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A cura di Giulia Demme

Semiotica della
Musica

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1° lezione - 29 Set: LA SEMIOTICA E IL RITMO


La semiotica, da Semeion = segno in Greco, studia i segni della musica in relazione alla loro valenza semantica, ovvero il loro signi cato, e
alla comunicazione che producono. I segni della musica creano un sistema complesso, frutto di anni di evoluzione, che oggi usiamo per
ssare la musica sulla carta, in modo da renderla fruibile nel tempo. Questo non è, però, l’unico modo di perpetuare la musica. La musica
popolare, ad esempio, non si scriveva, ma veniva tramandata oralmente; i genitori cantavano ai propri gli, ecc… la semiotica non è solo
segni, ma coinvolge la persona nella sua totalità, è viva, vibrante, aperta alla percezione.

Il termine semeiotica è coniato da Galeno di Pergamo, nato in Grecia, divenuto medico di Marco Aurelio a Roma a partire dal 129 al 216
d.C.. é un termine eminentemente medico, e indica quella disciplina che si occupa di identi care i segni, e i sintomi e le implicazioni che
hanno, per de nire una patologia. La disciplina ha dunque una radice profonda nella medicina, per cui è consequenziale parlare di
funzione terapeutica della semiotica della musica. Nella cultura ellenica la musica ricopriva un ruolo centrale. Non aveva solamente una
funzione di intrattenimento, ma aveva un valore assoluto unico ma universale. La musica era considerata una disciplina al pari della
matematica, della loso a, dell’arte, della medicina, e anzi era fortemente collegata a queste. La semiotica di oggi infatti, è una disciplina
pratica, legata ai segni sici, ma allo stesso tempo non può prescindere dalla ri essione loso ca. Deve aderire alle nostre istanze emotive
in forma vibrante, come quando il medico ascolta i polmoni, il battito cardiaco, sollecita la parte interessata per stimolarne la risposta. Allo
stesso modo l’informatica musicale vive di concretezza sistematica da una parte, ma allo stesso tempo non deve essere scissa dalla
dimensione culturale, e per questo deve avere l’obiettivo di alimentare la consapevolezza, l’educazione e la creatività musicale attraverso la
tecnologia informatica.

Quando si parla di linguaggio musicale, si parla anche di sistema tonale, che proprio come una qualsiasi lingua ha la sua morfologia, che ci
insegna gli accordi, come si genera una melodia, quali sono i gradienti armonici, ecc… essa ci fa capire proprio come funziona il
linguaggio musicale, e ci insegna il lessico, la grammatica, ecc… D’altra parte, però, noi sappiamo già come funziona, dal momento che
citando il Prof. Gino Stefani, ognuno di noi ha una competenza di base derivante in prima istanza dall’essere ascoltatori. La scuola, dunque,
ci insegna ad approfondire quella competenza comune che acquisiamo nel momento in cui nasciamo. Perchè un bambino apprende prima
ad ascoltare, poi a parlare, e poi in un momento successivo a scrivere. L’ascolto è la condizione sine qua non posso comprendere nessun
linguaggio, guriamoci quello musicale.

Per studiare la musica si deve partire dal piccolo, ovvero da quelle che chiamiamo microstrutture. Due microstrutture molto importanti sono
quella diacronica e quella sincronica. Gli eventi, o in questo caso le note, possono susseguirsi diacronicamente, ovvero avvenire una dopo
l’altra, o avvenire sincronicamente, ovvero insieme, contemporaneamente. Se consideriamo 3 note, essere rimarranno separate
diacronicamente, mentre diventeranno un accordo sincronicamente. Ci sono poi le dinamiche tensiodistensionali, che ci permettono di
cogliere nel linguaggio musicale momenti di tensione e momenti di distensione. Come nel linguaggio verbale, anche nel linguaggio
musicale si può avere un dialogo della forma domanda - risposta. Nel momento in cui si porge la domanda, si crea l’aspettativa di una
risposta, quello è il momento di tensione, che viene risolto appena arriva la risposta con il momento di distensione. Il tempo della musica è
soggettivo, appartiene a me, ognuno la vive in una propria dimensione, non segue il tempo oggettivo degli orologi, tant’è che si dice che
la musica sia l’arte del tempo soggettivo. Ad esempio una certa musica può essere troppo veloce per un anziano, normale per un giovane.
Studiare approfonditamente le microstrutture ci aiuta a ri ettere sulla grande capacità percettiva che abbiamo e a cogliere tutto quello che
non riusciamo a cogliere ascoltando quotidianamente la musica confezionata che ci trasmette migliaia di informazioni al secondo.

La musica vive di tre componenti essenziali: il ritmo, la melodia e l’armonia.

IL RITMO

Il termine ritmo rimanda a migliaia di signi cati, in quanto è usato in migliaia di contesti, pensiamo ai ritmi frenetici della quotidianità, ai
ritmi di apprendimento a livello scolastico, ai rimi circadiani, all’aritmia a livello medico. A livello musicale il ritmo è l’avvio del motore
musicale.Un minimo ritmico è ciò che costituisce la struttura del ritmo, ovvero quegli elementi vitali per il ritmo. Un minimo ritmico, è, ad
esempio, il metro. Studi di neuro siologia della percezione dimostrano che il Metro è la prima cosa che si lega alla nostra dimensione
percettiva, è infatti la prima cosa di cui il nostro cervello vuole appropriarsi, per cogliere la struttura del brano. Insieme al metro il nostro
cervello cerca l’ordine, fondamentale perchè esso non riesce a percepire il disordine, ma ha bisogno di punti di riferimento. Ecco perchè,
per avere un metro, esso deve cogliere una serie di pulsazioni regolari e costanti nel tempo, fatta da unità metronomiche, piuttosto che una
serie di pulsazioni casuali, disordinate e non costanti nel tempo. Per avere un metro è necessario individuare i raggruppamenti grazie agli
accenti. Il metro gode di un forte collegamento con l’aspetto motorio, secondo Jacques-Dalcroze la dimensione corporea è essenziale, ed
è essenziale apprendere la musica con il corpo, sperimentare la musica sulla propria pelle, e aveva ideato un nuovo metodo di
apprendimento musicale attraverso il movimento. La dice lunga il fatto che la musica giovanile fa muovere il corpo, come il Rock&Roll.

Metro Binario: è il metro della marcia, stabile. È il metro maschile. Uno è più accentalo dell’altro, nella forma Forte-Debole.
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Metro Ternario: è il metro del ballo, soprattutto del valzer, della ninna-nanna, è cullante e ha un carattere più femminile, materno. Ha la
forma Forte-Debole-Debole.

Metro Quaternario: è formato da due Metri Binari, ha la forma Forte-Debole-Mezzoforte-Debole.

Con il metro Binario e Ternario si creano poi altre strutture metriche, tra cui quelle irregolari.

Sul Metro si struttura il ritmo attraverso processi di dilatazione e segmentazione. Immaginiamo un tempo 2/4, e due semiminime, di cui la
prima idealmente accentata e la seconda debole. Se spezzo in due la prima gura metrica in due crome, sarà avvenuta una
SEGMENTAZIONE. Se invece unisco le due gure in una minime, sarà avvenuta una DILATAZIONE. Con Segmentazione e Dilatazione non
modi chiamo la struttura sica del suono, ma la datità del suono nella dimensione temporale. Certamente hanno anche implicazioni
neuro siologiche che implica la partecipazione psicomotoria del soggettivo che lo percepisce: la Segmentazione va a stimolare la
motricità più ne, dà uno stimolo energetico; d’altra parte la Dilatazione va a stimolare la motricità più ampia, descritto a livello coreutica
con movimenti più ampi.

2° lezione - 5 Oct: LA MELODIA


Secondo il pensiero del professore Gino Stefani (DAMS, Bologna) ognuno di noi possiede una competenza comune di base del linguaggio
musicale. Questa infatti, deriva, prima che dallo studio, che serve invece ad approfondirla, dall’ascoltare, dall’essere degli ascoltatori. Il
nostro linguaggio dipende anche da cosa ascoltiamo, e quello che ascoltiamo dipende dalla cultura in cui nasciamo e cresciamo. Ma allora
la musica è un linguaggio universale? È una de nizione piuttosto semplicistica. Ogni area culturale ha il proprio linguaggio. Ci sono
elementi linguistici universali che vengono chiamate le strutture profonde, a cui tutte le culture attingono (una scala musicale è generata
nell’intervallo di ottave, che ogni cultura ha come punto di riferimento di suddivisione, o ancora le note di riposo e di movimento, quindi le
dinamiche tensiodistensionali) ma non tutte le culture hanno le stesse concezioni in senso espressivo, ogni area usa un lessico speci co,
per esempio quello di tonica e dominante è un concetto puramente occidentale, con una sintassi, e una grammatica diversi cata.

La melodia è il tratto distintivo della nostra esperienza musicale. È determinata da una successione di suoni uno dopo l’altro ad altezze (o
frequenze, in una percezione più numerica o sica) diverse, per questo è una struttura diacronica. (L’accordo, invece, è una sincronica,
perché i suoni sono eseguiti contemporaneamente). Nel caso di una successione di suoni ad eguale altezza (o frequenza) si può parlare,
invece, di monotonia.

Differenza di percezione di melodia tra musicista e sico

È la cosa che si ricorda di più, riesce a insinuarsi nelle parti più profonde del cervello, nelle parti dove risiede la memoria musicale, e viene
conservata per tutta la vita, ecco perché ad esempio gli anziani ricordano le melodie che cantavano da ragazzi, mentre fanno fatica a
ricordare una poesia. Il cervello la conserva gelosamente, quasi come in uno scrigno. È un’esperienza importantissima. “Volare” ha una
coerenza melodica che gli ha permesso di rimanere impressa nel ricordo di quasi tutti gli italiani, che aderisce alle istante percettive,
processo ermeneutico di interpretazione e della melodia che Porta a valutazioni diverse e soggettive, margine di soggettività c’è sempre.

La melodia ha anche una forte accezione affettiva, viene ricordata correlata a un evento relazionale molto forte, come ad esempio un
bambino che ricorda la ninna nanna cantata dalla madre, o la danzata che ricorda la serenata cantata dal danzato. Aderisce alle nostre
istanze quotidiane relazionali, è la colonna sonora della nostra dimensione esistenziale.

Si connette alla nostra cultura occidentale, greca. Alla nostra concezione culturale. Per Pitagora la musica è importante soprattutto per la
sua dimensione matematica. Per noi la melodia è anche un fatto culturale. Manifestazioni: Melodramma= Cantante che canta una melodia=
monodia, accompagnata da strumenti musicali. In contrapposizione al termine polifonia= in un coro si possono eseguire tante melodie
diverse e fonderle contemporaneamente. È un fenomeno culturale rilevantissimo.

Minimo melodico: è una microstruttura melodica che determina una produzione di senso, è generativa di senso, è da essa che creo la
melodia. Una sorta di unità di senso/cellula generativa melodica che dà vita dal brano, su cui si costruisce il brano. Spesso proprio per
questo l’incipit di un brano può essere considerato un minimo melodico perché dà letteralmente vita al brano, apre gli orizzonti di attesa,
indica la direzione che il brano seguirà. Incipit come quello della 5° sinfonia di Beethoven, o la sinfonia n. 40 di Mozart, che poi rimangono
nel motivo ritornano regolarmente, diventando elementi portanti che connotano tutto il brano. Il secondo è un esempio di minimo
melodico straordinariamente ef cace, vive di segmentazione, quella scansione eccitativa in due sedicesime e un’ottava, che ancora di più
dà la spinta, energia, dinamicità.
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Come nasce una melodia? La percezione è fondamentale. Partire da un minimo che ci porta in direzioni diverse. Ognuno trova il suo tempo
e ha le sue istanze (minori o maggiori), può trovarsi meglio in un ritmo segmentato o dilatato, e per questo vengono fuori milioni di diverse
melodie. In ogni melodia ritroviamo la persona che l’ha creata, ci comunica lo stato d’animo, cose dove lai parola non arriva.

Il primo impulso che ci permette di accedere a questa cellula: è un impulso istintuale/un’emozione, che ci rende sensibili a uno stimolo,
siamo stimolati da un’idea, un ricordo, che ci porta a creare questa cellula, che è in prima istanza ritmica, ha un certo movimento. Perché la
melodia implica una componente ritmica. Il ritmo è l’elemento che anima la melodia, la rende fruibile e percepibile. Non può essere un
suono costante nel tempo, statico. Ma non per forza i suoni devono essere di diverse altezze, anche una monotonia può diventare melodia,
quindi può ricevere movimento se sottoposta a segmentazione e dilatazione. Se implica il ritmo, implica il metro. Segmentazione e
dilatazione sono fondamentali per dare ritmo e creano due tipi di melodia opposti. La segmentazione dà vita a una melodia stimolante:
come quella delle marce, ritmi collegati agli ambienti militari. La dilatazione invece dà vita a una melodia più aperta, contemplativa,
cullante, come quella della ninna nanna.

Quindi un minimo melodico è la base che serve a dare vita alla melodia. Abbiamo parlato ad esempio di input, che può essere legato a
due note di diversa altezza, per esempio DO-RE, e in questo caso parliamo sicuramente di un intervallo. Ci possono evocare delle
melodiche già esistenti.

Un Intervallo melodico si determina con due suoni. Che possono essere a diverse altezze (come DO-RE, che è un intervallo di seconda
maggiore) o alla stessa altezza (unisono).

L’input DO-RE, dando vita a una melodia, deve ovviamente creare una tensione. Ecco che si crea una dinamica tensiodistensionale, in cui
DO è la nota di distensione e RE la nota di tensione. Dopo il RE ho bisogno di proseguire, in quanto questo crea un’aspettativa. emerge la
nostra competenza linguistica di linguaggio tonale. Ho bisogno di proseguire con una nota di appoggio, in questo caso il MI. Esempio di
Fra Martino.

ATTENZIONE! In Fra martino il MI è una nota semidistensionale. Metafora del gabbiano che vola. Da terra (distensione), spicca il volo
(tensione). Quando si ferma su uno scoglio è un momento di riposo ma non totale (di carattere semidistensionale), che invece avviene
quando si appoggia sulla terraferma, come quando arrivo sul DO, la chiusura. DO-RE-MI-DO. Intervallo di quarta= della spinta, della
tensione, ha una valenza dinamica propulsiva. Dialettica tensiodistensionale: Relazione che si genera tra una frase musicale e un’altra.
Sinfonia 40 di Mozart spinta incipit iniziale, spinta della cavalleria rusticana due sedicesime e un’ottava.

3° lezione - 6 Oct: L’ARMONIA


Le 3 componenti della musica: il ritmo, che stimola la nostra parte psicocorporea, la melodia, che stimola la nostra risposta affettivo
emozionale e l’armonia, che stimola la nostra parte cognitiva. Non sono ovviamente compartimenti stagni, ma c’è una forte relazione tra di
loro e tra le parti di noi che ognuna di loro stimola.

L’armonia è un concetto ricchissimo di signi cati. Ha una connotazione molto ampia, non solo in ambito musicale, vuol dire unione
relazionale, la percezione di un ambiente sereno, dove si sta bene, vuol dire empatia, la capacità di penetrare nell’animo dell’altro, ma vuol
dire anche proporzione, dal punto di vista anche architettonico, visivo, iconico, l’armonia di una statua, di un colonnato, della facciata di un
duomo, vuol dire equilibrio, distribuzione equa delle parti, di fatti in tedesco si traduce con “stesso peso”. In musica l’armonia sono gli
accordi, ovvero le strutture sincroniche, si determinano quando i suoni vengono eseguiti contemporaneamente. Devo avere due o più
suoni insieme. Per creare armonia bisogna aprirsi verso gli altri, dunque accompagnare, e infatti in musica gli accordi hanno il compito di
accompagnare la melodia per creare appunto l’armonia. L’armonia è bellezza, ordine, misura. É una sorta di matematica emozionale,
perchè quando ascoltiamo due suoni contemporaneamente, nel nostro cervello scattano dei meccanismi, e inizia a fare di conto, anche se
siamo distratti coglie delle relazioni. Contemplazione dell’accordo, bisogna soffermarsi, e fruire dei vari aspetti. É importante essere
stimolati già da bambini a una percezione armonica oltre che melodica, non solo diacronica ma anche sincronica.

Pitagora musicologo studia il rapporto tra i suoni, il suo strumento monocordo pitagorico, tende una corda e studia i rapporti tra i suoni,
che verranno de niti armonici. Estende il concetto all’universo, con lui si parla di armonia delle sfere, i corpi celesti che si muovono con
ordine e producono dei suoni che non sono udibili all’orecchio umano. C’è dunque un’armonia terrena, ma anche una universale, concetto
che apre a una prospettiva cosmologica in cui noi umani micro ci interfacciamo con il macro.

Galeno e Ippocrate che esplicitano che la malattia si cura cercando di ritrovare un buon equilibrio tra gli organi del corpo. Ancora un
concetto medico che si sposa perfettamente con un concetto matematico di Pitagora e con quello musicale.

MINIMO ARMONICO:

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Per avere un minimo armonico devo produrre un bicordo = un accordo di due suoni. Ovviamente poi posso aggiungere suoni (triade,
quadriade, pentiade). Posso aggiungere tutti i suoni che voglio, anche vicini tra loro, nel nostro sistema tonale si costruisce con terze
sovrapposte, ma si possono usare intervalli diversi, come schonberg, che utilizzò quarte. In America si diffuse molto il riferimento
all’accordo come “Cluster” che in italiano signi ca grappolo, quindi un riferimento al mondo naturale correlato alla musica, in cui al posto
dell’uva ci sono dei suoni molto vicini tra loro, anche spesso dissonanti.

Con l’armonia si introduce questa dialettica tra consonanza e dissonanza. Consonanza è un rapporto tra più suoni di equilibrio. Anche il
bicordo può essere consonante o dissonante, può essere un rapporto di misura, di riposo, distensionale, la dissonanza invece stimola un
movimento, una dinamica, una reazione di sorpresa, di attesa, e infatti quando torna alla distensione si parla di risoluzione della dissonanza.
Ma è bene sottolineare che a volte le dissonanza possono non essere risolte. Eraclito dice “negli opposti la più bella armonia”, quindi c’è
bellezza anche nella dissonanza.

BICORDI CONSONANTI:

DO-MI è un bicordo. Sono suoni abbastanza vicini, è una terza maggiore, 1 tono + 1 tono. Producono una sensazione di equilibrio e di
stabilità: è una consonanza.

DO-FA è un bicordo. É un intervallo di quarta giusta, i suoni sono più lontani. 2 toni + 1 semitono diatonico. É il semitono che fa la
differenza. Ci da una sensazione di consonanza, ma nel medioevo era considerata un dissonanza o una consonanza imperfetta, e
effettivamente non ha quella stabilità di DO-MI, ma se vogliamo ha un gradiente di stabilità più basso. Chiaramente con il passare del
tempo cambia la nostra percezione, e le teorie si adeguano all’esperienza.

DO-SOL è un bicordo. É un intervallo di quinta giusta, 3 toni + 1 semitono diatonico, ed è una consonanza perfetta, due suoni che si
trovano a una distanza media considerata l’ottava. È l’intervallo dell’equilibrio.

DO-DO è un bicordo. É un intervallo di ottava, i due suoni si integrano perfettamente, bisogna semplicemente raddoppiare le frequenze.

BICORDI DISSONANTI:

Quindi paradossalmente le note più distanti sul pentagramma sono quelle più vicine matematicamente, e quelle più vicine, come DO-RE, o
DO-DO# sono fortemente dissonanti, sono quelli più distanti dal punto di vista armonico.

E quindi la consonanza e la dissonanza dipendono dal rapporto numerico tra i suoni, più il rapporto è semplice, più c’è consonanza.
Consonanza totale avviene quando il rapporto è di uno: l’unisono.

Mentre ascoltiamo questi bicordi il nostro cervello calcola, e percepisce la complessità attraverso il rapporto fra le frequenze, più è
numericamente complesso, più si ha la sensazione di dissonanza.

Si possono creare dei minimi armonici dissonanti: ad esempio DO-RE se li ascoltiamo sovrapposti sono molto distanti, oppure DO-MIb
(terza minore) è un bicordo che preannuncia il do minore, è una consonanza ma molto particolare e diversa dalle altre, crea sempre delle
aspettative.

4° eccedente(3 toni): DO-FA# l’intervallo che si genera è dissonante per antonomasia, e si chiama anche tritono, nel medioevo venne
de nito diabolus: ne venne proibito l’uso dalla Chiesa, perchè si pensava che evocasse il demonio.

DO-FA consonanza ma di moto, di movimento. All’interno della consonanza ci sono delle sfumatura, non c’è un intervallo dove la valenza
consonantica o dissonantica è assoluta.

DO-SIb è una dissonanza, ma alla quale siamo abituati nel contesto armonico, so già come si risolve il SIb, se invece non lo risolvo e passo
a un’altra dissonanza creo stupore.

Il bicordo va visto contestualizzato, in un contesto può mitigare o intensi care la sua valenza consonantica o dissonantica (come il tritono).
Questo non accadeva nel medioevo e quindi si tendeva a percepire gli intervalli come unità a sé stanti, non era ancora nato il sistema
tonale( no al 600).

Sequenza di tritoni in un contesto ritmico: l’impatto è forte, dà dinamicità.

Nell’armonia entra in gioco anche il ritmo; la struttura dell’accordo è una struttura verticale come unità armonica, ma la posso collocare in
una successione temporale, in una struttura ritmica diacronica, dove avverranno le segmentazioni e le dilatazioni, per rendere espressiva la
musica. Tutte le 3 componenti della musica, melodia, armonia e ritmo, tutte concorrono a creare l’espressività del linguaggio musicale e la
sua valenza semantica. Per dare movimento non servono solo gli accordi giusti, ma anche la giusta segmentazione. Non si può pensare agli
accordi scissi dalla dimensione ritmica, né la dimensione melodica, e viceversa. Nel nostro sistema musicale è estremamente complesso e
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completo, le due dimensioni temporali diacronico e sincronico interagiscono in maniera ef cace, secondo delle regole, bisogna
conoscerle per oltrepassarle.

Esiste una relazione di armonia e melodia? Certo! Quando inizio un brano con un certo accordo, anche la melodia ne sarà in uenzata, e
viceversa se penso a una melodia andrò anche a connettermi con al dimensione armonica, c’è una interazione molto stretta, per questo si
può usare il termine ARMOLOGHIA, la sintesi tra le due, fonde la dimensione verticale sincronica con quella orizzontale diacronica. La
musica è un’esperienza legata alla soggettività temporale, scelgo il mio tempo, i miei accordi, la mia melodia, fatta salva che l’idea della
temporalità della musica è un a componente data.

La musica implica una visione del mondo, è un’esperienza di ascolto.

Il nostro cervello tende a creare delle strutture riconoscibili. Monodia gregoriana diventa polifoniaI frati cantavano tutti all’unisono, bravura
era quella di far sentire un monodia perfetta, come fosse una voce sola. Non c’è una dialettica meccanicistica che dopo una domanda ci sia
per forza una risposta. 1760 1820/30 periodo classico, musica soddisfava le aspettative, c’era un rapporto solidale tra compositori e fruitori.

