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DAVID HUME

David Hume appartiene alla corrente dell’empirismo, e porta


quest’ultimo alla sua esasperazione, dalla quale inizia lo scetticismo
(non si parla più solo di empirismo ma di empirismo radicale
scettico): a differenza degli illuministi, ritiene che la natura non si
componga di ragione ma di istinto, e che la ragione non sia altro che
una manifestazione della natura istintiva dell’uomo, e dunque sia
limitata.

Prima di lui, George Berkeley, rappresentante successivo a Locke


dell’empirismo, sostenne che la realtà oggettiva consistesse nel suo
essere percepita (“esse est percipi”) e che dunque non esistesse la
materia (l’oggetto esterno, la natura) ma solo il soggetto che
percepisce (l’uomo). Hume lo supera ed afferma che oltre all’oggetto
esterno, non esista neanche il soggetto che percepisce.
Pur non essendo un razionalista, come per Cartesio, anche per Hume il
punto di partenza della filosofia è il soggetto che pensa e conosce.
Prima di indagare il mondo, bisogna indagare il soggetto che conosce
e analizzare da dove provengono le sue conoscenze.

Per Hume, come scrive nella sua opera più importante “Trattato
sulla natura umana” la conoscenza si basa sulla percezione, intesa
come tutto ciò che può essere presente alla mente.
Le percezioni si suddividono in Impressioni e Idee (o pensieri)

•Impressioni: percezioni più vivide, ovvero sensazioni, passioni,


emozioni che si presentano “con maggior forza e violenza”.
Es: sensazioni di calore e di piacere. Per esempio, vedo il colore
giallo.
•Idee (o pensieri): sono meno vivide delle impressioni.
Per esempio, il ricordo del colore giallo.

Si originano dalla riflessione sulle impressioni di cui si è fatta


esperienza.
Es: l’idea di una matita d’argento nasce combinando l’idea di matita e
di argento. L’idea di Dio nasce combinando l’idea di perfezione e
bontà presenti in noi.

CRITICA IDEE INNATE E IDEE ASTRATTE


Nega l’esistenza delle idee astratte ed innate.
•Le idee innate non esistono perché ogni idea deriva dalle
impressioni, e sia impressioni che idee sono percezioni, che non sono
già radicate nella mente.
•Le idee astratte/generali sono idee simili particolari che vengono
private delle particolarità e diventano dunque generali.
Però, poiché per conoscere una idea si deve ricorrere all’impressione
corrispondente e le impressioni sono sempre relative a qualcosa di
particolare, le idee astratte non esistono: se tutte le idee derivano dalle
impressioni, da dove deriva l’idea astratta di una determinata cosa?
Nessuno infatti ha mai visto l’idea di cavallo, ovvero un cavallo
in generale, ma sempre solo questo o quel cavallo particolare.
Anche un pensatore antico, Antistene, aveva una concezione simile
che espresse nella critica della dottrina delle idee di Platone: “Vedo il
cavallo ma non la cavallinità”.
Mentre Locke criticava solo le idee innate, Hume pone una critica
anche alle idee astratte.

ASSOCIAZIONE IDEE- IDEE COMPLESSE


Hume vuole essere in filosofia ciò che Newton fu per la scienza, “un
Newton della natura umana”
Secondo Hume, la mente non è luogo del libero arbitrio o del caso ma
dell’ordine e delle leggi, e può essere studiata come se fosse un

piccolo universo in cui vigono leggi simili a quelle che vivono


nell’universo fisico.
Hume asserisce che, così come l’universo fisico è soggetto alle legge
della gravitazione, così allo stesso modo le impressioni e le idee sono
soggette alla legge di associazione, che opera secondo una “dolce
forza” (che assomiglia alla legge di attrazione fra pianeti) che mette in
modo l’immaginazione (intesa non come fantasia ma come la
capacità della mente di creare associazioni tra le idee) che fa nascere
le idee complesse, che si muovono le une verso le altre.

Le associazioni avvengono per:


•Somiglianza: un ritratto ci fa pensare alla persona che si è voluto
raffigurare, che appunto è simile a quella del ritratto;
•Contiguità (o vicinanza) nel tempo e nello spazio: un oggetto ne
richiama uno vicino nel tempo e nello spazio.
Se penso a un tavolo viene in mente una sedia (spazio); se si parla del
futuro viene in mente il presente o il passato (tempo); se si parla di
Parigi viene in mente la Francia (spazio).
•Causalità: la causa fa venire in mente l’effetto (e viceversa).
Se si pensa al fuoco, viene in mente il fumo; se si pensa al figlio viene
in mente il padre.

