Sei sulla pagina 1di 3

Giambattista Vico nasce a Napoli nel 1668 da una modesta famiglia di librai, e

sin da piccolo è accolto presso il Collegio massimo dei gesuiti di Napoli dove
intraprende gli studi di grammatica e metafisica con scarsi successi. Finisce con
il laurearsi nel 1694 in Giurisprudenza avendo studiato sia il diritto civile che
quello ecclesiastico. Ma l’interesse principale di Vico è la filosofia: la carriera
universitaria di Vico, difatti, è lunga e discontinua e ai corsi universitari egli
preferisce lo studio privato che si concentra principalmente sullo studio e la
lettura dei classici e dei filosofi. Nel 1699 prende la cattedra di retorica
all’Università di Napoli ma la cosa non lo solleva dai problemi economici. Nello
stesso periodo comincia la stesura delle orazioni inaugurali degli anni
accademici e legge Bacone e Grozio, la cui scoperta risulta fondamentale, poiché
dirige gli interessi di Vico sulle materie giuridiche e storiche. Con la maturità
vedono la luce le opere più rilevanti del filosofo napoletano: nel 1720 pubblica il
Diritto universale e nel 1725 vede invece la luce la prima edizione de La scienza
nuova, universalmente riconosciuta come la sua opera più importante e che avrà
altre due successive edizioni, una nel 1730 e l’ultima del 1744, che viene
pubblicata poco dopo la morte dell’autore.

Poiché verum ipsum factum / verum et factum conver tuntur, tradotto « ll vero è
il fatto stesso » e « il vero e il fatto si convertono l'uno con l'altro », la conoscenza
umana risulta fortemente limitata.
Secondo quanto detto infatti, l’uomo non può conoscere il mondo della natura, il
quale, essendo creazione di Dio, appartiene alla sola conoscenza divina. Allo
stesso modo l’uomo non può conoscere il proprio essere, in quanto non si crea da
sé. Al massimo egli può comprendere la coscienza di se, ma poiché la scienza è la
conoscenza vera fondata sulle cause, e l’uomo non è causa di se stesso, egli non
può conoscere il proprio essere.

L'ordine che Vico individua nella storia è un ordine universale ed eterno, inteso
come un " dover essere ” a cui gli avvenimenti del mondo tendono come al loro
significato finale . In altre parole, la storia reale si fonda su una « storia ideale
eterna » , cioè su una struttura che sorregge il corso temporale delle nazioni ,
trasformando la successione cronologica degli avvenimenti in un ordine ideale
progressivo : si configura , cioè , come il modello della storia reale , e quindi
come il criterio per giudicarla. Questo dover essere della storia nel tempo ha per
Vico un valore soltanto normativo e non si identifica con una necessità di fatto,
dal momento che la storia reale non coincide mai con la storia ideale eterna .

Vico individua nella storia ideale la successione di tre età : quella degli dei ,
quella degli eroi e quella degli uomini , secondo uno schema che egli riteneva
inventato dagli Egiziani , ma che in realtà apparteneva al Crizia di Platone . Ma,
se per gli antichi la successione delle età aveva un significato negativo, in Vico
assume un significato progressivo. 

Bisogna anche aggiungere che per Vico, le leggi che regolano lo sviluppo della
storia, sono le stesse che regolano il funzionamento umano. Le modalità
mediante le quali opera la nostra mente, che Vico chiama le « guise » della
mente, sono: il senso , la fantasia e la ragione. A tali facoltà, secondo il filosofo,
corrispondono le tre fasi di sviluppo della storia: l'età degli dèi, l'età degli eroi e
l'età degli uomini.

Nella prima età, quella degli dèi, gli uomini erano «stupidi, insensati ed orribili
bestioni» e si lasciavano guidare esclusivamente dai sensi. E ovunque
individuavano la presenza del divino: i fenomeni della natura, in particolare
quelli più minacciosi, venivano interpretati come manifestazione di divinità
crudeli e punitrici. Dal punto di vista politico, in questo primo stadio, si assiste al
trionfo del sistema teocratico.
Nella seconda età, quella degli eroi, caratterizzata dal prevalere della fantasia, le
qualità che precedentemente erano attribuite agli dèi, ora diventano patrimonio
della nobiltà eroica e la forma di governo non può essere che l’aristocrazia,
intesa come governo dei più forti.
La terza età, quella degli uomini, è caratterizzata finalmente dal prevalere della
ragione sui sensi e sulla fantasia: «La terza fu natura umana, intelligente, e
quindi modesta, benigna e ragionevole, la quale riconosce per leggi la coscienza,
la ragione, il dovere». Al diritto divino e del più forte, propri delle epoche
precedenti, in questo ultimo stadio vengono sostituite forme di governo, come le
monarchie costituzionali o le repubbliche popolari, che riconoscono
l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
Sulla base di questa tripartizione, Vico distingue tre specie di nature umane, di
costumi, di leggi, di Stati, di autorità, di giudizi. In particolare, egli identifica
«tre spezie» di diritto naturale, il quale, come sappiamo, consiste nell'insieme di
norme, dettate spontaneamente dal senso comune, e che rendono in questo modo
possibile la vita in comune. Alla prima età (degli dèi) corrisponde il diritto
divino o religioso, in cui sono gli dèi a dare ordini; alla seconda età (degli eroi)
corrisponde il diritto delle " forze”; alla terza età (degli uomini) corrisponde il
diritto umano, interamente fondato sulla ragione.

Potrebbero piacerti anche