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HEGEL

Lezione 1
Alla morte di Hegel, nel 1831, era conosciuto per queste opere
La fenomenologia dello spirito
La scienza della logica
L’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio
I lineamenti di filosofia del diritto
Se già stiamo a questo corpus, l’immagine che si ebbe ai tempi era quella del
pensatore del sistema, da un lato appariva come colui che aveva portato a
compimento in maniera definitiva la storia della filosofia, dall’altro c’era anche un
contro cioè che questo sistema finiva per apparire come artificioso e soffocante.
Questa immagine muta in seguito alla scoperta nei primi del 1900 degli Scritti
teologici giovanili, quegli scritti che Hegel scrisse a Berna (1793-1796) e poi a
Francoforte (1800) -> prima del passaggio di Hegel a Iena, precedono il suo arrivo lì
quando ancora era precettore e non aveva una cattedra e furono pubblicati da Nohl
nel 1907. Questi scritti giovanili (1793-1800) hanno restituito un’immagine diversa:
di un Hegel che arriva al sistema soltanto dopo a partire da delle preoccupazioni
tutt’altro che astratte, ma concrete. L’aspirazione del giovane Hegel è di farsi
‘educazione del popolo’ (come voleva Lessing) e quindi vediamo che soprattutto la
portata sociale, culturale e morale della religione negli scritti -> la sua
preoccupazione è di un rinnovamento della Germania del suo tempo da un pt. di vista
culturale e politica.

Il filo conduttore di tutto il pensiero di Hegel è il problema della storia, tutt’altro


che non concreto -> tanto che può essere definito il ‘filosofo della ragione dialettica e
della storia’ per servirsi del titolo di una biografia di Hegel che si intitola così.
Che la storia fosse importante è chiaro se teniamo presente che la Germania
costituiva ai tempi uno dei paesi più arretrati, ancora feudali per le sue strutture
burocratiche e politiche e anche lo Stift di Tubinga dove Hegel studia non era proprio
la punta di diamante ma anzi un ambiente chiuso al vento delle novità, se noi
vogliamo riassumere i 3 principali fattori che insieme vengono a combinarsi nella
riflessione Hegeliana o che suscitano questi; troviamo 3R (rivoluzioni) che marcano
il pensiero di Hegel:
I. Rivoluzione Copernicana-Kantiana —> la svolta trascendentale kantiana con
tutto quello che è connesso, non solo la scoperta del soggetto, a-priori ma
naturalmente anche l’affermazione della libertà, dell’aspetto del mondo
noumenico e la riflessione kantiana non solo a livello morale ma anche religioso
(cioè nei limiti della semplice ragione)
II. Rivoluzione Francese —> che segna Fichte (il Fichte politico che scrive
considerazioni su ciò in cui legittima la possibilità di cambiare il contratto sociale
se l’istituzione è fallimentare), Schelling e anche Hegel i quali giovanissimi
piantano un’albero, l’albero della libertà nello Stift di Tubinga quando
apprendono la notizia della Rivoluzione -> la Rivoluzione Francese fa irrompere
nella storia concreta il diritto e questa irruzione conduce a vedere finalmente il
tentativo di realizzare nella vita quegli universali: libertà, uguaglianza e
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fraternità.
Il problema è che la rivoluzione fallisce perché subentra terrore e questo
fallimento viene preso sul serio, soprattutto da Hegel: il problema allora diventa
come fare a pensare questi universali come concreti, cioè come validi davvero
per tutti e per ciascuno. Dopo il terrore arrivano le guerre Napoleoniche e poi il
Congresso di Vienna che rappresenta la restaurazione, si vede ciò fino ad arrivare
ai moti del ’30-’31.
III. Rivoluzione Industriale —> l’economia ‘600esca si fonda sul mercantilismo,
scambi e colonie; verso la fine del ‘700 esce il testo di Adam Smith in cui si
interroga su cosa faccia la ricchezza delle nazioni e risponde che si tratta della
divisione del lavoro (un lavoro già industriale nei suoi metodi). Smith riprende
l’idea di Mandeville, che i vizi privati si facciano pubbliche virtù: i singoli
individui perseguendo i loro egoistici scopi concorrano però al benessere della
collettività.
Il piccolo imprenditore che persegue i propri fini ma in realtà sta contribuendo al
benessere dello stato. Da quindi questo testo che costituisce la nascita
dell’economia classica, Smith ritiene che il ruolo degli stati sia quello del lasseiz-
faire e che il mercato sia dominato da una mano invisibile che guida, al di sopra
degli interessi dei singoli, il benessere e lo sviluppo delle nazioni. Questa mano
invisibile in Hegel diventa l’astuzia della ragione: l’idea che al di sopra dei
singoli individui si muovano delle forze che trascendono gli individui.

Accanto a questi 3 fattori dobbiamo aggiungerne altri legati al clima romantico


presente in Schelling:
• La fascinazione per la grecità; data dall’arte neo-classica, da poesia romantica
(Goethe).
• Lo Spinozismo; presente anche in Hegel, Schelling e Hoelderlin con l’idea
dell’uno-tutto.

Per capire tutti questi grandi rivolgimenti che Hegel si trova a vivere bisogna mettere
in campo un nuovo metodo, sembrerebbe che non ce ne sia bisogno dopo che sono
passati tutti i discorsi sul metodo ‘600eschi ed è arrivato Newton e invece no -> quel
metodo della ‘nuova scienza’ che aveva funzionato per capire il mondo fino a poco
prima (ricordiamo che Newton era il modello di Kant), non serve più.
Il modello devono diventare: la presa della Bastiglia, Napoleone; il nuovo metodo
deve saper cogliere il movimento della storia —> è la DIALETTICA, che è un
procedimento logico ma anche la pulsazione stessa del reale; si tratta di andare a
ripensare le attività reali dell’uomo alle prese col destino.
Partiamo da uno scritto, una raccolta di frammenti pubblicata postuma La
costituzione della Germania che compone subito dopo la disfatta del Sacro Romano
Impero e la pace di Luneville (dopo che Napoleone ha vinto e la Germania ha perso;
il SRI si disgorga e gli staterelli annessi ai più grandi).
Hegel da tedesco apre con una drammatica considerazione: la Germania non è più
uno stato —> perché se fosse stata uno stato avrebbe approntato una difesa comune e
invece non è riuscita a farlo.
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Da tale testo emerge:


- da un lato come lo stato non sia per Hegel solo ‘monopolio della forza pubblica’,
come era per Hobbes, ma qualcosa di più. Rientra l’ideale greco dell’armonia tra
l’individuo e la poleis, del loro identificarsi; lo Stato è un modo di vivere,
l’incarnazione dello spirito di un popolo che deve dare un orientamento, indicare
un modo di vivere. La Germania non è più uno stato perché non ha una prospettiva
condivisa, non è sentita né capace di motivare agli individui ad uno sforzo
comune.
- Di fronte a tal fatto storico Hegel intende comprendere ciò che è e
comprendendolo trasmettere una più quieta opinione, così come moderata
sopportazione, nei contatti reali (nel modo di comportarsi) e nelle parole —> ciò
che non ci rende quieti, che non ci fa sopportare, è che le cose non siano come
devono essere; mentre il fatto che le cose siano come sono ci acquieta, il fatto che
è necessario che sia così. Se noi troviamo una ragione, LA ragione, per cui le cose
sono come sono (cioè come devono essere), a questo punto saremmo tranquilli.
Questo testo è interessante perché mostra cosa intende Hegel per fare filosofia e quale
sia il compito della filosofia -> è proprio non fare i semplici spettatori travolti dagli
eventi, ma mostrare e comprendere la necessità di quello che accade.
Questo non è mero giustificazionismo, perché comunque in questo scritto si pone una
domanda: dato che questo è il destino della Germania, c’è qualcosa che si può fare?
Come dirà poi, nelle Lezioni di filosofia della storia, la filosofia della storia non è
altro che la considerazione pensante della storia, che è lo sviluppo dello spirito, e la
natura dello spirito è la libertà e lo spirito si libera progressivamente tramite la
conoscenza -> equazione già presente in Spinoza, più conosco meno sono in balia
delle cose esterne, e più sono liebero.
Filosofare significa pensare reale, perché pensando il reale l’uomo attua la sua
libertà e lo conosce nella sua necessità e lì si libera, altrimenti si trova solo ad
essere ed appetire sulla base delle sollecitazioni.
La filosofia e il suo compito
Per Schelling nel suo tempo c’è bisogno della filosofia, la sua è un’epoca di
scissione, l’uomo moderno è lacerato, scisso. Le scissioni filosofiche che sono ancora
presenti: tra reale\ideale, mondo fenomenico\noumenico, tra soggetto\oggetto, tra
razionale\sensibile ecc. dicono di un individuo scisso —> la filosofia deve
ricomporre quella scissione che lacera l’individuo moderno.
La filosofia deve cogliere dove sta l’inghippo e cercare di ricomporre la scissione.
Contro tutte le filosofie del ‘dover essere’, come quella di Kant e Fichte che anche a
livello politiche erano utopiche nel senso buono del termine (vedevano la possibilità
di un progresso, di un continuo perfezionamento, di una tensione all’unità);
pretendono di dire come deve andare il mondo.
Al contrario, la filosofia, deve comprendere quella che è: è il proprio tempo appreso
con il pensiero —> è la NOTTOLA DI MINERVA, la civetta che si leva sempre
troppo tardi, si leva sul FAR DELLA SERA; arriva quando già le cose son
compiute, accade nel tempo dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di
formazione ed è bella e fatta.

