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Lezione 1 -

Giovedì 29 settembre

I. METODOLOGIA DEL DIRITTO COMPARATO

Che cos’è il diritto pubblico comparato?

Si tratta di una disciplina collocata nel più vasto ambito degli studi che hanno ad oggetto la
comparazione giuridica → La comparazione giuridica è un’operazione intellettuale di raffronto,
di paragone, tra oggetti di studio (per noi, ordinamenti, costituzioni, istituti, normative di diversi
ordinamenti, ecc.).

È una scienza relativamente giovane, che nasce (convenzionalmente) con la fondazione della
Société de législation comparée a Parigi (1869) e, successivamente, nel Congresso di diritto
comparato svoltosi nella medesima città (1900).

A prescindere dalla fondazione, il diritto pubblico comparato nasce in un’epoca caratterizzata da:
- Un’incrollabile certezza nel progresso scientifico (positivismo)
- L’affermazione degli imperi coloniali degli Stati-nazione europei (nazionalismo)
- L’intensificarsi dei traffici commerciali (liberismo economico)
- La necessità di operare studi e individuare analogie tra differenti sistemi per individuare
principi comuni su cui costruire diritti uniformi (globalizzazione)

Il diritto comparato è → una disciplina scientifica, all’interno degli studi giuridici, che studia –
attraverso il metodo comparato – l’organizzazione e il funzionamento del pubblico potere, le
relazioni tra potere e società, nonché le modalità mediante le quali si realizzano tali relazioni.
IL DIRITTO COMPARATO NON È LO STUDIO DEL DIRITTO STRANIERO!

IL METODO COMPARATO

Cosa si intende per “fare diritto comparato”?


Non si tratta solo di sapere quanti senatori ha ciascuno stato degli stati uniti, oppure quanto tempo
ha il Re spagnolo per formare un governo.
→ Significa comprendere che il rapporto tra persona e comunità varia da luogo a luogo; che la
religione spesso condiziona i rapporti sociali e giuridici più di una norma secolare; che una regola
che appare logica e scontata per una comunità, può apparire incomprensibile (o anche antigiuridica)
per un’altra.

Ci sono una miriade di concetti estranei al diritto occidentale che, tuttavia, servono per “fare diritto
comparato”:
- Amae, nel diritto giapponese (=armonia)
- Dharma, nel diritto indù (=dovere, più o meno)
- Ubuntu, nel diritto africano (un principio di esistenza)
- Buen vivir, nel diritto sudamericano (un principio sociale)
→ Il diritto, infatti, non nasce ovunque nello stesso modo (può nascere dai giudici, da concetti
religiosi, ecc.).

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PLURALISMO (ci sono più tipi di diritti) e RELATIVISMO (il mio concetto di diritto è relativo)
sono i cardini del diritto comparato.

Il diritto comparato si afferma come scienza autonoma con il Congresso di diritto comparato di
Parigi (1900).
Il congresso, promosso da Raymond Saleilles (professore di diritto civile comparato alla Sorbona),
andò oltre la funzione pratica della comparazione.
Due erano le finalità:
1. L’individuazione di problemi comuni (sulla base di relazioni nazionali);
2. Definire la funzione conoscitiva del diritto comparato (come scienza volta alla conoscenza).

Ogni ordinamento giuridico pretende di essere autosufficiente e completo: ciò non esclude,
però, la presa in considerazione di altri ordinamenti e il raffronto con questi → L’operazione
intellettuale di raffronto, condotta con metodo giuridico, è la comparazione giuridica.

Il confronto è tra soluzioni (normative) adottate da diversi ordinamenti in risposta a problemi pratici
più o meno analoghi.
Il comparatista esamina le soluzioni adottate dai diversi sistemi giuridici per risolvere problemi che
siano analoghi.
La comparazione crea, poi, figure classificatorie comuni di tali soluzioni, anche per meglio
comprendere significato e motivazioni pratiche di tali soluzioni.

Fare diritto comparato non equivale a studiare il diritto straniero → lo studio del diritto straniero è il
presupposto per la comparazione, la quale dovrà poi raffrontare quanto conosciuto con altro diritto,
al fine di cogliere somiglianze e differenze.

Cosa si può comparare?


- Microcomparazione → confronto tra singoli istituti, singole norme, singole discipline.
- Macrocomparazione → confronto tra interi rami del diritto, quando non interi ordinamenti.

Fondamentale per la comparazione è il concetto di FORMANTE DELL’ORDINAMENTO:


“I diversi insiemi di regole e proposizioni che, nell’ambito di un ordinamento, contribuiscono a
generare l’ordine giuridico del gruppo in un determinato luogo e in un determinato tempo” (R.
Sacco).
= andare a vedere qual è la regola che coordina il gruppo

Negli ordinamenti contemporanei, i formanti principali sono la legge (in senso lato), la dottrina e
la giurisprudenza → questi 3 non hanno la stessa “potenza”.
Questi sono utilizzati dal giurista per individuare il “diritto vivente” → si tiene conto della norma in
sé ma anche della sua interpretazione.

Il comparatista che approccia il diritto straniero ha di fronte a sé degli strumenti culturali e giuridici
che non sempre è in grado di padroneggiare.
«Comparare» non si può limitare ad affiancare dati testuali: occorrono i dati del contesto (ad es., le
tendenze della giurisprudenza), così come dati extra-giuridici (ad es., la cultura, l’economia, la
lingua, gli atteggiamenti sociali, ecc.)

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I formanti possono essere di vario tipo:


- Formanti attivi (o dinamici) → atti o eventi che producono direttamente diritto
autoritativo, che insieme alla dottrina e ai formanti non verbalizzati (crittotipi) concorrono a
comporre gli ordinamenti giuridici.
Si tratta solitamente di legislazione e, con varie distinzioni in relazione alla famiglia giuridica in cui
opera, giurisprudenza.
- Formanti non verbalizzati (crittotipi) → modelli impliciti, presenti nei vari sistemi giuridici,
che agiscono in modo pervasivo nella dimostrazione e determinazione di questioni giuridiche.
Sono, per il giurista che li utilizza, qualcosa di ovvio, qualcosa che permea in modo pervasivo e
penetrante la dimostrazione e determinazione delle questioni giuridiche (come l’uccidere un altro
essere umano o il principio giapponese “amae”).

Gli studi comparatistici intersecano una molteplicità di diverse materie:


1. Linguistica e traduttologia → si tratta di trasporre il senso delle parole da una lingua a un’altra;
ancor prima, individuare parole ed enunciati che significhino, nelle varie lingue implicate, cose
identiche, dando infine loro significati omologhi. Es: il concetto di “diritti”.
2. Storia del diritto e delle dottrine politiche → le ricerche storiche permettono di cogliere le radici
di istituti e discipline, svelare i crittotipi, capire analogie e differenze.
3. Filosofia del diritto, sociologia e antropologia giuridica
4. Scienza politica
5. Economica, statistica, geografia

Uno degli esiti principali del metodo comparativo è la CLASSIFICAZIONE → l’utilità delle
classificazioni risiede nel potenziale analitico: accrescono la comprensione di fenomeni complessi,
semplificando i dati del mondo mediante schemi concettuali che danno vita a modelli generali e
astratti.
- Aristotele individuava 3 forme pure di organizzazione politica, 3 corrotte.
- Machiavelli le divideva in principati o repubbliche.
- La dottrina costituzionalistica contemporanea divide le democrazie da tutto il resto.

Attenzione al semplicismo classificatorio! I colori non possono essere divisi in chiari e scuri.
Al tempo stesso, attenzione alla ricerca del dettaglio estremo! Una goccia non è uguale ad un’altra,
ma insistendo troppo sulle differenze si finisce con il descrivere eventi unici.
Le classificazioni devono godere di alcune caratteristiche:
- Devono essere «reciprocamente escludenti» (non vi deve essere un elemento condiviso in due
categorie diverse);
- Devono essere «congiuntamente esaustive» (non rimane alcun oggetto al di fuori delle
categorie);
- Devono tenere in considerazione degli «elementi pertinenti» (dipendenti dalla finalità
comparativa).

Il prodotto della classificazione è la modellistica → un modello può essere un Rechtstypus (tipo


giuridico, cioè recante in sé i caratteri comuni a più ordinamenti), oppure un Rechtsideal (ideale
giuridico), cioè rispondente a “ciò che deve essere”.

Dopo aver classificato la realtà, possono costruirsi delle sintesi: si perviene alla formulazione di
modelli come sintesi delle varie realtà costituzionali che si sono esaminate e come fine proprio della
comparazione.
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Lo studio dei modelli assume rilevanza in relazione alla loro dinamica.


Un modello circola/viene imitato per molteplici ragioni:
1. Per l’immigrazione di un popolo in altro territorio (trapianto);
2. Per conquista (imposizione, non necessariamente con atto di forza);
3. Per azione volontaria (recezione).
Si parla di trapianto di regole giuridiche.

Nel diritto costituzionale comparato, l’esistenza di modelli che si configurano quali forme esemplari
postula di per sé la circolazione dei modelli stessi: le c.d. “costituzioni modello” sono considerate
tali proprio perché largamente imitate.
Le mutazioni giuridiche degli ordinamenti sono dovute per lo più a casi di imitazione-recezione di
modelli giuridici sorti altrove, essendo fenomeno infrequente quello della nascita di un modello
originale (anche se si danno a volte casi di creazione ex novo di modelli, specie dopo le
rivoluzioni).

Il diritto risente anch’esso della globalizzazione uniformante: ma si deve comunque tenere in


considerazione la refrattarietà al cambiamento generata dalla resistenza delle culture (giuridiche e
non) e la rivendicazione di modelli di organizzazione costituzionale alternativi a quello occidentale.

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Lezione 2 -
Lunedì 3 ottobre

II. LE FAMIGLIE GIURIDICHE

Le famiglie giuridiche
Gli ordinamenti costituzionali sono profondamente influenzati da fenomeni giuridici ed extra-
giuridici.
A tale riguardo, i comparatisti (in particolare, privatisti) hanno operato la ricostruzione delle così
dette famiglie giuridiche, costituite da gruppi di ordinamenti che, per evoluzione storica e strutture
giuridiche comuni, si presentano fra loro omogenei.
Nell’ambito del diritto comparato si sono creati degli ausili per aiutare la comprensione degli
ordinamenti attraverso l’unificazione dei concetti che si possono spiegare in maniera più completa
se classificati. Il concetto di famiglia giuridica esplica proprio questo, l’andare a classificare un
qualcosa di giuridico.
Si va a cercare quali sono i tratti fondamentali di un ordinamento in modo da poter vedere se si
hanno delle caratteristiche analoghe, cercando di andare sempre più a monte. Il diritto comparato
non è solo la ricerca delle analogie, ma anche delle differenze.
Il concetto di famiglia giuridica è nata grazie alla dottrina del diritto in ambito privatistico. Il diritto
pubblico comparato ha preso questo aspetto dal diritto privato, mettendosi in una prospettiva più
ambia, in termini di sitemi e ordinamenti.
Il diritto pubblico comparato ha l’obiettivo di dare un ordine /sistemologia alla complessità di
tutti gli ordinamenti che esistono per trovare similitudini e differenze.
Per operare una classificazione occorre tenere conto alcuni aspetti peculiari.

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Ci sono 3 principali caratteristiche da tenere in mente che sono:


• devono essere «reciprocamente escludenti» (non vi deve essere un elemento in due categorie
diverse); se vado a distinguere due ordinamenti devono essere reciprocamente escludenti, cioè le
caratteristiche non devono essere presenti in entrambi (cosa molto basica).
• devono essere «congiuntamente esaustive» (non rimane alcun oggetto al di fuori delle delle
categorie);
• devono tenere in considerazione degli «elementi pertinenti» (dipendenti dalla finalità
comparativa). Cioè che abbia un senso e una finalità.

Perché la classificazione in famiglie giuridiche è un argomento complicato?


Due motivi principali:
• la realtà giuridica è cangiante e molto più articolata di quanto non sia la mente del comparatista,
cioè perché nell’ambito del diritto pubblico comparato prendiamo in riferimento l’aspetto
giuridico, che è un aspetto umano e quindi cambia come cambia l’umanità (periodo storico,
socialità, ecc.) quindi non vuol dire che sia fisso e rimanga per sempre invariato.
• dagli anni Sessanta del secolo scorso, sulla scorta degli studi degli insiemi in matematica (teoria
degli insiemi sfocati), si avvia una classificazione fuzzy, che accetta come alcuni oggetti
appartengano alle classi solo in una certa misura. Alcune classificazioni che sono state fatte
centinaia di anni fa sono state riviste nel corso del tempo, allora si è suggerita la classificazione
“fuzzy” → che prende in riferimento delle variabili e non usa quindi degli elementi rigidi per
classificare. La classificazione secondo questa teoria viene definita “Oltre Finisterrae” (colonne
d’ercole, fine del mondo).

Un’altra complicazione è che la classificazione utilizza/utilizzava il punto di vista occidentale e si


riteneva l’esistenza di un sistema corretto (quello occidentale) e uno non corretto (quello orientale e
del resto del mondo), per esempio quella dei diritti umani può variare di molto tra i due punti di
vista. La comparazione nasce come scienza occidentale: il rischio è l’imperialismo culturale
dell’Occidente, che appiattisce sulle proprie le categorie, i concetti, gli istituti di altre aree del
pianeta. Il problema principale è dato da una concezione di presunzione di superiorità di tradizione
occidentale (condizione etnocentrica - basata sull’etnia).

Che cos’è la famiglia giuridica?


Per famiglia giuridica si intende una «classe» omogenea entro cui raggruppare per finalità euristiche
ordinamenti giuridici che presentano rilevanti tratti comuni.
Un sistema giuridico, inteso in senso ampio, designa l’ordinamento giuridico in senso lato,
comprensivo cioè di quei fattori che «fanno sistema» con l’impianto più propriamente normativo e
interagiscono con il medesimo (fattori sociali, politici, economici, storici, culturali, religiosi, ecc.).
Sono state proposte molteplici classificazioni delle famiglie giuridiche, imperniante su differenti
criteri per raggruppare differenti sistemi giuridici in un numero relativamente piccolo di gruppi (di
famiglie giuridiche).
Ogni classificazione è mezzo e non fine: uno strumentario concettuale per accrescere la
conoscenza dei sistemi giuridici.
Quanto alla natura delle classificazioni, molte di esse stabiliscono un criterio (o un insieme di
criteri) di classificazione determinato e assoluto, che una volta dati si mantengono fermi e a
carattere esclusivo.
Altre, invece, hanno carattere relativo e sono legate al momento storico di elaborazione e ai criteri
prescelti dall’interprete.
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Le classificazione vengono fatte per dare una finalità didattica esplicativa, per mettere ordine
all’esistente e per spiegarlo. Ne sono state fatte molte di classificazioni. Le famiglie giuridiche
hanno come mezzo principale per essere spiegate quello della classificazione.

Qual è il significato sotteso alle classificazioni?


Sono la ricaduta di strategie culturali: la creazione di famiglie giuridiche mira a creare una
geopolitica degli spazi giuridici, volta a creare (o confermare) la gerarchia tra sistemi e famiglie.
Concezione etnocentrica (superiorità di taluni sistemi su altri) e spesso coloniale (quando i sistemi
che si presumono superiori sono quelli delle potenze coloniali) del diritto.
Il «sistema» mal si adatta a contenere aree geografiche lontane (culturalmente e geograficamente):
in Africa, India, Cina o Giappone «il viaggiatore europeo si trova perso» e, per il modo in cui queste
aree «vengono variamente ricostruite e rappresentate», esse finiscono «per costituire un unico
grande e confuso dipartimento d’oltremare». (P.G. Monateri)
Le classificazioni che si sono susseguite nel corso del tempo, sono qualcosa di diverso ogni volta
che vengono fatte delle classificazioni.

1 - Una prima classificazione che utilizza un parametro assoluto per classificare viene basata sulla
legislazione e sui costumi giuridici di popoli differenti (A. Esmein, 1900).
Il criterio utilizzato è quello dell’originalità di un ordinamento, della sua formazione storica, della
sua struttura generale e essenziale.
Vengono identificati cinque ordinamenti giuridici:
• romanistico;
• germanistico;
• anglosassone;
• slavo;
• islamico.
Si tratta di una concezione eurocentrica, che rispecchia il concerto tra le Nazioni europee nella
suddivisione del pianeta in sfere di influenza (non c’è posto, ad esempio, per il diritto asiatico). Il
primo aspetto è la classificazione di cinque famiglie giuridiche che erano i centri di potere nel
1800/1900 e quindi età imperiali (impero britannico, tedesco, impero russo e nel mondo arabo), non
viene fatto riferimento al Sud America e al resto dell’Asia.

2 - Un’altra classificazione viene proposta da H. Lévi-Ullmann (1922).


Il criterio viene identificato nel diverso valore delle fonti del diritto all’interno dell’ordinamento: si
distingue così:
i. un gruppo continentale,
ii. un gruppo dei paesi anglofoni
iii. un gruppo dei paesi islamici (fonte religiosa).

3 - Un approccio antropologico, invece, si rinviene nel tentativo operato all’inizio del 1900 da G.
Sauser-Hall di distinguere gli ordinamenti giuridici sulla base della razza umana.
Ci si áncora all’assunto che l’evoluzione giuridica di un ordinamento presenta peculiarità proprie in
relazione alle caratteristiche culturali di ciascuna razza.
Distingueva quindi:
• una famiglia giuridica indo-europea;
• una semitica;
• una mongola;
• una dei popoli ancora primitivi.
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All’interno della prima famiglia, egli proponeva ulteriori sottogruppi: induista, iraniano, celtico,
greco-latino, germanico, anglosassone e lettone-slavo.

4 - Con il tempo si sono proposte alcune classificazioni che prendessero in considerazione solo i
fattori giuridici, per esempio P. Arminjon, B. Nolde e M. Wolff hanno contestato il ricorso a
elementi esterni di classificazione (1950-1952).
I criteri classificatori sono identificati nei caratteri intrinseci degli ordinamenti giuridici: secondo
questa prospettiva, devono essere tralasciati fattori non direttamente qualificabili come giuridici
(quali la razza o la geografia) e si deve guardare ai tratti propri di ciascun ordinamento, i quali si
evincono da uno studio condotto con gli strumenti propri delle scienze giuridiche.
Viene così prospettata una classificazione in sette gruppi:
• francese;
• germanico;
• scandinavo;
• inglese;
• russo;
• islamico;
• induista.

5 - Altre classificazioni sono tornate a prendere riferimento parametri extra giuridici come R. David
che utilizza due criteri per la classificazione delle famiglie giuridiche:
- ideologico (che si potrebbe dire anche culturale), il quale tiene conto del fattore religioso e
filosofico proprio di ogni ordinamento;
- tecnico-giuridico, il quale, secondario (poiché è plasmato dal criterio ideologico), guarda ad
aspetti più tipicamente giuridici.

Sulla base di questo ordine di idee, David distingue in un primo tempo (1950) cinque famiglie
giuridiche:
• diritti occidentali;
• diritti sovietici;
• diritto musulmano;
• diritto induista;
• diritto cinese.

Successivamente, a distanza di 50 anni, (nel 2002) egli restringe le classi in quattro:


• la famiglia romano-germanica;
• la famiglia di common law;
• la famiglia dei paesi socialisti;
raggruppa poi sotto l’etichetta «altri sistemi» gli ordinamenti di diritto musulmano, diritto induista,
diritto dell’estremo Oriente, nonché quelli in via di sviluppo del continente africano.
Classificazione poco utile perché tutto quello che è distante viene messo nell’ultima categoria

6 - K. Zweigert e H. Kötz (1984) dicono che le classificazioni non sono da intendere in senso
assoluto, bensì siano relativi. Se vado a prendere un ordinamento, ma invece di uno privato prendo
uno pubblico, potrebbe cadere in un altra classificazione, quindi affermano la necessità di
relativizzare ogni classificazione delle famiglie giuridiche, svuotandole di pretese assolutistiche e
assiologiche.
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i. Un primo principio è la relatività per materie: la validità delle classificazioni in famiglie


giuridiche non può che essere riferita alle diverse branche del diritto. Per cui: se si guarda al
diritto privato di un dato ordinamento, esso può essere inserito in una data famiglia giuridica;
mentre, se la prospettiva si riferisce al diritto costituzionale, la collocazione classificatoria
potrebbe essere diversa.
ii. Un secondo principio è la relatività temporale: implica la necessità di considerare il contesto
storico. Per cui: un certo ordinamento potrebbe mutare la sua collocazione da questa a quella
famiglia in relazione al tempo e alle circostanze storiche che lo attraversano.