4° lezione - 12 Oct: IL SEMITONO


Il sistema tonale è un vero e proprio linguaggio musicale, con la sua sintassi e la sua grammatica. Il minimo ritmico, melodico e armonico è
l’idea di un incipit che però può essere non necessariamente collegato al sistema tonale, anche se la nostra percezione è fortemente
strutturata sul sistema tonale. Quando sentiamo un incipit scattano dei meccanismi culturali che ci portano spontaneamente a correlare il
piccolo elementi (il minimo) nel contesto del sistema tonale. Anche quello ritmico, perché il ritmo da proprio anima alla melodia e
all’armonia che sono alla base della tonalità. Fin da quando eravamo bambini ascoltiamo di continuo. Anche morfologia del sistema tonale,
è quell’insieme di funzioni che ci permettono di crearci quella mappa cognitiva per familiarizzare con il sistema stesso. Fatta salva che
ognuno di noi una competenza comune che deriva dall’ascolto.

Analisi delle strutture del sistema tonale, dalle più piccole. Quando si inizia a parlare di tonalità bisogna far precedere questo concetto dal
concetto di semitono, è l’entità più piccola di questo sistema tonale. Morfologia del sistema: indispensabile aprire la tematica col concetto
di semitono. È un termine di uso comune. Il concetto di semitono visto secondo i principi della scala naturale, la nostra scala è la scala
temperata= dove l’ottava è stata divisa in 12 semitoni perfettamente uguali da Do a Do. In realtà è una scala arti ciale, i suoni naturali
hanno diverse altezze anche se sono considerati omofoni nella scala temperata. Ci permette di suonare in tutte le tonalità.

In quella naturale, o zarliniana (siamo nel Medioevo), caratterizzata dagli studi di Gioseffo Zarlino nel 500, i semitoni non erano tutti uguali,
così come nella scala pitagorica. L’evoluzione della scala musicale (oggi diatonica maggiore) è molto lunga, il concetto di scala si è
determinato nel corso dei secoli. Le 3 scale di riferimento: pitagorica, zarliniana e temperata, quella che usiamo oggi.

Concetto di sistema temperato, temperamento equabile, o sistema temperato degli equabili, dove i suoni ben temperati hanno subito
queste modi che a livello di frequenza, sono stati levigati e adattati in modo che l’ottava potesse essere divisa.

Scala temperata nasce intorno al 1680 dal musicologo tedesco Andreas Werckmeister e fu accolta con molta soddisfazione dai fabbricanti
di strumenti musicali a tastiera dell’epoca, non esisteva ancora il pianoforte ma l’organo, perché questo arti cio sempli cò di molto la
strutturazione della tastiera, e i vari rapporti tra i suoni. D’altra parte i teorici non accettarono questa cosa, e anche i musicisti in prima
istanza, si videro cancellare il fascino di usare i suoni naturali dei suoni armonici della scala zarliniana. Non fu accettato subito con
disponibilità, ma venne addirittura respinto, e è bene notare che ancora oggi la teoria musicale non lo riconosce, perché è rimasta ancora
agganciata alla scala zarliniana. Quando si studia musica, si dovranno cogliere queste differenze che continuano ad esistere. Anche negli
strumenti persistono. Il pianoforte è lo strumento temperato per eccellenza, mostra in pratica il nuovo concetto di semitono nella scala
temperata. Mentre ad esempio tutti gli strumenti ad arco non sono temperati, ma i suoni omofoni nella scala temperata hanno ancora
frequenze diverse, potrei riprodurre la frequenza precisa di un suono e di un altro anche se molto simili. La teoria ha voluto difendere la
naturalità dei suoni.

Il semitono cromatico e il semitono diatonico:

Il sistema temperato ha dato vita a dei suoni equalizzati:

Do# o Reb= sono fusi in un tasto unico nel pianoforte, in realtà è la via di mezzo tra Do# e Reb, che hanno una differenza di altezza/
frequenza non molto evidente tale da essere equalizzati. Suonare Do# e Reb è la stessa cosa in pratica, in quanto si premono gli stessi tasti,
ma in teoria non è la stessa cosa, la teoria non riconosce questa equalizzazione.

Do>Do# è un semitono cromatico, perché non cambia il nome della nota. Ed è ascendente. Per gli intervalli è un unisono eccedente.

Do>Reb è sempre un semitono, ma non è cromatico. É un semitono diatonico ascendente. Reb si chiama anche seconda minore.

Ascendendo è meglio utilizzare i diesis. Discendendo è meglio utilizzare i bemolle. Perché ci portano a spingere verso l’alto, a salire verso
l’acuto o a scendere verso il grave. Se saliamo con il bemolle, è come se fosse una spinta un po’ mitigata/frenata, non spicca il volo
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liberamente, è come il diesis ma psicologicamente signi ca qualcosa, c’è sempre qualcosa che vuol dire al di là di quello che si dice. Fatto
sta che hanno funzioni diverse e richiedono talvolta che anche se scendiamo usiamo il diesis e viceversa. Dipende dalla volontà del
compositore, e dalla sua mappa cognitiva, la sua competenza in ambito di morfologia del sistema tonale. Anche chi esegue ha un
approccio diverso. Ma ha un signi cato anche dal punto di vista emotivo, do# di euforia, di spinta, di ascesa aderisce alle mie istanze
emozionali di oggi, mentre il reb di depressione aderisce alle mie istanze emozionali di ieri, la nostra composizione segue il concetto di
umanità nostro che mutiamo ogni momento. Il semitono serve a narrare queste emozioni. Un segno che è il simbolo di come sto, di chi
sono. E allora è facile capire come i compositori si siano opposti alla scala temperata.

Ci sono composizioni polifoniche del rinascimento, come quelle di Gesualdo da Venosa, di Palestrina, dove si sente ancora la differenza tra
fa# e solb.

Il sistema temperato è già una forma di globalizzazione, perché sempli ca, spiana la strada della composizione, anche se ha portato alla
creazione di opere molto signi cative. Ha prodotto un modello di scala adottato da tutti.

Suoni equalizzati:

Do#-Reb

Re#-Mib

Fa#-Solb

Sol#-Lab

La#-Sib

ESEMPI:

Re<Do# = diatonico discendente.

Fa>Fa# = cromatico ascendente.

Fa#<Fa = cromatico discendente.

Do#-Do# = non è un semitono, è un unisono.

Sib>SiB = semitono cromatico ascendente

Mib>MiB = semitono cromatico ascendente

Il bequadro produce l’annullamento del diesis/bemolle, e riporta il suono alla sua condizione naturale. Di solito si usa dopo un suono
alterato (diesis o bemolle).

ENARMONIA = quando ci sono dei suoni che con il sistema temperato sono equalizzati ma rimangono chiamati con nomi diversi.
Permette di identi care lo stesso suono con nomi diversi. È alla base del concetto di semitono nella scala temperata.

Il Do posso chiamarlo Do, ma anche Si#, ma anche Rebb (detto Re doppio bemolle). La tripla alterazione è molto rara. Doppio diesis: si
scrive con una x. Per annullare la doppia alterazione si usa il doppio bequadro. (BB)

Fa#>Fax = semitono cromatico ascendente

Si dice che questi suoni sono omofoni o omologhi. In teoria sono 3 suoni che hanno funzioni diverse. La teoria non riconosce la pratica.Do
è il primo grado della scala di Do maggiore, Si# e Rebb sono lo stesso suono dal punto di vista pratico ma hanno funzioni diverse, ad
esempio non inizio la scala di Do maggiore dicendo Si#, o Rebb, ma dicendo Do.

Scrivi suoni enarmonici.

TONO = basta che ci sia una successione di un semitono cromatico e un semitono diatonico. Chiaramente con le doppie alterazioni dal
punto di vista pratico possiamo arrivare al tono con un doppio semitono cromatico, ma dal punto di vista teorico non è possibile.

Do - Do# - Re = Do - Reb - Re = DO-RE è un tono

Do-Do# è un semitono cromatico ascendente

Do#-Re è un semitono diatonico ascendente

Do - Reb è un semitono diatonico ascendente

Reb - Re è un semitono cromatico ascendente

Sc + sd = sd + sc = TONO

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IMPORTANTE

Tra Mi e Fa e tra Si e Do non c’è il tasto nero = non c’è un tono, ma un semitono, che è un semitono diatonico. Si generano naturalmente.

Si - Do# è un Tono

Si-Do = semitono diatonico ascendente

Do-Do# = semitono cromatico ascendente

Rebb - Re è un tono

5° lezione - 13 Oct: LA SCALA DIATONICA MAGGIORE


L’ottava ancor prima del sistema temperato veniva intesa attraverso i modi gregoriani, 8 scale, 4 pagane 4 fenicie. Una di queste
scale è diventata la nostra scala di riferimento, che utilizziamo ancor oggi, che corrisponde al modo ionico, detta altresì scala
maggiore, quindi ha una radice molto lontana che ritroviamo nel canto gregoriano.

La scala è un sistema all’interno del quale si generano dei meccanismi funzionali, è un tratto distintivo del sistema tonale. La
scala è determinata da dei punti ssi che segmentano/frammentano il continuum sonoro e che si sono generati attraverso un
processo culturale, è un riferimento fondamentale, e ogni cultura musicale ha le proprie scale, c’è quella araba, quella cinese,
ecc… È importante sottolineare queste differenze culturali. Musica come linguaggio culturale ma nelle sue caratteristiche
profonde, già le scale aderiscono alle istanze culturali. Scale orientali: microtonali, da noi occidentali è basata sul semitono.
Scala intesa come fenomeno che contraddistingue le diverse culture mondiali. La nostra scala maggiore ha tutte le
caratteristiche per essere inserita in un’altra classi cazione, è diatonica. È composta da cinque toni e due semitoni diatonici
non consecutivi. Ci sono tante altre scale diatoniche (dorica, si parte da Re), che sono composte da 5 toni e 2 semitoni
diatonici non consecutivi.

La scala diatonica maggiore

Do-re è un tono : Do è il I grado (i gradi si indicano con numero romano) : tonica

Re- mi è un tono : Re è il II grado : sopratonica

Mi-fa è un semitono diatonico : MI è il III grado : mediante/modale/caratteristica *

Fa-sol è un tono : Fa è il IV grado : sottodominante

Sol-la è un tono : Sol è il V grado : dominante

La-si è un tono : La è il VI grado : sopradominante

Si-do è un semitono diatonico : Si è il VII grado : sensibile

* Questa scala è maggiore proprio perché c’è il MI naturale, ecco perché si chiama modale, ci da il modo alla scala, o
caratteristica, perché caratterizza il modo della scala. Ci dice che la scala è maggiore, se ci fosse stato un MI bemolle, avrebbe
dato il modo minore alla scala.
(Dal I al VII grado). Il grado non dipende dalle ottave, non bisogna confondere il grado con l’intervallo. Il Do acuto non è VIII grado, ma coincide con il Do
grave nel I grado, è quindi una tonica.

Qualunque sia la nota di partenza, per costruire la scala diatonica maggiore devo seguire questa sequenza/formula:

T - t - sd - t - t - t - sd.
La scala di SOL ha bisogno del FA diesis come settimo grado:

Sol - La - Si - Do - Re - Mi - Fa# - Sol

L’unica scala in cui non dobbiamo coinvolgere alterazioni è la scala maggiore diatonica di DO.

Fino al trattato di PHILIPPE RAMEAU del 1700 si parlava di gradi e si intendeva l’armonia come una disciplina fondata
rigidamente su ciascun grado, che non veniva inteso in un quadro funzionale, ogni grado aveva il suo accordo corrispondente,
ma non c’era una visione totale dell’armonia, non si intendeva come un organismo che ha una dialettica interna tra le parti
sensibili, si sentiva che gli accordi generavano delle emozioni, ma non c’era la concezione funzionale, che ogni grado ha la sua
funzione ma all’interno di un sistema. Compositori come Bach, Vivaldi già sentivano che c’erano delle relazioni ma non c’era
ancora un approccio teorico. Quindi no al 700 si parla di armonia dei gradi, poi piano piano si è cominciato a capire che tra

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questi gradi si creavano delle dialettiche molto importanti, soprattutto quando si giunge alla maturazione con la musica
classica. Si deve aspettare il 900 con Schonberg per avere una visione del sistema tonale, anche se lui stesso l’ha superato con
l’atonalità, per avere questo termine di armonia funzionale, in quanto ogni grado ha una propria funzione armonica che
determina l’andamento complessivo del sistema stesso.

La tonica è quella nota che governa la scala, tutte le spinte tensiodistensionali convergono sul Do (in questo caso).

La sopratonica è una nota di movimento, è un grado tensionale, mi crea un’aspettativa, o torno a Do, o devo andare avanti. Mi
poggio sul Mi.

Il mediante è un semidistensionale, è una nota di appoggio ma non è suf ciente per chiudere.

Il Fa crea movimento, è un grado tensionale come sottodominante (ci riferiamo all’armonia) ma anche una nota tensionale
come Fa nella scala di DO (ci riferiamo alla melodia). Il concetto di grado è SEMPRE un concetto armonico. Melodia e armonia
interagiscono dando vita all’armologhia.

Il Sol è ambivalente, ha due funzioni, può essere percepita come una nota semidistensionale, genera un intervallo di quinta che
è l’intervallo del riposo, ma se ci metto un accordo di dominante cambia tutto. Dominante perchè crea la dialettica col primo.
Energia di questa dialettica tonica-dominante, è un rapporto primario, naturale. È la dialettica popolare. Dipende dall’accordo
che utilizzo, se uso il suo è un tensionale fondamentale, ma se uso un altro accordo può anche essere considerata distensionale.

La è una semidistensionale, e si chiama sopradominante.

Si è la sensibile, è la nota più di spinta in assoluto, non la puoi lasciare da sola, se lo fai crei una situazione di forte instabilità,
necessita la risoluzione.

La scala suonata in un ordine e completa si dice: per gradi congiunti. (Anche a scendere). Grazie ai gradi congiunti si crea
l’aspettativa e la dialettica semidistensionale. Chiaramente una melodia si può creare usando scale per gradi disgiunti, fare salti
che poi si risolvono ecc…

Nella scala ci sono i due aspetti che si mescolano tra melodia e armonia. C’è una correlazione tra melodia e armonia, tra
strutture orizzontali diacroniche, la melodia, e strutture verticali sin croniche, l’armonia, che dà vita a quella che viene chiama
ARMOLOGHIA.

Per esempio se prendiamo l’intervallo di ottava DO-DO, a livello melodico viene considerato un intervallo monotono, di riposo,
ma che succede a livello armonico se ci associo un accordo che non gli appartiene, come in Over the Rainbow posso aprire gli
orizzonti, creare una forte aspettativa semplicemente ponendo un accordo diverso sul DO acuto. Rimane la luminosità
dell’intervallo ma con una prospettiva completamente diversa. Stempera la distensionalità del DO.

Percezione in tedesco Varnemung: signi ca prendere il vero, quindi in questo caso noi cogliamo il vero/l’essenza della musica.

Falso attacco: invece di partire da DO parto da Re, a DO ci arrivo dopo, è l’ultima.

Ma alla base c’è sempre il ritmo, l’elemento temporale, che da energia segmentando o crea relax dilatando.

In Italia prevale il concetto di melodia su quelli armonia. Non signi ca che non si sia sviluppata.

Il modo maggiore a differenza di quello minore non può cambiare, per questo spesso i compositori spesso prediligevano il
modo minore.

Anche i maggiori compositori di musica colta, che cioè scrivevano a tavolino la musica, partivano dalla cellula, dall’intervallo di
incipit, cose che abbiamo dentro anche noi.

Decidiamo noi con la nostra creatività cosa farne da un incipit, cosa sperimentare sopra. Ad esempio se ho un intervallo
particolare come DO-SI, non sento la. Necessità di accentuarlo con l’elemento ritmico ma ci creo su una melodia contemplativa
e dilatata. Sono modi di procedere da una stessa cellula di partenza che ci caratterizzano.

6° lezione - 19 Oct: LA TEORIA DEGLI INTERVALLI


(PAGG. 6 E 7 DEL LIBRO)

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Intervallo: è determinato dalla differenza di frequenza di due suoni, che possono anche essere della stessa altezza (intervallo di unisono).
L’intervallo viene anche de nito diastema, termine preso dalla zoologia, infatti il diastema è lo spazio che si genera tra un dente e l’altro di
un animale. Le relazioni tra le note di un intervallo vengono anche dette relazioni diastematiche. Un intervallo:

• Può essere melodico o armonico. É melodico quando i suoni sono in successione, si genera una struttura diacronica, una dimensione
orizzontale. Le note sono staccate, una dopo l’altra, e le unisce una freccia orizzontale; una melodia è determinata da intervalli melodici. É
armonico quando i suoni vengono rappresentati sul pentagramma uno sopra l’altro, e accadono nello stesso tempo, simultaneamente,
dunque si genera una struttura sincronica, una dimensione verticale.

• Può essere consonante o dissonante. Un intervallo è consonante (la quinta) quando dà una sensazione di riposo, di stabilità, sicurezza, è
distensionale, (quello della quinta è proprio quello dell’equilibrio perfetto anche in culture distanti dalla nostra). Un intervallo dissonante
(la seconda) è determinato da due suoni il cui rapporto numerico è più complesso e dunque dà una sensazione di tensione, di contrasto,
quasi di fastidio, di moto, di instabilità. È bene ricordare che non serve l’intervalli dissonante si risolve in una distensione, ma dipende dal
gusto soggettivo del compositore.

• Può essere semplice o composto. É semplice quando rimane nel limite dell’ottava (compreso l’intervallo di ottava giusta stesso). É
composto quando oltrepasso l’ottava, a partire dall’ottava eccedente, la nona, ecc…

Schopenhauer: la musica è l’esercizio della volontà.

Esempi di intervalli nella scala maggiore diatonica

INTERVALLI GIUSTI

Gli intervalli giusti sono l’unisono (PP), la quarta (4P), la quinta (5P), l’ottava (8P). Si possono eccedere o diminuire, salendo o scendendo da
ogni intervallo di un semitono cromatico, e al posto di P verrà scritto ecc o dim. Tra loro l’intervallo diminuito e quello eccedente distano di
un tono.

Unisono giusto: DO-DO: rimango sulla stessa nota: consonanza assoluta

Quarta giusta: DO-FA: salgo di 2 toni e un semitono diatonico: ha aspetti ambivalenti: consonanza mista o imperfetta

Quarta eccedente: DO-FA#: salgo di 3 toni (Tritonus=diabolus in musica)

Quarta diminuita: DO-FAb: salgo di 2 toni (enarmonica con la terza maggiore)

Quinta giusta: DO-SOL: salgo di 3 toni e un semitono diatonico: consonanza perfetta

Quinta eccedente: DO-SOL#: salgo di 4 toni

Quinta diminuita: DO-SOLb: salgo di 3 toni (enarmonica con la quarta eccedente)

Ottava giusta: DO-DO acuto: salgo di 5 toni e due semitoni diatonici: consonanza perfetta

Ottava eccedente: DO-DO# acuto: salgo di 6 toni e un semitono diatonico

Ottava diminuita: DO-DOb acuto: salgo di 5 toni e un semitono diatonico

INTERVALLI MAGGIORI

Tutti gli intervalli che rimangono sono intervalli maggiori: la seconda (2M), la terza (3M), la sesta (6M) e la settima (7M). Si possono
eccedere come quelli giusti, salendo dall’intervallo di un semitono cromatico, e scrivendo ecc, ma differisce da quello giusto perchè può
essere reso minore, scendendo di un semitono cromatico, e scrivendo m minuscola, e diminuito scendendo di due semitoni cromatici e
scrivendo dim.

Seconda maggiore: DO-RE: salgo di un tono: dissonanza

Seconda minore: DO-REb

Seconda diminuita: DO-REbb

Terza maggiore: DO-MI: salgo di 2 toni: consonanza imperfetta










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Terza minore: DO-MIb: consonanza imperfetta

Terza diminuita: DO-MIbb

Sesta maggiore: DO-LA: salgo di 4 toni e un semitono diatonico: consonanza imperfetta

Sesta minore: DO-LAb: consonanza imperfetta

Sesta diminuita: DO-LAbb

Settima maggiore: DO-SI: salgo di 5 toni e un semitono diatonico: dissonanza

Settima minore: DO-SIb

Settima diminuita: DO-SIbb

Tutti gli altri: dissonanze

7° lezione - 20 Oct: RELAZIONI DIASTEMATICHE


Esempi di intervalli

Gli intervalli sono importantissimi nel momento della creazione di una melodia. Ieri abbiamo visto gli intervalli della scala maggiore di Do
che si creavano a partire dalla nota fondamentale Do, ma ovviamente per creare un intervallo possiamo partire da qualunque nota,
facciamo ancora esempi:

Quarte giuste: RE-SOL, MI-LA

Quarte eccedenti: FA-SI

Quinte giuste: RE-LA, MI-SI, FA-DO

Seconde maggiori: FA-SOL, SOL-LA, LA-SI

Seconde minori: MI-FA, SI-DO

Terza maggiori: FA-LA

Terze minori: MI-SOL, RE-FA

Seste minori: MI-DO

Settime minori: RE-DO

É importante fare una ri essione sulle relazioni che intercorrono tra le note di un intervallo, quindi in prima istanza ascoltarle, per poi con
l’esperienza e la ri essione coglierne la valenza semantica, per accedere al signi cato dobbiamo accendere il pensiero, per capire che
senso producono, dove ci portano, perchè ovviamente due note insieme possono creare diversi scenari in base al contesto in cui le
collochiamo, in base alla melodia ma anche all’armonia, cambia il contesto, ovvero l’accordo, cambia il carattere dell’intervallo. Tutte le
attività di apprendimento hanno una fase di percezione, una fase di produzione, ognuno elabora soggettivamente l’esperienza. Come nel
linguaggio verbale il bambino sente la parola bicchiere non sa cosa è, bisogna del tempo perchè lui associ, i linguisti chiamano il suono
della parola signi cante, lo percepisce, ma poi l’esperienza lo associa a un oggetto. Nella musica è lo stesso, i suoni sono dei signi canti,
per accedere al signi cato dobbiamo ascoltare e ri ettere. L’ascolto è la base relazionale di ogni sistema sociale. Ascoltare ogni singolo
intervallo, quello che ci dà.

Contestualizziamo l’intervallo nella scala e ri ettiamo:

La seconda minore e quella maggiore sono due intervalli le cui note sono vicinissime dal punto di vista della rappresentazione (quelle della
2° minore si dicono contigue), ma lontanissime dal punto di vista musicale, tanto che il nostro cervello quasi fa fatica a metabolizzarli. Infatti
melodicamente sono molto belle, e di forte spinta verso l’alto, ma armonicamente sono fortemente dissonanti. Sono destabilizzanti e
sicuramente di forte impatto se posti all’inizio di una melodia, anche se esistono brani del genere e anche se è bene ed è interessante
sperimentare cose nuove. Quindi l’impatto della musica non è solo determinato dal volume, che certo richiama l’attenzione della massa,
ma è cosa ci metto nell’accordo, è questo che sente l’ascoltatore che si pone criticamente ad ascoltare la musica.






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fl

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MI# LAbb
rem fabm

LA# MIbb
solm dobm

RE# SIbb
si#m solbm

SOL# FAb
mi#m rebm

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La terza minore è una consonanza imperfetta, quindi non completa stabilità o sicurezza. Cambia carattere in base al contesto in cui lo
poniamo, rimane carezzevole ma con una certa vena malinconica. Idem la sesta minore che rimane comunque stimolante, perchè ci fa
spostare l’attenzione, dà un bellissimo slancio, ha una vena giocosa., un retrogusto di instabilità. Anche la sesta minore, è nella sua
consonante un po’ chiaroscurale, che la smorza.

Platone: la musica dà ali al pensiero= fa volare il nostro pensiero.

RIVOLTO DEGLI INTERVALLI

Quando rivoltiamo un intervallo troviamo sempre questo rapporto numerico.

