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Liceo delle Scienze Umane Virgilio  

Federica Giudice 5 SB 


 
 

ALIENAZIONE O FUGA DALLA 


REALT​Á​? 
 
 
 
 

 
 

Approfondimento per l’Esame di Stato 


 
Anno scolastico 2017-2018 

 
INDICE 
Introduzione 

- Capitolo 1 - Il concetto di alienazione in filosofia tra ‘800 e ‘900 

▪ L’alienazione da Hegel a Marcuse 

- Capitolo 2 - Gli studi sociologici sull’alienazione.  

▪ La devianza: teorie sociologiche di Durkheim  

- Capitolo 3 - Dalla sociologia alla letteratura 

▪ Pirandello: le maschere della società  

- Ringraziamenti 

- Biliografia, sitografia, e fonti di sezione didattica 

   

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Introduzione 
Nella scelta dell’argomento di questo approfondimento ho spesso considerato di trattare la 
tematica  che  segue,  per  poi  scartarla  altrettante  volte.  Ciò  che  non  mi  convinceva  era 
infatti  l’idea  di  trattare  un  tema  già  discusso  in  passato  nella  medesima  sede  in  cui  sarò 
chiamata  a  farlo  io.  Ciò  che  però  mi  ha  convinto  è  stato  considerare  il  tempo  in  cui 
viviamo,  una  società  trasformata  dalla  globalizzazione  e  dal  predominio  dell’economia, 
una  società  altamente  industrializzata  che  può  portare  allo  svuotamento  dell’autenticità 
della  realtà  a  causa  di un processo di alienazione, ovvero di estraneazione dell’uomo da se 
stesso,  un  processo  intrinseco  alla  società  contemporanea  che  ha  assunto  un  rilievo 
problematico  dal  punto  di  vista  socio-economico,  un  movimento  quindi  che  porta  ciò  che 
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ha in sé una propria identità, a diventare “​altro​” e a “​trasferire ad altri ciò che è proprio​”​  

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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N. Abbagnano, G, Fornero, ​Dizionario di filosofia​, UTET, Torino, 1998
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Capitolo 1 

Il concetto di alienazione in filosofia tra ‘800 e ‘900 


L’alienazione da Hegel a Marcuse 
Il  tema  dell’alienazione  entra  prepotentemente  nella  filosofia  dell’  800  con  il  filosofo 
tedesco F. ​Hegel​, che affronta questo discorso nel capitolo “ Lo spirito estraniato da se” del 
suo  scritto  “  La  Fenomenologia  dello  Spirito”(1807).  Per  Hegel,  l’alienazione  è  una  delle 
categorie  matafisiche,  è  un  sacrificio  dello  spirito  inteso  come  il  momento  dialettico in cui 
l’idea  si  oggettiva  e  diventa  “altro”  da  sé,  cioè natura, che poi viene superata dallo spirito. 
In  particolare,  per  designare  questo  concetto,  nel testo riprende due termini in tedesco che 
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indicano  due  processi  dell’alienazione:  ​Ent​ä​ußerung  e  ​Entfremdung .  ​Il  primo  indica  un 
processo  positivo  che  consiste  nel  ​“Farsi  altro”  ​per  poi  tornare  in  se  stesso;  il  secondo  ​è 
invece  il  “farsi  altro  da  sé  senza  tornare  in  se  stessi”  e  ha  una  valenza  negativa. 
Considerando  lo  spirito  in  quanto  coscienza  umana,  il  punto  di  partenza 
dell’estraneazione  è  la  scissione  tra  individuo  e  collettività,  tra  individuo  e  divinità,  tra 
individuo  e  natura.  È  quel  momento  in  cui  è  avvenuta  la  lacerazione  tra  particolare  e 
universale  in  seguito  alla  quale  l’individuo  non  si  riconosce  più  nel  mondo  sociale 
circostante; anche se prodotto da lui stesso gli diventa una realtà estranea e nemica.  