I fattori determinanti per la classificazione sono cinque:


i. l’origine storica e l’evoluzione di un dato ordinamento;
ii. il predominante modo di pensare dei giuristi;
iii. gli istituti giuridici caratterizzanti;
iv. le fonti del diritto e la loro interpretazione;
v. i fattori ideologici.

Sulla base di tali elementi relativi, viene prospettata una classificazione in otto famiglie giuridiche:
1. romanistica;
2. germanica;
3. scandinava;
4. di common law;
5. socialista;
6. dell’estremo Oriente;
7. islamica;
8. induista.

7 - U. Mattei, intorno alla metà degli anni ’90, disegna una nuova ipotesi di classificazione per
famiglie giuridiche, sulla base delle recenti acquisizioni della scienza del diritto comparato.
Egli sottolinea, in particolare, la necessità di abbandonare una visione eurocentrica degli
ordinamenti, di riconoscere la diversità tra le organizzazioni sociali senza alcun predominio delle
concezioni occidentali e di abbandonare una concezione unitaria di regola giuridica.
L’ipotesi che Mattei propone, dunque, prevede che i sistemi giuridici possano essere raggruppati, in
base al criterio di prevalenza (fuzzy), in tre principali famiglie giuridiche:
1. la famiglia a egemonia professionale (rule of professional law);
2. la famiglia a egemonia politica (rule of political law);
3. la famiglia a egemonia tradizionale (rule of traditional law).
Si tratta di una tripartizione non rigida, basata su un giudizio complessivo di «prevalenza» o di
«egemonia».
In altre parole, i caratteri propri di ciascun ordinamento potrebbero essere ricondotti a più di una
famiglia, ma si sceglie il carattere o i caratteri in esso predominanti per determinare la collocazione
classificatoria. U. Mattei e P.G. Monateri perfezionano la classificazione e adottano come criterio
quello della prevalenza.

1. La famiglia a egemonia del diritto (rule of professional law) è tipica della tradizione giuridica
occidentale.
Si assiste a una netta distinzione tra diritto e politica, così come a una netta separazione tra sfera
religiosa e giuridica. Include i due tradizionali gruppi di civil law e common law.
La tradizione giuridica occidentale presenta una matrice unitaria fondata su due caratteri di base:
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a) la componente tecnico-giuridica si distingue dalla componente politica;


b) la struttura concettuale del diritto è largamente secolarizzata.
Il diritto è concepito come un corpo autonomo rispetto alla religione, alla morale, alle regole sociali.
Esso è funzionale all’organizzazione sociale e alla risoluzione delle controversie: queste ultime
sono composte sulla base di regole preesistenti, generali e astratte; sia i governanti che i governati
sono soggetti alla legge.

2. La famiglia a egemonia della politica (rule of political law) comprende ordinamenti in evoluzione
o transizione.
Non si dà una piena separazione tra politica e diritto, poiché il secondo serve a realizzare le
finalità del primo.
Rappresenta una classe destinata a raggruppare temporaneamente quegli ordinamenti giuridici che
conoscono una fase di evoluzione e/o transizione.
Si tratta di ordinamenti nei quali il momento politico e quello giuridico non sono separati: le scelte
politiche restano nelle mani del potere politico e le soluzioni tecnico-giuridiche risentono
dell’influenza del potere politico.
Gli ordinamenti appartenenti a questa famiglia appaiono protesi verso il conseguimento di un
obiettivo politico, dunque sono in fase di transizione: la loro stessa classificazione è, pertanto,
segnata da questa condizione temporale.

3. La famiglia a egemonia della tradizione (rule of traditional law) è quella propria di ordinamenti
in cui lo strato giuridico è dominato, o fortemente condizionato, da fattori religiosi o etico-
filosofici, così da non assicurare una separazione tra sfera giuridica e tradizione religiosa o
filosofica.
Ricomprende tutti quegli ordinamenti giuridici nei quali non vi è separazione tra diritto e tradizione
religiosa o filosofica.
Si tratta, prevalentemente, di ordinamenti appartenenti all’area orientale, nei quali, accanto a una
organizzazione sociale giuridicamente strutturata, esiste una rilevantissima sfera di rapporti
giuridici.

Alcune considerazioni «conclusive»:


• è evidente che alcune delle famiglie giuridiche (come quella socialista) siano venute meno;
• allo stesso modo, che altre siano sempre più recessive (diritto indù, dell’estremo Oriente), in forza
della contaminazione con altre famiglie.

Ciò ha indotto a ritenere che siano rimaste solo tre grandi famiglie: civil law, common law e diritto
a matrice islamica.
Quando si parla di ‘contaminazione’ si implica la circolazione-imitazione di modelli giuridici.

Può essere conseguenza:


• dell’immigrazione di un popolo in un altro territorio (trapianto);
• di una conquista (imposizione);
• di un’azione volontaria (recezione).

Della contaminazione vi può essere un esito positivo (le condizioni economiche dell’ordinamento
recettore erano adatte socialmente, economicamente, politicamente, ecc.; oppure si sono apportate
al modello quelle modificazioni necessarie per poterlo accogliere nell’ordinamento recettore);
oppure un esito negativo, con crisi di rigetto.
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Lezione 3
Martedì 4

LA FAMIGLIA GIURIDICA DI CIVIL LAW

Viene ricompresa, unitamente alla famiglia giuridica di Common Law, tra le principali famiglie
della tradizione giuridica occidentale (Western Legal Tradition).
Possono essere identificate due famiglie giuridiche con dei tratti in comune (civil law e common
law). Entrambe nascono in un contesto in cui c’era una forte fonte di diritto romano, con un
contesto religioso forte, perché la chiesa non solo aveva un’influenza socio culturale ma anche
giuridica.

Nella classificazione di P.G. Monateri e U. Mattei, civil law e common law costituiscono la famiglia
a egemonia professionale → Le due famiglie hanno comuni radici (ruolo della religione cristiana,
per un tempo anche la centralità della Chiesa cattolica, influsso del diritto germanico, eredità del
diritto romano, ruolo centrale del diritto consuetudinario, ecc.), che avrebbero ben potuto favorire
un’unitaria tradizione giuridica occidentale.
Già nell’alto medioevo, tuttavia, si manifestarono tendenze divisive che avrebbero poi generato le
due famiglie.
- Anzitutto, vi è una forte differenza tra i formanti dominanti → normativo (diritto scritto e creato
dagli organi politici) per il civil law; normativo E giurisprudenziale (anche i giudici creano diritto
vincolante) per il common law.
- Vi è, poi, una differenza nel ruolo della formazione (come si studia il diritto) → nel civil law il
giurista si forma all’università, nel common law anche al di fuori di essa (il ceto forense forma sé
stesso), la formazione giuridica non è necessariamente accademica ma può succedere anche
attraverso gli avvocati, i giudici e coloro che applicano il diritto.

Famiglia a egemonia politica vs. Professionale:

Famiglia a egemonia politica


Sono paesi di transizione, o paesi socialisti. qui il diritto è un elemento strumentalizzato dalla
politica. Tipico caso storico è quello del diritto socialista.
In questi tipo di ordinamenti, esauriti o in esaurimento, dove prevale l’idea che lo
stato deve mantenere il controllo dei sistemi e mezzi di produzione, con un’economica gestita, per
ottenere un sistema in cui si possano abolire le classi sociali e arrivare ad un sistema di uguaglianza
imposta dall'alto, senza classi sociali.
In un sistema di questo tipo di diritti fondamentali sono subordinati all'obiettivo politico
determinato, non spariscono ma questi, e per ottenere uno scopo più alto, possono essere sacrificati.
in un sistema di tipo socialista o egemonia politica, la volontà determinata dalla leadership che porta
verso la rivoluzione, può sacrificare il diritto fondamentali

Sistemi appartenenti alla famiglia a egemonia tradizionale


Questa famiglia comprende sia sistemi basati su visioni filosofico religiosi, sia solo religiosi sia solo
filosofici. in questi tipi di ordinamenti il diritto non è separato da tradizione, religione, o dalle
regole di comportamento filosofico, per cui le regole strettamente giuridiche come le

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intendiamo noi, tendenzialmente regole scritte, sono poche; prevale la consuetudine che ha la sua
origine in norme di tipo religioso, o di tipo tradizionale.
Troviamo il sostrato del diritto che viene da regole che non sono giuridiche. non esistono
presupposti costituzionali per il funzionamento del sistema, ma religiosi, morali, tradizionali.

Come può essere definito il civil law?


È il diritto degli ordinamenti degli Stati a fonte primariamente legislativa, di derivazione romano-
germanica.
Le norme sono di formazione politica (quindi le creano gli organi politici) → centralità del codice e
della legge come fonte del diritto; i giudici devono applicare le disposizioni dei codici ai casi
concreti, deducendo da esse la soluzione della controversia dedotta in giudizio.

Il common law, per converso, «opera» in ordinamenti nei quali il diritto è di formazione
prevalentemente giudiziaria (judge made law). Vige la regola del precedente vincolante (stare
decisis et non quieta movere). Il giudice, nel decidere, è tenuto risolvere la controversia dando
applicazione ai precedenti giudiziari, ossia alle sentenze rese da altri giudici in casi analoghi
→Nell’ordinamento di common law il giudice viene riconosciuto come competente e capace di
creare delle regole, la conseguenza è che il diritto non è di fonte esclusivamente politica.

Perché diventa importante la creazione di diritto da parte dei giudici nel common law?
Stare decisis, il principio del precedente vincolante, un giudice che deve decidere una questione
analoga, attraverso questo meccanismo la decisione di un giudice non rimane isolata ma può
diventare parte della norma.

Va detto che, oggi, le distanze fra le due


famiglie tendono a ridursi:
• Nei paesi di common law è sempre più
frequente il ricorso al diritto di formazione
legislativa (statutory law), e anche nei paesi
di common law il diritto di fonte legislativa è
gerarchicamente sovraordinato a quello di
fonte giudiziaria;
• Nei paesi di civil law i precedenti
giurisprudenziali, sebbene non vincolanti,
influenzano sempre più i giudici (c.d.
efficacia persuasiva del precedente).

Estensione geografica
Quella di civil law è la famiglia giuridica cui appartengono gli ordinamenti della maggior parte del
pianeta. Sono ordinamenti in cui la fonte scritta è quella principale e si dà molto valore al codice. Il
codice nasce nella famiglia di civil law, codice significa raccoglier più norme.
Rileva la comune tradizione romanistica → diritto francese, tedesco, italiano, spagnolo, portoghese,
latino-americano, ecc.

Si tratta di ordinamenti a diritto scritto → nel 1804 la Francia approva i primi codici (civile, penale,
di commercio). La codificazione si propaga poi in tutta Europa, in America latina, nelle Colonie,
ecc.
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Il secolo XIX si chiude con l’entrata in vigore del codice civile tedesco (Handelsgesetzbuch –
HGB), nel 1900.
Quello francese e quello tedesco costituiscono i modelli per gli altri codici.

Alcuni esempi di codificazione:


Danimarca (1687), Svezia (1734), Prussia (1794), Francia (Codice napoleonico, 1804), Austria
(1811), Germania (Bürgerliches Gesetzbuch, 1900), Svizzera (1911-1912).
I codici francesi furono importati nelle aree conquistate da Napoleone e in seguito adottati con
modificazioni in Polonia (Ducato di Varsavia, 1806), Louisiana (1807), Cantone di Vaud in Svizzera
(1819), Paesi Bassi (1838), Italia e Romania (1865), Portogallo (1867), Spagna (1888).

L’importanza del diritto romano:


La base del common e del civil (in comune) è il diritto romano.
Il diritto romano dal punto di vista privatistico è stato qualcosa di fondamentale nel mondo, perché
ha influenzato moltissimo quelli che sono gli ordinamenti moderni.
La composizione giustinianea ha dato avvio all’idea nella scrittura dei codici. Quello che è nato è lo
Corpus iuris civilis (529-534). Successivamente c’è stata la raccolta delle regole esistenti in testi
scritti unici, costantemente consultati e aggiornati

La codificazione è, tuttavia, una delle ultime fasi nelle quali si articola la storia della famiglia di
civil law. È, anzi, il compimento naturale di un lungo processo che ha ascendenze e origini antiche
→ si ricollega al diritto dell’antica Roma (=raccolta di norme in modo organizzato), ma se ne
discosta in forza di un’evoluzione più che millenaria.
Si fa parola, dunque, di un modello di famiglia giuridica basato sul codice, fonte (scritta) del diritto
generale per i rapporti tra privati, con un ruolo secondario del formante giurisprudenziale (che non è
autonoma fonte del diritto).

Le origini del civil law


Affonda le proprie radici nella tradizione millenaria del diritto romano, che ha il proprio apice nella
compilazione giustinianea (ha dato l’idea della scrittura dei codici in modo che chi volesse studiare
le norme le potesse trovare scritte in opere scritte) → L’imperatore romano d’Oriente Giustiniano
(527-565 d.C.) avvia una monumentale opera di «compilazione» degli scritti dei giuristi romani
classici: il Corpus Iuris Civilis, manuale in 4 libri destinato all’introduzione agli studi giuridici.

Si affiancano successivamente:
- Il Digesto (o Pandette): 50 libri contenenti gli estratti dei giureconsulti romani ordinati per
materia, adattati alle esigenze dell’epoca della compilazione;
- Il Codice: 12 libri che raccolgono in ordine cronologico le fonti promananti dagli imperatori
(constitutiones, leges);
- le Novelle: raccolta di decreti e rescritti imperiali dal 534 d.C. in poi, vale a dire da quando si è
conclusa la compilazione.

Venuto meno l’impero romano d’Occidente, scompaiono il potere centralizzato e il controllo dotto
sulla produzione giuridica . Dopo la caduta dell’impero romano si sono stabiliti delle autorità con
delle regole diverse dal diritto romano. Inizialmente c’è stato un rigetto delle normative vigenti, i
barbari pensavano di aver conquistato anche in termici politici quindi non volevano applicare le
norme romane. L’idea di codice inizia ad essere compresa lentamente solo successivaente.

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→ Nell’alto medioevo (V-XI secolo d.C.), la compilazione giustinianea diviene inaccessibile in


Occidente. Ne circolano solo alcune parti, così come circolano le codificazioni del diritto romano
volute dai sovrani barbari stanziati entro i confini dell’Impero romano (Lex romana Wisigothorum,
Lex Romana Burgundiorum, ecc.).
Venendo meno un potere centralizzato di produzione giuridica, ciascuna delle varie nationes
(romane e barbare) nel vecchio territorio dell’Impero sono assoggettate alla legge della propria
stirpe → i romani al diritto romano, i goti al diritto goto, ecc. → Personalità del diritto (=non esiste
più un diritto pubblico romano unitario e centralizzato, ma se ne creano altri).

L’impero romano aveva un’estensione geografica impressionante e quindi l’esplosione del diritto
romano porta alla personalizzazione del diritto, si vanno cosi a creare un nuovo diritto in ogni
popolazione.
!!!Solo la Chiesa romana (cattolica) conserva una propria unità e un potere centrale di produzione
normativa.
Con il passare del tempo, le varie nationes germaniche divengono stanziali e si convertono al
cristianesimo → sono quindi pronte ad accettare il diritto romano; così fanno anche altre nationes.
Iniziano a formarsi delle compilazioni non più basate sulla personalità del diritto, ma destinate a
tutti i sudditi di un regno romano-germanico: Editto di Teodorico (460 d.C.), Codice visigoto di
Eurico (475 d.C.), Codice di Gundobardo (474-518 d.C.), ecc.

L’avvento del feudalesimo


È quel meccanismo attraverso cui un signore è proprietario terriero da in concessione le terre ad
altre persone e sono legati da un vincolo al proprietario terriero. Per la prima volta si trovano delle
regole giuridiche.
Nasce il concetto di leva/imposizione fiscale, per cui il signore feudale ha la giurisdizione su i
rapporti con i feudatari. Abbiamo la regolazione del feudo, fonte di rapporti pubblici e privati. Alla
fine del III secolo d.C. inizia un fenomeno divenuto poi peculiare dei secoli IX-XIV → il
feudalesimo.
Si tratta di un sistema di potere nel quale la concessione delle terre da un signore a un
concessionario subordinato implica anche il trasferimento di potestà pubblicistiche (servizi militari
con la leva obbligatoria, leva ovvero imposizione fiscale, esercizio sulla giurisdizione) → Le terre
sono un’unità economica, un fondo di diritto privato, ma pure un luogo di esercizio del potere
pubblico (=Il feudo per la prima volta è un luogo in cui possiamo trovare un diritto privato e un
diritto pubblico; mentre il diritto romano era prevalentemente privato → non prevedeva regole ad
esempio tra il singolo e le autorità pubbliche).
Storicamente nel diritto romano non esisteva il diritto pubblico ma solo di diritto privato.
Esistevano sì delle regole di base per la gestione del potere, però erano delle regole molto mutevoli.
Il concetto di feudo è quello che per la prima volta trova l’applicazione del diritto pubblico.

La «riscoperta» della compilazione giustinianea rimonta ai secoli XII-XIII d.C. → nascono le


università e rifioriscono gli studi di diritto romano. Il diritto del XIII secolo è passato per quasi
mille anni di evoluzione: l’impero romano non esiste più, vi sono state le invasioni barbariche, si è
affermato l’impero carolingio, prima, e quello germanico, poi, vi è stato il feudalesimo, ecc.
Si forma un diritto con un sostrato di diritto romano risultante dalla compilazione giustinianea.
Molti sono però gli apporti «nuovi»:
1. Il diritto canonico → il diritto della Chiesa universale, che negli stessi anni in cui si avvia lo
studio scientifico del diritto romano conosce la propria codificazione (1140: decretum Gratiani).
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2. Il diritto germanico → già nei secoli IV-V-VI i popoli germanici si insediano nel territorio
dell’impero e vi importano il proprio diritto di matrice consuetudinaria, che non elimina il
diritto romano.
3. I diritti locali, le consuetudini e il diritto feudale: si passa da personalità (del diritto, ovvero
creato per un certo popolo) a territorialità del diritto (legato al territorio e non alle persone; una
persona che si trova in un luogo deve sottostare al diritto esercitato in quel luogo).

Da creazione a interpretazione del diritto: Passaggio fondamentale, per l’evoluzione della famiglia
di civil law, è la nascita delle università (non creano diritto ma lo INTERPRETANO – parliamo di
un luogo di studio e INTERPRETAZIONE del diritto). La nascita delle università è importante
perché cosi inizino a crearsi dei soggetti che non creano diritto ma lo interpretano, abbiamo la
nascita di un mondo di giuristi in grado di prendere la normativa e di interpretarla - nasce
l’interpretazione giuridica.

Nel 1147 Papa Eugenio III concede alla corporazione degli studenti di Bologna la Bolla che forma
la prima Università.
Si forma tramite l’università il primo «giurista» della storia → Irnerio, fondatore della Scuola dei
Glossatori, il cui oggetto di studio è l’intera compilazione giustinianea. Il testo veniva letto e poi
interpretato parola per parola (glossa: spiegazione posta a margine del testo). Nasce così
l’interpretazione - sempre più complessa e raffinata - dei testi giuridici.

