scale
Il primo paese ad introdurre il sistema sanitario nazionale fu (1938) e la Nuova Zelanda. L'idea del sistema
sanitario nazionale è associata al Regno Unito e alla gura di Lord Beveridge, arte ce del piano di riforma
che prenderà il suo nome e porterà alla creazione, 1946, del National Health Service (NHS). L'Italia è stata il
primo paese dell'Europa meridionale a inseguire la strada dell'universalismo in campo sanitario abolendo le
casse mutue e introducendo nel 1978 un servizio sanitario nazionale. Un servizio nazionale tende ad essere
più omogeneo/standardizzato, realizza pienamente l'ideale della cittadinanza sanitaria: di una garanzia di
assistenza universale, collegata solo status di cittadino indipendentemente da ogni altra condizione
socioeconomica. Il termine sanità ha nito per denotare unicamente l'insieme dei programmi delle strutture
pubbliche in questo settore. Tale denotazione è super ua, dal momento che anche nelle società più sviluppate
la sfera della sanità continua a includere numerosi attori/pratiche di tipo non pubblico: non solo la medicina
privata, ma anche l'insieme dell'attività di cura. Una dimensione rilevante della variazione fra i vari sistemi
dei paesi occidentali è costituita dalle con gurazioni del mix fra pubblico/privato/sociale. Quale sia il mix, il
sistema sanitario poggia sempre comunque su discipline normative emanate dallo Stato. Possiamo collocare i
paesi OCSE in base a 2 dimensioni:
1. Erogazione dell'assistenza sanitaria, nelle 3 forme: pubblica/privata/mista
2. Finanziamento, di tipo scale/contributivo
L'evoluzione della politica sanitaria e il processo di statalizzazione del settore sono in uenzati dai rapporti di
forza esistenti tra:
- I partiti e i movimenti politici
- La professione medica e le sue associazioni di categoria
- La burocrazia e gli apparati che erogano i servizi
I partiti di sinistra e i sindacati dei lavoratori sono stati le guide delle grandi riforme in direzione statalista, in
con itto con i partiti di centro e di destra. La professione medica ha teso a difendere l'orientamento
mercantile del sistema, da cui essa trae ovvi vantaggi. Gli apparati burocratici hanno giocato un ruolo meno
prevedibile: in alcuni casi essi hanno osteggiato qualsiasi interazione dello status quo e delle routine
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amministrative; In altri hanno appoggiato le forze riformiste, anche al ne di accrescere il proprio ambito di
azione/ proprie risorse. I rapporti fra governo centrale/periferici, hanno avuto una parte importante nel
facilitare le coalizioni fra gli altri attori nel determinare gli esiti istituzionali delle riforme in termini di
centralizzazione/decentramento. In un panorama continentale conservatore in termini di riformismo
sanitario, l'unica eccezione è costituita dall'Italia, che nel 1978 ha smantellato il vecchio sistema mutualistico
per istituire un servizio sanitario nazionale. La trasformazione del sistema mutualistico in un sistema sanitario
nazionale è avvenuta per tappe:
- La prima risale al 1958, istituito il Ministero della Sanità, af ancato dal Consiglio superiore di Sanità e dal
Istituto superiore di Sanità. Fu il nuovo dicastero a promuovere l'impostazione della politica ospedaliera
degli anni ’60 culminata nella l. n. 132/1968 (Legge Mariotti) che istituiva gli enti ospedalieri. Uno degli
aspetti più importanti di quella legge riguardava il decentramento dei compiti delle funzioni sanitarie alle
regioni
L'estensione a tutti i cittadini del diritto all'assistenza ospedaliera sancito dalla l. n. 132/1968 divenne
effettivo solo a partire dal 1974. Per portare a compimento l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale
(SSN) venne approvata la l. n. 386/1974 recante disposizioni per l'estinzione dei debiti degli enti mutualistici
nei confronti delle strutture ospedaliere. Con la l. n. 349/1977 vennero soppressi del tutto gli enti mutualistici
Il completo trasferimento delle funzioni amministrative/sanitarie dallo Stato alle regioni viene attuato con il
d. p. r. n. 616/1977. Venne approvata la legge istitutiva del SSN (l. n. 833/1978). I contributi sociali furono
fatti con uire nel Fondo Sanitario Nazionale (FSN) e redistribuiti alle regioni per pagare i fornitori delle
prestazioni. Una volta abolite le casse mutue, la struttura amministrativa del nuovo SSN assunse una
con gurazione decentrata. Il sistema venne articolato su 3 livelli:
1. Allo stato spettava la de nizione del quadro giuridico-operativo di svolgimento dell'attività di tutela della
salute in modo da garantire i principi istituzionali di un colazione attraverso la programmazione/
coordinamento/ nanziamento dell'intero sistema sanitario
2. Alle regioni, dotate di autonomia gestionale ma non nanziaria, erano attribuite competenze di
programmazione (attraverso la stesura dei piani sanitari regionali) e di attuazione della de nizione
dell'assetto speci co, dell'articolazione organizzativa e delle norme di contabilità delle unità sanitarie
locali , strutture operative dei comuni singoli o associati
3. Al livello locale faceva capo all'organizzazione di base dei servizi attraverso le USL, rette da un'assemblea
generale e da comitati di gestione. La congiuntura che ha consentito la deviazione delle politiche
sanitarie italiane si è originata a seguito dei seguenti processi:
- L’indebolimento della corporazione medica come conseguenza, della burocratizzazione del medico della
mutua e della frammentazione interna derivante dallo sgretolamento della struttura gerarchica degli
ospedale
- Il dissesto organizzativo/ nanziario delle casse mutue, che aveva eroso la credibilità di questi istituti e il
loro potere di pressione e di veto
- L’avanzata elettorale del partito comunista italiano PCI durante gli anni 70, prima a livello regionale e poi
nazionale, unita a rivolgimenti dal clima sociale e culturale
- La creazione, delle regioni a statuto ordinario, che aveva offerto la occasione istituzionale per una generale
ristrutturazione organizzativa
La sanità ha conosciuto un’espansione che ha contribuito a migliorare lo stato di salute della popolazione/
ridurre le disuguaglianze. Tale espansione non è stata priva di complicazioni, non a caso i costi crescenti della
sanità sono responsabile della crisi scale in cui si dibattono da ormai quattro decenni tutti i welfare state
maturi. Individuiamo questi fattori distinguendo tra lato dell'offerta e lato delle domande e chiarendo le
dinamiche di crescita che essi hanno prodotto:
- Le spinte espansive sono provenute dal versante dell'offerta, in connessione a caratteristiche strutturali
della produzione sanitaria. Le nuove tecnologie sanitarie hanno rivoluzionato la medicina. Questo ha
contribuito a diffondere la ducia nella medicina, di conseguenza, un ricorso sempre più intenso in terapia
da alto livello tecnologico. Sono state aggravate dal fatto che quella sanitario è uno dei pochi settori in cui
il progresso tecnico tende a non essere Labour saving (risparmiatore di lavoro) e a conoscere i costi unitari
crescenti nel lungo periodo. La produzione sanitaria si contraddistingue per l’alta intensità e rigidità della
forza lavoro. I fattori di offerta in uenzano la spesa perché quella sanitario è un mercato in cui vi è un
rapporto asimmetrico tra medico/paziente, è il primo che detiene gli strumenti per in uenzare le scelte del
secondo.

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- La crescita è stata alimentata da una serie di fattori di domanda, dall'incremento dei consumi da parte dei
cittadini. La nozione di domanda va intesa in senso lato, dal momento che include il consumo spontaneo
che origina direttamente dall'iniziativa degli utenti, anche quello indotto dei medici.
Questa esplosione di consumi a livello comparato suggerisce l'esistenza di cause di fondi comune e di ordine
generale. Queste vanno cercate sul piano delle trasformazioni socio-demogra che. I paesi industrializzati
sono entrati in una fase di intensa transizione demogra ca. Caratterizzata da un rapido aumento della
popolazione anziana. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno dovuto all'effetto di 2 fattori:
a. Il calo della natalità
b. L'aumento della speranza di vita
Lo sviluppo medico ha nito per accrescere la dipendenza di persone nei confronti del sistema sanitario
(paradosso medico), tendendo così a innalzare il tasso e l'intensità media della morbilità in seno alla popolazione
generale. Le generazioni attuali non invecchieranno con le stesse modalità con le quali sono invecchiate
quelle attuali. Si parla di un fattore generazionale attribuibile, da un lato all'emergere di nuovi modelli
socioculturali di riferimento, dall'altro, all'agevole diffusione di informazioni riguardanti i mezzi e le
opportunità di cura. Con lo sviluppo medico sono cambiati i rischi collegati ai comportamenti tipici delle
società del benessere (alcolismo, droghe). Si è veri cato un effetto di sostituzione che ha in parte
controbilanciato la scomparsa delle vecchie patologie. Il consumo sanitario ha dimostrato di essere correlato
al reddito nazionale: la maggior la disponibilità economica a livello aggregato ha, incentivato un maggior
consumo di beni sanitari offerti. Il formato di copertura dell'assicurazione obbligatoria di malattia esteso a
sempre più persone quindi aumenta anche la gamma di rischi protetti. La regolarizzazione pubblica della
sanità ha originato forme perverse di incentivazione nei confronti dei 3 principali protagonisti dell'arena
sanitaria:
1. I consumatori: sono stati illusi di poter consumare gratis i bene ci
2. I fornitori di prestazioni (medici): pur essendo responsabili della gestione della domanda, sono stati
sollevati da ogni vincolo che non fosse quello ippocratico e allora sono stati indotti all'intensi cazione
della propria rendita professionale
3. I nanziatori (stato): si sono riservati pochi poteri di controllo e valutazione hanno mostrato scarsa
ef cienza regolativa
La s da dei costi ha stimolato la ricerca di nuovi strumenti normativi volti al contenimento dei consumi. Tutti
i paesi hanno dato avvio a un ripensamento dei propri sistemi di governance sanitaria. Le strategie di
contenimento dei costi adottate dalla ne degli anni ’70 sono state condizionate dagli assetti istituzionali del
mix pubblico/privato. Le risposte dei paesi OCSE, sono riconducibili a 3 linee principali di intervento:
1. Il razionamento dei servizi sanitari, al ne di circoscrivere progressivamente l'impegno della sfera
pubblica nell’erogazione/copertura nanziaria dei servizi, trasferendo in parte i costi della prestazione
agli utenti. Si tratta di una strategia che agisce sul versante della domanda
2. L'adozione di misure di tipo restrittivo sul versante dell’offerta
3. La managerializzazione della produzione sanitaria, da intendersi come ride nizione delle aree di
responsabilità allo scopo di aumentare l'ef cienza complessiva del sistema. L'obiettivo della riduzione dei
costi è perseguito in questo caso attraverso un contenimento delle risorse assorbite
Le tendenze di fondo del nuovo riformismo restrittivo viene distinto in 2 fasi:
- Gli anni '80, in cui si è cercato di tamponare le falle degli assetti sanitari tradizionali
- Gli anni ’90, in cui si è avviata la ristrutturazione del sistema sanitario
In riferimento alla prima linea di riforma, il razionamento dei servizi sanitari, è possibile distinguere 3
principali aree di intervento: accesso/partecipazione nanziaria/comprensività pacchetto di prestazioni:
1. L'accesso ha che fare con il grado di copertura di uno schema di protezione sociale, ossia il numero di
cittadini che hanno diritto alle prestazioni. Signi ca escludere dal sistema di assicurazioni pubblica
alcune fasce di popolazione. Una variante è rappresentata dalla possibilità di uscita dal sistema di
protezione per quei cittadini che ne facciano richiesta a condizione che rispondano a determinati
requisiti di natura reddituale.
2. Le politiche di razionamento incentrate sulla dimensione della partecipazione nanziaria, hanno avuto
una diffusione in tutti i paesi occidentali. Si tratta di trasferire a carico degli utenti quote di contribuzione
alle spese in forma ssa/variabile a seconda della tipologia di servizi e prodotti sanitari
3. La terza strategia di razionamento prevede di intervenire sulla comprensività dell'intervento pubblico,
individuando un pacchetto di prestazioni essenziali/base da mantenere nell'ambito della tutela pubblica.
Fino a ora sono state adottate forme di razionamento di tipo implicito come il metodo delle liste di attesa.
In Italia, nel 2001 si è giunti alla de nizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), servizi/prestazioni
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garantite dal SSN. Le prestazioni incluse nei LEA individuate sulla base dei principi di effettiva necessità
assistenziale. Le regioni possono decidere di includere nei LEA ulteriori prestazioni
Sul versante dell'offerta 4 sono state le linee direttrici della politica restrittiva degli anni ’80:
1. Fissazione dei tetti di spesa e di bilanci de niti. Preoccupati dall'andamento della spesa sanitaria
pubblica, i governi hanno iniziato a stabilire in anticipo la quantità di risorse nanziarie disponibili
annualmente per l'intero settore sanitario. Tetti/blocchi si sono rivelati più agevoli da introdurre nei
servizi sanitari nazionali piuttosto che nei sistemi basati su mutue obbligatori: i primi sono più
programmabili dei secondi
2. Riorganizzazione delle strutture e delle personale. In molti paesi sono stati introdotti i blocchi delle
assunzioni dei dipendenti/imiti alle ammissioni delle facoltà di medicina/all’abilitazione professionale.
Molti istituti di cura sono stati chiusi/riconvertiti ad altri usi (riabilitazione). Sono stati introdotti incentivi
per incoraggiare sistemi di cura alternativi al ricovero (day-hospital)
3. Controlli sulle tecnologie e sui prezzi. In tutti i paesi sono stati rafforzati i sistemi di controllo sul prezzo
dei farmaci. In Germania è stato adottato un tipo di controllo che consiste nel ssare un prezzo di
riferimento a chi viene coperto interamente dall'assicurazione di malattia mentre l'eventuale differenza è
a carico dell’utente
4. Controlli sul comportamento prescrittivo dei medici. I medici sono diventati bersaglio di numerosi
provvedimenti volti a in uenzare il loro comportamento (come i principali prescrittori di spesa),
responsabilizzandolo verso i costi indotti. In Belgio sono stati introdotti sistemi di monitoraggio sulle
prescrizioni con sanzioni per i comportamenti devianti.
