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BERGSON

CONTESTO STORICO
Prima di parlare di Henri Bergson, occorre fare una premessa. Bergson appartiene al movimento
spiritualista, ed è uno dei maggiori esponenti di questo movimento che sorge in Francia tra il 19esimo e il
20esimo secolo.

Sappiamo che il 900 è il secolo delle grandi trasformazioni politiche, economiche e sociali, trasformazioni
che sono prettamente legate agli eventi storici di quegli anni; ricordiamo tra questi la rivoluzione russa, la
nascita dello stato socialista, la crisi finanziaria del ’29, i grandi sistemi totalitari, le due guerre mondiali, la
guerra fredda e l’emergere delle grandi potenze asiatiche. Queste trasformazioni determineranno una crisi
economica, che porterà a quella che gli storici definirono ‘la grande depressione’, di cui grandi filosofi, tra
cui Nietzsche, furono gli interpreti. Lo sviluppo che caratterizza gli anni del 900 riguarda soprattutto il
progresso scientifico, però tra la fine del 19esimo secolo e gli inizi del 20esimo secolo le scoperte
scientifiche metteranno in discussione alcuni principi della scienza moderna, soprattutto il meccanicismo e
la spiegazione causale, tra queste ricordiamo le scoperte in termodinamica, le teorie riguardanti il campo
magnetico di Maxwell, le teorie riguardanti la relatività di Einstein, che porteranno all’accettazione che ogni
movimento è relativo e misurabile soltanto se ci sono determinate condizioni, cioè solo se si fa rifermento a
una realtà in movimento, perciò non esistono spazio e tempo assoluti.

Quindi, nasce l’epistemologia, una nuova scienza filosofica che ha il compito di esaminare le condizioni di
vita dell’uomo, ma soprattutto esaminare i limiti del sapere umano. Quindi, nasce questa nuova scienza
sociale e umana, che si sviluppa proprio grazie alle teorie sull’inconscio di Freud, che portano alla scoperta
di una nuova realtà, che fino a quel momento era del tutto sconosciuta. Quindi, si cominciano a studiare i
comportamenti irrazionali dell’uomo, si analizza l’intelligenza dell’uomo e anche in ambito letterario, dietro
quella razionalità scientifica assolutistica, si scopre una nuova natura umana, che spesso è scossa da
pulsioni oscure del tutto sconosciute. Quindi, si comincia a criticare il modello assolutistico della scienza,
quindi questa religione scientifica, e si cerca di mirare allo sviluppo della scienza umana, perché il compito
della scienza è soltanto quello di adattare la realtà all’intelligenza. Attorno a questa scienza si genera una
sorta di polemica, una sorta di rivolta definita neo-romantica. Gli stessi protagonisti della rivoluzione
scientifica del 500 e del 600, in cui aveva avuto origine la scienza moderna, vengono messi in discussione.
Allo stesso Galileo verranno rivolte accuse pesantissime, più di quanto avesse fatto il passato Santo Uffizio.
Quindi, il sistema di Freud dà il via a questa nuova scienza, una scienza umana e sociale, a un nuovo modo
di pensare, e a una filosofia che dia significato alla vera vita dell’essere umano.

LO SPIRITUALISMO
Proprio in quest’ottica si inserisce la nascita dello spiritualismo, questo movimento che sorge in Francia tra
il 19esimo e il 20esimo secolo, di cui uno dei maggiori rappresentanti è sicuramente Henri Bergson. Il
movimento spiritualista fa una sorta di interpretazione critica al ruolo della scienza e alle leggi scientifiche,
che con il loro meccanicismo, il loro determinismo e il loro finalismo, avevano distrutto la libertà umana.
Questo perché il compito dello scienziato, diceva Bergson, nello studiare un fenomeno è quello di tener
conto soprattutto dei procedimenti attraverso cui quel fenomeno viene analizzato; quindi, il compito della
scienza è quello di adattare la realtà all’intelligenza, la scienza non può in nessun modo comprendere la
realtà spirituale dell’essere umano, la vera realtà dell’uomo, la vita umana, che può essere compresa solo
sul piano morale e religioso. Questo compito di comprendere la vera realtà dell’individuo spetta soltanto
alla filosofia, perché la filosofia, diceva Bergson, mi permette attraverso l’intuizione di poter immergermi
nei processi più profondi dell’animo umano; quindi, attraverso l’intuizione, è possibile comprendere i
processi temporali e soprattutto lo slancio originario, una sorta di energia originaria e creativa, una sorta di
energia che mi permette di cogliere la vita e di restituire alla realtà quella dinamicità che le è stata sottratta
dal meccanicismo e dal finalismo, causati dalla scienza.