La fase che va dalla riscoperta del diritto romano alla rivoluzione francese → fase del diritto
comune.
Esso aveva originariamente carattere suppletivo → trovava applicazione laddove il diritto feudale,
gli statuti e le ordinanze locali non disponevano.
Questa fase non si caratterizza per la presenza di un potere pubblico unitario per tutto il continente.
Al contrario, proprio la debolezza delle istituzioni imperiali permette di assistere alla nascita delle
monarchie nazionali. Il particolarismo politico è prima crisi dei poteri universali, poi del
rinnovamento dei centri politici (comuni, principati, regni) a livello europeo. Questi centri
manterranno il diritto comune come sostrato giuridico applicabile dove non dispongono i diritti
locali.

Sin qui, dunque, il diritto è elaborato dai giuristi. Si tratta:


- Di un diritto «colto» e dottorale;
- Proprio perché diritto dottorale, non si interessa particolarmente dell’applicazione del diritto
(maggior interesse per la formulazione della norma, che per la sua pratica applicazione);
- Proprio per le sue radici scientifiche, le regole giuridiche sono viste come regole di condotta,
legate alla giustizia e alla morale.

Tra il XVI e il XVII secolo si assiste alla crisi e poi al declino del diritto comune:
1. Viene meno, con la Riforma protestante, l’unità religiosa, recidendo così la principale forma di
legittimazione del diritto romano come diritto comune.
2. Si affermano e si stabilizzano gli Stati nazionali → cessa la concezione transnazionale del
diritto, cui si sostituisce una concezione statuale.
3. Vi è un ruolo sempre più pervasivo dei tribunali nazionali e del diritto statale in luogo di quello
romano.
4. Si assiste allo sviluppo di una certa complessità delle fonti, che rendono incerto individuare il
diritto applicabile.
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La Rivoluzione francese rappresenta un «trauma» per la famiglia giuridica di civil law, causando
trasformazioni istituzionali radicali e innovazioni nel sistema delle fonti del diritto. Ha per la prima
volta creato qualcosa di giuridico che prima non c’era, la rivoluzione francese porta diversi istituti.
Passaggi fondamentali che porta la Rivoluzione:
- La legge del Parlamento, che rappresenta la volontà del popolo sovrano, diviene fonte primaria
→ il Parlamento quindi è l’unico soggetto che può creare diritto.
- Lo Stato (l’organo che esercita il potere tramite il Parlamento, può creare diritto – è una
specificazione del primo punto) assume il monopolio della produzione del diritto.
- La dottrina viene relegata alla funzione di commento ed esegesi del testo normativo.
- Il giudice si limita ad applicare la legge (i giudici sono solo dei funzionari del potere; non
rappresentano la volontà del popolo quindi ovviamente non possono creare diritto).

→ A livello tecnico, il momento di cesura, con il conseguente passaggio all’attuale «forma» della
famiglia romano-germanica, è data dal processo di codificazione (relegato allo Stato, che lo fa
attraverso il Parlamento).

Il concetto che ha guidato la rivoluzione era di potere al popolo,


- potere al popolo: l’unico soggetto in grado di creare diritto è l’istituto che rappresenta il popolo:
parlamento, non esiste altro organo che crea regole vincolanti
- Creazione teorica dell’idea di stato, e solo lo stato può creare diritto

Il civil law, come detto, si basa essenzialmente su di un codice, diritto generale dei privati, di
fonte legislativa e politica → Il codice soppianta tutto il diritto precedente: viene meno il diritto
comune, soppiantato da un diritto che è nazionale; vengono meno gli arcaismi e la molteplicità dei
diritti locali; viene meno il particolarismo giuridico, in favore di regole generali astratte.

Il 1804 è l’anno nel quale entra in vigore il code civil francese, che ha unito le categorie
romanistiche con i principi liberali della rivoluzione francese.
- Solo la Germania attenderà fino al 1896-1900 per darsi un codice autonomo dai modelli francesi
ed elaborato sulla base della elaborazione della scienza romanistica tedesca del XIX secolo.
- Ancor di più la Svizzera, il cui codice civile è del 1911.

Tramite l’occupazione napoleonica (1804-1812) e la conseguente riorganizzazione dei territori


conquistati, esso diviene diritto vigente in Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Italia, Ginevra, Berna,
parte della Germania.
La caduta di Napoleone non implicò, poi, il rifiuto del modello francese, anche perché la Francia
assurse a potenza coloniale e diffuse il codice in Africa e Asia.

In Germania, la mancanza di un potere unitario, la frammentazione politica e l’attivismo delle


università favorirono un modello di codificazione differente.
La Germania conosce l’ALR (Algemeines Landrecht für die Preussischen Staaten) del 1794, una
raccolta (consolidazione) del diritto vigente, pubblico, privato, amministrativo (più di 17.000
articoli!).
Il Bürgerliches Gesetzbuch venne promulgato nel 1896 ed entrò in vigore nel 1900.

L’Austria, invece, conosce una codificazione in parte accostabile alla Francia, poiché il codice è
frutto di un disegno politico di uniformazione del diritto civile dei vari territori dell’Impero.

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Iniziato già sotto gli auspici di Maria Teresa d’Austria, esso venne completato nel 1811 ed entrò in
vigore con la denominazione di ABGB (Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch für die gesamten
deutschen Erbländer der Oesterreichischen Monarchie).
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Lezione 4
Giovedì 6 ottobre

La famiglia giuridica di common law


La seconda grande famiglia giuridica che rientra nell’egemonia professionale è quella di common
law, una tipica occidentale. Ha un’estensione geografica inferiore rispetto a civil law, che è legata
principalmente al mondo anglosassone. Questa famiglia giuridica nasce in Inghilterra per poi
svilupparsi nel resto del mondo grazie alle influenze coloniali (America del Nord, Asia e Africa).
È la famiglia giuridica cui appartengono gli USA (eccetto la Louisiana), il Canada (eccetto il
Québec), l’Australia, la Nuova Zelanda, la Malesia, l’India, ecc.
Nell’ultimo secolo il diritto statunitense ha raggiunto una certa notorietà rispetto a quello britannico,
Con il declino dell’impero britannico e l’ascesa degli USA a potenza mondiale, è ormai il common
law degli Stati Uniti il punto di riferimento: rispetto al sistema inglese, ha caratteri propri
(costituzione scritta, sistema federale, tradizione accademica).
Il common law è considerato più semplice perché deriva da una tradizione unitaria che si vede in
due risvolti applicativi, perché in tutti gli ordinamenti che si sono sviluppati l’inglese è stata la
lingua adottata, di conseguenza tanti istituti storici non hanno trovato ostacoli nella traduzione.

Il common law si struttura come un sistema unitario: un precedente inglese del XVII secolo può
essere richiamato e applicato anche da un giudice canadese o malese.
Altresì, come un sistema omogeneo, posto che vi è congruenza pressoché completa fra common law
e ordinamenti di lingua inglese.

Il diritto inglese (common law) è il diritto dell’Inghilterra e del Galles.


Non è il diritto del Regno Unito o della Gran Bretagna: Scozia, Irlanda del Nord, Isola di Man e
Isole del Canale sono soggette a diversi diritti.

Tutti i passaggi che abbiamo visto per il civil law non sono applicabili nel common, perché in
Inghilterra non ci furono tanti cambiamenti. Non si è visto quindi lo sviluppo del diritto romano e
della codificazione dopo la rivoluzione francese. La separazione del potere era già presente in
Inghilterra (anche se applicata in modo differente).
Il common law si sviluppa in maniera unitaria nel territorio ed è molto legato a schemi storici, c’è
una profonda continuità storica: il diritto inglese non conosce né il rinnovamento che il Continente
ha sperimentato con la «riscoperta» del diritto romano, né la cesura della codificazione.
Il common law presenta ancor oggi forti caratteri di medievalità, i quali, invece, nel continente
capitolano in forza della modernizzazione assolutistica.

Fasi storiche del diritto inglese:


1. periodo anteriore alla conquista normanna;
2. 1066-1485: da conquista normanna a dinastia Tudor, formazione del common law come diritto
comune a tutto il Regno;
3. 1485-1832: si sviluppa un ramo complementare del common law, l’equity;
4. 1485-oggi: fase del common law «moderno»: ruolo crescente della legge, mutamenti nella
società, affermazione del diritto amministrativo, del diritto europeo, fine dell’Impero.
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1 - Periodo anglosassone.
La nascita del common law possiamo identificarla con il 1066 che porta la conquista del potere da
parte dei Normanni, che da lì in poi avranno l’egemonia sulla dinastia monarchica.
In realtà, il processo di formazione è molto più lento e graduale: inizia nel periodo anglosassone,
anteriore alla conquista. Quattro secoli di dominazione romana non hanno lasciato tracce del
relativo diritto: più importante è il ruolo delle tribù germaniche (Sassoni, Angli, Iuti e Danesi: 449
d.C.) e del loro diritto e la conversione al cristianesimo (596 d.C.).
La prima differenza importante è che nel territorio inglese il diritto romano è stato completamente
abbandonato, prima del 1066 il diritto romano era qualcosa che era esistito ma dopo il crollo del
impero cade in disuso. Ci fu anche l’abbandono completa della lingua.

A differenza di quanto accade sul continente, i sovrani – quali Æthelbert del Kent (600 d.C. circa) e
Cnut (1017-1035) – raccolgono le leggi germaniche non in latino, ma in anglosassone.
In più, il diritto è ancora un diritto locale, frastagliato, non comune a tutto il regno.
Si applica il diritto in senso localistico, non c’è una applicazione unitaria sul territorio inglese, come
con le popolazioni barbariche dopo l’impero.

2 - Dopo la conquista normanna.


Guglielmo il Conquistatore si considera successore dell’ultimo Re anglosassone Edoardo il
Confessore.
Dichiara di mantenere in vigore il diritto anglosassone; importa in Inghilterra un potere forte e
centralizzato (‘feudalesimo’ diverso da quello europeo continentale).
Nasce un potere centralizzato, il diritto precedentemente in vigore vengono comunque fatti propri
dal chi stava al potere, ma nel senso che si volesse unificare il tutto sotto la stessa tradizione
giuridica. Questo potere centralizzato nasce in maniera da combattere il particolarismo del contro di
potere.

Con il feudalesimo c’è l’esplosione dei centri di potere. Questo potere centrale da vita a
numerose istituzioni che sono di diretta emanazione del re. Il re esercitava il potere in modo
indiretto ma attraverso un’istituzione che si chiamava curia regis, un circolo ristretto di fedeli che
esercitavano per conto suo il potere generale, da qui nasce l’idea che qualcos’altro oltre al re possa
applicare il diritto. Le corti iniziano ad essere create perché non ci poteva essere un unico potere
centralizzato in un grande territorio, attraverso questa logica vengono a crearsi le corti o tribunali di
common law, che sono in grado di applicare il diritto. Così inizia a crearsi una consuetudine, un
diritto unitario perché tutte queste corti fanno riferimento ad un unico diritto
Le istituzioni centralizzate volute dal Re per evitare le conseguenze nefaste del feudalesimo
continentale (che causa frammentazione del potere) sono tutte gemmazioni della curia regis, ossia
l’organo centralizzato di governo che amministra gli affari di Stato (potere legislativo, giudiziario e
diplomatico).
Ben presto queste gemmazioni si emanciperanno: le prime istituzioni a emanciparsi sono le corti di
giustizia (potere giudiziario).
Ciò impedisce alle consuetudini locali di affermarsi e prevalere, come nel Continente: si forma un
diritto comune di produzione giurisprudenziale, ricognitivo delle uniformi tradizioni del Regno.

Ecco la denominazione common law → È il diritto comune al regno (lex terrae, law of the land),
creato dalle corti nel ruolo ricognitivo delle tradizioni del Regno.
Si applica sulla base del principio di territorialità del diritto: è eguale per tutti, e a questo i sudditi,
quale che si la classe sociale alla quale appartengono, sono assoggettati.
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Questo è il passaggio alla territorialità del diritto, qui la territorialità si crea grazie alle corti. La
particolarità di questa costruzione teorica è che da subito in maniera differente rispetto ala maniera
continentale era un diritto che vincola anche il potere pubblico ( div. era solo per i sudditi). La
logica di amministrazione della giustizia rimane al comunque alla monarchia.

I Re normanni stabiliscono un sistema di amministrazione centralizzato della giustizia.


Dalla curia regis nascono tre Corti:
- Court of Common Pleas (competenze generali),
- Exchequer (competenze contabili e di bilancio),
- King’s bench (questioni pubblicistiche).
Le corti nascono dal centro e col tempo iniziano a contrastare con esso.
Si riuscì a far prevalere il ruolo delle Corti centrali di giustizia su quello delle corti nobiliari
(manorial courts) e di contea (county courts).
Un sistema così centralizzato consente l’affermazione di un diritto che è comune a tutto il Regno ed
eguale per tutti: in gran parte giurisprudenziale, ricognitivo delle uniformi tradizioni del Regno.

Il «miracolo» del common law è quello di un diritto regio, comune a tutti i sudditi, che rimonta alle
consuetudini immemorabili del Regno anteriori alla conquista normanna, nato negli interstizi dei
diritti particolari e via via sviluppatosi grazie al trionfo del centralismo regio e delle sue corti.

Il processo di «consolidamento» delle consuetudini si perfeziona già alla morte di Enrico II (1189).
Così, ancora oggi, per affermare che una norma – della quale si chiede applicazione da parte dei
giudici – appartenga al common law è necessario provarne l’immemorial antiquity: che, cioè, si sia
formata prima del 1189.

Poiché il common law è un diritto formatosi da consuetudini interpretate da corti che si sono venute
separando dalla curia regis, esso si affranca infine anche dallo stesso Re, il quale è assoggettato alla
legge della terra, che è poi la stessa legge che lo fa Re.
Non viene a crearsi, come nel Continente, un diritto specifico per i rapporti tra cittadini e pubblici
poteri (il diritto amministrativo): anche i pubblici poteri sono assoggettati alla comune legge del
Regno.

Il Re non perde però del tutto la capacità di creare diritto. Anziché rivolgersi alla manorial court, un
cittadino può chiedere al Cancelliere del Re (dietro pagamento di un fee) il rilascio di un writ
(breve, in latino).

Il diritto inizia ad essere creato dalla giurisprudenza, con queste corti che applicano un diritto
comune.
C’è una prima ritrosia da parte del potere centrale, perché il re non farebbe più leggi, allora si nota
la nascita dell’istituto dei writs, che sono delle forme di tutela che venivano emanati dal re per dare
tutela ad alcune situazioni particolari. Il common law non era in grado di tutelare tutte le situazioni
giuridiche esistenti. Questo particolare tipo di procedura veniva tenuto per il re e la sua cancelleria.
È l’ordine con il quale il Re si rivolge al proprio funzionario locale (lo sceriffo), affinché si attivi
per la soddisfazione del diritto di colui che ha chiesto il writ.
L’inosservanza dell’ordine è offesa diretta al sovrano e comporta l’imprigionamento del
responsabile.

Cosa sono i writs?


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I writs prendono diversa forma e diverso contenuto: varia il diritto per il quale si chiede
soddisfazione, la corte che giudica (esiste, dunque, ancora una forte relazione tra Re e potere
giudiziario: il secondo tutela il diritto ‘creato’ dal primo), il modo con il quale si conviene in
giudizio, ecc.
L’insieme dei writs è raccolto poi in un registro di formule che sono ormai predefinite (forms of
action).
I writs venivano con il tempo ampliati perché lo decideva la stessa autorità monarchica, anche i
writs hanno iniziato a formalizzarsi, potevano essere applicati più spesso e diventarono meno
discrezionali.

Nell’emanazione dei writs, la cancelleria del Re godeva di amplia discrezionalità, rappresenta il


tentativo di manette il potere della creazione del diritto. Creare i writs significa creare anche nuove
norme dell’ordinamento: la contrazione nell’emanazione dei writs si darà solo con l’avvento del
parlamento. Il parlamento nel corso dei secoli divenne qualcosa di più funzionale, c’è l’inizio della
separazione dei poteri.

Le Provisions of Oxford del 1258 limitano il potere di emissione dei writs da parte della cancelleria,
si blocca la produzione del diritto “a piacimento” da parte del re, cosa che getta le basi per la
successiva evoluzione del common law.
Statute of Westminster II del 1285: si consente alla Cancelleria regia di emanare writs in consimili
casu, che ammette l’estensione dei writs già esistenti a fattispecie nuove.

Il sistema si completa tra XIV e XV secolo.


Sono le corti a consentirne l’evoluzione: la giurisprudenza diventa la principale fonte del diritto.
La definitiva emancipazione delle corti dal sovrano ne legittima l’azione in base a un principio che
è superiore allo stesso sovrano, la rule of Law.

3 - La nascita dell’equity.
Per quanto le corti si sforzassero di adeguare il sistema per offrire soluzioni conformi a giustizia, si
manifesta l’incapacità di proteggere tutte le situazioni giuridiche meritevoli di tutela in base al
common law.
L’alternativa è trovata in un ricorso al Re, fonte di grazia e giustizia: dal 1400 ci si rivolge sempre
più alla Chancery Division, emanazione del Re e organo che amministra l’equità canonica, potendo
giungere anche a sovvertire le decisioni delle corti di common law.

La procedura della Corte di cancelleria è influenzata dal diritto romano-canonico: molto attenta ai
caratteri peculiari di ciascuna lite (si dice che agisce in personam) e poco ai formalismi.
La Corte di cancelleria applica un proprio diritto «di equità» (equity), non legato alle rigide
forms of action e in grado di sviluppare nuovi istituti (ad esempio, il trust).

Nasce l’idea di una giustizia amministrata discrezionalmente da parte dalla monarchia/centralità.


quindi una giurisdizione parallela.

Questo dualismo riflette il contrasto tra le corti e il sovrano.
All’inizio del XVII secolo, la contrapposizione tra common law ed equity rispecchia quella tra
Parlamento (e corti) e Sovrano: è il contrasto tra chi ‘crea’ diritto.
Il compromesso, preludio alla fine del potere assoluto della Corona, si trova, nel 1616, nella
convivenza delle due giurisdizioni, che iniziano ad assomigliarsi sempre di più.
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Il compromesso fu la creazione di due giurisdizioni, uno dalla monarchia (Equity) e uno della
common law.

L’affiancamento crea una punto di equilibrio, ma con il tempo viene sbilanciato in maniera sempre
più importante in sfavore della monarchia, anche equity comincia a prendere a riferimento quelle
tradizioni memorabili della giurisdizione di common law.
Si assiste così alla progressiva tecnicizzazione dell’equity: abbandona la natura «equitativa» e
sviluppa regole procedurali analoghe a quelle di common law, fino all’affermazione definitiva
(1676) del principio che anche equity follows the law: il giudice di equity deve decidere non già in
base a norme morali/equitative, bensì su motivazioni giuridiche.

4. Il common law «moderno».


Nel 1873-1875 i Judicature Acts sopprimono ogni distinzione procedurale tra common law ed
equity: ogni corte è ora competente ad applicare tanto norme del primo, quanto del secondo.
Vi è un ruolo crescente della legislazione: conseguenza della Glorious Revolution (1688-1689), che
porta con sé il principio supremo dell’ordinamento inglese, la sovranità del Parlamento.
La definitiva perdita di centralismo da parte della monarchia. Il common law moderno ha il
principio della netta supremazia del parlamento sulla monarchia.
La particolarità è data dal rapporto con la costituzione.
Cos’è una costituzione?
È un concetto che si lega molto al concetto di diritto scritto.

Common law e costituzione.


Nel diritto inglese si assiste all’assenza di una Costituzione formalizzata, così come del controllo di
costituzionalità delle leggi.
Il rule of law prevede comunque:
1) il primato della legge sull’arbitrio;
2) l’uguaglianza di fronte alla legge: tutti (individui e pubblici poteri) sono soggetti solo alla
giurisdizione di corti ordinarie;
3) in assenza di una costituzione codificata, i diritti individuali sono accertati e tutelati dalle corti
ordinarie.