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Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato,


e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la
nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
Allora si spiega perché nei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel pronunci la frase
Ciò che è razionale è reale
Ciò che è reale è razionale
Per reale si intende la realtà che si compie, c’è una processualità; la realtà si è
effettuata ed è di tale effettualità che la filosofia deve render conto ed è questa
effettualità che è razionale.
Potremmo anche dire che: quel che è razionale diventa effettivo, si fa realtà in atto e
quel che è effettivo, una volta compreso, è razionale perché il reale empirico è tutto
fuorché razionale, ma lo diventa quando se ne comprende il processo che ha condotto
ad effettuarlo (il movimento che ha prodotto quella realtà).
Hegel non sta dicendo che Robertspierre abbia agito in maniera razionale, il punto è
che è razionale il PROCESSO che ha condotto a questo signore e che ha condotto da
questi signori al terrore.
Ciò ha condotto a dire che Hegel porti alla giustificazione dell’assolutismo prussiano,
cioè al dire che le cose sono così come devono essere in senso ‘deteriore’ (come se
tutto ciò che accade fosse giustificato) -> ma se è vero che una comprensione può
condurre ad una legittimazione, nella misura in cui si capisce qual è il processo che
ha portato a tutto ciò, ciò non significa che poi debba fissarlo come un qualcosa che
non vada ulteriormente superato perché quando quelle condizioni che hanno condotto
all’effettuailità di quell’evento vengono meno, evidentemente viene meno anche
quell’evento.
Quella sintesi è sì una sintesi, ma è anche una tesi di un nuovo movimento, perché la
storia si muove continuamente.

Scritti giovanili
Religione popolare e cristianesimo
La positività della religione cristiana
Lo spirito del cristianesimo e il suo destino
Non deve stupirci che il tema sia religiose, perché Hegel studia in un seminario
teologico ed è dunque normale che ci sia questo interesse. Inoltre questo interesse era
presente anche in Kant che aveva cercato di tradurre il cristianesimo nei termini della
Ragion pratica, da Kant Hegel risente e qui prende posizione.
Tema degli scritti: della sezione dello spirito oggettivo, cioè dello spirito così come si
incarna nelle istituzioni politiche, culturali e religiose; è proprio nella terza che
troviamo una delle tante terne della dialettica.
La prima dialettica Hegeliana dunque non nasce con la triade della logica
(essere\nulla\divenire) MA in concreto, da una riflessione sulla storia:
- Religione greca
- Ebraismo
- Cristianesimo
Religione popolare e cristianesimo

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Qui Hegel sta cercando la risposta alla scissione dell’uomo moderno, che cerca nel
periodo giovanile nella religione. Mette a confronto una religione popolare con il
cristianesimo del suo tempo; con ‘popolare’ non si intende del volgo ma del popolo,
che sia capace davvero di motivare l’individuo o rispecchiare l’identità nazionale di
un popolo.
Istituisce il paragone tra la religione dell’antica Grecia\Cristianesimo.
Tiene a mente anche la distinzione Kantiana tra religione naturale\religione rivelata
-> come Kant, preferisce quella naturale perché nel caso di quella naturale il dovere
(quindi la moralità) è perseguita perché riconosciuta dalla ragione e non perché frutto
di un comando esterno.
Il cristianesimo quanto al contenuto è anche naturale, ma quanto alla sua forma
istituzionale è diventata una religione positiva.
Si scosta però da Kant perché ciò di cui è alla ricerca non è solo una religione
razionale MA che interessa il cuore —> la religione deve dare uno SLANCIO alla
moralità e fornire un argine contro il potere degli impulsi sensibili.
Contro Kant, Hegel rivaluta delle componenti che devono stare all’interno del
religioso, come il cuore (Rosseau), sentimento, fantasia che sono motivi non razionali
che però possono rendere gli uomini più sensibili alla voce della ragione che conduce
alla moralità.
Da questo pt. di vista si stacca da Kant e la contrapposizione che poi mette in campo
è tra una religione privata\ dell’individuo che non impatta sulla società e una
religione pubblica e quindi popolare —> questo serve, il problema è che il
Cristianesimo se lo guardiamo bene a confronto con la grecità è privata, che poi si è
fatta pubblica ma si è per certi versi snaturata fino a condurre a Crociate e altre
aberrazioni.
Qui mette a confronto Gesù e Socrate -> se prendiamo gli insegnamenti di Gesù
vediamo che sono difficilmente estendibili per un vero popolo (‘spogliati di tutti i
tuoi averi e seguimi’), come possono rendersi universali?
Inoltre il religioso è sempre concepito come distaccato rispetto alla società, non solo
perché uno può appartenere ad una religione facendo parte di uno stato che ne predica
un’altra, ma anche perché l’uomo religioso è tradizionalmente il monaco, il prete ecc.
e quindi qualcuno di staccato rispetto alla società.
È diverso il caso della religione greca: Socrate nel suo messaggio morale forma
questi giovani affinché partecipino e incidano nella società, qui la Grecia vince sul
Cristianesimo.
Il cristianesimo si mostra come oggettiva che è ormai diventata un complesso di
norme da seguire e non soggettiva, cioè che agisce veramente nel soggetto ed è
vivente.
La positività della religione cristiana
Estende questa sua considerazione allo sviluppo storico del cristianesimo in questa
opera; dove si chiede come sia possibile che la religione cristiana si sia
istituzionalizzata in una serie di norme che l’hanno resa oggettiva.
Il problema è l’ebraismo, qui compare l’attitudine anti-giudaica di Hegel che vede
nell’ebraismo una religione vuota, del legalismo esteriore, nel rispetto del 615

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precetti dell’ebraismo vede tutta l’ottusità del popolo ebraico -> è attento
all’esteriorità del comando.
Il problema è che Gesù per poter essere accolyo nel contesto ebraico ha dovuto
scendere a patti con l’ottusità del popolo ebraico, per farsi riconoscere come Messia;
allora se il contenuto dell’insegnamento di Gesù non erano altro che quella moralità e
quella virtù che possono essere colti dalla ragione di ciascuno, perché in questo è
kantiano, allora il comando è della ragione (non c’è bisogno che ci sia qualcosa di
esterno che me lo comandi).
Al contrario in questo caso, tutto ciò che Gesù ha raccomandato ha dovuto anche
riferirlo ad un’autorità più grande di lui come comandato da questa e non dalla
ragione, divenne una facoltà solo ricettiva e non legislativa; il motivo d’adesione alla
dottrina di Gesù diventò non il contenuto della dottrina stessa (il suo valore morale)
ma l’autorità -> ha dovuto ergersi a Messia perché questo comando avesse un effetto.
Lo spirito del cristianesimo
Questa visione negativa del cristianesimo è sovvertita qui, si stacca da Kant perché
capisce che quello Kantiano è ancora un legalismo -> il passo successivo è che la
legge non è più esteriore come nel caso dell’ebraismo, ma è comunque qualcosa di
legale.
Al tempo stesso, la Grecia non è più vista come il mondo dell’armonia perfetta tra
l’individuo e la polis, quindi in cui la religione è la religione della polis ma come uno
stato ancora immaturo, un’unità che non si è ancora sviluppata.
Il superamento della scissione (necessaria introdotta dall’ebraismo) rispetto all’unità
della grecità, si ha solo col Cristianesimo e con l’AMORE.
Lo spirito d’amore toglie alle leggi al forma delle leggi, cioè la legalità; le toglie
come leggi ed è qualcosa più alto dell’ubbidienza.
L’amore ricompone la distinzione tra legalità e natura -> quando si fanno le cose
per amore quel comando cessa di essere un comando, è autenticamente vissuta e
fatta perché autenticamente sentito come buono (es. la mamma che accudisce i figli
lo fa per amore, non per dovere).
Ecco la I versione della dialettica -> un toglimento ma anche un superamento in cui il
contenuto resta (la moralità) ma è superata la forma della legge (l’amore supera la
natura e la legalità, mantiene l’armonia della Grecia ma la porta ad un livello
superiore).