Diceva Weber, uno dei più grandi esponenti della filosofia del 900, e che ha cercato di dare una sorta di
definizione ad alcuni caratteri della cultura occidentale dei primi anni del 900, che l’uomo è prigioniero di
una gabbia d’acciaio. Questo significa che l’uomo è prigioniero di una società che è costruita secondo i
criteri dell’utilità e dell’efficienza. Si è perso il senso del vivere. Questo aspetto viene condiviso da Bergson.

Quindi, se si cerca il senso globale della vita, diceva Bergson, non bisogna chiedere alla scienza, ma alla
filosofia.

HENRI BERGSON
Henri-Louis Bergson nasce nel 1859 a Parigi. Studia matematica e poi successivamente si iscrive all’ENS
(Ecole Normale Superiore), la scuola comune di Parigi, dove si laurea in filosofia e diventa professore di
filosofia presso i licei. Nel 1926 ottiene il premio Nobel per la letteratura. DI origine ebraica, esprime il
desiderio di convertirsi alla religione cattolica, ma poi vi rinuncia in seguito alla persecuzione nazista,
perché vuole rimanere al fianco di coloro che sono perseguitati. Morirà nel 1941, proprio durante
l’occupazione nazista in Francia.

IL PENSIERO
La filosofia di Bergson è profondamente radicata nel contesto sociale e culturale in cui visse. Bergson non
assume un comportamento reazionario nei confronti della scienza, né nei confronti della civiltà industriale
del suo tempo; tuttavia, Bergson affermava che occorreva in ogni modo riconoscerne quelli che erano i
limiti e i rischi, a cui si andava incontro affidandosi esclusivamente alla scienza. Questo perché la scienza
non è in grado, a parere di Bergson, di fornire delle risposte adeguate a una società che ormai è cambiata,
ed è in continua evoluzione, e che fornisce un’immagine della condizione dell’uomo diversa. Quindi,
soltanto attraverso la filosofia, attraverso l’intuizione e attraverso l’intelligenza, è possibile cogliere il senso
ultimo della realtà.

Quindi, Bergson non assume una posizione reazionaria nei confronti della scienza, perché diceva che la
filosofia per poter giungere alla metafisica deve collaborare con la scienza. Naturalmente, collaborare non
significa ignorare le differenze. Quindi, la scienza, diceva Bergson, ha soprattutto un fine utilitaristico,
mentre la filosofia deve giungere all’intuizione metafisica. Quando Bergson parla di metafisica, non parla
della metafisica classica, la quale viene criticata da Bergson, perché si limita esclusivamente a
rappresentare quella che è la realtà essenziale delle cose, oltre il tempo e oltre il divenire; non
dimentichiamo, ad esempio, di Platone, che aveva detto che la vera realtà era la realtà sovrasensibile, il
mondo delle idee, per cui la realtà sensibile veniva considerata una realtà che forniva all’umo una
conoscenza dubbia, una conoscenza probabile. Bergson, quindi, non propone il ritorno a quella metafisica,
ma una nuova metafisica, che ha la possibilità di calarsi all’interno della realtà dell’uomo, quindi
comprendere il divenire e cercare di conoscere la dimensione nascosta della realtà, lì dove la scienza non è
in grado di arrivare. Quindi, il compito della filosofia è soprattutto quello di arrivare all’assoluto mediante
l’intuizione. Perciò, mentre la scienza ha il compito di analizzare, comprendere e definire le leggi che sono
alla base di un fenomeno, seguendo una sorta di processo meccanicistico e deterministico, il compito della
filosofia, invece, è quello di studiare le condizioni della vita umana e soprattutto analizzarne gli aspetti,
quindi trovare una soluzione alla condizione esistenziale dell’essere umano.