Al common law inglese è dunque estraneo il concetto di costituzione unidocumentale, quale fonte
che vincoli il Parlamento: la sovranità parlamentare è illimitata, quindi non sindacabile dalle corti.
Vi sono però molti atti di «rilievo» costituzionale:
• Magna Charta (1215),
• il Bill of Rights (1689),
• l’Act of Settlement (1701),
• i Parliament Acts (1911 e 1949),
• European Communities Act (1972),
• Human Rights Act (1998),
• Devolution Acts (1998),
• House of Lords Act (1999),
• Supreme Court Act (2005),
• Fixed-term Parliaments Act (2011), ecc.

Si tratta sempre di leggi ordinarie del Parlamento, come tali modificabili senza procedure
particolari.
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Tuttavia, la particolare resistenza temporale di queste leggi fa pensare che esse in realtà abbiano uno
status di fatto superiore a quello delle altre leggi. La costituzione nasce per limitare i poteri publici
(principalmente)

Iniziano anche ad emergere orientamenti dottrinari e persino giurisprudenziali (caso Thoburn v.


Sunderland City Council, 2003, QB 151), secondo cui occorrerebbe distinguere tra statutes ordinari
e statutes costituzionali.

Gli ordinamenti di common law che conoscono una costituzione formale, unidocumentale, rigida e
garantita hanno anche un sistema di fonti al cui vertice sta la Costituzione scritta.
Cosa che non accade nel Regno Unito e in Nuova Zelanda: si tratta di ordinamenti ove difetta un
documento costituzionale unico.

La fonte di diritto principale, laddove presente, è dunque la costituzione scritta, garantita attraverso
la sua rigidità e il controllo di costituzionalità.
La legislazione ordinaria del Parlamento è fonte gerarchicamente prevalente rispetto al diritto
giurisprudenziale, e tuttavia in qualche modo da esso logicamente dipendente (statutes e normativa
secondaria di tipo regolamentare sono vincolanti per i giudici, i quali sono tenuti ad applicarli in
virtù del primato assoluto e formalmente incondizionato del Parlamento, potere costituente
permanente).

Il common law degli Stati Uniti d’America.


In questo ordinamento si assiste ad alcune caratteristiche peculiari:
- la presenza di una Costituzione documentale, formalizzata e rigida (art. VI Cost.), la quale
codifica il common law e l’equity (art. III Cost.); gli usa nascono sulla base di una costituzione,
ci si distacca dall’idea di non avere un testo unico documentale
- la creazione di un controllo di costituzionalità delle leggi;
- la carenza di un Bill of Rights, con l’introduzione di un catalogo di diritti (i primi 10
emendamenti costituzionali del 1791) non tanto per integrare il common law, ma nell’ottica
garantista della separazione verticale dei poteri.

Perché nasce la costituzione?


L’articolo 6 è la supremacy clause perché la costituzione era una costituzione che andava a tutelare
i rapporti tra i poteri pubblici, originariamente non c’era la tutela dei cittadini.
Controllo di costituzionalità: il diritto che viene creato risulti compatibile con la costituzione.

C’è una separazione netta delle competenze, con un sistema di diritto privato e penale di ampia
competenza statale: si può dire che vi sono 50 sistemi di common law, uno per ciascuno Stato
membro.
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Lezione 5
Lunedì 10 ottobre - incontro speciale

Il Diritto Divino
Fenomeno religioso e sistema delle fonti
Il FENOMENO RELIGIOSO permea il sistema delle fonti del diritto sin dalle società primitive
Ancora oggi il fattore religioso influenza gli ordinamenti giuridici

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In alcuni ordinamenti giuridici il sistema di produzione normativa presenta forti connessioni con il
FENOMENO RELIGIOSO DOMINANTE

Quel diritto che si sostanzia nella manifestazione della volontà di una autorità sovrannaturale e
che si impone ai destinatari delle norme con la minaccia di sanzioni ultraterrene: diritto ebraico,
diritto canonico, diritto islamico

Si distingue dal diritto di ispirazione religiosa e tradizionale in cui il fenomeno religioso presenta
un legame con il sistema delle fonti ma, per il suo carattere antropocentrico, non può definirsi
divino in senso stretto: diritto indù, diritto giapponese, diritto cinese

DIRITTO EBRAICO
• A. Torah: i testi biblici che contengono la rivelazione divina
• B. Talmud: interpretazione dei testi biblici elaborata dalla dottrina teologica
• Fonti del diritto ebraico: Destinatari sono i fedeli e tutti coloro i quali appartengono al popolo
ebraico vige attualmente nello Stato di Israele per la disciplina dello statuto personale dei cittadini
di fede ebraica

DIRITTO CANONICO
A. B. le fonti divine del diritto canonico, lo Ius Divinum, si compone di:
- Ius Divinum Positivum: sacre scritture e messaggio evangelico
- Ius Divinum Naturale: assue a fondamento l’identità tra volontà divina e razionalità

- il diritto divino è la fonte primaria cui si adeguano tutte le altre


- destinatari sono tutti i battezzati

ISLAM E DIRITTO ISLAMICO


Quando pensiamo al rapporto tra la religione e la norma, si fa riferimento a dei contenuti giuridici
tipici del mondo islamico. L’islam detta regole sia di tipologia spirituale che temporale.
- L’ISLAM non è solo una religione, è anche una religione
- l’ ISLAM è una cultura, un assetto di poteri, un’ideologia complessa e articolata
- l’ISLAM detta regole sia di tipo spirituale che di tipo temporale che sono state organizzate per
dar vita a un ordinamento giuridico
- Questo DIRITTO si inserisce nella categoria del DIRITTO DIVINO: la rivelazione divina è fonte
del diritto

Utilizziamo l’espressione DIRITTO ISLAMICO o DIRITTO MUSULMANO può essere


adoperata con diverse accezioni: generalmente la utilizziamo come traduzione dei termini arabi, si
usano dei termini islamici non traducibili

A. SHARI’A: la legge religiosa propriamente detta, ha principalmente degli elementi che regola il
rapporto tra dio e i credenti;
B. FIQH: parte della legge religiosa che regola l’attività esterna del credente verso Dio, verso se
stesso e verso gli altri, regola il rapporto tra i credenti;
è allo stesso tempo di più e di meno di ciò che noi chiamiamo diritto:
1. di più perché vi rientrano regole del rituale religioso e i precetti morali
2. di meno perché restano escluse aree del diritto come il diritto pubblico

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La Shari’a
A. LEGGE RELIGIOSA: comprende dogmi, riti, precetti morali e giuridici, è quella fonte
religiosa rivelata da dio non solo ai musulmani ma anche agli ebrei, cristiani e musulmani
B. LA VIA RIVELATA AI SOLI MUSULMANI: che regola sia gli atti del cuore, il foro interno,
che gli atti del corpo, il foro esterno
C. LA LEGGE RELIGIOSA RIVELATA AI SOLI MUSULMANI: che regola il solo foro
esterno (gli atti del corpo), la condotta umana, viene interpretata in modo diverso in base alle
scuole di diritto. In questa accezione la Shari’a va a sovrapporsi e a unirsi al Fiqh;

Il Fiqh
Sono tutte quelle regole che dettano le regole del buon musulmano
Sono le azioni: …
La SCIENZA DEL DIRITTO RELIGIOSO che estrae dalle radici (le fonti) le norme relative alla
qualificazione scialitica delle azioni del musulmano tenuto all’adempimento dei suoi obblighi
giuridico religiosi
la conoscenza della ripartizione scialitica delle azioni umane: obbligatorie, proibite, consigliate,
sconsigliate, libere

FONTI DEL DIRITTO


IL CORANO
• è libro che contiene le rivelazioni che il Profeta Muhammad ha ricevuto da Dio
• è composto da 114 Sure (=capitoli) di contenuto vario
• su 6200 versetti solo 500 esprimono regole giuridiche
• se eliminano quelli sul culto, ne restano un centinaio di contenuto strettamente giuridico

SUNNA
• l’insieme delle tradizioni relative ai detti e alle azioni del Profeta
• volto a sopperire alla frammentarietà, incompiutezza e oscurità di alcuni versetti del Corano

IGMA’
• Il consenso: l’accordo della comunità in fatto di credenze religiose, Fiqh ed etica
• rappresenta una verità da cui non è dato discostarsi

QIYA’S
• il procedimento analogico
• applicazione ad un caso o atto nuovo, di una regola o interpretazione esistente, sulla base della
comparazione con casi o atti analoghi già definiti da Corano, Sunna o attraverso il consenso
• il legislatore pone delle leggi di generale descrizione, può essere che alcuni atti non siano
disciplinati perfettamente (questo è un elemento un po’ controverso)

Ci sono poi delle fonti secondarie ma che hanno ugualmente un contributo.

CARATTERISTICHE DELL’ISLAM E DEL DIRITTO ISLAMICO


• Quando si studia il diritto islamico bisogna tenere da conto che esistono diverse forme di islam,
quindi si assume delle configurazioni diverse in base a dove c’è (esempio della poligamia) =
esistono diversi ISLAM a seconda dell’epoca storica e del luogo geografico di riferimento
• all’interno c’è però una visione unitaria che si muove intorno ad alcuni principi irrinunciabili è
caratterizzato da estrema flessibilità ed estrema dinamicità
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• esistono diverse scuole giuridiche ciascuna delle quali fornisce una propria interpretazione delle
fonti del diritto
• L’islam è la dottrina dei dotti, l’interpretazione della Shari’a si differenzia a seconda del contesto
in cui opera.

Possiamo quindi affermare che:


A. l’Islam è una religione dalle forti connotazioni giuridiche
B. nel diritto islamico diritto, religione e tradizione sono connessi in maniera inscindibile
C. l’interpretazione della Shari’a si differenzia a seconda del contesto in cui opera

L’APPLICAZIONE DELLA SHARI’A


La Shari’a può trovare concreta applicazione in Questo diritto può trovare applicazione si può
trovare nel paesi islamici (o a maggioranza islamica) oppure nelle minoranze/comunità islamiche
che vivono fuori di un paese a maggioranza islamica e che quindi si trovano in un contesto giuridico
molto diverso (Minority legal orders).
1. Paesi Islamici
2. Minority Legal Orders

I PAESI ISLAMICI
Si tratta di quegli ordinamenti, regioni, società che si ispirano in maniera preponderante alla
religione islamica. Una concezione geografica del mondo islamico che comprende Paesi
profondamente diversi uniti da ragioni storiche e politiche e da possibilità di riunirsi in un
ordinamento di unità politica e culturale: Lo Stato Islamico.

Sono circa 55 i Paesi che assumono il diritto islamico come sistema giuridico di riferimento:
A. l’Islam è religione di Stato
B. il diritto islamico convive con il diritto Statale

Una concreta applicazione del diritto islamico, l’esempio dell’Egitto


Quando parliamo riferimento ai paesi islamici, gli studiosi usano quest’espressione per di
ordinamenti di società che si ispirano alla tradizione islamica

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L’ordinamento egiziano

Nel 1922 l’Egitto proclama la sua indipendenza dal protettorato britannico, la situazione cambia nel
1952 con il colpo di stato da parte di Nasser.
Dal 1954 ci sono una serie di riforme spinte inizialmente verso un modello secolare, l’Egitto
guidato da Nasser fa un passo fondamentale: cambia la costituzione, che dichiara l’Islam come
religione di stato e viene spostato ai primi articoli della costituzione.
Nel 1958 la nuova costituzione toglie qualsiasi riferimento all’islam.
A partire dal 1970, muore Nasser, cambiano gli assetti di governo è c’è l’islamizzazione del
governo (la Shari'a diventa una fonte ufficiale del diritto)
Nel 1980 il processo di islamizzazione continua, la Shari’a diventa LA fonte principale del diritto,
questa norma viene mantenuta nella costituzione del 2012 e poi nel 2014 inizialmente in modo più
conservativo e poi più aperto

L’INTERPRETAZIONE DELL’ART.2
POSIZIONE A: La Shari’a prevale su ogni disposizione di diritto positivo con effetto retroattivo
POSIZIONE B: L’art. 2 contiene un mero indirizzo per il legislatore sanzionatile politicamente

LA POSIZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE:


1. L’emendamento non ha efficacia retroattiva
2. difesa dell’autonomia dell’ordinamento secolare

QUALI SONO I CONNOTATI DI QUESTA MINORANZA?


Francesco Capotorti definisce la minoranza come:
1. un gruppo numericamente inferiore al resto delle popolazione di uno Stato
2. che si trova in posizione non dominante
3. i cui membri, di nazionalità dello Stato, possiedono caratteristiche etniche, religiose o
linguistiche che differiscono dal resto della popolazione

4. mostrano un senso di solidarietà diretta a preservare la loro cultura, tradizioni, religioni o lingua

Quanto alla minoranza islamica aggiungiamo che:


- l’elemento identitario è quello religioso
- è caratterizzata da un forte pluralismo interno

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Si tratta quindi di una minoranza religiosa fortemente diversificata, fortemente identitaria, dotata di
notevole forza espansiva, posta in contesti caratterizzati da uno spiccato pluralismo e
multiculturalismo quale quello di molti Paesi occidentali
A. minoranze storiche: comunità storicamente residenti in un territorio con cui presentano un
legame talvolta precedente rispetto all’insediamento della maggioranza
B. nuove minoranze: comunità di minoranza originate da fenomeni migratori i cui membri
possono essere o meno cittadini dello Stato

QUALI SONO LE RIVENDICAZIONI DI QUESTA MINORANZA?


Classificazione delle minoranze secondo Alessandro Pizzorusso:
A. minoranze secessioniste: chiedono la separazione dallo Stato
B. minoranze autonomiste: chiedono forme di autogoverno all’interno dell’ordinamento
C. minoranze identitarie: chiedono garanzie giuridiche particolari che consentano loro di
mantenere alcune caratteristiche culturali fondamentali

La minoranza islamica si pone in una posizione intermedia tra B e C perché avanza istanze relative
a:
1. deroghe a norme di carattere generale per ragioni culturali e religiose
2. riconoscimento di istituti giuridici di diritto islamico
3. riconoscimento di giurisdizioni religiose
• Queste istanze portano con sé una diffusione della Shari’a come sistema giuridico parallelo cui si
rivolgono spontaneamente i membri della minoranza
• gli ordinamenti occidentali cercano soluzioni di inclusione e tutela delle differenze

PLURALISMO GIURIDICO
caratterizza quegli ordinamenti giuridici
1. aperti alla pluralità delle culture
2. contraddistinti da sistemi normativi non riconducibili direttamente all’ordinamento statale

In questo contesto le minoranze religiose chiedono la mediazione tra norme dell’ordinamento


giuridico e le norme religiose, culturali e tradizionali. La produzione normativa dello Stato è
integrata da norme che sfuggono al controllo dell’ordinamento ma che trovano riconoscimento e
applicazione spontanea da parte dei membri della minoranza sebbene non abbiano i caratteri propri
delle norme giuridiche

CRITICITA’
Gli ordinamenti connotati da tale pluralismo affrontano un triplice problema:
1. compatibilità del sistema normativo particolare con quello generale
2. individuazione degli strumenti idonei a garantire una corretta convivenza tra i due sistemi
3. necessità di bilanciare i diritti e le aspettative dei gruppi minoritari con i diritti dei singoli
individui che vivono in tali comunità

Forme di tutela delle istanze religiose


gli ordinamenti giuridici secolari sono sollecitati a
A. ripensare il ruolo della neutralità dello Stato verso il fattore religioso
B. incrinare l’assioma per cui la legge è uguale per tutti
C. optare per l’applicazione di norme declinate a seconda dei destinatari

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• questo allo scopo di realizzare condizioni di uguaglianza sostanziale che prendano in condizione
peculiari dell’individuo o della sua comunità

STRUMENTI DI TUTELA
1. Azioni positive/affirmative action: iniziative politiche e atti normativi che derogando al
principio di uguaglianza formale dispongono trattamenti di favore nei confronti di gruppi e
individui meritevoli di speciale tutela
2. Reasonable accommodation: consente di dare applicazione concreta al principio di
riconoscimento delle differenze identitarie:
• nel caso in cui un giudice dovesse trovarsi di fronte a situazioni giuridiche soggettive,
costituzionalmente tutelate ma limitate da disposizioni di carattere generale, questo metodo gli
consentirebbe di introdurre una deroga per il solo caso di specie
• es: Corte Suprema Canadese: O’Malley v Simpson Sears 1985

LE INTERAZIONI TRA ORDINAMENTO SECOLARE E ORDINAMENTO ISLAMICO

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IL FENOMENO DELLA MARITAL CAPTIVITY


- Non marriage → Il matrimonio è inesistente; non produce effetti giuridici; le parti non hanno
obblighi né diritti reciproci; conseguenze negative per riconoscimento dei figli; trattamento
previdenziale, tutela dei diritti della donna
- Chained wife → il vincolo matrimoniale può essere sciolto solo dall’autorità religiosa; necessità
della collaborazione del marito, la coppia resta sposata per la comunità

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Negli ultimi decenni gli ordinamenti occidentali hanno affrontato le sfide nascenti da un crescente
pluralismo etnico, culturale, religioso cui spesso ha fatto seguito un a volte inedito pluralismo
giuridico. Tra le questioni di primaria importanza vi è l’individuazione di soluzioni giuridiche che:
A. superino le paure e i conflitti nascenti da tale complessità
B. garantiscono la tutela e il soddisfacimento dei diritti e delle aspettative dei gruppi minoritari e
allo stesso tempo degli individui

• Tale pluralismo reca come conseguenza l’adozione di regole diverse, o la diversa applicazione
della stessa regola a seconda dei particolarismi soggettivi.
• Questa tendenza si concretizza nell’accettazione di deroghe all’ordinamento generale, di
eccezioni in virtù della differenza, allo scopo di realizzare un risultato di uguaglianza sostanziale.
• Ciò in quanto ciascun essere umano ha diritto di crescere in una cultura che è la propria e non
quella contingentemente maggioritaria nel contesto socio politico in cui vive.
• Gli Stati che si trovano a governare una società pluralista non possono esimersi dal ricercare
soluzioni pratiche alle rivendicazioni identitarie di una minoranza forte e in crescita come quella
islamica, desiderosa di integrazione senza rinunciare alla propria identità
• Quanto alle perplessità in ordine alla compatibilità della Shari’a con i valori degli ordinamenti
democratici abbiamo già visto come non esista una sola monolitica interpretazione della legge
islamica, ma soprattutto esiste la disponibilità della minoranza al dialogo e all’adattamento
• Allo stesso tempo l’allineamento della legge islamica agli standards di altri sistemi giuridici non
deve significare la totale eliminazione delle sue caratteristiche
• Nel rispetto dei principi e dei diritti fondamentali dell’ordinamento lo scopo resta quello di
considerare gli individui non come soggetti astratti ma nella loro qualità di persone, di valutare
non solo il caso in concreto ma soprattutto l’individuo in concreto

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Lezione 6 -
Martedì 11 ottobre

I sistemi giuridici misti

La famiglia dei sistemi misti è una combinazione della famiglia giuridica di common law e di civil
law, una famiglia mista vede le componenti di entrambe le tradizioni ma solo in senso teorico e non
pratico. La particolarità è quella per cui non possono essere ricondotte a nessuna delle due famiglie
giuridiche in senso stretto.
I sistemi misti («mixed jurisdictions»), pur presentando elementi provenienti da differenti famiglie
giuridiche (in particolare, civil law e common law), non sono riportabili a nessuna di esse.

Carattere misto significa che le partizioni del diritto appartengono a tradizioni giuridiche diverse.
Un istituto ibrida elementi di più famiglie giuridiche e l’ibridazione comporta l’elaborazione di
soluzioni originali. Alcuni istituti sono retti da common law e alcuni da civil law all’interno di un
unico contesto giuridico, comunque il sistema sta in piedi ed è omogeneo.
La base delle famiglie giuridiche è quasi sempre di civil law, i quali successivamente vengono
profondamente influenzati dal common law.
Mantengono la distinzione tra diritto pubblico (anglo-americano) e diritto privato (continentale).
L’ibridazione, inoltre, è anche processuale: le corti di common law si innestano su un sostrato
romanistico.

