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22/03/12

GIAMBATTISTA VICO

GIAMBATTISTA VICO
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INDICE
LA SCIENZA NUOVA ( testo integrale ) VITA DI G. VICO SCRITTA DA SE MEDESIMO ( testo integrale )

LA VITA, LE OPERE E LA FORMAZIONE CULTURALE


Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 Napoli, 23 gennaio 1744) stato un filosofo, storico e giurista italiano, noto per il suo concetto di verit come risultato del fare (verum ipsum factum). Il suo maggiore lavoro la Scienza Nuova, (nel titolo originale Principi d'una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, per i quali si ritruovano altri princpi del diritto naturale delle genti) pubblicato una prima volta nel 1725 e poi ancora - dopo ampliamenti e riscritture - nel 1730 e nel 1744, anno della sua morte. L'originalit del suo pensiero stata rivalutata nel XX secolo grazie a Benedetto Croce. In seguito il suo pensiero stato considerato tra i precursori del costruttivismo. Figlio di un modesto libraio, Vico studi diritto presso l'Universit di Napoli, dove poi insegn eloquenza e retorica dal 1699 al 1741(pur avendo aspirato a una pi prestigiosa cattedra di giurisprudenza, dovette limitarsi alla docenza di retorica, che prevedeva uno stipendio molto ridotto, che Vico integr per diversi anni offrendo lezioni private). Contribu notevolmente alla sua formazione il ruolo di precettore presso il marchese Rocca, nel castello di Vatolla in Cilento, ruolo che svolse dal 1689 al 1695 e che gli permise di accedere alla imponente biblioteca del suo ospite, dove si trovavano opere di Agostino, Ficino, Pico della Mirandola, ma anche Botero e Bodin (teorici del giusnaturalismo) e Tacito. Dalla sua attivit di docente derivano le sei Orazioni inaugurali scritte per l'apertura degli anni accademici dal 1699 al 1707, alle quali se ne aggiunge un'altra pi nota ed importante delle altre, che reca il titolo De nostri temporis studiorum ratione (Il metodo degli studi del nostro tempo), recitata nel 1708 e pubblicata l'anno successivo; al 1710 risale
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invece la sua prima opera metafisica, ossia il De antiquissima italorum sapientia (L'antichissima sapienza delle popolazioni italiche). Nella sua Autobiografia (pubblicata nel 1725) Vico cita come fonte ispiratrice della sua Scienza nuova, la metafisica delle idee platoniche, il realismo dello storico da Tacito, il metodo induttivo di Francesco Bacone , il giurista Ugo Grozio per l'abbinamento fra filosofia e filologia. Il suo intento di mettere in relazione il mondo ideale e quello reale, allineando filosofia(che si occupa della verit) e filologia(che si occupa della certezza, come metodo storico e documentale), alla ricerca della genesi ideale del mondo civile. Il punto di partenza della filosofia di Vico la questione della verit, che per Cartesio era stata ritenuta accessibile alla conoscenza umana, nell'ambito di quelle idee chiare e distinte che risultano evidenti alla ragione. Vico si oppone fermamente a questa concezione razionalistica, che a suo avviso inaridisce la creativit che la facolt pi propria dell'uomo. Non la verit, ma solo il verosimile, ritiene Vico, accessibile alla conoscenza umana. Secondo una sua celebre affermazione, "Verum et factum reciprocantur seu convertuntur", cio il vero e il fatto si convertono l'uno nell'altro e coincidono. questo il principio della filosofia vichiana che stabilisce il nesso fra verit e produzione, secondo il quale l'unica verit che pu essere conosciuta consiste nei risultati dell'azione creatrice, della produzione. Per questo solo Dio conosce il mondo in quanto lo crea continuamente, mentre all'uomo riservato il posto di Demiurgo della storia e artefice del proprio destino, e la storia e la sua vita sono gli unici oggetti della sua conoscenza in quanto da lui prodotti. L'unico altro campo in cui l'uomo pu raggiungere la verit, quello della matematica, in quanto nella matematica egli in un certo senso produttore, della verit che scopre. In tutta la tradizione metafisica Dio "causa sui", onnipotente ed onnisciente in quanto creatore dell'essere. Vico passa da una metafisica di Dio a una metafisica dell'uomo e della storia ed estende questo principio del conoscere-produrre all'uomo, creando una metafisica della storia in cui l'uomo parte dalla storia per arrivare a s stesso che la pone in essere. Si pu veramente conoscere solo ci di cui si facitori (verum ipsum factum) Pi specificamente, sono diverse le critiche