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Lezione 2
Avevamo visto Hegel a Berna e nell’inizio della sua speculazione: gli scritti giovanili
in cui la risoluzione della scissione per cui c’è bisogno della filosofia era da suturarsi
attraverso la religione.
Nel 1801 si sposta a Jena grazie alla morte del padre perché muore nel 1799, Hegel
eredita e dunque può permettersi di non proseguire la carriera da precettore e
dedicarsi alla carriera accademica.
Nel frattempo Fichte aveva abbandonato la cattedra a Jena per via della disputa
sull’ateismo (Jacobi), Schelling la eredita e chiama Hegel a Jena —> ciò è importante
perché questi scritti che vanno dal 1801 al 1803 nascono sotto l’ombra della filosofia
di Schelling con cui Hegel collabora nella stesura del ‘Giornale critico della filosofia’
per un paio di anni.
C’è dunque un Hegel che sembra accogliere i risultati di Schelling.
Gli scritti di Jena anteriori alla Fenomenologia
La costituzione della Germania
Il sistema dell’eticità
Differenza tra il sistema fichtiano e il sistema shellinghiano (1801)
Fede e sapere

La Differenza tra il sistema fichtiano e il sistema Shellinghiano


Mentre prima dava alla religione il compito di suturare la scissione, qui dà alla
filosofia questo compito.
In questi scritti si confronta con Kant, con Fichte e con Schelling.

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Si confronta con Kant e Fichte ritenendo che entrambi rappresentino delle filosofie
della scissione, delle filosofie che rimangono all’interno della finitezza; cioè che
rimangono all’interno dell’opposizione tra finito e infinito.
Sono essenzialmente delle filosofie della riflessione.
Critica a Kant —> critica la distinzione di Kant tra intelletto e ragione, in particolare
modo la critica che Kant aveva mosso alla ragione come facoltà dell’incondizionato.
Per Kant l’intelletto era sicuramente una facoltà del finito ma anche che, proprio
perché restava nei limiti dell’esperienza possibile, formulava dei giudizi determinanti
cioè dotati di una validità scientifica.
La ragione invece pretendeva di applicare le categorie dell’intelletto a quegli oggetti,
quelle idee che non sono passibili di un’esperienza possibile e si scontrava con
antinomie e paralogismi.
Secondo Hegel la ragione non ha solo una funzione negativa, non cade
necessariamente nella dialettica -> il suo cadere in antinomie è un momento
strutturale per poi arrivare a superare questa frattura (tra pensiero\essere) e coglierne
l’unità.
La ragione per Hegel è in grado di superare le scissioni dell’intelletto tra cui quella
tra io\mondo e pensiero\essere.

Critica a Fichte —> per quanto superasse la scissione kantiana tra fenomeno e cosa
in se’, rimaneva impigliato all’interno della finitezza nella dialettica tra io e non-io in
cui il non-io era solo ‘ostacolo’ da superare continuamente tramite uno sforzo
(Streben).
L’io non veniva quindi a coincidere con quello del III principio, non si arrivava mai
ad una sintesi: il I poneva se’ in maniera incondizionata, assoluta; nel III doveva
coincidere con quell’incondizionatezza.
La sintesi assoluta a cui si giunge è il fatto che l’io DEBBA essere uguale all’io,
permane l’opposizione.
Secondo Hegel quindi permane la scissione tra essere\dover essere (che sulla scorta
di Schelling Hegel rifiuta) e si rimane in una filosofia della riflessione e della
finitezza.
Malgrado le buone intenzioni l’assoluto rimane sempre in tale opposizione.

Hegel rifiuta la supremazia dell’io, accogliendo l’idea dell’identità degli opposti —>
Schelling per Hegel ha fatto un passo in avanti, ha risolto l’opposizione io-non
io\spirito-natura\ideale-reale nell’identità degli opposti concepita come vita.
Ha colto nel segno a completare il programma di Fichte nel parlare di come il non-io
si faccia io; l’assoluto infierente di spirito e natura.
Già nella Differenza, Hegel che pur riconosce tanti meriti a Schelling lascia
intravedere un limite -> di aver sottolineato questa identità degli opposti come
completa indifferenza, un’indifferenza che nega ogni distinzione.
Critica a Schelling -> di non valorizzare all’interno dell’identità anche la
distinzione, cioè quell’assoluto che è identità degli opposti non può essere solo
‘identità dell’identità’ (A=A); occorre mantenere l’identità dell’identità e della

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NON-IDENTITA’ -> serve mantenere nell’identità la distinzione\separazione,


andando ad accentuare il farsi dell’assoluto\della vita.
Manca dunque all’assoluto di Schelling la ‘vita’, il movimento -> rimane statico,
vuoto perché non prende in questa identità l’elemento della scissione necessaria
(fatto della vita).
La scissione è un momento necessario, porre che l’assoluto si perda per poi potersi
ritrovare.
Si deve sottolineare l’aspetto logico immanente con cui l’assoluto si fa, un processo
che non può che passare attraverso la distinzione.

Nel 1802, in uno scritto Fede e sapere, precisa quale sia la sua concezione della
verità e quale sia quella del sapere.
Concezioni che tratteggia in confronto critico con:
- Illuminismo
- Romanticismo
Vedendo in Reinhold, Jacobi, Kant, Fichte coloro che portano alle estreme
conseguenze il discorso già iniziato con l’illuminismo.
Come conciliare e superare la filosofia romantica e quella illuminista?
Hegel in questo scritto dice che IL VERO E’ L’INTERO e la verità non è immediata
ma va verificata considerandone lo sviluppo complessivo.
Ecco perché si oppone a Reinhold e a Fichte -> la verità non si fonda su un
principio primo e incondizionato perché non possiamo partire già dall’assoluto,
perché se la dimostrazione muove da una premessa per arrivare ad una conclusione
noi dovremmo avere una conclusione più assoluta dell’assoluto stesso —> non si
fonda su un principio primo, la verità è dinamica e si fa in un processo.
Al tempo stesso, contro i Romantici, la verità non è nemmeno coglibile con
un’intuizione (quello che nella Fenomenologia definirà ‘un colpo di pistola’) ->
dietro questa critica c’è anche una critica a Schelling che aveva fatto dell’intuizione
estetica quell’intuizione intellettuale concreta che nell’opera d’arte mostrava la
presenza dell’infinito nel finito.
Ciò a Hegel non va bene, se così fosse la verità sarebbe qualcosa di esoterico o
mistico coglibile solo dal genio -> la verità invece deve dar conto di tutte le
componenti, non si coglie in un colpo ma si mostra nella totalità del suo sviluppo.
Deve essere un sapere essoterico, che può essere raggiungibile da chiunque voglia
affrontari la fatica del concetto.
Hegel indubbiamente sembra vicino agli illuministi da questo pt. di vista perché
erano lontani dall’idea di un sapere esoterico per pochi, anzi credevano fosse per tutti
-> unico punto di tangenza tra Hegel e illuministi. Hegel difatti citrica che la verità
non sia un tipo di conoscenza matematico e non stia nell’applicazione di un metodo
che rimane esteriore al suo oggetto.
Secondo Hegel è il contenuto che detta il metodo, la verità risiede nei contenuti e nei
processi per riuscire a raggiungerlo; è immanente, non è solo un metodo esterno.