È un concetto diverso dal pluralismo giuridico, per il quale, all’interno di una società o un’area
geografica, si danno più sistemi giuridici, ma questi sistemi si applicano a gruppi di individui
diversi.
Il pluralismo giuridico è tipico di ordinamenti già parte di un sistema coloniale: al diritto della
madrepatria si affianca quello religioso/tradizionale/consuetudinario delle popolazioni del luogo.
Il concetto dell’ibridazione a livello logico deve essere mantenuto distinto dal pluralismo giuridico,
dottrina che riconosce la legittimità giuridica e politica nello Stato a una pluralità di gruppi sociali
(partiti, associazioni di vario genere) e ne sollecita la partecipazione alla vita pubblica.
Che vuol dire? In un paese può esistere un sistema nel quale più diritti convivono ma che non
necessariamente connotano la famiglia di riferimento. Esistono più tipologie di diritto che sono
applicabili per alcuni soggetti.

Ad esempio:
Il sistema giuridico del Sudafrica è un sistema giuridico misto.
La Repubblica sudafricana è un ordinamento a pluralismo giuridico: coesistono il diritto romano-
olandese e il diritto tradizionale africano, che si applica solo alle popolazioni native. Deriva da una
ragione storica, un susseguirsi di conquiste.

Altri esempi di sistemi giuridici misti:


• Louisiana: la cessione è dovuta a un contratto di compravendita tra USA e Francia (Lousiana
Purchase, 1803). Fa eccezione perché mantiene una politica giuridica differente rispetto alla
federazione, perché gli istituti di civil law hanno una posizione principale.
• Territori dell’Africa australe: Botswana, Lesotho, Swaziland, Zimbabwe. Prima appartenevano ad
un unico paese, poi si sono divisi indipendentemente.
• Scozia: da ordinamento di civil law a sistema misto a seguito dello Act of Union of 1707.
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• Israele: sistema giuridico ibridato non per colonial transfer ma per «internal demographic and
cultural shift within the society itself». Ci sono componenti islamiche e ebraiche, alcune
tradizione di importazione, ma in sostanza è un ordinamento misto.

Louisiana:
Originariamente, un territorio immenso: dalla Regione dei Grandi Laghi fino al Golfo del Messico,
non l’attuale singolo Stato membro.

Il territorio venne così chiamato nel 1682 in onore di Re Luigi XIV, appartenenti alla Francia. Nella
mappa viene segnata una specie di tripartizione: Francia, Spagna e Gran Bretagna.
i. Qui vigeva il diritto
romano-francese, ma nel
1715, con la pace di
Utrecht, la Francia cede
all’Inghilterra Terranova,
Acadia e Baia di Hudson
(Alta Louisiana).
ii. Alla fine della Guerra dei
sette anni, fu ceduta alla
Spagna la bassa Louisiana
(1762), che vi impose il
proprio diritto.
iii. Il resto dei territori francesi nel Nord America è ceduto all’Inghilterra nel 1763.
iv. L’attuale Louisiana sarà restituita nel 1800 alla Francia, per essere infine acquistata dagli Stati
Uniti nel 1803. La maggior parte del territorio statunitense lo è per acquisto, tranne per le 13
colonie - new England

Nel 1806 il Congresso degli Stati Uniti consente alla Louisiana di conservare il proprio diritto. →
Nel 1808 è promulgato The Louisiana Digest, basato sul Code Napoléon e su fonti romane,
spagnole e inglesi.
Nel 1812 viene ammessa come XVIII Stato negli Stati Uniti: il sostrato è entrenched dall’art. VI, §
11 della Cost.: non è possibile un recepimento en bloc del common law.

Circa il mantenimento del diritto a base romanistica, va evidenziato come, nonostante i tentativi di
abrogarlo, la Corte Suprema della Louisiana, nella decisione Cottin v. Cottin del 1817, ritenne che il
diritto spagnolo trovi ancora applicazione, in caso di lacune e se non contrasti con il codice.
Sempre dal punto di vista dell’ordinamento giuridico, abbiamo una fonte giurisprudenziale che
riconosce il diritto spagnolo e nella pratica si applica anche in successione, quando divenne
francese. Questa tradizione è rimasta solamente in Louisiana, civil law abbiamo quindi tutta una
serie di atti con i quali possiamo vedere come la sia rimasta in vita in un contesto di common law.

È paradossale. → Per affermare la vigenza del sistema di civil law e della tradizione romanistica, si
ricorre a una sentenza che ricerca un precedente più antico, cosa che è propria dei sistemi di
common law.

Québec.
Il Canada è colonia francese dal 1610 al 1763 (Trattato di Parigi), retta dal diritto romano-francese
(non ancora codificato).

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Con la cessione al Regno Unito, diventa tecnicamente una ceded colony: Re Giorgio III impone nel
1766 di estendere al Canada francese common law ed equity.
Secondo i principi del common law, il Canada avrebbe dovuto mantenere il proprio diritto
(conquered and ceded colonies): si sarebbe dovuto mantenere il diritto privato e penale francese,
mentre il diritto costituzionale e pubblico sarebbe stato sostituito da quello inglese.
Ma il Regno Unito considerò il Canada come una settled colony e vi estese interamente il proprio
sistema giuridico.

Però:
i. Il Quebec Act (1774) confermò il francese come lingua ufficiale, ripristinando il diritto civile
francese e riconoscendo il diritto dei francofoni di praticare la religione cattolica e di accedere
alle cariche pubbliche.
ii. Con il Canada Act (1791) si divise il Canada francese in due Province: Lower Canada (Ontario,
in maggioranza anglofono), che adotta il diritto inglese; Upper Canada (Québec, francofono),
che conserva il civil law. Con l’Union Act (1840) si unificano le due Province e nel 1848 si
estende il modello parlamentare inglese.
iii. Con il British North America Act (1867), si dividono Québec e Ontario e si istituisce il
Dominion del Canada.
iv. Oggi, la legislazione è di tipo continentale, così come il diritto privato, ma il codice civile (del
1886 e poi del 1994) risente dell’influenza del common law e vige anche il principio dello stare
decisis.

Scozia:
Dal 1603 al 1707 si assiste all’unione personale delle corone (Giacomo I di Inghilterra = Giacomo
VI di Scozia).
1707: Treaty of Union.
Il sistema giuridico era già sviluppato e gli artt. XVIII e XIX del Treaty of Union lo preservano
espressamente: era un diritto già misto, modellato sullo ius commune.
Non viene meno il diritto scozzese (che ha un sistema unico di corti e non conosce i writs); nel
contempo, aumenta l’influenza del common law.
È un altro caso di ordinamento che non segue territorialmente il diritto, perché confina con
l’Inghilterra, e che non si sviluppa allo stesso modo. Il Regno Unito non è sotto la famiglia giuridica
di common law, perché la Scozia non addotta questa famiglia e nemmeno l’Irlanda. In Scozia
abbiamo un diritto che preesiste alla scozia moderna, che affonda le proprie radici ancora nel
17esimo secolo, quando si comincia a sviluppare sul territorio francese un diritto con dei tratti
caratteristici, diversi da quelli inglesi.
Perché la Scozia si differenzia? Perché lì abbiamo un recidendo del diritto dello Ius Comune, tipico
del civil law. Le comunità religiose mantengono e portano alcune regole. Si parla quindi
dell’esistenza di un diritto scozzese vero e proprio.

Sudafrica:
Nel 1652 viene fondata la Colonia del Capo da parte della Compagnia delle Indie Orientali
olandesi, il cui diritto era quello della Madrepatria: il diritto romano rielaborato dalla giurisprudenza
elegante olandese anche alla luce delle consuetudini.
Nel 1795 il Regno Unito invade il Capo e definitivamente lo conquista nel 1806. Anche qui un
paradosso: rimane in vigore un diritto (romano- olandese) che nella ex madrepatria verrà sostituito
nel 1806 con un codice civile di tipo francese.

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Sempre più forte è la penetrazione del common law, che si arresta solo nel 1910, quando viene
formata l’Unione Sudafricana, la quale riporta in auge diritto romano-olandese.
Oggi diritto costituzionale, commerciale, amministrativo e processuale sono di matrice di common
law; il diritto di famiglia, successioni e proprietà, invece, di civil law.

Israele:
Con la fine della prima guerra mondiale si instaura il mandato britannico sulla Palestina
(1922-1948). Trovano così applicazione i diritti religiosi, il diritto ottomano, il diritto inglese e,
dopo l’indipendenza (1948), anche il diritto prodotto dagli organi costituzionali israeliani.
Il diritto israeliano non va confuso con il diritto ebraico: questo è il diritto del popolo ebraico, che
va dalla rivelazione sul Sinai alle decisioni dei tribunali rabbinici e delle autorità rabbiniche in ogni
parte del mondo (pluralismo giuridico).

Puerto Rico:
Il Trattato che chiude la guerra Ispano-Americana del 10 dicembre 1898 vede il trasferimento di
Guam, Puerto Rico e Filippine agli Stati Uniti.
Nonostante la «promessa» del mantenimento del diritto previgente, gli USA avviano un processo di
smantellamento delle istituzioni che per 400 anni avevano retto la colonia spagnola, sul presupposto
della superiorità culturale della tradizione giuridica di common law.
In Puerto Rico l’influenza statunitense è talmente tanto forte che la normativa degli States viene
applicata anche sull’isola, anche se non ne fa parte. È uno stato che accetta la sovranità di un altro
stato nell’applicazione del diritto.

Alla fine di 2 anni di military rule (1898-1900) gli USA approvano una legge (Foraker Act, 1900)
che estende solo talune garanzie agli abitanti dell’isola, ritenuti non sul piano di parità con i
cittadini americani.
Viene mantenuto il codice civile spagnolo ed esteso un modello di corti plasmato sul sistema
federale statunitense.
Nel diritto sostanziale, il common law ha inciso sul diritto delle obbligazioni e dei contratti, così
come sul diritto finanziario e fallimentare; il diritto processuale viene invece tratto dal diritto USA.

I sistemi giuridici nordici

I paesi nordici non hanno conosciuto il diritto romano, e quindi tutta la parte di sviluppo di tipo
romano che abbiamo trovato con i paesi centro-settentrionali europei non c’è in questi territori.
Sono dei territori che si sono comunque sviluppati in maniera uniforme, non sempre sono stati così
indipendenti, ma da un punto di vista giuridico, lo viluppo culturale è stato molto omogeneo.
Non sono ordinamenti di common law (mancano di quasi tutti i tratti peculiari del diritto inglese,
dalla formazione professionale alla case law, ecc.), ma al tempo stesso è arduo dire che si tratti di
ordinamenti di civil law (il diritto romano ha avuto scarsa penetrazione e non hanno conosciuto una
codificazione). Si parla di Paesi con strettissimi legami politici e giuridici:
sin dall’Unione di Kalmar (1397-1523), che unisce Svezia, Norvegia e Danimarca.

Possiamo notare due tipi di sviluppo:


→ Tradizione nordica orientale.
Da un lato una nordica orientale, che fa riferimento alla Finlandia e alla Svezia, in cui ce stata una
forte influenza del diritto russo (per l’impero). La Finlandia è conquistata dalla Svezia già nel XII-
XIII secolo e ceduta solo nel 1809 alla Russia. Il diritto finlandese è diritto svedese conservato
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anche nell’Impero russo: Alessandro I concede alla Finlandia il privilegio di conservare una
notevole autonomia e il proprio diritto, che rimarrà tale una volta acquisita l’indipendenza nel 1918.

→ Tradizione nordica occidentale.


Norvegia, Danimarca, Islanda: unite sotto corona e diritto danese. Nel 1814 (Trattato di Kiel) la
Danimarca cede alla Svezia la Norvegia, che diverrà indipendente nel 1905.
L’Islanda, invece, diverrà Stato sovrano nel 1944.
Per quella occidentale Norvegia, Danimarca e Islanda hanno risentito della tradizione continentale
europea. Con la creazione di istituti, i quali esistono solo su questi territori, la tradizione nordica
vede solo in tempi moderni una sorta di adesione a quello che è il mondo giuridico occidentale, e si
avvicinano di più alla tradizione di civil law. L’impatto dei codici è molto importante. Il riferimento
principale è la Germania, il diritto germanico è stato una delle esperienze che ha influenzato
maggiormente la questione codicistica.

Origini giuridiche:
I testi normativi più remoti sono del XIII secolo: sono leggi provinciali (landskapslagar) per le varie
aree dei territori nordici. Sono in parte ricognitivi del diritto vigente, in parte lo innovano.
Vi sono poi le leggi cittadine (stadslagar): adottati nelle città costiere, centri commerciali con
giurisdizione autonoma.
Queste fonti normative consolidano le tradizioni giuridiche germaniche.

Dal XIII secolo, il rafforzamento del potere regio vede il Re stesso modificare le leggi provinciali e
anche intervenire, con atto di ratifica, nel loro procedimento di approvazione/emanazione.
Il Re approva anche testi unificati per tutto il Regno, distinti solo tra città e campagna.
La revisione dei testi medievali inizia nel XVII secolo: sono dei protocodici, molto snelli, lontani
dall’organicità del diritto codificato del continente.

L’idea di base è quella per cui, una volta fissate le regole cardinali del diritto svedese e danese, i
giuristi avrebbero dovuto «riempire» le lacune mediante la propria cultura.
A tal fine, si avviano i contatti con il diritto romano, dovuti principalmente al ruolo di potenza che
la Svezia esercita nel corso della guerra dei trent’anni. Controllando la Germania del Nord, la
Svezia entra in contatto con il diritto romano, che la influenzerà sempre più.

La Rivoluzione francese ha eco in Scandinavia: fa nascere un profondo senso nazionalistico e porta


con sé le idee liberali (vengono meno i residui di regni assolutistici).
Non si arriva a procedere però per codificazioni, ma con leggi uniformi per ambito materiale.

I sistemi giuridici dell’area caraibica


Si tratta di un’area separata dal resto del continente: sia
dalle tradizioni giuridiche dell’America settentrionale,
sia dalle tradizioni giuridiche dell’America centrale e
meridionale.
Si avverte il peso di molteplici tradizioni giuridiche:
Spagna, Portogallo, Inghilterra, Francia e Paesi Bassi.
Molte delle isole che compongono l’area sono ancora
dipendenze europee (Regno Unito, Paesi Bassi, Francia)
e degli Stati Uniti. È una tradizione peculiare, perché ci
sono state diverse colonizzazioni, anche che rispetto agli
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altri paesi centro-sud continentali mantengono una omogeneità.

C’è una distanza tra le ex-colonie spagnole e portoghesi e quelle inglesi, che si riflette anche sui
relativi sistemi giuridici. → Mentre le ex-colonie spagnole (Cuba, Repubblica Dominicana e in
parte Puerto Rico) intrattengono rapporti e dialogano a livello giuridico con il continente latino-
americano ed europeo, i Caraibi inglesi, invece, hanno conservato il sistema giuridico ed
istituzionale della Madrepatria.

Per quanto riguarda il Commonwealth Caribbean, geograficamente si parla di isole e arcipelaghi


che discendono ad arco dalla Florida al Venezuela (Antingua e Barbuda, Bahamas, Dominica,
Grenada, Jamaica, St Kitts and Nevis, St Lucia, St Vincent and the Grenadines, Trinidad and
Tobago), cui si aggiungono il Belize (America centrale) e la Guyana (America meridionale)

Tratti comuni:
1) territori originariamente parte dell’Impero britannico;
2) indipendenza acquisita tra gli anni ‘60 e ‘80 del secolo scorso;
3) adozione della forma di governo secondo il modello Westminster;
4) costituzioni che replicano in parte forme di governo pre-coloniali;
5) costituzioni non deliberate da assemblee costituenti, bensì contenute in leggi del Parlamento
inglese.

Si dividono in settled territories (Anguilla, Antigua, the Bahamas, Barbados, British Virgin Islands,
Montserrat, St. Kitts) e conquered colonies (Dominica, Belize, Guyana, Grenada, St. Lucia, St.
Vincent, Trinidad and Tobago).
Mentre i primi territori hanno ricevuto il diritto inglese già nel XVII secolo, i secondi videro il
diritto inglese più tardi nel tempo, in seguito a imposizione da conquista.

Sono sistemi giuridici originati dal sistema coloniale inglese, che ancora oggi è forte.
Il modello (giuridico, economico e sociale) è quello delle «plantation societies» o «sugar colonies»:
industria dello zucchero e schiavitù.

La popolazione è variegata: bianchi, neri e meticci.


In questi sistemi giuridici per anni è stata legittimata una distinzione per gruppi. → La schiavitù fu
eliminata con il Emancipation Act (1833), ma non la subordinazione dei gruppi di popolazione nera.

Si assiste quindi a una forte omogeneità giuridica (common law as the basic law), ma al tempo
stesso alla forte presenza di gruppi etnici: indù e musulmani (Trinidad), indigeni (Guyana)
rastafariani (Giamaica, Cayman Islands e Dominica).

Giuridicamente, sono pur sempre dependent territories, ossia sotto la sovranità della Corona
britannica. → Il parlamento inglese legifera per loro, per quanto, in forza di una convention of the
constitution, esso non potrebbe legiferare per tali territori senza il consenso di questi ultimi.

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Lezione 7
Giovedì 13 ottobre

I sistemi giuridici socialisti

La famiglia giuridica sovietica ha conosciuto una grandissima cesura con il crollo dell’unione
sovietica. L’URSS era il principale ordinamento che vedeva l’applicazione di questo tipo di
famiglia giuridica, si è mantenuta in alcuni territori ma ha perso le caratteristiche distintive che
l’hanno fatta nascere. Per capire come siamo arrivati all’unione sovietica e alla tradizione giuridica
socialista dobbiamo vedere le sue radici: le affonda in un retroterra culturale molto forte e
autonomo. Ha uno sviluppo secolare, che nasce nei primi secoli dopo cristo. Il territorio in cui è
divenuta tipica questa tradizione giuridica è un territorio vastissimo.
Da un punto di vista storico, fino al 15esimo secolo abbiamo 1000 anni in cui sullo stesso territorio
si susseguono diversi centri di potere.
Il territorio «russo» ha conosciuto varie ondate di colonizzazione: Slavi (VI sec. d.C.) Vareghi (IX-
X sec.), Mongoli (1223), Turchi, poi ancora Mongoli (che conservano i principati russi fedeli al
Khanato di Gengis Khan) e di nuovo Turchi.
Alla morte di Tamerlano (1405) si riduce l’influenza turca e nel 1480 Ivan III il Grande riunirà le
terre russe e si auto-proclamerà Zar.
La Russia era stata influenzata anche dall’impero mongolo, che era un centro non stanziale e non
applicava il diritto al territorio bensì alla popolazione.
La prima identificazione del capo politico fu lo Zar, un’autorità in grado di guidare l’entità
giuridica.

Il diritto russo è peculiare perché ha una sorta di recezione di quello che viene dall’esterno nella
forma del diritto romano d’oriente / bizantino.
Esiste un legame con il diritto romano-bizantino, che si traduce in codificazioni e raccolte di diritto
russo (Russkaja Pravda).
La Russia si considera l’erede di Bisanzio, ma è allo stesso tempo impenetrabile a modelli giuridici
stranieri. A fronte di questa recezione, il diritto russo si sviluppa come molto autonomo e con dei
tratti caratteristici molto forti. Lo sviluppo del diritto fu interno, non andò a copiare da altri.
Con Pietro il Grande (1689-1725) si avvia la Fondazione dell’Impero (1721-1917), con
l’attribuzione di poteri illimitati allo Zar.
Il centro politico russo si sviluppa come un ordinamento dove il potere era accentrato in maniera
assoluta nelle mani dello zar, che aveva poteri illimitati (esecutivo, giudiziario…).