Prendiamo la terza maggiore DO-MI, quando rivolto l’intervallo, porto la nota fondamentale (DO) un’ottava sopra, in questo caso l’intervallo
che si genera è MI-DO, una sesta minore. 3 + 6= 9

DO-FA è una quarta giusta, FA-DO è una quinta giusta, 4 + 5= 9

Per le minori invece di salire di tot toni e poi togliere un semitono possiamo direttamente salire di un semitoni + i toni restanti.

8° lezione - 27 Oct: IL CIRCOLO DELLE QUINTE


Grazie al concetto di enarmonia e alla creazione della scala temperata possiamo chiamare due note distinte omofone o omologhi, in
quanto si riferiscono allo stesso suono, DO è omofono di SI# e di REbb, MI è omofono di FAb e di RE##, e mi permettono di considerare lo
stesso suono da angolazione diverse., ma non in teoria. Discontinuità tra teoria e pratica. Infatti DO# e REb sono lo stesso suono, ma DO-
DO# è un’unisono eccedente, mentre DO-REb è una seconda minore.

Il circolo delle quinte è una sequenza posta su una circonferenza di 12 intervalli di quinte giuste ascendenti e discendenti. In senso orario
troviamo quelle ascendenti, in senso antiorario quelle discendenti. Si parte da DO (nota di riferimento) e si arriva a DO e a REbb, quindi si
torna a DO grazie al sistema temperato. Serve soprattutto per capire come si generano le tonalità.

Si può arrivare no a un massimo di 7 alterazioni, quindi ci sono alcune note del circolo delle quinte di cui non si può creare la tonalità
perchè ci rivorrebbero più di 7 alterazioni. Queste sono le ultime 5 quinte ascendenti (da SOL# in poi) e le ultime 5 discendenti(da FAb in
poi). La tonalità di SOL# maggiore non è che non esiste, in teoria esistono, posso pensarle, ma non ho i segni convenzionali per poterlo
fare, in questo caso mi servo dell’enarmonia, scrivendo la tonalità di LAb, con 4 bemolle in chiave. L’ultima tonalità in senso ascendente che
si può scrivere è quella di Do# ed è la tonalità più distante in assoluto da do maggiore, è interessante e paradossale in quanto è invece la
n o t a più vicina a Do sulla scala.

La tonalità è fatta da una scala e dai relativi accordi che si generano. Al contrario del canto gregoriano, canto melodico e che
quindi si sviluppava solo in orizzontale, all’inizio del 600 inizia a svilupparsi il canto moderno basato sulla tonalità che si sviluppa
Enarmonici

melodicamente in orizzontale grazie alla scala, e armonicamente in verticale grazie agli accordi. Nei riquadri ci sono le tonalità
che non si possono scrivere.

Spesso anche tonalità che si possono scrivere vengono sostituite dalle loro omofone perchè con meno alterazioni, ad esempio al
posto di DOb che avrebbe 7 bemolle in chiave si potrebbe preferire la tonalità di Si che ha 5 diesis in chiave. Chiaramente
potrebbe essere anche una scelta stilistica, se si usa il bemolle al posto del diesis, dal momento che il bemolle abbassa si
potrebbe voler passare una melodia più triste e malinconica, mentre se si sceglie il diesis il contrario, dopo tutto tutti noi certi
giorni siamo dei bemolle e altri siamo dei diesis. Dire DO-MIb terza minore e dire DO-RE# seconda eccedente anche se produce lo stesso
suono difatti, è completamente diverso. É insito anche nel lessico che traduce la dimensione psicologica dell’essere (maggiore, eccedente
e minore, diminuito). Oggi per noi il signi cato psicologico è l’unica differenza tra gli omologhi all’interno della scala temperata, mentre
altri, a cui il sistema temperato sta un po’ stretto, l’hanno vissuta in maniera diversa, e vedono queste differenze non solo dal punto di vista
psicologico ma anche e soprattutto strutturale.

L’impianto delle tonalità

Quello delle tonalità è un vero e proprio impianto perchè deve rispettare delle convenzionalità. Seguendo le note a partire dal DO nel
circolo delle quinte ascendente, si può dare vita alle varie tonalità. Come? Si prende la nota e si scrive la scala diatonica maggiore
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seguendo la struttura (TONO-TONO-SD-TONO-TONO-TONO-SD). In questo modo si trova il numero delle alterazioni da inserire, che
andranno a creare l’armatura di chiave della tonalità stessa. L’armatura di chiave è permanente, ciò signi ca che tutte le note del brano
che incontro, che hanno un alterazione in chiave vanno alterate, a prescindere su quale ottava si trovino. Ma ciò non mi impedisce di
eliminare momentaneamente l’alterazione utilizzando il simbolo del bequadro sulle singole note.

9° lezione - 2 Nov: MODO MINORE


Il circolo delle quinte nel modo maggiore e le loro relative in modo minore

Relatività è una legge di associazione che associa una tonalità maggiore a una minore e viceversa. Infatti di una tonalità maggiore ne esiste
sempre la relativa minore, e reciprocamente di una tonalità minore ne esiste sempre la relativa maggiore. Si chiamano relative le tonalità
che hanno la stessa armatura di chiave.

Come si calcolano:

Relativa maggiore : dalla minore salgo di un tono e di un semitono diatonico

Relativa minore : dalla maggiore scendo di un semitono diatonico e di un tono

LISTA:

Do maggiore - La minore (0 alterazioni in chiave)

Sol maggiore - Mi minore (1 alterazione: Fa#)

Re maggiore - Si minore (2 alterazioni: Fa# Do#)

La maggiore- Fa diesis minore (3 alterazioni:Fa# Do# Sol#)

Mi maggiore - Do diesis minore (4 alterazioni: Fa# Do# Sol# Re#)

Si maggiore - Sol diesis minore (5 alterazioni: Fa# Do# Sol# Re# La#)

Do bemolle maggiore - La bemolle minore(7 alterazioni: Sib Mib Lab Reb)

Fa diesis maggiore - Re diesis minore (6 alterazioni: Fa# Do# Sol# Re# La# Mi#)

Sol bemolle maggiore - Mi bemolle minore (6 alterazioni: Sib Mib Lab Reb)

Do diesis maggiore - La diesis minore (7 alterazioni: Fa# Do# Sol# Re# La# Mi# )

Re bemolle maggiore - Si bemolle minore(5 alterazioni: Sib Mib Lab Reb)

La bemolle maggiore - Fa minore (4 alterazioni: Sib Mib Lab Reb)

Mi bemolle maggiore - Do minore (3 alterazioni: Sib Mib Lab)

Si bemolle maggiore - Sol minore (2 alterazioni: Sib Mib)

Fa maggiore - Re minore (1 alterazione:Sib)

Si torna a DO

Tutte le altre tonalità sono enarmoniche di altre che però non si possono rappresentare gra camente.

La tonalità è il luogo che abitiamo quando suoniamo, è bene quindi sapere in che tonalità suoniamo, ma se con la stessa armatura di chiave
posso essere in due tonalità (maggiore o minore) : come faccio a distinguere in che modo mi trovo? Lo vedo da delle caratteristiche
particolari, per esempio posso osservare l’andamento melodico, guardare gli accordi, o af darsi semplicemente all’orecchio. La musica si
deve prima ascoltare, e poi leggere.

Certamente all’interno di uno spartito si può cambiare tonalità andando a togliere o aggiungere alterazioni in chiave e ciò si chiamerà
modulazione.

Una tonalità maggiore non è caratterizzata da soli accordi maggiori, anche se costituiscono l’asse portante.

Beethoven amava il Do minore; la Quinta Sinfonia è scritta infatti in Do minore.








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ARMONIZZAZIONE DELLA SCALA MAGGIORE


La scala maggiore con la sua precisa sintassi rappresenta la struttura diacronica orizzontale della tonalità maggiore, e in generale del
nostro sistema tonale. Ora vediamo le strutture che si generano a livello sincronico verticale.

LE TRIADI

Le triadi sono accordi formati da 3 suoni che si costruiscono per terze ( i suoni possono essere raddoppiati), il basso, la nota più grave,
denomina la triade (si dice triade allo stato fondamentale). Un incontro tra struttura diacronica e sincronica può avvenire con l’arpeggio,
che prende la struttura dell’accordo ma ne propone le note in una struttura diacronica.

Tutte le tonalità maggiori seguono questa struttura:

GRADI PRINCIPALI

I, IV e V grado: la tonica, la sottodominante e la dominante sono i pilastri della tonalità in quanto ci permettono di accedere e riconoscere la
tonalità. Si formano 3 triadi maggiori, o anche in questo caso triadi tonali: sovrapposizione di una terza maggiore e una terza minore,
oppure pensandola dalla nota fondamentale: NF - 3M - 5P

I grado: Do-Mi terza maggiore, Mi-Sol terza minore. C. (accordo perfetto maggiore)

IV grado: Fa-La terza maggiore, La-Do terza minore. F.

V grado: Sol-Si terza maggiore, Si-Re terza minore. G.

In quanto tonali, in queste tre triadi si trovano tutte le note della scala di do maggiore, alcune più volte, alcune una sola volta.

GRADI SECONDARI

II, III e VI grado: si formano 3 triadi minori: sovrapposizioni di una terza minore e una terza maggiore, oppure pensandola dalla nota
fondamentale: NF - 3m - 5P

II grado: Re-Fa terza minore, Fa-La terza maggiore. Dm.

III grado: Mi-Sol terza minore, Sol-Si terza maggiore. Em.

VI grado: La-Do terza minore, Do-Mi terza maggiore. Am.

VII grado: si forma una triade diminuita: sovrapposizione di due terze minori, oppure pensandola dalla nota fondamentale: NF - 3m -
5dim

VII grado: Si-Re terza minore, Re-Fa terza minore. B°.

Notiamo che ci sono delle relazioni:

I e IV grado: c’è 1 nota in comune

I e III grado: ci sono 2 note in comune

I e II grado, I e VII grado: non ci sono note in comune

Da questo si capisce meglio come tra due accordi ci sia maggiore tensione e movimento e come tra altri ci sia maggiore af nità.

10° lezione - 3 Nov: LE QUADRIADI


LE QUADRIADI

Si creano aggiungendo alle triadi una quarta nota: basso - tenore - contralto - soprano.

Tutte le tonalità maggiori seguono questa struttura:

GRADI PRINCIPALI:

I e IV grado: si formano 2 quadriadi maggiori con settima maggiore: aggiungendo una terza maggiore alla triade maggiore o una
settima maggiore alla nota fondamentale: NF - 3M - 5P - 7M , oppure NF - 3M - 3m - 3M.

I grado: si aggiunge il Si. C maj7.










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IV grado: si aggiunge il Mi. F maj7.

V grado: si forma 1 quadriade maggiore con settima minore: aggiungendo una terza minore alla triade maggiore o una settima minore
alla nota fondamentale: NF - 3M - 5P - 7m , oppure NF - 3M - 3m - 3m.

V grado: si aggiunge il Fa. G 7.

GRADI SECONDARI:

II, III, VI grado: si formano 3 quadriadi minori con settima minore: aggiungendo una terza minore alla triade minore o una settima minore
alla nota fondamentale: NF - 3m - 5P - 7m, oppure NF - 3m - 3M - 3m.

II grado: si aggiunge un Do. D m7.

III grado: si aggiunge il Re. E m7.

VI grado: si aggiunge un Sol. A m7.

VII grado: si forma una quadriade semi diminuita o quadriade di settima di sensibile: aggiungendo una terza maggiore alla triade
diminuita o una settima minore alla nota fondamentale: NF - 3m - 5dim - 7M oppure NF - 3m - 3m - 3M.

VII grado: si aggiunge un La. B ° (B semi diminuito).

Una quadriade rimane tale anche cambiando il voicing, ovvero cambiando l’ordine delle note, oppure raddoppiandone/potenziandone
alcune.

RELAZIONI TRA ACCORDI E GRADI

La quadriade stempera molto il carattere deciso e la valenza distensionale della triade. Come? Guardiamo ad esempio la quadriade sul I
grado, è formata dalla nota fondamentale Do + la triade minore costruita sul terzo grado. Contiene parte del VI grado Do-Mi-Sol, e parte
del V grado Sol-Si. E addirittura la nota Si è la sensibile. La quadriade è molto più tenue della triade, ce ne accorgiamo dal fatto che se nella
triade il I e il II non avevano niente in comune, nella quadriade una nota in comune c’è: Do.

II e IV grado: sono due tonalità relative, sembra quasi che si completino. Hanno 3 note in comune: Fa-La-Do: la triade maggiore del IV
grado. Dunque c’è una grande af nità strutturale.

III e V grado: anche loro sono due tonalità relative. Hanno 3 note in comune: Sol-Si-Re: la triade maggiore di dominante.

VI e IV grado: Hanno 3 note in comune:La-Do-Mi: la triade minore del VI grado.

11° lezione - 9 Nov: LE SCALE MINORI


Detta anche Scala Eolia, prende anche lei i modi dalla scala gregoriana. In più è detta naturale perchè rispetta tutte le alterazioni di chiave.
Appartiene ancora all grande famiglia delle scale diatonica in quanto composta da 5 toni e 2 semitoni diatonici non consecutivi. La scala
minore naturale è la relativa minore della scala maggiore, quindi si trova sotto di essa un tono e un semitono diatonico, ovvero una terza
minore, dunque non si parte da Do ma si parte da La minore, che come Do non presenta alterazioni in chiave. Per questo presenta un
sapore molto diverso dalla scala maggiore, Do infatti non sta più in posizione di tonica ma di mediante/modale.

Sintassi: TONO - SEMITONO DIATONICO - TONO - TONO - SEMITONO DIATONICO - TONO - TONO

I° grado: LA - SI - DO - RE - MI - FA - SOL - LA

Esiste un termine speci co per il settimo grado della scala minore: SOTTOTONICA, non sensibile perchè non si crea la distanza di un
semitono diatonico con la tonica. Conferisce una sapere alla scala molto arcaico. Non c’è quella fortissima spinta tensionale che legava la
sensibile alla tonica, che creava una forte attesa. Nella scala minore invece le dinamiche testo distensionale risultano smorzate.






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Oltre alla scala minore naturale, nel modo minore si generano delle altre scale: dopo una ri essione i grandi compositori del 600/700, per
imitare la scala maggiore hanno provato ad apportare una modi ca al settimo grado della scala minore naturale(Sol) portandolo a Sol#,
creando una sensibile, e soprattutto una nuova scala arti ciale. Sul VI grado Fa-Sol# diventa una seconda eccedente(tono + semitono),
questa seconda è ciò che rende questa scala tanto particolare, le conferisce quasi un sapore mediorientale. Questa modi ca fa uscire la
scala dalla grande famiglia delle scale diatoniche. Sul VII grado Sol#-La si genera una semitono diatonico. Questa scala si chiama SCALA
MINORE ARMONICA. Spesso quando si studia armonia si predilige questa scala proprio perchè segue i modi della scala maggiore,
possedendo la sensibile. Il fatto di avere però la sensibile crea degli accordi che nel 700 era dif cile da metabolizzare, degli accordi
utilizzati come di passaggio, oppure risolti.

Da allora diversi compositori si sono creati delle scale personalizzandole in base ai propri gusti e alle proprie esigenze, ma anche alle
proprie istanze emotive. Ad esempio la scala Bachiana, la scala enigmatica di Giuseppe Verdi,…

Viene creata inoltre un’altra scala in modo minore: la SCALA MINORE MELODICA, in cui si innalza il VI grado di un semitono cromatico, Fa
diventa Fa#. A questo punto sul V grado tra Mi e Fa# c’è un tono, e il Vi non è più una seconda eccedente perchè tra Fa# e Sol# c’è un tono.

Sintassi: TONO-SD-TONO-TONO-TONO-TONO-SD

La scala melodica, dunque, recupera i 5 toni e 2 semitoni diatonici non consecutivi, quindi e rientra nella famiglia delle scale diatoniche, e
toglie quella asperità della seconda eccedente, quel salto anche di dif cile intonazione, per i cantori era un salto un po’ dif cile anche
percettivamente. La scala melodica è molto comoda perchè evita il salto quando si sale e diventa come una scala minore naturale quando
si scende. In questo modo prendo in mano un po’ tutta la tonalità.

La scala Bachiana, invece, è una scala melodica che però conserva le alterazioni del VI e VII grado nella fase di discesa.

Per questo si andata creando spontaneamente la barocca. Usata da Handel, Bach, ecc…

ARMONIZZAZIONE DELLA SCALA MINORE NATURALE

TRIADI

GRADI PRINCIPALI:

I, IV, V grado: si generano 3 triadi minori: terza minore + terza maggiore, oppure pensandola dalla nota fondamentale: NF - 3m - 5P. La
tonica, la sopradominante e la dominante sono i pilastri della tonalità minore, e in quanto tali devono contenere, come in modo maggiore,
tutte le note della scala minore naturale: ci fa capire proprio la sintesi della tonalità.

I grado: La-Do terza minore, Do-Mi terza maggiore. Am.

IV grado: Re-Fa terza minore, Fa-La terza maggiore. Dm.

V grado: Mi-Sol terza minore, Sol-Si terza maggiore. Em.

GRADI SECONDARI

II grado: si genera 1 triade diminuita: terza minore + terza minore.

II grado: Si-Re terza minore, Re-Fa terza minore. B°.

III, VI, VII grado: si generano 3 triadi maggiori: terza maggiore + terza minore.

III grado: Do-Mi terza maggiore, Mi-Sol terza minore. C.

VI grado: Fa-La terza maggiore, La-Do terza minore. F.

VII grado: Sol-Si terza maggiore, Si-Re terza minore. G.

QUADRIADI

GRADI PRINCIPALI:

I,IV,V grado: aggiungo una terza minore alla triade minore o una settima minore alla nota fondamentale, si genera una quadriade minore
settima o quadriade minore con settima minore.

I grado: si aggiunge il Sol. Am7.










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IV grado: si aggiunge il Do. Dm7.

V grado: si aggiunge il Re. Em7.

GRADI SECONDARI:

II grado: aggiungo una terza maggiore alla triade diminuita o una settima minore alla nota fondamentale, si genera una quadriade
semidiminuita (perchè la quinta è diminuita ma la settima è minore).

II grado: si aggiunge il La. B°/

III,VI grado: aggiungo una terza maggiore alla triade maggiore o una settima maggiore alla nota fondamentale, si generano 2 quadriadi
maggiori con settima maggiore.

III grado: si aggiunge il Si. Cmaj7.

VI grado: si aggiunge il Mi. Fmaj7.

VII grado: aggiungo una terza minore alla triade maggiore o una settima minore alla nota fondamentale, si genera 1 quadriade maggiore
con settima minore.

VII grado: si aggiunge il Fa. G7.

12° lezione - 10 Nov: IL MODO MINORE


ARMONIZZAZIONE DELLA SCALA MINORE ARMONICA

TRIADI

GRADI PRINCIPALI:

I, IV grado: rimangono le triadi minori

V grado: si genera 1 triade maggiore.

V grado: Mi-Sol# terza maggiore, Sol#-Si terza minore. E.

GRADI SECONDARI

II grado: rimane la triade diminuita / VI grado: rimane la triade maggiore

III grado: si genera 1 triade eccedente: terza maggiore + terza maggiore, oppure NF - 3M - 5ecc.

III grado: Do-Mi terza maggiore, Mi-Sol# terza maggiore. C+/Cecc.

VII grado: si genera 1 triade diminuita: terza minore + terza minore, oppure NF - 3m - 5dim.

VII grado: Sol#-Si terza minore, Si-Re terza minore. G#dim.

Nella scala minore armonica il V grado torna ad essere una triade maggiore, e il VII grado una triade diminuita, proprio come nel modo
maggiore. Il III grado è un piccolo sisma per l’equilibrio della scala, perchè è fortemente dissonante, nel 700 l’accordo risultava
destabilizzante e preferivano sostituirlo con l’accordo della scala minore naturale.

QUADRIADI

GRADI PRINCIPALI:

IV grado: rimane inalterato.

I grado: aggiungo una terza maggiore alla triade minore o una settima maggiore alla nota fondamentale, si genera una quadriade minore
con settima maggiore. (Nel 700 era considerato un accordo destabilizzante, un accordo di passaggio che andava assolutamente risolto,
spesso infatti il Sol# veniva fatto cantare internamente al tenore invece che al soprano, così da rendere l’accordo più mite).

I grado: si aggiunge il Sol#. Am maj 7.












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V grado: aggiungo una terza minore alla triade maggiore, si genera una quadriade maggiore con settima minore (quello che
desideravano avere i compositori sul quinto grado, come sulla dominante del modo maggiore).

V grado: cambia tutto: Mi-Sol#-Si-Re. E7.

GRADI SECONDARI:

II , VI grado:rimangono inalterati.

III grado: aggiungo una terza minore alla triade eccedente o una settima maggiore alla nota fondamentale, si genera 1 quadriade
eccedente con settima maggiore. (È un accordo piuttosto dif cile da gestire, quindi usato con cautela, oggi si usa molto nel jazz).

III grado: Do-Mi-Sol#-Si. C+ maj7.

VII grado: aggiungo una terza minore alla triade diminuita o una settima diminuita alla nota fondamentale, si genera 1 quadriade
diminuita con settima diminuita.

VII grado: Sol#-Si-Re-Fa. G#7°.

LA PROGRESSIONE

La progressione barocca minore veniva utilizzata moltissimo nel 700, usata da Hendel, da Bach, da Vivaldi, ecc…Nasce per mettere insieme
le caratteristiche della scala minore naturale con quelle della scala minore armonica, quasi fosse un mediazione tra le due. La progressione
barocca passa poi anche nella musica moderna, nella canzone, molto presente nel bossa, ma è molto familiare anche a noi. Per crearla
basta procedere per quarte ascendenti o per quinte discendenti dal La, per generare i bassi di questa progressione.

1° quarta: quarta giusta: La-Re

2° quarta: quarta giusta: Re-Sol: naturale

3° quarta: quarta giusta: Sol-Do: naturale

4° quarta: quarta giusta: Do-Fa

5° quarta: quarta eccedente, la giusta sarebbe Sib che non è presente nella scala: Fa-Si

6° quarta: quarta giusta: Si-Mi

7° quarta: quarta giusta: Mi-La

I RIVOLTI

Finora abbiamo visto solo accordi allo stato fondamentale (in cui il basso denomina l’accordo), ma un accordo può essere rappresentato in
vari modi, attraverso i rivolti.

RIVOLTO DI TRIADE

Una triade posso averla in 3 modi: al modo fondamentale, al primo rivolto, al secondo rivolto.

Triade di Do maggiore:

• Do-Mi-Sol: triade allo stato fondamentale.

• Mi-Sol-Do: potrei essere indotto erroneamente a pensare che sia un terzo grado della scala di Do maggiore, che è invece Mi-Sol-Si.
Allora è sempre un primo grado, che si chiama primo rivolto perchè Mi diventa il basso, o anche accordo di (terza e) sesta. C/E: Mi-
Sol è una terza minore, Mi-Do è una sesta minore.

• Sol-Do-Mi: é sempre un primo grado, ma si chiama secondo rivolto, o accordo di quarta e sesta: C/G. Sol-Do è una quarta giusta, Sol-
Mi è una sesta maggiore. Intorno a questo accordo c’è stato un dibattito, si pensava potesse essere considerato un quinto grado con il
Do che ritarda il Si e il Mi che ritarda il Re.

RIVOLTO DI QUADRIADE

Una quadriade posso averla in 4 modi: al modo fondamentale, al primo rivolto, al secondo rivolto e al terzo rivolto.



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Quadriade di Quinta:

• Sol-Si-Re-Fa: quadriade allo stato fondamentale.

• Si-Re-Fa-Sol: non è una quadriade di settima ma un primo rivolto di quinta, con la terza maggiore al basso. G7/B.

