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IL SOFISTA

di Platone

Il Sofista rappresenta il vertice della riflessione logica di Platone, il traguardo pi alto della sua speculazione sul mondo delle idee: destinato a godere di grande fortuna nella storia (dagli Stoici a Hobbes e a Heidegger), in esso Socrate, protagonista dei dialoghi platonici, si ritira e cede il passo allenigmatico Straniero di Elea, che inscena un avvincente dialogo con il giovane Teeteto, allievo del matematico Teodoro e dunque equipaggiato di un forte armamentario matematico. In realt pi che di dialogo sarebbe opportuno parlare di "lezione dialogata", giacch lopera procede con lunghe digressioni dello Straniero intervallate da brevi incisi di Teeteto. Il Sofista connesso, sotto un certo profilo, con il Parmenide, dove si tentava di spiegare quale rapporto intercorresse tra le idee e il mondo sensibile che di esse partecipa (appunto la nozione di "partecipazione", methxiV, creava non pochi problemi) e Platone arrivava ad assumere per bocca del venerando Parmenide un atteggiamento autocritico verso le proprie posizioni della giovent. Ora, anche nel Sofista (sebbene qui il tema cardinale sia il rapporto delle idee fra loro, e non col mondo sensibile) Platone si autocritica, in particolare mette alla berlina la concezione che delle idee quale era emersa nel Fedone, ove esse venivano intese come statue fisse, prive di intelligenza e di movimento, a tal punto che il mondo iperuranico veniva a configurarsi come un mondo statico. Tuttavia, il Sofista indisgiungibilmente connesso anche con altri due dialoghi - il Teeteto e il Cratilo per quel che concerne la possibilit dellerrore: di fronte alle tesi protagoree secondo cui per ciascuno vero ci che a lui pare essere tale (con la conseguenza che impossibile lerrore), Platone scende in campo nel Teeteto, mostrando lassurdit dellassunto protagoreo (se infatti tutto vero, allora anche vero che non tutto e vero e che quindi ci che asserisce Protagora falso), e nel Cratilo, mettendo in luce come i nomi non siano interamente frutto n del nomoV (come vorrebbe Ermogene) n della fusiV (come vorrebbe Cratilo), bens siano imitazione con la voce della cosa nominata e, in quanto tali, suscettibili di sbagliare. Il punto di partenza del Sofista si riallaccia esattamente a questa problematica: Socrate prima di uscire di scena dal dialogo si domanda se anche per lo Straniero di Elea i termini "sofista", "filosofo" e "politico" designino tre diverse realt, o piuttosto due o magari una sola: potrebbe infatti essere che quei tre nomi si riferiscano a realt diverse. Da qui prende le mosse la riflessione, incentrata sulla definizione del sofista: ma, ancor prima di affaticarsi in tale ricerca, pare opportuno agli interlocutori definire preventivamente il metodo da impiegare, e, per fare ci, essi ricorrono ad un esempio banale e triviale, che vada bene per saggiare il metodo scelto. Il metodo che viene scelto quello diairetico, della diairhsiV, che gi presentato nel Fedro consiste nel dividere per due spingendosi sempre verso la parte destra: cos, nel definire la tecnh della "pesca con la lenza", si dir che tutte le tecniche si dividono in "tecniche di produzione" (quando producono qualcosa) o in "tecniche di acquisizione" (quando acquisiscono qualcosa di gi prodotto). Evidentemente la "pesca con la lenza" rientra nel novero delle "tecniche di acquisizione": a loro volta, le tecniche di acquisizione possono essere "per contratto" (quando si acquisisce qualcosa tramite un contratto) o "per caccia"; evidentemente la pesca con la lenza acquisisce i suoi oggetti tramite la caccia. Ma la caccia pu essere scoperta oppure occulta. E la pesca con la lenza occulta, giacch chi pesca non lo fa certamente allo scoperto dinanzi agli oggetti di cui cerca di impossessarsi. E ancora: si posson cacciare animali terrestri oppure natanti; e la pesca con la lenza mira a cacciare animali natanti. Procedendo per questa via si arriva alla definizione conclusiva per cui la pesca con la lenza una tecnica acquisitiva che acquisisce tramite caccia occulta di notte animali natanti colpendoli dal basso verso lalto. Dopo aver suffragato la validit del metodo diairetico alla luce di una definizione banale quale pu essere quella del pescare con la lenza, giunto il momento di applicare il nuovo metodo nel tentativo di definire il sofista: ed qui che lo Straniero nota con sorpresa che larte del sofista non poi cos distante da quella del pescatore con la lenza, giacch anche il sofista un cacciatore, anche