Per  ​Marx​,  notevolmente  influenzato  dalla  Fenomenologia  di  Hegel​,  ​l’Alienazione  è 


prodotto  di  un  particolare  processo  storico.  Egli  analizza  gli  effetti  etico-sociali  generati 
dalla società capitalista nei confronti dei lavoratori sottoposti a ritmi forzati. Il lavoratore si 
pone  di  fronte  al  lavoro  come  estraneo,  per  questo,  per  Marx,  il  termine  alienazione 
assume  un  significato  del  tutto  negativo,  in  quanto  rappresenta  la  perdita  inesorabile  di 
qualcosa  propria  dell’uomo  appartenente  alla  società  pre-industriale.  Egli  finisce  con  lo 
smarrire  la  propria  essenza  alienandosi  da  se  stesso,  dal  prodotto  del  suo  lavoro,  dalla 
“societa  veneratrice  del  denaro”,  da  tutte  le  istituzioni  sociali,  morali,  leggi  che  lo 
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costringono  al  solo  servizio  del  “Dio  denaro” .  Marx  parla  del  fenomeno  del  ​lavoro 
estraneato  dell’operaio,  nei  manoscritti  economico-filosofici  del  1844,  scritti  in  piena 
rivoluzione industriale. Egli parte da una premessa molto importante: ​“Partendo dalla stessa 
economia  politica, e valendoci delle sue stesse parole, abbiamo mostrato che l’operaio decade a merce, 
alla  più  misera  delle  merci,  che  la  miseria  dell’operaio  sta  in  rapporto  inverso  con  la  potenza  e  la 

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Alienazione in Hegel – Edizione dell’Ateneo (1970) pag 95
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K.Marx, Manoscritti Economico-Filosofici (1844) Enaudi Torino 1969
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quantità  della  sua  produzione,  che  il  risultato  necessario  della  concorrenza  è  l’accumulazione  del 
capitale  in  poche  mani​”.  In  altro  suo  scritto,  “Il  Manifesto  del  partito  Comunista”  (1848) 
scritto  insieme  al  collega  Engels,  analizza  la  storia  come  lotta  di  classe  tra  oppressori  e 
oppressi,  signori  borghesi  e  operai  senza  proprietà  o  ancora,  liberi  e  schiavi;  questi  sono 
stati  continuamente  in  contrasto  tra  loro  e  hanno  sostenuto  una  lotta  ininterrotta  sempre 
conclusa  o  con una trasformazione rivoluzionaria o con la totale rovina delle classi in lotta. 
Gli  operai  non  svolgono  un  lavoro  gratificante  con  cui  possono  sentire  realizzata  la  loro 
essenza,  quindi  si  alleano  estraniandosi  cioè  da  se  stessi  per  incarnarsi  nella  forma  di 
“macchine  da  lavoro”  impiegate  nella  produzione  forzata  di  oggetti  che  non  gli 
appartengono  in  quanto  sono  del  capitalista.  Tutto  ciò  produce  un  senso  di  frustrazione. 
Marx  ci  dice  che  l’operaio  diventa  tanto  più  povero  quanto  maggiore  è  la  ricchezza  che 
produce,  diventa  tanto  più  vile  tanto  più  grande  è  la  quantità  di  merce  che  produce.  Nel 
Marxismo  più  maturo,  l’alienazione  dell’operaio  è  espressa  attraverso  la  divisione  del 
lavoro  nelle  sue  quattro  forme:  alienazione  rispetto  al  prodotto  della  sua  attività,  rispetto 
alla  sua  stessa  attività,  rispetto  alla  propria  essenza  o  al  proprio  genere  e  rispetto  al 
prossimo.  In  primo  luogo,  l’operaio  è  alienato  dal  ​prodotto  della  sua  attività  in  quanto 
l’uomo  è  strumento  di  fini  esterni  e  in  virtù  della  propria  forza  lavoro,  egli  produce  un 
“oggetto”  (il  capitale)  che  non  gli  appartiene  e  che  si  costruisce  come  una  “potenza 
dominatrice”  nei  suoi  confronti.  L’operaio  è  dunque  alienato  dall’oggetto  del  suo  lavoro 
anche  se  non  gli  appartiene  e  diventa  “potenza  indipendente  poichè  si  fissa  come 
“oggettivizzazione  del  lavoro”  e  si  realizza  nello  stadio  dell’economia  privata  come 
processo di annullamento dell’operaio in quanto asservito all’oggetto. La seconda forma di 
alienazione  dell’operaio  è  rispetto  alla  ​sua  stessa  attività​,  in  quanto  l’uomo  è  strumento  di 
fini  esterni,  nel  suo  lavoro  l’operaio  non  si  afferma  ma  si  nega,  si  sente  insoddisfatto, 
infelice,  non  sviluppa  una  libera  energia  spirituale  e  fisica  ma  sfinisce  il  suo  corpo  e 
distrugge  lo  spirito;  il  suo  lavoro  non  è  quindi  volontario,  non  finalizzato  al 
soddisfacimento  di  un  bisogno  ma  solo  un  mezzo  per  soddisfare  bisogni  esterni.  La  terza 
forma  di  alienazione,  ​rispetto alla propria essenza​, è conseguente alla precedente, perchè se il 
lavoratore  non  si  sente  realizzato  rispetto  al  suo  stesso  impiego,  ciò  vuol  dire  che  in  esso 
non  esprime  la  propria  essenza  naturale.  Marx  sottolinea  a  questo  punto  ciò  che 
differenzia  l’uomo  dall’essere  animale  è  la  sua  propria  attività  cosciente,  libera,  il  lavoro 
ripetitivo  e  unilaterale  porta  invece  il  soggetto  a  estraniarsi  dalla  natura, dall’uomo stesso 