5. Managerializzazione della sanità. Secondo alcuni la terza via da sarebbe quella della privatizzazione. In
realtà, è dif cilmente attuabile a causa delle caratteristiche dif cili del settore. Il fatto che i pazienti non
abbiano le competenze necessarie per valutare la qualità dell'offerta di servizi sanitari E siano
in uenzabili da fattori di natura soggettiva (le proprie condizioni di salute) e quindi costretti ad af darsi a
terzi (medici) impedisce l'applicabilità del modello di mercato puro al sistema sanitario. Fine anni ’80, è
stata adottata la managerializzazione. In campo sanitario ha assunto varie forme:
- Si è parlato di quasi-mercati, di competizione amministrata e con riferimento speci co all'esperienza
italiana aziendalizzazione (delle strutture sanitarie)
L’idea comune è l'introduzione di logiche di mercato all'interno di un sistema sanitario pubblico, af nché i
produttori di prestazioni sanitarie possano competere tra loro. Questa è legata alla separazione tra la
funzione di erogazione e quella di nanziamento. Secondo Enthoven la separazione tra erogatore/
nanziatori può permettere di valorizzare le preferenze/richieste degli utenti, indirizzando le scelte
individuali verso i fornitori più economici. Il secondo aspetto managed competition ha a che fare con
l'introduzione di gure/ruoli di tipo manageriale e la conseguente depoliticizzazione degli organi. Il SSN ha
iniziato ad avere una serie di problemi di carattere istituzionale/organizzativo:
- I problemi istituzionali vanno ricorressi alle dif coltà di concertare/attuare provvedimenti di ampio
respiro, favorendo l'adozione di decisioni a carattere particolaristico. A questo va aggiunta la scarsa
competenza del personale. Dalle continue dispute tra i livelli di governo, in relazione alla de nizione dei
ruoli/funzioni e alle ripartizione delle risorse nanziarie
Sul versante nanziario, il rapporto gerarchico Stato-regioni e regioni-comuni era debole. Alle regioni era
concesso un potere che andava ben oltre all'effettiva disponibilità a nanziare facendo aumentare
annualmente il livello di indebitamento delle USL. L’analisi della policy sanitaria ha evidenziato una
variabilità interregionale negli indicatori di funzionamento (spesa media pro-capite). Tale variabilità era
attribuibile sia condizioni oggettive (composizione sociodemogra ca) sia comportamenti politici. In ne
l'elevato grado di politicizzazione delle USL. Queste strutture hanno rappresentato centri di potere nei quali,
a livello locale, venivano riproposte le dinamiche partitiche che si consumavano a livello nazionale. Le USL
sono state avamposti per l'acquisizione del consenso prima ancora che vere proprie strutture per l'erogazione
di servizi. Dalla metà degli anni ’80 il processo di de nizione della pratica sanitaria italiana è stato
in uenzato dalle condizioni di emergenza nanziaria. Si possono riassumere in interventi sul lato delle
entrate/uscite:
- Fra le misure sul lato delle entrate: dal ‘1978 troviamo la compartecipazione dei cittadini alla spesa
farmaceutica attraverso i ticket. Ancora una volta si è trattato di misure che hanno prodotto effetti
contrastanti sul gettito contributivo
- Fra le misure sul lato delle uscite: è stato perseguito attraverso l'attuazione di misure dirette alla
riorganizzazione della rete degli ospedali. Ciononostante la spesa ospedaliera ha continuato ad aumentare

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Ciò che ha caratterizzato questo decennio è stata l'assenza di continuità/coerenza della politica sanitaria su
entrambi i versanti. Di fronte a uno scenario di costi calanti, si è assistito a una ride nizione dell'interessi dei
partiti nei confronti della sanità volti a ritardare l'adozione di misure impopolari. I partiti hanno lasciato al
governo l'iniziativa di elaborare misure di aumento delle entrate e di riduzione delle spese:
- Questo è il caso dei ticket, dove i partiti hanno cercato di impedire l'aumento della compartecipazione
nanziaria alla spesa farmaceutica e specialistica, hanno tenuto tuttavia che i provvedimenti escludessero
ampie fette di popolazione.Quando si è dovuto ricorrere a misure restrittive, strategia dei partiti è stata
quella di attribuire la colpa alle regioni
Negli anni '90 il riformismo sanitario ha avuto l'obiettivo di ristrutturare l'istituzione della sanità pubblica,
volta a promuovere nuovi tipi di interazioni tra fornitori/ nanziatori, concentrati sulla competizione ispirati
da una cultura di responsabilità. Il primo nucleo di idee relative all'impiego di una logica di mercato
all'interno della sanità si è sviluppato negli Stati Uniti, per opera di Alan C. Enthoven dando luogo alle
sperimentazioni: tra queste le Health Maintenance Organizations (HMO), strutture in competizione fra loro per
attrarre i pazienti a cui fornire assistenza sanitaria ognicomprensiva per un premio annuale predeterminato,
interessati a bilanciare tra loro costi/qualità dei servizi. Negli Stati Uniti è nata la proposta di riformare la
sanità pubblica introducendo mercati simulati/forme di competizione amministrata, è stata rielaborata nel
Regno Unito, nel 1991, il governo conservatore guidato da Margaret Thatcher ha varato una riforma del
National Health Service (NHS) mirante all'introduzione di un mercato interno fra compratori/fornitori. Molti
paesi hanno messo proposte ispirati alle nozioni di mercato simulati/competizione amministrata. Tra questi,
per primi, i paesi con servizi sanitari nazionali, più tardi anche i paesi con sistemi di mutue obbligatorie:
- Il progetto più ambizioso è stato elaborato nei Paesi Bassi, dalla ne degli anni ’80 con il piano Dekker. Nel
1993 anche la Germania ha avviato una riorganizzazione del proprio sistema di casse malattie, mirate a
stimolare la competizione tra di esse. In entrambi i casi si è trattato di riforme di tipo incrementali che non
hanno modi cato in modo sostanziale l'impianto assicurativo del sistema
- Discorso a parte va fatto per i paesi dell'Europa centro-orientale, che dopo la caduta del muro di Berlino,
hanno dovuto affrontare una trasformazione, che ha signi cato in campo sanitario il passaggio
all'assicurazione sociale obbligatoria, al decentramento/privatizzazione dei fornitori di prestazioni. Questo
ha reso possibile una continua crescita del Pil
In alcuni paesi il processo di managerializzazione della sanità pubblica è stato af ancato da una riduzione
dall'accentramento burocratico/trasferimento di responsabilità sanitarie ai livelli amministrativi inferiori,
dando luogo a un processo di rafforzamento dei livelli inferiori di governo(regionalizzazione della sanità).
Negli anni ’90 le competenze amministrative/ scali sono state trasferite a livello regionale.La
regionalizzazione ha offerto alle regioni la possibilità di dare attuazione al processo di managerializzazione
della sanità (paesi scandinavi e dell’Italia). Alla ne del 1992 attraverso lo strumento del decreto legislativo
venne approvata la riforma del SSN. Il d. lgs. n. 502/1992 ha modi cato vari aspetti organizzativi/ nanziari:
- D. lgs. n. 517/1993 hanno riguardato la programmazione sanitaria/trasformazione delle USL in aziende
sanitarie locali (ASL)/costituzione di aziende ospedaliere (AO), per l'accreditamento degli operatori privati
all'introduzione del sistema tariffario per il pagamento delle prestazioni
Questo processo si è intrecciato con il processo di aziendalizzazione: le USL diventando ASL hanno cessato
di essere strutture operative dei comuni per diventare enti regionali, dotati di personalità giuridica/
autonomia gestionale. La trasformazione delle USL in aziende ha segnato il superamento di un modello
organizzativo di tipo politico-rappresentativo con uno di tipo tecnico-aziendalistico. Nelle aziende sanitarie, i
poteri di gestione sono del direttore generale. Il processo di rafforzamento regionale si è unito con
l'introduzione di nuovi criteri di nanziamento, tesi a responsabilizzare le regioni sul versante delle spese.
L'assegnazione delle risorse è in funzione del FSN, Il cui ammontare è stabilito annualmente dalla legge
nanziaria è distribuito alle regioni in base alla quota capitaria. Il nanziamento degli istituti di ricovero,
pubblici e privati, avviene sulla base di tariffe per prestazioni determinate dalle regioni. Con la riforma del
1992-1993 le regioni hanno assunto ruolo di primo piano dal punto di vista organizzativo/ nanziario. Una
volta approvata la riforma della riforma, le regioni sono state chiamate a implementare la nuova normativa
sanitaria. Hanno potuto differenziarsi tra loro nel recepimento dei decreti di riordino. Le regioni furono
chiamate a legiferare in merito all’aziendalizzazione della sanità, a de nire il modello di competizione
amministrata da implementare, deriva dal fatto che adesso dipendono l’ef cacia/qualità del servizio/
dinamica della spesa. Dopo la prima fase di recepimento, dal 1996 la riforma della sanità è tornata ad essere
una delle questioni prioritarie al centro del dibattito politico. Di qui la creazione, da parte del governo di
centro-sinistra guidato da Romano Prodi, di un gruppo di lavoro sulla sanità all'interno della Commissione
Onofri, ma soprattutto la scelta di nominare un Ministro della Sanità è, Rosy Bindi (PPI), il cui progetto di
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riforma si è rilevato preciso/articolato. La legislatura ha preso il via con una nuova fase di investimenti
pubblici nel settore sanitario/l’approvazione, nel 1998, del PSN nel 1998-2000, strumento di
programmazione e fondamentale per la gestione della sanità, in cui è stata ribadita la centralità del SSN/
necessità di stipulare un patto di solidarietà per la salute con i cittadini di garantire una maggiore
responsabilizzazione dell’operatore. Si è proceduto con la revisione dei decreti di riordino n. 502/1992 e n.
517/1993 con l'intenzione di razionalizzare il sistema sanitario portando a compimento la riforma della
riforma. La riforma è stata approvata dal Consiglio dei Ministri nel 1999. La riforma ha segnato
un'inversione di tendenza rispetto al processo di aziendalizzazione/rafforzamento regionale.
- La riforma del 1999 ha segnato il ritorno a un sistema sanitario di tipo integrato scegliendo un approccio
orientato alla cooperazione amministrata e attribuendo responsabilità programmatorie sia al centro/
comuni
Il d. lgs. n. 229/1999 ha af ancato alcune precisazioni in merito ad alcuni istituti previsti nella normativa
allora vigente ma privi di una coerente de nizione, tra cui la libera scelta/l’esclusività del rapporto di lavoro
della dirigenza sanitaria: Nel 2000 i medici hanno dovuto optare tra l'esclusività del rapporto di lavoro nel
settore pubblico e la libera professione in quello privato. La scienza è stata incentivata mediante una grati ca
economica sottoforma di aumenti retributivi con la possibilità di esercitare la libera professione all'interno
delle strutture pubbliche: la convenienza dell'incentivi statali che alla ne la maggioranza dei medici ha
optato per esclusività del rapporto con il SSN.Questo è stato uno dei punti della Riforma Bindi più criticate
dal centro-destra, tanto che nel 2001 il nuovo Ministro della Salute Girolamo Sirchia ne ha fatto subito uno
dei nodi principali da affrontare nel suo programma, riuscendo ad ottenere solo successi parziali:
1. Il disegno di Sirchia, è volto ad ampliare gli spazi di esercizio della libera professione, facendo venir meno
l'esclusività del rapporto di lavoro con il SSN
2. Tra 2003-2004 la maggioranza di medici e delle regioni si è mostrata compatta nell'opporsi alle proposte
di Sirchia. Dopo 2 scioperi dei medici nel 2004, il governo è riuscito a inserire un emendamento l. n.
138/2004 ha abolito l'esclusività del rapporto di lavoro dei medici e dei dirigenti sanitari consentendo di
operare ogni anno la scelta tra intra ed extramoenia. Nel 2005 solo una quota minima di medici aveva scelto
di esercitare la libera professione al di fuori del SSN, mentre la maggioranza aveva confermato la propria
scelta di un rapporto di lavoro intramoenia
Con riferimento alla regionalizzazione della Riforma Bindi, ha rafforzato l'autonomia delle regioni. I comuni
hanno acquisito un ruolo più incisivo nella programmazione/prenotazione dei servizi sanitari. Il d. lgs. n.
229/1999 ha proceduto a una razionalizzazione complessiva del SSN, individuando gli ambiti di
autonomia /corrispondenti livelli di responsabilità. Questa ha suscitato perplessità dal momento che non ha
rappresentato la logica continuazione del percorso riformistico intrapreso con la riforma della riforma. Al
contrario, l'impostazione della legge è sembrata essere più vicina alla l. n. 833/1978:
- Dal punto di vista organizzativo, ha ribadito la centralità del PSN quale strumento di programmazione
nelle mani del governo centrale
- Ha scelto di af ancare al PSN, oltre ai PSR, anche una serie di piani territoriali di attribuire comuni e una
funzione di programmazione, di indirizzo e di controllo che prima non avevano
Una caratteristica del SSN riguarda l'articolazione delle strutture e degli attori su 3 livelli di governo:
1. Il Ministero della Salute: al primo è af ancato da una serie di organismi con funzioni tecniche e di
consulenza che ha tra i suoi compiti principali è quello di mettere appunto il PSN che dovrà essere
operato dal governo per divenire operativo
2. Il Parlamento: ha il compito di approvare le leggi in materia di sanità e di de nire le risorse nazionali a
disposizione per il settore sanitario
3. Il Governo: il Ministero della Salute interagisce anche con la conferenza Stato-regioni, L'organismo
deputato a gestire i rapporti tra il livello centrale/periferico, rappresentato dalle regioni e, uno dei
compiti più importanti svolto dalla conferenza Stato-regioni riguarda la de nizione dell'accordo sul
nanziamento del SSN
Oltre ad approvare le leggi regionali riguardanti la politica sanitaria e il PSR di durata triennale, nominano i
direttori generali a capo del ASL. Per fronteggiare le s de degli anni ’90, la sanità italiana è cambiata, si
possono individuare 4 fattori che hanno contribuito a ciò:
1. Il fallimento dello status quo, ossia del sistema sanitario esistente. Nel caso della sanità, lo status quo è
rappresentato dal sistema sanitario esistente e della sua capacità di rispondere in maniera adeguata alle
nuove s de. Quanto più bassa è questa capacità e tanto più gravi sono i problemi ad essa connessi, tanto
più forte diviene la richiesta di intervento /cambiamento

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2. L'indebolimento dei punti di veto/degli attori di veto/l’emergenza di un imprenditore di policy spesso
af ancato da coalizioni di sostegno alla riforma. La gravità del fallimento dello status quo contribuisce a
indebolire i punti di veto elettore favorevoli all'immobilismo istituzionale. L'istituzionalizzazione di un
settore sanitario incentrato su politiche distributive aveva originato un circolo vizioso resistente al
cambiamento, dominato dalla politica dei veti incrociati (dalla prassi dello scaricabile) a livello nazionale.