se si tratta di un cacciatore sui generis: la sua infatti una tecnh acquisitiva con cui caccia occultamente animali non natanti (come era per la pesca con la lenza), ma "domestici" (se cos possiamo definire lessere umano) al fine di guadagnarci denaro. E questa la prima definizione del sofista: egli un cacciatore di giovani facoltosi. Ma essa non esaurisce lessenza del sofista, di questo mostro dalle mille teste che si rintana laddove pi difficile stanarlo: diventa allora necessario ricorrere ad altre definizioni che ne svelino lessenza. Attraverso la seconda definizione, lo Straniero e Teeteto giungono a definire il sofista come un commerciante di nozioni inerenti allanima e grazie alla terza definizione precisano che egli un venditore al minuto di tali nozioni; ne consegue, allora, che il sofista un venditore del proprio sapere (ed , questa, una cosa che Platone non pu in nessun modo perdonare alla sofistica). Ma in certo senso il sofista non si limita a cacciare occultamente le proprie prede: egli si d anche alla caccia aperta, lottando con arte nei discorsi: siamo dunque giunti alla quarta definizione del sofista. Ben si pu arguire come le quattro definizioni finora fornite siano alquanto impietose e negative: ed ecco che ora, inaspettatamente, lo Straniero cambia rotta e rivaluta il sofista, asserendo (quinta definizione) che egli esplica, mediante il suo martellante confutare, una funzione catartica, purificando le anime dai falsi concetti. Socrate stesso, con il suo costante interrogare gli Ateniesi facendo scricchiolare le loro certezze pregiudiziali, pu a pieno titolo rientrare in questa definizione; in questaccezione, lo Straniero ha qui scoperto lesistenza di una "nobile sofistica", pur precisando che essa assomiglia alla comune sofistica come il cane assomiglia al lupo. I problemi si parano dinanzi con la sesta definizione: il sofista si professa capace di contraddire su qualsiasi argomento, dando ai suoi interlocutori la parvenza di essere pienamente in possesso di tutto lo scibile umano. Ma obietta lo Straniero sapere tutto impresa che scavalca le forze umane: sicch il sofista si dice esperto di ogni cosa senza tuttavia essere realmente tale; per meglio chiarire questo punto, lo Straniero sostiene che "di colui che promette di essere capace, con una sola arte, di fare tutte queste cose, noi conosciamo questo, che sar in grado di compiere imitazioni e omonimi delle cose reali, e mostrando da lontano quel che ha dipinto, sa trarre in inganno gli sprovveduti fra i ragazzi giovani, che egli in grado di portare a termine con le opere tutto ci che vuole fare". In questo senso, il sofista si colloca sul piano della doxa ("parvenza"), e ben si capisce lanalogia instaurata dallo Straniero con le immagini: come il sofista si dice esperto conoscitore di ogni cosa senza esser tale, cos limmagine riproduce loggetto di cui immagine senza tuttavia essere quelloggetto. Alla stregua del pittore, il sofista un imitatore delle cose, le copia creando immagini di ci che vede: egli dunque riconducibile al genere della parvenza. Ma e qui gi si affacciano le prime difficolt larte imitativa si suddivide in "icastica" (nel caso in cui copi fedelmente la realt) e in "fantastica" (quando invece d adito a parvenze illusorie che distorcono la realt anzich riprodurla). A quale delle due forme di arte imitativa appartiene il sofista? E soprattutto in che senso si pu parlare di parvenza come di un qualcosa che , ma che al contempo non la cosa di cui parvenza? Dicendo che una stessa realt e non insieme si sta infatti violando la prescrizione parmenidea secondo cui il non-essere non e non pu essere pronunciato. Prende qui le mosse la tematica centrale del Sofista: il problema dellessere e del non-essere e, di conseguenza, di come sia possibile dire il falso (con ripresa delle tematiche trattate aporeticamente nel Cratilo). Con il caso dellimmagine ci troviamo dinanzi ad uninquietante problematica: ci troviamo infatti costretti ad ammettere che il non-essere sia, poich altrimenti non sarebbe ammissibile la possibilit di dire il falso; e, cos facendo, si violano le prescrizioni di Parmenide, strenuo sostenitore in prosa e in versi dellimpossibilit di ammettere che il non-essere sia. Per tale via, gi comincia a profilarsi quello che, pi avanti, verr etichettato come un autentico parricidio di Parmenide: come possibile pronunciare il non-essere, domanda lo Straniero? E, pronunciandolo, si riferisce a qualcosa che (to on)? Teeteto si trova in imbarazzo e rinuncia a rispondere, lasciando al pi esperto Straniero lonere della problematica; questi sostiene che il non- essere non devessere riferito a qualcuno degli enti, giacch ciascuno di essi e, per ci, non pu non essere; ne segue,

allora, che il non-essere non si riferisce ad alcuna cosa, n si afferma di nulla: tutto ci che non pu non essere; ma, accanto a questa valenza assoluta del non-essere (non-essere come nonesistente), occorre ammetterne una relativa, in cui il non-essere abbia il valore di copula, come quando diciamo che "la penna non il tavolo" (dove "non " non significa che la penna il nonessere, ma, semplicemente, che la penna qualcosa di diverso rispetto al tavolo). La soluzione per superare laporia parmenidea risieder allora nellammettere il non-essere relativo: ma se a ci che possiamo unire altre cose che sono (la penna blu, la camera grande, ecc), che cosa potremo mai unire al non-essere? Certamente non qualcosa che sia, come ad esempio il numero: delle cose che sono posso dire che sono una, due, tre, ecc, ma non posso compiere siffatta operazione col non-essere e, di conseguenza, diventa impossibile nominarlo. Tutti i nomi sono o singolari o plurali, e, in forza di ci, parlare di "non-essere" automaticamente contraddittorio, giacch applicandogli un nome singolare come se si dicesse che il non-essere uno. Da ci lo Straniero qui in perfetta sintonia con gli ammaestramenti di Parmenide - trae la conseguenza dellineffabilit del non-essere; ma questo non tutto: non solo non si pu affermare il non-essere; addirittura non