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e  dalla  propria  funzione  attiva  all’interno  di  una  società;  questo tipo di lavoro fa della sua 
attività  vitale  e  della  sua  essenza  solo  un  mezzo  per  la  sua  esistenza.  L’ultima  forma  è 
rispetto  al  prossimo  ovvero  l’estraneazione  dell’uomo  operaio  dall’  uomo  capitalista;  tra  i 
due  si  verrà  a  creare  un  rapporto  conflittuale  che  confluirà  necessariamente  in  una  lotta 
contro  l’intera  umanità  e porterà ad un processo di autoestraneazione dell’operaio rispetto 
alla  società. La causa dell’alienazione è la proprietà privata dei mezzi di produzione grazie 
alla  quale  il  capitalista  puo  espropriare l’operaio dal suo lavoro e dalla sua umanità. Per la 
riconquista  dell’uomo  e  della  propria  identità,  secondo  Marx,  dovrà  avvenire  il 
superamento  del  regime  della  proprietà  privata  e  l’avvento  del  comunismo  inteso  come 
“la soluzione dell’enigma della storia”.  

Il  pensiero  di  Marx  influenzò  profondamente  anche  gli  studiosi  della  Scuola  di 
Francoforte,  ed  uno  dei  massimi  esponenti  fu Herbert ​Marcuse​. Egli applica una polemica 
contro  la  società  repressiva,  altamente  autoritaria  e  classista,  e tracciando un lungimirante 
e  accurato  profilo  della  condizione  dell’uomo  del  XX  sec.,  presuppone,  quale  più  quale 
meno,  l’alienazione  come  stato  di  fondo  dell’essere  umano.  In  “L’uomo  a  una  sola 
dimensione”  (1964)  descrive  l’individuo  alienato  e  omologato  dalla  società  industriale 
avanzata  [...]  che  opera  mediante  la  manipolazione  dei  bisogni  da  parte  di  interessi 
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precostituiti   e  affronta  il  tema  dell’alienazione  considerandolo  come  un  processo 
inesorabile  messo  in  atto  da  un  ordine  totalitario  creato  dalla  società  dei  consumi.  Il 
problema  di  Marcuse  diviene  quello  della  liberazione  dall’iniquità  dei  vincoli, 
dall’alienazione  della  società  industriale  avanzata  in  cui  domina  il  ​capitalistico  e 
consumistico  way  of  life​.  Secondo  il  filosofo  della  scuola  di  Francoforte,  l’asservimento  al 
dominio  nella  società  assume la forma di una sottomissione al principio di prestazione che 
subordina  ogni  tipo  di  energia  vitale  alla  produzione,  facendo  dell’uomo  “un  mezzo  per 
produrre”.  Ciò  comporta  un  sacrificio  del  “principio  del  piacere”  in  vista  della  sola 
realizzazione  di  scopi  puramente  lavorativi  e  produttivi.  Questa  dipendenza  è  una  specie 
di  repressione  aggiuntiva  o  addizionale  ​(surplus  di  rimozione)​,  una  sorta  di  richiesta  dalla 
civiltà,  come  definita  da  Freud,  ma  a  differenza  del  padre  della  psicoanalisi,  Marcuse 
distingue  le  condizioni  che  regolano  i  desideri  individuali  consentendo  quindi  la  vita  in 
una  società,  dalle  condizioni  che  invece  rendono  questa  vita  alienante,  fatta  di  privazioni 
che  espropriano  totalmente  l’individuo  non  solo  dal  raggiungimento  da  propri  piaceri  e 