3. La idee circolanti nell'ambiente di policy/capacità programmatica degli attori. In questo caso è la
comunità internazionale di riferimento che offre una cornice per ripensare ai paradigmi più generali e
adattarli alle speci cità del contesto e nazionali. Da questo punto di vista, negli anni ’80 è imperante il
discorso sulla deregulation/concorrenza, che si traduce nella situazione di quasi-mercati e nell'impiego di
logiche concorrenziali dentro sistemi sanitari pubblici (a partire dalle Stati Uniti)
4. Le dinamiche riguardanti la trasformazione dei rapporti fra centro/periferia. Dal momento che il SSN
Italiano era dal 1978 decentrato e, la ride nizione dei rapporti centro-periferia ha avuto un impatto sia
sulla riforma sanitaria sia sul processo di rafforzamento istituzionale delle regioni. I programmi sociali
progettati, gestiti e nanziati a livello subnazionali possono svolgere un ruolo importante nel rafforzare le
comunità locali. Così facendo mettono in discussione lo stesso impianto di welfare:
- L’esperienza italiana mostra delle regioni sempre più desiderose di prendere parte alla messa appunto di
decisioni destinate a riguardare da vicino e non a caso tra ’90-’2000 le conferenze sono andate assumendo
una visibilità crescente in alcune occasioni hanno costituito un primo luogo decisionale paragonabile a una
camera delle regioni.In riferimento al caso italiano, negli anni ’90 le prediche sociale si regionalizzano/
aumenta la differenziazione regionale. Di fatto la frattura centro-periferia torna a risvegliarsi e diviene una
questione molto importante. La messa in gioco è l'autonomia nanziaria/rafforzamento politico dei
governi regionali. Ci sono varie strategie per perseguire questo obiettivo, fra cui quella di iniziare da questi
attori di policy che sono già di competenza del livello regionale. La sanità ha tutte le caratteristiche per
fare leva sul processo di rafforzamento istituzionale delle regioni. La spesa sanitaria costituisce 3/4 del
bilancio regionale
Il SSN si era ritrovato in una situazione di caos organizzativo/crisi nanziaria, in cui si aggiungeva
l’insoddisfazione dei cittadini. Le capacità della politica sanitaria di contenere contenere la spesa minacciava
la sopravvivenza del sistema stesso e contribuiva a indebolire la capacità di resistenza al cambiamento degli
attori rilevanti. Tutto questo avveniva in una fase di indebolimento dei partiti, connessi dall'interesse al
mantenimento dello status quo, parallelamente si assisteva ad una autonomizzazione dell'esecutivo del
parlamento. Vengono meno quei veti incrociati che nel caso italiano avevano ostacolato riforme strutturali in
campo sanitario, si formano anche interessi speci ci proriforme, ossia coalizioni di sostegno. Tra chi sostiene
le riforme si distinguono in particolare quelli imprenditori di policy che mirano a un cambiamento
sostanziale. L'imprenditore di policy è colui che sa rinnovare nell'interpretazione della situazione. Nel caso
della riforma del 1992-1993 questo ruolo è svolto da governi tecnici legittimati dalla congiuntura politica e
nanziaria, della riforma del 1999 possiamo cogliere nel ruolo svolto dal ministro della sanità Bindi la gura
dell'imperatore di Policy. Rispetto al rafforzamento regionale, gli anni ’90 si sono aperti con una ripresa del
dibattito sul decentramento e con la richiesta di maggiore autonomia da parte dei livelli di governo decentrati
degli attori politici. Il tema della decentramento torna ad essere centrale nel dibattito politico italiano di
quegli anni, alimentato dal successo elettorale della Lega Lombarda (poi Lega Nord) nei primi anni ’90. Si
tratta di tradurre le idee in capacità programmatica. L'attuazione della managed competition in Italia, è stata
facilitata dalla creazione dell'agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR ora AGENAS). La riforma del
1992-1993 ha richiesto che anche gli organi di governo della sanità subissero una trasformazione. In
particolare, il processo di rafforzamento regionale ha fatto emergere una duplice esigenza:
- Da parte del livello centrale di monitoraggio e veri ca delle fasi di implementazione previste dai decreti di
riordino
- Da parte del livello regionale di supporto nel dare attuazione ai decreti stessi, ovvero per dare concreta
realizzazione ad aziendaizzazione/regionalizzazione
Proprio per rispondere a queste 2 esigenze che venne istituita l’ASSR. Anche se nei primi anni di attività non
ho potuto svolgere a pieno le proprie funzioni e si con gura come un organo di supporto tecnico-scienti co.,
a partire dalla seconda metà degli anni ’90, l'emergere di problematiche legate al processo di decentramento
sanitario, l’ASSR è stata in grado di rispondere in modo innovativo. Nella formazione e selezione delle
ideerisultano rilevanti i processi di apprendimento:
- Gli attori decisionali arrivano a comprendere che nel nuovo ambiente lo status quo non funziona più.
Scegliendo così, da un lato, di adattare gli obiettivi/strumenti delle politiche pubbliche sulla base

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dell'esperienza del passato, dall'altro, cercano di imitare esempi ed esperienze che hanno avuto successo in
altri contesti.
La riforma del 1999 segna un ritorno ai principi alla base della legge istitutiva del SSN. Merita di essere
considerata per quello che è: una riforma strutturale che apre un nuovo capitolo. Si può considerare la
riforma Bindi come un tentativo di creazione del centro al rafforzamento regionale, per ricondurre gli effetti
della riforma sanitaria a degli obiettivi nazionali, comuni a tutte le regioni. La riforma del 1999 è un prodotto
della coalizione di centro-sinistra che ha governato dalla 1996-2001 e in particolare dal Ministro della Sanità
che ha voluto il d. lgs. n. 229/1999. In questo senso, siamo di fronte a 2 riforme diverse:
- Quella del 1992-1993 approvata da un governo tecnico in una fase critica per i conti pubblici e il contesto
politico-istituzionale
- Quella del 1999 approvata da un governo politico. Ha voluto fare della riforma del welfare uno dei temi
centrali del proprio programma di governo. La riforma del 1999 può essere considerata una risposta ai 2
provvedimenti riguardanti il nanziamento della sanità (patto di stabilità interno e federalismo scale)
Al rafforzamento regionale sulle versante nanziario che da essi scaturisce, il Ministro della Sanità rispondie
con una legge di riforma che introduce strumenti di controllo e procedure di programmazione da parte del
centro, grazie ai quali il governo torna ad ad avere un ruolo di primo piano. Nel corso degli anni '90 in molti
paesi europei, i sistemi sanitari sono stati caratterizzati da un processo di decentramento. E’ favorito, da un
lato, dall'idea che livelli di governo subnazionali più responsabili scalmente potessero contribuire a
contenere i costi di un settore sottoposto a forti pressioni espansive, dall'altro, da grande visibilità pubblica
della sanità. Il Federalismo scale rappresenta un momento decisivo per permettere alle regioni di
raggiungere l'autonomia nanziaria sul versante del nanziamento. L'impatto di questo decreto sul SSN si è
manifestato in modo graduale, in seguito all'abolizione di tutti i trasferimenti erariali a favore delle regioni a
statuto ordinario e una volta rimossi i vincoli di destinazione delle risorse proprie regionali (IRAP e IRPEF),
sostituite con procedure di monitoraggio. Nel 2000 si è data piena attuazione all'attività connesse al patto di
stabilità interno: il patto ha coinvolto le regioni/enti locali nel rispetto dei vincoli di nanza pubblica assunti
dall'Italia con l'adesione al patto di stabilità, crescita/sviluppo. Il patto aveva introdotto l'obbligo per le
regioni/enti locali della riduzione del disavanzo. Dal momento che l'assistenza sanitaria costituisce circa i 2/3
delle spese regionali, il SSN è chiamato a contribuire alla riduzione del disavanzo annuo dello Stato. Con il
patto anche l'Italia ha adottato il criterio della corresponsabilizzazione all'indebolimento tra livelli di governo,
con la compartecipazione di regioni/enti locali sia la riduzione del disavanzo/l’eventuale sanzione prevista
dalla normativa europea nel caso di accertamento di disavanzo eccessivo. Dal momento che esso permette
agli enti decentrati di decidere gli strumenti con cui perseguire l'obiettivo della riduzione dell'indebitamento,
il patto venne interpretato come un esplicito riconoscimento di autonomia. Nel 2000 ha avuto luogo la prima
veri ca tra Stato-regioni sull'andamento della spesa sanitaria. Tale veri ca ha fatto seguito alla stipula del
primo accordo Stato-regioni base al quale il governo stanziava risorse aggiuntive per il ripiano dei debiti
pregressi, a partire dal 2001 le regioni avrebbero dovuto trovare le risorse necessarie per gli eventuali debiti.
Un'altra tappa per il federalismo in campo sanitario era presentata dal secondo accordo Stato-regioni, siglato
nel 2001, in vista per la continua crescita della spesa: da un lato, il governo s’impegnò ad aumentare le risorse
nazionali per la sanità, avvicinando l'Italia ai valori dei principali paesi europei. Dall'altro, venne dato il via
libera alla progressiva delega alle regioni per la gestione della spesa/dell’organizzazione della sanità quanto
alle politiche del personale. Le regioni dovettero accettare un tetto alla spesa farmaceutica (pari al 13% del
totale), lo slittamento di un anno della prevista abolizione dei ticket sulla diagnostica, e soprattutto che il 2001
venisse considerato l'anno zero nei rapporti tra Stato-regioni, su cui i bilanci sarebbero gravate in futuro
all'eventuale eccedenza di spesa. Le regioni s'impegnarono a introdurre strumenti di veri ca dell'andamento
della spesa e a fornire informazioni per il suo monitoraggio. Questi impegni trovano la loro applicazione
nella l. n. 405/2001 che ha vincolato le regioni a contenere la spesa sanitaria entro limiti speci ci per il
triennio. Nel 2001 è stata approvata la riforma del titolo V della Costituzione. Ha introdotto una novità per
la ride nizione dei poteri tra i vari livelli di governo, in particolare tra Stato-regioni. La revisione
costituzionale ha classi cato le materie di intervento pubblico in 3 gruppi:
1. A legislazione esclusiva dello Stato
2. A legislazione concorrente fra Stato e regioni
3. A legislazione esclusiva delle regioni
La tutela della salute appartiene alle materie a legislazione concorrente. Su tale materia le regioni hanno
potestà legislativa mentre allo Stato spettano la determinazione dei principi fondamentali ha il compito di
ssare standard di prestazioni e servizi (LEA). Dal punto di vista del nanziamento, le regioni devono far
fronte alle spese per le prestazioni previste dai LEA sulla base delle proprie entrate/compartecipazione/
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gettito dei tribunali erariali/dei contributi perequativi: da un lato, le regioni hanno rivendicato autonomia
pur avendo dif coltà nel programmare i bilanci regionali/nell’adottare i comportamenti di spesa virtuosi,
dall'altro, il centro è stato in parte disposto a riconoscere un mutamento di ruoli istituzionali senza
abbandonare il ruolo di coordinamento.Un’importante innovazione nel 2000 ha riguardato i piani di rientro,
strumenti grazie ai quali governo centrale monitorare le regioni: i piani di rientro sono accordi attraverso cui
il governo nazionale/regioni con de cit sanitari strutturali stabiliscono gli obiettivi e le azioni strategiche
nalizzate al recupero dell'equilibrio nanziario. 3 sono le misure innovative:
1. La presenza di meccanismi automatici di copertura parziale del de cit sanitario da parte delle regioni
stesse, basati sulla tassazione locale e sui trasferimenti vincolati dello Stato centrale
2. L’af ancamento e il supporto del governo nazionale all'operato regionale
3. Il commissariamento, in sostituzione del governo regionale, in caso di perdurante de cit strutturale e
incapacità di sviluppare coerentemente il piano di di rientro
Dal 2007, la metà delle regioni italiane è stata sottoposta ai piani per vedere l'andamento di esse. Ad
alimentare la questione dei costi della sanità e dei disavanzi regionali è stata la manovra economica
presentata dal Ministro Giulio Tremonti. Manovra che ha previsto tagli del personale sanitario/riduzione dei
posti letto/ticket sanitari anche a carico delle categorie esenti nelle regioni in de cit. Le regioni compatte
(quindi anche quelle con i conti in regola) si sono schierati contro questo piano di tagli. Il patto per la salute
2007-2009 prevedeva un’incremento del FSN del 3% dal 2008 al 2011 e somme aggiuntive per il rinnovo dei
contratti dei medici e paramedici. La l. n. 42/2009 fa riferimento al fabbisogno standard che deve essere
determinato tenendo conto del costo standard che si deve sostenere per garantire i LEA in modo uniforme
sul territorio nazionale superando così in modo progressivo il criterio della spesa storica. Tali costi
dovrebbero essere intesi alla stregua di un benchmark per de nire le risorse necessarie a garantire livelli
qualitativi e quantitativi delle prestazioni e dei servizi sanitari in tutte le aree territoriali. Ma è il d. lgs. n.