• Re-Fa-Sol-Si: non è una quadriade di secondo grado ma un secondo rivolto di quinta, con la quinta al basso. G7/D.

• Fa-Sol-Si-Re: non è una quadriade di quarto grado ma un terzo rivolto di quinta, con la settima al basso. G7/F.

13° lezione - 16 Nov: LE CADENZE


LE CADENZE NEL MODO MAGGIORE

La cadenza è un andamento armonico o melodico che apre o chiude il discorso musicale, o lo indirizza in altre direzioni. É legato alla
dinamicità del nostro linguaggio musicale, è qualcosa di fortemente dinamico, dove entrano in gioco le dinamiche tensiodistensionali, che
contraddistinguono il nostro linguaggio musicale, ma anche il nostro linguaggio verbale, ma anche la nostra stessa vita, fatta anch’essa di
riposo e di movimento (proiezione esistenziale, in fondo la musica traccia la dinamica dei nostri ritmi esistenziali e lo fa in modo molto
soggettivo). Esistono diversi tipi di cadenze:

CADENZA PERFETTA: è la cadenza quinto-primo, se sono in Do maggiore: Sol maggiore-Do maggiore. Normalmente sul quinto grado si
usa di solito la quadriade di settima di dominante (conferisce una notevole dinamicità risolutiva + accentuata). Si può veri care in varie
occasioni nel corso del brano, non solo per esplicitare una conclusione, ma quando è de nitiva avviene in maniera molto chiara, magari
ribattendo l’accordo sul primo grado, oppure usando le agogiche (il rallentamento). La cadenza perfetta è l’asse portante del sistema
tonale, è ciò che permette il rapporto dialettico tonica-dominante, due gradi tonali importantissimi del sistema, e che permette, avendo
una grande valenza distensionale, il ristabilimento del riposo, scaricando tutta l’energia della dominante sulla tonica. Vediamo degli esempi
su altre tonalità:

Scala di Sol maggiore: la creo mettendo un’alterazione in chiave, poi prendo il quinto grado (Re maggiore) e costruisco la cadenza
perfetta: Re maggiore-Sol maggiore.

Scala di Re maggiore: la creo mettendo 2 alterazioni in chiave, poi prendo il quinto grado (La maggiore) e costruisco la cadenza
perfetta: La maggiore-Re maggiore.

Scala di La maggiore: la creo mettendo 3 alterazioni in chiave, poi prendo il quinto grado (Mi maggiore E7 (quadriade maggiore
con settima minore)) e costruisco la cadenza perfetta: Mi maggiore-La maggiore.

CADENZA SOSPESA: è l’esatto contrario della cadenza perfetta: primo-quinto. Invece di scaricare l’energia del quinto sul primo, con una
sensazione di distensione e riposo, si crea una dimensione opposta, quindi stimolante, energetica, tensionale, si chiama appunto sospesa
perchè si rimane sospesi su quella nota nché non viene risolta. Viene spesso usata per aprire una fase musicale. L’accumulo energetico
della cadenza sospesa può essere poi scaricato su una cadenza perfetta, ma non solo, possono accadere cose diverse.

LE CADENZE NEL MODO MINORE

Ci dobbiamo riferire alla scala minore armonica, perchè sul quinto grado troviamo la stessa forma del modo maggiore. Posso pure
pensarla nella scala minore naturale, ma di solito il concetto di cadenza perfetta dipende da quello di sensibile.

La cadenza perfetta si costruisce sempre nella forma: quinto-primo. E la sospesa: primo-quinto.

Scala di Mi minore: la creo mettendo 1 alterazione in chiave, poi prendo il quinto grado (Si maggiore(Si-Re#-Fa#-La)) e costruisco la
cadenza perfetta: Si maggiore-Mi minore.

CADENZA PLAGALE: si costruisce nella forma: quarto-primo, in Do maggiore: Fa maggiore-Do maggiore, ha un carattere più transitorio,
non ha quella risoluzione e quello scarico di energia della cadenza perfetta. Si usa spesso per creare uno stacco. A volte si unisce alla
cadenza perfetta, facendo: IV - I - V - I.

Sol maggiore: Do maggiore-Sol maggiore

Re maggiore: Sol maggiore-Re maggiore









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CADENZA D’INGANNO: si costruisce nella forma: quinto-sesto, in Do maggiore: Sol maggiore-La minore, ed è una cadenza in cui
l’ascoltatore viene ingannato, in quanto si aspetta una cosa ma ne succede un’altra. Invece di tornare sul primo e risolvere il quinto, vado sul
sesto grado, è una cadenza molto più cullante di quella perfetta. Potrebbe essere usato in un nale a sorpresa/destabilizzante. Se la
cadenza perfetta è un lieto ne, la cadenza sospesa è una ne non molto bella, la cadenza d’inganno è un lieto ne in cui tutti cambiano la
propria mentalità, la propria concezione esistenziale. La cadenza d’inganno ha un rovescio, che si costruisce nella forma: sesto-quinto.

CADENZA EVITATA: si costruisce nella forma: quinto-quinto del quinto, è una cadenza che evita la cadenza perfetta, e che cambia
completamente lo scenario, sposta la nostra attenzione su un’altra immagine armonica. In Do maggiore: Sol maggiore - Re maggiore(Re-
Fa#-La-Do: contiene il Fa# che è una nota estranea alla tonalità di Do maggiore)

14° lezione - 17 Nov: FORMALIZZAZIONE ARMOLODICA


Formalizzare armolodicamente signi ca dare forma a una melodia unitamente agli accordi che ci possono mettere come
accompagnamento armolodico. Quando creo degli accordi con il ne di sostenere una melodia, si parla di accompagnamento. È un
termine che si coniuga bene con la dimensione relazione, e introduce e va visto anche da una prospettiva affettiva. La musica ci permette di
costruire una relazione immediata, armolodica perchè mettiamo insieme melodia e armonia, che si fondono in una dimensione unitaria,
perchè il nostro sistema tonale è un sistema in cui strutture diacroniche e sincroniche si fondono in una sola cosa. Infatti la tonalità: in cui
interagiscono le due componenti fondamentali: la scala e gli accordi che si generano sulla scala. Scala: è un modello che si ripete in tutte le
tonalità, idem gli accordi: triadi e quadriadi.

Allora è bene iniziare a ragionare per mettere insieme melodia e armonia, dandogli una forma e mantenendo tra loro un certo equilibrio,
cosa che non ci è completamente estranea essendo noi ascoltatori, avendo una competenza di base.

La musica, essendo un linguaggio, si apprende fermandosi ad ascoltarla e non sentendola facendo altre cose, ma soprattutto si legge e si
scrive, oggi proviamo a scriverla. Il nostro modello è il TEMA: melodia di 8 battute, che a sua volta è fatta da 2 frasi, le prime 4 e le seconde
4 battute, accompagnate da accordi. Sono termini che già conosciamo perchè si utilizzano in tutti i linguaggi, anche in quello verbale.

Scrivere una melodia è fondamentale in quanto diamo modo al nostro pensiero musicale di esplicitarsi in forme concrete, esercitiamo la
nostra mente e la nostra espressività vocale. Una volta scritta infatti la melodia va eseguita, e la cosa migliore per farlo è cantarla con lo
strumento che la natura ci ha dato, la nostra voce.

Quanti suoni ci vogliono per creare una melodia? Non c’è un numero sso, posso crearne una anche con un solo suono: monodia o
monotonia, che già però ha un nome poco stimolante e per questo deve essere supportata da accordi molto dinamici, infatti sta in piedi
proprio grazie agli accordi e alla segmentazione ritmica, e nonostante questo a un certo punto si sente comunque la necessità di cambiare
nota. Non per questo però non è usata, la troviamo infatti nella musica classica, romantica, e molti autori si sono cimentati nel crearne. È
chiaro che non ho il termine di paragone, c’è sempre un antecedente e un conseguente nella melodia e nell’armonia, cosa che non appare
nella monodia.

Si può invece creare più agevolmente una melodia con due note, soprattutto se sono un tensionale e un distensionale, al ne di creare
maggiore movimento e contrasto. Ad esempio, DO distensionale e RE tensionale.

(MELODIA SUL QUADERNO)

Alla quarta battuta si può aggiungere, sotto consiglio del professore, un sus4. Il sus4 è un accordo di quarta, o accordo sospeso in cui la
terza dell’accordo è rimpiazzata dalla quarta. Viene spesso usato come ritardo e seguito dall’accordo normale, oppure usato alla ne di una
cadenza per dare una conclusione "aperta" del brano. Esempio della quarta battuta: invece di C per l’intera battuta, C4 (Do-Fa-Sol) - C (Do-
Mi-Sol).

Le melodie che abbiamo creato possono chiaramente essere riarrangiate, di modo da accostare alle note della melodia delle altre realtà
armoniche af ni alla tonalità e prendere un colore e un sapore completamente diverso. Ma si può e si deve anche uscire dalla dialettica
della scala, creare cadenze d’inganno, nali a sorpresa, ecc… questo siamo noi che lo decidiamo, l’intenzione, il ritmo, la gestualità,…

La melodia ha una forte valenza evocativa: ci fa ricordare delle esperienze melodiche af ni, perchè si situa nelle parti più profonde e più
protette del nostro cervello.

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15° lezione - 23 Nov: AFFINITÀ ARMONICHE E CONCATENAZIONE


Per af nità armoniche intendiamo il rapporto esistente tra i vari gradi della scala, a partire dalle note in comune, ecc.. e focalizzare questi
aspetti dal punto di vista percettivo: è bene ascoltare, perchè viene prima l’ascolto e l’esperienza e poi la teorizzazione.

Prendiamo in esame il I grado: Do maggiore

I-II e I-VII grado = nessuna nota in comune = percettivamente lo spostamento è massimo

I-III e I-VI grado = 2 note in comune = percettivamente lo spostamento è minimo

I-IV e I-V grado = 1 nota in comune = percettivamente lo spostamento è più marcato

Questi rapporti sono oggettivi, ma quello che percepiamo personalmente di questi spostamenti è fortemente soggettivo.

CONCATENAZIONE

(PAG. 21 PISTON)

LE DOMINANTI SECONDARIE

LE DOMINANTI SECONDARIE IN MODO MAGGIORE

Sul V grado della scala diatonica maggiore, (in Do maggiore: Sol maggiore), si genera la dominante che si dice anche principale. Le
dominanti secondarie servono a replicare la stessa situazione anche sugli altri gradi secondari, per ravvivarli e renderli più stimolanti.
Quello delle dominanti secondari è un concetto moderno, nonostante se ne parli uf cialmente a partire dal 900, furono usate tanto già dai
compositori romantici, classici, nel barocco… Il concetto di dominante secondaria non va confuso con il concetto di modulazione, ma
determina una tonicizzazione. Dopotutto la dominante secondaria è visto come un accordo di passaggio, uno spostamento temporaneo, e
non c’è motivo di cambiare tonalità al brano per un singolo accordo, non essendo un vero e proprio spostamento del centro tonale.

Prendiamo per esempio il rapporto I-II grado: non c’è af nità, ma potrei creare un’aspettativa ancora più importante, con un accordo che
anticipa il II grado, e che mi ci porta. Come?

Attraverso il meccanismo V del II (V/II)= penso a un accordo di dominante (di solito quadriade maggiore con settima minore) ma in
relazione a Re minore armonico= A 7 (La-Do#-Mi-Sol). Do# non fa parte della tonalità di Do maggiore, La-Mi-Do ne fanno parte. Do# viene
detta nota critica, non perchè è debole ma perchè il nostro cervello la percepisce criticamente, come un elemento estraneo che colpisce il
nostro orecchio, ma è lei che ci spinge sul Re minore, perchè tra il Do# e il Re si crea una sensibile, un semitono diatonico.

La tonicizzazione ai tempi del trattato di Philippe Rameau, nel 700, era considerata una modulazione, cioè come un cambio di tonalità, la si
vedeva infatti nell’ottica dell’illuminismo, in cui tutto ha una ragione precisa e tutto va motivato in termini di rigore razionale, e quindi una
nota estranea alla tonalità che mi porta necessariamente a cambiare tonalità. Poi più avanti la musica si è talmente arricchita e aperta a
dimensioni tonali allargate, con la tonalità allargata e estesa dell’800, che è stato necessario ripensare alle teorie di Rameau. Dato che in un
brano ci sarebbero state troppe modulazioni e per il fatto che il cervello si stava ormai abituando a questa nuova visione della tonalità, il
concetto delle dominanti secondarie è stato tradotto da un cambio di tonalità, e un allargamento della tonalità stessa= tonicizzazione.

IV-V grado: si crea il V del V (V/V)= D 7 (Re-Fa#-La-Do) è un potente stimolatore di energia, che colpisce la nostra risposta percettiva. Una
dominante secondaria che mi porta su un grado principale: ha una forza e un’ energia incredibile. La nota critica qui è il Fa#, che spinge
tantissimo sul Sol. Di solito dopo un quinto del quinto, si va al IV o per spinta naturale si torna al I, anche se questi non sono dogmi da
osservare, ma da conoscere per superare.

Il V del VI (V/VI)= E 7 (Mi-Sol#-Si-Re). La nota critica qui è il Sol#, che spinge tantissimo sul La.

Sono le 3 più usate, e si scrivono in questo modo:

V/II: A7—>Dm

V/V: D7—>G

V/VI: E7—>Am



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16° lezione - 24 Nov: ALTRE DOMINANTI SECONDARIE

Il V del III (V/III)= B7 (Si-Re#-Fa#-La). Qui ci sono 2 note critiche, che sono il Re# e il Fa#, il Re# spinge a Mi e il Fa# spinge a Sol (terza
minore di Mi minore). É la dominante secondaria più distante da Do, tant’è vero che necessita l’inserimento di 2 note critiche.

Il V del IV (V/IV)= C7(Do-Mi-Sol-Sib). Qui c’è una nota critica, ma alterata in bemolle, il Sib scende in questo caso sul La, mentre è il Mi che
spinge forte sul Fa.

E il V del VII? Sul VII grado si genera una triade diminuita, e la dominante secondaria non può tonicizzare su triadi diminuite, ma solo su
triadi maggiori e minori. La triade di VII diminuita (Si-Re-Fa) è molto af ne al V grado, quasi una sorta di estensione di esso, infatti la sua
quadriade contiene interamente il V grado.

LE DOMINANTI SECONDARIE IN MODO MINORE

Il V del II, del III e del VII non si possono generare in modo minore, perchè sono una triade diminuita, una eccedente e un’altra di nuovo
diminuita.

Il V del IV (V/IV) è molto usato nella canzone tradizionale italiana e napoletana= siamo in La minore armonico, il IV grado è il Re minore
(Re-Fa-La), e il suo quinto è La-Do#-Mi-Sol. Il Do# è la nota critica, che spinge sul Re.

Il V del V (V/V)= il V grado è Mi maggiore(Mi-Sol#-Si) e il suo V è Si-Re#-Fa#-La. Abbiamo 2 note critiche: Re#, che spinge sul Mi e Fa#, che
spinge sul Sol#. È un bel passaggio e un bel salto.

Il V del VI (V/VI)= ha una valenza espressiva più pacata, il VI grado è Fa maggiore (Fa-La-Do), e il suo quinto è C7(Do-Mi-Sol-Sib). La nota
critica è Sib, che scende a La mentre ciò che dà la spinta è il Mi verso il Fa.

La dominante secondaria si risolve tonicizzando, dunque per dare luogo alla tonicizzazione è necessaria la dominante secondaria.

17° lezione - 30 Nov: ACCORDI FLAT & SHARP


Gli accordi Flat e Sharp sono ulteriori espansioni della tonalità, che quindi va a toccare regioni diversi cate. Anch’essi non determinano
alcun cambiamento di tonalità, né hanno alcuna relazione con le dominanti secondarie. I due accordi sono molto usati sopratutto nella
musica pop/rock/jazz, è un ambito accordale che si rivolge maggiormente a questi generi musicale, ma questo non signi ca che i due
accordi non siano stati usati altrove, ad esempio nella musica romantica dell’800.

Dove si collocano e come li possiamo motivare?

Gli accordi Flat

L’accordo Flat è un accordo abbassato, si genera intervenendo sull’accordo e abbassando il grado relativo di un semitono cromatico. La
tonalità di riferimento è Do maggiore ma per spiegare gli accordi Flat devo coinvolgere la tonalità omologa. La tonalità omologa non è la
tonalità relativa minore: infatti l’omologa di Do maggiore è Do minore, non La minore. Non cambia il nome ma cambia la situazione e le
varie alterazioni (in Do non ci sono alterazioni, mentre in Do minore ci sono 3 bemolle in chiave).

Gli accordi Flat che si generano presentano delle alterazioni, allora perchè possono coesistere nella tonalità di Do maggiore? Come lo
giusti co? Grazie allo scambio modale: dalla tonalità maggiore penso al modo minore naturale, e in particolare alla tonalità omologa,
quindi vado sul grado che voglio abbassare, lo prelevo e lo immetto nella tonalità maggiore. É quasi come se prendessi in prestito un
accordo che appartiene alla tonalità omologa minore. Così spieghiamo come La tonalità di Do maggiore possa avere una relazione con
questi accordi abbassati, una relazione lontana ma ef cace, perchè l’armonia è fatta anche di questo.

I gradi abbassati si scrivono facendo precedere il grado dal segno meno.

III grado abbassato (-III): Mi bemolle. L’accordo Flat che si forma è della stessa specie dell’accordo a cui fa riferimento. Si genera dunque un
accordo maggiore: Eb (Mib, Sol, Sib). Si usa molto spesso nel passaggio: I-IIIabb-IV-I, normalmente il III grado abbassato procede sul IV.
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VI grado abbassato (-VI): La bemolle. Sulla scala di Do minore naturale sul VI grado si genera un accordo maggiore: Ab (Lab, Do, Mib). Si
usa molto spesso nel passaggio: I-Am-VIabb-I. Ha una vena nostalgica, e si usa molto nei nali.

VII grado abbassato (-VII): Si bemolle. Sulla scala di Do minore naturale sul VII grado si genera un accordo maggiore: Bb (Sib, Re, Fa). É
usatissimo nella cultura americana e anglosassone, col nome di Flat Seven, soprattutto nel passaggio: I-Flat7-IV-I, e soprattutto nella
musica pop/rock. Rende il brano modale, perchè non è presente la sensibile, sostituita da un settimo grado abbassato.

Gli accordi Sharp

Per costruire l’accordo Sharp, invece, si innalza l’accordo e il relativo grado di un semitono cromatico. L’accordo innalzato deve scendere
sempre portandosi al grado naturale. I gradi innalzati si scrivono facendo precedere il grado dal segno più.

Viene segnalato solo un caso, che è però molto signi cativo:

IV grado innalzato(+IV): Fa diesis. È una quadriade semi-diminuita: F# (Fa#,La, Do, Mi). L’accordo deve scendere sempre al IV grado, quindi
a Fa maggiore con settima maggiore, se sale a Sol non è più un IV innalzato, ma avrebbe una funzione totalmente diversa, quella di VII
grado di Sol maggiore. È un accordo molto raf nato e ricercato, e usato nella musica sudAmericana.

ORA CI SPOSTIAMO SULLA TONALITÀ DI LA MINORE

Consideriamo la scala minore armonica, quindi con la sensibile.

Gli accordi Flat

LA VI NAPOLETANA O II GRADO ABBASSATO(+II):

É un accordo tipico della canzone napoletana, e si usa molto spesso nel passaggio: I-IIabb.-V-I, ovvero La minore-Sesta napoletana-Mi 7-La
minore. Crea un forte effetto di chiaroscuralità e di drammaticità, infatti Sib va a Mi, enarmonicamente è un tritono, l’armonia cerca elementi
di contrasto (Eraclito:negli opposti la più bella armonia) ed è proprio questo che la rende riconoscibile. É affascinante come un accordo ci
trasporti geogra camente e spazialmente in un posto speci co. Per costruirlo bisogna partire dall’accordo minore sul IV grado, che invece
di avere la quinta giusta, avrà la sesta, e genererà l’intervallo di sesta minore.

Andiamo sul IV grado di La minore: Re minore (Re-Fa-La); ora poniamo di sostituire il La con il Sib(Re-Fa-Sib). Sib è una sesta dalla nota
fondamentale Re ed una quarta dal Fa. Cambia completamente. Ora però se pensiamo all’accordo, se mettiamo al basso Sib viene fuori
una triade di Sib maggiore(Sib-Re-Fa), che non è altro che un secondo grado abbassato.

Gli accordi Sharp

VI grado innalzato(+VI): Fa diesis. Si genera una situazione analoga a quella di Do maggiore, un Fa# semi-diminuito che deve scendere a
Fa, e normalmente poi si arriva a Mi. Sono passaggi molto interessanti e raf nati. Oppure anche: I-VII-VIinn.-VI-V-I.

GLI ANDAMENTI/PASSAGGI CROMATICI

Torniamo alla tonalità di Do maggiore. Molto spesso sentiamo passaggi di questo genere: in senso discendente Mi minore 7-Mi bemolle
minore 7- Re minore 7, o anche in senso ascendente. Questi sono accordi di transizione che scendono o salgono cromaticamente (per
grado cromatico), detti appunto andamenti cromatici. Non hanno una vera e propria collocazione funzionale, nel senso che richiedono una
motivazione inerente a un riferimento morfologico. Hanno la proprietà di dare colore, diverse sfumature, è un’ennesima tonalità che
aggiungo alla tavolozza dei colori armonici. Non vanno confusi con gli accordi Flat e Sharp.

18° lezione - 1 Dic: LA MODULAZIONE


La modulazione è un cambiamento di tonalità vero e proprio, che non va confuso con la tonicizzazione, che è un passaggio che rimane
però all’interno della tonalità. Devo dare all’ascoltatore il tempo di capire che c’è stato questo passaggio. Nel 700 ai tempi di Philipe
Rameau si sosteneva che fosse suf ciente un solo accordo estraneo alla tonalità per generare una modulazione, è anche vero che nel 700
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la musica si ascoltava con criteri diversi, la tonalità si era appena affermata, quindi era logico e ragionevole all’interno dell’illuminismo
pensare in questo modo, e vedere la dominante secondaria come un elemento modulante, era una teoria nata dall’esperienza. Nel 700
l’ascoltatore era in una fase di consolidamento della percezione del sistema tonale. Con l’avvento del concetto del sistema tonale poi, il
concetto della modulazione è andato scemando nché ad oggi viene considerato un cambio di tonalità vero e proprio, il passaggio dal
centro tonale della tonalità di impianto a un altro centro tonale, sempre con le medesime regole.

La modulazione come dice Piston è un’esigenza psicologica, la melodia che viene portata da una parte all’altra recupera energia, diventa
cangiante. Ha inciso molto sulla forma musicale nel periodo romantico 1750-1820 in cui la modulazione era al centro della forma sonata,
che contraddistingue questo periodo breve ma molto ricco di elementi riconoscibili anche a livello strutturale, la musica è molto chiara e
strutturata e l’elaborazione del tema è ricca di spunti e tecniche. La modulazione è un potente strumento di ampliamento di una
composizione, ecco perchè una sinfonia può durare anche un’ora. Ma la modulazione è presente anche nella canzone, in una forma molto
più concisa di una sinfonia ad esempio.

Si può sempre alla ne ritornare alla tonalità di partenza, che metaforicamente rappresenta un viaggio con una ne di ritorno a casa, con
una sorta di lieto ne. Non è semplice cogliere la modulazione, si deve essere educati all’ascolto attento che riesce a cogliere i segnali che
il compositore fornisce. Oggi abbiamo la fortuna di riascoltare la musica, nel 700 no, era un momento altissimo, che suggeriva un
attenzione particolare.