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N. Abbagnano, G. Fornero, ​L’ideale e il reale. Corso di storia della filosofia, ​Pearson Italia, Torino, 2013, p. 610
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desideri,  ma  soprattutto  lo  emarginano  dalla  storia,  dal  modello  di  società  in  cui  vive,  da 
quella  “dimensione  culturale”  in  cui  dovrebbe  essere  inserito.  La  nostra  è  una  “società 
unidimensionale”  in  cui  le  varie  esigenze  individuali  sono  schiacciate  o  appiattite  su 
quelle  del  sistema  produttivo.  Questa  condizione  di  repressione  della  libertà  individuale 
viene  enunciata  molto  chiaramente  nel  suo  manifesto  ideologico,  incipit  solenne  e 
perentorio  in  cui  scrive:  “​Ci  troviamo  dinnanzi  a  uno  degli  aspetti  più  inquietanti  della  civiltà 
industriale  avanzata:  il  carattere  irrazionale  della  sua  razionalità.  La sua produttività ed efficienza, 
la  sua  capacità  di  accrescere  e  diffondere  le  comodità,  di  trasformare  lo  spreco  in  bisogno,  e  la 
distruzione  in  costruzione [...] le persone si riconoscono nelle loro merci, trovano la loro anima nelle 
loro  automobili​.  Per  comprendere  meglio  questa  analisi  della  condizione  dell’uomo 
contemporaneo,  in  uno  stato  alienato  ed  etero-diretto,  è  bene  ricordare  in  breve  la 
concezione  freudiana  del  rapporto  tra  individuo  e  società.  La  civiltà,  minacciata 
dall’interno  dalle  forze  pulsionali  individuali,  secondo  ​Freud​,  dà  origine  ad  un  Super-Io 
collettivo  e  fa  in  modo  che  l’adulto,  una  volta  distaccatosi  dalle sue pulsioni sessuali della 
libido,  sia  in  grado  di  interiorizzare  le  norme,  i  divieti,  il  senso  dell’autorità  sociale  a  cui 
l’individuo  deve  sottomettersi.  In questo senso si possono evidenziare forme di restrizione 
e  dominio  gerarchico  che  producono  disagio  originantosi  dall’impossibilità  di  alimentare 
le  pulsioni  immediate  della  libido.  Nasce  quindi  quello  che  il  Padre  della  psicoanalisi 
chiama  il  “Disagio  della  Civiltà”,  che  àncora  le  sue  radici,  non  in  determinati  assetti 
socio-economici  (Marx),  ma  nella  struttura  della  psiche.  Freud  analizza  però  il  “prezzo” 
che  l’uomo  deve  pagare  per  vivere  in  società,  questo  caro  prezzo comporta una riduzione 
della  felicità  soggettiva  a  favore  di  una  maggiore  sicurezza e potere collettivo che reprime 
le  pulsioni  orientando  le  energie  verso  attività  di  ordine  sociale.  Questo  fenomeno 
rimanda  a  un  “senso  di  colpa”  generato  da  impulsi  libidici  ed  aggressivi.  Se  l’uomo 
potesse  infatti  dar  libero  sfogo  a  tutte  le sue pulsioni ed istinti di natura dispotica, sarebbe 
probabilmente  impossibile  vivere  in  un  mondo  di  “masse  anonime”.  Freud  giunge  a 
considerare  che  la  massa  può  essere  impulsiva,  mutevole  ed  irritabile  ed  è  controllata 
quasi  esclusivamente  dall’inconscio.  La  conclusione  a  cui  giunge  Freud  è  che  la civiltà è il 
male  minore  a  cui  l’uomo  deve  sottoporsi,  scontando  il  prezzo  che  consiste  in  un 
irrudicibile  margine  di  sofferenza  che  può  essere  “sublimato”:  ciò  è possibile attraverso la 
sublimazione  e  deviazione  della  libido  verso  una  meta  non  più  sessuale  ma  di  natura 
artistica  intellettuale  e  sociale.  Questo  concetto  di  sublimazione  lega  Freud  alla  scuola  di 

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Francoforte  ed  in  particolare  al  pensiero  di  Marcuse.  Il  filosofo  tedesco,  nello  specifico, 
parla  di  “​desublimazione  repressiva​”.  Con  questa  espressione,  egli  indica  e  denuncia la falsa 
libertà  esistente  nella  società  industriale  avanzata,  in  cui solo apparentemente non vi sono 
tabù  nè  repressioni,  ma  è repressiva poichè limita la sublimazione della civiltà; in realtà, la 
sessualità  è  semplicemente  “propagandata  come  stimolo  commerciale”  ovvero  viene 
istituzionalizzato e pubblicizzato.  