68/2011 a determinare i costi e fabbisogni standard per il SSN, dal 2013, sono stati chiamati a garantire il
superamento dei criteri di nanziamento no ad allora adottati. Il meccanismo adottato, di tipo top-down è
caratterizzato dalla ssazione del fabbisogno sanitario standard nazionale (ovvero dell'ammontare di risorse
necessarie per assicurare i LEA in condizione di ef cienza e appropriatezza). Una volta ssato questo volume
di risorse, che deve essere compatibile con l'esigenza generale di nanza pubblica, esso viene ripartito tra le
regioni. Questo rimanda a 2 questioni:
- La procedura di scelta delle regioni benchmark
- Il calcolo dei costi standard nelle stesse regioni
Il decreto ha previsto un iter di individuazione delle regioni di riferimento basato su 3 fasi:
- De nizione dei criteri di qualità
- Appropriatezza ed ef cienza in sede di conferenza Stato-regioni e pubblicazione degli stessi in un decreto
del presidente del consiglio dei ministri
- Individuazione delle 5 migliori regioni da parte del Ministro della Salute: di cui obbligatoriamente la
prima e una di piccola dimensione geogra ca, da parte della conferenza Stato-regioni, avendo cura di
garantire la rappresentatività territoriale di nord-centro e sud Italia
Per quanto riguarda la determinazione dei costi standard, sono calcolati come la media pro-capite pesata del
costo registrato dalle regioni di riferimento a livello aggregato per ciascuno dei 3 livelli di assistenza
(collettiva/distrettuale/ospedaliera) in condizione di ef cienza. I costi standard riguardano la
rideterminazione del quantum ideale necessario per assicurare le prestazioni essenziali. Va ricordato l'accordo
Stato-regioni che ha portato al patto per la salute 2014-2016, ancora in vigore, tale accordo ha previsto, che
le regioni dovessero avere la certezza del budget a loro disposizione per poter avviare una programmazione
triennale. L’obiettivo è rendere il sistema sanitario sostenibile di fronte alle nuove s de dell'invecchiamento
della popolazione. Lo sfruttamento politico della sanità è iniziato negli anni ’50 e da parte della DC, A
raggiunto il suo culmine tra ’70-’80 con il coinvolgimento del PCI e l'estensione delle spartizioni distributive
dal livello nazionale a quello subnazionali, coinvolgendo da un lato le regioni e dall'altro le USL. Con le
riforme lo hanno trasferito a livello delle regioni a livello delle nuove ASL e delle AO. Tutto questo ha avuto
delle implicazioni sulle misure di razionalizzazione. I tagli resi possibili negli anni ’90 dalla combinazione fra
misure nazionali/responsabilizzazione delle regioni, sono più dif cili da operare ora che è una parte
signi cativa delle risorse è disponibile direttamente a livello regionale. Quanto allo sfruttamento visibile che
avviene a livello Subnazionale, è correlato con la crescita dell'autonomia decisionale, nanziaria e
organizzativa acquisita dalle regioni in seguito al processo di decentramento sanitario. Avendo la possibilità di
decidere non si lasciano scappare la possibilità di nominare i direttori generali politicamente vicini così che

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attraverso questi si possa continuare a sfruttare praticamente la sanità. La crisi dell'ultimo decennio ha avuto
ripercussioni anche in ambito sanitario:
- Da un lato ha contribuito alla crescita della spesa sanitaria out of pocket: l'italiani pagano di tasca propria
1/4 delle spese totali per la salute. La tendenza all'aumento della spesa sanitaria privata evidenzia uno
stato di sofferenza del sistema sanitario italiano in relazione anche all'invecchiamento della popolazione
- Dall'altro la crisi ha portato molte famiglie a rimandare le cure se non anche a rinunciarvi
Alla luce delle misure adottate dal 2000 in materia di federalismo scale, 2 sono state le dimensioni intorno a
cui i decisori e stakeholders si sono confrontati per de nire e governare la politica sanitaria:
- Alla luce delle mutate esigenze di contenimento della spesa pubblica, la politica sanitaria è stata
condizionata dall'azione di governo di 2 diversi Ministeri: Salute/Economia-Finanze. La legislatura si era
aperta con la decisione di ricostituire il Ministero della Salute che il d. lgs. n. 300/1999 aveva abolito in
seguito all'accorpamento delle politiche pensionistiche. Con questa decisione si voleva ridare ampia
visibilità alla politica sanitaria rispetto ad altri settori. Negli anni successivi, la sanità è stata schiacciata dal
peso della politica di bilancio e dalla scarsità di risorse. La tensione tra i 2 ministeri testimoniano il fatto
che la questione nanziaria ha continuato a rimanere centrale per la de nizione delle decisioni sanitarie. A
decidere ha continuato ad essere il Ministero dell’Economia-Finanze, condizionando la de nizione dei
progetti di riforma /implementazione.
Il rapporto sulla spending review del 2012, presentato dal Ministro dei Rapporti con il parlamento Piero
Giarda, indicava chiaramente chi fosse a dettare i tempi e i modi della politica sanitaria, per abbassare i costi
pubblici. Per mantenere fede a quanto previsto nel programma nazionale di riforma del 2011 e nel decreto
sulla spending review, il Ministro Renato Balduzzi de nisce un piano di riorganizzazione/razionalizzazione del
sistema sanitario:
- D. l. n. 158, approvato nel 2012, trovarono spazio i nuovi criteri per la nomina dei direttore delle aziende
sanitarie e la riorganizzazione dei medici di famiglia
- Vennero ad istituirsi i poliambulatori territoriali
- Cambiò il lavoro dei dipendenti ospedalieri con attività intramuraria: venne prevista la traccia abilità dei
pagamenti ai medici che svolgevano tale attività fuori dall’ospedale
- Venne previsto un prelievo del 5% da investire nella riduzione dei tempi di attesa
Nonostante il problema della razionalizzazione della spesa pubblica dovesse essere affrontato in campo
sanitario, i piani di rientro hanno contribuito a contenere la spesa ma non hanno aiutato a investire nelle
qualità delle cure e del sistema nel suo complesso. Il declino della sanità è stato condizionato anche dalla
seconda dimensione: I rapporti di forza tra i 2 livelli di governo, centrale/regionale. La maggior parte degli
accordi Stato-regioni hanno avuto per oggetto la de nizione del fabbisogno sanitario delle regioni. La
conferenza Stato-regioni è divenuta così luogo deputato a decidere tutte le questioni e rilevanza territoriale.
All'interno della conferenza, le regioni sono apparse compatte. Un’altra regione per cui le regioni sono
compatte è legata al fatto che la politica sanitaria ha continuato ad essere decisa attraverso leggi nanziarie. Il
governo Lega-M5S, con le decisioni prese in sede di legge di bilancio per il 2019, sembra aver imboccato una
strada destinata a mettere ancora più in dif coltà il SSN: Su una manovra complessiva di 37 miliardi ci si
poteva aspettare di più anche perché quello inserito in legge di bilancio è quello che era stato già previsto dal
governo Gentiloni. La manovra, che è triennale, ha stabilito un incremento di 2 miliardi per il 2020 e di 1,5
miliardi per il 2021. In tutto 4,5 miliardi che copriranno solo il tasso di in azione e che sono risorse teoriche
perché, relativamente al 2020-2021, sono legate a un nuovo patto per la salute da sottoscrivere fra Stato e
regioni al rispetto delle previsioni di crescita fatte dal governo. La spesa e il suo incremento, sono espressi in
percentuale sul Pil: se quindi il Pil aumenterà meno del previsto, minore sarà anche la quota a disposizione
della sanità pubblica. Sul tavolo ci sono problemi più urgenti come il via libera ai nuovi LEA/il rinnovo dei
contratti/lo sblocco del turnover e il regionalismo differenziato, che rappresenta uno dei punti cardini del
contratto di governo, che porterà al collasso del sistema sanitario:
- Il regionalismo differenziato è destinato a differenziare le regioni tra di loro. Le regioni più ricche lo
potranno fare trattenendo una quota maggiore delle risorse che attualmente versano al centro, che avrà
così meno fondi per la perequazione territoriale. Le regioni che dispongono di meno risorse saranno spinti
a fare altrettanto per non accrescere la perdita di pazienti, ma anche di professionisti sanitari
Veniamo alla de nizione dell'agenda di politica sanitaria per il futuro:
Sul versante della riorganizzazione del servizio sanitario, rimangono molte questioni aperte (le richieste
avanzate dagli operatori, la povertà sanitaria). I continui scandali nella sanità, legati al rapporto tra SSN/
settore privato, mettono in evidenza la debolezza del sistema. A causa della restrizione del budget destinati
alla sanità, nell'ultimi anni sono aumentate le liste d'attesa per le visite, a sua volta ha portato ad un
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incremento della spesa effettuata di tasca propria dei cittadini. In Italia risultano scarsamente diffuse misure
private di Long-Term Care (LTC) diverse dalla spesa diretta della famiglia. È importante chiedersi se oltre al
pubblico ci siano anche i soggetti che potrebbero mettere in campo soluzioni per favorire l'impiego di risorse
private alternative più ef cienti. Si stima che le famiglie italiane spendono ogni anno circa 10 miliardi di euro
per esigenze correlate alla non-autosuf cienza. La polizza (LTC) si distingue dalle garanzie per infortunio
malattie per il fatto di assicurare una somma/servizi quando l'assicurato non è più in grado di svolgere in
modo autonomo dell'attività della vita quotidiana. In assenza di un obbligo assicurativo imposto per legge
(Germania), in Italia il ramo assicurativo della LTC è sconosciuto. Una delle possibili leve per l'estensione
della copertura assicurativapotrebbe risiedere nella detassazione, introdotta dalla legge di stabilità per il 2017,
dei contributi/premi versati alle polizze LTC dai datori di lavoro a favore dei dipendenti. La strada
contrattuale consentirebbe una ripartizione del rischio con vantaggi in termini di abbassamento dei costi di
accesso alla copertura ed estensione delle platee di soggetti assicurati. Quanto prima i lavoratori
cominciassero a versare, tanto minore sarebbe l'importo necessario. Un ulteriore risposta potrebbe arrivare
dalle società di mutuo soccorso (SMS) nate nell'800, con l'obiettivo di sostenere i lavoratori nei momenti di
bisogno grazie alla reciproca assistenza fra gli scritti. Il principio su cui si basano è semplice: socializzare
rischi privati costruendo una risposta solidaristica. Per rafforzare il loro ruolo è necessario investire su alcuni
aspetti:
- Il primo riguarda la loro capacità di integrarsi maggiormente con il sistema sanitario pubblico
- Il secondo riguarda lo sviluppo del welfare aziendale, che può offrire nuove opportunità di copertura,
restando al contempo fedele ai propri principi fondativi

CAP 5.

- “La politica socioassistenziale”

Il termine resistenza deriva dal latino “ad esistere” si indicano gli interventi di soccorso rivolti a individui che
sono incapaci di risolvere in modo autonomo la propria situazione di bisogno. In questa eccezione,
l'assistenza è prossima ai concetti di carità, si caratterizza per il rapporto asimmetrico tra chi assiste e chi è
assistito, dove l'azione del benefattore è motivata dal riconoscimento dello stato di bisogno del destinatario,
ma anche da una valutazione discrezionale delle circostanze/cause. Si distingue l'assistenza sociale
dall'assistenza in senso generico, una caratteristica risiede nella natura degli interventi, nel passaggio da forme
discrezionali basate sulla libertà dei singoli interventi pubblici discendenti da atti normativi che de niscono i
diritti, realizzando il passaggio dalla carità ai diritti sociali. L'assistenza sociale non sia adatta ad una
de nizione di tipo funzionale: hanno per oggetto un ventaglio più sfumato di bisogni, che vanno dalla
povertà economica alla perdita dell'autosuf cienza personale. Con l'espressione assistenza sociale si identi ca
l'insieme degli interventi rivolti a superare situazioni di bisogno attraverso prestazioni monetarie/servizi
sociali nanziati tramite la scalità generale. Nel caso dei servizi sociali, la fruizione è aperta a tutti, salvo la
previsione di priorità di accesso. Per quanto riguarda le misure di sostegno economico, il diritto è legato
all'accertamento di un bisogno individuale, si tratta di interventi selettivi/residuali, vengono garantiti in linea
di massima solo l'individui in stato di comprovato bisogno. Tale incapacità viene accertata attraverso una
prova dei mezzi, che consiste nella veri ca della condizione economica dei richiedenti, va intesa come una
condizione generale dell'interventi di assistenza sociale, soggetta a una variabilità nelle forme/caratteristiche.
La selettività ha dei limiti, che possono dimostrarsi molto rilevanti da mettere in dubbio non solo l'ef cienza
ma anche l'ef cacia stessa dell'interventi. Tra questi, i principali sono:
1. La trappola della povertà: si veri ca nei casi in cui la struttura dei sussidi non incentiva chi li percepisce a
incrementare il proprio reddito. La trappola scatta quando, per il bene ciario di una prestazione soggetta
alla prova dei mezzi il cui importo si riduce al crescere del reddito disponibile, diventa svantaggioso
accettare un lavoro, in quanto l'effetto positivo dell'aumento del reddito da lavoro non sarebbe suf ciente
per compensare la proporzionale riduzione della prestazione, si aggiungono anche l'eventuale perdita dei
bene ci ad esso associati e una tassazione più alta. Il sistema di assistenza sociale combinato con la
struttura dell'imposizione scale può, in modo endogeno, essere esso stesso fonte di dipendenza. Per
contrastare la dipendenza dell'assistenza economica e promuovere l'inclusione dei bene ciari, dagli anni
’90, i trasferimenti monetari in molti paesi sono stati agganciati a meccanismi di attivazione dei
richiedenti. Condizionalità e workfare sono divenute le parole chiavi nell'ambito delle politiche di
assistenza sociale. La fruizione delle prestazioni viene subordinata alla partecipazione a programmi di
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inserimento, che a seconda delle caratteristiche individuali possono essere di tipo sociale/scolastico/
formativo/lavorativo
2. La questione dei costi psicologici . Fare domanda per una prestazione diretta ai poveri implica l'accettare
del proprio status di indigenza. A fronte di ciò, molte persone dunque decidono di non candidarsi per
queste prestazioni
3. Un terzo limite che può contribuire all'inef cienza dei programmi selettivi attiene ai problemi di
formazione dovuti alle asimmetrie informative esistenti tra cittadini/amministrazione pubblica. I
funzionari pubblici possono avere dif coltà a ricostruire la reale situazione economica e la condizione di
bisogno dei richiedenti. I potenziali bene ciari possono non avere informazioni adeguate rispetto ai
programmi attivi e alle modalità di accesso alle prestazioni. In queste condizioni diventa dif cile evitare
errori sia di inclusione (falsi positivi) sia di esclusione (falsi negativi)
4. Il quarto limite riguarda i costi amministrativi. Le misure selettive sono onerose in termini
amministrativi/gestionali dal momento che la scelta fra gli eventi diritto/non si fonda su una veri ca
della situazione attraverso la prova dei mezzi. L'ef cienza di questi interventi risulta legata alla capacità
dello Stato. Nei paesi in cui le capacità istituzionali sono molto deboli, i provvedimenti saranno soggetti al
rischio di un di un utilizzo improprio
L’ultimo è quello di categorialità. Le prestazioni di assistenza sociale si spirano all'universalismo selettivo,
combinano universalità rispetto ai potenziali bene ciari e selettività nella erogazione effettiva delle
prestazioni. Gli schemi socioassistenziali possono prevedere una copertura limitata in modo esclusivo a
speci ci gruppi sociali (anziani/minori).Questa scelta può discendere dall'obiettivo di contenere i costi degli
schemi, riservando la tutela ai soli gruppi ritenuti più bisognosi. L'introduzione di un requisito di tipo
categoriale può rappresentare una via per realizzare la selettività in modo indiretto, ovvero per rendere i
controlli meno gravosi restringendo la platea dei potenziali richiedenti. L'assistenza sociale rappresenta il
gradino inferiore dei sistemi di protezione sociale, risultando così cruciale in relazione alla struttura di vincoli
opportunità disponibile per i membri più svantaggiati della comunità. Le politiche socioassistenziali
rappresentano un tassello cruciale del social investiment welfare state, un approccio che enfatizza il ruolo di fattore
produttivo dell'intervento pubblico in campo sociale, quale strumento per la promozione del capitale umano
e della chances di vita dell’individui. Accanto alle politiche socioassistenziali viene attribuita una funzione
capacitante ed inclusione sociale, distante dagli stereotipi (settore dei poveri). L'assistenza sociale rappresenta
un settore di policy che non si presta a caratterizzazione generali. Il sistema di governance del settore socio-
assistenziale vede l'interazione di una molteplicità di attori di livelli di governo dando luogo a diverse
combinazioni di sussidiarietà verticale orizzontale:
- Con riferimento alla sussidiarietà verticale: la gestione delle politiche socioassistenziali è decentrata (a
livello subnazionale/locale, Spagna/Danimarca/Italia), mentre il livello centrale resta competente nel
ssare le linee di indirizzo e i principi guida per i territori
- Riguardo alla dimensione orizzontale della sussidiarietà: per indagare la ripartizione di ruoli/
responsabilità tra soggetti pubblici/formazioni sociali primari intermedi centrale, appare invece la nozione
di defamilizzazione. Ci si riferisce al grado in cui un individuo può condurre uno standard di vita
accettabile. Questo concetto ha una molteplicità di declinazioni e riguarda il livello di dipendenza delle
donne rispetto ai doveri di cura e del reddito del marito a capo famiglia. Secondo Esping-Andersen ci sono
2 modelli popolari:
1. Familisti: in cui lo Stato assume che le famiglie siano il luogo privilegiato, affermando che l'intervento
pubblico è giusti cato solo quando le reti primarie di solidarietà non si dimostrano in grado di rispondere
ai bisogni. Caratteristiche di questo sistema sono il sottosviluppo della rete di servizi sociali pubblici e
l'intensità delle relazioni intra e interfamiliari che danno luogo a quello che viene chiamato modello della
solidarietà familiari e parentali
2. Defamilisti: in cui lo Stato assume su di sé le maggiori responsabilità attraverso un intervento pubblico
che mira a sgravare le famiglie dalle funzioni di ammortizzatore sociale e rendere l'individui meno
dipendenti dalle relazioni parentali per il loro benessere. L'aspetto distintivo di questo sistema è l'esistenza
di una rete sviluppata di servizi sociali territoriali di prestazioni monetarie a sostegno dei rischi e bisogni
propri nelle varie fasi del ciclo di vita
In riferimento alla dimensione orizzontale della sussidiarietà: l'interazione tra soggetti senza scopo di lucro/
l’attore pubblico può realizzarsi in una varietà di forme che sottendono logiche di reciprocità molto differenti.