possibile neanche negarlo, giacch, nel momento in cui dico che il non-essere ineffabile, gi ne sto parlando, cadendo nella contraddizione test enunciata. Ben si capisce, allora, come il Sofista giocoliere dellapparenza (fantastikh tecnh) si sia andato a rintanare nel non-essere e come, al fine di stanarlo, sia necessario ammazzare Parmenide, riconoscendo che anche il non-essere . Dobbiamo in primis capire che cosa sia limmagine di cui il sofista maestro e, per fare ci, dobbiamo chiarire il rapporto intercorrente tra essere e non-essere, in quanto limmagine si presenta come qualcosa che al contempo e non (assomiglia al vero senza essere vera). Limmagine infatti, in quanto esistente, : ma, in quanto copia delloggetto di cui immagine, non la cosa stessa di cui copia, altra rispetto ad essa. E qui introdotta pienamente la tesi del non-essere come essere altro rispetto alla cosa: il sofista, assiduo produttore di immagini, ci ha indotti ad asserire che il non-essere , commettendo il parricidio di Parmenide; cos la falsa opinione sar quella che opina ci che non . Lo Straniero rileva che, mentre riguardo alla problematica del non-essere i predecessori non hanno lasciato grandi testimonianze, intorno alla tematica dellessere essi si sono sbizzarriti in un mare magnum di interpretazioni, tutte insoddisfacenti perch contraddittorie: inizia a questo punto una digressione dossografica, in cui lo Straniero esamina e demolisce le posizioni maturate dai filosofi precedenti, accusati di esser stati troppo sbrigativi nellaffrontare il problema e, soprattutto, di essere incapaci di rispondere se interrogati; sembrano quasi raccontare miti di cui non sono in grado di render conto, come se i loro interlocutori fossero bambini che si accontentano di qualsiasi risposta. C stato chi (Ferecide di Siro?) ha fatto coincidere lessere con tre enti, chi (Empedocle da Agrigento) lha individuato nelleterno incontrarsi e scontrarsi di elementi prima amici poi nemici, chi (Anassagora di Clazomene e il suo discepolo Archelao) lha ricondotto ad una miriade di "semi": tutti costoro sono ricorsi alle qualit e non alla materia, assumendo peraltro qualit fra loro contrastanti e autoelidentisi. Si tratta di spiegare il divenire universale delle cose, quale era stato colto da Eraclito di Efeso. Lo Straniero individua come "capostipite della nostra trib eleatica" Senofane di Colofone: in realt qui Platone ci sta suggerendo una dipendenza pi concettuale che storica, accostando lunicit del Dio di cui parlava Senofane allunicit dellessere quale veniva inteso da Parmenide. Dopo di che, lo Straniero opera un raffronto tra le "muse ioniche" (Eraclito) e le "muse siciliane" (Empedocle), asserendo che le prime sono pi intonate, mentre le seconde sono pi rilassate (stoccata al fatto che Empedocle ha cercato, con una posizione compromissoria, di dire che lessere uno e molteplice, tenuto insieme dallOdio e dallAmore, di contro alla prospettiva di Eraclito, che ha invece concepito la realt come un arco teso, facendo di essa unenorme armonia discordante). Lo Straniero, passate in rassegna con una rapida carrellata le posizioni dei predecessori intorno al problema dellessere, comincia ad esaminare egli stesso la problematica (sar questa la tipica procedura di cui si servir Aristotele): lessere "il genere primo di tutte le cose", ci che le cose

sono in quanto sono; sbagliano i dualisti a riconoscere lessere in due princpi (il caldo e il freddo), poich, cos facendo, come se parlassero di tre princpi (caldo, freddo ed essere) e non di due; per non cadere in tale contraddizione, i dualisti si trovano costretti ad ammettere che lessere si identifichi coi due contrari: ma se lessere il caldo, allora non il freddo, il quale essendo contrario al caldo e, dunque allessere sar non-essere. I dualisti possono ancora cercar riparo nellammisione che lessere sia somma di caldo e freddo, ma allora lessere ancora una volta ricondotto a unit e non a dualit (a+b=c, ma c uno!). Dimostrata linconsistenza della posizione dualista, siamo rimandati a quella unitarista alla Parmenide: "lessere uno", proclamano gli unitaristi, ma la loro posizione solleva non meno problematiche di quella dualista. Innanzitutto: se lessere uno, come fa ad avere due nomi (essere e uno)? Pu una cosa avere due nomi? In questo modo, Platone si sta riallacciando alle tematiche ampiamente discusse nel Cratilo, ove si sosteneva che il nome non n totalmente diverso dalla cosa nominata n ad essa identico, altrimenti sarebbe un doppio della cosa stessa. Nel I libro della Metafisica, Aristotele sar molto pi stringato nellaffrontare la questione degli unitaristi: ricondurre lessere allunit equivale a non voler spiegare la natura e il divenire incessante che la caratterizza, facendo ricerche di tuttaltro genere. Quando poi gli unitaristi asseriscono che lessere un tutto prosegue lo Straniero di Elea -, che cosa intendono esattamente? Gi Parmenide ricorreva alla sfera come immagine dellessere: ma essa obietta lo Straniero costituita da parti e, per ci, sar s un uno, ma non luno. Accanto a questa contesa che per protagonisti vede i dualisti contrapposti agli unitaristi, ve n unaltra, molto pi aspra, unautentica gigantomacia peri thV ousiaV (espressione di cui si ricorder Heidegger in apertura di Essere e Tempo): questa lotta