Quindi, c’è una sorta di continuum tra Bergson e tra ciò che era stato proposto in precedenza dalla filosofia
di Nietzsche, che sarà poi ripresa da Freud.
Insieme, la scienza e la filosofia possono fare in modo che l’uomo non si smarrisca e ritrovi il senso vero e
autentico dell’esistenza. Quindi, soltanto grazie a una collaborazione tra scienza e metafisica, è possibile
restituire all’uomo una sorta di vita autentica, non basata soltanto sull’utilità e sull’efficienza.

Quindi, esistono due metodi di ricerca: il metodo della scienza e il metodo della metafisica. Il metodo della
scienza, che si basa sull’osservazione dei fenomeni, un metodo di analisi, si basa sui simboli. Il metodo della
metafisica, invece, che ha il compito di entrare direttamente all’interno della cosa in sé, all’interno
dell’essenza stessa della realtà e dell’essere, procede per intuizione e non usa simboli.

IL CONCETTO DI TEMPO
Uno degli aspetti più importanti della filosofia di Bergson riguarda il concetto di tempo. Bergson fa una
distinzione tra tempo della scienza e tempo della vita. Il tempo della scienza, a differenza del tempo della
vita che si identifica con la durata e con la coscienza, è un tempo quantitativo, un tempo spazializzato, un
tempo che si può misurare (basta pensare all’uso dell’orologio). Bergson paragonava il tempo della scienza
a una collana di perle, disposte su un filo, tutte della stessa grandezza, e che mantenevano tra loro tutte la
stessa distanza. Il tempo della vita, invece, si identifica con il tempo della coscienza, è un tempo non
quantitativo ma un tempo qualitativo; non è un tempo reversibile, perché ogni istante non è mai uguale a
un altro istante, ma è un tempo irreversibile, in cui ogni istante è diverso dall’altro. Il tempo della vita
veniva paragonato da Bergson a un gomitolo di lana, o una valanga, che continuamente muta e cresce,
perché questa conversione totale è nello stesso tempo creazione totale. Questo significa che la vita, diceva
Bergson, è fatta di istanti diversi, ma nello stesso tempo non distanti tra di loro; nella vita di un uomo ogni
istante ha avuto un suo valore, di cui dobbiamo tener conto. Quindi, non esistono vari tempi, il tempo
dell’infanzia, il tempo della giovinezza, o il tempo della maturità, ma sono tre momenti dell’uomo, di cui
l’uomo deve tener conto.

L’io vive il presente in funzione del passato, nella prospettiva del futuro. Quindi, ecco perché lui faceva il
paragone con la valanga, la quale quando scende giù dalla montagna, durante tutto il percorso per
scendere, porta via con sé rami, sassi, foglie. Questo significa che la vita non è altro che una creazione
continua e totale; ogni momento è il risultato di quelli precedenti, e noi per poter scoprire chi siamo
dobbiamo avere il coraggio di srotolare quel gomitolo, di andare alla ricerca in quella valanga di tutti quei
momenti che caratterizzano la nostra vita, e che quindi ci permettono di vedere cosa c’è dentro di noi e di
vivere la vita in piena libertà, e soprattutto comprendere il flusso continuativo di emozioni, che
caratterizzano la nostra esistenza.