Ascoli e Ranci individuano nell'ambito dei paesi europei 4 differenti modelli di integrazione:

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- Il primo modello è rappresentato dalla Germania, è denominato della sussidiarietà attiva. Il terzo settore
svolge un ruolo di primo piano nell'ambito dell'offerta di servizi sociali con un coinvolgimento anche nella
fase programmatorieeE un nanziamento prevalentemente pubblico
- Il secondo de nito dalla prevalenza del terzo settore, Italia/Spagna: qui il terzo settore svolge un ruolo
cruciale nel campo dell'assistenza e dei servizi di cura
- Il terzo modello, quello della prevalenza dello Stato: vede invece l'offerta pubblica di servizi sociali e di
cura preponderante rispetto al terzo settore
- Il quarto detto della prevalenza del mercato, contraddistingue il caso britannico, dove la presenza
dell'attore pubblico nella sfera della predisposizione di servizi di cura è limitata, cui si af anca il terzo
settore con un nanziamento prevalentemente privato
La nascita dell'assistenza pubblica agli indigenti viene ricondotta all’Act for the Relief of the Poor di Elisabetta I
l'Inghilterra, che introducendo la tassa sui poveri nel 1601 imponeva per la prima volta alle comunità di farsi
carico delle persone indigenti: La legge, la cui nalità principale era quella di garantire il soccorso ai poveri
inabili al lavoro (invalidi/anziani) si strutturava attorno a un sistema di tasse settimanali obbligatorie su base
locale e una legge sul domicilio, che imponeva le parrocchie di tenersi ciascuno i propri poveri. Queste
disposizioni, limitative della libertà individuali, trovavano il favore dell'aristocrazia che in questo modo
tentava di salvaguardare l'ordine tradizionale, ma non della nascente borghesia industriale interessata alla
mobilità della forza lavoro. La distinzione tra poveri inabili e poveri abili, corrispondeva a quella tra poveri
meritevoli/non, comportava un trattamento differenziato. Se ai primi veniva riconosciuta assistenza, dato che
la loro situazione impediva di sostenersi in modo autonomo, la condizione dei secondi era molto diversa,
sottoposti al giudizio degli ispettori dei poveri, erano costretti ad accettare qualsiasi lavoro venisse loro
proposta, a qualsiasi salario, la pena erano le workhouse. Si è af ancata a quella dei paesi occidentali sugli
europei nei quali hanno prevalso il cattolicesimo sociale e l'enfasi sul principio di sussidiarietà. In questi paesi,
la Chiesa ha mantenuto a lungo un ruolo di primo piano nella sfera sociale attraverso l'attività degli enti di
carità. Entrambe queste tradizioni d’intervento sono accomunate dal fatto che l'assistenza ai poveri ha teso ad
essere concepita come un fatto paternalistico volto più a redimere e a rieducare. Solo dopo, ci siete resi conto
che alcuni Stati di povertà potessero originarsi da sistema socioeconomico e dei fallimenti del mercato. Per far
fronte alle s de poste dal nuovo contesto socioeconomico, i paesi nordici /anglosassoni inaugurarono schemi
di tutela del reddito di stampo universalistico, introducendo dapprima schemi assistenziali rivolti agli anziani
poveri, poi trasformati in schemi universalistiche rivolti a tutti gli anziani come diritto di cittadinanza.Nei
paesi dell'Europa continentale si optò per la via occupazionali. All'inizio del ‘900 quasi tutti i paesi
dell'Europa continentale disponevano di schemi assicurativi obbligatori per i lavoratori, organizzati in 4
settori principali: malattia/maternità; infortuni sul lavoro; invalidità/vecchiaia; disoccupazione. Dopo il
Secondo Con itto Mondiale, entra in scena seconda generazione, in cui si abbandona la natura discrezionale
per conformarsi come veri diritti sociali. Nell'architettura complessiva del welfare state queste nuove misure,
rappresentano la risposta a 2 esigenze:
- Da un lato, ponevano rimedio alle lacune di copertura lasciate dagli schemi di assicurazione sociale
obbligatoria. Questo era necessario in quei paesi che avevano seguito la via occupazionale, in quanto il
legame tra posizione nel mercato del lavoro e titolarità del diritto di tutela risultava più facile, rispetto ai
paesi in cui i diritti sociali erano legati alla cittadinanza. In questa direzione, molti paesi iniziarono a
dotarsi di uno schema di reddito minimo garantito, volto ad assicurare risorse suf cienti per rispondere
alle esigenze esistenziali di vita a tutti coloro che si trovano nella situazione di bisogno (Regno Unito/
Germania/Danimarca/Belgio/Irlanda).Altri paesi optano per schemi di reddito minimo garantito
categoriali, diretti a speci che categorie (Italia/Francia/Belgio/Portogallo/Spagna)
- Dall'altro lato, l'introduzione di prestazioni/ervizi sociali ha risposto alle esigenze connesse alle
trasformazioni del mercato del lavoro/della famiglia, in relazione all'aumento delle donne nel mercato del
lavoro. Se l'amministrazione e la gestione delle assicurazioni sociali obbligatorie, poteva essere accentrata,
questo non si veri cava per i servizi sociali, che al contrario gli hanno chiamati a soddisfare i bisogni
localmente
Lo sviluppo dei servizi sociali si associò a una crescita della rilevanza dei livelli subnazionali di governo e a
una loro crescente richiesta di autonomia. Dagli anni ’70, in molti paesi europei si registrò un processo di
decentramento, che si concretizzò in una prima ondata di interventi normativi attraverso cui ai livelli meso (le
regioni in Italia) vennero riconosciute nuove competenze. La revisione dell'assetto delle competenze dei
welfare state europei può essere interpretata come una risposta a pressioni di tipo funzionale:
- Da un lato, in ragione del sovraccarico dei governi centrali, legato alla progressiva differenziazione
socioeconomica e alle crescenti complessità della responsabilità di governo
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- Dall'altro, il decentramento iniziò ad essere percepito come un'opzione vantaggiosa, capace di contribuire
al raggiungimento di maggiore ef cienza nella gestione dei servizi pubblici
Entrano in gioco anche ragioni politiche, che hanno a che fare sia quando le logiche di azione del governo
nazionale sia con quelle dei governi subnazionali. Il decentramento di funzioni legate alle politiche sociali
contribuì al processo di region building. Il sovraccarico di funzioni alle quale diveniva dif cile dare risposta in
un contesto caratterizzato da costi crescenti, rendeva il decentramento vantaggioso anche per il centro che
poteva in tal modo passare ad altri il peso di scelte politicamente costose. Il decentramento della penuria si
presenta come un'operazione politica vantaggiosa che permetteva di realizzare tagli/adattamenti.
L’irrobustimento dei governi regionali ha trovato una serie di incentivi anche nel processo di integrazione
europea. Nell'ambito delle politiche socioassistenziali, i paesi dell'Europa meridionale sono caratterizzati da
una serie di speci cità proprie in termini evolutivi:
- Grecia/Italia/Portogallo/Spagna si caratterizzano per una arretratezza rispetto ai paesi dell'Europa
continentale/nordica, sia nel campo delle prestazioni selettive minime di garanzie del reddito, sia per
quanto riguarda lo sviluppo dei servizi sociali. Negli anni ’90, tali paesi erano gli unici nell’EU-15 a non
avere uno schema nazionale/generalizzato di reddito minimo garantito, lacuna colmata dal Portogallo, è
solo recentemente da Grecia e Italia. Sul fronte dei servizi alle famiglie, il ritardo è ancora tuttora
persistente.La ricerca comparativa ha individuato 4 fattori che possono contribuire a spiegare
l'arretratezza registrata:
1. Il primo fattore a che fare con il familismo che caratterizza i paesi dell'Europa meridionale, un tratto che
si concretizza nella capacità/obbligo della famiglia estesa di funzionare come ammortizzatore sociale,
assorbendo una molteplicità di funzioni. Questo modello, de nito delle solidarietà familiare parentali, se
da un lato può essere interpretato come un adattamento alle lacune dell'intervento dello Stato, lo stesso
tempo ha contribuito a mitigare le pressioni funzionali per l'intervento pubblico se nei servizi di cura, sia
con riferimento sostegno al reddito
2. Il secondo fattore che in combinazione con il primo ha contribuito ad attenuare lo scopo funzionale delle
misure socioassistenziali, discende da alcune caratteristiche dell'economia del mercato del lavoro nei paesi
sud europei. L'esistenza di un mercato del lavoro periferico ha permesso che anche i lavoratori marginali
e poco quali cati potessero lavorare. L’economia sommersa ha costituito un ulteriore fonte di reddito per
molte famiglie, mentre l'accesso al sistema di protezione sociale veniva garantito tramite uno dei membri
del nucleo familiare
3. Il terzo fattore riguarda il lato dell'offerta. Le misure assistenziali, stabilendo il diritto alla prestazione in
base a una prova dei mezzi, sono onerose in termini amministrativi/gestionali. La selettività di questi
schemi presuppone che ci sia un'effettiva capacità di accertare lo stato di bisogno dei richiedenti
attraverso procedure standardizzate.
4. Il quarto fattore ci aiuta a comprendere l'arretratezza del settore socio-assistenziale nei paesi sud europei
riguarda il Timing dell'intervento pubblico, ossia il diverso momento in cui si sono manifestate le
pressioni funzionali per una mondializzazione di questo ambito di policy. Nei paesi nordici, riconosciuti
come modelli service-rich, i servizi sociali si istituzionalizzarono in un periodo di forte crescita economica
e di generale espansione del welfare. All'opposto e i paesi sud europei hanno perso questa nestra
Il primo intervento normativo del nascente Stato italiano è, nella nell'ambito dell'assistenza sociale risale al
1862, quando con la l. n. 753 si stabilì la presenza in ogni Comune delle congregazioni di carità. Questi enti
rappresentarono i primi organi di assistenza pubblica generica nei confronti dei bisognosi. Il loro ruolo
risultato residuale rispetto alle attività caritativo-assistenziali (Chiesa). Anche dopo l'uni cazione le opere pie
(Istituzioni di bene cenza privata e di matrice cattolica) continuarono a rappresentare il centro del settore.
Con la norma sulle istituzioni pubbliche di assistenza e bene cenza tentò di provvedere al riordino delle
opere pie. La legge Crispi, l'intervento più importante di questo periodo, attribuì alle opere pie personalità
giuridica pubblica. Riconoscendo come pubblici i loro ni, le denominava istituti pubblici di bene cenza
(IPAB). La legge era incentrata al paternalismo e al controllo sociale dell’assistiti. Vi furono provvedimenti
sociali, di natura previdenziale: L'assicurazione obbligatoria sociale contro gli infortuni, e quella contro la
vecchiaia e la disoccupazione. Il con itto mondiale contribuì a rendere più evidente lo stato di inadeguatezza
delle misure di assistenza pubblica in essere. La guerra e l’immediato dopoguerra furono caratterizzati da un
aumento della disoccupazione a peggioramento delle condizioni di vita. Nel nuovo contesto socioeconomico,
gli istituti di volontariato di carità non avevano risorse. In risposta a queste carenze si assistette ad una
oritura di enti centralizzati dedicati a speci che categorie di bisognosi, come l'Opera Nazionale per gli
invalidi di guerra, l'Opera Nazionale combattenti (sorgeranno durante il periodo fascista). Con l'avvento del

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fascismo si accompagnò una serie di interventi in campo previdenziale. Anche nel campo dell'assistenza
pubblica vi furono alcune innovazioni:
- Vennero istituiti numerosi enti assistenziali nazionali dedicati a speci che categorie sociali (ciechi e orfani)
- La politica sociale del regime tese a fare della famiglia, fascista/cattolica, uno dei suoi simboli. Vennero
realizzati interventi volti ad incentivare la maternità, con l'istituzione dell'Opera Nazionale per la
maternità e l’infanzia
- Con la l. n. 843, vennero creati presso tutti i comuni gli enti comunali di assistenza (ECA), che sostituivano
le precedenti congregazioni di carità. L’aspetto più importante della provvedimento risiedeva nell'aver reso
obbligatoria un'addizionale da applicarsi alla maggior parte dei tributi statali/provinciali/comunali.