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2  

Gli studi sociologici sull’alienazione 


La Devianza: teorie sociologiche di Durkheim 
Da  questo  excursus  filosofico  e  soprattutto  in  riferimento  al  concetto  marxiano  di 
alienazione,  dal  punto  di  vista  sociologico,  siamo  in  grado  di  definire  questo  fenomeno 
sotto  due  aspetti  ben  precisi:  ​alienazione  oggettiva  e  ​soggettiva​.  Per  la  prima  si  intende  un 
processo  nel  quale  i  prodotti  dell’uomo si trasformano in una forza estranea che si oppone 
alla  sua  stessa  volontà  e  minaccia  la  sua  stessa  esistenza  fino  a  dominarlo; queste ricerche 
mettono  in  luce  come  l’alienazione  sia  una  variabile  dipendente  propria 
dell’organizzazione  del  lavoro  e  come  questa  a  sua  volta  dipende  dal  tipo  di  tecnologia 
utilizzata  (catena  di  montaggio).  Per  alienazione  soggettiva,  o  autoalienazione,  si  intende 
l’estraneazione  dell’individuo  dalla  società  o  dagli  altri  esseri  umani,  così  come 
l’alienazione  dal  proprio  Io,  dalla  propria  vita  e  dal  proprio  operare.  Il  concetto  di 
alienazione  perde  così  le  sue  connotazioni  puramente  filosofiche  per  diventare  uno 
strumento  concettuale  e  studio  della  ricerca  empirica  contemporanea.  Si  è  dunque  in 
grado  di  capire  che  l’uomo  dipende  dal  modello  culturale  ed  istituzionale  vigente,  è 
manipolato  dai  bisogni  di  una  certa  classe  che  detiene  le  redini  del  potere  e  che  ha  come 
fine  ultimo  quello  di  conformare  i  bisogni  della  collettività  creando  nuovi  bisogni  di 
“necessità”.  La  società  viene  pertanto  “educata al consumo” e, alienando l’individuo da se 
stesso,  sopprime  il  suo  impeto  creativo  che  mira  alla  liberazione  del  proprio  impeto 
passionale,  così  facendo  si  accontenta  di  un’esistenza  orizzontale.  Per  porre  fine  a  tale 
realtà,  l’uomo  talvolta  attua  forze  propulsive,  energie  di  “correnti  dissidenti”,  devianti  e 
non integrate nel processo sociale. Atteggiamenti devianti, come fuga dalla libertà e ricerca 
in  se  stesso  di  un  capo  carismatico,  volti  a  sperimentare  se  stessi  come  centro  del  proprio 
mondo  e  come  creatore  dei  propri  atti.  Per  comprendere  appieno  le  proprie  capacità  e 
volontà,  l’uomo  per percepire la libertà, talvolta sente il bisogno di trasgredire, violare una 
norma  di  natura  giuridica  o  sociale,  ma  anche  di codici non scritti di ordine etico morale e 
culturale  conformi  ai  membri  della  società  in  cui vive. In Sociologia, la devianza è definita 
come  un  comportamento  di  infrazione  o  elusione  delle  regole  che  l’individuo,  nel  suo 
agire  sociale,  discosta  dalle  norme di un gruppo andando necessariamente incontro però a 
qualche  forma  di  sanzione.  Per  l’osservazione  sociologica,  non  esistono  comportamenti in 
sé  devianti,  ma  lo  diventano  solo  rispetto  a  un  modello  condiviso  da  una  stessa  società  o 