titanica senza esclusione di colpi viene combattuta tra i materialisti (sostenitori che lessere la materia) e gli idealisti (per i quali lessere si identifica col platonico mondo delle idee). I primi "uomini terribili" - vengono paragonati ai Titani che cercano di salire alle vette dellOlimpo per usurpare il regno agli dei, trascinando ogni cosa dal cielo alla terra, mentre i secondi paragonati agli dei combattono dalle invisibili regioni del mondo intelligibile delle idee e son detti filoi twn eidwn ("amici delle idee"); essi cercano di innalzare tutte le cose verso il cielo, in antitesi alloperare dei materialisti. I primi credono nellesistenza soltanto di ci che stringono fra le mani, ovvero ci che offre resistenza al contatto; i secondi sostengono invece che la vera realt data dallincorporeo e dallinvisibile, forme meramente intelligibili; la realt dei primi massicciamente compatta; quella dei secondi evanescente. Ora, sarebbe plausibile aspettarsi che Platone dietro la maschera dello Straniero parteggi per gli idealisti, rispecchianti in buona parte le sue stesse posizioni: eppure non cos; pur mantenendo una posizione pi aperta verso di essi, egli non si esime dal criticarli aspramente per una sfilza di motivi che presto prenderemo in esame. Anche se la discussione coi materialisti si prospetta assai pi difficile, in quanto essi rivelano una natura a tal punto testarda e avversa al dialogo da far credere che quella materia che - a loro dire il vero essere, abbia intasato le loro menti; lunica soluzione per intavolare un dialogo sar allora quella di far finta che essi siano presenti e ben disposti. Per cercare di farli ragionare, lo Straniero pone loro una domanda: esiste o non esiste qualcosa che chiamiamo "vivente mortale"? Dopo che essi hanno risposto affermativamente, lo Straniero incalza: ci dovr allora essere almeno una cosa incorporea, lanima, che non oppone resistenza; che essa esista provato dal fatto che tutti quanti ne parliamo. Allo stesso modo, tutti quanti parliamo delle virt (il coraggio, la giustizia, il valore, ecc), sicch esse esistono: ma potremo forse addivenire alla conclusione che la giustizia, in quanto esistente, sia qualcosa di materiale? Da ci segue che anche lincorporeo deve avere una sua esistenza, alla pari del corporeo (e forse anche di pi): reale sar allora ci che comunque, piccolo o grande che sia, pu (dunatai) compiere o subire una qualche azione. In questa maniera, lessere ricondotto alla possibilit (dunamiV), in quanto esiste tutto ci che ha la dunamiV di compiere e/o subire azioni ("gli enti non sono altro che possibilit"). Data questa definizione, si potr con certezza asserire che

esistono anche oltre alle entit materiali in grado di agire entit immateriali (le idee) che subiscono lazione di essere conosciute. Sul versante opposto a quello dei materialisti, gli idealisti distinguono e separano ci che corpo da ci che non lo : se corpo ci che muta senza posa, sottoposto a quel fluire incessante riconosciuto da Eraclito e da Cratilo (panta rei), incorporeo , al contrario, ci che stabilmente se stesso. Ma che rapporto sussiste, allora, tra il reale e lideale? Tra il corporeo e lincorporeo? Nel Parmenide la questione rimaneva irrisolta, e anzi non faceva altro che creare nuove difficolt: noi esseri umani anfibi tra il corporeo e lincorporeo col corpo partecipiamo del divenire, con lanima dellimmutabile; e, propriamente (concetto su cui Platone non si stanca mai di insistere nei suoi scritti), si pu avere reale conoscenza solamente di ci che non soggetto al mutamento, ovvero la vera conoscenza sar quella delle idee. Esse, nella misura in cui possono subire lazione di essere conosciute, sono: anche le idee, e non solo i corpi, sono. Ma a questo punto Platone conduce una severa critica ai danni degli idealisti: pur avendo essi il merito di non arrestarsi al corporeo, cadono in errore nella misura in cui ritengono che ci che veramente non possa che essere assolutamente immobile, al pari di venerande statue immobili e incapaci di agire. E del tutto errato, prosegue Platone, illudersi che le idee siano immobili e statiche: in questo modo, Platone sta conducendo una critica a se stesso, in particolare alle posizioni maturate ai tempi del Fedone, quandegli aveva scorto nel mondo delle idee un mondo assolutamente stabile e immobile e, perci, pienamente conoscibile. Ora, egli riconosce che le idee il vero essere devono avere vita, movimento e intelligenza; in particolare, il vero essere deve essere animato (emyucon). Ma gli "amici delle idee" non vogliono accettare la definizione dellessere come dunamiV, giacch essa sostengono pu al massimo riguardare il mondo sensibile: dal canto loro, le idee sono del tutto sottratte alla possibilit di mutare, cosicch tra il mondo iperuranico e quello materiale sussiste una dicotomia assoluta, tale per cui non vi alcuna comunicabilit tra i due: tra il primo, fermamente stabile e immutabile, e il secondo, costantemente cangiante, non pu esservi alcuna koinonia (combinazione), sicch essi si trovano a essere sganciati tra loro, senza alcun punto di contatto. Ma Platone, contrariamente a quanto sosteneva ai tempi del Fedone, si propone qui di farli entrare in contatto, pur conservando la loro indiscussa eterogeneit: col corpo partecipiamo del sensibile, con