Quest'imposta addizionale rappresentò il primo obbligo formale di contribuzione per nanziare
l'assistenza pubblica diretta agli indigenti
Dopo la caduta del regime fascista, la Carta Costituzionale divenne il nuovo punto di riferimento per le
politiche di assistenza sociale dell'Italia repubblicana, 2 articoli (38-117) individuavano le disposizioni
fondamentali riguardo a questo settore di policy:
- Il primo con riferimento agli aspetti sostantivi
- Il secondo rispetto all'attribuzione di competenze fra i vari livelli di governo
Ispirandosi alla Costituzione Francese, l’art. 38, sanciva la responsabilità dello Stato verso il benessere dei
cittadini. Già nei primi 2 commi, si distinguevano in modo netto assistenza sociale/previdenza. La
previdenza offriva una tutela più intensa contro i principali rischi sociali (infortuni) dirà riservata ai lavoratori.
L'assistenza sociale era destinata a tutti i cittadini sprovvisti di mezzi. L’art.117 riconosceva potestà
legislativa/amministrativa alle regioni in materia di assistenza/bene cenza pubblica. Le regioni venivano così
ad assumere un ruolo centrale nel sistema socio assistenziale italiano. Sulla base dell’art.118, la regione era
chiamata a esercitare solo un ruolo di decisione di indirizzo. Dagli articoli 38-117 si originò un dibattito
dottrinale/giurisprudenziale sul signi cato delle nozioni di assistenza sociale/bene cenza pubblica, chiarito
all'inizi degli anni '70 tramite una sentenza della Corte Costituzionale che distingueva l'assistenza sociale,
materia statale a cui si collegano diritti sociali, dalla bene cenza pubblica, un insieme non ben de nito di
interventi, da cui non si originavano diritti sociali. Anche il settore dell'assistenza sociale fu interessato da
alcuni importanti provvedimenti che riguardano sia la sfera del sostegno al reddito, sia quella dei servizi
sociali territoriali:
- Era stato introdotto il trattamento di integrazione al minimo della pensione. Nota come trattamento
minimo, consisteva in una integrazione della pensione previdenziale. In seguito, la funzione assistenza
dell'integrazione al minimo venne resa più esplicita. L'accesso alla prestazione fu subordinato alla prova
dei mezzi
- Venne istituita la pensione sociale, una misura di assistenza pubblica nella forma di reddito minimo
garantito riservato agli ultra sessantacinquenni senza diritto alla pensione di tipo contributivo è in stato di
indigenza
- Venne introdotta la pensione di invalidità civile, una prestazione che le persone invalide e povere che non
avevano diritto alla più generosa prestazione previdenziale d’invalidità. Accompagnata dall'indennità di
accompagnamento, un assegno mensile assomma ssa non soggetto alla prova dei mezzi è destinato agli
invalidi non-autosuf cienti
- Assegni familiari: era destinata al capo famiglia ed era legata alla presenza di familiari a carico, ma spesso
anche altri congiunti senza reddito. Questo schema venne trasformato nell'attuale assegno per il nucleo
familiare, una prestazione riservata alle famiglie con reddito prevalente da lavoro dipendente e ai
pensionati, soggetta alla prova dei mezzi. Presentava una natura ibrida, poiché combinava un
nanziamento previdenziale basato sui contributi sociali con una nalità tipicamente assistenziale
A fronte del debole collegamento tra contributi/prestazioni, il ruolo di sostegno per le famiglie povere si è
reso più esplicito. La platea dei potenziali bene ciari di queste misura è rimasta limitata ai lavoratori
dipendenti/pensionati. Sul fronte della bene cenza pubblica a livello territoriale, la legge Mariotti, che
disponeva la separazione tra le attività sanitarie e quelle assistenziali sino a quel momento disciplinate
entrambe dalla legge Crispi. Questa disposizione trasformò gli ospedali, che IPAB, sganciando così la loro
evoluzione dal settore socio-assistenziale. Le situazione delle regioni a statuto ordinario e se possibile attuare il
decentramento amministrativo previsto dall’art. 117 della costituzione, attraverso 2 decreti presidenziali:
- Le responsabilità nell'ambito della bene cenza pubblica vennero attribuite a regioni ed enti locali
- I decreti dovevano stabilire una serie di procedure standard. Ma questi decreti tardarono ad arrivare,
perciò le regioni hanno creato svariati problemi, tra cui la disuguaglianza e la disomogeneità. Finalmente
decreti arrivano nel 1977 ma ormai le regioni italiane seguivano percorsi differenti
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Nell'ambito dell'intervento assistenziale a livello territoriali, furono approvati provvedimenti di natura micro-
settoriale, di forte valenza simbolica:
- Tra questi quello relativo agli asili nido di inizio anni ’70. La l. n. 1044/1971 disponeva di un piano
quinquennale per l'espansione dei servizi di asilo nido, con l'obiettivo di raggiungere nel quinquennio
1972-1976 un tasso di copertura del 5% riferito ai bambini sotto i 3 anni
In questa fase, lo Stato centrale era sempre più impegnato nel tentativo di contenere la spesa pubblica. A
livello locale regioni/comuni proseguirono nella struttura delle proprie politiche socioassistenziali,
introducendo differenti prestazioni. Nel corso degli anni andò così consolidandosi un sistema variegato. Il
periodo dell'espansione della politica socio-assistenziale italiana ha assunto il carattere di una crescita
disordinata di attori. Per indicare i fattori fattori a base dello sviluppo disorganico del settore socio-
assistenziale in Italia, è utile fare riferimento anche ad aspetti politico-istituzionali speci ci degli anni ’50-’70.
Il grado di polarizzazione ideologica del Secondo dopoguerra, associata alla presenza di una sinistra con
comportamenti massimalistiche, contribuì a complicare lo scenario politico. Il policy making è in uenzato
dalla logica delle mediazioni, del compromesso dello scambio politico. Dal Secondo dopoguerra il welfare
Italiano si è sviluppato attraverso l'adozione di leggine (provvedimenti di natura micro settoriale o micro
categoriale) in cui non si trovano che i frammenti dei grandi programmi riformisti. Le grandi enunciazioni
ambiziose della costituzione non vennero mai portati avanti. Nel settore dei trasferimenti monetari, la sinistra
non riuscì a mantenere quell’unità di intenti necessaria a promuovere l'opzione universalistica: la divisione
interna e l'opposizione della sinistra radicale (PCI), che con l'appoggio della CIGL era interessata a difendere
i vantaggi corporativi del proprio bacino elettorale (gli operai della grande industria), no agli anni '70 resero
il perseguimento di questa azione troppo rischiosa. Parlare di opere pie, signi cava parlare del sistema
socioassistenziale italiano, di conseguenza era impensabile una riforma del settore che non intervenisse su di
esse. Solo dopo aver snodato il trattamento delle opere pie, grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale
del 1988 con cui nì il loro regime, si apre l'opportunità concreta di riformare il settore no a quel momento
ancora disciplinato dalla legge Crispi del 1890. Gli schemi tradizionali del welfare state di matrice
assicurativa si sono dimostrati inadeguati, dando così luogo a lacune, che possono essere affrontati anche
attraverso prestazioni ispirate al principio dell'universalismo selettivo, nella forma sia di servizi sociali sia di
trasferimenti monetari. Sul lato della domanda, le dinamiche che hanno contribuito alla crescita delle misure
socioassistenziali hanno a che fare con le trasformazioni sociodemogra che/occupazionali. La crescita della
partecipazione femminile al mercato del lavoro ha in uito sulla disponibilità di tempo delle famiglie.
L'emergere di nuovi bisogni sociali è stato determinato anche dalla maggiore fragilità delle unioni
matrimoniali e dal declino delle dimensioni medie di nuclei familiari: risulta grave in quei paesi (Italia) in cui
il sistema di protezione sociale presenta tratti familiari, avendo attribuito alle famiglie il ruolo di primaria
agenzia del welfare. La crisi del settore industriale e l'aumento della popolazione hanno determinato una
crescita strutturale dei tassi di disoccupazione: La maggiore essibilità del lavoro e la diffusione di forme di
lavoro atipico e meno garantite hanno messo in discussione la prospettiva del lavoro a tempo pieno per tutta
la vita, implicando una maggiore diversi cazione delle esperienze occupazionali, specialmente per i lavoratori
meno quali cati. In questo nuovo contesto occupazionale diventa importante l'esistenza di politiche a
sostegno del reddito (previdenziali assistenziali) e politiche attive del lavoro volti a facilitare il reinserimento
lavorativo e l'inclusione sociale dei bene ciari. La povertà economica si con gura in un episodio che può avere
una durata variabile e interessare un'ampia platea di individui. Il rischio di esclusione sociale tende ad
associarsi non solo a caratteristiche ascrittetive (famiglia di provenienza), ma anche ad altri fattori come l'area
di residenza. Alla complessità delle diverse situazioni richiede dunque una molteplicità di strumenti di
intervento e risposte differenziate. Il processo di raclibratura dei sitemi di welfare si è rivelato tanto necessario
quanto politicamente dif cile: Il contesto attuale, rende molto dif cile la politica di riforma del welfare. Le
scelte politiche hanno sempre più spesso a che fare con la ripartizione di risorse scarse tra differenti istanze,
mentre la contrapposizione tra diversi interessi in gioco genera consistenti blocchi al riformismo. Questo è
importante nei paesi di impronta bismarckiana, il cui sistema di protezione sociale si è strutturato tramite
l'inclusione di nuove categorie di welfare clients (clientele sociali), ciascuna caratterizzata da schemi differenti
con proprie regole. La risposta ai nuovi rischi/nuovi bisogni è resa dif cile dalla debolezza politica che
caratterizza il fronte dei potenziali bene ciari delle nuove misure socioassistenziali, tale debolezza arriva dal
basso grado di mobilitazione politica, dovuta da un lato alla frammentazione interna dell'insieme dei
cosiddetti outsider (tra cui madri sole con gli piccoli), che mina la possibilità di costituire un fronte unitario.
Dall'altro, all'isolamento e alla scarsa propensione alla aggregazione di queste categorie. I paesi dell'Europa
continentale hanno rafforzato la propria componente socio-assistenziale, sia attraverso un rilancio dei servizi
sociali, sia tramite una revisione degli schemi contro la povertà al ne di accrescerne l'ef cacia in termini di
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inclusione sociale. Negli anni ’90, l'Italia era ancora sprovvista di uno schema generalizzato contro la povertà.
Questa lacuna era stata colmata attraverso la predisposizione di schemi de niti di minimo vitale. Nei comuni
che avevano adottato uno schema di minimo vitale, le prestazioni erano soggette a una variabilità, rispetto
alle regole di accesso/livello di sussidio. Poteva succedere che nel momento in cui il ciclo economico era
negativo e dunque le esigenze di un sostegno economico aumentavano, i bilanci dei comuni si trovassero
senza le risorse per garantire tali interventi. In questo modo, ampie fasce della popolazione venivano di fatto
escluse. L'assistenza economica non generava un diritto soggettivo, come accadeva nella maggior parte degli
altri paesi dell’U.E. A livello nazionale, l'assenza di uno schema generale di contrasto alla povertà era stata
mitigata dalla predisposizione di alcune misure di natura categoriale, destinate a speci ci gruppi sociali. A
metà anni ’90 più dell'80% della spesa complessiva per le prestazioni di assistenza sociale veniva assorbito
dalle funzioni vecchiaia e invalidità. Le misure categoriali esistenti in Italia presentavano un limite legato alla
bassa ef cienza in termini di redistribuzione verticale/scarsa ef cacia nel ridurre il rischio di povertà. Tutti gli
schemi presentavano un'ef cienza distributiva inferiore al 60%: ciò signi ca che è più del 40% delle risorse
spese per ciascuna di esse andava a famiglie che già prima dei trasferimenti si trovavano al di sopra della linea
di povertà. Si è assistito a un ricorso improprio e un abuso strutturale delle misure esistenti attraverso lo
sfruttamento di canali particolaristici-clientelari. Sul fronte dei servizi sociali, la situazione di arretratezza
tipica dei paesi dell'Europa meridionale era in Italia aggravata da uno sviluppo disomogeneo sul territorio. La
politica socio-assistenziale italiana mancava di una legge quadro atta a disciplinarne l'attuazione a livello
territoriale. Anche in Italia le s de poste dal passaggio da una società post-industriale hanno iniziato dagli
ultimi 2 decenni a generare nuovi rischi e bisogni:
- Fenomeni quali la deindustrializzazione,/terziarizzazione dell’occupazione/l'ampliarsi del lavoro atipico
hanno reso più grave l'assenza di uno schema di reddito minimo garantito contro la povertà
La crescita di separazione/divorzi insieme alla diminuzione delle dimensioni medie dei nuclei familiari,
hanno indebolito la capacità protettiva della famiglia. Hanno reso più grave la mancanza sia di politiche di
assistenza economiche per le famiglie, sia la scarsa disponibilità di servizi di cura. Tra ’80-’90, il tasso di
povertà è aumentato. Nel 1997, il tasso di povertà prima dell'intervento redistributivo del welfare state (Vale a
dire prima di tutti i trasferimenti sociali) si attestava in Italia al 41% una posizione intermedia in linea con il
dato medio UE-15. Il rischio di cadere in povertà veniva ridotto di 19% dalle pensioni puntuale ef cace nel
ridurre la povertà dei trasferimenti pensionistici era elevata. Tutti gli altri trasferimenti sociali contribuivano a
ridurre il rischio di povertà del solo 3%, determinando un rischio di povertà effettivo pari al 19%, più alto
rispetto del dato europeo (16%). L'approccio familista ha contribuito a dare luogo a una serie di conseguenze
negative (a livello economico e sociale), dovute alle strategie di adattamento al nuovo contesto poste in essere
dalle famiglie:
- La partecipazione familiare al mercato del lavoro retribuito in Italia è stata molto contenuta. A fronte della
diffusione del modello tradizionale di famiglia d’impostazione male breadwinner
- Laccresciuta instabilità lavorativa, combinandosi con basse retribuzioni e l'assenza di un sistema di
ammortizzatori sociali organico/inclusivo, ha contribuito a rendere i nuclei familiari con un solo
percettore di reddito molto più sensibili all'esporsi al rischio di povertà
Anche in Italia si è generato un paradosso per cui a una ridotta partecipazione femminile al mercato del
lavoro corrispondono bassi tassi di natalità. Solo a partire dalla seconda metà degli anni ’90 il settore è stato
oggetto di una serie di interventi che hanno contribuito a una sua ricon gurazione. Un ruolo importante:
- Commissione Onofri, nominata nel 1997 dal governo Prodi, si distingue per il rilievo che le analisi da essi
prodotte hanno avuto negli anni successivi. In relazione al settore socioassistenziale, la Commissione ha
contribuito al dibattito domestico offrendo una diagnosi, circa le lacune delll'irrazionalità che
caratterizzavano l'intervento pubblico in materia, e formulando proposte di policy per superarle.