Le idee complesse si dividono in:


• Idea di spazio (l’albero è vicino alla casa)
•Idea di tempo (l’albero è stato piantato
prima di costruire la casa)
•Idea di causa-effetto(l’ascia taglia l’albero)
•Idea di sostanza che può essere:
•Sostanza materiale (cosa): percepisco il sole come oggetto cioè
come insieme di impressioni connesse (giallo, caldo, tondo, ecc.)
•Sostanza spirituale (io): percepisco uno stato di rabbia, di gioia, ecc.
e attribuisco tutti questi stati al mio io, inteso come una realtà a sé
stante, esistente indipendentemente da essi, cioè come una sostanza.

A differenza di Cartesio secondo il quale si può conoscere se stessi


grazie al pensiero ed il mondo esterno tramite Dio, Hume critica sia la
sostanza materiale (cosa) sia la sostanza spirituale (io).

CRITICA ALLA SOSTANZA MATERIALE (COSA)


Quando facciamo esperienza del mondo esterno formuliamo
impressioni, ma tali impressioni offrono solo qualità sensibili e
particolari.
Non permettono di conoscere un qualcosa che sia substratum (che si
trovi sotto quelle caratteristiche).
La sostanza sarà solo una collezione di idee semplici unite insieme
dalla nostra immaginazione.
Non è possibile conoscere l’essenza della cosa, dunque non si può
conoscere la sostanza materiale.

CRITICA ALLA SOSTANZA SPIRITUALE (IO)


Per Hume, non è possibile neanche conoscenza dell’io.
Dell’io, noi conosciamo solo percezioni particolari (stati d’animo) ma
non riusciamo a conoscere l’io privo di tali percezioni.
Se togliessi le percezioni, dell’io non resterebbe nulla.
Quindi l’io non esiste come sostanza.
E quando le percezioni per un breve lasso di tempo sono assenti, come
nel sonno, l’uomo non si conosce, e dunque non esiste.

L’io è visto come:


•un “fascio di percezioni” che si susseguono in continuo ed
inarrestabile mutamento.
•teatro, un continuo variare di scena, un continuo alternarsi di
percezioni.

TIPI DI CONOSCENZA
Le idee si uniscono tra loro e formano 2 diversi oggetti della ragione,
che corrispondono a 2 tipi di conoscenza:

•Relazioni tra idee (verità di ragione): Hanno 3 caratteristiche:


•Sono oggetto della conoscenza a priori, ovvero sono indipendenti
dalla esperienza. Risultano certe sia intuitivamente che
dimostrativamente.
•Sono necessarie, cioè il loro contrario implica contraddizione,
infatti si basano sul principio di non contraddizione.
•Sono sintetiche, cioè consentono di accrescere le conoscenze
permettendo di scoprire teoremi e verità prima ignoti (studiando il
triangolo posso scoprire, come ha fatto Pitagora, delle proprietà
relative alle aree che posso costruire sui suoi lati, ecc).

•Relazioni tra fatti/ materie di fatto (verità di fatto):


Sono oggetto della conoscenza empirica, a posteriori.
Dunque sono contingenti, ovvero non c’è piena certezza ma solo
probabilità: la proposizione “Il sole sorgerà domani”, è ricavata dalla
esperienza e dunque c’è solo una probabilità che ciò avvenga. Il sole,
potrebbe anche non sorgere. Si basano sul principio di causalità
(relazione tra causa ed effetto):

Fa una differenza tra le verità di ragione e le verità di fatto:


Chi mai potrebbe dire, vedendo l’acqua per la prima volta (Hume fa
l’esempio di Adamo) che essa annega, con la stessa logica con cui
potrebbe ricavare col solo ragionamento (e dunque senza ricorrere
all’esperienza) le caratteristiche di un triangolo?
Questo perché che l’acqua anneghi è una verità di fatto, una verità di
cui si fa esperienza, e senza farne esperienza nulla ce lo fa
immaginare.
Le caratteristiche di un triangolo sono una verità di ragione, sono
dimostrabili

La capacità di annegare non è iscritta nell’acqua come le


caratteristiche del triangolo.
La necessità logica vige solo in matematica; nei fatti della natura
dobbiamo solo osservare e prendere atto a posteriori di quello che
accade.