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volontà  personale.  Dire  che  un  comportamento  è  deviante,  non  significa  affermare  che 
esso  sia  errato,  ma  solo  che  è  diverso  rispetto  a  ciò  che  la  maggioranza  sociale  considera 
come  corretto.  Il  termine  ​devianza​,  legato  ai  due studiosi Durkheim e Merton, non esprime 
un  concetto  valutativo,  nè  un  giudizio  di  valore  ma  è  un  concetto  osservativo  poichè  si 
limita  a  riflettere  e  ispezionare  quel  dato  comportamento  che  non  segue  le  inclinazioni 
previste.  Durkheim  introdusse  il  concetto  di  alienazione  nel  suo  libro  “La  divisione  del 
lavoro  sociale”:  egli  descrive  la  “deregolamentazione”  che  avviene  all’interno  di  una 
società.  Il  sociologo  francese  sostiene  che  bisogna  tener  conto  del  fatto  che  ogni  riscontro 
da  parte  di  una  collettività,  varia  relativamente  allo  spazio  e  al  tempo  ed  è  il  prodotto  di 
determinati  eventi  storici.  Per  questo  motivo,  si  parla  di  “​relatività  dell’atto  deviante​”  o 
“​concezione  relativistica  della  devianza​”.  Con  questi  termini  ci  spiega  che  della  devianza,  se 
ne  dà  un’interpretazione  relativa  ed  interrazionalistica  poichè  non  è  inerente  a  un  atto  in 
sè,  ma  è  un’attribuzione  soggettiva  da  parte  della  massa.  Dunque,  non  esistono  in  sè  atti 
devianti  che  portano  a  processi  di  alienazioni  o  estraneamento  ma  è  la  stessa  collettività 
che  li  emargina.  Un  gesto  per  essere  considerato  deviante  deve  essere  riferito  al  contesto 
storico  e  politico,  socio-culturale,  e  rispetto  all’ambito  geografico  in  cui  ha  luogo.  Al 
contrario,  il  comportamento  considerato  deviante  in  un  paese  o  in  un’altra  società,  sarà 
accettato  o  considerato  molto  positivamente.  In  questo  contesto,  i  due  sociologi, 
analizzano  tre  caratteristiche  di  questo  modello:  la  variabilità,  l’ambiguità,  e  il  distacco 
dalle  norme.  La  prima  indica che la devianza non è assoluta e varia in base alle aspettative 
sociali,  la  norma  stessa  che  vige  in  un  dato  territorio  è  mutevole  sul  piano  temporale  e 
spaziale  come  lo  sono  anche  i  processi  di  vigilanza sociale che la impongono. L’ambiguità 
è  nei  confronti  delle  aspettative  dei  comportamenti  “conformi”  o  “non  conformi”  a 
seconda  se  rispondano  a  norme  più  o  meno  definite.  Inoltre,  può  esistere  disaccordo  tra 
diverse  realtà  sociali  rispetto  alle  leggi,  ovvero,  data  la  società  pluralistica  in  cui  viviamo, 
la  devianza  di  un  soggetto  può  essere  definita  norma  per  un  individuo  e  non  per  altri, 
creando  così  disaccordi  e  contrasti  all’interno  di  una  collettività.  L’individuo  si  trova  così 
in  uno  stato  di  non  adeguatezza  e  portato  all’etichettamento  o  all’allontanamento  dal 
proprio  territorio  di  origine:  Egli  viene  quindi  alienato  dalla  sua  stessa  realtà.  In  merito  a 
questo  fenomeno,  sono  state  formulate  diverse  teorie:  la  devianza  può  derivare  sia  da 
conflitti  di  personalità  causati  da  una  mancanza  di  divieti  necessari  per  tenere  a  freno  gli 
impulsi  aggressivi  (teoria  psicoanalitica  della  trasgressione  del  Sé  –  Freud  1916)  ma  può 