IL RAPPORTO TRA ANIMA E CORPO


Nell’opera ‘Materia e Memoria’, che Bergson compone nel 1896, Bergson analizza il rapporto tra anima e
corpo, un rapporto che in passato era stato già studiato da un altro filosofo, Cartesio. Cartesio aveva
studiato un rapporto tra anima e corpo, identificando due sostanze, la sostanza pensante e la sostanza
estesa (la res cogitas e la res extensa). Cartesio aveva detto ‘io penso, dunque sono’, definendo il cogito
come l’io pensante: nel momento in cui penso io esisto. Dal cogito ricavo la certezza di esistere, diceva
Cartesio. Nel corpo, invece, c’è la parte estesa. Il corpo veniva paragonato da Cartesio a una grande
macchina. Nel corpo ci sono degli spiriti, diceva Cartesio, cioè le parti più sottili del sangue, che attraverso il
sistema pineale agiscono su di essa, producendo altri spiriti, che rispondono agli stimoli esterni. Quindi,
Cartesio, quando studiò il dualismo tra anima e corpo, cercò di individuare il loro punto di incontro nella
ghiandola pineale, situata dietro al cervello. Anche Bergson riprende il rapporto tra anima e corpo, però a
differenza di Cartesio, Bergson rifiuta le tesi che riconducono lo spirito alla materia e che cercano di
spiegarlo a partire dal cervello. Questo perché Bergson diceva che l’esperienza dell’essere umano nasce sia
dalla durata sia dallo spazio, cioè sia dall’anima che dal corpo, anche se tra loro permane una sorta di
opposizione.
La coscienza si avvale del cervello, diceva Bergson, quando deve innescare un’azione corporea. Il cervello
rappresenta solamente il punto di mediazione e di collegamento tra la coscienza e la realtà esterna. La
superiorità del cervello sulla coscienza avviene soltanto quando ci sono degli atteggiamenti psicologici
particolari.

Se l’essere umano concentra la sua attenzione sulla vita interiore, allora c’è una sorta di allentamento
dell’attenzione dell’uomo verso la realtà esterna, quindi si ha una dilatazione della coscienza. Quindi, la
memoria, che è la coscienza stessa, registra tutto quello che accade intorno a noi.

Se, invece, l’essere umano concentra la sua attenzione sugli aspetti esterni, succede che il cervello tende ad
assumere un ruolo maggiore rispetto alla coscienza. Quindi, il ricordo, che è l’attività della coscienza, cerca
di scegliere tutti quei fatti che sono necessari all’individuo per rapportarsi alla realtà esterna.

Quindi, la memoria è la coscienza, il ricordo è l’attività del cervello.

Naturalmente, nel momento in cui il ricordo, cioè l’attività del cervello, sceglie tutti quei fatti che sono
necessari all’individuo per rapportarsi alla realtà esterna, la percezione deve filtrare tutti quei dati che gli
sono necessari, non può di certo prendere tutto così com’è.

(se lo chiede: esempio dell’acqua del rubinetto, che prima di arrivare nelle nostre case subisce una
filtrazione, viene purificata e liberata da tutte le impurità.)

La percezione è una sorta di filtro selettivo dei dati della coscienza. Quindi, filtra tutti i dati e prende dal
passato tutto ciò che serve al presente. Bergson raffigurava la percezione con la forma di un cono
rovesciato, con la punta rivolta verso il piano, mentre la base del cono è rivolta verso l’alto. La punta
rappresenta il presente, mentre la base del cono è la memoria. La memoria è maggiore nel passato,
mentre diminuisce verso il presente, così come il cono si assottiglia man mano che si appoggia sul piano.
Diceva Bergson, che la vita pratica ci impone di prendere dal passato solo ciò che serve al presente. Quindi,
la memoria aumenta nel passato e diminuisce nel presente.

L’EVOLUZIONE CREATRICE
Con la pubblicazione dell’opera ‘L’evoluzione creatrice’, pubblicata nel 1907, Bergson analizza in modo
particolare la vita e il suo fluire. Quindi, analizza le differenze che vi sono tra la vita umana e la vita della
natura.