L’europeizzazione del diritto russo venne osteggiata dalla classe nobiliare e dalla «qualità» del
diritto russo, un diritto caratterizzato da una frattura tra diritto ufficiale (di derivazione bizantino-
ortodossa) ed uno consuetudinario tradizionale, con frattura acuita dalla carenza di riflessione
scientifica.
Impermeabilità: il diritto russo si sviluppa in maniera autonoma perché c’è una presunzione di
qualità di se stesso, si considera migliore rispetto a quelli europei.

Il XIX secolo è secolo di speranze (deluse) e di avvio di numerose riforme (abolizione della
schiavitù della gleba, 1861; separazione tra amministrazione e giurisdizione, 1865; ecc.).
Il progetto di codice civile, influenzato dal modello tedesco, sarà approvato nel 1913, ma non
entrerà mai in vigore.

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L’assolutismo è del tutto predominante, questo modello viene mantenuto fino al momento in cui ci
fu quel passaggio storico di svolta per il diritto europeo (con la rivoluzione francese per esempio).
Le idee della rivoluzione arrivano anche in Russia, e il popolo cerca di cambiare la situazione di
iperrigidità sociale e di assolutismo. Arrivano in Russia alcuni aspetti che in Europa erano già la
norma da molto tempo, come per esempio:
- l’abolizione della servitù della gleba,
- si inizia ad avere la distinzione tra alcuni poteri, ma non c’è una separazione come ci fu dopo la
rivoluzione francese.

L’inizio del 20esimo secolo è un inizio che porta alcuni eventi sociali determinanti per lo sviluppo
dell’ordinamento giuridico. Nell’impero iniziano ad avvenire le prime ribellioni alle autorità.
All’inizio del XX secolo, la sconfitta militare contro il Giappone causa i moti del 1905. Ne segue la
concessione delle leggi fondamentali del 1906, circostanza che non impedisce però l’avvio di
numerose ribellioni. → L’esito sarà l’avvento della forma di stato socialista, avviata dalla
rivoluzione d’ottobre (24-25 ottobre 1917).

La famiglia giuridica che si forma, quella socialista, si basa sul pensiero marxista-leninista:
principalmente, sul carattere transitorio dello Stato e del diritto, funzionali alla completa
realizzazione del comunismo. Questa è un’idea radicale che va a conformare completamente la
tradizione socialista.
Il diritto che viene creato dallo stato e ha lo scopo di realizzare un fine ideologico. Il diritto non è
rigido e in grado di continuare nel tempo, ma va adatto in ogni momento e caso (se le istituzioni
devono funzionare in un certo modo per realizzare una certa ideologia, verrà poi modificato =
diritto funzionale alla politica). È chiaro che per noi occidentali tutto ciò è inconcepibile e sbagliato.
Le idee fondamentali socialiste vogliono portare alla dittatura del proletariato, che è un fine
degenerato e diverso dall’idea formativa.

Secondo la concezione marxista-leninista, diritto e Stato sono fenomeni legati a determinate


circostanze storiche. → Il diritto è espressione del potere politico della classe dominante, sorge
insieme allo Stato e di questo segue le vicende: il mutare della forma statale comporta il mutare del
diritto vigente.
Superato lo Stato capitalistico, viene instaurato a titolo transitorio lo Stato socialista, in cui la classe
dei lavoratori detiene il controllo sui mezzi di produzione ed esercita il potere con la dittatura del
proletariato.
Il potere è esercitato per eliminare la classe borghese sfruttatrice e ampliare la proprietà sociale sui
mezzi di produzione: ciò, fino al tramonto dello Stato e del diritto e l’avvento della società
comunista.

Nella fase di transizione alla società comunista, in questa fase il diritto serve ad eliminare i centri di
potere economici privati e quindi quelli in grado di creare un potere politico.
Il potere economico viene completamente accentrato nelle autorità nazionali. il diritto è
indispensabile perché:
- regola il rapporto tra Stato ed organizzazione economica, attraverso la concentrazione nello Stato
della proprietà dei mezzi di produzione, il rifiuto della proprietà privata, dell’economia di
mercato e della libera iniziativa economica;
- regola l’organizzazione politica, gli istituti della democrazia socialista, i diritti dell’individuo,
della famiglia, delle comunità.

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Il passaggio che fa degenerare, è che si verifica un passaggio del potere politico, non c’è più lo zar
ma c’è un assolutismo da parte del partito unico (che è quello socialista). Solo il partito unico è in
grado di creare diritto. Il concetto che si crea è quello di principio di legalità socialista
Il protagonista del successo rivoluzionario, il partito unico, assume unilateralmente e per delega il
processo rivoluzionario. → Ciò comporta una quasi totale compenetrazione tra partito e Stato e un
accentramento del potere in una ristretta classe dirigente altamente gerarchizzata.

Nelle fasi rivoluzionarie, le esigenze della rivoluzione sono in netto contrasto con l’idea della
legalità dell’azione dei pubblici poteri.
Si parla in questo senso di «legalità rivoluzionaria», ammettendo larghe deroghe alle leggi per
conseguire i fini rivoluzionari.
Nelle fasi successive, viene elaborato il principio della legalità socialista: consolidamento delle
istituzioni, sistema compiuto di fonti normative, esigenza di osservanza della Costituzione e delle
leggi da parte dei consociati.
Il concetto che si crea è quello di principio di legalità socialista, cioè tutto quello che fa parte
dell’ordinamento giuridico deve seguire le norme giuridiche. Il principio della legalità socialista è
differente, tutto deve seguire le regole imposte dal diritto emanato dal partito politico unico, quindi
non c’è un principio base che è fisso.

Non cessa la subordinazione del diritto e dello Stato alle esigenze della rivoluzione, prima, e del
regime comunista, poi.
Questo fa si che il partito unico inizi a dettare le regole, si da vita a un testo costituzionale, ma
sempre in un senso funzionale all’ideologia socialista. Abbiamo la cessazione dei diritti individuali
per il mantenimento del potere politico.
La Costituzione, in particolare, discende direttamente dai principi stabiliti nello statuto del partito
unico; gli organi di tutela giurisdizionale sono formati da soggetti indicati dallo stesso partito; il
popolo va educato al rispetto di tali principi; l’uso dei diritti e delle libertà non può pregiudicare i
fini (socialisti) dell’ordinamento.

La Costituzione è intesa come un documento che riflette i successi conseguiti dal socialismo,
l’effettiva realtà storica, sociale ed economica di una precisa fase storica dello sviluppo verso la
dittatura del proletariato. → Costituzione «bilancio».
La costituzione che legittima la tradizione giuridica socialista ha una particolarità: è una
costituzione attualizzata, cioè è fondamentale per esprimere le regole che IN QUEL MOMENTO
servono a raggiungere uno scopo politico, nel caso gli obiettivi cambiassero, la costituzione cambia.
Così manca la certezza del diritto, perché non è un qualcosa di fisso.

La Costituzione non è un programma per il futuro (che è già tracciato e porta all’affermazione della
società comunista), ma riguarda il presente.
Si rifiuta la concezione borghese dello Stato di diritto: l’idea, cioè, sottesa alla concezione garantista
in forza della quale i comportamenti degli organi politici devono essere conformi a norme e regole
giuridiche prestabilite nella Costituzione e nelle leggi.

La differenza fra la costituzione sovietica e le costituzioni borghesi, affermava Stalin nel suo
rapporto sul progetto di costituzione in URSS, era la differenza che correva fra una ‘costituzione’
nel senso della parola e un programma, fra una costatazione delle conquiste del presente e la
dichiarazione di intenti sulle conquiste future.

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Nella Commissione per la redazione della Costituzione del 1936, Stalin affermava che:
«il progetto della nuova Costituzione costituisce un bilancio della via percorsa, un bilancio delle
conquiste già ottenute. Esso è, perciò, la registrazione e la sanzione legislativa di quello che è stato
già ottenuto e conquistato».

Tratti caratteristici della famiglia giuridica socialista:


- Principio di unità del potere politico: la separazione dei poteri è rifiutata, perché è un
meccanismo che garantisce la conservazione del potere della borghesia.
- Tutte le fonti sono assoggettate al fine politico e al ruolo del partito unico.
- Centralismo democratico: elettività di tutti gli organi del potere statale dal basso e subordinati al
popolo; obbligatorietà delle decisioni degli organi superiori per quelli inferiori.
- Centralità del partito unico: diretto riconoscimento costituzionale del ruolo di indirizzo
dell’attività statale svolta (solo) dal partito comunista.

In un primo momento, il diritto socialista coincideva con il diritto di un solo ordinamento: prima,
con la Russia uscita dalla rivoluzione d’ottobre; poi, con l’URSS, fondata nel 1922 e dissolta nel
1991.
In un secondo momento, esso si è diffuso (meglio, è stato imposto) negli Stati che appartenevano
alla sfera di influenza sovietica (sfera definita con gli accordi di Yalta del 1945), così come in
Oriente grazie alla rivoluzione cinese.

Il sistema dell’URSS crolla con la c.d. Perestrojka, una «rivoluzione» condotta con metodi giuridici
(è la sovrastruttura a cambiare). → Le leggi abbandonano il carattere dettagliato e provvedimentale
dell’epoca socialista: si ammettono imprese miste, si liberalizza l’economia nelle «zone economiche
speciali», si riconosce il diritto a svolgere in autonomia il lavoro individuale, si consentono
investimenti stranieri.

Dopo il 1989, inizia la crisi dei paesi basati sul marxismo-leninismo: questi tornano nella sfera
d’influenza del civil law (salvo forse la Russia, che ha un diritto con caratteri suoi propri).
Oggi rimangono pochi paesi che si richiamano ancora all’ideologia marxista-comunista: Cina,
Corea del Nord, Laos, Vietnam, Cuba.

Con il crollo della URSS i principi della Russia si occidentalizzano (tornano l’idea di proprietà
privata, ritorno al mercato). Tuttavia rimane in Russia l’idea dell’accentramento che è legata alla
tradizione imperiale, infatti troviamo al giorno d’oggi un presidenzialismo molto forte, definito
anche iperpresidenziale, con un accentramento forte del potere.

I SISTEMI GIURIDICI DELL’ESTREMO ORIENTE

Nei sistemi giuridici dell’estremo oriente troviamo spesso il concetto per cui la comunità è
privilegiata rispetto al singolo, un principio derivato dal confucianesimo e quindi di valore
religioso. Concetto che ricomprende Cina, Giappone e Corea del Sud e si distingue dall’Asia
sudorientale.
Si tratta di una classificazione occidentale, un lascito della guerra fredda (per noi: East Asian Legal
Tradition, come parte dell’Eurasia orientale influenzata dalla tradizione giuridica cinese).

C’è una grande differenza rispetto ai sistemi occidentali: l’impostazione in civil law e common law
(ma anche nella famiglia giuridica socialista) è nel senso che le questioni importanti della vita in
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comune siano regolate da norme di diritto oggettivo, non dai costumi o dalla morale. E che, nel caso
in cui i diritti attribuiti da queste norme siano oggetto di contestazione, ci si possa rivolgere ai
giudici per richiederne attuazione.
In estremo Oriente, la risoluzione delle controversie è rimessa in misura maggiore ad altre tecniche
di conciliazione: ciò è conseguenza, principalmente, del Confucianesimo.

I valori centrali sono la gerarchia nei rapporti familiari, la comunità, il rispetto per l’autorità, la
meditazione, le pene crudeli.
I valori morali sono alla base del diritto:
- la logica comunitaria (il rispetto dell’ordine prestabilito, quello delle gerarchie sociali)
- la conflittualità non deve essere esasperata
- aver turbato l’ordine sociale è considerato molto grave.
L’idea che la comunità arriva prima rispetto al singolo sono tutte funzionali alla protezione
comunitaria - formanti non verbalizzati.

Le regole di comportamento sono dette Li: in gran parte sono determinate dallo status sociale della
persona cui si rivolge la regola. Le differenti posizioni del singolo (uomo, donna, membro della
famiglia, del clan, ecc.) costituiscono una parte dell’ordine naturale che va rispettato e non turbato.
L’uomo ideale si attiene alle regole del Li e mette da parte gli interessi personali per mantenere
l’armonia.
Scarsa considerazione per il diritto (Fa): il diritto semplifica, tipizza, schematizza, non è in grado di
ponderare tutte le variabili che risultano dalle posizioni sociali.

CINA
Eccezionale longevità dell’istituto imperiale e conseguente continuità della cultura, anche giuridica.
Le prime tre dinastie (Xia, Shang e Zhou: XVI-XI sec. a.C.) hanno un sistema basato sulla
discendenza e sulla legittimazione sacrale del potere: il sovrano regna e governa con l’esempio, a
beneficio del popolo, in base a un mandato del cielo.
Egli può essere però detronizzato dal popolo se viene meno ai propri compiti e alla propria missione
civilizzatrice, attraverso la «sottrazione del mandato».
In Cina c’è una tradizione giuridica millenaria. Il potere era esercitato dall’imperatore, la cui
legittimazione derivava direttamente dall’autorità divina. Essa però non era immutabile, quindi
questa autorità poteva essere cambiata attraverso la valutazione delle azioni dell’imperatore (cosa
che non esiste in Giappone, il mandato celeste è intoccabile - personificazione della divinità).

Il declino del sistema avviene tra 722 e 481 a.C., quando si sfalda il modello legato a un unico
potere in favore di un sistema di clan, discendenze e gerarchie.
L’unificazione «torna» nel 221 a.C.: la dinastia Qing crea un Impero centralizzato che arriva fino al
XX secolo.
La Cina ha avuto una lunghissima dinastia imperiale che è venuta meno a seguito della rivoluzione
cinese che si è verificata negli anni ’50 del secolo scorso. L’esito fu l’adozione di alcuni schemi
propri della tradizione occidentale, in particolare con l’adesione di civil law. La prima costituzione
cinese nasce nel 1954, che fu modificata alcune volte fino al 1982. Un aspetto particolare della
tradizione giuridica è che l’ideologia alla base della rivoluzione cinese si adegua alla ideologia
socialista-sovietica, i principi sono analoghi. In Cina infatti al giorno d’oggi il potere politico è di
stampo socialista e c’è il partito unico. Solo nel 2004 la costituzione cinese ha riconosciuto la
proprietà privata come un diritto fondamentale, assieme ad altri diritti umani. Da un punto di vista

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sostanziale il diritto cinese ha mantenuto dei caratteri propri derivati dalla tradizione prima della
rivoluzione, e poi ereditati dal comunismo.

La dinastia Qing è ‘legista’: mira a eliminare ogni residuo localistico e a sopprimere la presenza
confuciana.
«Presenza» che, però, si impone come ideologia ufficiale già nel 206 a.C. e viene ufficializzata dal
II secolo a.C.
Il diritto imperiale è denominato Fa (regole scritte e verbalizzate, poi ordinate in raccolte come i
codici dinastici), il quale contiene i Lu, vale dire le regole fondamentali di ispirazione confuciana,
considerate immutabili e da tramandare dinastia dopo dinastia.

Con la fine della dinastia Qing (1644-1912: nel 1911 viene deposto l’ultimo imperatore), si richiede
l’adozione di riforme del sistema giuridico.
L’esito è nella codificazione (commerciale: 1903; penale: 1910; civile: 1911).
La prima Costituzione cinese data 1954, seguita da quelle del 1975 e 1978, infine tutte sostituite da
quella del 1982, attualmente vigente.

Con la revisione del 2004, sono stato introdotti per la prima volta nell’ordinamento cinese i formali
riconoscimenti costituzionali di:
- inviolabilità della proprietà privata;
- rispetto e protezione dei diritti umani.

COREA
- Forte incidenza del buddismo, ma dal 788 d.C. si adotta un modello di amministrazione simile a
quello cinese, con apogeo tra il 918-1392 d.C. (dinastia Koryo).
- Con la dinastia Choson (1392-1910) vi è una piena adesione al confucianesimo e la traduzione
della normativa cinese.
- Debitori della tradizione cinese sono l’ordinamento coreano, il quale si è fortemente ispirato ai
principi giuridici cinesi, anche se poi si sviluppa un sistema democratico come quello occidentale
(nel caso della corea del sud).

VIETNAM
- Il dominio cinese (111 a.C. al 939 d.C.) influenza grandemente anche le fasi successive, nelle
quali il Vietnam acquista autonomia politica.
- L’adozione del modello cinese avviene adattando la normativa recepita alle esigenze vietnamite.
- L’ultima dinastia Nguyen (1802-1945) adotta un proprio sistema di norme (Codice Gia Long),
modellato però sempre sull’esempio cinese.

GIAPPONE
Il Giappone ha una tradizione giuridica decisamente antica, che è assimilabile alla Cina solamente
dal punto di vista dell’imperatore come centro di potere. L’imperatore diventa l’unico centro di
potere, da un punto di vista morale l’imperatore è divenuto tale per decisione divina.
Il Giappone si basa su una rigidità fortissima dell’ordinamento, in particolare con la formazione di
classi sociali.

Periodo Yayoi (IV a.C.-IV d.C.): civiltà del riso basata sugli uji (gruppi clanici). Il potere è marcato
dall’elemento sacrale e dai rapporti di parentela (il capoclan era anche un capo spirituale).

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Periodo Yamato (IV sec. d.C-710): tra i clan più importanti emerge il clan della regione Yamato, che
poi è quello a cui la casa imperiale fa risalire le proprie origini. È la fase dell’influenza molto forte
della cultura cinese (come in Corea e Indocina): scrittura, religione, ecc.

Si crea progressivamente un impero sul modello cinese, che arriva ad accentrare tutto il potere nelle
mani della futura famiglia imperiale.
Del modello cinese non si accoglie però la teoria di legittimazione del potere nota come «mandato
celeste»: questa, infatti, ammetteva anche la possibilità di revoca dell’imperatore, legittimando così
i cambi di gerarchia.

Si opta per una tradizione autoctona, derivata dallo shintoismo: l’idea della discendenza di sangue
dell’imperatore dalla dea sole Amaterasu. Ciò impedisce cambi e avvicendamenti dinastici.
Verrà elevata nel XIX-XX sec., quando iniziano a penetrare i modelli occidentali, a vera ideologia
di Stato.

La struttura gerarchica è rigidissima: al vertice sta il Mikado o tenno (il «sovrano celeste»), che vive
appartato nel palazzo reale e non può essere visto dai sudditi.
Ma già nel sec. VIII inizia a indebolirsi la figura imperiale e si accendono le lotte tra clan. Queste
durano fino al 1603, quando la famiglia dei Tokugawa conquista lo shogunato e lo conserva fino al
1867.

Il passaggio che si ha nella cultura politica giapponese è l’avvento dello Shogunato, che è un
modello feudale. Lo Shogun può esercitare il potere su un determinato territorio.
Lo shogunato è un istituto che viene creato nel 1192: ogni capo militare capace di mantenere la
pace in un determinato territorio avrebbe avuto diritto a tale titolo.
Si crea un’autorità (imperatore) senza potere (delegato allo shogun), mediante una scissione tra
centro di legittimazione del potere e suo esercizio. Lo shogunato è quell’istituto che porta via potere
all’imperatore, il quale diventa sempre più una figura carismatica e morale, ma il potere giuridico
viene sempre più dato ai centri di potere locale (shogun).
L’imperatore «si salva» perché:
- delega i poteri;
- è assistito dal mito shintoista quanto alla sua divina ascendenza.

I Tokugawa, però, progressivamente emarginano l’imperatore e avviano un processo si


«sinizzazione»: importano come ideologia ufficiale il confucianesimo.
Si attua una minuziosa disciplina - mediante codici etici - della divisione in classi della società:
guerrieri, contadini, artigiani e commercianti, con conseguente cristallizzazione della società
medesima.
Nasce l’idea di Sakoku (Paese chiuso): solo il porto di Nagasaki vede l’apertura al commercio
estero.