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dipendere  anche  dalla  mancanza  del  controllo  tra  i  vari  membri  della  società.  Senza 
regolamentazioni  chiare gli individui non possono trovare il loro “porto sicuro” all’interno 
della  realtà.  Questi  processi  producono  grande  insoddisfazione,  portano  l’uomo  ad 
alienarsi,  scappare  dalla  stessa  società  in  cui  vivono,  distaccarsi  completamente  dalla 
propria  essenza  e  rifugiarsi  in  altri bisogni passivi. La società, i fatti sociali, condizionano i 
comportamenti  individuali  fin  dal  più  intimo  e  profondo  labirinto  della  coscienza;  le 
istituzioni  sono  presenti  nella  coscienza  e  nella  quotidianità  di  una  persona  molto  più 
prepotentemente  che  non  la  sua  storia  personale.  Ad  esempio,  il  tasso  di  fenomeni 
devianti  quali  il  suicidio,  aumentano  o  diminuiscono  in  rapporto  al  verificarsi  di 
determinati  eventi  sociali. Il suicidio per D. è il fattore più importante per valutare il grado 
di  non  integrazione  dell’individuo  nella  società;  è  una condizione moralmente degenerata 
per  la  quale  le  persone  hanno  uno  scarso autocontrollo e finiscono per esser portati a gesti 
estremi  poichè  hanno  ormai  perso  l’acquisizione  delle  norme  sociali.  Questa  condizione 
viene  definita  con  il  termine  “​anomia​”  e  D.  vede  nella  crisi  economica  e 
nell’industrializzazione  coercitiva  le  cause  di  quest’anomia  e  conseguente  alienazione  dal 
mondo che ci circonda.  

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3 

Dalla sociologia alla letteratura 


Pirandello: le maschere della società 
L’uomo  moderno  si  trova  in  un’atmosfera  di  completa  disumanizzazione,  senza  alcuna 
aderenza  a  qualsivoglia  principio,  si  trova  in  un  universo  totalmente  immerso  in  bisogni 
artificialmente  trasferiti,  ed  impossibilitato  a  soddisfarli,  l’individuo  si  ritrova  ad  essere 
destrutturato  nella  sua  specifica  personalità.  Le  persone  indossano  una  maschera  che  si 
adegua  passivamente  alla  “forma”,  alle  convenzioni,  ai  riti  e  alle  istituzioni  politiche, 
poiché  hanno  bisogno  di  autoinganni  individuali  o  sociali  per rafforzare in loro l’illusione 
che  la  vita  abbia  senso  per  sé.  In  un  secondo  momento,  l’uomo  di  Pirandello,  veste  una 
“maschera  nuda”,  dolorosa,  consapevole  delle  menzogne  proprie  e  altrui, ma impotente a 
risolvere  la  contraddizione  che  pure  Lui  stesso  invidia.  Avviene dunque il momento della 
riflessione  che  pone  una  distanza  tra  il  soggetto  e  i  propri  gesti.  Il personaggio si estranea 
da  sè,  “si  guarda  vivere”,  si  pone  fuori  dall’esperienza  vitale,  condannato  per  sempre 
all’estraneità,  compatisce  non  solo  gli  altri ma soprattutto se stesso e la propria condizione 
di  miseria.  L’autore  identifica  quindi  un  inscindibile  legame  tra  il  fallimento  dei  rapporti 
sociali  e  l’alienazione  che  da  esso  deriva,  come  avviene  in  Mattia  Pascal,  un  cittadino 
comune  con  un’esistenza  dolorosa  e  tormentata,  che  giunge  al  punto  tale  di  pensare  al 
suicidio,  unica  via  possibile  per  fuggire  dalla  propria  vita  e  dalle  gabbie  che  lo 
rinchiudono:  la  coscienza  collettiva  sovrasta  completamente  quella  del  singolo  individuo. 
Mattia  Pascal  si  identifica  come  Adriano  Meis  autoconvincendosi  di  liberarsi  dalla  figura 
sociale  precedente;  l’abbandono  della  sua  nuova  identità  lo  porta  poi  a  una  condizione di 
isolamento  e  lo  costringe,  per  una  casualità  di  eventi,  a  diventare  il  “fu”  di  se  stesso, 
rispondendo  appunto  alla  domanda  su  chi  fosse  con  “il  Fu  Mattia  Pascal”.  Il  Pirandello 
drammaturgo,  denuncia  l’inautenticità  e  l’artefazione  con  cui  l’uomo  è  condannato  a 
vivere:  la  dissoluzione  dell’individualità,  l’impassibilità  di  fronte  all’azione,  l’assenza  di 
qualsivoglia  partecipazione  emotiva  è  ciò  che  disumanizza  l’uomo.  Pirandello  sembra  in 
questo  modo  riprendere  la  tematica  del  ​suicidio  egoistico  ed  anomico  analizzata  da 
Durkheim.  
Seppur  di  sottofondo,  già  all’inizio  del  romanzo,  si  può  notare  la  “polemica  contro  l’era 
della  macchina”  che  lo  mette  in  relazione  alle  riflessioni  di  Marx,  che  abbiamo  visto 
tematizzare  l’alienazione  umana  in  quanto  legata  alla  disumanizzazione  del  lavoro 