l'anima dell'intelligibile; ma come dobbiamo intendere tale partecipazione? Non forse tale partecipare una forma di agire e di subire? La conoscenza stessa non si configura forse come un agire/subire, per cui lessere subisce lazione di venir conosciuto dallanima? Per questa strada gli "amici delle idee" sono sconfessati: lessere subisce azioni ( conosciuto), e lanima le compie (conosce); ma, subendo e compiendo azioni, lessere non pu non essere in movimento; e, se in movimento, allora anche vivo e animato, nonch intelligente. Proprio qui sta la rivoluzione apportata dal Sofista al sistema platonico: il mondo delle idee, da immutabile e fisso che era, diventa ora vivace, mobile e intelligente. Ma dove vi moto devesserci anche quiete, poich senza di essa non potrebbe esserci alcuna forma di moto (come senza male non potrebbe esservi alcun bene): se ci fosse solo movimento, non si attuerebbe alcun processo; e, del resto, se vi fosse solo quiete, nulla si muoverebbe n potrebbe esserci intelligenza. A questo punto, abbiamo identificato tre generi fondamentali: lessere, il moto e la quiete; ma ecco che ci si para dinanzi una nuova difficolt: moto e quiete sono tra loro opposti, ma noi abbiam detto che ugualmente sono (la quiete , il moto ). E, dicendo ci, non asseriamo forse qualcosa di contraddittorio, essendo essi opposti? O sono equivalenti? Se il moto e la quiete , allora moto e quiete si identificano? Lunica soluzione risiede nellaffermare che lessere sia un terzo elemento, diverso sia dalla quiete sia dal moto. E come si pu risolvere, in tal contesto, il problema della predicazione? Come sono attribuibili molteplici propriet ad un unico soggetto (A B, C, D, E, ecc)? Predicando, dico che qualcosa che (A), al contempo altre cose rispetto a s (B, C, D, E, ). Non pu trattarsi di mera identit, senn ci sarebbe una duplicazione: ma come possiamo allora dire che luomo buono, brutto, grasso, alto, ecc? Antistene aveva risolto la questione ricorrendo

allespediente del "giudizio identico", in virt del quale ogni cosa ha solo il proprio nome ("uomo uomo", "gatto gatto", "bello bello", ecc): ma davvero una soluzione soddisfacente quella di Antistene? Essa non pu in alcun modo render conto del fatto che il genere del moto entri in contatto col suo opposto, il genere della quiete. Le alternative possibili per spiegare la koinonia tra i due sono tre: a) tutto si unisce con tutto, ovvero tutti i termini si combinano indistintamente fra loro; b) niente si combina con niente; c) solo in certi casi possibile la combinazione. Nel secondo caso "niente si combina con niente" -, quiete e moto non potrebbero partecipare dellessere: dunque non sono; a livello logico diventa allora impossibile perfino parlare (giacch parlare equivale a combinare insieme parole). Nel primo caso "tutto si unisce con tutto" (sostenuto dai mobilisti), moto e quiete finirebbero per unirsi: il moto starebbe fermo e la quiete si metterebbe a correre. Escluse le prime due possibilit, non resta che riconoscere la validit della terza: la combinazione possibile solamente in certi casi. E sapere in quali casi e secondo quali modalit operare tali combinazioni richiede necessariamente il possesso di una tecnh, come il dare i nomi nel Cratilo: in particolare, spetta al dialettico la perizia e labilit nel saper combinare i generi fondamentali. Ma la dialettica qui in questione non pi quella della Repubblica, incentrata sulla formulazione di ipotesi di spiegazione da sottoporre a verifica; anche il dialettico del Sofista opera solo su idee, ma secondo modalit assai differenti rispetto a quello della Repubblica: operando sulle idee, egli opera sul vero essere (di contro al sofista, che invece lavora sul non-essere, sulla mera apparenza), in particolare egli sa dividere (diairein) per generi, senza scambiare un genere per un altro. La dialettica sar allora il dividere per generi ideali, sapendo tagliare al pari del buon macellaio, secondo limmagine del Fedro finch possibile, fermandosi quando si arrivati al termine del processo. Ma le cose sensibili, in quanto imitanti seppur opacamente - quelle intelligibili, presentano in certo senso la medesima struttura, su di esse si riverbera la stessa costituzione, cosicch, conoscendo i generi ideali e le loro possibili combinazioni, il dialettico conoscer lessenza stessa della realt sensibile: ecco che Platone ha trovato il punto di incontro tra i due mondi, intelligibile e sensibile. A partire dai generi ideali, infatti, il dialettico arriva a definire le cose sensibili: ed cos che posso definire il pescare con la lenza facendolo rientrare nei generi, operando costantemente rinvii tra reale e ideale. Procedendo nella diairhsiV, si raggiunge latomoV idea, ovvero "lidea non ulteriormente divisibile" e, con ci, si giunti alla definizione della cosa in questione: vista unidea, il dialettico la sa seguire in tutte le sue articolazioni, scorgendo tutto ci che essa contiene. Ne segue, allora, che lufficio del filosofo di occuparsi dellessere, mentre il sofista si rintanato nel buio del non-essere: sia il filosofo sia il sofista risultano per difficili da cogliere, giacch il primo troppo in luce (nellabbagliante regione dellessere), il secondo al buio completo del nonessere. Il rapporto dialettico viene cos a configurarsi come un