Il Giappone ha visto a seguito dello sdoganato l’esplosione dei centri di potere, ha attuato una
logica di fortissimo isolamento nel corso dei secoli, che si è aperto solo con le due guerre mondiali.
Successivamente all’apertura del Giappone con l’estero, iniziano i primi trattati. In questa fase il
Giappone, in maniera differente rispetto alla Cina, diventa molto più ricettivo delle tradizioni
occidentali.

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L’isolamento che lo Shogun impone al Giappone (nessun giapponese può uscire, nessuno straniero
– salvi i cinesi – può entrare) ha termine solo nel 1853 (trattati con USA, NL, UK, RUS).
Opposizione molto forte, capeggiata dall’Imperatore, che spazza via lo shogunato.

Inizia l’interesse per l’occidente.


Forma di governo modellata sulla monarchia assoluta; esercito su modello europeo; prima
Costituzione nel 1989, adottata dalla dinastia Meji; vi è anche una codificazione (codice civile,
1891), con proteste per eccessiva europeizzazione del diritto; dopo la II guerra mondiale,
l’influenza del common law aumenta il ruolo svolto della giurisprudenza.

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Lezione 10 -
Lunedì 24

III. LE FONTI DEL DIRITTO

Le fonti del diritto sono l’insieme di quegli atti e fatti idonei a porre norme giuridiche.
Detto altrimenti: a produrre il diritto oggettivo come sistema regolatore della condotta umana.
Le fonti del diritto si ricollegano al concetto alla pluralità del diritto, esse dipendono dalla famiglia
giuridica, ognuna ha come fonte un qualcosa di caratteristico, per esempio nella distinzione civil
law e common law, abbiamo che nella seconda la fonte del diritto è la giurisprudenza.

La comparazione si propone di rinvenire una specie di minimo comune denominatore tra i vari atti e
fatti che, nel corso della storia e nei diversi ordinamenti, si sono dimostrati idonei a innovare gli
ordinamenti stessi.
In tal modo, è possibile qualificare fonti del diritto la legge italiana al pari del precedente nel diritto
anglosassone, la consuetudine tanto quanto l’i mã dei dottori islamici, il regolamento regionale
come il dharma induista, e via dicendo.

L’indagine comparatistica, da un lato, ci dimostra la relatività del concetto di fonte e la varietà di


atti e fatti che si celano dietro (o dentro) questa espressione.
Il concetto di relatività del diritto indica che nel tempo e nello spazio il concetto di fonte del diritto
può variare.
Esempio: nell’ordinamento italiano: il diritto canonico era una fonte generale, ora invece regola
solamente alcuni ambiti (per esempio il matrimonio può essere concordatario, in chiesa, o con rito
civile).

In nessun ordinamento esiste un modo esclusivo per produrre diritto.


I vari tipi di fonte si mescolano tra loro e le norme giuridiche, a volte, si sovrappongono a regole
non definite giuridiche in senso tecnico, come quelle religiose.
Nel tempo e nello spazio, non esiste una concezione comune di diritto.

Fonti legali v. fonti extra ordinem


Una differenza principale è tra:
• le fonti legali, che vengono prodotte secondo il principio di legalità. Le prime sono regole di
diritto prodotte secondo le procedure e all’interno delle tipologie previste dall’ordinamento.
• le fonti extra ordinem, cioè sono le fonti prodotte in maniera diversa rispetto a quelle
ufficialmente previste (pur non essendo riconosciute come tali esse sono fonti del diritto). Le
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seconde sono poste in essere da soggetti privi di potestà normativa o comunque al di fuori delle
norme giuridiche sulla produzione, che diventano fonti in quanto seguite per la loro effettività.
Fonti atto v. fonti fatto
A livello superficiale potrebbero apparire simili alle Fonti legali v. fonti extra ordinem, ma
presentano una differenza, ovvero sono basate sulla materialità o meno della fonte.:
- Fonti atto: Le prime sono regole giuridiche poste in essere da organi a ciò preordinati (ad
esempio, il Parlamento), sono create quindi da un atto specifico.
- Fonti fatto: Le seconde derivano da attività/comportamenti e non sono direttamente rivolte a
innovare il diritto vigente (la consuetudine, la convenzione o il precedente giudiziario).

Quasi tutti gli ordinamenti conoscono un sistema di fonti che è quello che è stato elaborato in
Occidente dalla fine del XVIII secolo, quando si iniziano ad elaborare i concetti di stato e
territorialità del diritto.

Il criterio di gerarchia:
Questo sistema prevede una
gerarchia, solitamente, al
vertice è posta la costituzione,
che riparte tra i vari organi il
potere di produzione normativa.
Si può dire che la costituzione
pone le norme sulla produzione
giuridica, dando formale
preminenza alla legge.

Le fonti possono essere


prodotte solo da qualche
soggetto nell’ordinamento. Esempio: in Italia può essere fatto dal parlamento.
Oltre a prevedere questo criterio ordinatore, si prevede anche le modalità in cui si risolvono i
possibili conflitti tra le fonti.
In Europa per esempio non si usa il criterio cronologico nel caso di antinomie, cioè si intendono
tutti quei casi in cui vi è incompatibilità tra due norme (Disposizione e norma) che disciplinano una
medesima fattispecie, si usa bensì il criterio di gerarchia.
La costituzione sempre nella disciplina delle fonti giuridiche è condizionata dall’organizzazione
territoriale dell’ordinamento. Esistono fonti prodotte dallo stato e fonti prodotte dalle regioni.

Quasi tutte le costituzioni adottano dei criteri ordinatori delle fonti (almeno: gerarchia e
competenza) e stabiliscono come si debbano atteggiare i rapporti tra le stesse in caso di conflitto
(criteri di risoluzione delle antinomie tra le fonti: cronologico, gerarchico, competenziale).
La produzione normativa è poi influenzata dalla forma di Stato e dalla forma di governo: il potere di
produzione normativa può essere articolato attorno al principio orizzontale di separazione dei poteri
(legislativo- esecutivo) o creare più centri di produzione giuridica (Stato, enti sub-statali).

LE VARIE FONTI:

1. Fonti politiche
Le fonti di tipo politico sono atti o fatti che sono creati da organi politici, come può essere il
parlamento. Ciò che è politico dipende molto dall’ordinamento di cui fa parte.
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Queste fonti sono tali o per la natura degli organi (elettivi, autoritari, ecc.) o perché consistono in
manifestazioni di volontà imputabili a soggetti/organi determinati, venute in essere in conformità a
un procedimento e formalizzate.
La categoria è assai ampia; le norme prodotte variano profondamente a seconda delle forme
politiche che le producono.

2. Fonti giurisprudenziali
Sono gli atti che creano diritto grazie ai giudici e quindi alla decisioni delle corti, le corti sono
riconosciute come fonti giuridico.
Poggiano sull’autorità della ragione, sulla composizione razionale degli interessi in conflitto da
parte del giudice, non sull’opportunità decisa in base al consenso.
Nella varietà di forme che può assumere, il diritto giurisprudenziale rappresenta oggi la maggiore
alternativa – sotto il profilo quantitativo, ma anche per importanza – al diritto di produzione
politica.

Queste prime due fonti sono le più importanti, costituiscono la maggioranza delle fonti prodotte in
un ordinamento.

3. Fonti religiose/divine
Ciò che crea diritto è legato a ciò che può essere una rivelazione (come il corano che è una
rivelazione divina). La particolarità delle fonte religiosa è che è immutabile, non può essere
modificata dall’uomo perché è una cosa divina.
Postulano la rivelazione divina come fonte (diritto canonico, diritto ebraico, diritto musulmano).
In generale, il diritto religioso postula che la volontà creatrice della norma sia la divinità e non
l’uomo ed è questo aspetto a distinguere in chiave sostanziale il diritto religioso da quello politico.

4. Fonti consuetudinarie
Prodotte non già in forza di un atto specifico, ma attraverso comportamenti reiterati, caratterizzati
dall’uso (sono dunque ripetuti in modo uniforme, costante e frequente) e dall’opinio iuris ac
necessitatis, ossia dalla consapevolezza che i soggetti che reiterano i comportamenti hanno la natura
giuridica degli stessi, ritenendoli quindi vincolanti.
I requisiti che determinano l’affermarsi di una norma consuetudinaria sono l’usus e l’opinio, vale a
dire:
i. L’usus, un tipo di comportamento viene costantemente messo in atto senza mai cambiare. È
oggettivo. La ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un dato
comportamento (usus, o elemento materiale della consuetudine);
ii. L’opinio è un fatto soggettivo: chi tiene quel comportamento lo fa perché segue una regola. Si
aggiunge la consapevolezza, in chi tiene quel dato comportamento, di un dovere giuridico di
conformarsi all’uso (opinio iuris, o elemento spirituale della consuetudine).

La sanzione manca nel momento in cui non si seguono queste norme “soggettive”. Se non c’è una
sanzione non è una norma propria del mondo giuridico.
La consuetudine è capace di creare diritto ma una violazione non porta alla sanzione. Può creare
diritto ma non è sanzionatile.

5. Fonti tradizionali
Una fonte tradizionale può essere quelle regole morali e filosofiche. Di solito questo diritto viene
applicato quando in una certa area non c’è già un diritto esistente.
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Permeano larga parte della produzione giuridica del mondo, anche se sono normalmente svalutate
dai costituzionalisti.
Dentro le tradizioni, il diritto consuetudinario rappresenta una base importante, anche se non
esclusiva.

Si definisce diritto tradizionale ufficiale (official customary law) il diritto tradizionale oggetto di
codificazione e successiva modificazione da parte delle potenze coloniali, in un primo tempo, e del
potere statale, dopo l’indipendenza.
Spesso è una semplificazione, omogeneizzazione di più diritti e tradizioni, con lo scopo di creare un
diritto più ‘vicino’ e più coerente con l’agenda politica delle potenze coloniali e degli Stati.
Per lungo tempo è stato l’unico diritto applicato dalle Corti.

Official customary law: A legal custom is the established pattern of behavior that can be objectively
verified within a particular social setting. A claim can be carried out in defense of "what has always
been done and accepted by law".

Ciò non ha eliminato il c.d. living customary law, il quale continua a essere praticato dalle comunità
che dovrebbero essere destinatarie del diritto tradizionale ufficiale.

In Sudafrica, ad esempio, la sua esistenza è stata esplicitamente riconosciuta (Corte cost., Bhe and
Others v Khayelitsha Magistrate and Others, 2004).

6. Fonti convenzionali
Esiste un patto in cui delle parti si mettono d’accordo per seguire quel patto (un po’ come un
contratto). Questo tipo di diritto trova spesso applicazione per esempio nell’ordinamento inglese
(nell’ambito di forma di governo). Le convenzioni non possono essere sanzionate.
Sono norme prodotte dalla volontà dei soggetti che ne rimarranno vincolati.
Sono adottate sulla base di un patto, condiviso dalle parti contraenti e vincolante solo per tali parti,
secondo lo schema tipico del contratto.

Nel diritto costituzionale, il ruolo delle convenzioni della costituzione è tutt’altro che marginale e
ampi settori del diritto costituzionale risultano spesso disciplinati da numerose norme
convenzionali: è il caso, in particolare, delle forme di governo.
Normalmente le convenzioni costituzionali, in quanto liberi accordi, non sono però assistite da
garanzie giurisdizionali, e il mancato rispetto della convenzione non può essere sanzionato da un
giudice.

Una posizione di primo piano hanno assunto le convenzioni costituzionali nell’ordinamento


britannico.
Qui, le regole di comportamento costituzionale sono ritenute vincolanti per coloro che ‘fanno
funzionare’ il diritto costituzionale, pur non essendo garantite da nessun giudice, né dai Presidenti
delle Camere.
Sono regole non giuridiche che stabiliscono i modi in cui le regole giuridiche vanno applicate.

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IV. CICLI COSTITUZIONALI, COSTITUZIONE E LE SUE DINAMICHE

La costituzione
La fonte giuridica ha un ruolo predominante nelle fonti del diritto. Esistono differenti concezioni
del termine:
1. Significato strettamente giuridico, che è quella fonte atto che è in grado di stabilire le regole
fondamentali per il funzionamento di un ordinamento (ordinamento dello Stato o, in senso
restrittivo, la norma primaria su cui l’ordinamento dello stato e la produzione delle sue fonti si
fonda).
2. Politico, quali sono i funzionamenti politici
3. deontologica (il modello ideale dell’organizzazione statale);
4. sociologica-fenomenologica (modo di essere dello Stato);
5. politica (organizzazione basata su determinati principi di indirizzo politico);

Il concetto occidentale di costituzione.


Norma suprema, fondamentale, che limita il potere in favore delle libertà individuali e collettive.
Legge fondamentale e superiore che regola uno Stato (inteso come comunità politica), dettandone le
regole di convivenza e di organizzazione/esercizio dei pubblici poteri. Identifica le norme di
funzionamento sia nelle relazioni pubblico-pubblico, che nelle privato - pubblico.

La costituzione, nella prospettiva occidentale, opera a tutela dei diritti e predispone i congegni che,
sul piano organizzativo e della produzione normativa, risultano funzionali a limitare il potere
politico in favore delle libertà.
Separazione dei poteri verticale e orizzontale, giurisdizione costituzionale, rappresentanza politica,
ecc.

La concezione occidentale di costituzione si definisce anche concezione garantista. Cioè che deve
garantire qualcosa a qualcuno. Qua elencati ci sono i caratteri che rendono tale una costituzione:
1. È contenuta in un testo scritto e solenne.
2. È superiore alle altre norme e fonti dell’ordinamento.
3. Stabilisce la disciplina dei pubblici poteri, riparte le funzioni tra i differenti organi (forma di
governo).
4. Garantisce i diritti fondamentali.

Anche se oggi ci sono delle costituzioni che non hanno questo carattere garantista. Per esempio la
costituzione del 1950 della repubblica cinese è che non c’era una parte dedicata alla proprietà
privata.

L’idea di costituzione è tipica di un particolare contesto e momento storico: deriva dalle rivoluzioni
liberali inglese, statunitense e francese.
Si identifica il concetto di costituzione con quello di costituzione formalizzata, dotata di un
determinato contenuto rispondente alla ideologia liberale.

La circolazione giuridica influenza anche l’idea della costituzione: essa si ritrova in ordinamenti
autoritari, di tipo tradizionale, religioso, ecc.
Circoscrivere la costituzione a quelle forme di Stato che hanno fatto propria la concezione
garantista significa non tenere in considerazione il fatto per cui ormai tutti gli ordinamenti, anche i
più lontani, hanno una costituzione.
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Spogliata delle sue caratteristiche contingenti, ora è un complesso normativo organico a


fondamento di ogni ordinamento statale, quali che siano l’ideologia e la famiglia giuridica.

Costituzioni senza costituzionalismo


Sono adottate in Stati i cui valori non sono riconducibili ai principi del costituzionalismo, con
esperienze diverse da quella democratica; risultano accomunate per contrasto con essa, quale che sia
la loro fonte di legittimazione: la pura forza, l’ideologia espressa da un partito egemone, il
Führerprinzip, l’investitura da Dio, ecc.
In questo caso abbiamo ordinamenti che riconoscono dei principi anti democratici. Le autorità
politiche vengono legittimate a fare delle cose anti-democratiche, di tipo autoritario.
Alcuni dei caratteri che ricorrono in tutte esse sono:
• l’affermazione dei diritti fondamentali dell’uomo (se c’è) non è assistita da un adeguato apparato
di strumenti di garanzia;
• non è contemplata un’effettiva separazione dei poteri;
• in qualche contesto, inoltre, non è assicurata l’autonomia della politica dalla religione.

Costituzioni con funzione ‘decorativa’


Sono costituzioni che formalmente riconoscono le garanzie ma nella pratica non vengono
riconosciute, esempio: il diritto di voto viene vincolato.
Esempio: uno dei motivi d’esistenza principali di queste costituzioni decorative sono per quelle
nazioni che si creano una costituzione di “facciata” in modo da poter avere dei rapporti commerciali
(vedi la Cina)
Nelle costituzioni autocratiche si usano formule tipiche di quelle democratiche, ad es. affermazioni
che riproducono il quadro dei riferimenti normativi tipici di una costituzione democratica.
Tuttavia, poiché sono generalmente nella disponibilità dell’autorità politica, queste costituzioni
finiscono per assolvere finalità al servizio della sostenibilità del regime medesimo.

Esse riproducono una serie di annunci o informazioni, programmi politici, aspirazioni ideali che il
regime ha inteso proclamare affinché i destinatari – i cittadini – ne siano informati e possano
idealmente e/o coercitivamente aderirvi (si parla anche di ‘costituzioni manifesto’).
Oppure ancora, i regimi che adottano una costituzione per le finalità di accreditamento
internazionale e pacificazione interna, di fatto riconoscono nella costituzione formale quegli
attributi che derivano dal costituzionalismo di matrice democratica, ma non sono portatori di
un’idea originale di costituzione; si appropriano della nozione originaria per accreditarsi
formalmente agli occhi degli occidentali.
Le costituzioni possono anche essere classificate per «cicli»: si tratta di una classificazione in base
al criterio temporale.
Nei cicli costituzionali, la classificazione delle costituzioni avviene per periodi storici, nell’ambito
dei quali le costituzioni sono riportabili a valori e obiettivi comuni.

I CICLI COSTITUZIONALI:

1. Costituzioni rivoluzionarie settecentesche


Le prime costituzioni sono quelle del 18esimo secolo, come quella statunitense che è formalmente
riconosciuta come la PRIMA costituzione.
Dichiarazione di indipendenza americana (1776), costituzioni delle ex colonie del Nord America;
costituzione USA (1787); costituzioni della Rivoluzione francese (Dichiarazione dei diritti del
1789; costituzione monarchica del 1791; girondina del 1793, che peraltro non venne approvata;
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giacobina ancora del 1793, mai applicata perché immediatamente sospesa per la proclamazione del
Comitato di salute pubblica; costituzione del Direttorio del 1795).

2. Costituzioni napoleoniche
Sono costituzioni che venivano pose in essere nei territori conquistati da Napoleone, tutte le
costituzioni erano assimilabili alla costituzione francese di quel tempo.
Ebbero notevole influenza in Italia, grazie alle vittorie delle armate francesi: carta della Repubblica
italiana del 1802 (con presidente Bonaparte); costituzione della repubblica ligure del 1802; statuto
dello Stato di Lucca del 1805; costituzione del Regno di Napoli del 1808.

3. Costituzioni liberali
A seguito della ricostruzione dell’Europa dopo il periodo napoleonico, abbiamo la formazioni di
alcuni stati che quindi scrivono delle costituzioni, c’è per esempio il riconoscimento
dell’importanza suprema del parlamento, c’è una differenziazione del potere politico, indipendenza
del potere giudiziario. e l’esplicito riconoscimento della costituzione come un qualcosa di
vincolante.
Francia (1830, carta di Luigi Filippo), Belgio (1831), Spagna (1837), Statuto albertino italiano
(1848), Austria (1848), Prussia (1850) e molte costituzioni della seconda metà dell’800 (ad es., la
costituzione della Grecia del 1864 o la costituzione giapponese del 1889).

4. Costituzioni democratiche razionalizzate


Dopo la prima guerra mondiale c’è la razionalizzazione dei rapporti degli organi politici
(razionalizzazione = andare a creare dei meccanismi di garanzia che inizialmente erano previsti solo
da rapporti tra pubblici poteri, evitare quindi che nascessero caratteri dispotici)
Primo dopoguerra (Germania, 1919; Austria, 1920).
Queste due influenzarono le costituzioni dei paesi sconfitti o sorti dalla dissoluzione degli Imperi
centrali dopo la prima guerra mondiale: Finlandia (1919), Cecoslovacchia (1920), Polonia (1921),
Jugoslavia (1921), Turchia (1924).
Si caratterizzavano sia per le misure di razionalizzazione dei rapporti tra gli organi di governo, sia
per il riconoscimento dei diritti sociali.