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scandito  appunto  dalle  macchine  e  dalla  catena  di  montaggio.  Nei  suoi quaderni scriverà: 
<<La  macchina  è  fatta  per  agire,  per  muoversi,  ha  bisogno  di  ingoiarsi  la  nostra  anima, 
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divorare  la  nostra  vita  [...]  viva  che  la  macchina  che  meccanizza  la  vita>> .  In  questi  testi, 
l’autore  affronta  la  questione  delle  macchine  e  della  moderna  civiltà  industriale.  In  altri 
suoi  scritti,  per  illustrare  i  vari  aspetti  dell’alienazione,  sottolineati  di  volta  in  volta  dalla 
lettura  dei  diversi  volti,  ci  presenta  anche  Belluca,  uno  dei  tanti  impiegati  alienati  dal 
lavoro.  Mattia  Pascal  e  Belluca,  due  uomini  soli  imprigionati  nelle  loro  forme  e  schemi, 
indossano  sul  volto  una maschera, recitano una parte per nascondere le paure, ma quando 
le  menzogne  vengono  meno,  esce  fuori  la  drammaticità  della  vita  secondo  due  diversi 
punti  di  vista.  Il  primo,  un  cittadino  comune,  il  secondo  uno  scrupolosissimo  ragioniere, 
entrambi  subiranno  l’estraneazione  dal lavoro, dalla coscienza, dalla classe sociale, nonché 
dall’alienazione.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Quaderni di Serafino Giubbo operatore, quaderno primo cap 2, a cura di M.A.Grignani Garzanti Milano 1993
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Ringraziamenti 
Si  ringraziano  tutte  le  persone  che  mi  hanno  aiutato  nella  elaborazione  di  questa  tesina: 
tutti  i  miei  professori  per  gli  insegnamenti  acquisiti  ma  in  particolar  modo  il  Prof. 
Francesco  Apriceno  per  i  frequenti  consigli  e  spunti  dalle  riflessioni  ed  approfondimenti 
qui riportate e la Professoressa Mastellaro per le preziose correzioni.  

 
 
 
 
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Bibliografia: 
- Intimità e alienazione-Il Sé e le memorie traumatiche in psicoterapia di ​Russel 
Meares​ ​(Cortina Raffaello Editore) 
- Il fu Mattia Pascal di ​Luigi Pirandello​ (Arnoldo Mondadori Editore) 
 
Sitografia: 
- Il pensiero di Pirandello: https://​www.homolaicus.com  
- Erich Fromm: ​https://www.filosofico.net  
- La Filosofia dello Spirito: ​https://tesionline.it 
- Alienazione in vocabolario Treccani: ​https://www.treccani.it 
- Marcuse e l’uomo ridotto ad una sola dimensione: ​https://www.intellettuale 
dissidente.it 
- Teorie sociologiche: ​https://www.sociologicamente.it  
- Dizionario filosofico: ​https://www.filosofico.net 

Fonti sezione didattica:  


Filosofia: 

- Manifesto del Partito Comunista – Karl Marx e Friedrich Engels: testo integrale a 
cura della redazione del Giardino dei Pensieri (Giugno 2012) 
http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/testi/manifesto_testo.pdf 
- Le “maschere del potere”: tavola rotonda –Italia in N. Abbagnano, G. Fornero, 
L’ideale e il reale – Corso di storia della filosofia​, Pearsons, Torino, 2013 
- H. Marcuse: 
▪ L’uomo a una sola dimensione: ​https://www.filosofico.net 
▪ Lavoro e civiltà: ​https://www.filosofico.net 
▪ I meriti di Freud: ​https://www.filosofico.net 
- Manuale di testo di letteratura: La scrittura e l’interpretazione. Storia della 
letteratura italiana nel quadro della civiltà europea. G.B Palumbo editore. 
- Manuale di testo di sociologia: Sociologia per il Liceo delle Scienze Umane, Paolo 
Volontè, Mauro Magatti, Carla Lungi Emanuela Mora. Mondadori Education S.p.A, 
Milano 2015. 
- Manuale di testo di filosofia: N. Abbagnano, G. Fornero, L’ideale e il reale. Corso di 
storia della filosofia,​ ​Pearson Italia, Torino, 2013. 
 

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