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In Fede e sapere critica soprattutto il risultato dell’illuminismo che ha voluto


condurre una ‘battaglia della ragione’ contro la fede ma di fatto nei suoi esiti, la fede
non è stat vinta ma ha prevalso.
Quindi Kant, Fichte, Jacobi malgrado il loro atteggiamento di valorizzazione della
ragione sono finiti nel cadere nella ragione.
Lo fa Kant nella misura in cui in lui per cogliere l’assoluto non è coglibile con
l’intelletto della CRPura perché rimane solo negativo e finisce per doverlo postulare
nella CRPratica o nella religione limitata dalla ragione, una fede rivista secondo i
canoni della Pura.
Ma nella fede va a finire comunque anche Fichte, nella misura in cui quell’assoluto
che è compenetrazione di essere e vita è un non-sapere del sapere, è una cosa che può
essere semplicemente vissuto (dottrina della scienza come prassi vivente) ma non
saputo.
Jacobi invece è filosofo della fede.
Questi 3 esponenti dell’illuminismo rimangono in filosofie della soggettività che
rimane nella finitezza, dove l’eterno\assoluto ecc. è inconoscibile e quindi di non-
saputo.
Malgrado i tentativi si è rimasti in una fede ma deformata.

Qual è il progetto di Hegel? Di far sì che la ragione pervenga all’armonia tra ragione
e natura.
Occorre convertire quella Fede in ‘sapere’.
Per farlo, occorre pervenire ad un nuovo concetto di infinito che sia qualcosa di più
della mera negazione dei finiti nell’indifferenza ma che sia piuttosto la loro unità e la
loro conciliazione dialettica così come va a realizzarsi concretamente nella storia.
Il puro concetto o l'infinità come abisso del nulla, in cui ogni essere sprofonda, deve
significare l'infinito dolore. Il sentimento che Dio stesso è morto… solo come
momento, ma non più come un momento della più alta idea… E così reintegrare
nella filosofia l'idea dell'assoluta libertà, e conciò l'assoluta sofferenza o il
significato speculativo del venerdì Santo che altrimenti era solo un fatto storico. —>
si tratta di superare il concetto dell’infinità come abisso del nulla come semplice
momento, come momento di un’infinità più alta.

Con Fede e sapere arriviamo alle porte della FENOMENOLOGIA DELLO


SPIRITO (1807)
La prima vera grande opera di Hegel, un Hegel non più giovane, la Fenomenologia è
scritta quando ha ben 37 anni e viene terminata nel 1806 (la termina con il rombo dei
cannoni della battaglia di Jena, con Napoleone alle porte).
Nella Prefazione scrive che la filosofia non è sonnambulismo, ma la coscienza desta
—> si apre qui la polemica vera e propria con Schelling.
Per divenire sapere vero e proprio, o per produrre l'elemento della scienza, lo spirito
deve sottoporsi al travaglio di un lungo cammino .Questo divenire sarà comunque
altra cosa da quello entusiasmo che, come un colpo di pistola, incomincia
immediatamente dal sapere assoluto.

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Quindi il sapere assoluto non è coglibile come un colpo di pistola, cioè non si dà
immediatamente ma si conquista al termine del travaglio di un lungo cammino, a
partire da quella forma più povera del sapere (-> la sensazione); fino ad arrivare,
attraverso questo cammino travagliato e anche attraverso le varie forme e le figure
sempre più perfette della coscienza, allo spirito.
Non saranno figure della coscienza individuale, ma figure della coscienza
dell’umanità, così come si svolge attraverso la storia.
[figure o forme della coscienza in cui questa si incarna fino ad elevarsi alla ].
È il cammino della coscienza naturale…o il cammino dell’anima che percorre la
serie delle sue figure, quasi TAPPE, prescrittele dalla sua natura, per purificarsi e
diventare spirito, mentre, attraverso la compiuta esperienza di se’ stessa, arriva (la
coscienza) alla conoscenza di ciò che se’ stessa è in se’.

La Fenomenologia vuole essere un’introduzione al sistema -> nel progetto di Hegel


doveva essere l’introduzione, sceglie di intitolarla ‘Fenomenologia’.
Da dove viene il termine? Lo aveva trovato all’interno di un’opera di Lambert, nel
suo ‘Nuovo Organo’ in cui egli parlava della F. come della scienza del sapere
apparente, la scienza della parvenza.
È un termine presente anche in Fichte nel 1804 in cui definiva ‘fenomenologia’ quel
ritorno dell’egoità fino ad arrivare al sapere assoluto che era unità di pensiero e di
essere.
Anche in Kant che in una lettera a Lambert scriveva di voler comporre una
‘Fenomenologia generalis’ che fosse una propedeutica alla metafisica e che Kant
intendeva come una scienza negativa.
Nel riprendere questo termine, Hegel vuole mettere in luce sia che:
- Sia scienza del sapere apparente
- Si tratta di qualcosa che vuole avere un carattere negativo che la apparenta allo
scetticismo: come lo scetticismo serve contro ogni dogmatismo per confutarne le
pretese, le false verità; così la Fenomenologia, in quanto scienza del sapere
apparente, vuole smascherare tutte le forme del falso sapere per giungere al
vero sapere (finalità che Hegel si pone).

Ritiene dunque che non si possa partire dall’assoluto -> non è intuito; nemmeno da
un principio assoluto -> la conclusione dovrebbe essere più assoluta dello stesso
assoluto che si pone in premessa.
Non ha nemmeno senso far precedere al vero e proprio cammino della filosofia un
tribunale della ragione (come in Kant) perché l’immagine è quella celeberrima di chi
pretenda di imparare a nuotare senza entrare in acqua —> il cammino non può essere
preceduto da una critica ma è il cammino che si deve fare mostrando
progressivamente come la coscienza si liberi dalle forme soltanto apparenti di sapere,
volgendosi contro queste forme apparenti, per riuscire a pervenire al VERO
SAPERE.
Questa ‘Scienza del sapere apparente’, vuole anche essere una ‘Scienza
dell’esperienza della coscienza’ —> titolo che inizialmente aveva dato perché quella

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che sta descrivendo qui è anche la storia delle varie manifestazioni dello spirito,
dei vari modi con cui lo spirito si manifesta.
• È una storia che è un cammino di formazione -> nel momento in cui sorge la
scienza è un’apparenza, non è ancora estesa in tutta la sua verità.
• C’è un cammino di formazione della coscienza che si fa progressivamente
SPIRITO, è dunque un’esperienza da questo punto di vista —> del liberarsi di tutte
le forme di sapere immediato che si danno sempre e tendono a fossilizzarsi come
sapere assoluto e che poi si rivelano inadeguate.
Il modello della fenomenologia sono i Romanzi di formazione -> citiamo il W. Di
Goethe; l’esperienza della coscienza è formativa, un’esperienza che passa
attraverso il dubbio (per questo si apparenta allo scetticismo); c’è un travaglio del
negativo, è la via fatta di disperazione, fatta di crisi —> ogni volta che si è
convinti di essere giunti ad un sapere vero ci si rende conto che anche quello non è
l’ultima parola e che occorre andare oltre.
• La coscienza nel cammino si forma (perché esperienza) e si fa scienza.

Qui troviamo la Critica di Hegel a Schelling


Prende posizione contro l’assoluto di Schelling —> per Hegel l’assoluto non è un
‘primum’ ma è un risultato di un processo (il vero è l’intero) in cui la coscienza si
eleva gradualmente da tutte le forme inadeguate del sapere fenomenico apparente, per
giungere a quello assoluto tramite la fatica del concetto.
L’assoluto di Schelling, espresso con A=A, come assoluta indifferenza -> è come la
notte in cui tutte le vacche sono nere.
È un mero formalismo, è come se Schelling fosse un pittore che possiede nella sua
tavolozza solo 2 colori (le polarità che metteva sempre in campo): rosso e verde, uno
per le scene storiche e l’altro per i paesaggi; è come se con questi 2 e basta voglia
rappresentare tutta la realtà.