rapporto uno/molti: ora molte idee si congiungono in unit, ora tale unit si fraziona in un molteplice di idee ricomprese al proprio interno. E spetta al dialettico ora riunire ci che diviso, ora dividere ci che unito, stabilendo relazioni di insiemi. E la possibilit di stabilire tali relazioni tra idee non fa che creare la stessa trama della realt, di cui a fondamento, giacch le idee sono il principio della realt: sicch la comunione dei generi finora posta fonda la possibilit di comprendere la realt e di predicarla nei discorsi. Nel Sofista, in realt, non si parla del rapporto idee/cose, ma si dice che nella misura in cui vi comunione tra generi si pu spiegare la realt in modo veritiero: proprio la possibilit di stabilire relazioni tra i generi sommi il punto che divide gli "amici delle idee" da Platone; ammettendo tali relazioni, infatti, si ammette anche, di conseguenza, il movimento tra le specie ideali, senza pi considerarle come statue immobili. Finora lo Straniero di Elea ha identificato tre "generi ideali" (essere, moto e quiete), precisando che lessere non un genere dotato di statuto privilegiato (pur essendo lidea pi semplice in assoluto). Sia il moto sia la quiete sono: dunque comunicano con l'essere, pur essendo fra loro opposti. A ci lo Straniero fa seguire lintroduzione di due altri generi a s stanti: lidentico e il diverso. In questo

modo, Platone scopre quello che Aristotele chiamer "principio di identit", per cui A A e non non-A. A questo punto, da tre che erano, i generi ideali son passati a cinque, irriducibili fra loro: ciascun genere identico a se stesso, ma non lidentico; ciascun genere diverso dagli altri, ma non il diverso. Ecco qua che riaffiora il problema del non-essere, ridotto ad "essere altro": ciascun genere non nessuno degli altri quattro, nel senso che da essi diverso. Sicch la penna non il tavolo nel senso che essa diversa dal tavolo. Cos il moto non quiete, ma al contempo (partecipa dellessere): insieme e non ; cos il moto non lidentico, ma identico a s; e ancora il moto non il diverso ma diverso dagli altri quattro generi. Ciascun ente, allora, una volta (in quanto identico a s) e infinite altre volte non (per tutte le volte che diverso da tutti gli altri enti che sono): in questo modo il parricidio del venerando Parmenide definitivamente consumato, in quanto lessere stesso non (non la quiete, non il moto, non lidentico, non il diverso). Il non-essere in questione, ovviamente, non pi quello assoluto, a cui si riferiva Parmenide: invece il non-essere come essere diverso; sicch il non-essere viene ad essere un genere alla pari dellessere: essere e non-essere sono ora diventati termini correlativi, per cui possibile pensare a ci che non (si pu pensare e dire il falso, dunque si pu contraddire). Sbagliano clamorosamente, allora, gli amici delle idee a sostenere che nulla si combina con nulla; ma sono altrettanto in errore quanti sostengono che tutto si combina con tutto, poich altrimenti ci si troverebbe costretti ad ammettere che la quiete il moto. Spetta appunto al dialettico operare le giuste connessioni: la sua opera fallibile, giacch non potendosi combinare tutto con tutto n nulla con nulla sempre in agguato lerrore, leventualit di dire il falso. Se nulla comunicasse con nulla, allora non si potrebbe nemmeno parlare e sarebbe impossibile la cosa pi preziosa di cui disponiamo: la filosofia. Se invece tutto si connettesse con tutto, allora tutto sarebbe vero (come credeva Protagora di Abdera) e non si potrebbe mai commettere alcun errore. Il discorso dallo Straniero definito come "connessione reciproca tra idee", ovvero come traduzione sul piano linguistico della connessione tra generi ideali. Ora si deve vedere come funzioni lapplicazione del diverso (il non essere) a livello linguistico: in prima battuta lo Straniero si domanda se il non-essere si unisca oppure no a qualche cosa o, in alteri termini, se al livello del discorso alcune cose comunichino o meno con altre. Se ammettiamo che il non-essere non si unisca con alcunch, allora ci troviamo costretti a riconoscere con Protagora, con Cratilo e con Eraclito che tutto vero. Se, al contrario, ammettiamo che il non-essere possa unirsi con le cose, allora potremo riconoscere la possibilit dellerrore e, in forza di ci, potremo snidare il sofista cogliendone lessenza reale. In prima battuta, occorre chiarire in che maniera il non-essere si applichi al discorso e in qual senso si possa parlare di opinione, illusione, verit. Dopo aver definito il discorso come sumplokh (intreccio) di parole, dobbiamo dunque domandarci ora se tutte le parole, unite casualmente, diano un discorso: combinando fra loro parole a caso, si avr sempre un discorso? E, in altre parole, sempre e comunque possibile la combinazione delle parole? O lo solamente in certi casi e secondo determinate modalit? Accanto ai nomi per, evidente, esistono anche le azioni, espresse dalla combinazione di nomi e verbi (ci era nel Cratilo rigorosamente dimostrato): appare fin da ora evidente che non si avr di certo un discorso quando si attuer una sumplokh di soli verbi ("corre corre") o di soli nomi ("uomo uomo"); viceversa, il discorso prender forma dalla combinazione di nomi e verbi, formando in tal maniera una proposizione (del tipo "Teeteto seduto"). Il discorso allora definibile s come sumplokh, ma non casuale, bens come sumplokh di nomi e verbi: ed a questo punto che scatta il principio di non contraddizione, in virt del quale quanto enunciato nella proposizione pu essere vero o falso, fermo restando che il discorso sempre e in ogni caso discorso di qualcosa, mai di nulla (ci stato dimostrato da Platone nel momento in cui egli ha posto il non-essere come essere diverso, cosicch quandanche si pensa il non-essere si sta pensando qualcosa che ). Cos, quando dico che "Teeteto seduto" sto enunciando un discorso che evidentemente di qualcosa (nella fattispecie: di Teeteto), predico cio qualcosa relativamente ad un dato soggetto; eppure dire