Queste 2 conoscenze quindi sono del tutto distinte tra loro, sono come
le due punte di una forchetta, che non si toccano mai (la forchetta di
Hume).

La conoscenza vera è quella empirica, che ha come oggetto le


materie di fatto. Questo perché le relazioni tra idee non sono basate
sulla esperienza.

All’immagine della forchetta di Hume qualcuno contrappone quella


del “forcone (o tridente) di Kant” che riassume la teoria della
conoscenza di Kant, la quale supera quella di Hume.
Nel tridente è presente infatti una terza punta cioè un terzo tipo di
conoscenza che Kant chiama “sintetica a priori”, nella quale si
fondono i 2 tipi di conoscenza che Hume ritiene non possano
incontrarsi mai.

PRINCIPIO DI CAUSALITÀ
Hume muove una critica contro il principio di causalità (dalla causa si
arriva all’effetto).
Innanzitutto per Hume, affinché operi una causa qualunque, sono
necessari 3 elementi:
•la contiguità nello spazio e nel tempo.
•nell’ordine del tempo, ogni causa viene prima dell’effetto.
•tra causa ed effetto esiste una congiunzione costante.

Nel caso delle due palle da biliardo, la prima ferma mentre la seconda
in movimento verso di essa, noi deduciamo immediatamente che le

due si urteranno e che il movimento della prima palla si trasferirà alla


seconda. Noi operiamo quindi una sorta di previsione, passando oltre
l’evidenza dei sensi.

Questo legame di causa-effetto (il movimento di una come causa del


movimento di un altra che ne è l’effetto), non ha alcun fondamento,
infatti nessun ragionamento può dimostrarlo.
Il principio di causalità, secondo Hume, non si basa dunque sulla
ragione.

Si basa sull’abitudine, che è il vedere ripetersi gli stessi eventi.


Abitudine che ci porta alla credenza che il futuro sarà conforme al
passato: l’esperienza di eventi passati è il fondamento delle nostre
deduzioni circa eventi futuri.
Noi crediamo che qualcosa è causa di qualcos’altro (di un effetto)
semplicemente per il fatto che ci siamo abituati a osservare che quella
cosa che chiamiamo effetto segue sempre quella cosa che chiamiamo
causa.
Ma si tratta solo di una credenza che, che per quanto radicata nella
natura umana, non ha un fondamento razionale e necessario.

Il principio di causalità, che usiamo costantemente per spiegare le


cose, secondo Hume è un principio che non ha un fondamento
conoscitivo solido.
Infatti, esso:
•Non è fondato a priori: non è una caratteristica che possiamo
ricavare osservando un oggetto, ma dobbiamo farne esperienza,
dunque viene ricavata a posteriori.
Adamo che osserva per la prima volta l’acqua non è in grado di dire
che essa annega.
•Seppure sia ricavato dall’esperienza (a posteriori) ciò non ci rende
sicuri di esso, perché l’esperienza potrebbe mostrarsi in qualunque
momento diversa dal passato.
Il fatto che qualcosa sia andato sempre in un certo modo finora, non ci
dà garanzie per il futuro; il fatto che abbiamo osservato finora che
l’acqua annega, non significa che in futuro sarà necessariamente così

Gli uomini, per abitudine, non mettono in dubbio il sorgere del sole e
lo danno per scontato: tutti i giorni ho visto il sole sorgere (abitudine)
e sono convinto (credenza) che sorgerà anche domani (effetto)
Ma, in realtà, dice Hume, che siccome l’abitudine non è certa, domani
il sole potrebbe non sorgere.

“Post hoc ergo propter hoc”


(“Dopo questo, dunque a causa di questo”) è la formula latina con cui
si riassume la teoria della causalità di Hume.
Per Hume, la abitudine è ciò che la ragione era per Cartesio.