Tra le principali debolezze:
- Una spesa inadeguata/l’elevata frammentazione istituzionale e categoriale combinata a sovrapposizioni
funzionali, l'inclinazione a favore dei trasferimenti a discapito dei servizi
Partendo da questa valutazione, del quadro delle politiche assistenziali in Italia, la Commissione
raccomandava che la riforma del settore s'spirasse a 2 linee guida di base: incremento/razionalizzazione. Per
far ciò venivano individuati 4 ingredienti essenziali:
1. Aumento della spesa
2. Universalismo selettivo
3. Rilancio dei servizi sociali
4. Maggiore omogeneità territoriale

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Nel 1996-2001 gli l'interventi approvati hanno riguardato sia il fronte dei diritti sociali (l'introduzione del
reddito minimo di inserimento), sia quello degli strumenti (l'introduzione dell'indicatore della situazione
economica e del Fondo Nazionale per le politiche sociali). Con riferimento alle nuove prestazioni, la legge per
il 1999, istituì l'assegno di maternità assistenziale diretto alle madri sprovviste di copertura assicurativa e
l'assegno per le famiglie con almeno 3 gli minori. Venne introdotto il Fondo per il sostegno all'accesso alle
abitazioni in locazione, volto a sostenere i costi per l'af tto delle famiglie a basso reddito
Il reddito non dava luogo a un diritto soggettivo, essendo vincolato alle risorse disponibili stanziate
annualmente e alla loro successiva ripartizione tra le regioni. Gli assegni al nucleo familiare vengono resi più
generosi, rivedendone le soglie di accesso e aumentando negli importi. La spesa aumentò di circa il 50% tra
1996-2001. Ai trasferimenti monetari diretti si aggiunsero anche alcuni interventi sul lato delle imposte,
attraverso revisioni degli scaglioni e delle aliquote dell’IRPEF e delle detrazioni per familiari a carico. In
particolare, le detrazioni per i gli vennero quasi triplicate, ma gli esiti distributivi di questi interventi
risultarono iniqui. Non avendo risolto il problema di degli incapienti (coloro che hanno il reddito basso), gli
sgravi scali previsti non comportarono alcun vantaggio per le fasce più bisognose. La l. n. 285/1997 segnala
l'attenzione del governo ai servizi per l’infanzia, concludendosi il nanziamento quinquennale della l. n.
1044/1971, con la legge del 1997 si creò un nuovo canale di nanziamento, il Fondo Nazionale per l'infanzia
e l'adolescenza, volto a nanziare i progetti. Sul fronte delle politiche per la famiglia, un'importante
innovazione va segnalata rispetto al sistema di congedi:
- Fu approvata una revisione della normativa risalente al 1971 relativa ai congedi per la cura dei gli. In
particolare, la l. n. 53/2000, lasciando inalterate le caratteristiche del congedo obbligatorio di maternità
per le madri occupate, ha modi cato il congedo parentale facoltativo. I genitori hanno diritto a un periodo
di estensione no a 10 mesi, che salgono a 11 se il padre ne usufruisce in parte. La compensazione
economica per il congedo facoltativo resta bassa in prospettiva comparata, in quanto è ssata al 30% della
retribuzione per un massimo di sei mesi a coppia, estendibile solo se la famiglia presenta determinate
condizioni di reddito
A anco di queste misure, il lancio del reddito minimo di inserimento (RMI) rappresentò un'altra novità della
legislatura. Nel solco delle indicazioni della Commissione Onofri, il RMI si con gurava come il primo
schema non categoriale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale nel panorama italiano. Venne
introdotto come sperimentazione (1999-2000), la misura venne poi estesa dalla legge nanziaria per il 2001
per altri 2 anni a un totale di 306 comuni per poi essere abbandonata. L'importanza di questa misura è
dovuta al fatto che se fosse stata generalizzata avrebbe permesso all'Italia di superare una delle lacune
maggiormente distintive del suo sistema di assistenza sociale, dotandosi di uno schema di lotta alla povertà
non categoriale. Nel 1998 venne introdotto l'indicatore della situazione economica (ISE), che avrebbe dovuto
divenire la pratica standard per stabilire l’eleggibilità dei richiedenti alle prestazioni soggette alla prova dei
mezzi. La novità più rilevante della legislatura 1996-2001 in campo socioassistenziale è stata l'approvazione
della legge quadro di riforma dei servizi sociali attesa dal decentramento degli anni ’70. A distanza di oltre un
secolo dalla legge Crispi, la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali delineava un nuovo quadro regolativo unitario per l'interventi socioassistenziali del paese:
• Se da un lato la riforma dell'assistenza sociale ha rappresentato un passo avanti, l’impatto del suo slancio
risultò af evolito sia in seguito alle vicende di natura politica che portarono a un cambio della maggioranza
di governo e di conseguenza anche del sostegno alle linee della riforma, sia a causa dell'intervenuta riforma
del Titolo V della Costituzione del 2001 che ha intaccato la coscienza
In seguito a ciò, lo scenario è cambiato. Sia prima della riforma del testo costituzionale, e in base alla l. n.
328/2000, le regioni avevano l'obbligo di legiferare conformemente all'intero impianto della legge quadro
promossa dal livello centrale, secondo quanto de nito dal nuovo impianto costituzionale, le regioni, avendo
potestà legislativa esclusiva in materia, avrebbero dovuto garantire solo i livelli essenziali delle prestazioni
(LEP) da de nirsi a livello nazionale. Il nuovo art.120 della Costituzione precisava che il governo avrebbe
potuto sostituisti qualora lo richiedessero la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali. I principali interventi in ambito socioassistenziale durante la legislatura di centro-destra
2001-2006 si orientarono a sostegno al reddito di anziani e famiglie attraverso 2 tipi di strumenti:
- L'incremento delle pensioni minime
- La revisione delle deduzioni per i carichi familiari
Uno dei primi interventi del nuovo governo di centro-destra fu l'introduzione di una integrazione destinata ai
pensionati con cui si elevava l'importo minimo della pensione alla soglia simbolica di 1 milioni di lire.
L'integrazione era destinata a tutti i pensionati +70 e quindi comprendendo sia le pensioni assistenziali sia
quelle previdenziali.questo intervento permise così di abbattere de nitivamente la differenza dell'importo tra
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pensioni integrate al minimo e pensioni sociali. Tale innovazione ebbe importanza anche sul piano
nanziario se si conta che solo i bene ciari di integrazione al minimo delle pensioni nel 2005 hanno 1/3 del
numero complessivo delle pensioni previdenziali erogate. La maggioranza di centro-destra decise di utilizzare
la leva scale per sostenere il reddito delle famiglie. La Legge nanziaria 2002-2003 introdussero nuovi sgravi
scali per le famiglie nella norma di deduzioni (riduzioni del reddito imponibile) per il reddito da lavoro alla
pensione, oltre a rendere più generose le detrazioni per familiari a carico:
- Con l'ambizione di promuovere la natalità, venne poi a formarsi un bonus bebè di 1000 € alla nascita di
ogni glio limitatamente al 2004, contributo più esteso al 2005-2006 per i gli successivi al primo
Il programma di governo 2006-2011 della coalizione di centro-sinistra era molto ambizioso. Anche in
ragione della brevità della legislatura dovuta alla caduta anticipata del governo nel 2008, gli obiettivi sono
stati scarsamente realizzati. I principali interventi approvati riguardarono l'introduzione di sgravi scali per le
famiglie con un'attenzione anche alla situazione degli incipienti. Il d. l. n. 159/2007 e la legge nanziaria per
il 2008 introdussero una serie di agevolazioni per le famiglie:
- Venne approvato il bonus incapienti, limitato al solo anno d'imposta 2007 (150 €) destinato alle famiglie
con fonti di reddito ma incapienti ai ni IRPEF
- Si introdussero sgravi più elevati per i giovani fra i 20-30 per la stipula di contratti di locazione per
l'abitazione principale (992 € annui) e si stabilì una detrazione di imposta per i contribuenti con almeno
quattro gli a carico, pari a 1200 € e indipendentemente dal reddito
- La nanziaria per il 2007 e prevedeva uno stanziamento di 604 milioni di euro/integrato da altri 150
milioni di euro nel 2008 per nanziare un piano triennale però sviluppo del sistema territoriale di servizi
socio educativi per la prima infanzia.
Nell'ambito delle politiche di risposta alla non-autosuf cienza sull'età anziana, 2 fronti:
- Da un lato costituendo una linea di nanziamento dedicata attraverso l'istituzione di un fondo ad hoc per
la non-autosuf cienza
- Dall'altro avanzando un progetto di legge delega. Il fondo viene poi incrementato e l'anno successivo,
aveva disposizione nel complesso 800 milioni di euro per il triennio 2007-2009 destinate a nanziare i
servizi e prestazioni decisi a livello regionale
Alcune regioni avevano istituito dei propri fondi con importi molto più alti delle risorse messe a disposizione a
livello nazionale (Emilia-Romagna). L'interventi approvati durante il governo Berlusconi IV (2008-2011), era
di carattere monetario, non ha avuto l'ambizione di ridisegnare la politica socio-assistenziale italiana. Le
misure più signi cative di quest'ambito sono 2:
- Bonus scale: Si trattava di un trasferimento a favore dei nuclei familiari a basso reddito (relativamente al
2008), variabile a seconda del reddito e in base alla numerosità del nucleo familiare da un minimo di 200 €
(per i nuclei con un solo componente percettore di reddito) a un massimo di 1000 € annui (per i nuclei con
più di cinque componenti è un reddito complessivo non superiore a 22.000 €)
- Carta acquisti: Diretto a contenere gli effetti della crisi economica, assunto la forma di una carta di debito
ricaricata su base bimestrale e utilizzabile per acquistare i generi di prima necessità e pagare le utenze
Fra i provvedimenti adottati da Berlusconi di centro-destra in materia di contrasto alla povertà va ricordato
anche lo stanziamento di 50 milioni di euro per la sperimentazione di una variante della carta da acquisti, nei
12 città italiani con più di 250.000 abitanti per un periodo di un anno. Le novità erano due:
- La combinazione del trasferimento monetario con interventi volti a promuovere l'inclusione sociale dei
bene ciari e coinvolgimento diretto nella gestione della misura delle organizzazioni del terzo settore attive
nel contrasto alla povertà, da cui venivano esclusi gli enti locali. Lo stanziamento viene approvato, ma
l'attuazione viene compromessa dalla ne anticipata del governo
L'esecutivo di centro-destra durante il suo mandato è intervenuto in modo penalizzante sulle risorse destinate
alle regioni per le politiche socioassistenziali, riducendo il Fondo Nazionale per le politiche sociali.
La nascita del governo tecnico guidato da Mario Monti, dopo la crisi del 2011, ha segnato la prima
discontinuità con il decennio precedente in materia di lotta alla povertà. L'esecutivo decise di reindirizzare il
budget stanziato durante il governo Berlusconi IV per la sperimentazione della variante della carta acquisti,
maggiormente in linea con le raccomandazioni europee in materia di inclusione attiva e con le prescrizioni
sostenute da tempo da esperti e stakeholder nell'area di policy nazionale: Venne approvato nel 2013 il sostegno
per l'inclusione attiva (SIA, ridenominazione della carta d’acquisto), era diretto a garantire, le famiglie con
gli minori in condizioni di grave indigenza, un sostegno economico più generoso, associato a interventi di
promozione dell'inclusione sociale. Ovviamente avrebbe infatti potuto coinvolgere solo un insieme ridotto
della popolazione in condizioni di povertà. L’importo del trasferimento è insuf ciente a superare la soglia di
povertà assoluta. A pochi mesi dal suo lancio, alcune innovazioni hanno ride nito il perimetro:
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- La sperimentazione venne estesa anche alle 8 regioni del Sud, attraverso la valorizzazione dei Fondi per il
co nanziamento dei programmi Europei. Attraverso la legge di stabilità per il 2016 e i decreti attuativi, la
misura è stata riformata ed estesa all'intero territorio nazionale. Nel 2016, l'Italia si dotava di un sussidio
economico per le famiglie con gli minori in condizioni economiche disagiate
Il governo Renzi aveva presentato un disegno di legge delegata sul contrasto della coperta/riordino delle
prestazioni di natura assistenziale/rafforzamento del sistema dell'interventi dei servizi sociali:
- L’iter legislativo dell'iniziativa è stato caratterizzato da un lavoro sul testo, svoltosi nelle commissioni
parlamentari competenti con il coinvolgimento di numerosi soggetti istituzionali. Fra questi va ricordata
l'Alleanza contro la povertà in Italia, un soggetto nato nel 2013 dall'iniziativa di ACLI e Caritas nalizzato
a intraprendere azioni di advocacy in materia di politiche contro la povertà
Rilevante è Memorandum d’intesa tra Alleanza contro la povertà in Italia e governo, che ha consentito di
condividere alcuni impegni dell'attuazione della legge delega:
- A circa un anno di distanza è stata così approvata la legge che poneva le basi per il reddito di inclusione
(REI), consentendo al paese di porre ne a una delle lacune più vistose del suo sistema di protezione
sociale. Il REI è subentrato al SIA nel 2018. Il REI ha segnato un passo avanti per le politiche
socioassistenziali italiane, verso l'universalismo che aveva auspicato la Commissione Onofri
Il trasferimento umanitario era integrato dall'attivazione di un processo orientato all'inclusione sociale dei
bene ciari, grazie ad un sistema di governance basato sulla cooperazione istituzionale, fra una pluralità di
soggetti. Dalla legge di stabilità per il 2016 che ha istituito il fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione
sociale , le dotazioni sono state incrementate. Alcuni interventi signi cativi meno dirompenti, sono accorsi
anche sul versante dei servizi sociali nell'ambito della prima infanzia:
- La Buona Scuola, fra i vari provvedimenti delineava anche l’avvio di un sistema integrato di educazione e
di istruzione dalla nascita no ai 6 anni
In linea con tali previsioni il testo del decreto del 2017 de niva 2 obiettivi quantitativi:
- Un tasso di copertura a livello nazionale dei servizi pari almeno al 33% per i bambini no a tre anni
- Una diffusione territoriale dei servizi educativi per la prima infanzia pari almeno al 75% dei comuni, in
forma singola o associata
Sul fronte del nanziamento e la riforma istituiva un fondo dedicato (Fondo Nazionale per il sistema
integrato di educazione e di istruzione). In relazione alla partecipazione economica delle famiglie al costo dei
servizi, se da un lato veniva confermato l'attuale sistema di compartecipazione degli utenti, dall'altro, si
pronunciava la de nizione della soglia massima per i costi a carico delle famiglie. Nella campagna elettorale
per le elezioni politiche del 2018 il confronto sulle questioni legate alla povertà e alle misure per contrastarla
ha acquisito una centralità:
- La nascita del governo M5S- Lega, ha investito sul reddito di cittadinanza (RDC)
- Riforma delle pensioni (quota 100), nel 2019, il governo ha così licenziato il RDC, destinato a sostituire il
REI. Il RDC si basa sulla combinazione di un trasferimento economico, più alto rispetto alle prestazioni
precedenti, con misure volte all'attivazione dei bene ciari, che a seconda delle caratteristiche possono
assumere la forma di percorsi di inclusione lavorativa oppure di inclusione sociale.
