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Compendio della ‘Meditazione V’, che tratta dell’essenza delle cose materiali e

dell’esistenza di Dio, dalle ‘Meditazioni metafisiche: nelle quali sono dimostrate


l’esistenza di Dio e la distinzione reale tra l’anima e il corpo dell’uomo’ di Cartesio

1. Cartesio apre le quinta meditazione ponendosi varie domande sugli attributi di Dio, sulla natura
dell'uomo e sulla mente, ma per lui è più urgente chiarire i dubbi per avere una certezza delle cose
materiali.

2. Cartesio, prima di investigare sulla possibilità di queste cose di essere fuori da sé stesso, dalla
sua mente, considera le idee riguardanti queste cose e il perché si trovano nel suo pensiero,
quindi, dentro di sé, in modo da riuscire a fare chiarezza su quali idee siano reali e quali no.

3. Prima di tutto Cartesio immagina la quantità oppure le dimensioni di questa quantità che lui
chiama cosa. Cartesio attribuisce ogni sorta di grandezze, figure e luoghi a queste parti e diverse
durate ai moti.

4. Cartesio descrive le sensazioni che prova quando riesce a concentrarsi su queste cose: riesce a
percepire molti particolari riguardo le figure riuscendo ad attribuire la verità. Cartesio quando
riesce a scoprire queste cose si meraviglia perché è come se imparasse qualcosa di nuovo o come
se riuscisse a riscoprire cose che già erano in lui ma che non era riuscito a capire.

5. Cartesio parla delle idee di determinate cose e dice che anche se queste non esistono in nessun
luogo al di fuori della sua mente, questo non vuol dire che non esistano affatto. Qui Cartesio fa un
paragone con un triangolo per spiegare meglio il concetto: se, per esempio, lui immagina un
triangolo, anche se questa figura non esiste in natura in nessun luogo al di fuori del suo pensiero, è
certo che però abbia una sua forma, una sua natura ad una sua essenza immutabile ed eterna che
non è stata prodotta da lui, quindi non è stato lui ad inventarlo. Ciò si può testimoniare dal fatto
che esistono le proprietà del triangolo che dicono per esempio: i suoi 3 angoli sono uguali a 2 retti
e che al suo angolo maggiore è sotteso il lato più grande. Quindi Cartesio dice che, come il
triangolo per essere definito triangolo deve avere la somma interna di 180 gradi, Dio è perfetto e
la sua perfezione non può mancare di un attributo essenziale: l’esistenza.

6. Cartesio ci dice che per esempio l’idea del triangolo non gli è venuta in mente in modo casuale,
ma attraverso l’osservazione degli organi dei sensi e l’esperienza, per esempio osservando corpi
con figura triangolare, così può escogitare molte altre figure che gli sono sempre pervenute
tramite i sensi, e può anche dimostrare alcune proprietà di esse, come quella del triangolo, e sono
di sicuro vere perché gli appaiono in modo chiaro, quindi sono qualcosa. Anche se non poteva
dimostrarle, la natura della sua mente non gli fece cambiare idea perché lui le concepiva in modo
chiaro. Cartesio ci dice che anche quando era legato agli oggetti dei sensi, ha sempre ritenuto
certe quelle verità che erano chiare ed evidenti, quelle relative alle figure e ai numeri legati
all’aritmetica, geometria o la matematica.

7. Cartesio inizialmente dice: se io percepisco in maniera chiara e distinta una qualsiasi cosa che
appartiene a un'altra cosa, allora sicuramente esisterà la cosa a cui appartiene, così dimostra
l'esistenza di Dio. Infatti lui dice di sapere sicuramente che è un ente sommamente perfetto
perchè è un'idea che si trova nella sua mente. Quindi Dio è anche caratterizzato dall'esistenza
eterna, e siccome questa caratteristica appartiene a lui, apparterrà sicuramente anche alla sua
natura (fa l'esempio coi numeri, qualcosa che io dimostro di un numero appartiene anche alla sua
natura). Alla fine dice che tra tutto ciò su cui ha meditato, l'esistenza di Dio è sicuramente la
meditazione più vera, vera addirittura quanto le verità della matematica.

8. Nonostante sia certa questa convinzione, a primo esame può prendere l’aspetto di un sofisma
(ragionamento capzioso, in apparenza logico, ma ingannevole). Essendo egli abituato in tutte le
altre cose a distinguere l’esistenza dall’essenza, facilmente Cartesio si persuade che l’esistenza
può essere tenuta distinta anche dall’essenza di Dio, pensando a Dio come un ‘’non esistente’’. Ma
è chiaro che l’esistenza non si può separare dall’essenza di Dio, più di quanto l’esistenza di un
triangolo si possa separare nel fatto che la grandezza dei suoi tre triangoli sia equivalente a due
angoli retti, o dall’idea del monte si possa separare dall’idea della valle.

9. Come non si può pensare a un monte senza valle che lo circonda, non si può pensare a Dio
perfetto senza la sua esistenza. Ma se si pensa a un monte con una valle, per Cartesio non ne
consegue che esista, poiché il pensiero non impone nessuna necessità nella realtà; e nel modo in
cui si può immaginare un cavallo alato, anche se nessun cavallo ha le ali, così forse si può
immaginare Dio anche se non esiste.