Bergson diceva che l’uomo vive una sola vita, e quindi di conseguenza deve operare delle scelte. La vita
della natura non è costretta a un simile sacrificio, perché crea in continuazione specie divergenti che si
evolvono separatamente. La natura veniva paragonata da Bergson a un fascio di steli: la natura dà vita a
specie diverse che si evolvono tutte in maniera diversa. La vita dell’uomo, invece, è una sola e non può
operare delle scelte, è costretta per forza ad accettare quel modo di vivere.

Per poter spiegare questa sorta di evoluzione creatrice, che a parere di Bergson è lo slancio vitale, cioè una
sorta di energia originaria che dà origine alla vita, Bergson fa una distinzione tra istinto, intelligenza e
intuizione.

L’istinto è la capacità di adattare il proprio corpo all’ambiente esterno. È una caratteristica degli animali,
che adattano se stessi all’ambiente in cui si trovano.

L’intelligenza, invece, è la parte cosciente. È quel momento che permette all’uomo di compiere processi di
astrazione. Grazie all’intelligenza, l’uomo è in grado di fabbricare strumenti artificiali in modo da sopperire
ai bisogni che la vita continuamente gli pone. Lo strumento di cui si serve l’intelligenza è il linguaggio: il
linguaggio degli animali è fatto di un numero circoscritto di segni; il linguaggio dell’uomo è versatile, perché
ha una funzione pratica e utilitaristica, che gli permette di aprirsi alla progettualità.
Accanto all’istinto e all’intelligenza, Bergson pone l’intuizione. L’intuizione è quel processo che riesce a
fondere l’istinto e l’intelligenza. Grazie all’intuizione è possibile comprendere lo slancio vitale, l’energia
originaria creatrice che permette di cogliere la vita e il suo fluire. Soltanto con l’intuizione, quindi, è
possibile comprendere questo slancio vitale che è in natura spirituale e non soltanto puramente materiale.

La realtà, diceva Bergson, e in questo forse riprendeva un po’ il pensiero di Hegel, è in continuo divenire, in
continuo mutamento. È una continua sorgente, diceva. Non è vero, però, diceva Bergson, che la natura non
facit saltus (non fa salti); la natura, la vita, si evolve perché è continua creazione di forme; esplode, si
arresta, riprende, e si ferma ancora. Bergson paragonava la vita e il suo fluire all’esplosione di un proiettile;
Bergson diceva che quando il proiettile esplode, si frantuma e va in mille pezzi. Questi a loro volta, si
frantumano in ulteriori pezzi e altri ancora. Questo per dire che la vita è attività contro la passività della
materia. Quindi, la lotta tra la vita e la materia caratterizza l’evoluzione.

LA SOCIETÀ
Proprio nell’esaminare la teoria dell’evoluzione creatrice, Bergson giunge a individuare due modelli di
società: la società chiusa, o statica, e la società dinamica, o aperta. La società chiusa si basa sul rispetto
delle regole morali e sociali. Di fronte al disordine la società chiusa è capace di difendersi, richiamando
l’uomo al rispetto dei doveri sociali. Quindi, il sentimento che prevale all’interno di una società chiusa è
l’attaccamento alla patria. Nella società aperta, invece, gli individui agiscono in base a una morale assoluta
e non a un imperativo. Il sentimento che prevale è l’amore per l’umanità. Mentre nella società chiusa gli
individui sono timorosi al cambiamento, la società aperta si guarda con tranquillità al futuro e alla realtà, e
quindi, è connotata verso la democrazia.

Ogni società è caratterizzata da una diversa religione. Nella società chiusa troviamo una religione statica
che ha il compito, attraverso i culti, credenze e dogmi, di sollecitare gli uomini a pensare che dopo la vita
terrena c’è l’inevitabilità della morte e l’incertezza del futuro. Invece, nella società aperta prevale
soprattutto una religione dinamica, che è la religione dei grandi mistici, che permette di poter cogliere lo
slancio vitale. Il mistico, infatti, è colui che cerca Dio, e quindi vive in sintonia con il divino. Per Bergson uno
dei più grandi mistici è Gesù Cristo.

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