La critica di Hume al principio di causalità, che mina le basi della


scienza, costruisce il punto di partenza per le riflessioni di Kant, che
dichiara di aver trovato in Hume un potente stimolo per l’elaborazione
della propria filosofia.
Kant dirà che la lettura delle opere di Hume lo ha risvegliato dal
“sonno dogmatico” cioè dall’accettazione acritica di idee su cui si
basava la filosofia tradizionale (infatti, per dogmatismo Kant
intendeva una fiducia cieca nella capacità della ragione di produrre da
sola un sapere valido a priori)

Ispirandosi ad Hume e l’abitudine, il filosofo del Novecento Bertrand


Russel formulerà la storiella (che sarà ripresa anche da Karl Popper)
del tacchino induttivista, il quale si crea una visione del mondo
partendo dalla generalizzazione dei fatti che osserva: essendo nutrito
ogni mattina alle 9, si aspetta (a causa della abitudine) da buon
infuttivista, di continuare ad essere nutrito ogni giorno a quella stessa
ora. Ma, in realtà, il 24 dicembre, invece di essere nutrito, viene
sgozzato in occasione del pranzo di Natale.

La sua teoria derivava quindi da osservazioni ripetute ed identiche,


come appunto afferma il metodo induttivo (dal particolare al presume
di stabilire legge generale) così come per il tacchino da episodi
particolari si potesse stabilire una verità universale.
Dunque, Russel con questa metafora si schiera contro l’abitudine e
l’induttivismo, cardine del metodo induttivo e dell’empirismo.

PASSIONI
Hume definisce le passioni come delle impressioni secondarie (di
riflessione), derivanti dalle impressioni originarie ossia le
impressioni di sensazione oppure dalla associazione delle idee.
Per esempio, l’amore presuppone l’idea di un’altra persona; l’orgoglio
l’idea di noi stessi.
Hume sostiene anche che le passioni possono essere di 2 tipologie:
•Calme, come il senso del bello e del brutto;
•Violente come sono l’amore, l’odio, tristezza, gioia, orgoglio e
umiltà;
Un’altra distinzione è quella tra
•Passioni dirette
•Passioni indirette.

•Passioni dirette, derivano dal bene, dal male, dal piacere, dal dolore.
Come nel caso di desiderio, avversione, tristezza, gioia e simili;
•Passioni indirette, frutto della combinazione di questi principi con
altre qualità.
Sono ad esempio orgoglio, umiltà, vanità, invidia, amore e odio.

La ragione non può controllare le passioni.


La ragione è “schiava delle passioni”.

LIBERO ARBITRIO E SENTIMENTO MORALE


Poiché anche la volontà è una impressione, non esiste il libero
arbitrio inteso come il determinare il determinare razionalmente le
proprie azioni.

Dunque, le nostre azioni, la distinzione tra bene e male, tra virtù e


vizio, tra azioni morali ed immorali, dipendono dal sentimento
morale.
Grazie a questo sentimento, l’uomo, osservando le azioni proprie ed
altrui, prova piacere per le azioni virtuose e dispiace ed quelle viziose.
Quindi, il sentimento morale è un sentimento di piacere/dispiacere
disinteressato (almeno apparentemente).
Così come il principio della abitudine era la credenza, il principio del
sentimento morale è la simpatia.
Quest’ultima è la capacità di condividere le passioni, anche
contrarie, degli altri uomini e provarle in prima persona.
Infatti, il termine greco “symphátheia” significa “con-patire”.
La simpatia, l’uomo la prova nei confronti degli individui.
La simpatia, però nei confronti della intera umanità, è chiamata
“generoso interesse”.
È il generoso interesse che permette di orientare le azioni all’utile
comune.
È dalla utilità che infatti nasce la morale.
Il bene è ciò che giova la società; il male ciò che la danneggia.

Hume é convinto che l'uomo sia un essere egoista (riprende Hobbes) .


Ma la novità introdotta da Hume è il giustificare con l'egoismo
perfino l'altruismo ovvero la simpatia.
Le azioni umane sono legate ai sentimenti di piacere e di dolore:
ciascuno cerca il proprio piacere ed evita il proprio dolore.
Il problema però deriva dal fatto che il piacere e il dolore, finiscono
per “contagiare”: se uno soffre vedendo una persona che gli sta
davanti e che a sua volta soffre poiché ha avuto un incidente, lo fa
perché la sofferenza è contagiosa, nel senso che a seconda della

maggiore o della minore vicinanza con la persona che soffre (o che


prova piacere) , il dolore (o il piacere) di quella persona si espande su
di noi contagiandoci: vedo una persona che soffre e soffro anch'io per
contagio; se cerco di aiutare tale persona, lo faccio solo perché essa
non soffra più e quindi perché neanche io soffra più (per contagio).
Questa azione apparentemente altruista é in realtà dettata dall'egoismo
più profondo: faccio star bene una persona per star bene io stesso.