"Teeteto seduto" ben differente dal dire "Teeteto vola": nel primo caso dico il vero, nel secondo il falso. In questo senso, vero e falso possono essere definiti con una definizione destinata a fare storia, ma rigettata da Heidegger - come la corrispondenza attuata o mancata ad un reale stato di cose; tale concezione sar compendiata dagli scolastici con lespressione veritas est adaequatio intellectus et rei. Vero sar il discorso che asserisce le cose come sono, falso quello che le asserisce come non sono (ovvero diversamente da come realmente sono). Emerge qui chiaramente come sia possibile dire il non-essere, inteso naturalmente in senso non gi assoluto (come voleva Parmenide), ma relativo: a quello assoluto, del resto, abbiamo dato l'addio da un pezzo, rileva lo Straniero. Cos come possibile dire il falso, parimenti possibile avere pensieri, opinioni, immagini false. In particolare, se pensiamo qualcosa falsamente, allora pronunceremo quel qualcosa altrettanto falsamente: il pensiero (noein), infatti, altro non se non un discorso (legein) che lanima fa con se stessa senza ricorrere allemissione della voce. Quando tal pensiero procede attraverso il flusso delle parole pronunciate dalla bocca, allora si ha il discorso, come gi era stato messo in chiaro da Platone nel Teeteto. Il discorso ha la caratteristica di affermare o di negare qualcosa: quando ci avviene nellanima, si ha lopinione, nel senso che lanima stessa a negare o affermare; nel caso in cui entri in gioco lelemento sensibile non si ha pi lopinione ma limmagine, come quando, vedendo una sagoma in lontananza, si afferma "quello Teeteto!". Nel caso delle immagini, il falso pi in agguato che mai, giacch la sensazione il regno dellillusione e dello smarrimento. Ma ci non toglie che sempre (anche a livello di immaginazione) il vero e il falso dipendano, in ultima analisi, dai generi ideali, in quanto esso altro non se non il frutto della loro unione, cosicch dire il falso non che attuare una falsa combinazione di generi ideali. Ed a questo punto, dopo questampia digressione sui generi ideali e sul non-essere, che Platone si richiama direttamente alla sesta definizione del sofista, quella che lo definiva come imitatore: come si ricorder, lintera digressione era per lappunto nata a proposito dellimmagine come qualcosa che e, insieme, non . Si partiva dallarte anti-logica (il contraddire) e si mostrava come il sofista fosse abile a contraddire su qualsiasi argomento e ad insegnare ai suoi discepoli ad agire in tal maniera, di fronte ad un uditorio di incompetenti a cui risultare sapienti senza esserlo. La figura del sofista si stagliava appunto allorizzonte come figura di un individuo che non sa ma che d limmagine di sapere: ma larte mimetica si divide in a) icastica, consistente in una fedele riproduzione della cosa copiata; b) fantastica, consistente in una mera illusione, pura parvenza. La discussione si era proprio arenata dinanzi alla domanda: il sofista un imitatore secondo larte icastica o secondo quella fantastica? Il problema ora ripreso e, finalmente, risolto: per il sofista (pensiamo a Protagora) tutto vero e, di conseguenza, anche le immagini lo sono. Ma noi abbiamo test rilevato comesse possano anche essere false, nel caso propongano le cose come non sono, anche qualora si presentino sotto lapparenza del vero. Impiegando il procedimento diairetico, possiamo affermare che creare immagini unarte produttiva, tramite la quale si presenta limmagine come verit. Ma larte produttiva, a propria volta, si divide in arte produttiva divina e in arte produttiva umana: in particolare, Platone asserisce (come fa anche nel Timeo e nel X libro delle Leggi) che la produzione divina la causa del poter essere di cose che prima non erano; e ci vale non solo per le cose, ma anche per le immagini delle cose. Nel Timeo egli si serve della mitica figura del Demiurgo per esprimere il nascere delle cose, plasmate da questo fabbro divino che si ispira alle idee eterne, imitandole; mentre nelle Leggi la forma mitologica cede il passo ad una pi solida esposizione teoretica. Ora, nel Sofista, egli si domanda sempre per bocca dello Straniero di Elea se il mondo quale ci appare debba essere inteso come opera darte partorita dalla mente ingegnosa di una divinit o, piuttosto, come opera della natura e del caso, quasi come se lordine meraviglioso in cui il cosmo disciplinato si fosse predisposto spontaneamente, senza finalit alcuna. Teeteto rivela di aver spesso oscillato tra queste due posizioni antitetiche, ma lo Straniero lo invita a non tentennare: ritenere una cos perfetta creazione come frutto del caso da stolti.