Un’altra immagine è sempre quella di una tabella fatta di barattoli -> questo assoluto
di Schelling rimane qualcosa di vuoto, di morto che secondo Hegel somiglia troppo
alla sostanza di Spinoza.
Hegel che pur ha simpatia per Spinoza, legge in Schelling una sorta di spinozismo
kantiano: simile alla ‘morta sostanza’ di Spinoza, dove egli ammetteva che i modi
(tutte le singole determinazioni) fossero nella sostanza (come sono per Schelling
nell’assoluto).
Tuttavia né Spinoza né Schelling, spiegano come dall’assoluto si producano questa
differenziazioni necessarie.
Spinoza -> aveva colto che ogni determinazione è una negazione, tuttavia non ha
fatto il passo successivo e non si è reso conto che non c’è solo una determinazione
come negazione, ma anche una ‘negazione della negazione’ (una negazione che si
nega) —> cioè ciò che hanno trascurato è lo SVILUPPO DIALETTICO.

L’assoluto è qualcosa di vivente, è PROCESSO, ATTIVITA’, AUTO-MOVIMENTO


[con i 3 momenti che vanno dall’in se’ al per se’ (vedi sotto)].

12

Per Hegel è successivamente natura e spirito -> è dinamico e non statico, che quindi
attraverso la dialettica è non sostanza ma SOGGETTO ma non la vuota soggettività
ma soggetto CHE SI FA —> quindi SPIRITO.
Il ritmo di questo auto-movimento con cui l’assoluto si fa spirito è dunque la
dialettica.
La vera novità della Fenomenologia rispetto a Schelling è la dialettica:
- Come modalità espositiva del vero (come intero)
- Come esposizione della realtà stessa, come pulsazione stessa del reale. È la
struttura della realtà e del pensiero che pensa la realtà.

La più celebre dell’esposizione della dialettica si ha nell’Enciclopedia delle scienze


filosofiche in compendio del 1817 —> ci indica i 3 momenti fondamentali del
procedimento dialettico.
‘Dialettica’ è un termine già incontrato:
• In Platone era il termine filosofico per eccellenza
• Nella tradizione neoplatonica, a cui Hegel si rifa: a Proclo. La tradizione che ne
aveva fatto anche qualcosa con significato ontologico -> all’Uno si dava la
proprietà del dividersi per poi ricongiungersi a se’ nella pienezza dell’Auto-
riflessione
Hegel riprende proprio questo aspetto ontologico della Dialettica.
L’assoluto si realizza in ciascuno dei 3 momenti e nel movimento di tutti questi -> in
tutti e in ciascuno.
1. Primo momento; Tesi: ASTRATTO-INTELLETTIVO —> Momento positivo.
È quello che coglie la differenza di un determinato aspetto, lo isola, lo fissa nella
sua peculiarità.
Coglie dunque il determinato, il finito, nella sua distinzione dal resto. Qui dunque
siamo davanti ad una determinazione finita e differenziata dal resto.

2. Secondo momento: Antitesi MOMENTO DIALETTICO O NEGATIVAMENTE


RAZIONALE —> Momento negativo.
Questo va a rivelare l’inconsistenza della determinatezza della tesi se isolata dal
tutto e confronta questa determinatezza a ciò che le si oppone, negando che
questa determinatezza sia tutta la realtà.
La determinazione isolata del I momento qui si nega, trapassa nel suo opposto
negandosi nella sua isolatezza.
[questo è il cuore della dialettica -> la negazione è necessaria allo spirito\assoluto; è
come se fluidificasse la passività].

3. Sintesi: MOMENTO SPECULATIVO O POSITIVAMENTE RAZIONALE —>


Momento positivo.
Concepisce l’unità delle determinazione, fa giungere ad una nuova forma di
comprensione del reale, superiore, che tiene conto dell’opposizione che si è
generata nell’antitesi, legando l’elemento positivo e quello negativo in un
rapporto di determinazione reciproca.
[negazione della negazione e unità superiore].
13

Tornando alla Fenomenologia, nella Prefazione dà un’altra immagine che chiarisce


come la dialettica funzioni con i suoi 3 momenti.
Esempio della Gemma, il fiore, il frutto —> presenta una trasformazione, un
passaggio da forme attraverso forme diverse: la gemma, il fiore e il frutte
rappresentano forme diverse dove ogni forma ‘scompare’ per lasciar posto ad una
nuova forma; la forma tende a prendere il posto della precedente e a ‘soppiantarla’.
Queste forme non sono solo differenti ma risultano anche incompatibili perché
concorrono il posto l’una dell’altro; nello stesso tempo non possiamo trovare una
gemma ed un fiore.
Tutto ciò e solo APPARENZA perché se il fiore nega la gemma, al tempo stesso la
conserva superandola perché il fiore è il fiore della stessa gemma; se il frutto
soppianta il fiore e sembra annientarlo, al tempo stesso lo conserva e lo supera perché
il frutto è il frutto di quel fiore.
Il fiore è il prodotto della trasformazione della gemma.
Quel rapporto che c’è tra gemma-fiore\fiore-frutto è sì di negazione ma al tempo
stesso di conservazione e di superamento —> ecco il concetto di AUFHENBUNG.
Difatti la loro natura fluida li rende momenti dell’unità organica; se ci mettiamo dal
pt. di vista della vita della pianta sono necessarie l’una quanto l’altra, c’è pari
necessità.
Bisogna elevarsi al di sopra dell’opinione che scorge nella diversità (dice che la
gemma è negata dal fiore e non vede come in realtà sono momenti legati tra loro di
un tutto) la contraddizione e non come sviluppo progressivo della verità.
C’è verità in ognuno di questi momenti —> il vero è nell’intero, è nel movimento
tra i 3 momenti (la verità è nel ciclo della pianta completo).

Così, procede lo spirito e la realtà con questo ritmo dialettico che si nutre e ha
bisogno della scissione, del negativo.
Il cuore della dialettica sta nell’IMMANE POTENZA DEL NEGATIVO —> il
travaglio del negativo è necessario allo spirito che deve perdersi per poi ritrovarsi.
La negazione è il vero motore della storia; impedisce alla negazione di fissarsi ->
incarna davvero il divenire, fa superare la stasi della determinatezza priva di vita per
indicare il processo stesso della vita.
Ciò si capisce quando ricordiamo che il ‘momento dialettico’ è proprio quello
negativo, in cui c’è la negazione della posizione iniziale ma anche la dialettica perché
la negazione si nega conducendo alla sintesi, ‘dando la spinta’.
Lo spirito conquista la verità solo trovando se’ stesso nell’assoluta negazione;
guarda in faccia il negativo e si sofferma su di esso —> tale forza volge il negativo
nell’essere.
Perciò..
L’assoluto non è sostanza ma è SPIRITO.
Lo spirito che si sa sviluppato come spirito non è altro che la scienza; l’assoluto è
soggetto o è spirito.
Questo spirito è auto-movimento e questo movimento di riflettersi in se’ e sapersi
come scienza è dialettico-triadico che si può definire:
14

• L’essere (lo spirito) è in se’ [universale astratto]


• L’essere si fa altro da se’
• L’essere ritorna a se’ -> diventa in se’ e per se’.
Questo auto-movimento dello spirito è un passaggio dal in se’ al per se’ per poi
arrivare all’in se’ e per se.
Questi 3 momenti indicano il passaggio da un’universalità astratta ad un
universale concreto —> l’universale concreto è un universale che si è incarnato nel
particolare.
I 3 momenti corrispondono:
• All’universale astratto —> è un’unità ancora chiusa in se’, può essere espresso
anche dal principio di identità A=A (l’uguaglianza tra se’ e se’).
• Al particolare (negazione dell’universale astratto) —> è la negazione di tale unità,
c’è scissione e differenza, pone in movimento ciò che nell’identità era statico.
Può essere descritto come la contraddizione (A=B).
• All’universale concreto (che ha incorporato il particolare) —> in se’ e per se’, la
negazione del per se’; il particolare è negato (negazione della negazione) e c’è la
riunione nell’intero: l’universale concreto. Descritto come A=AB.