La tonalità va intesa come centro tonale con le sue regioni. Partiamo dalla tonalità di riferimento Do maggiore:

Si può modulare da una tonalità maggiore a un’altra maggiore:

Esistono 2 tipi di modulazioni: a toni vicini e a toni lontani, quando la nuova tonalità di differenzia dalla tonalità di riferimento di
un’alterazione, altrimenti una tonalità che si differenzia di 2 o + toni.

Do maggiore: non ci sono alterazioni di chiave.

A toni vicini: posso andare a Fa maggiore (un bemolle in chiave) o a Sol maggiore (un diesis in chiave).

Come faccio ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore? Lo faccio con un accordo di Do7, che deve essere però seguito che possano
ricondurre alla tonalità di Fa maggiore, se lo faccio seguire da Sol ad esempio resterebbe nella tonalità di Do maggiore, venendo
interpretato come un V del IV. La nuova tonalità va inserita in maniera esplicita. Per esempio Sib, Sol minore, Re minore, Sib, Do maggiore,
ecc… Devo dare all’ascoltatore il tempo di entrare nella nuova tonalità. Questo tipo di modulazione viene detta preparata, perchè c’è un
accordo che la preannuncia: il Do7, ovvero la dominante della nuova tonalità. Posso usare tutti i derivati di dominante e i rivolti. Ma la
modulazione può avvenire anche improvvisamente, accade molto nella canzone pop, l’ascoltatore rimane sorpreso, perchè sente che la
melodia va altrove, dà una sensazione stimolante di energia.

Da do maggiore a sol maggiore

Userò l’accordo di dominante di Sol: Re7 (Re-Fa#-La-Do), vado a Sol, e continuo con accordi appartenenti alla tonalità di Sol maggiore, per
spostare de nitivamente l’orecchio dell’ascoltatore sul nuovo centro tonale.

Da maggiore a minore

Ora passo alla relativa minore: La minore: uso la dominante di La minore(nella scala minore armonica): Mi maggiore con settima minore
(Mi-Sol#-Si-Re). Non c’è il cambio di alterazione in chiave ma è un passaggio molto importante da maggiore a minore.

Mi minore (un diesis in chiave): la dominante è Si7 (Si-Re-Fa-La).

Re minore(un bemolle in chiave): la dominante è La7(La-Do#-Mi-Sol).

Con questa non ci sono nemmeno note in comune Do-Mi-Sol e Re-Fa-La.

Sul VII grado si crea un accordo semi-diminuito quindi non si genera una modulazione a toni vicini, da Do maggiore dovrei andare a Si
minore (2 diesis) o a si maggiore (5 diesis in chiave). Propone esclusivamente una modulazione a toni lontani.

MODO MINORE

Modo molto ricco avendo 3 determinazioni, propone soluzioni diverse e interessanti.

La minore: prendiamo come riferimento la scala minore naturale con Mi minore al V grado, se pensassi di usare il modo minore armonico
sul V grado si formerebbe Mi maggiore (Mi-Sol#-Si-Re), sarebbe già una modulazione a toni lontani, perchè Mi maggiore ha 4 alterazioni in
chiave.

La minore-Re minore: Modulazione da minore a minore preparata con la dominante di Re minore: La7.

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La minore-Mi minore: prendo la dominante di Mi minore: Si7.

Sul secondo grado si forma una quadriade semi-diminuita (Si-Re-Fa-La) quindi non si può modulare.

Relativa maggiore

La minore-Do maggiore:che è il III grado della scala minore naturale (nella scala minore armonica si formerebbe una triade eccedente (Do-
Mi-Sol#), che sarebbe impensabile): è un paesaggio che cambia in maniera molto evidente, poi ovviamente è soggettivo, ognuno di noi
percepisce soggettivamente la modulazione, anche in base alla propria esperienza.

La minore-Fa maggiore: 2 note in comune: uso il Do7 per modulare.

La minore-Sol maggiore: che ne è la sottotonica, non la sensibile(ci vorrebbe il So#), modulo con Re7: Re-Fa#-La-Do. Il Fa# spinge sul Sol.

Modulazioni a toni lontani ( 2 o + alterazioni): ha un impatto maggiore

Do maggiore-Re maggiore: a Re minore sarebbe a toni vicini, invece a Re maggiore è a toni lontani perchè ha 2 alterazioni in chiave. Posso
effettuare la modulazione con la preparazione o senza. Ti coglie improvvisamente ma non alla sprovvista, se sei un ascoltatore attento.
Salgo di un tono da maggiore a maggiore, si sente una spinta molto forte. Succede moltissimo nella canzone. O anche di una terza minore:
da Do maggiore a Mib maggiore (3 bemolle in chiave), la sua relativa minore è do minore, l’omologa della tonalità di partenza, nella
modulazione preparata ci si arriva con Sib, ha un impatto molto forte.

Modulazione improvvisa che sale di un tono da La maggiore a Si maggiore: L’anno che verrà di Lucio Dalla. La modulazione è preceduta
dalla frase: più forte ti scriverò, già fa sentire che devo catturarti come maggiore energia, per questo sale. Va a in uenzare anche il testo.

Si può andare a spasso per le tonalità per poi tornare a casa, era norma nel periodo classico.

La modulazione soddisfa la nostra necessità psicologica di andare altrove, legittimata dalla nostra curiosità. Un brano classico o anche una
canzone rappresentano i segmenti di una realtà esistenziale che ci appartiene, perchè dopo tutto ognuno di noi ha voglia di cambiare e di
rinnovarsi.

19° lezione - 14 Dic: LA FORMA MUSICALE


Fino ad adesso abbiamo studiato la grammatica della musica, cercando di costruire un percorso alla scoperta delle strutture fondamentali
del linguaggio musicale, il sistema tonale. Per farlo abbiamo utilizzato dei segni, quindi qualcosa che attiene perfettamente alla semiotica,
in quanto la semiotica studia proprio i segni e il loro processo di sintesi. Abbiamo viste le note, che sono rappresentate da segni gra ci,
hanno una certa altezza, presso cui si collocano sul pentagramma. Sul pentagramma posso agire con delle alterazioni che sono strutturali e
determinano la tonalità, dette alterazioni di chiave o in chiave, o temporaneamente con alterazioni sulle singole note, in senso ascendenti
diesis e discendenti bemolle, e il bequadro che serve a riportare la nota naturale. Il segno gra co e il suono della nota sono detti
signi canti, esattamente come è signi cante la parola cane: composta da due fonemi, che sono due suoni, che poi sono le due sillabe che
compongono la parola. Per pensare all’oggetto bisogna che il concetto prenda forma nella realtà e diventi referente, poi ognuno avrà una
forma di cane nella testa, c’è chi penserà al pastore, al bassotto, al barboncino. Abbiamo un concetto che poi è anche tradotto attraverso
una percezione soggettiva. Oggettivamente la parola è uguale per tutti. Nel linguaggio verbale le cose funzionano direttamente, mentre
nel linguaggio musicale possiamo scrivere do sul pentagramma e iniziare a fare delle ri essioni: sulla durata della nota, sull’altezza della
nota, sul volume della nota, sull’intensità della nota, quindi lavorare sui 4 parametri del suono. Il nostro segno avrà un processo di
signi cazione meno immediato, diretto. Cosa ho voluto dire con quel suono di Do? É dif cile dirlo, perchè la musica è un linguaggio
simbolico, si nasconde, e quindi noi cerchiamo sempre di portare in super cie dei processi di signi cazione ancorati a delle valenze
semantiche, che sono dei processi esplicitati con la parola. Un brano può crearmi ansia o darmi uno stimolo a fare le cose, o mettermi buon
umore, ma abbiamo sempre bisogno di tradurre ciò che proviamo con la musica attraverso la parola, che diventa uno strumento di
mediazione ma che a volte può diventare un po’ invasivo, eccessivo, ma alla ne è una modalità alla quale non possiamo sottrarci, non è
agevole tradurre un esperienza musicale. Se quando ascolto la parola martello so subito cosa signi ca, a cosa serve, e chi lo usa
maggiormente, quando ascolto un accordo non ho un referente preciso, quindi scatta un piano interpretativo che mi porta a evitare gli
aspetti semantici e a considerare solamente quelli simbolici. Risulta chiaro che è dif cile cogliere cosa rappresenta la musica sul versante
semantico, proprio per questo siamo partiti prendendo in considerazione unità molto semplici, il minimo ritmico, melodico, armonico, le
strutture minimali delle 3 componenti del linguaggio musicale, siamo partiti dal piccolo per costruire. L’approccio semiotico impone di
scomporre in piccole parti. Il linguaggio musicale è così complesso che quando ascoltiamo un brano musicale ci piovono addosso milioni
di informazioni, quindi dobbiamo cercare di parcellizzarlo per coglierne la struttura e dare vita a un processo di signi cazione. Il ritmo
stimola il versante psico-corporeo(unità tra psiche e soma), determina una risposta e una partecipazione corporea/ sica in senso dinamico,
il ritmo è movimento, l’armonia è la parte matematica della musica, quando ascoltiamo accordi anche involontariamente facciamo dei
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calcoli, il nostro cervello compara le frequenze, l’armonia è una matematica emozionale, che ha tra l’altro una valenza educativa
straordinaria, educa a percepire le frequenze dei suoni, stimola il versante cognitivo, la melodia stimola il versante affettivo-emozionale,
perchè è quella componente del linguaggio musicale che si struttura nelle aree più profonde del cervello, viene custodita gelosamente,
nelle aree dove elaboriamo le nostre emozioni, e la nostra dimensione affettiva. Questi 3 sono strettamente inter-relazionati nella persona,
vedono la persona in una maniera olistica, anzi sono la persona stessa.

Il signi cante in musica come in tutti i linguaggi è dato da una parte sonora prima, una parte gra ca poi, in ne la parte concettuale, il
signi cato che deve essere accompagnato da un referente che ne accerti l’esistenza reale e concreta. Una qualsiasi parola prima la
ascoltiamo, poi impariamo a scriverla e poi nalmente ne impariamo il signi cato.

Il fatto che la musica abbia bisogno della mediazione della parola ci deve portare a concentrarci più sulla comunicazione musicale
attraverso la contemplazione: Un accordo va interiorizzato, contemplato, colto nella sua interazione armonica, così come una melodia nella
sua interazione melodica, per sviluppare dei criteri percettivi che ci permettano di accedere a una signi cazione meno dipendente dalla
descrizione verbale. Cogliere la musica in punto fenomeno espressivo legato alla peculiarità dell’espressività musicale. Approccio
fenomenologico e dunque centrato in prima istanza sull’esperienza percettivo.

Possiamo partire da delle unità formali micro per arrivare a de nire una struttura formale più complessa e articolata.

Incipit della Quinta sinfonia di Beethoven [1770-1827], composizione eseguita per la prima volta nel 1808.

Siamo in Do minore. Vedo già dei segni sul pentagramma, ho bisogno di 3 bemolle in chiave(Si-Mi-La). Vedo anche che guardando il
motivo(prime 3/4 note), ovvero la cellula generativa, è già un elemento formale importantissimo, perchè ascoltando tutta la sinfonia
ritroverò il motivo elaborato, e mi servirà come punto di riferimento formale. Come quando osservo un quadro di Candisnsky, vedo che ha
delle forme geometriche (triangoli, rettangoli, circonferenze, quadrati), tutti elementi formali che vengono interiorizzati e producono un
processo di signi cazione. Siamo in 2/4, tempo binario, attinente alla nostra risposta motoria, non ci dimentichiamo che noi deambuliamo
in tempo binario, il 2/4 è il tempo della marcia, del battito cardiaco, della respirazione, di tutti i nostri ritmi siologici, per questo qui
Beethoven è molto sico, attuale, moderno. Siamo nel 1808 ma in questo incipit c’è una forza e un’energia dirompente, non dissimile da un
brano di Hard Rock. L’incipit è un richiamo impetuoso, alcuni commentatori della musica sentono in questo incipit il destino che bussa alla
porta. Prima della nota iniziale c’è una pausa di 1/8 che precede i 3/8 della prima battuta, la seconda battuta è occupata da un Mi di 2/4,
questa pausa è anch’essa un elemento formale importante. Se abbiamo la pazienza e l’emozione di ascoltare attentamente il primo
movimento della sinfonia, ci accorgeremo che tutto il brano è animato dal motivo iniziale. Un incipit del genere ci induce a interpretare un
Beethoven che ci vuole dire attenzione perchè c’è una comunicazione forte dove la scena viene collocata in un tonalità minore, che ha per
noi occidentali una valenza semantica ben precisa, mette in gioco dei processi di signi cazione importante, poi c’è l’impeto, un andamento
prevalentemente melodico, ci aspettiamo una dominante del modo minore armonico, quindi se siamo in do minore, ci aspettiamo un Sol
maggiore. Ci vorrà quella sensibile Si bequadro che crea quella dimensione di attesa e aspettativa, che Beethoven non ci propone
sincronicamente ma che è sottintesa, sottintende un aspetto tensionale molto forte che non è enunciato dal signi cante. Ci sono tantissime
cose da dire su un solo incipit, però per analizzare una sinfonia si deve analizzare tutta la partitura, ovvero gli spartiti di tutti gli strumenti
dell’orchestra.

Dopo il motivo abbiamo la frase, che è costituita mediamente da 2/3 misure, una struttura decisamente più consistente, e il periodo, che è
costituito da più frasi, in generale da mediamente 8 misure. Sono termini che usiamo anche nel linguaggio verbale. Questo è molto
importante perchè ci fa capire quanto il linguaggio musicale sia simile a quello verbale. La musica si legge e si scrive come il linguaggio
verbale, produce una signi cazione, molto più centrata sul versante simbolico, il linguaggio è più univoco e centrato sul versante
unidirezionale, la musica è semanticamente pluri-direzionale, è in questo che troviamo la grande forza del linguaggio musicale. Molti
musicisti si sentivano imbarazzati a parlare perchè il loro linguaggio era prevalentemente quello musicale. Certe cose le possiamo dire
soltanto con la musica, e questo è bellissimo perchè ci apre a una Weltanschauung comunicazionale, a una nuova visione del mondo, la
comunicazione non deve essere povera, ma basata su elementi valoriali.

Questa simmetria strutturale è ricercata soprattutto nel periodo classico, della 1° scuola di Vienna, contraddistinta dalla triade dei musicisti
Haydn, Mozart e Beethoven. Con quest’ultimo si chiude il periodo classico e inizia il periodo romantico, tanto’è che varie analisi dimostrano
che le ultime opere di Beethoven sono più ascrivibili al periodo romantico, anche se aveva una concezione di armonia assolutamente
classica, doveva essere molto chiara e ben delineata, anche essenziale per certi aspetti, ha poi delle scelte armoniche sorprendenti, in
Beethoven c’è una grandissima varietà armonica, ma c’è anche sempre risoluzione, tipica dopotutto del classicismo, quel periodo in cui la
musica va incontro alle aspettative dell’ascoltatore e in cui l’ascoltatore si sente più soddisfatto, perchè accade quello che lui vorrebbe. La
classicità deriva da un concetto molto chiaro: non lasciare mai aperto il discorso armonicamente, risolvere sempre le dissonanze, ritornare
sempre alla tonica come appare come una sorta di lieto ne.
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È bene anche riuscire a cogliere un brano nella sua interezza, per cui siamo partiti dalle piccole forme per arrivare a costruire un impianto
che, analizzato, possa essere ascrivibile a una certa forma. Si ricordi che parliamo di musica strumentale, qui di senza voce e senza testo,
anche se Beethoven ha inserito il coro nella Nona sinfonia, ma quella è un’eccezione che conferma la regola.

Prendiamo in considerazione la forma binaria: è una forma composta da due parti A-B, in ognuna dei quali avrò un tema, che può essere,
riferendomi a una struttura di 8 misure, un periodo. Che caratteristiche ha generalmente una forma binaria? Si cercherà di evidenziare il
carattere di questi due temi con degli elementi peculiari, A avrà i suoi elementi peculiari caratteristici, B avrà i suoi, magari contrastanti, in
modo che venga concepita la forma in relazione al contrasto. Ad esempio A sarà un tema impetuoso, molto marcato, con una ritmicità
vigorosa, con un andamento melodico molto chiaro e strutturato sul versante della comunicazione, triadico;

A livello semiotico devo percepire tutti questi aspetti, cosa mi dice il tema? Perchè gli inni nazionali sono fortemente triadici, basati sulla
triade maggiore? Perchè devono dare un carattere di adesione, chiarezza, di identità culturale, anche se nella maggior parte degli inni
prevale il linguaggio occidentale, proprio il concetto di inno è molto occidentale, tant’è che anche i paesi dell’est hanno aderito a queste
istanze linguistiche. Il linguaggio occidentale tonale è come la lingua inglese, è usato un po’ in tutto il mondo. Tuttavia nella musica
occidentale la forma binaria può presentare un primo tema molto chiaro, ritmicamente poderoso e incalzante, e un altro più carezzevole,
con andamento melodico sfuggente, con elementi di cromaticità, ecc… la percezione della forma si genera proprio da questi elementi di
contrasto, che mi permettono di capire e cogliere le due parti del brano.

La forma ternaria è composta da 2 temi posti in questo modo A-B-A, con un primo periodo magari carezzevole, cullante, sognante, onirico,
che induce a pensare alla dimensione del sogno, con un ritmo morbido, magari anche ternario, e un secondo periodo che invece riprende
in mano la situazione, riconduce l’ascoltatore nella dimensione reale, e lo riporta con i piedi per terra. Qui entra in gioco l’abilità, la
conoscenza, la varietà del compositore, ma anche il suo passato, che va scandagliato perchè nel passato troviamo la nostra dimensione
presente e ci proiettiamo in quella futura. Alla ne c’è un ritorno al tema A come una sorta di paci cazione, in cui il tema A e B si
riappaci cano nel tema nale, che sarà uguale o simile a quello iniziale. Ciò che è molto interessante è che il modo di sentirlo nuovamente
porta l’ascoltatore ad ascoltarlo in maniera diversa. Il passaggio dal tema B fa modo che il tema A appaia diverso, alla luce di un esperienza
percettiva che intanto si è arricchita, con il secondo tema contrastante. Quella ternaria è una forma molto importante, ha generato la
cosiddetta aria col da capo, forma molto usata nel melodramma, o nella canzone, che molto spesso ricorre a questa struttura.

Queste sono le strutture base; è ovvio che le strutture possano essere modi cate o arricchite. La forma non è una gabbia, una costrizione, è
semplicemente necessaria per dare modo al testo di collocarsi in maniera chiara e agevole. Abbiamo da sempre cercato la forma, anche
nel medioevo esistevano le forme musicale: la ballata, il madrigale, la messa, ecc…, e se ne sono sempre create di nuove col passare degli
anni. Lo stesso è accaduto in pittura. Questa ricerca c’è sempre stata perchè la forma contiene la proiezione della nostra interiorità e la
nostra spiritualità talmente forte da essere contenuta. E anche quando si è parlato di arte informale, l’assenza della forma era una forma
stessa, certo nuova ma sempre una forma; per negare la forma devo comunque conoscerla. Vado oltre perchè conosco ciò che voglio
superare. La orma è il contenitore del testo, che vive di un processo di signi cazione a partire dai codici, che sono fatti dai segni,
riconducibili allo studio della semiotica. Non è una disciplina intellettualistica.

La nostra vita è fatta di relazione coi segni, pensiamo ai cartelli stradali, alle icone, alla pubblicità, all’informatica, e quindi la semiotica studia
tutto questo, come ci confrontiamo nella dimensione comunicazionale quotidiana, ha un importanza sul piano esistenziale rilevantissima.
Ecco perchè nella musica del pieno classicismo viennese, si giocano i destini della musica classica e la musica classica stessa produce la
sua forma più compiuta, che è la forma sonata: una sorta di struttura codi cata con delle varianti importanti, una modalità di creare musica
in una struttura in modo che l’ascoltatore sia guidato in una narrazione. L’aspetto narrativo della musica è fortemente legato alla
dimensione semiotica. Il testo diventa narrativo, creo una consequenzialità all’interno della quale colgo l’episodicità tipica della narrazione.

Forma sonata bitematica tripartita

È bitematica: si avvale di due temi(nella forma base, possono essere anche di più), che diventano dei veri e propri personaggi, delle
situazioni musicali che tuttavia sono riconducibili a degli aspetti umani, i temi vengono umanizzati. Un po’ come Walt Disney che umanizza
gli animali, pur lasciando però viva e chiara l’icona dell’animale, di cui è riconoscibile l’animalità. Così la forma sonata, i periodi occupano
un ruolo attoriale drammatico(teatrale). I due temi si trovano ad attraversare tre fasi, infatti la forma sonata è tripartita in: Esposizione -
Sviluppo - Ripresa.

1° tema è nella tonalità di impianto: Do maggiore.

2° tema viene esposto normalmente alla dominante se il 1° tema è in una tonalità maggiore: in questo caso in Sol maggiore. Avviene una
modulazione, che richiede il cosiddetto ponte modulante: strategia che mi permette di preparare l’ascoltatore ad ascoltare il cambio di
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tonalità, e ad ambientarsi nella nuova tonalità. Non solo cambia il carattere tra i due temi, che sono appunto contrastanti, ma cambia anche
la scena (dovuto alla modulazione). Il contrasto diventa anche armonico.

Tutto questo richiede una grande attenzione per cogliere quando il 1° tema sta sfumando per lasciare spazio al 2°.

Una sinfonia è fatta di 4 movimenti/tempi. Un movimento può essere anche in forma di sonata. Se è in tonalità minore la modulazione
avverrà con modalità differenti, generalmente in questo caso si passa alla relativa maggiore; ad esempio in La minore, il ponte modulante
mi porta a Do maggiore.

Sviluppo è l’elaborazione e arricchimento del materiale tematico con tutte quelle tecniche compositive, come ad esempio quella
contrappuntistica, ecc…il contrappunto è la sovrapposizione di melodie, e quindi crea degli eventi sincronici. Armonia e contrappunto
sono in stretta correlazione. Entra in gioco la creatività del compositore, ma anche l’abilità, la sapienza e la conoscenza perchè senza questa
non si va molto lontano, è fondamentale.

I temi mantengono la loro riconoscibilità, a partire da quell’incipit iniziale, il motivo, che si fa sentire nel corso di tutto il brano.

Nella ripresa c’è il ritorno dei due temi, ma ci sarà un processo di rappaci cazione soprattutto nella forma sonata più matura, di Beethoven
ad esempio, in cui il contrasto è molto più forte di quello che c’era ad esempio in Haydn, molto più accomodante anche se malizioso,
giocoso, ironico. Beethoven porta a compimento la parabola evolutiva classica e con essa la forma sonata. Il contrasto forte dei temi, un
ritorno dove però il secondo tema è conciliato dalla tonalità di impianto(la tonica), che riconcilia i contrasti tra i due temi, e questo ci fa
sentire i due temi alla luce di possibilità ermeneutiche interpretative diverse, dove l’ascoltatore attento che non accetta passivamente la
musica ma si proietta attivamente verso la dimensione dell’ascolto musicale, vuole interagire, va dentro l’opera. Lo cogliamo rinnovato
perché è stato arricchito degli elementi dell’esposizione. Spesso la ripresa è seguita da una cadenza nale e una coda.

La forma sonata ci rimanda alla loso a hegeliana: la fenomenologia dello spirito, nasce con Beethoven 1770-1831, parla di questa
dimensione della ragione intesa come un processo di tesi antitesi e sintesi. Concetto di spiritualità come laica. La ragione ha bisogno di
qualcuno che contesti e sproni a una ri essione costruttiva, ma drammaticamente lacerante.