L’utilizzo dell’ISE, che doveva rappresentare il criterio uni cante per l'accesso alle prestazioni soggette alla
prova dei mezzi, e ancora caratterizzato da una eterogeneità rispetto al peso/combinazioni alle soglie previste
Per alcune prestazioni, come l'assegno sociale/pensione di validità civile alle detrazioni, l'accesso continua ad
essere regolato dalle condizioni del solo reddito. L'ef cacia del Welfare state Italiano nel ridurre la povertà
permane limitata. Nel 2017 le prestazioni sociali riducevano il rischio di povertà di circa 5% contro una
riduzione media del 9%. La riforma inviata nel 2015, ha avuto il pregio di dare alcuni segnali positivi in
merito alla rafforzamento di un settore in cui l’investimento è stato molto carente. L'attuazione del sistema
integrato che realizzi appieno le ambizioni della riforma richiederebbe un investimento più robusto. Negli
anni ’90 si registra un aumento delle risorse dedicate servizi, del tutto insuf cienti a colmare il divario con la
maggior parte degli altri paesi europei dove, al contrario, la spesa per servizi in molti casi atteso ad
aumentare in modo sensibile. I divari a livello regionale sono molto ampi sia con riferimento alla spesa sia
l'offerta di servizi/prestazioni. Un'indicatore che consente di rappresentare questa eterogeneità è dato dalla
spesa per servizi sociali dei comuni singoli associati nelle regioni italiane. Forti differenze fra le regioni si
osservano anche con riferimento alle politiche di risposta a rischi speci ci (non-autosuf cienza/servizi per
l’infanzia). L’assistenza sociale (1989-1995) ha rappresentato l'unico capitolo di spesa ad essersi contratto fra il
1995-2010, in controtendenza rispetto all'aumento dei bisogni sociali. Tra ’70-’80 la riforma dell'assistenza
sociale pareva bloccata:

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- In primo luogo, bisogna partire dalla Corte Costituzionale del 1988, che dichiarò l'incostituzionalità
dell’art.1 della legge Crispi del 1890, pose ne al regime pubblicistico forzato dalle IPAB aprendo nuove
chances per gli attori in campo, generando l'esigenza di un intervento normativo da parte dello Stato che
disciplinasse il settore. L'intervento della Corte mise ne a una disputa durata degli anni ’70, e che vedeva i
partiti politici schierati su posizioni dif cilmente conciliabili, in merito al destino delle IPAB.
- In secondo luogo, va notato che il nuovo quadro istituzionale post-sentenza è stato contrassegnato da
un'alternanza delle equilibri di potere che avevano caratterizzato la Prima Repubblica. Negli anni ’90,
l'inchiesta Mani pulite e la vicende di Tangentopoli investirono il settore socio-assistenziale. L'intero caso
ha prese le mosse dell'arresto di un esponente del PSI, Mario Chiesa, in qualità di presidente di una IPAB,
Per gli affari illeciti connessi a tale attività
Si assistette a un indebolimento dei partiti. Il fronte politico post-riforma si affermò pochi anni più tardi con
l'insediamento del primo governo di centro-sinistra della Seconda Repubblica, presieduto da Romano Prodi.
Il Ministro per la Solidarietà Sociale, Livia Turco (DS), parallelamente a una serie di iniziative microsettoriali
iniziò già nel 1996 a lavorare un progetto di riforma della politica socio-assistenziale:
- La proposta di legge è stata presentata nel 1998, discendeva da un accordo tra governo e parti sociali del
1997. Nella fase preparatoria del disegno di legge si scelse una strategia aperta e concertata attraverso la
consultazione di tutti i principali attori interessati
Dagli anni ’90 il discorso pubblico europeo ha offerto, nell'ambito delle politiche contro la povertà, sia nuovi
schemi interpretativi sia un quadro di soluzioni alternative. Il trait d’union e il dibattito interno era presentato
da diverse commissioni di esperti accademici a livello nazionale. Fra queste vanno annotate le commissioni
povertà istituite tra ’80-’90, che attraverso un'ampia produzione di rapporti hanno contribuito a de nire il
problema mettendo in luce l'inef cacia dell'intervento pubblico in campo socio-assistenziale. L'approvazione
della riforma dell'assistenza ha rappresentato un'innovazione importante. Trattandosi di una legge quadro, il
suo successo era legato all'attuazione delle disposizioni in essa contenute. A pochi mesi dall'approvazione
della Riforma, il disegno legge cambio, se da un lato la riforma costituzionale ha rafforzato il ruolo dei
governi regionali, dall'altro il nuovo contesto istituzionale ha reso possibile per il governo nazionale
accantonare in una certa misura la partita assistenziale.
Durante la legislatura 2001-2006 la questione del rilancio delle politiche di assistenza sociale attraverso la
de nizione dei LEP non è apparsa un obiettivo centrale dall'azione dell’esecutivo, che invece era concentrato
sul lavoro e pensioni. Questo dipende da 2 condizioni fra loro interrelate:
1. Il nuovo esecutivo era portatore di una visione della famiglia e delle politiche sociali di stampo
tradizionale, una posizione espressa nel 2003 all'interno del documentario programmatico per le
politiche sociali essenziali del governo. Il libro bianco sul Welfare.
2. La salienza della frattura territoriale la questione settentrionale del governo Berlusconi II avrebbero reso
politicamente inaccettabile quella redistribuzione di risorse tra Nord e sud
Le risorse aggiuntive destinate agli interventi espansivi nel settore socio-assistenziale sono state marginali
rispetto a quelle attuate nel campo pensionistico. Il mancato superamento durante 2001-2011
dell'eccezionalissimo italiano rispetto al contesto europeo in materia socio-assistenziale è stato interpretato
come l'esito di dinamiche di competizione politiche che hanno assunto in Italia caratteristiche del tutto
peculiari nel panorama europeo. Tali dinamiche ha seguito 2 linee di frattura (cioè di con itto e
competizione politica):
- La frattura centro-periferia (sussidiarietà verticale) e la frattura Stato-Chiesa, Quest'ultima reinterpretata
nei termini di un con itto fra redistribuzione centrale (sussidiarietà orizzontale) e valorizzazione del ruolo
della tradizionale della famiglia
Tali fratture hanno bloccato le possibilità di consolidare uno schema nazionale di reddito minimo. In ragione
dell'impossibilità di raggiungere il consenso politico. In questo scenario, lo sfruttamento in chiave di
competizione politico-elettorale da parte dei partiti di centro-destra del modello tradizionale fondato sulla
solidarietà familiare parentali, hanno condotto alla resilienza del modello stesso, attraverso la strati cazione
di ulteriori microprestazioni categoriali che hanno aggravato la frammentazione istituzionale e territoriale del
sistema. Con l'inizio del nuovo decennio le condizioni che avevano consentito alla resilienza del modello
tradizionale durante il periodo 2001-2011 iniziano a venir meno sotto la spinta di 4 fattori che si sono
combinati tra di loro:
- L'incremento nei tassi di povertà e la trasformazione del pro lo di rischio
- La nuova cornice di opportunità apertasi nel quadro dei processi di coordinamento a livello europeo
- Le trasformazioni di vasta portata che hanno inciso sia sul versante della domanda sia su quello dell'offerta
politica in materia socio-assistenziale
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Interagendo tra di loro hanno aumentato la visibilità della lotta alla povertà. In relazione al 1° fattore, va
segnalato che lavoro dell’ISTAT sulle misure di povertà assoluta a partire da metà anni 2000 ha permesso di
cogliere i mutamenti minuti durante la crisi e la fascia più debole della popolazione: I dati prodotti hanno
consentito di documentare la diffusione del rischio di povertà e il nuovo pro lo della stessa, contribuendo a
rendere più visibile la pensione povertà rispetto al passato, e ad accrescere la rilevanza pubblica e politico-
partitica. La maggiore rilevanza del tema, sotto il pro lo politico-istituzionali, ha trovato legittimazione
nell'ancoramento ai processi di coordinamento a livello sovranazionale, grazie alla de nizione dell'ambito
della strategia Europa 2020 lanciata nel 2010 dell'obiettivo di ridurre di almeno 20 milioni il numero di
persone a rischio povertà entro la ne del decennio. A fronte del target europeo, l'Italia si era impegnata a
contribuire con una riduzione di 2,2 milioni del numero delle persone povertà, con attenzione alle persone in
condizioni di indigenza. L’utilizzo delle risorse del Fondo Sociale Europeo assegnate al nostro paese tra il
2014-2020, delle quali almeno il 20% doveva essere destinato alla lotta alla povertà, ha rappresentato un
ulteriore opportunità per destinare risorse alle politiche di contrasto, come previsto dagli accordi. Passando al
versante della domanda/offerta politica, la politica socio-assistenziale italiana ha conosciuto 2 trasformazioni:
- Sul versante della domanda politica, la creazione dell'Alleanza contro la povertà in Italia, grazie la base
sociale ampia e alla de nizione di un obiettivo condiviso, ha dato voce a istanze prima meno rappresentate
- Sul versante dell'offerta politica lo scenario nazionale è stato caratterizzato dall'ingresso di un partito-
pigliatutto, il M5S, che nel nuovo assetto della competizione tripolare ha fatto dell'introduzione di una
misura di reddito minimo il suo provvedimento bandiera
La nuova costellazione di fattori che è venuta a determinarsi dal 2013 ha segnato per le politiche contro la
povertà la preside una nestra di opportunità politico-istituzionale particolarmente favorevole, che ha
coinvolto dapprima il M5S e i partiti di centro-sinistra.In tale prospettiva l'aumento della salienza del
dibattito politico e nel mercato elettorale delle misure contro la povertà può essere concepito come una
manifestazione del tipico effetto di trascinamento da parte di forze politiche alla posizione rispetto ai partiti di
maggioranza. A tale proposito, basti osservare che anche un partito in passato, ostile agli schemi di reddito
minimo come la Lega, già nel 2015 aveva mostrato aperture verso l'introduzione di schemi su base regionale,
in una prospettiva di region building competitivo sia rispetto alle altre regioni sia come s da al governo
centrale. Alle elezioni del 2018 e alla nascita dell'esecutivo giallo-verde, la competizione politico-partitica in
materia di welfare e di politiche contro la povertà ha trovato espressione nelle dinamiche interne alla
coalizione di governo, fra Lega e M5S, con l'approvazione già durante i primi 12 mesi della legislatura e
nonostante i vincoli di bilancio divenuta ancora più stringenti. Il settore dell'assistenza dei servizi sociali
italiani appare pletorico e lacunoso:
- Pletorico per la grande varietà di schemi che esso prevede
- Lacunoso per il persistente sottosviluppo dei servizi anche perché al suo interno alcuni bisogni continuano
a non trovare risposte adeguate
Fra le innovazioni principali nel periodo considerato, il provvedimento più importante è stata la legge quadro
per la realizzazione del sistema integrato di interventi/servizi sociali (l. n. 328/2000), attesa dagli anni ‘70,
può essere considerata come la riforma dell’assistenza. Si è trattato di un provvedimento di ampio respiro,
volto non solo incidere sugli strumenti dell'intervento pubblico in campo socio-assistenziale ma anche a
ridisegnare gli obiettivi di fondo. Nel corso degli anni sono state nuove prestazioni (l'assegno per le famiglie) e
strumenti volti a rendere più razionale la governance del settore (ISEE). In relazione all'architettura
complessiva del sistema di welfare domestico, è stato il passaggio dal SIA al REI e in ne al RDC a porre ne
a una delle lacune più gravi del settore socio-assistenziale italiano in prospettiva comparata. L'attuazione di
una misura di contrasto alla povertà pone una serie di s de che andranno affrontate. Queste riguardano non
solo l'amministrazione della componente monetaria e delle procedure selettive ad essa connessa, ma anche la
gestione della componente legata ai servizi di accompagnamento, di carattere sociale e delle politiche attive
del lavoro. I fronti più critici sembrano essere 2:
1. Il primo riguarda il raccordo fra il RDC, le altre prestazioni socioassistenziali esistenti e le prestazioni a
sostegno delle famiglie, che necessiterebbe di una riforma volta a rendere l'intervento pubblico meno
frammentato e più ef ciente
2. Il secondo riguarda le capacità istituzionali. Le disparità territoriali restano marcate. Sono la
conseguenza di de cit di capacità istituzionali. Le capacità istituzionali hanno a che fare con la
programmazione, la decisione, il monitoraggio, la valutazione, tratti rispetto ai quali il sistema politico
amministrativo italiano offre debolezze. Il rafforzamento di queste capacità è forse il prerequisito più
importante per la mondializzazione del nostro sistema di welfare

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