In questo movimento dello spirito, c’è un PROGRESSO dall’astratto al concreto;


una concretizzazione che è al tempo stesso una MEDIAZIONE —> un passaggio
attraverso momenti successivi: dall’immediatezza astratta, all’universale concreto.
Il punto di vista da cui ci si pone nella Fenomenologia, nel cammino della ricerca
filosofica, è quello del ‘PER NOI’ -> il filosofo è colui che sta a vedere il movimento
messo in campo. Il ‘per noi’ non basta, occorre che lo spirito si conosca come tale e
dunque che percorra questo itinerario; la fenomenologia vuole presentare un divenire
del sapere che si fa assoluto e si conosce come tale.
Abbiamo visto come è dialettico lo stesso procedere dello spirito che dunque
anch’esso si fa.
Entriamo nelle diverse figure dell’Odissea fenomenologica dello spirito, nella Via del
dubbio, della disperazione [perché è una via negativa che si avvicina allo
scetticismo].
La serie delle FIGURE è la storia della formazione della coscienza (compie
un’esperienza) nel suo elevarsi a scienza.
Hegel nel primo momento aveva suddiviso in 8 figure o forme della conoscenza;
successivamente modifica questa organizzazione per figure e li raggruppa in momenti

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A. Coscienza
B. Auto-coscienza
C. Ragione
Presentano delle figure di una storia ideale, mentre nelle ultime sezioni (dallo
spirito) troviamo figure storiche reali (illuminismo ecc) —> la distinzione tra queste
2 classi di figure non è così netta perché anche prima ci sono figure reali.
Vuole dar conto dello sviluppo dialettico che hanno portato la cultura occidentale a
costituirsi come tale nella consapevolezza che lo spirito, in questa cultura, ha di se’.
Questi processi si sono difatti manifestati storicamente con ‘momenti esemplari’ che
chiama figure -> collegate dialetticamente a vari livelli.
Dunque: vuole spiegare quali dinamiche hanno portato alla forma di coscienza
intellettiva che è lo spirito .
[ecco il compito della filosofia: deve apprendere col pensiero il proprio tempo e
dunque questo cammino è proprio ciò; il cammino che la coscienza ha fatto -> poi è
anche saputo].
Si tratta dell’itinerario della coscienza che muove da coscienza sensibile\naturale
che costituisce il massimo grado di separazione (dato dalla certezza sensibile) di
io\mondo ecc. fino ad arrivare a farsi spirito.
Le tappe che vanno avanti indicano sempre una maggiore vicinanza tra
pensiero\essere e io\mondo —> si giunge all’autocoscienza in cui il soggetto si
ritrova nell’oggetto da cui ci si eleva poi alla ragione (unità di pensiero e essere,
ancora non saputa) fino allo spirito e infine al sapere assoluto (il sapere dell’unità tra
se’ e realtà che qui è saputa).
Quindi la coscienza arriva all’assoluto solo negando [deve per forza negare per
arrivarci] le forme inadeguate di pensare la verità.
La sola dimostrazione possibile dell’assoluto sta nella confutazione di tutto ciò che lo
nega.

Iniziamo seguendo l’organizzazione per momenti


A. LA COSCIENZA NATURALE
Si parte dalla più naturale delle convinzioni: che ciò che conosciamo parte dai nostri
sensi; che la verità del mondo sia sensibile.
I. Ecco perché la I figura è quella della certezza sensibile [tesi], che sembra
essere inoppugnabile; quella che sembra essere la conoscenza più vera si rivela
poi come la più povera.
Quella che pare essere la conoscenza più ricca si rivela come la più povera e la più
evanescente: la coscienza cerca qui la verità nell’oggetto, ovvero in altro da se’.
Ci appare come la conoscenza certa perché si basa su oggetti distribuiti in uno spazio
e in un tempo determinato, ‘questo oggetto qui ed ora’ (es. questo pezzo di carta).
Questa sempre essere una certezza, ma si nasconde un’insidia: in questo pezzo di
carta che esiste noi stiamo usando qualcosa che non è sensibile, il ‘qui’, ‘ora’, ‘il
pezzo’, ‘la carta’ —> abbiamo già l’idea di un pezzo in generale, di una carta.
16

Anche in quello che riteniamo il più sensibile dei nostri saperi stiamo usando
qualcosa che nel sensibile non è (qualcosa di generale) -> la certezza sensibile
finisce per smentire se’ stessa affermando qualcosa che è universale, delle categorie
che sono universali.
La coscienza rimanda al suo universale…
Questo universale sensibile è l’oggetto della seconda figura:

II. La percezione. [antitesi]


Non c’è più il sentito ma il sostrato di qualità (quello dell’empirismo inglese)
Vuole cogliere la cosa nell’insieme delle qualità che la costituiscono.
La coscienza è stata rimandata al suo universale e ha scoperto l’esistenza di una
dialettica uno-molti: l’oggetto è visto aristotelicamente come diviso in una sostanza
(essenza) e un accidente (le singole caratteristiche).
Dirò che il sale è bianco (ha diverse qualità) che però sta nel sale.
Ma come è possibile che il sale sia uno ma tenga in se’ la molteplicità delle sue
proprietà? Problema della percezioni: l’oggetto appare contraddittorio -> c’è il
problema del tenere in se’ l’unità della cosa e la molteplicità delle sue proprietà.
Come si risolve questa contraddizione?

III. Intelletto [sintesi]


La percezione rientra in se’, come si risolve la contraddizione?
Estendendola a tutta la realtà che è quindi costituita da 2 livelli; dualisticamente e
kantianamente intesa:
- Fenomeni; oggetto come fenomeno costituito dalla materia ma anche da leggi del
soggetto.
- Noumeni
Tenuti insieme dalle leggi stabilite dall’intelletto (io penso) —> scopro quindi che la
legge della natura è data dall’io -> la verità dunque è in realtà nel soggetto.
L’intelletto dunque mostra come l’oggetto non sia più come qualcosa di esterno al
soggetto ma si veda come dipendente da quelle leggi del soggetto.
Ancora non c’è la fine perché rimane un esterno; quello che in Kant era il noumeno,
la cosa in se’ indipendente dal soggetto.

17

Lezione 3
Nella coscienza naturale c’era una prevalenza dell’oggetto e non del soggetto, che è
visto solo in relazione all’oggetto.
Nell’ultima figura la coscienza si rende conto che la costituzione dell’oggetto in
quanto fenomeno implica la sua attività, il suo configurare l’oggetto secondo leggi
proprie —> la coscienza guarda in se’ stessa e si vede come auto-coscienza.
La coscienza dunque si fa auto-coscienza, il sapere si risolve nel sapersi.

B. L’AUTO-COSCIENZA
La formula dell’auto-coscienza è data per Hegel dalla formula d’identità IO=IO,
come aveva declinato Fichte -> a questo livello si capisce che nessun oggetto può
esser mio se non è posto in un io.
Tuttavia questa identità è ancora astratta, per Hegel difatti ogni identità per essere
tale deve conservare in se’ la diversità; è dunque un’identità solo formale.
Quindi questo ‘io’ di Fichte e dell’appercezione di Kant vanno superati perché nella
concezione di Fichte quell’identità di io e non io non era attuata ma era
semplicemente la ‘meta’ di un compito infinito (non c’era sintesi).
Per quanto nell’auto-coscienza si sia entrati nel regno della verità, il cammino dello
spirito è ancora lungo.
Con l’auto-coscienza si è però capito che quel mondo da cui dipendeva il soggetto
nella coscienza naturale, dipende invece dal soggetto stesso —> come il mondo
dipende dal soggetto, però, anche il soggetto dipende dal mondo: senza coscienza
del mondo, non si dà auto-coscienza.
Non dobbiamo dimenticare che l’auto-coscienza conserva in se’ sia la coscienza
(soggetto) sia il mondo (oggetto) —> questo perché la verità sta nell’incessante
relazione che c’è tra soggetto e oggetto.

I. Prima figura: l’auto-coscienza si sa come vita; il livello più emblematico di ciò è


l’appetito o concupiscenza —> appetizione; una sorta di conatus vitale che è
un desiderio di dominio e di possesso degli oggetti della natura.
Qui l’io è mosso da bisogni, è dinamico e inteso come egoistico e contrassegnato
come appetito e desiderio di..
Esclude da se’ ogni cosa al di fuori dell’io, per poi accorgersi che ci sono altri io
egoistici e suscitare una lotta.
C’è un soggetto che è prigioniero dei propri istinti, dei propri interessi finiti e che
non lascia sussistere l’oggetto nella sua alterità —> cerca nelle cose sul
soddisfacimento dei suoi istinti.
In questa I forma l’auto-coscienza non è ancora in se’ e per se’, non realizza la sua
natura —> l’auto-coscienza può realizzare la sua natura solo in una relazione di
mutuo riconoscimento con un’altra auto-coscienza.
Qui si inserisce la tematica dell’INTERSOGGETTIVITA’ -> come possiamo essere
coscienti di noi stessi senza un altro soggetto?
Finché non faccio esperienza di un altro soggetto non ho l’esperienza di me come
coscienza. In questo segue Fichte che aveva detto lo stesso, che l’uomo diventa se’
stesso solo tra uomini.
18

È in se’ e per se’ solo in quanto riconosciuta.