Goethe dice che l’architettura è una musica congelata: con questa affermazione chiari ca perfettamente il ruolo della forma, percepiamo
un edi cio attraverso una forma globale fatta di forme particolari, l’architetto esperto contempla l’edi cio nella sua totalità ma riesce a
coglierne anche le forme più piccole, come il musicista o l’ascoltatore attento di fronte a un brano.

Consigli di ascolto: sinfonia 40 k550 di Mozart.

20° lezione - 15 Dic: MUSICA MOVIMENTO EMOZIONE PENSIERO


La musica stimola una risposta corporea, una risposta emotiva, e una risposta cognitiva.

MUSICA-MOVIMENTO

Il concetto di rapporto musica-movimento risale addirittura ai tempi antichi, in cui lo stesso era instaurato in una dimensione cosmologica:
nell’antichità, difatti, si pensava che il movimento dei corpi celesti potesse produrre una musica. Questo non era un concetto, transitorio o
vago o passeggero, ma ben strutturato, tant’è che si parlava di un’armonia delle sfere alla cui contemplazione e al cui ascolto tutti erano
invitati.

Dopotutto i due sono già da sé collegati, dal momento che la musica è in prima istanza suono, anzi possiamo dire che è suono nelle sue
articolazioni più espressive, il suono è un fenomeno vibrazionale, e la vibrazione è un movimento delle onde sonore che si propagano
nell’aria e nei corpi solidi. Dunque il rapporto tra i due può essere visto come un concetto ancestrale, una visione archetipica.

È altrettanto chiaro che da sempre col determinarsi progressivo di un processo di signi cazione legato alla dimensione sonora, il suono è
stato tradotto dalla corporeità, siccome riferendoci al movimento dal punto di vista dell’uomo entra in gioco in prima istanza la sicità, e
quindi il corpo.

La lingua tedesca distingue tra 2 diversi concetti di corpo: il concetto di Korper dal concetto di Leib. Il Korper rappresenta il corpo
anatomico, l’insieme degli organi, mentre il Leib rappresenta il corpo mentale, che serve a percepire la vita, a cogliere la propria
dimensione esistenziale, rappresenta il proprio essere all’interno del mondo. Possiamo dire che il Leib è il corpo che viviamo, il Leib siamo
noi nella nostra dimensione relazionale, affettiva, emozionale, mentale, ma anche motoria, perchè il corpo traduce la musica in movimento.
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È proprio attraverso il nostro corpo che si instaura il rapporto tra musica e movimento. Il nostro corpo è un tramite per leggere e tradurre
l’esperienza musicale. La musica la percepiamo attraverso il nostro corpo, da una parte attraverso l’apparato uditivo, d’altra parte con il
corpo stesso dal momento che veniamo sollecitati dalle vibrazioni.

Parlando di movimento del corpo si può pensare a una concettualizzazione di movimento organizzato: la danza in senso classico,
accademico, ma anche di movimento spontaneo: la danza spontanea, come quella delle realtà tribali, in cui il rapporto musica-movimento
si concretizza nella quotidianità, nella vita di tutti i giorni. Per loro la dimensione della danza accompagnata dalla musica è qualcosa di
essenziale, non accessoria, ma che appartiene al vissuto quotidiano.

Anche il canto dovrebbe essere una modalità espressiva non accessoria e che attiene alla quotidianità, e non riconducibile
necessariamente a una dimensione professionale, non deve cantare solo il cantante ma la persona in quanto tale, perchè il canto è una
forma espressiva che rappresenta almeno il 50% della espressività umana.

Non bisognerebbe mai rinunciare al canto, alla danza o in generale a instaurare un rapporto tra il nostro corpo e la musica. Questo
rapporto, però, non deve essere stereotipato, non deve venire fuori nel momento in cui siamo obbligati, non deve essere una performance,
ma deve essere un rapporto autentico, naturale e genuino. Bisogna liberarsi da questo concetto competitivo che ci attanaglia, non è
questo il senso del canto e della danza spontanei, ma il senso va cercato nella dimensione esistenziale più intima.

La musica stimola la risposta psicocorporea in prima istanza con il ritmo, ma anche con la melodia, tant’è che la melodia è essa stessa
movimento. Il neuropsicologo Alexander Luria introduce il concetto di melodia cinetica, dunque coniuga per la prima volta esplicitamente
la melodia con il movimento. La melodia è movimento e il movimento è melodia. Basti pensare a un direttore d’orchestra, tutto ciò che fa è
un movimento, i gesti con le braccia, e con tutto il corpo, le espressioni facciali, i movimenti oculari, è il miglior esempio per dimostrare
quanti micro movimenti mette in moto l’esperienza musicale. Si coglie immediatamente il rapporto tra il movimento delle braccia e delle
dita e la melodia che esso genera, così come la melodia funge da signi cante e il corpo con i suoi movimenti la traduce, la interpreta, in
fondo la danza ci aiuta a capire la musica e viceversa. C’è un rapporto di signi cazione biunivoco.

Questo rapporto viene instaurato già nel grembo materno, il feto si muove nel liquido amniotico e la madre lo accarezza, lo culla, lo sente.
A 4/5 mesi il feto è già in grado di udire i suoni interni ed esterni, quando si nasce si è già ampiamente ascoltatori, quantomeno a livello
siologico. Non solo ma andrebbe incoraggiato già nel bambino della scuola materna, che andrebbe poi accompagnato in questo studio
no all’essere adolescente, che arriva a una percezione de nitiva della sua sicità.

Si apre quindi una ri essione anche sul piano pedagogico, sviluppato ampiamente da molti studiosi: Jaques Dalcroze, esponente della
scuola gibellina, introduce una metodologia di apprendimento della musica attraverso il ritmo e la corporeità, secondo cui il bambino
studia la musica partendo dall’esperienza corporea, impara a capire il tempo binario con la marcia del proprio corpo, i concetti di
segmentazione e dilatazione con la motricità ne, con movimenti piccoli, e con la motricità grossa, con movimenti larghi. Impara insomma
la musica attraverso un esperienza che coinvolge la persona nella sua totalità, e dove il corpo è un elemento fondamentale. Questo
rapporto, secondo Dalcroze, dovrebbe essere tenuto vivo nel giovane adulto, nella persona matura e nella persona anziana, perchè il
movimento è vita, e siccome il movimento è musica, la musica è vita. Questo senso vitale che ci viene offerto da una relazione naturale di
cui tutti possiamo fruire, non è necessario dunque studiare danza o musica in senso accademico, basta cogliere le cose per come sono a
prescindere da una impostazione accademica, per instaurare una relazione spontanea con la musica, che dovrebbe essere una costante
della nostra dimensione esistenziale dalla nascita no alla morte.

MUSICA-EMOZIONE

Esiste poi un rapporto altrettanto forte tra musica ed emozione, perchè nella dimensione musicale si gioca molta parte della nostra vita
emotiva, anche questa come la motricità, necessaria alla dimensione esistenziale.

Il concetto di emozione al quale ci riferiamo, però, è molto diverso dal concetto odierno, che è poco attinente con la dimensione siologica
dell’emozione stessa. Oggi, difatti, si pensa all’emozione come qualcosa di forte e improvviso, come una botta di adrenalina, e che si prova
una tantum. Già appare chiaro quanto non ci accorgiamo di usare termini che sono errati sul versante semantico; la parola botta ha una
signi cazione e una valenza semantica distruttiva, traumatica, che può portare a una risposta corporea assolutamente negativa, e per
questo non si confà a ciò che l’emozione realmente è.

La nostra vita dovrebbe essere sempre emozionante nel quotidiano, piena di emozioni non come picchi e botte, ma come semplici
emozioni siologiche. Certo, è comprensibile che ci sia un colpo di gran cassa, un picco emozionale ogni tanto, la vita ci regala anche
questo, ma che passi come buon concetto di vita emotiva è un atteggiamento sbagliato.

L’emozione è dunque un fatto siologico, e la musica è anch’essa è un fatto siologico, è dif cile pensare di poter godere della musica
ascoltandola tutto il giorno a un volume elevato, perchè porterebbe a una tensione costante, invece sappiamo che la musica è fatta di
momenti tensiodistensionali, abbiamo bisogno di tensione e distensione, che sono proprio quelle che si giocano anche nelle nostre
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giornate e in generale nella vita emotiva. La musica è sicuramente di per sé produce uno stimolo emotivo forte, anche perchè ci richiama a
delle situazioni, a dei ricordi. All’interno dell’esperienza musicale si struttura la nostra traccia mestica, dei ricordi, per dei soggetti che hanno
problemi di memoria la musica è utile. Ricordare signi ca anche sollecitare la sfera emotiva. La sfera emotiva è legata anche alla sfera del
movimento, non c’è scissione ma forte correlazione. Una delle risposte che può generare una emozione forte e premiante è proprio quella
motoria.

Non dobbiamo ritenere che la musica sia solo emozione, ma.

tensione. Siamo abituati a ritenere che la musica sia solo emozione dirompente, persino traumatica, non si può ridurre la musica a questo.

La musica è costruzione,.

MUSICA-PENSIERO

Anche se la musica stimola notevolmente la sfera emotiva, è sbagliato ritenere che essa sia solo quell’emozione dirompente, persino
traumatica, che travolge, è sbagliato ridurla a ciò. La musica è anche costruzione, edi cazione mentale, ragionamento, è anche pensiero:
Platone: la musica dà ali al pensiero.

La musica genera una risposta sul piano cognitivo molto importante, positiva ed edi cante. Ci sono anche degli studi che lo dimostrano: si
è parlato lungamente di uno studio denominato come: effetto Mozart, esso dimostra che i bambini che ascoltano musica classica, che
vengono educati all’ascolto di un repertorio musicale classico, che offre l’opportunità di stimolare il pensiero, che è fatto da strutture chiare,
nitide, ricche di processi di signi cazione che vanno a situarsi nell’area ermeneutica simbolica con implicazioni cognitive importantissime,
sono portati a un miglior funzionamento e un miglior uso delle potenzialità cognitive, e ciò si riverbera chiaramente sul rendimento
scolastico.

Ciò che la musica stimola è dunque una risposta fortemente positiva all’interno dell’uomo ma non solo. Si è dimostrato che la musica riesce
a stimolare anche la risposta della natura. Studi del ricercatore giapponese Masaru Emoto dimostrano che i cristalli che si formano durante
il congelamento dell’acqua mutano la loro struttura in una molto più bella, simile a occhi di neve, se sottoposti a vibrazioni positive, come
la musica o anche parole positive o preghiere.

Le funzioni della musica nel contesto sociale

Roman Iacobson ne elabora una griglia per de nire i processi di comunicazione nel contesto sociale. Linguista del 900 russo, trasferitosi
negli USA. Una griglia necessaria a inquadrare la comunicazione sul piano sociale e per coniugare l’approccio semiotico alle dinamiche
comunicazionali che si legano al sistema sociale.

FUNZIONI LINGUISTICHE

1. La funzione fatica o di intrattenimento è presente in tutta la musica che ha come obiettivo prioritario l’intrattenimento. É bene
sottolineare che questo non è un concetto attuale, ma che ritroviamo esplicitamente anche nel 700, tant’è che molta della musica
barocca era nata con questa precisa funzione, esplicitata dagli stessi compositori, quella di caratterizzare, scandire i tempi della festa,
quando c’era festa c’era anche la musica, e intrattenere la nobiltà durante queste feste. Oggi è il sottofondo che troviamo in una hall di
un albergo, la cosiddetta lodiffusione, una musica a volume molto basso, non invadente ma che comunque intrattiene, e rende più
piacevole la permanenza. Non è una funzione che va vista in senso negativo, intrattenere è un gesto di apertura, di colloquialità, ma
d’altra parte non si può ridurre la musica solo a questo. Non si può ridurre la musica a sottofondo, non si può andare in un locale jazz e
non ascoltarlo, anche perchè il jazz ha una certa sacralità. Anche il canto degli alpini, riconosciuto da tutti come il canto delle feste
paesane, ha una certa sacralità perchè è un canto generato dalla sofferenza, dalla fame, dal freddo, dalla disperazione, dalla solitudine. I
worksongs sono nati per necessità, per rendere sopportabili quei ritmi di lavoro. Sono aspetti sacrali che si conciliano poco al concetto
di intrattenimento, per questo ci vuole sempre un certo equilibrio, per distinguere che la funzione di intrattenimento non vada a
intaccare aspetti intimi e sacrali connessi all’esperienza musicale.

2. La funzione conativa o persuasiva, è quella funzione attraverso la quale si esercita una pressione sull’ascoltatore, determinando eventuali
mutamenti dello stato d’animo, e si va a stimolare anche una reazione emotiva, che però può anche essere negativa. La musica è
marcatamente conativa per esempio nel contesto pubblicitario, perchè va a rinforzare il messaggio attraverso le strutture. Le musica
conativa, soprattutto quella del 60/70, dell’era di carosello, era fortemente caratterizzata dalle cadenze perfette (II-V-I). Queste servivano
a rendere la pubblicità molto chiara e decisa, con l’idea che se un alimento era buono allora andava sorretto con la cadenza perfetta,
altrimenti l’ascoltatore iniziava anche a dubitare del prodotto stesso.

3. La funzione referenziale è presente in misura notevole nelle situazioni musicali utilizzate come segnale: la sigla di apertura e chiusura di
una trasmissione televisiva, lo speaker che annuncia il treno che sta partendo, il clacson dell’auto, la suoneria di un cellulare. Molti di

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questi suoni hanno una con gurazione armonica ben precisa, e spesso producono una triade maggiore. Il clacson del pullman postale
in Svizzera da tradizione produce una triade maggiore in secondo rivolto (Sol-Do-Mi), che richiama la dimensione alpestre.
Normalmente nella vita di tutti i giorni non ci viene l’idea di andare a cercare i suoni prodotti da un clacson o da una sigla, la
percepiamo come una sonorità quasi scissa dalla dimensione musicale, non la riconosciamo come musica, come invece dovremmo.

4. La funzione poetica quali ca la musica nella sua dimensione espressiva più autentica, è la funzione dell’intimità espressiva e della
valenza semantica della musica, laddove essa prevale decadono le funzione fatica e conativa, vengono emarginate. Accoglie le istanze
espressive più autentiche legate all’espressione musicale.

FUNZIONI PSICOLOGICHE

1. La funzione affettivo-emozionale riguarda un aspetto che interessa a livello disciplinare la psicologia della musica, disciplina che ha uno
statuto epistemologico fondato e condiviso dalla comunità legata alle discipline psicologiche. È una funzione che appartiene in misura
variabile a tutta l’esperienza musicale, dal momento che qualunque musica arriva al nostro cervello e su di esso agisce, determinando
variazioni del nostro stato d’animo. Questi sono concetti che erano già presenti nell’antica Grecia, dove si parlava di teoria degli affetti
musicali, dell’ethos musicale. Già allora si era distinta la valenza estasiante della musica, detta ethos estasiante, da una snervante, ethos
snervante, nonostante allora ci fossero strumenti molto delicati come l’aulos o la lira. Ma si parlava anche di ethos energizzante, quindi la
musica come qualcosa che alimenta il nostro benessere sico, che ci dà energia.

2. La funzione comportamentale determina dei mutamenti di comportamento del fruitore, talvolta anche sensibile. Pensiamo a certi
comportamenti che si potevano analizzare in chiave psicologica in contesti come un concerto dei Beatles degli anni 60, dove quella
musica dal potere devastante generava delle reazioni comportamentali eclatanti: le ragazze che si buttavano per terra, scene di isteria
collettiva, fotogra e masticate e deglutite, urli, lacrime, trucco colato. Sono scene che continuano a vedersi durante i concerti rock, ma
che mai furono eclatanti come quegli anni, in cui la musica serviva come ribellione nei confronti della società stessa. La funzione
comportamentale può avere però anche degli aspetti edi canti, coesivi e di condivisone; pensiamo a quanto è importante e
straordinario il fatto che decine di migliaia di persone riescano ad intonare perfettamente e sincronicamente un motivo.

3. La funzione terapeutica.

La musica diventa catarsi, una puri cazione. Se canto in un concerto rock, è bene che canti anche in famiglia, con i gli. Nel coro. La
musico-terapia parte proprio da un esperienza musicale, è la costruzione di una aggregazione partendo dalla musica. È un fenomeno di
condivisione straordinario.

FUNZIONI SOCIOLOGICHE

1. La funzione socializzante. La musica serve per socializzare, per condividere degli ideali, anche extra musicali. Attraverso la musica
possiamo riconoscerci in un ideale, concettualizzare degli aspetti sociali e tradurli in vissuti musicali. La musica è un collante per
condividere delle posizioni sociali, assume una valenza edi cante.

2. La funzione promozionale, è strettamente correlata a quella conativa, attraverso essa cogliamo la peculiarità di un messaggio e lo
portiamo all’esterno attraverso la musica, non è necessariamente legata alla pubblicità, ma a tematiche di rilievo sociale. Differenza con
la 1., quella mira ad aggregare lasciando come gura sfondo un obiettivo da raggiungere, questo invece lo esplicita questo obiettivo, lo
promuove. Ma può promuovere anche concettualizzazioni importanti dal punto di vista sociali, una sigla che si lega a un movimento che
si pre gge di promuovere l’educazione ambientale. La musica sostiene un tema importante.

3. La funzione economico-commerciale, in cui la musica ha una nalità economica e commerciale, che oggi è molto in crisi, sono cambiati i
parametri. Nella seconda metà del 900 il mercato discogra co nasceva, oggi la situazione è completamente diversa. Sebbene il
processo di merci cazione della musica abbia raggiunto livelli consoni a una società che tende a consumare ogni cosa, la produzione
ha subito cambiamenti molto profondi. Resta il fatto che posso rendere un prodotto più o meno commerciale. Una canzone che
contiene accordi complessi, testo impegnativo è più spendibile in questo versante.

4. La funzione educativa e formativa, la musica è un esperienza che educa e forma. Si può e si deve educare anche attraverso dei processi
di informatizzazione.

21° lezione - 21 Dic: LA RELAZIONE SONORA


La relazione sonora può essere sintetizzata con un termine: l’esperienza fonorelazionale, costituisce una modalità esperienziale dove noi
costruiamo una relazione col mondo sonoro, con il paesaggio sonoro.

Punto di vista pedagogico


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Quando parliamo di relazione e la coniughiamo con il nostro percorso esistenziale, dalla nascita alla morte, abbiamo una implicazione
molto importante dal punto di vista della comunicazione, che riceviamo attraverso l’esperienza sonora. Il primo pensiero va alla relazione
madre-bambino. Il rapporto con la madre è essenzialmente in prima istanza tattile durante la vita intrauterina, ma anche sonoro, il feto
intorno ai 4-5 mesi sviluppa l’apparato uditivo e questo sviluppo si può considerare suf ciente per ritenere che il feto entro il quinto mese
sia in grado di percepire i suoni interni e esterni. Anche il suono ha una dimensione percettiva attraverso la pelle. C’è una correlazione tra
relazione uditiva e relazione tattile. La mamma parla al bambino, il bambino produce dei suoni che vengono chiamati lallazioni, il bambino
in prima istanza è cantante e poi diventa parlante; anche la mamma ha un rapporto privilegiato nel momento in cui canta al suo bambino,
anche dal punto di vista educativo.anche un'esperienza Affettiva-relazionale importante, la relazione sonora ha un impatto sotto il pro lo
psicologico. Il nostro cervello cattura molto di quello che ci appare sia a livello sono che visivo, la realtà sonora incide fortemente sulle
risposte neuro siologiche.

Attenzione non esiste soltanto la relazione madre-bambino, ogni relazione che abbiamo nella nostra vita, con i genitori, i fratelli, gli amici,
gli insegnanti, essendo fatta di linguaggio verbali e non verbali è un relazione che aderisce alle istanze esistenziali di ogni individuo, siamo
nel mondo e ci confrontiamo nel mondo, con condivisione.

Dobbiamo Considerare l’aspetto sociologico, una società che ha rispetto per un buon paesaggio sonoro, e già il termine è esso stesso
particolare e provocatorio, solitamente facciamo riferimento a ciò che si vede e non a ciò che si sente, è l’ambiente in cui siamo immersi a
livello sonoro , si deve progettare un buon ambiente acustico, dove ogni suono è un signi cante, è un termine stimolante perchè ci porta a
ri ettere sulla nostra realtà sonora. Se anche mi trovo in un bosco meraviglioso ma sento suoni e odori strani, la percezione di quel luogo
cambia. Quando entrano in gioco tutti i sensi si parla di sinestesia. Progettare un buon ambiente acustico. Siamo progettisti non solo
perchè costruiamo le case, le strade, ecc.. ma anche nella misura in cui riusciamo a progettare un buon paesaggio sonoro. L’aggancio con
la semiotica è evidente. Ogni signi cante conduce a un signi cato. La semiotica della musica estendendo questo concetto a tutta
l’esperienza fonorelazionale diventa una disciplina importante, ci dà la misura per comprendere tutti questi signi canti.

Paesaggio non solo inteso come relazione con la natura, Inteso come rapporto con i suoni tecnologici, che oggi costituiscono una parte
preponderante del nostro ambiente sonoro.

Schaffer introduce 3 concetti importanti:

1. Tonica, visto più volte nella parte di grammatica della musica, in riferimento agli accordi. La tonica non è il primo grado della scala
maggiore, ma indica che ci sono degli eventi sonori che hanno una funzione assolutamente dominante nella gerarchia del nostro
vissuto percettivo. Come la tonica cambiava in ogni tonalità, la tonica per Schaffer cambia in relazione al paesaggio sonoro, c’è una
tonica per ogni realtà ambientale, per chi vive su un altopiano, la tonica sarà il vento o il silenzio (tonica importantissima), per chi vive su
una piccola isoletta la tonica è sicuramente il mare. Ma la tonica può essere rappresentata anche dalla frequentazione di certi animali,
animali serali, o animali che scandiscono il ritmo della giornata. L’ululare dei lupi nelle notti di inverno nei paesi freddi è la tonica
notturna di quella tonalità. Ci dà la dimensione spaziale, la stessa su cui abbiamo ri ettuto nella parte di grammatica, la tonalità come
regione, le varie espansioni di tonalità, le modulazioni, ecc….

2. Segnale. I segnali sono rappresentati da quei suoni che ci comunicano qualcosa di preciso, sono dei signi canti che ci permettono di
accedere al signi cato rapidamente e di avere subito una relazione con il referente. Ad esempio il suono delle campane, vuol dire che
c’è una festa, o una funzione religiosa, si festeggia una particolare ricorrenza, o le campane scandiscono la giornata con dei rintocchi
collegati al tempo degli orologi. In un piccolo paese è un segnale importante ma è un segnale che assurge anche al ruolo di tonica. Il
schio del capostazione, quando il treno sta per partire o il clacson di un auto che ci avvisa di fare attenzione, la sirena di un’ambulanza.
Hanno funzione esplicativa Ci lanciano un signi cato molto preciso. Hanno un rimando di signi cazione unilaterale, anche si possono
caricare di signi cati simbolici. Per qualcuno che lo fa come lavoro, come il capostazione, quel schio non è solo un segnale ma è
qualcosa che ti appartiene, ti ha accompagnato nella tua vita professionale, ma anche la dimensione affettiva.

3. Impronta sonora. La impronte sonore sono dei suoni caratteristici di una comunità, nelle grandi città i quartieri, o le vie speci che, per
esempio via dei fabbri era la via dove c’erano tutti i fabbri, in quella via si percepivano i suoni della bottega del fabbro, che diventavano
parte integrante della vita di tutti i giorni.

La relazione sonora diventa fondamentale.