DIO
Per Hume, come le passioni, anche la fede non è guidata da
razionalità, bensì è un sentimento irrazionale.
Affronta il tema della concezione di Dio in una opera, un dialogo,
“Dialoghi sulla religione naturale” in cui i primi due interlocutori
(Cleante e Demea) tentano di dimostrare l’esistenza di Dio, ed il terzo
(Filone) assume una posizione scettica.
Hume criticherà indirettamente le prime due posizioni, mentre Filone
è il personaggio che più di tutti impersona posizioni humiane, senza
però averne il monopolio.

PROVA DI CLEANTE
Per Cleonte vige il “teismo sperimentale”, ovvero la possibilità di
dimostrare l’esistenza di Dio a partire dalla natura, con una prova a
posteriori. Cliente sostiene che Dio esista perché ha progettato la
natura secondo fini. È l’argomento del disegno intelligente.

CRITICA A CLEANTE
Hume, attraverso gli altri interlocutori, pone una critica alla prova di
Cleonte.
Si basa sulla analogia tra casa/architetto e Mondo/Dio che è debole,
erronea ed incerta.
Si basa inoltre sul principio di causalità.

Come è noto, per lui il principio di causalità ha una valenza solo nella
mente umana, si basa sulla abitudine.
Per Galilei (che stimava), questi principio potrebbe valere, perché egli
aveva prima visto altri mondi muoversi e avendone avuto esperienza
aveva trasferito i nessi di causa-effetto dalla luna alla Terra.
Ma Cleante, non avendo visto la creazione di nessun altro mondo, non
può portare come tesi l’argomento del disegno intelligente.

PROVA DI DEMEA
Demea sostiene che l’esistenza di Dio non si possa dimostrare
razionalmente ma tramite una prova a priori: c’è una causa prima da
cui tutto deriva.

CRITICA A DEMEA
Hume, sempre attraverso gli altri interlocutori, critica la prova di
Demea,
Perché le realtà di fatto non sono certe ma tutto è probabile o
improbabile e così pure l’esistenza di Dio.
La non esistenza di una materia di fatto è sempre possibile e non
conduca mai a contraddizione.
Secondo Hume, “le parole esistenza necessaria non hanno senso”.
L’unica cosa su cui possiamo esprimerci in termini di necessità è
l’immagine che di Dio formiamo nella nostra mente se lo vogliamo
concepire come prima causa, ma non possiamo certo pretendere di
portare questa necessita da un livello logico ad uno ontologico. Tale
concezione sarà ripresa da Kant, che criticherà la prova ontologica
dell’esistenza di Dio di Anselmo D’Aosta.

FILONE
Lo scettico Filone, la figura in cui nel dialogo Hume si immedesima
maggiormente, si schiera contro entrambe le posizioni e contro la
possibilità di spiegare l’esistenza in modo razionale.
Tale rifiuto è dovuto alla presenza del male del mondo: se esiste il
male, è una contraddizione pensare ad un Dio onnipotente e buono.

ORIGINE DELLA RELIGIONE PER HUME


Per Hume, dunque, la religione ha origine psicologica, la sua genesi
affonda le radici nel sentimento del timore e quindi conseguentemente
in una speranza di salvezza dopo la morte

MONOTEISMO E POLITEISMO
Hume sostiene che il politeismo, seppure alimenti la superstizione,
ammetta la tolleranza nei confronti di più culti al contrario del
monoteismo, che soddisfa la ragione ma esclude altre religioni,
favorendo intolleranza religiosa.

POLITICA
Secondo Hume, le 2 teorie sull’origine del potere che caratterizzano
gli stati entrambe giuste, e sono
-La teoria del diritto divino, secondo cui il capo dello stato ha potere
assoluto e gode di un diritto divino
-La teoria del contratto sociale, secondo cui, al contrario, non c’è
alcun potere assoluto bensì si stipula un contratto tra uomini che
vogliono vivere in pace.

Ma, ritiene che quest’ultima teoria sia stata poco applicata nella
pratica, perché la maggior parte degli stati sono nati dopo rivoluzioni,
guerre, e non dopo aver stipulato un contratto

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