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Giambattista Vico

Giambattista Vico, filosofo napoletano, prende come modello 4 filosofi:


Bacone, che considera il fondatore della storia. Preferisce Bacone a Galilei perché questi basava
la sua scienza sulla matematica ed escludeva qualsiasi altra forma, mentre Bacone lascia aperta
la porta a più scienze, come può essere quella storica.
Grozio, che unisce filologia d filosofia.
Tacito e Platone, che sono i modelli principali.
Tacito, perché si attende solo a ciò che vede nel mondo materiale, basandosi sull'oggettivita e la
concretezza dei fatti e vede l'uomo così come è.
Platone, perché al contrario è l'emblema del filosofo metafisico, che immagina l'uomo non per
come è, ma per come "dovrebbe essere" (per questo aspetto lo criticherà).
Per Vico, il pensiero di Tacito (mondo reale) si dovrebbe unire a quello di Platone (mondo
ideale).

L'unione tra il mondo reale e quello ideale, comporterebbe l'unione tra filologia e la filosofia (che
insieme formano la Storia).
La filologia offre la concretezza, perché presenta fatti storici nella loro particolarità.
Studia il "factum" (il prodotto della storia).
La filosofia offre l'universalità, perché ne spiega i significati più profondi e lontani dalla realtà.
Studia il "verum" (la verità che è frutto del prodotto della storia).
Separate non bastano: la filologia, da sola, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti, che
invece vanno spiegati dalla filosofia.
La filosofia, da sola, condurrebbe ad una dimensione troppo astratta.
Filologia e filosofia, per trovare l'equilibrio, secondo Vico, devono essere in rapporto:
filologia (il factum, il certo) e filosofia (il verum) devono unirsi.
In questo modo si può accertare il vero (verum) ed inverare il certo (factum).
Si può dunque affermare che "Verum et factum reciprocantur seu convertuntur", cioè il vero e il
fatto si convertono l'uno nell'altro, e coincidono. 

Il principio della sua filosofia è "Verum ipsum factum" che lascia intendere che l'uomo può
conoscere solo ciò che è da lui prodotto. Per lui, ciò che si può conoscere non è tanto la verità
quanto il verosimile, perché la verità è soggettiva, non c'è uomo che possa dire che una cosa sia
vera o falsa, mentre il verosimile è ciò di cui possiamo accertarci.
L'uomo non può conoscere la realtà fisica (se stesso e il mondo).
Il mondo e gli esseri umani possono essere conosciuti solo Dio, perché da Lui creati.
Dio è "Causa Sui", Onnipotente ed Onnisciente.
A Dio è dato "intendere",  perché in Lui sono contenute tutte le cose ed i loro contrari.
L'uomo, invece, può solo "cogitare" ( pensare, inteso come avere, di ciò che non è da lui prodotto,
coscienza e non conoscenza: può avere solo rappresentazioni fittizie di cui che non crea ed è già
creato) perchè la sua mente è finita, e ha fuori di sé tutte le altre cose che non sono essa stessa.
È partecipe della ragione (la possiede) ma non è padrone di essa (non l'ha prodotta).
L'uomo è paragonabile al Demiurgo platonico, il plasmatore del mondo sensibile: è artefice del
proprio destino.
L'uomo, è in grado di conoscere:
• La matematica/ geometria, attraverso gli assiomi da lui stesso creati: può conoscere le
proposizioni matematiche perché è lui, tramite postulati, ad elaborarle.
•Soprattutto la Storia,  prodotto della sua creazione: può conoscere la storia (o il prodotto della
storia, ciò che è avvenuto nella storia) perché è lui che la scrive.
La storia è, dunque, la Scienza Nuova (che dà il titolo alla sua più importante opera) su cui
l'uomo deve fondare la sua vita e la sua conoscenza.

Vico attua una trasvalutazione della metafisica tradizionale


Quest'ultima, supponeva che a conoscere potesse essere unicamente Dio.
Vico passa da una metafisica di Dio ad una metafisica dell'uomo e della storia:
anche l'uomo può conoscere, nei limiti nei quali egli produce.
Estende dunque il principio del produrre-conoscere, che prima era di Dio, anche all'uomo.
La più grande trasvalutazione della metafisica (dei valori) sarà attuata dallo statuario
Nietzsche, che sarà capace (attraverso l'uomo folle) di affermare "Dio è morto", abbattere
la metafisica, superare il nichilismo passivo e la condizione del Nulla, di reggere sulle spalle
la morte di Dio creando nuovi valori, liberarsi dalle sue catene vivendo come Dionisio e
come l'uomo tragico che è capace di affrontare il dolore non sopprimendolo o rinnegandolo
(Schopenhauer) bensì adandogli incontro ed avendo il coraggio di vivere, di dire "Sì" alla vita,
"partorendo" (generando), a partire dal Caos in cui è immerso, una
"Stella danzante".

Vico è considerato l'anti-Cartesio.


Pone una critica al "Cogito ergo sum" cartesiano, concependolo come una limitazione alla
creatività dell'uomo.
Per Cartesio, l'uomo "pensa, dunque è": se io penso, anche solo per l'azione di star pensando, è
implicito che, essendo un essere pensante, esisto. E posso dirlo e posso autoconoscermi. Per
Cartesio, era il cogito la prova della nostra esistenza.
Per Vico, invece, il cogito non può provare che l'uomo esista, perchè la prova della sua esistenza
è quel che fa, è la sua produzione.