Tutta questa ri essione ci porta a considerare il paesaggio sonoro come un aspetto che non può prescindere dal primato dell’occhio
sull’orecchio. La civiltà di oggi è la civiltà dell’immagine, ha portato a una saturazione della percezione visiva. Siamo assediati dalle
immagini degli strumenti che utilizziamo. Questa rivoluzione che ci porterà a una videocrazia, al governo della dimensione visiva. Sempre
meno si usa la voce viva, sempre meno si parla. La tecnologia è importante ma dobbiamo anche ri ettere sugli impatti che ha sull’uomo,
una società basata tutta sul visivo crea degli scompensi sul versante delle altre sensoriali.tà Dobbiamo andare a recuperare. Il paesaggio
sonoro è una weltanschauung, una visione del mondo. Tutto questo in una realtà acustica che è comunque estremamente complessa, se
pensiamo alla quantità e alla varietà di suoni che ascoltiamo durante la giornata. E al fatto che ogni suono è un signi cante. La complessità
del messaggio sonoro è imponente. È chiaro che in un paesaggio come il nostro iperstimolante siamo di fronte a una realtà audio
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percettiva che potremmo chiamare low , a bassa fedeltà. Stroppi stimoli ignorano l’esperienza audio.-percettiva. Una società attenta a
disegnare un buon paesaggio sonoro ha la sensibilità di ridurre, di selezionare, di circoscrivere. È avvenuto nelle fabbriche, industrie tessili
del 1800, erano luoghi in cui c’era un rumore insopportabile, le operaie raggiungevano le fabbriche a piedi, quando rientravano nelle
proprie dimore facevano quei 4/5 kilometri cantavano per disintossicarsi, la necessità di disintossicarsi dai rumori dell’ambiente lavorativo.
Si è iniziato a parlare di Inquinamento acustico. Ci sono voluti decenni e decenni 150 anni per avere delle leggi soddisfacenti, prima che
quest’aspetto venisse capito. Il rumore non veniva compreso nella sua dimensione ingombrante e devastante, come un nemico da
controllare, abbassava la qualità della vita, cosa che accade ancora oggi. Il livello max di decibel è tra i 70 e gli 80. La linea retta è quel
rumore di fondo, come chi vive nelle periferie che sente il rumore delle tangenziali, non è qualcosa di violento, brusco, ma agisce sul nostro
cervello continuamente. Il low è un ambiente sonoro traumatizzante, chi sta sempre a contatto con il traf co cittadino. Tutto questo
produce signi canti? Assolutamente si. La vita nel low ha anche un impatto sulla nostra salute, sul nostro umore, sul nostro stato psico-
sico. Un buon paesaggio è hi , dove si controllano le emissioni sonore esattamente come si controllano le emissioni di gas e polveri
sottili e l’inquinamento atmosferico. Andrebbe considerato nella realtà scolastica, e elaborato nell’educazione. Si riesce a distinguere le
sorgenti sonore, non dove i suoni si accavallano, e con un intensità superiori alle soglie di tollerabilità. Per trovare un hi bisogna andare
negli spazi aperti, rivolgersi agli spazi naturali, nel silenzio della montagna ascolto il rumore del ruscello, le fronde degli alberi sollecitate
dal vento. l’Italia è piena di realtà hi , in cui ritrovare la dimensione di ascolto di sorgenti sonore chiare in cui ho il tempo di elaborarne il
signi cato. Questi suoi hanno un signi cante? Il ruscello ci dice qualcosa, se ha piovuto tanto o meno, se…. Le toniche cambiano e si
adeguano e si modellano in relazione al tempo delle stagioni. Questi aspetti hanno attratto molto i compositori. Le 4 stagioni di Vivaldi
hanno generato in Vivaldi immagini molto vivide che ha saputo tradurre in musica. Cosi come la pastorale di Beethoven, il volo del
calabrone di Rimskij-Korsakov, ecc… le valenze semantiche più intime, più nascoste che stimolano la nostro interiorità e creatività.

Ricerca di hi , ritornare verso una percezione chiara. Aspetti estremamente innovativi e attuali. Già allora si sentiva fortemente questa
esigenza. (Libro del).

Potremmo anche dire che esiste anche una storia del suono e del rumore che ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo da quando si trova
sulla terra. L’uomo ai primordi si doveva misurare con suoni ben diversi e anche per certi aspetti molto più traumatici, ma non erano
sonorità invasive costruite per de nire una realtà sonora, ma accadevano in quel momento. L’uomo sarà rimasto scosso nel sentire un
tuono, un accadimento molto violento, ma allo stesso tempo stesso circoscritto in una dimensione temporale. La percezione di una natura
dirompente, fragorosa. In una realtà in cui il rumore è un dato di fatto, costituito quasi come una forma di potere arrogante, questo ci deve
fare ri ettere. Scheffer ri ette sull’arroganza e il potere che il suono ha avuto sull’uomo, di condizionare risposte sul piano psicologico. Il
rumore è un signi cante importantissimo.

Il rumore e il silenzio sono gli archetipi della signi cazione sonora. Una storia del suono può essere solo narrata, perchè non si avevano
ancora degli strumenti per registrare. Non si potevano registrare dei rumori no all’avvento del registratore, con cui ha avuto inizio l’archivio
dei rumori, a farne un elemento da archiviare. Alcuni suoni sono caduti nell’oblio. Pensiamo a una grande città quando ancora non c’erano
le auto ma c’erano la carrozze, sono rumori che non ci appartengono più. O magari il rumore di una macchina da scrivere, o una macchina
da cucire. Oggi quando un abito si rompe se ne compra uno nuovo, una volta si rammendavano. O il rumore del tram a cavalli. Il battello a
vapore, la perforatrice del 1774, il telaio meccanico 1785, una nave a vapore in ferro 1787, una trebbiatrice 1788, il telegrafo, un tornio da
lettatura del 1796, è importante che ci sia una catalogazione storica dei rumori, una storia dell’evoluzione del paesaggio sonoro, realtà
che sembrano molto lontane. Una storia che correli oltre agli avvenimenti, altri elementi interessantissimi, gli elementi che porta in
super cie Hegel, dice che ci sono anche le storie speci che, che ci danno una dimensione, che catturano la fantasia e l’immaginazione. A
scuola si studia la storia politica, sociale, economica, dell’arte, ecc… anche una storia del suono, come si è evoluto storicamente il suono?
Molto caratteristico di un’epoca, cambia completamente il paesaggio sonoro da un’epoca all’altra. Lo stesso discorso vale per la musica. Il
periodo del canto gregoriano (alto medioevo, no all’anno 1000), è un canto destinato a voci maschili, monodico (tutti cantano la stessa
melodia, facendola apparire come se fosse cantata da uno solo, corpus melodico unico), fatto da testi sacri, aveva regole, basato su 8 modi,
4 pagani 4 autentici, e ogni modo aveva una sua caratteristica. A suoi tempi ci si aspettava quello e chi andava oltre quelle caratteristiche
veniva emarginato dalla cultura musicale uf ciale. Il paesaggio sonoro è questo. In quel periodo la società, i ritmi di vita erano lenti, gli
spostamenti, la comunicazione, che oggi per noi sarebbe insopportabile, che permetteva però di contemplare, di meditare, cosa che oggi
non accade. La musica caratterizzava quella dimensione sociale, il canto gregoriano è espressione di quella dimensione sociale. Dopo il
1000 con l’ars antiqua e nova si passa dal canto monodico alla polifonia, no a pensare alla musica come strati cazione melodica molto
complessa con decine di voci incredibile. Chi ascoltava una struttura del genere, e oggi si può ascoltare e questa diventa una ricerca storia,
e in questo senso l’informatica potrebbe avere un ruolo straordinario per riportare in auge la musica del passato (del 300, del 400, del
500), tutti quei compositori che ci dicono poco ma che sono le pietre miliari della musica. Fare indagini su aspetti timbrici, sonori Ri essioni
su quella musica. Dimensione caduta completamente nell’oblio, e cadendo quella è caduta una parte della nostra storia, e anche di noi.

Quando parliamo di suono parliamo anche di parola, la parola è essa stessa suono prima di condurre a un signi cato. Quanto è importante
il suono nella parola, quanto è importante la parola nella musica. La polifonia era diventata così complicata che portava le parola a non
essere comprese, il testo si perdeva nei meandri della tessitura armonica.
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La polifonia era diventata così affascinante ma così complicata, che impediva alle parole di essere comprese, il testo si perdeva nei meandri
della tessitura melodica. La relazione tra musica e parola ci rimandava all’antica tragedia greca e alla ne del 500 la camerata dei bardi, è
un salotto orentino frequentato da intellettuali, scienziati, musicisti, ad esempio Vincenzo Galilei, padre di Galileo, che era un liutista, che si
domandò anche lui se la musica deve diventare un esercizio puramente tecnico e non ci comunica più nulla , bisogna ritornare agli
archetipi comunicazionali della tragedia greca, riportare in auge la parola, e metterla in relazione autentica con la musica. Nasce allora sul
nire del 500 a Firenze la monodia accompagnata, si ritorna come nel gregoriano a una mondai ma accompagnata da strumenti musicali.
La storia è molto legata ai processi di signi cazione, ci vuole un rapporto con la storia, la storia va ascoltata attraverso le partiture, gli
spartiti, è un bene preziosissimo che abbiamo. Nessuno ci guida all’ascolto di questa musica. De Gregori “La storia siamo noi”, se perdiamo
il contatto con la storia perdiamo il contatto con i processi di signi cazione. Questa monodia accompagnata darà vita poi al melodramma,
la forma d’arte musicale in cui la musica e la parola si sposano, e la sua versione breve, la canzone. Il melodramma narra una vicenda, con
cui entra in scena una melodia drammatizzata, la melodia diventa teatro, acquisisce una valenza drammaturgica. Coinvolge la persona nella
sua totalità. La parola afferisce all’emisfero sinistro, la melodia all’emisfero destro. È qualcosa di estremamente profondo.

Il canto con la parola va a stimolare la persona nella sua globalità, anche le aree motorie sono coinvolte. Rapporto fondamentale che si è
riverberato nella nostra quotidianità, in fondo la musica è legata alla canzone e deve avere ancora una connotazione che le consenta di
essere percepita come tale. È fatta di ritmo, melodia e armonia. Non possiamo rinunciare a nessuna delle 3. Non possiamo fare una
canzone solo ritmica, o solo armonica, poi è chiaro si combineranno in misura variabile che dipende da una dimensione soggettiva. Nel
melodramma ci sono parti cantante (arie) e parti che sono commistione tra parlato e cantato (recitativi). Una particolare forma di recitativo
la utilizzò shumberg.

C’è però un altro paesaggio sonoro, quello legato alla musica strumentale, un paesaggio dove i signi canti sono ottenuti attraverso i suoni
prodotti unicamente dagli strumenti, che si sono evoluti tantissimo nel tempo. Pensiamo all’orchestra d’archi barocca, con violini, viole,
violoncelli, violoni, poi sono stati creati altri strumenti in periodo romantico, il controfagotto, strumenti di cui sappiamo poco. Sappiamo
riconoscere un fagotto da una clarinetto basso? Un oboe da un corno inglese? Sono strumenti che gradivano nella stessa estensione.
Implicherebbe di conoscere gli strumenti della tradizione, che dovremmo andare a ricercare storicamente che ci accomuna come soggetti
ascoltanti. Siamo homo faber ma siamo anche homo audiens. Abbiamo una pulsione che purtroppo è frenata da questo sistema sociale.
Gli stessi strumenti in fondo sono stati creati per imitare le voci umane, come gli archi. Il auto imita i suoni della natura, il canto degli
uccelli. Se c’è questo rapporto strettissimo tra suoni e natura, allora ci sarà anche tra noi e gli strumenti, l’uomo fa parte integrante della
natura. Il quartetto d’archi giunge a piena maturazione (periodo classico), il concerto per strumento solista e orchestra. Il concerto pop/rock
nello stadio, musica che appartiene a livello generazionale, quello lo viviamo, abbia o già aderito a quelle istanze, è normale, è siologico.
Ma bisogna pensare a cosa c’è stato prima e perchè si è arrivati a questo. Anche oggi si fa musica strumentale, ma quello che ci manca è
forse il concetto storico che dobbiamo ricercare, volgere lo sguardo verso il passato nonostante è l’hic et nunci in cui si vive, il passato è un
patrimonio a cui dobbiamo attingere per ritrovare la nostra soggettività. La musica strumentale è quella che si espone meno ai pericoli
della merci cazione, adorno della scuola di Francoforte dice in fondo la musica più protetta è quella meno esposta al luccichio,
all’ingordigia di una società iper consumistica che tende a merci care tutto. Si rivolge alla musica da camera, c’è poco da vedere e molto
da ascoltare. Non è lo sfarzo della grande orchestra, metafora di una società che ostenta, dimensione intima e chiusa della camera.

22° lezione - 11 Gen: L’APPROCCIO LINGUISTICO-MUSICALE


La musica è un linguaggio condiviso da un’area culturale molto estesa, non può essere un linguaggio universale, ma sono universali le
strutture profonde, come l’ottava o l’idea che esista una nota sulla quale convergono le tensioni, una nota risolutiva che noi chiamiamo
tonica. La nostra lingua madre è Si parla di sistema o linguaggio tonale, che abbaiamo acquisito. Linguaggio che sappiamo già gestire, vi è
un’acquisizione spontanea del linguaggio musicale proprio come vi è un’acquisizione spontanea del linguaggio verbale, certo poi è
necessaria la scuola per acquisire le nozioni grammaticali e de nire in maniera soddisfacente la competenza linguistica. Lo apprendiamo
perchè ascoltiamo, esiste una competenza comune, di base che esiste a prescindere dallo studio(Gino Stefani), siamo parlanti a livello
musicale.

L’approccio linguistico parte da questo presupposto, che parliamo e scriviamo e comprendiamo la lingua musicale. C’è una distinzione: Nel
linguaggio verbale il signi cante e il signi cato hanno un rapporto molto stretto, un signi cante rimanda a un signi cato la cui valenza
semantica è più precisa, circoscritta, univoca, unilaterale, non che non esiste polisemia. È un linguaggio preciso e circoscritto. Quello
musicale invece è più aperto e simbolico, ha bisogno di categorie interpretative. Tensiodistensionale, è già una categoria interpretativa
del linguaggio, con esso si introduce il concetto di tensione e distensione, domanda e risposta, movimento e riposo, interazione dialettica,
ci aiutano a entrare nel linguaggio musicale e coglierne le valenze e ci permettono di interpretare per esempio il concetto di cadenza (pag.
19). Consonanza e dissonanza, è una categoria sica, c’è un rapporto numerico delle frequenze, ci permette di avviare un processo
ermeneutico (di interpretazione), un brano viene interpretato per le sue strutture, che poi però rimandano a reazioni emotive, affettive,
mentali, cognitive, ecc… quello che si può dire con la musica non si può dire con la parola, si compenetrano, la coda interessante è che
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entrambi partono dal suono, il signi cante in entrambi i linguaggi è sonoro, o gra co. Il primo contatto è squisitamente sonoro, poi si
impara a scrivere. La scrittura è fondamentale così come la percezione del suono.

Quando si pronuncia o si scrive il termine “musica”, questo signi cante quanti signi cati e quanti processi di interpretazione legati anche al
vissuto personale (all’età, alla cultura di un soggetto) produrrà? Resta il fatto che la musica nel suo darsi è qualcosa di
fenomenologicamente descrivibile: la più classica è “la musica è l’arte dei suoni", in effetti in musica si ha la capacità di combinare
artisticamente dei suoni, ma così si esclude un concetto importante della temporalità, “la musica è un’arte del tempo”, che coinvolge la
con gurazione artistica dei suoni, difatti la musica si dà nel tempo. Nella musica vi è anche lo spazio diastematico cioè intervallare, la scala
musicale (già il termine scala rimanda a un concetto spaziale architettonico), melodia ascendente e discendente. Attiene a una dimensione
temporale, ma anche spaziale.

La musica è tempo. Bergson il tempo soggettivo e oggettivo, la musica è tempo soggettivo, è il compositore che decide quale tempo
usare, se andante, moderato, allegro, vivace, presto, prestissimo, tutte categoria che si traducono nelle reazioni affettivo-emozionali,
portano a signi canti molto complessi. la cosa affascinante della musica è che bypassa il tempo degli orologi, bergsonianamente aderisce
al tempo della vita, col metronomo viene ricondotta al tempo cronologico degli orologi. Il tempo di un brano può essere accelerato o
ritardato, mentre il tempo degli orologi non può.

Certe cose riusciamo a dirle solo con la musica, ci porta a rivalutare l’esperienza musicale come non accessoria ma necessaria.

Come la vocale “a” è fondamentale per comporre parole, la nota “do” è fondamentale per comporre strutture del sistema tonale. Lo faccio
scrivere, suonare, cantare, interiorizzare. È la nota della scala di riferimento, ma anche la tonica. La nota dove si risolvono tutte le tensioni.
Ma anche la quinta giusta della triade costruita sul quarto grado, ma anche la settima minore della quadriade costruita sul secondo grado.
Si parte dalla microstruttura, che già contiene una tta rete di elementi che portano a determinare dei processi di signi cazione, che
con uiscono in varie aree di signi cati. Si pensi a un intervallo musicale, Do-Sol, quinta giusta, posso considerarli come punto di partenza e
di arrivo, come triade do-mi-sol, o aggiungendo altre note, o considerarle come una melodia aggiungendo degli accordi per diventare una
composizione. Questo è il linguaggio musicale , che presuppone una esperienza profonda acuta non sono una visione marginale, la
musica come visione del mondo, diventa qualcosa che attiene alla nostra dimensione esperienziale, anche come esperienza temporale, la
temporalità ci appartiene. Nasciamo, cresciamo, progettiamo e moriamo. Aideger: la musica manifesta il nostro esserci. 1927. Essendo
temporalità pura, legata a un divenire, implica un ascolto, una visione del mondo molto profonda, autentica. Implica anche che si converga
verso una percezione della musica anche cognitivamente soddisfacente, dire intervallo di quinta non è abbastanza, bisogna averlo nella
testa. Necessita di un lavoro sulla percezione. Non può prescindere da un interiorizzazione. È attraverso questo che possiamo attivare un
processo di interpretazione (ermeneutico) e questo ci permette di allargare gli orizzonti musicali. Come non esiste solo il dialogo
quotidiano, ma anche la poesia, la prosa, la narrazione, non esiste solo la musica di tutti i giorni, ma esperienza musicale più nascosta e
profonda, è bello navigare andando a scandagliare le profondità di questo oceano, la libertà è anche la capacità di instaurare un rapporto
autentico con cosa ci piace ascolterai, non quello che ci dicono di ascoltare.

LE PRATICHE MUSICALI

La musica è un linguaggio, dunque si percepisce (vari livelli di percezione), si ascolta, si produce. Le pratiche musicali ce lo permettono.
Noi pensiamo che la musica è quella che si fa, quella che si esegue, ma una pratica musicale è anche l’ascolto. La pratica vocale dovrebbe
essere di tutti, la voce è lo strumento musicale che ci portiamo dentro. L’aspetto esecutivo è importante, ma non è l’unico. La musica si può
anche solo pensare, concetto molto astratto e alto, il compositore che scrive la musica a tavolino (oggi pratica sempre meno utilizzata), i
compositori del passato non avevano nemmeno il tempo di ascoltare quello che scrivevano, era talmente sicuro che le presentava senza
ascoltarle. Beethoven aveva un approccio compositivo diverso, ha potuto scegliere di più, il lusso di distruggere molto musica che ha
scritto, la sua sordità l’aveva costrutto a pensare la musica. Platone: la musica dà ali al pensiero. Non c’è solo la musica ascoltata, ma anche
pensata, ascolto interiore, ascolto della musica nel silenzio. Nella cultura di oggi si è portati a pensare che la musica si deve eseguire,
produrre, che è importante ma non può essere l’unica determinazione della musica. Visione che appartiene di più al secolo scorso. Le
gure sono dunque tante: l’ascoltatore, il compositore, il pensatore, il direttore, che coordina l’esecuzione. Poi le pratiche squisitamente
ermeneutiche: la critica, l’interpretazione, l’analisi e quindi altre gure il musicologo, il critico.

Due aspetti su cui riusciamo a riassumere le pratiche musicali: la percezione e la produzione. Per un esecutore è importante ascoltare e
interiorizzare la musica. Pensiamo ai solisti di un concerto per solista e orchestra che eseguono a memoria la loro partitura. L’ascolto
fondamentale per memorizzare.

Analizziamo i livelli della percezione. In riferimento all’approccio fenomenologico, come lo sentiamo quando arriva. C’è qualcosa di
fenomenico ma anche di noumenico.

1. Livello siologico: un conto è sentite, un conto è ascoltare un brano. Io mentre ascolto sentendo che le mie orecchie funzionano.
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2. Affettivo-emozionale: livello che una percezione super ciale non basta più, bisogna andare verso l’ascolto. L’ascoltatore va verso la
musica, non la sente passivamente, ma diventa soggetto attivo, partecipante. Richiede attenzione, vivere l’esperienza musicale come
qualcosa di privilegiato, che attiene alla mia dimensione esistenziale.

3. Livello cognitivo-intellettivo: sento, ascolto, penso, e alla ne capisco: voglio scrollarmi di dosso gli stereotipi percettivi, mi rivolgo alla
musica presente ma anche quella passata, mi rendo conto che l’approccio storico è fondamentale, ascolto della musica anche sul piano
storico. Hegel parla di storia in generale, e la storia particolare, la storia della musica, dell’arte, dell’architettura, della loso a, ecc… è
proprio attraverso le storie speci che che cogliamo profondamente l’identità culturale di un popolo, l’essenza di un periodo storico, più
delle storie generali che sono più manipolabili. Vado a riconnettermi con la musica del 500, vado a capire e ho voglia di capire cosa
c’era prima, che visione della musica si aveva, i processi e i cambiamenti che hanno portato ad oggi. Vado a coglierne le strutture, le
tecniche compositive, gli strumenti utilizzati. Sto mettendo in pratica una pratica musicale. È necessario da questo per sviluppare la
creatività e portare alla composizione, come espressione di interiorità, di sentire profondo, di voglia di esserci come persona, non
dettata da processi di merci cazione. È qualcosa che investe anche il senso etico, è un progetto ecologico. La natura è molto sensibile al
volume. Bisogna avere curiosità. Il pensiero è fondamentale, interiorizzare, ri ettere. La musica ha bisogno di tempo. L’approccio storico
va introdotto nella realtà scolastica.

Le pratiche musicali sono strettamente correlate, si compenetrano.

23° lezione - 12 Gen: LA VALENZA SEMEIOTICA


Oggi semiotica e semeiotica sono la stessa cosa. In realtà la semeiotica è nata come una disciplina medica che si occupa di studiare i segni
e i sintomi del paziente, cioè reperti oggettivi e esperienze soggettive. Si parte da un concetto medico introdotto dal medico romano
Galeno, per arrivare a collocare la semiotica in un ambito ermeneutico, interpretativo. L’esperienza porta dei signi canti che vanno poi
interpretati.

RIFLESSIONE STORICA SULL’EVOLUZIONE MUSICALE

La musica è una macro area intrisa di signi cati che rimanda a una serie di signi cati, che possono essere letti in chiave sociale. La musica
rispecchia un certo tipo di società. Ogni epoca ha avuto la sua musica, si è manifestata attraverso l’espressione artistica. La musica come
macro signi cante di un certo tipo di società, mi permette di comprendere, di leggere la storia.