Ecco che si inserisce qui la DIALETTICA SERVO-PADRONE
L’appetito, il conatus che spinge a dominare gli oggetti della natura e anche l’altro,
finisce per generare una lotta per il riconoscimento tra auto-coscienze, una lotta tra
individui per soddisfare i propri desideri [la guerra di tutti contro tutti di Hobbes].
Per Hegel questo momento non coincide però con la vera nascita dello stato, ma lo
definisce comunque come il ‘cominciamento esterno e fenomenico degli stati’.

Tale lotta non conduce all’asservimento ma ad una sottomissione di una auto-


coscienza all’altra:
• Una diventa padrone; quella che si eleva da questo istinto conativo
• Una diventa servo; rinuncia ancor prima del conflitto perché se perdi muori e si
asservisce, rinunciando all’affermazione di se’.
C’è quindi un servo e un padrone come nella Società greco-romana che è espressione
storica di questa relazione.
È una relazione che è però ambivalente —> il servo difatti è colui che trasforma le
cose con la propria attività perché servano al godimento egoistico del padrone —> la
relazione è destinata ad un ROVESCIAMENTO perché attraverso il proprio lavoro,
in cui riconosce le proprie capacità, il servo si rende conto di essere necessario al
padrone e acquista coscienza di se’ e si riappropria di se’ —> dunque il padrone
finisce per dipendere dal lavoro del servo, diventa servo del suo servo e il servo
diventa padrone del padrone —> prende così coscienza della sua libertà [è libero
spiritualmente].

Attraverso la dialettica servo-signore, l’auto-coscienza conquista la propria libertà e


le figure successive che Hegel presenta corrispondono a diversi livelli di
realizzazione di tale libertà:
1. Stoicismo
Raffigura la libertà che il servo ha conquistato sul padrone col lavoro, una libertà
soltanto interiore perché il servo non è diventato padrone, cioè lo è solo
spiritualmente.
Qui si vede bene l’incarnazione dello stoico: per lo stoico non conta tanto la
condizione materiale in cui vive ma il pensiero e la libertà sta nel pensiero.
Esempio Marco Aurelio e Epitteto che sono altrettanto liberi in tal libertà del
pensiero.
Chiaramente questa è una libertà astratta, è solo pensiero della libertà.

2. Scetticismo
La negazione. È la realizzazione dello stoicismo e l’esperienza effettiva di cosa sia la
libertà del pensiero, che ha in se’ il negativo.
È dunque l’antitesi perché non si ritrae dalle cose ma le affronta: qui l’auto-coscienza
fa esperienza della propria libertà di pensiero, ovvero la libertà che lo scettico si
prende di dubitare del mondo materiale.

19

Tuttavia anche ciò non è un assoluto, si contraddice; nello scetticismo c’è


un’inquietudine dialettica che conduce lo scettico a contraddizioni che lo fanno
restare chiudo nella sua interiorità.
C'è una dialettica tra stabilità e mutevolezza: come la supera? Negando il mondo,
tuttavia così mette in discussione anche la filosofia -> contraddizione [risolvibile
estendendola da un piano mondano a uno metafisico tra finitezza dell’uomo e
infinitezza di Dio].
La coscienza scettica, da tale contraddizione che è interna (prima era esterna), diviene
coscienza infelice

3. Coscienza infelice
Perché è lacerata, scissa, si pone come un nulla dinnanzi ad un Dio onnipotente.
Questa ultima figura coincide con la tappa del medioevo cristiano che vede il suo
prototipo nell’asceta, colui che vive di rinuncia: l’uomo del medioevo è lacerato dal
distacco tra se’ e un Dio che vede come trascendente perché lontano dalla coscienza.
C’è dunque distanza tra uomo e Dio, tra finito e infinito —> nello sforzo che la
coscienza compie per raggiungere Dio, che lì si rende conto che l’assoluto che
cercava fuori di se’ è in realtà già dentro di se’.

C. RAGIONE
Ecco che l’auto-coscienza si eleva a ragione; nell’auto-coscienza aveva comunque
oggetto il mondo e c’era dunque una separatezza e con l’altro aveva un rapporto
ostile.
Ma con la ragione l’auto-coscienza diviene consapevole di essere tutta la realtà, ciò
che prima appariva come esterno ora è un momento interno —> la coscienza, con la
ragione, porta dentro di se’ il mondo e Dio e non li sente più come estranei.
La ragione è sintesi di coscienza e autocoscienza.
È la certezza che la coscienza ha di essere ogni realtà; ecco che si guadagna il pt. di
vista Idealistico: quello della ragione che sa di essere ogni realtà.
Storicamente coincide con il passaggio dal mondo medievale a quello del
rinascimento e poi con il momento della nuova scienza moderna —> il mondo che
prima appariva come ostile alla coscienza, una volta capito che è la coscienza stessa,
diventa il campo in cui la ragione va a cercare anzitutto se’ stessa.
Si divide in:
• RAGIONE OSSERVATIVA; è la ragione sperimentale dell’epoca moderna che
tramite sperimentazioni prende possesso di quell’oggetto che già sa esser suo.
Conosce le cose, traduce il loro essere sensibile in ‘concetto’: le cose hanno verità in
quanto concetto.
La coscienza al termine della RO vede nelle cose nient’altro che se’ stessa (la cosa è
l’io).
La scienza però delude, non soddisfa; occorre la ragione che non vuole solo trovarsi
nella natura ma produrre se’ stessa -> si volge all’azione per operare sulla realtà.

• RAGIONE ATTIVA

20

Tale azione la fa la ragione attiva attraverso l’azione individuale, come si esplica nel
mondo storico\sociale; un mondo non più visto come natura ma come il mondo degli
altri uomini.
Questa ragion pratica è sempre individuale e troviamo qui varie figure tratte dalla
letteratura e che sono tutte forme di individualismo.
1. Piacere e necessità; momento FAUSTIANO consiste nel godimento immediato,
forma di edonismo che ha il suo prototipo nel Faust di Goethe.
La delusione della scienza conduce all’immersione nella ricerca del piacere;
l’edonismo disprezza intelletto e scienza.
Chi di gode la vita come immediata e difatti il prototipo è dato da Faust che al
prezzo della sua beatitudine sceglie di tuffarsi nel mondano per comprarne il
potere di soddisfare le proprie passioni.
Questo piacere però ha anche il significato negativo di essersi esaurito; quindi ci
si trova nella necessità di continuare a riprodurlo e questo finisce per diventare
un destino tragico; l’individuo nella ricerca del piacere continuo trova solo
annullamento di se’.
2. Legge del cuore; momento ROUSSOIANO. La coscienza si vuole realizzare
sulla base di una legge; si eleva dunque al di sopra della propria singolarità e
nel suo appetire (perché ancora desidera) include l’idea di una legge —> la legge
del cuore.
Sostituisce al proprio piacere il benessere dell’umanità; mira a universalizzare il
piacere che nell’edonista era solo del singolo. Il soggettivo diviene il metro di ciò
che è giusto e razionale per tutti; questo individuo crede di incarnare in se’
l’universale. Tuttavia anche tale legge porta ad un’inversione perché come si fa a
realizzarla?
L’inghippo sta nella pretesa di elevare la propria legge interiore a unico motivo
valido; ci si rende conto che questa legge in realtà si oppone a quella degli altri
cuori e dunque il desiderio del bene dell’umanità diviene folle presunzione: in
realtà disprezza gli altri.
3. La virtù; momento KANTIANO. Il cavaliere della virtù è qualcuno che è
alimentato da quello zelo che vuole riformare il mondo conducendolo alla virtù e
allontanandolo dal vizio. A differenza della legge del cuore, qui il cavaliere
SACRIFICA la propria individualità per l’universalità che però non viene
ancora raggiunta —> ancora c’è individualismo perché si crede che l’universale
può realizzarsi nel mondo solo attraverso la propria virtù.
Il cavaliere si trasforma solo in qualcuno che discorre e propone parole vuote; la
virtù che oppone è ancora una forma di individualismo, indica ancora un dovere
compiuto dal singolo.