5. Costituzioni di tipo democratico-sociale


Elaborate dopo la seconda guerra mondiale (Francia, Italia, Germania e, più recentemente, Spagna,
Portogallo, Grecia) in quei paesi che arrivarono a sviluppare le costituzioni democratiche
razionalizzate.
Introducono il controllo di costituzionalità delle leggi, riconoscono il pluralismo.

TIPOLOGIE DI COSTITUZIONE:
I. POPOLARI: dove il potere costituente esercitato dal popolo. Di solito è data un’assemblea
costituente, democraticamente formata, organo straordinario chiamato a fissare i principi
fondamentali di un ordinamento approvando la costituzione.
Può essere un organo istituito appositamente (Francia 1848, 1870; Germania 1918; Italia 1946;
Nepal 2006); può essere un organo del precedente ordinamento (Francia 1789, Norvegia 1814;
Spagna 1978) o un organo intermedio (Austria 1918).
II. CONCESSE (od ottriate): quando delle pressioni popolari portano alla concessione del re di
fare una costituzione. Tipiche liberali ottocentesche. Si intendono quelle che sono frutto di
un’autolimitazione del Sovrano, che concede la ‘costituzione’. Essa, formalmente, costituisce
espressione del potere costituente di quest’ultimo, ma dietro vi sono pressioni popolari; sicché
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non nascono da un’attività del tutto spontanea del Sovrano, che la concede, e da potere
costituente diventa organo del potere costituito (Statuto Albertino 1848, Principato di Monaco
1911 e 1962, Swaziland 2003).
III. PATTIZIE: frutto di un accordo tra Re e Assemblea (Svezia 1809, Francia 1830, Prussia 1850).
IV. PLEBISCITARIE: cioè delle costituzioni che venivano sottoposte a un referendum, il problema
era che erano delle votazioni non democratiche, perché venivano date solo un’opzione (solo
confermativo), o costituzioni approvate dal popolo con un plebiscito, provenendo da un potere
non direttamente rappresentativo del popolo e con carenza di dibattito democratico e di
alternativa (Francia: costituzioni del 1799, 1802, 1804, 1852, 1870; Portogallo 1933; Grecia
1968; Argentina 1976; Iran 1979; Cile 1980).
V. ACCORDI INTERNAZIONALI: delle costituzioni che possono discendere da accordi
internazionali come per esempio dopo una guerra. Il caso classico è quello della costituzione di
Cipro, redatta sulla scorta di un Trattato intercorso tra Gran Bretagna, Grecia e Turchia, oppure
quello della Bosnia-Erzegovina.
VI. CONDIZIONATE: si tratta di quelle ipotesi in cui la libertà del potere costituente non è
illimitata ma è, invece, condizionata da accordi esterni o internazionali: ad es., la costituzione di
Weimar del 1919 doveva tener conto dei vincoli imposti dal Trattato di Versailles.

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Lezione 11-
Martedì 25 ottobre

REVISIONI DELLA COSTITUZIONE


Esistono due tipi di potere:
1) Il potere COSTITUENTE: che è il cosiddetto potere libero, assoluto, sul quale un popolo erige il
proprio ordinamento giuridico. Il potere costituente è assoluto in quanto prima di esso, e quindi
prima della stipulazione di una Costituzione, non vi è nulla. Il potere costituente è un tipo di
potere capace di portare ad esistenza un testo costituzionale. È un potere particolare perché si
legittima in via di fatto, e non di diritto, cioè non si basa su una norma che già esiste (auto
legittimazione). La costituzione è atto di volontà del potere costituente. Non si basa su una
norma preesistente che legittima l’esercizio del potere, ma solo su di una volontà politica dotata
di particolare forza, in virtù di situazioni storiche e/o di rapporti di fatto esistenti in un
determinato Paese. È un potere originario: si legittima in via di fatto, trae da sé la propria
legittimazione.
2) Il potere COSTITUITO: che trova potere invece nella costituzione, quindi viene dopo la
trasformazione del potere costituente in una costituzione. Esso è quel potere che permette,
tramite un iter legis speciale rispetto a quello ordinario, di modificare la costituzione, ma è
impossibilitato dal crearne una nuova, in quanto soggetto ai limiti imposti dal potere costituito

Il potere costituente si contrappone al potere costituito.


Dopo l’esaurimento del potere costituente, l’affermazione di un nuovo ordinamento e l’entrata in
vigore della costituzione, non si danno più organi che adottano decisioni liberamente, in forme non
prestabilite e che si legittimano in via di fatto.
Ogni decisione promana dal potere costituito: un potere che opera seguendo le indicazioni e le
procedure date dal potere costituente e da questo affidate alla costituzione.

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Nel procedimento costituente l’iniziativa può appartenere a un’autorità straordinaria. Tale autorità:
1. può essere un organo ad hoc (apposito), costituitosi per svolgere tale ruolo;
2. può essere un organo previsto dalla costituzione fino ad allora vigente, ma che acquista la
natura di organo straordinario perché elabora ed esprime la decisione politica di mutare – non
secondo forme previste dall’ordinamento – la costituzione.
In entrambi i casi, c’è un’assunzione fattuale di poteri non contemplati dall’ordinamento costituito.
Può essere che il potere venga esercitato da un organo che non si sia creato apposta per quella
funzione, ma venga utilizzato un organo che già esisteva. Per esempio: le corti di vertice che
successivamente presero di fatto la competenza a redigere un nuovo testo.

Vi può essere l’assunzione del potere costituente da parte di organi del precedente ordinamento
costituzionale.
1. Stati generali nella Francia del 1789 che, convocati secondo le norme vigenti, assumono il
nome di Assemblea Nazionale, con il potere (e il titolo di) costituente.
2. 2. Nel 1999, il neo eletto Presidente della Repubblica Venezuelana Hugo Chávez ha indetto un
referendum consultivo per la convocazione di un’Assemblea costituente (non prevista dalla
costituzione), instaurando così un processo che si è concluso con una nuova costituzione.

Vi può essere la ‘ratifica’ della costituzione a mezzo di referendum. Costituzione del Massachusetts
(1780); costituzioni francesi (1793, 1795, 1799, 1946 e 1958). Situazione che presuppone
l’esistenza di un organo che effettivamente scrive una costituzione, tuttavia essa non entra in vigore
solo perché prodotta, ma viene fatto un referendum popolare per farla entrare in vigore.

Le modificazioni alla costituzione


Una costituzione, per quanto possa essere forte e suprema, non è immutabile, può essere modificata
o superata da una nuova costituzione. Quando si parla di modifica o revisione delle costituzioni si
parla sempre di potere costituito, perché le regole per modificare la costituzione si trovano nella
costituzione stessa.
Prima di tutto dobbiamo vedere le due tipologie di costituzione che sono rigida o flessibile:
- le costituzioni FLESSIBILI sono nate anche con le costituzioni liberali settecentesche. Per
modificare la costituzione non serve nient’altro che una legge ordinaria. La maggioranza che
serve per modificare la costituzione non è nulla di straordinario, le costituzioni possono essere
modificate molto facilmente e molto spesso. Sono quindi modificabili senza che sia necessario
seguire procedimenti particolari.
- Le costituzioni RIGIDE si sono sviluppate successivamente, la rigidità è vista come un
meccanismo di difesa della costituzione, prevede al suo interno un meccanismo aggravato per
modificarlo, cioè serve più della maggioranza (per esempio 3/4 dei voti in entrambe le camere).
Solitamente il processo aggravato è previsto direttamente nel testo costituzionale.

Le modifiche possono essere formale oppure informale:


- Modifiche formali (in emendamento o in revisione): quindi il testo viene modificato.
- Modifiche informali (o tacite): in via di interpretazione, per opera della giurisprudenza,
inattuazione costituzionale, formazione di consuetudini o convenzioni, ecc. È una modifica che
interviene senza modificare il testo ma attribuendogli un significato diverso da quello che si è
sempre dato.

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Le costituzioni flessibili sono modificabili senza ricorrere a un procedimento particolare (es. Statuto
albertino 1848; costituzioni francesi 1815, 1830, 1852; Costituzioni spagnole 1834, 1837, 1845,
1876).
Di conseguenza, una modifica formale non incontra grosse problematiche, solitamente non essendo
nemmeno disciplinata.

! Diverso il discorso per le costituzioni rigide, dove una modifica formale al testo costituzionale è
espressamente protetta da un preciso procedimento da seguire obbligatoriamente.
Se la procedura non viene seguita, le modifiche vengono annullate e non sono valide.

Il procedimento di revisione formale in costituzioni rigide può essere di vari tipi:


- ordinaria assemblea legislativa che opera con funzioni di organo della revisione costituzionale
(varie maggioranze e una o più deliberazioni);
- legislatura di proposta e (diversa) legislatura di revisione;
- modello convenzione (assemblea ad hoc);
- referendum (eventuale o necessario);
- federale (deliberazione del legislativo federale con o senza concorso di concordi deliberazioni dei
legislativi degli Stati membri).

1. Ordinaria assemblea legislativa che opera con funzioni di organo della revisione costituzionale
Le votazioni possono essere. Una prima modalità di modifica è dare all’assemblea legislativa la
possibilità di operare direttamente come organo in grado di revisionare il testo, il parlamento
semplicemente si riunisce e vota a maggioranza. Ad esempio:
- a maggioranza assoluta (con due deliberazioni conformi: Prussia 1850; Brasile 1891);
- a 2/3 (una votazione: Portogallo 1976; Polonia 1997; due votazioni: Italia);
- a 3/5 (due votazioni successive: Brasile 1988);
- unanimità (o due successive a tre quarti: Liechtenstein 1921).

2. Legislatura di proposta e legislatura di revisione


Questo processo di revisione costituzionale può essere sdoppiato, cioè inizia la procedura di
revisione con il parlamento esistente, che approva la modifica del testo, una volta che la revisione è
stata formulata il parlamento viene sciolto, si procede a nuove elezioni e quindi alla creazione di
una nuova assemblea legislativa, che ratifica quello che il precedente organo legislativo aveva
approvato: legislatura di proposta, è quella che fa la proposta di modifica, e legislatura di revisione ,
è quella che effettivamente fa la revisione (Belgio 1831; Danimarca 1953; Islanda 1944).

3. Modello convenzionale.
Elezione assemblea ad hoc che ha come funzione esclusiva quella di procedere alla revisione
(Francia 1793, 1848; Argentina 1853; art. V Cost. USA).
In alcuni casi si chiama assemblea costituente, ma è comunque espressione di potere costituito:
Uruguay, Colombia, Bolivia.

Art. V US Constitution:
The Congress, whenever two thirds of both Houses shall deem it necessary, shall propose
Amendments to this Constitution, or, on the Application of the Legislatures of two thirds of the
several States, shall call a Convention for proposing Amendments, which, in either Case, shall be
valid to all Intents and Purposes, as Part of this Constitution, when ratified by the Legislatures of

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three fourths of the several States, or by Conventions in three fourths thereof, as the one or the
other Mode of Ratification may be proposed by the Congress …

La proposta per la revisione può essere deliberata:


i. dal Congresso, a maggioranza dei 2/3 di ciascuna Camera;
ii. da un organo ad hoc (Convention for proposing Amendments) convocato dal Congresso su
richiesta dei 2/3 degli Stati.

La ratifica degli emendamenti proposti deve avvenire:


i. da parte dei 3/4 delle Assemblee legislative statali;
ii. da parte di conventions appositamente convocate in 3/4 degli Stati.
L’una o l’altra forma di ratifica sono scelte dal Congresso.

Combinando i vari elementi abbiamo ben quattro procedimenti:


1. proposta del Congresso deliberata a 2/3 di ciascuna Camera e ratifica da parte dei 3/4 dei
legislativi statali;
2. proposta del Congresso deliberata a 2/3 di Ciascuna camera e ratifica parte di conventions
appositamente convocate in 3/4 degli Stati;
3. proposta dell’organo ad hoc (Convention for proposing Amendments) convocato dal Congresso
su richiesta dei 2/3 degli Stati e ratifica da parte dei 3/4 dei legislativi statali;
4. proposta dell’organo ad hoc (Convention for proposing Amendments) convocato dal Congresso
su richiesta dei 2/3 degli stati e ratifica da parte di conventions appositamente convocate in 3/4
degli Stati.

Referendum.
Il testo costituzionale prevede fondamentalmente tre tipologie di referendum: abrogativo,
propositivo e costituzionale, la costituzione italiana prevede un passaggio con l’assemblea
costitutiva. Per assemblea costituente si intende generalmente un'assemblea eletta per lo più a
suffragio ampio, se non universale, ed incaricata di redigere una Costituzione: l'assemblea
costituente è, quindi, espressione per antonomasia del potere costituente.
- Eventuale (Italia 1948; Spagna 1978) o necessario, variamente combinato e preceduto da
deliberazioni (una o più) delle assemblee rappresentative (Svizzera 2000; Irlanda 1937; Romania
1991).
- Referendum necessario, ma preceduto da due votazioni tra le quali sono svolte elezioni
(Danimarca 1953; Spagna 1978).
- Esclusione del referendum necessario se si raggiungano determinate maggioranze (Francia
1946), o se deliberato da camere riunite (Francia 1958).

Art. 138 Cost. italiana:


Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna
Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro
pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila
elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è
approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna
delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti
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Revisione nelle costituzioni federali.


Possono servire:
- le delibere degli organi legislativi federali (partecipazione solo indiretta): es., Germania, Austria,
India;
- le delibere degli organi legislativi federali E degli Stati membri (assemblee legislative o loro
corpo elettorale): es., USA, Canada, Messico, Australia, Svizzera.

I LIMITI:
1. Limiti temporali alla revisione costituzionale.
I limiti temporali all’esercizio del potere di revisionare sono quelli per cui in un determinato
periodo di tempo è vietata la revisione della costituzione. Si da il tempo necessario per la
costituzione di andare in vigore, senza cambiarlo troppo velocemente.
- Così la costituzione francese del 1791 prevedeva che essa non fosse modificabile prima di dieci
anni.
- Otto anni di immutabilità erano invece previsti dalla costituzione di Cadice del 1812.
- Limiti temporali erano fissati dalle costituzioni portoghesi del 1822 e del 1826 e da numerose
costituzioni di Stati latino-americani (art. 122 Cost. Paraguay 1870; art. 263 Cost. Nicaragua
1911; art. 164 Cost. Ecuador 1929).
- Attualmente, una prescrizione del genere è prevista dalla Costituzione portoghese del 1976, che
ammette revisioni solo decorsi 5 anni dall’ultima legge di revisione (art. 284, c. 1).
- Analogamente, la Costituzione greca (art. 110, c. 6) prescrive una moratoria di 5 anni tra una
revisione e l’altra.
- La stessa Costituzione USA, seppur con riferimento a talune disposizioni (prima e quarta
clausola della Sez. IX dell’art. 1), pone un divieto ‘a tempo’ di revisione. Scaduti tali termini,
riemerge la piena revisionabilità.
- Tra le nuove carte costituzionali, la Costituzione irachena del 2005 (art. 126, c. 2) proibisce la
revisione della prima parte del testo costituzionale prima che siano completati due cicli
parlamentari, mentre la Costituzione serba (art. 203) prevede un periodo minimo d’attesa di 12
mesi prima di riproporre una modifica costituzionale precedentemente respinta.

2. Limiti circostanziali alla revisione costituzionale.


Vuol dire che quando l’ordinamento costituzionale si trova in una particolare situazione, la
costituzione non può essere modificata (per esempio in casi di minacce, emergenze, tensione, stato
d’assedio, guerra)
Termine espressamente usato dall’art. 289 della Costituzione portoghese, sono rappresentati da
quelle disposizioni costituzionali che vietano la revisione in situazioni:
i. di emergenza (art. 146 Cost. Afghanistan 2004; art. 204 Cost. Serbia 2006; art. 219 Cost. Rep.
dem. del Congo 2005; art. 147 Cost. Lituania);
ii. di tensione (es., stato di guerra o stato d’assedio): art. 147 Cost. Lituania; art. 152, c. 3, Cost.
Romania; art. 197 Cost. Belgio; art. 198 Cost. Olanda del 1887);
iii. comunque suscettibili di tradursi in alterazioni della necessaria serenità ed autonomia del potere
costituente (art. 169 Cost. Spagna; art. 289 Cost. Portogallo; art. 89, c. 4, Cost. Francia del
1958; art. 94 Cost. Francia del 1946).

3. Limiti di contenuto alla revisione costituzionale.


Riferimento a che cosa materialmente può essere cambiato.
i. espliciti: sono disposizioni sancite dalla stessa costituzione, cc.dd.perpetuity clauses o
unchangeable provisions (art. 139 Cost. Italia; art. 89 Cost. Francia 1958 - forma repubblicana;
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art. 79, III, GG -partecipazione Länder a legislazione, articolazione Bund in Länder, diritti e
principi contenuti in artt. 1-20; art. 110 Cost. Grecia – repubblica parlamentare, protezione
dignità umana, separazione dei poteri; art. 288 Cost. Portogallo - unità, indipendenza, diritti,
libertà e garanzie, suffragio universale; Algeria e Afghanistan - Islam come religione di Stato).

Art. 139 Cost. italiana:


La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
ii. impliciti: alcune costituzioni non contengono perpetuity clauses, o ne prevedono di molto ampie.
Tuttavia, non si possono toccare le norme che contengono i principi fondamentali, di struttura (es.,
supremazia della costituzione, forma di governo democratica e repubblicana, laicità, separazione dei
poteri). Ampio ruolo svolto da parte della giurisprudenza costituzionale.

Vi possono essere anche delle forme di rigidità variabile. Ci sono alcune ipotesi di
superaggravamento, a fronte di una costituzione rigida, ci sono delle ipotesi specifiche che sono
ancora più rigide, per esempio art.5 della costituzione statunitense.
Le forme di ‘superaggravamento’, di solito, sono finalizzate alla tutela del patto federale che ha
dato luogo all’istituzione dell’ordinamento federale.

Così, ad esempio, l’art. V della Costituzione USA stabilisce che «no State, without its Consent,
shall be deprived of its equal Suffrage in the Senate»: un’eventuale modifica all’art. 1, Sez. III,
volta a cambiare, per uno o più Stati, la regola per cui il Senato degli Stati Uniti è composto da due
senatori per ogni Stato, richiede, oltre alla complessa procedura di revisione ordinaria, il necessario
consenso degli Stati interessati.

Revisioni totali della costituzione.


Investono l’intera costituzione o gran parte di essa o i suoi principi fondamentali.
Sono ammissibili? Sì
È esercizio di potere costituente o di potere costituito? Potere costituito perché la procedura di
revisione totale è prevista nella costituzione precedente quella che effettivamente deve essere
cambiata.

Spagna.
Per la revisione costituzionale (art. 167 Cost.): approvazione a 3/5 di ciascuna Camera e referendum
eventuale.
Per la revisione totale (art. 168 Cost.): 1. approvazione a 2/3 di entrambe le Camere (aprobación de
principio); 2. scioglimento delle Camere; 3. ratifica a 2/3 delle nuove Camere e referendum.

Svizzera.
Già dal 1848 usata per modificare le costituzioni del 1874 e del 1999.
- Se 100.000 elettori presentano un progetto redatto in termini generali, o vi è iniziativa
unicamerale: serve una consultazione popolare preliminare (a maggioranza dei votanti e
maggioranza degli Stati): quindi elezioni nuove Camere e approvazione definitiva.
- Se delibera bicamerale: non serve il referendum, né lo scioglimento, ma si va ad approvazione
direttamente da parte delle due Camere con successivo referendum (a maggioranza del popolo e
dei Cantoni).

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Altri casi:
- Bulgaria (art. 158 Cost.): la proposta è esaminata e approvata dall’Assemblea Nazionale a 2/3;
segue, poi, l’elezione di una Grande Assemblea Nazionale, che approva in tre distinte votazioni a
2/3 dei componenti.
- Ungheria (Cost. 2011): la proposta è approvata a maggioranza dei 2/3 dei componenti del
Parlamento

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