Allora perchè la musica presso i Greci era una disciplina fondamentale? Si legava a quelle scienti che, quindi la matematica, la geometria,
l’astronomia, e quelle umanistiche legate allo sviluppo del pensiero, la loso a, tra esse la musica era considerata una disciplina
fondamentale, che poteva sintetizzare tutte le altre, perchè in essa c’è un aspetto matematico e uno loso co, non è casuale la gura di
Pitagora noto come matematico, losofo, e musicologo. La nostra scala musicale deriva per altro dalla scala pitagorica. La musica come
area disciplinare che comprendeva in sé altre traiettorie del sapere. Nella cultura greca il termine musica aveva un valore importantissimo.
Era già chiaro quanto la musica agisse sullo stato d’animo dell’uomo, si parlava di musica energizzante/estasiante ma anche snervante, la
teoria dell’ethos musicale ci fa capire quanto i greci avessero colto in profondità la valenza della musica, e nello speci co la sua valenza
semeiotica, la musica come summa di signi canti che diventano signi canti su vari piani, affettivo-emozionale, cognitivo, ecc… Facendo un
salto in avanti pensiamo all’Alto Medioevo. Canto gregoriano, dove la musica è solo vocale, de nito cantus planus, per il suo andamento
oscillante, i suoi testi tratti dalle sacre scritture in latino, destinato alle sole voci maschili, e questo traccerà un solco profondo per la vocalità,
l’esclusione delle voci femminili dovrà essere rimpiazzata da quelle maschili che dovranno accrescere l’impianto vocale nella polifonia, che
nasce in contrapposizione alla monodia del canto gregoriano, durante il Basso Medioevo. Nasce in reazione a un’idea di musica univoca,
in cui tutti cantano la stessa melodia, mettendo insieme tante voci, no ad arrivare, con il contrappunto dei maestri amminghi ( ne 300,
inizio 400), a composizioni polifoniche molto complesse, per decine di voci. Tutto questo è chiaramente la manifestazione di una società
che cambia, nell’Alto Medioevo tutto si svolgeva con una lentezza inimmaginabile per noi, il tempo scorreva lentamente; era una società
che sembrava immobile, ma non per questo però improduttiva dal punto di vista creativo. E il canto gregoriano è espressione di questo
ritmo dilatato. Così come la polifonia, mettendo musicalmente insieme le voci, è simbolo una società che si aggrega, che si apre, che vuole
creare collegamenti, che crea i comuni, le signorie, abbandonando la dimensione chiusa feudale. Questo mettere insieme le voci diventa
poi una competizione per i compositori amminghi che si s deranno a chi compone con un piglio polifonico quasi virtuosistico,
ardimentoso. La polifonia cresce a dismisura, arrivando alla composizione di componimenti a 36 voci. Ci vuole però sempre un certo
equilibrio in tutte le cose, per questo in reazione alla polifonia nasce la Camerata dei Bardi, salotto di intellettuali che si riunisce sul nire
del 500 a Firenze, all’interno del quale c’era Vincenzo Galilei, padre di Galileo Galilei, liutista. Questo la dice lunga sul rapporto tra musica e
scienza. Il padre di Galileo aveva instillato nel glio l’amore per la musica. Con la Camerata dei Bardi si dice basta alle complicazioni e si
pone l’accento sulla comunicazione musicale, con l’idea che troppe voci non riescono a comunicare, e che si deve tornare alla semplicità
della tragedia greca, a un canto monodico, a sintetizzare le voci su uno strumento musicale. Proprio in questo momento, sul nire del
rinascimento, gli strumenti cominciano ad essere perfezionati, ad avere ruoli importanti, tant’è che la musica strumentale nasce proprio in
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questo momento. La musica cambia direzione e si focalizza sull’aspetto comunicativo, proprio quello che porterà alla monodia
accompagnata. Con la monodia accompagnata si recupera da una parte la monodia del canto gregoriano, ma dall’altra parte non si
rinuncia a una concezione sincronica, e qui nasce la consapevolezza dell’accompagnamento. In fondo il concetto moderno di canzone, una
melodia accompagnata da strumenti, è un concetto che viene elaborato de nitivamente con la Camerata dei Bardi. In Italia questa
tendenza era già molto sentita, tant’è che i compositori amminghi scendevano in Italia per lavorare, perché la cultura italiana che era più
incline a una concezione meno esasperata del contrappunto. Con la monodia accompagnata nasce poi il melodramma/l‘opera. Alla ne
del 500 prende sempre più piede la musica strumentale, col primo e secondo barocco, con gure emblematiche come Bach, Hendel,
Vivaldi. Nel 700, con il barocco maturo, nasce il concerto, costituito da strumenti ad arco, con l’obiettivo di esaltare la dimensione
conviviale della musica, della festa, si fa musica per festeggiare un momento particolare, la musica diventa emblema dei festeggiamenti,
dello stare insieme, del condividere. E con questo la musica è funzionale, si stacca dalla sola pratica liturgica e diventa parte integrante del
tessuto sociale. Arriviamo poi all’equilibrio della forma tipico del periodo classico (1760-1820), di una società fortemente fondata sui valori
dell’illuminismo, quindi la forma, l’equilibrio, il pensiero, la ragione. La musica diventa un’esperienza condivisa e ricercata secondo gli
schemi e le modalità proposte dai compositori. Chi scrive musica nel periodo classico va incontro alle aspettative dell’ascoltatore. C’è una
sintonia perfetta tra chi scrive e chi fruisce, emerge un pensiero limpido, una progettualità strutturata. É il momento di massima espressione
della tonalità, anche se ancora intesa come la intendeva Philipe Rameau, ovvero nel suo darsi rigoroso, circoscritto ai gradi tonali. Cogliamo
qui forte la necessità che ha l’uomo di aprirsi e andare oltre i con ni che si ri ette sulla voglia di allargare la tonalità, trasportandola in
diverse regioni anche spaziali e facendole oltrepassare i con ni prestabiliti, che abbiamo visto a livello grammaticale con le dominanti
secondarie, le modulazioni improvvise o preparate. La tonalità continua ad allargarsi attraverso il romanticismo, l’impressionismo, le
scuole francese e russa, no a che Shumberg, nei primi del 900, mette in crisi il linguaggio tonale attraverso l’atonalità, ovvero portando la
musica fuori dal sistema tonale. Mette in discussione i capisaldi del linguaggio, e della percezione neuro siologica. Ed ecco che ci si avvia
verso un processo di dissoluzione che però non riuscirà pienamente. Siamo nel 1912, un momento particolare, alle soglie del primo
con itto mondiale, e dunque la musica diventa segno di una crisi, di un disagio profondo della società. La musica diventa segno di uno
spirito in con itto, che si riverbera nell’esperienza musicale, perchè la musica è una disciplina dello spirito. Il 900 sente soprattutto nella sua
prima metà questi con itti, fortemente percepiti dall’identità collettiva, attraverso una musica rompe gli schemi della tonalità, che però
rimarranno molto vivi nella popolazione, dopo le guerre comincia a ri orire un patrimonio di canzoni portate anche dagli americani.
Abbiamo quindi un dualismo, una spaccatura: da una parte la musica di tradizione colta, che rompe con la tonalità, dall’altra la musica
popolare, la musica del popolo, che manifesta un rapporto siologico ancora forte con la tonalità, perchè essa continua a stimolare risposte
affettivo-emozionali forti ed è quello che serve al popolo in un momento in cui ci si vuole riprendere da un periodo così critico. Importante
in questo senso è la canzone, che riesce a trasmettere serenità e edi cazione dello spirito immediata.

Ecco allora che quello che cogliamo dall’evoluzione della musica nel tempo ci aiuta a cogliere il modello di una certa società, comprendere
come funzione un modello sociale. La musica è tutto questo. La semiotica non è una disciplina avulsa dal contesto sociale, ma incentrata sui
processi di comunicazione, che l’uomo ha sempre ricercato.

LA MUSICA OGGI

La società manifesta dei segni attraverso la musica, su cui lavorare sotto il pro lo ermeneutico e interpretativo. Oggi ci sentiamo liberi di
esprimerci. Però pensiamo a quanto sia dif cile cantare un ragazzo, o un adulto, eppure il canto è una componente fondamentale
dell’espressività, è la prima espressione dell’uomo. Rinunciare al canto è un sintomo di mancanza di espressività. La società ci dà segni
precisi, perchè circolano meno melodie, la vocalità spontanea è in declino? Una volta durante il lavoro si cantava per lenire le fatiche del
lavoro, aspetto persino terapeutico, interroghiamoci su questo. È un segno oggettivo di decadimento melodico. Oggi si istruiscono le
mamme a cantare ai bambini, in realtà dovrebbe essere spontaneo per una mamma cantare una ninna nanna al proprio bambino, non
dovrebbe essere insegnato. Oggi è anacronistica l’idea di omaggiare la persona amata con una serenata. Questi segni che possono
sembrare banali in realtà si riverberano sulla sintomatologia di ognuno di noi, con la paura, la vergogna. In una famiglia in cui non si canta
mai il livello di comunicazione è molto più scarso. Sarebbe opportuno e interessante iniziare la giornata di studio/ lavoro cantando. La vita
è anche gioco, interazione. La musica ha un aspetto ludico, suonare si dice play. Il suono delle parole è diventato così asettico, senza suono,
non c’è recitazione, non c’è poesia. Dovremmo riprendere in mano la prosodia, il suono delle parole. Riprendere in mano la recitazione, la
poesia. Il suono è vita. Oggi abbiamo paura di manifestare la nostra interiorità. Durante il covid si cantava sui balconi, ma non basta.
Bisogna ritrovare un’espressione autentica dell’espressività nella famiglia, nella scuola, perchè la musica non è accessoria ma
fondamentale. Va imparato a scrivere dei pensieri non solo a livello ma anche a livello musicale. Va superata la ritrosia all’uso della voce, la
marginalità dell’esperienza musicale per renderla parte integrante del nostro essere. L’asse portante dell’esperienza musicale non è il
karaoke durante una cena, o la classica cantata sotto la doccia, ma il manifestare se stessi anche se quello che esce non è oggettivamente
bello. Non è la performance quello che conta. La musica non va vissuta come senso di performance, ma con una sospensione di giudizio,
sulla base dell’epoché. La società deve privilegiare gli aspetti espressivi. Il cervello è fatto per dispiegare l’espressività, non per reprimerla.
Bisogna riportare la musica nell’alveo delle discipline dello spirito.
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24° lezione - 13 Gennaio: APPROCCIO FENOMENOLOGICO


RELAZIONALE
La musica ci trasmette delle sensazioni che coniughiamo sul piano psico-corporeo, affettivo-emozionale e cognitivo.

Sul piano psico-corporeo la stimolazione ritmica è l’elemento più importante da considerare, la stimolazione melodica sul piano affettivo-
emozionale, la stimolazione armonica sul piano cognitivo, tenendo conto del fatto che le 3 componenti sono fortemente interrelazionate.
Fenomenologico vuol dire partire dal fenomeno in sé e per sé, per come appare, ed è un concetto molto caro alla loso a Husserliana,
losofo dell’800 seconda metà che poi si affaccerà al 900 con padre fondatore della fenomenologia. È importante partire dal fenomeno e
su questo si costruisce l’esperienza, che in una prima istanza è fatta di impressioni (Hume) e poi sedimenta dentro di noi e arriva a edi care
un mondo interiore anche abbastanza complesso. La musica edi ca dentro di noi un mondo interiore. D’altra parte tutte le esperienze
lavorano, vengono elaborate e conducono a idee, concettualizzazioni, una visione interiore che si riverbera nella weltanschauung. Partire
dalla percezione lascerà delle tracce dentro di noi, andrà a costruire parte della nostra interiorità.

Abbiamo un’identità sonora e una musicale. Con identità sonora si intende circoscrivere tuta l’esperienza audio percettiva, dai suoni
ambientali alla musica. Si costituisce un identità percettiva che è musicale. Questa aderisce alle esperienze in quanto legate alla
dimensione soggettiva.

C’è poi una identità gruppale che è quella che si crea in una realtà costituita da vari individui, ad esempio in un concerto l’identità gruppale
è determinata dal fatto che quel determinato cantante/gruppo costituisce un’icona, chi va a quel concerto si riconosce in quel determinato
cantante. Come identità gruppale possiamo intendere anche la realtà del Setting musicoterapico, costituito in genere da un minimo di 4 a
un massimo di 10 persone, perchè in troppi non si riuscirebbe a esercitare un’azione ef cace. Un intervento musico terapico può essere
anche individuale, in quel caso si direbbe interazione duale tra musicoterapeuta e il partecipante, non paziente perchè in un contesto del
genere è auspicabile che vi sia una partecipazione, in quanto l’obiettivo primario dell’intervento stesso è partecipare con la musica.

Con la musicoterapia introduciamo una categoria culturale, che aderisce a delle istanze culturali, e va a creare un’identità culturale. Infatti,
per parlare di musicoterapia bisogna conoscere la lingua madre dei soggetti a cui ci si rivolge. Entrano in gioco anche identità regionali. Se
i partecipanti sono italiani prenderò in considerazione il linguaggio tonale, e poi considererò la provenienza regionale. Fatta salva l’idea
che nella concezione autentica di musico terapia il principio attivo è la musica nelle sue 3 componenti, ritmo, melodia e armonia.Entra poi
in gioco anche un problema di repertori, che dipende dal vissuto dei partecipanti, e quindi anche dalla loro età; coi bambini dovrò avere
un repertorio adatto a loro, così come con gli adolescenti, gli adulti, gli anziani. Ecco perchè si parte sempre dall’esperienza del
partecipante, il musicoterapeuta deve avere un orientamento da cui partire. Dopotutto musicoterapia è un concetto troppo esteso, bisogna
conoscere i partecipanti per posizionarsi su una determinata fascia d’età, cultura, provenienza, ecc…

Durante il Setting musicoterapico si parla di musica, si usa la musica; pensare che la musicoterapia sia qualcosa dove i signi canti siano
anche scissi dalla dimensione musicale, è una visione impropria della musicoterapia. Si possono utilizzare suoni scissi dal linguaggio
musicale, ma in questo caso invece di fare leva sul linguaggio musicale, come accade nella musicoterapia, si fa leva sulla vibrazione, sul
fenomeno vibrazionale, per questo si parla di terapia vibrazionale. In essa il fenomeno vibrazionale può implicare delle risposte importanti
e essere associato a delle valenza terapeutiche, ma cambia il soggetto, il suo focus è centrato sulla vibrazione.

In Germania, dove si è attenti a terminologia precisa, si distinguono 2 cose molto chiaramente: fototerapia e musicoterapia. La prima è una
sollecitazione vibrazionale, in cui si usa la vibrazione come stimolo terapeutico. Nella fototerapia i signi canti sono vibrazionali e si ha una
risposta più centrata sulla stimolazione percettiva della frequenza, un suono agisce anche da signi cante, ha comunque sempre una
valenza anche semantica. Nella musicoterapia è il linguaggio, cosa ti racconto, cosa voglio tirare fuori di te attraverso il linguaggio verbale.
C’è incompatibilità tra le due? Assolutamente no, cambia semplicemente il focus. Non c’è alcun motivo per dire che una possa escludere
l’altra.

Ambiti della musicoterapia:

• Psicoeducativo: interessa un ambito molto ampio che contiene l’educazione, la pedagogia. L’educazione in senso lato, che coinvolge in
prima istanza la famiglia, poi la scuola, e poi la realtà esterna, quindi che va ad agire sulle realtà scolastiche ma non solo, anche sulle
modalità esistenziali in generale. Quanti disturbi, DSA, molteplici applicazioni. La musicoterapia in questo senso può avere molteplici
applicazioni: uno sviluppo armonico, una creatività a 360 gradi che vada a stimolare tutte le parti del nostro cervello, e a curare tutti quei
disturbi, ad esempio i disturbi dell’apprendimento come il DSA.

• Sociosanitario: interessa la riabilitazione psichiatrica, le malattie neuro degenerative, come l’Alzheimer, il Parkinson, che si stanno
diffondendo, malattie associate all’apparato motorio, in oncologia, la terapia del dolore le cure palliative. In questo senso la
musicoterapia trova un’applicazione, proprio perchè la musica è un’esperienza talmente importante dal punto di vista neuro siologico
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che va a interessare il cervello nella sua totalità. Ennesima dimostrazione che la musicoterapia è una disciplina che deve confrontarsi con
le neuroscienze.

• Preventivo: è separato dai due uf ciali. Un’esperienza musicale buona è foriera di aspetti molto interessanti dal punto di vista relazionale,
educativo e quindi anche terapeutico. Alla base di tutto ci deve essere la relazione, l’asse portante, in rapporto alle diverse esperienze,
alle diverse identità.

Benenzon è il padre fondatore della musicoterapia. La musicoterapia diventa un’esperienza catalizzante perchè si riverbera anche sulla
quotidianità, permette di usare meglio la musica. Dovremmo partire anche nella musica eseguita, un riferimento alla musicoterapia.

In un Setting di musicoterapia si parte dall’esperienza, per questo il musicoterapeuta deve avere una formazione speci ca. È vero che si
parte da una fenomenologia dove la musica è l’asse portante ma non si tratta solo di musica. La formazione, quindi, è sicuramente
musicale, ma speci ca alla prassi musicoterapica, e soprattutto molto centrata sulla semiotica, è infatti una delle manifestazioni più chiare
ed evidenti che la semiotica è necessaria. Ha grande capacità di ascolto e di interpretazione, anche sul piano clinico. Usa la musica come
linguaggio. Non basta saper suonare tecnicamente, bisogna studiare la linguistica musicale e le capacità di relazione. Deve avere, poi,
delle competenze interdisciplinari, neuro siologiche, psicologiche. La musicoterapia è una disciplina a sé stante in cui musica, medicina,
psicologia sono interrelazionate. In un Setting ci si confronta con una miriade di esperienze e si deve essere in grado di valorizzare e
accompagnare quello che c’è stimolando una crescita, di terapia di riabilitazione, fare leva sulle parti sane della persona, non stigmatizzare
le dif coltà. Ciascuno di noi ha parti più forti e più deboli. Anche l’insegnante dovrebbe partire dalla realtà dello studente, partire dal suo
vissuto, dal suo modo di essere nel mondo.

Non come terapia farmacologica, la musica non è un farmaco. Non c’è musica che fa bene o male, anche se oggettivamente la musica oltre
gli 85 decibel è dannosa. Effetto Mozart, ricerca formalmente ineccepibile, consisteva nel far ascoltare la musica di Mozart ai giovani, ha
prodotto delle ri essioni interessanti anche se non si può assolutizzare, questa produce effetti positivi anche se poi le risposte sono
soggettive. Esporsi troppo alla musica non fa bene come esporsi troppo alla luce.

LA CANZONE COME ESPERIENZA RELAZIONALE, EDUCATIVA E TERAPEUTICA

La canzone è fatta di melodia e di testo, e poi c’è l’accompagnamento. Il concetto di accompagnamento, che sottintende il sostegno e
l’aiuto, è un concetto pedagogico che ha dei rimandi sul piano terapeutico. Ciò che di straordinario ha la canzone è che la memoria
melodica resiste, e infatti è una delle ultime cose che decadono nel nostro grande contenitore che è la memoria a lungo termine. Stimolare
la memoria melodica in un anziano signore gravemente malato di Alzheimer, partendo da un vago frammento prodotto da lui stesso (ecco
l’approccio fenomenologico), ha portato a qualcosa di straordinario. Il signore pian piano scavava nella sua mente e portava in super cie il
testo e la melodia, in più a livello di linguaggio non verbale: la sua espressività cambiava, af uiva più sangue al cervello, perchè il canto
stimola una risposta anche in tal senso, il suo volto diventava più colorito, risposta anche a livello motorio, cominciava a tenere il tempo con
il piede e schioccare le dita. Si è in un certo senso riattivato, ha recuperato, attraverso la canzone, la sua vitalità. L’animazione musicale è una
metodologia della musicoterapia, il musicoterapeuta deve valutare tuti questi aspetti, interpretarli e saperli esplicitare in una riunione
collegiale, in cui c’è la componente professionale di medici, psicologi, ecc… in questo senso l’informatica può essere importante per
l’osservazione dei comportamenti durante il Setting musicoterapico. Analizzare parametri differenziati, peculiarità molto attenta, molte voci
da compilare, fatto manualmente richiede parecchio tempo. Informatizzare i test.

La musica è straordinariamente importante, non possiamo relegarla al ruolo che ha in questo tessuto sociale, perchè si va a perdere delle
parti fondamentali del nostro essere. La canzone è fatta di musica e parole, ci sono anche le canzoni solo strumentali ma normalmente
parliamo di composizione destinata a una parte musicale e una parte letteraria. La parte musicale è una monodia accompagnata. La
melodia afferisce all’emisfero destro, la parte verbale afferisce prevalentemente all’emisfero sinistro, l’area di Broca e l’area di Wernicke.
Dunque, quando cantiamo con un testo, facciamo lavorare tutto il cervello a 360 gradi, avviene un’interazione sincronica tra emisfero
sinistro e destro consentita da una parte del cervello chiamato corpo calloso.

Se ci pensiamo la canzone dura, in media, solo 3 minuti. Ma questi 3 minuti sono importantissimi, perchè la canzone accoglie in sé le nostre
istanze emotive anche attraverso elementi extra musicali. Nella canzone ci sono gemiti, urli, strani suoni, sonorità spurie, recitativi, parlato.
Veicola la nostra risposta non verbale anche a livello di cinesica facciale, motoria, infatti ad esempio non si sta mai fermi su un palcoscenico.
La melodia è essa stessa movimento, melodia cinetica. La melodia è movimento, il movimento è melodia. Si giocano aspetti espressivi
importanti, dopotutto la canzone è la musica di oggi, in cui non si ha più tempo di ascoltare intere sinfonie. In realtà dovremmo destinare
alla musica del tempo, per andare indietro a ricercare, per svolgere lo sguardo verso il passato per capire il presente e interpretare il futuro.
Sono 3 minuti importanti perché la canzone scandisce i tempi forti della nostra vita.

La canzone è trans generazionale, attraversa le generazioni. Ci sono ragazzi giovanissimi che cantano Battisti, De Andrè, perchè sono
canzoni che non hanno tempo, che si sono strutturate nel tessuto sociale, e diventate patrimonio pubblico, identità collettiva. La in prima
istanza è un fenomeno relazionale, ascoltiamo canzoni perchè abbiamo bisogna di relazione, perchè ci sentiamo soli, non capiti, abbiamo
vicende sentimentali che vanno male oppure che vanno bene e la canzone ne sottolinea la positività. La canzone scandisce i tempi buoni e
i tempi meno buoni, molte volte si lega a degli aspetti drammatici. Pensiamo alle persone sopravvissute all’Olocausto, c’erano canzoni che
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si legano a quella dimensione speci ca, o il canto dei neri, il blues, i work songs, gli spirituals, che hanno aiutato a sopportare quelle
fatiche. Aspetto relazionale, terapeutico, educativo della canzone sono inscindibili. Il canto degli Alpini, canto di sofferenza, solitudine,
nostalgia, che nascono in trincea dalla paura, dal freddo, dalla precarietà, dalla drammaticità. La morte è lì che li aspetta, e allora ci vuole il
canto per lenire tutto questo. La canzone diventa pedagogia, sostegno, educazione. Pensiamo al canto delle Operaie che lavoravano nelle
fabbriche tessili, e nito il lavoro, camminavano cantando per disintossicarsi dal rumore delle fabbriche. Il canto delle Mondine, costrette a
sopportare una vita estenuante, raccogliendo riso con i piedi nell’acqua e la schiena sempre piegata. É importante sottolineare che tutte
queste canzoni sono coi testi. C’è un aspetto legato alla genesi di questo fenomeno, strutturata sull’esigenze umane di costruire una
relazione, l’uomo come animale sociale.
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