Vico analizza a fondo la figura di Dante Alighieri (nella cui personalità Pasolini ha colto la figura
del poeta civile, oppositore del latino e del volgare istituzionalizzato) e la sua Commedia,
scrivendone riferimenti nelle "Orazioni inaugurali", nelle lettere a Gherardo degli Angioli, nelle
diverse edizioni della "Scienza Nuova".

Nella 4° orazione, Vico cita Dante su un argomento serio ma con tono scherzoso, per
evidenziare i requisiti del vero sapiente.
Questa orazione è importante per la presenza di un verbo, “scendere”.
C’è la metafora delle scale, scale che Dante ricorda nell inferno, lungo le quali, quando dal centro
della terra che rappresenta il punto più basso, gli sembrava di scendere e toccare il fondo, in
realtà saliva, raggiungeva l'apice.
Così, in politica, spesso, quello che sembra il fine più alto è invece il più basso, e quello che
sembra essere il fine più basso è il più alto.
Vico fa un esempio, paradossale:
Quando gli uomi vogliono raggiungere cariche politiche:
Se non non ci riescono, perdono ogni speranza e si ritirano dalla vita pubblica, chiudendosi in
casa e dedicandosi solo ai propri interessi.
Se invece riescono a raggiungerle, essendo di animo debole, come gli ammalati di stomaco
non sopportano i vini troppo generosi, così essi, ubriacati da una carica di scarso valore, non si
sforzano di ottenere cariche più importanti.
Ecco dunque che salita può significare discesa.

C’è un altro richiamo nel "De nostri temporis studiorum ratione", che delinea la differenza tra la
stoltezza e la vera sapienza.
Gli stolti, non si curano né delle piccole (particolari) verità né delle grandi (universali).
Gli astuti analfabeti, avvertono le piccole verità non le grandi
I dotti avventato giudicano le piccole verità in base alle grandi
I sapienti giudicano le grandi verità in base alle piccole.
Le verità grandi verità (universali) sono eterne; le piccole (particolari) sono mutevoli e possono
diventare false da un momento all’altro.
Perciò, lo stolto, non conoscendo né le verità universali né quelle particolari, paga con la
stoltezza.
L’indotto astuto, che coglie quelle particolari ma non le universali, proverà piacere momentaneo
per cose che, in futuro, gli nuoceranno.
I dotti avventati, che dalla verità particolare vogliono giungere a quella universale, sono sconfitti
dalle contingenze della vita.
I sapienti, che vogliono raggiungere la verità universale e dunque la verità eterna, riescono a
superare ogni ostacolo. La verità universale spinge al non smettere di conoscere, di ricercare, e
al conseguente riuscire a superare ogni ostacolo.
C’è di nuovo la metafora delle scale: sembra che siano le prime categorie di persone a salire,
perché le verità particolari sono più facili da trovare, ma in realtà scendono, perché essendo
queste verità semplici da trovare, alle prime difficoltà non si sa proseguire.
I veri sapienti, sembrano scendere, essendo la verità universale difficile da trovare, ma in realtà
salgono, perché la conoscenza universale, sarà difficile da raggiungere ( essendo non una strada
retta bensì piena di contingenze) ma sarà eterna.
Il loro premio sarà l’eternità.
Vico critica Platone per la sua metafisica.
Platone idealizzava l’uomo (anche la realtà) per come dovesse essere,e non lo vedeva per come
era davvero.
Quindi, Platone, dalle Idee (Iperuranio, mondo intellegibile) scendeva alle "menti balorde" degli
uomini (mondo sensibile)
Per Vico, vige il contrario: l’uomo a partire dalla realtà, dal mondo sensibile, deve elevarsi
all’astratto, il mondo intellegibile. Ed ecco che è nuovamente presente la metafora delle scale.
Vico critica Platone singolarmente, ma lo elogia se unito a Tacito, in quanto il rapporto pensiero
Tacito-Platone rappresenta il rapporto filologia (factum)- filosofia (verum).
*vedi sopra*

Vico compara Dante ad Omero, e li elogia entrambi.


Dante andava raccogliendo le locuzioni della sua Divina Commedia in tutti i dialetti italiani, così
come Omero in Grecia raccolse gli idiomi più significativi del suo tempo e diede unità ai dialetti.
Vico scrive che in Grecia non nacque poeta migliore di Omero, e in Italia non nacque poeta più
sublime di Dante.
Un’altra analogia tra i due poeti è che entrambi, nella Commedia e nell’Iliade, narrano fatti
realmente accaduti, sotto forma di favola e mito, ad una società di "barbari", non ancora
contaminati dal raziocinio.
In particolare, Omero, si serve di "universali fantastici" , cioè le immagini poetiche (fantastiche)
che rappresentano caratteri universali di quella realtà.
Elemento chiave in entrambi è, dunque, la Storia.

Non ci può essere rapporto tra poesia e metafisica: la metafisica indebolisce la fantasia, la
poesia la rafforza. Tanto più la metafisica, quindi la riflessione sulle cause realtà a prescindere
dall'esperienza, prevale, tanto più è debole il raziocinio e gli uomini si allontanano dal mondo
sensibile per giungere quell'intellegibile.
Tuttavia, il vero poetico e il vero metafisico, coincidono, perché sono l’espressione del "verum"
che si costruisce tra l’universale e il costume dei popoli, con la favola, la Sapienza volgare, e non
il raziocinio

La storia è opera degli uomini, che agiscono attraverso la Provvidenza, che è una mente eterna
ed ideale, riflesso di Dio.

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