che Vico muove al pensiero di Cartesio, che dal "cogito, ergo sum" deduceva la presenza di un io in grado di autoconoscersi e la riduzione del "cogito" a lecita prova della nostra esistenza, senza poter dire qual il contenuto del cogito; l'io per Vico condannato a non conoscere pienamente s stesso n il mondo di cui ha solo una rappresentazione che si costruisce con le idee fattizie, in quanto le idee innate e avventizie (dal mondo esterno) non sono a lui note perch non prodotte dall'io, pur restando libero di darsi un contenuto costruendo le proprie idee "fattizie" a partire dalle precedenti (avventizie e innate). La conoscenza del mondo esterno non pu che essere probabilistica, non una certezza e una verit filosofica: tale idea sar espressa anche dagli empiristi e in particolare da Hume. Nel mondo creato dall'io, da ogni soggetto cosciente, c' la realizzazione delle idee di ciascuno: la storia prima di tutto nelle menti di tutti i suoi artefici e poi nella realt che abbiamo davanti. Questo pensare elevava il "polites" greco e, secondo lo storico
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Tacito, rendeva la storia il contenitore della "Repubblica" platonica. Il pi famoso libro di Platone sarebbe la parte produttiva che ha il suo corrispondente "verum" nella storia, a sottolineare l'importanza capitale di questo libro secondo gli studiosi odierni. Da tutto ci consegue che, per Vico, suprema e unica scienza da perseguire la storia, nella quale l'uomo conosce ci che egli stesso ha fatto, ovvero la verit nel suo farsi, nel suo sviluppo ideale. In questa concezione per certi versi platonizzante di Vico, alcuni studiosi hanno visto il preannuncio con notevole anticipo del successivo sviluppo dell'idealismo tedesco. Essa tuttavia per certi versi opposta allo storicismo di Hegel, il quale vedeva la storia come un continuo progresso della coscienza assoluta, a partire da gradi inferiori fino a quelli via via superiori. Secondo Vico, invece, la storia non un progressivo perfezionamento dell'assoluto, poich questo tale sin dall'inizio del suo dispiegarsi. La sua concezione presenta maggiori somiglianze con quella di Fichte e Schelling, o ancor pi con la visione circolare propria delle filosofie orientali secondo cui nella storia non si d un autentico progresso, ma al contrario un eterno ritorno di cicli sempre uguali. Lo studio della storia una scienza nuova, per Vico, la quale, mediante l'unione di filosofia e filologia, deve occuparsi di individuare e documentare gli eventi della storia, i fatti, ma soprattutto deve interpretarli ricercandone quelle ragioni ideali ed eterne, che sono destinate a presentarsi costantemente, in modo ripetitivo anche se in gradi diversi, all'interno di tutti i momenti della storia. La scienza di Vico si baser perci su un metodo storicistico, basando la sua analisi su alcune premesse ovvero principi ritenuti intuitivamente certi, che Vico denomina "degnit". Secondo Vico la storia dunque opera dell'uomo, cio modificazione della mente dell'uomo, che lo porta a passare dal senso, alla fantasia, fino alla realizzazione della ragione; e Vico individua anche storicamente queste tre fasi. La prima, l'et in cui gli uomini "sentono senza avvertire", corrisponde all'et ferina, in cui gli uomini non sono che bestie confuse e stupite; dall'abitudine di seppellire i morti, cio di inhumare, nasce secondo Vico lhumanitas, cio la caratteristica umanit dell'uomo, che nell'et della fantasia in grado di "avvertire con animo perturbato e commosso" e di concepire le prime "favole" intorno agli dei. Ma solo con il progresso della storia e col sorgere dei vari ordinamenti civili, che si sviluppa la ragione e quindi l'et della mente. La storia tuttavia alterna fasi di progresso a fasi di decadenza: Vico parla di "corsi e ricorsi storici". Ci non significa, come comunemente si interpreta, che la storia si ripeta. Significa, piuttosto, che l'uomo sempre uguale a se stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. Ci che si presenta di nuovo nella storia solo paragonabile per analogia a ci che si gi manifestato. Cos, ad esempio, ad epoche di civilt possono seguire epoche di "ritornata barbarie"; ad epoche nelle quali pi forte il senso di una determinata categoria, altre nelle quali si sviluppa maggiormente un altro aspetto della vita. La storia, dunque, sempre uguale e sempre nuova. In tal modo possibile comprendere il passato, che altrimenti ci rimarrebbe oscuro, perch: "Historia se repetit".
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