Allinterno del cosmo generato da Dio, opera a propria volta luomo, producendo attraverso la sua tecnh personale: la tecnica produttiva pu riguardare sia cose sia immagini, e ci vale tanto per Dio quanto per l'uomo. Come cose Dio produce gli animali, gli alberi, le montagne, ecc; luomo produce invece le scarpe, le imbarcazioni, i tavoli, ecc; come immagini, invece, Dio produce le apparizioni oniriche, le ombre sul fuoco, ecc; luomo produce invece immagini di oggetti (la casa dipinta, luomo scolpito nel marmo, ecc). Ci troviamo dunque dinanzi non pi ad un bivio, bens ad una croce (immagini divine, immagini umane, cose divine, cose umane):e il falso rientrer nellarte produttiva icastica o fantastica? Senzombra di dubbio nella fantastica, la quale produce mere apparenze, poich nellicastica si copiano le cose secondo verit. In questo senso, la sofistica come imitazione sar definibile come arte produttiva umana di immagini imitanti in maniera fantastica. Ma non basta. A sua volta larte fantastica divisibile in due sezioni: a) con strumenti; b) senza strumenti. Esempio del primo tipo pu essere lo scultore che imita servendosi di marmo e scalpello; esempio del secondo tipo invece limitatore che usa se stesso come strumento (il mimo), presentandosi quale non . Nellimitare il sofista non si avvale di strumento alcuno fuorch di se stesso e del proprio talento oratorio. Limitazione senza strumenti pu ancora essere divisa in due livelli: a) limitazione di chi agisce con cognizione di causa (sapendo ci che imita); b) limitazione di chi agisce senza cognizione di causa (ignorando ci che imita). Di questo secondo genere per lappunto chi si proclama giusto e virtuoso senza realmente esserlo, ovvero chi finge di essere tale senza tuttavia sapere che cosa siano la giustizia e la virt, riscuotendo peraltro successo presso chi a sua volta ignorante di che cosa siano la giustizia e la virt. Il sofista dunque stanato: la sua non unimitazione istorikh (con cognizione di causa), bens unimitazione senza cognizione di causa, unimitazione dossomimetica, ovvero imitante per opinione (mimhsiV + doxa). Il sofista allora dossomimetico, imita per opinione, senza reale conoscenza, provvisto di un finto sapere che per egli non esita a vendere come reale. A questo punto lo Straniero opera unulteriore divisione tra lingenuo e lironico: chi ha solamente opinione di sapere, ma si illude di essere davvero sapiente, ingenuo, ovvero convinto di sapere ci di cui ha solo opinione; egli inganna gli altri senza volerlo (e dunque non condannabile); chi invece dissimula, fingendo di essere sapiente pur non essendolo e pur sapendo di non esserlo, ma ciononostante spaccia per vere le proprie opinioni, questo lironico: ma lironico si divide ancora in due sezioni, a seconda che svolga la propria attivit ingannatrice di fronte alle folle con lunghi discorsi (in questo caso si ha il demagogo) oppure privatamente, con brevi discorsi capziosi, dando sfoggio di vuota verbosit roboante con domande e risposte. In questo caso si ha il sofista, ironico in privato e per soldi. Egli dunque un dossomimetico ironico producente contraddizioni simulando e opinando, generando in ambito umano immagini illusorie non corrispondenti al vero. Egli, in quanto imitatore imbroglione e ciarlatano, lesatta contraffazione del filosofo ed lalter ego del demagogo: anzi, a rigore il sofista pi pericoloso, giacch esercita la sua azione in maniera capillare, facendo contraddire con domande e risposte in una dialettica serratissima. Anche lattivit di Socrate, vero, si svolgeva attraverso la prassi delle domande e delle risposte, ma con la differenza che egli metteva in gioco anche le proprie convinzioni e agiva in vista del bene: il sofista invece, lungi dal volere il bene della poliV e di chi vi abita, mira esclusivamente al guadagno personale, rovesciando con la parola la tavola dei valori.

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