10. Qui nasce il sofisma, infatti se non si può pensare a un monte se non unito a una valle, non è
detto che esistano per forza un monte e una valle, ma soltanto che il monte e la valle ( se esistono
o se non esistono), non possono essere separati. Visto che non si può pensare a Dio se non
esistente, ne consegue che l’esistenza non è separabile da Dio, e che se esiste davvero non è
perché il pensiero provochi ciò, ma al contrario perché la necessità della cosa stessa cioè
dell’esistenza di Dio mi porta a pensarlo. Il poter pensare Dio senza esistenza non dipende dal
libero arbitrio, quindi non siamo liberi di poter pensare a Dio senza esistenza, come invece
sarebbe diverso poter essere liberi di pensare a un cavallo con o senza ali.

11. Qui Cartesio afferma che non è necessario affermare Dio come esistente, in quanto,
presumendo che egli possiede tutte le perfezioni, compresa quella dell’esistenza, la prima
supposizione diventa non necessaria.
Cartesio pur credendo non necessario dedicarsi a pensieri rivolti all’ente primo e sommo, decide
comunque di dedicarsi a quest’ultimi arrivando alla conclusione che egli esiste in quanto possiede
tutte le perfezioni, compreso l’esistenza, continuando parlando della necessità di assegnare le
“qualità” grazie alle quali si riesce a comprendere realmente le caratteristiche di un ente.
Cartesio, inoltre, afferma che c’è una grande differenza fra le false convinzioni e le idee innate in
lui, dove la prima, e la più importante, è l’idea di Dio.
Egli inoltre afferma di non poter accettare l’esistenza di altri dèi simili a Dio, in quanto secondo
Cartesio le qualità di Dio non possono sottrarre né mutare.

12. Cartesio arriva alla conclusione che pur facendo vari ragionamenti il punto d’arrivo è sempre lo
stesso: il ritorno al principio inteso come le cose chiare e distinte. Tra quest’ultime ve ne sono
alcune ovvie a chiunque ed altre che necessitano di una più approfondita disamina.
Da ultimo Cartesio riconosce l’influenza delle cose sensibili in ogni parte del suo pensiero
distraendolo dal riconoscere ciò che è più evidente cioè Dio, alla cui sola essenza appartiene
l'esistenza.

13. Dopo una lunga considerazione è certo di ciò che afferma, inoltre comprende che nulla può
essere realmente compreso alla perfezione.

14. Cartesio afferma che la chiarezza delle cose nell’intelletto implica la credenza nella loro verità.
D’altronde però, per la sua natura, che non gli permette di focalizzarsi per tempo indefinito su una
stessa cosa, per comprenderne chiaramente si affida a giudizi precedenti .
Per tale motivo medita sulle sue credenze, che sarebbero false e mutevoli se non conoscesse Dio,
in quanto pregiudizi irrazionali invaderebbero la sua mente e gli cambierebbero opinioni, non
premettendogli di scoprire la realtà delle cose.
Emerge l’esempio, ricorrente in questa meditazione, del triangolo: dal momento che conosce i
principi della geometria, spiega Cartesio, sa anche che la somma degli angoli interni del triangolo
sono uguali a due angoli retti e sa che deve essere per forza vero.
Ma, una volta lasciato questo pensiero e ritornatoci tempo dopo, può accadere, se non conoscesse
Dio, che nonostante si ricordi della sua analisi accurata, dubiti della sua veridicità e si persuada che
si sia sbagliato.
Conclude quindi, col pensare che si possa persuadere di sbagliare (spinto da altri motivi) anche su
cose ritenute saldamente vere in precedenza, nonostante il ricordo della loro veridicità provata.

15. Ma -riflette Cartesio- dopo aver compreso l’esistenza innegabile di Dio, che non inganna, e la
dipendenza delle cose tutte nei suoi confronti, può affermare con certezza di quelle cose (tutte le
cose dimostrate nel tempo razionalmente, come ad esempio principi geometrici) che ha compreso
pienamente in precedenza e di cui nel presente resta solo il ricordo della loro veridicità perché
derivano da scienza vera e non può essere portata controprova.
Infatti, ogni confutazione sarebbe mossa invano: anche se venisse detto che Cartesio potrebbe
essere ingannato, già ha dimostrato il contrario affermando, senza conoscere il principio per cui
pensava (della veridicità certa delle cose comprese chiaramente), altre cose vere in precedenza,
creduti veri per altri motivi meno certi; anche se venisse detto che i pensieri di Cartesio sono sogni
e che sia soltanto una realtà onirica, allora Cartesio, che sa della veridicità certa della cose
comprese distintamente, affermerebbe la veridicità anche di questi, se compresi appieno.

16. Così Cartesio ammette il legame della conoscenza del vero Dio con la conoscenza delle cose
vere.

Elaborato da: Antonio Perrone, Serpico Viviana e Valeria, Gaetano Romano, Matthias Cennamo

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