Distinzione che ricalca la R. Teoretica e R. Pratica.


Nel cavaliere della virtù mostra tutta la sua attitudine realista: è un’utopia tale ideale;
finché la Pratica vuole opporsi al mondo FALLISCE —> sia che cerchi il piacere, sia
che voglia imporre la legge del cuore, sia che voglia imporre la virtù.
Nella lotta cavaliere-mondo vince sempre il corso del mondo MA almeno fa
superare l’idea che il bene sia solo un ideale da raggiungere.
21

Così grazie alla vittoria del corso del mondo, la virtù viene tolta nella sua unilateralità
per come si opponeva ma si supera anche l’unilateralità del corso del mondo —>
riconoscendo che l’individualità non si oppone all’universale ma opera per
l’universale: quando ci si accorge che l’agire individuale non è scisso dal mondo ma
opera concretamente intrecciandosi all’agire degli altri, quando cioè l’individuo non
si pensa più come tale ma si riconosce nel contesto di un POPOLO —> si passa
dall’io al noi (dalla moralità all’eticità -> passaggio che segna anche il muoversi dalla
ragione allo spirito).
Quando l’auto-coscienza non si realizza più come ragione individuale in azioni
singole, ma si realizza come ragione universale (nei costumi, istituzioni ecc.) allora
la ragione si fa SPIRITO.
Lo spirito diviene dunque uno spazio sociale in cui noi facciamo esperienza di noi
stessi e del mondo.

quindi, se la filosofia dello spirito soggettivo guardava come si realizzava nella


coscienza individuale (come abbiamo visto); la filosofia dello SPIRITO
OGGETTIVO, analizza lo spirito che realizza la sua libertà nel mondo concreto
della ‘civiltà’.
Triade principale:
• Diritto formale e astratto
• Moralità
• Eticità
- Famiglia
- Società civile
- Stato

I. Diritto astratto
Vediamola nel dettaglio, distinguendo tra diritto e moralità Hegel prende atto della
distinzione che Kant e Fichte avevano posto —> ritenevano che si dovesse tendere a
ricongiungere ma ponendo entrambi sempre nel dovere\dover essere.
Per Hegel la separazione deve essere superata andando al di là del pt. di vista
meramente individualistico della Ragion Pratica.
Il diritto astratto muove dal concetto di persona intesa come ‘portatrice di diritti’ tra
cui quello alla proprietà.
C’è diritto civile e penale.
Il diritto è la sfera della legge che si impone a tutti con una forza coercitiva; è
l’universale astratto e regola i rapporti esteriori tra le persone.
Attraverso il diritto dunque occorre che seguiamo le leggi esterne.
Qui parla del contratto —> accordo tra persone private quanto ad es. alla proprietà;
proprio perché il contratto sta qui è chiaro che per Hegel lo stato non può mai nascere
da un contratto, come sommatoria di individui che si accordano con un contratto
[diff. giusnaturalisti].
Adesione esteriore (legalità): dialettica colpa-pena e valore:
- vendicativo\punitivo
- educativo\formativo
22

La persona astratta nel diritto diventa…

II. Moralità
Particolare; antitesi
Che tiene conto dell’interiorità dell’individuo, che non è più persona giuridica bensì
soggetto morale responsabile delle proprie azioni.
Nel diritto uno rispetta la legge per timore, qui si rispetta per un obbligo interiore
(moralità kantiana).
Anche questa è limitata, è un pt. di vista meramente individuale; è l’emblema
dell’individualismo.
Se il diritto era insufficiente per la sua esteriorità, questa è insufficiente perché resta
nell’interiorità.
Propone dunque la distinzione moralità\eticità, di natura concettuale:
- moralità riprende il mos dei latini
- Eticità rimanda all’idea dell’ethos greco
Conia dunque:

III: Eticità
La sintesi dell’universale astratto del diritto e del particolare individuo dell’eticità
—> si riguadagna IL SINGOLO INSERITO IN UNA COMUNITA’.
Si recupera la concezione di Stato aristotelica dove il tutto precede le parti
(all’individualismo del giusn. contrappone ciò); il POPOLO PRECEDE IL
SINGOLO.
L’individuo è visto come inserito in un tessuto sociale e istituzionale: nella
concretezza della famiglia, della società civile, dello stato —> concrete dimensioni.
Il guadagno dell’eticità moderna è che nell’etica greca c’era un’unità non ancora
sviluppata; qui c’è la scoperta del soggetto: c’è da un lato il riconoscimento dei diritti
del soggetto, integrato in uno stato che trascende la soggettività.
Non ci sono più né astratte persone giuridiche né coscienze morali ma con membri di
un organismo (i 3 diversi).
Vediamo i 3 organismi:
• Famiglia —> legame uomo-donna tramite una pulsione naturale e poi c’è
un’unione nel matrimonio. Ideale della famiglia borghese moderna (non più
patriarcale).
La famiglia è insufficiente perché: è casuale, è transitoria, non è autosufficiente ->
c’è bisogno di altre famiglie e dunque ci si unisce in una..
• Società civile —> E lo spazio intermedio tra l'individuo e lo Stato: ci sono
relazioni economiche e giuridiche ma è comunque una dimensione pre statale, la
società funziona per conto suo all'inizio.le famiglie si mettono in relazione e si
hanno degli scambi reciproci fino a formare una comunità più vasta:
- troviamo il sistema dei bisogni: si riprende il liberismo di Adam Smith
- L'amministrazione della giustizia, qui non c’è più un diritto astratto ma un
momento concreto in cui si attuano le norme
- C'è la polizia e la corporazione che alla tutela della giustizia.
23

Tuttavia anche la società civile non è ancora stato, c’è un borghese ma non un
cittadino.
La società civile è un po’ l’antitesi della famiglia, una scissione rispetto all’unità
originale che è la famiglia. Nella società civile ci sono SOGGETTI ECONOMICI
che perseguono interessi egoistici: ci sono infatti conflitti e disuguaglianze.
• Stato —> qui c’è un superamento, si afferma di nuovo l’unità della famiglia nella
società civile.
Si recupera l’unità ad un livello più alto: STATO COME GRANDE FAMIGLIA in
cui domina la fiducia.
L’amore presente nel nucleo familiare si fa ‘amor di patria’.
Lo stato è la TOTALITA’ ETICA in cui la volontà soggettiva e la volontà universale
coincidono.
Il fine dello stato è la propria conservazione e i cittadini vivono nello stato e nello
stato tengono la propria universalità -> nello Stato l’individuo si eleva e entra nella
storia.

Superiori allo stato ci sono le manifestazioni dello SPIRITO ASSOLUTO


• Arte
• Religione
• Filosofia
Vengono dopo lo stato; questi nascono solo dopo che la vita di un popolo si è
strutturata -> senza lo stato non si danno.
Pt. di arrivo del sistema di Hegel, lo spirito torna a se’ e si coglie nella sua
assolutezza.
Ognuna delle 3 comprende l’assoluto in modo diverso, è diverso il modo in cui lo
spirito comprende se’ stesso
Arte: con l’intuizione, maniera sensibile
Religione: con la rappresentazione
Filosofia: con il pensiero consapevole di se’.

I. Arte
Non è come in Schelling l’organo principale dell’assoluto; per Hegel è ancora
inadeguata.
È manifestazione dell’assoluto ma non quella per eccellenza; fa apparire ai sensi la
verità ma è solo un’APPARENZA SENSIBILE —> l’opera d’arte è sempre anche
materiale, non esprime la consapevolezza dello spirito in maniera assoluto.
L’assoluto non si può fondare nell’arte, ha questo limite della sensibilità ma
l’assoluto non è sensibile, è destinata alla morte -> il suo significato va ricollocato.
L’arte invita alla meditazione.
Inoltre deve essere autonoma e non avere alcuna utilità
- Arte simbolica; architettura
- Arte classica; scultura
- Arte romantica; poesia e musica

II. Religione
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Subentra l’interiorità della religione, l’assoluto è ora nell’interiorità.


È rappresentativa e dunque parziale; vuole cogliere il divino ma lo fa per immagini e
narrazioni.
Corre l’assoluto in maniera inadeguata:
- Religioni orientali; divino adorato secondo oggetti
- Religione ebraica, greca e romana; politeismo
- Cristianesimo; religione più perfetta in quanto riflette la struttura triadica e i suoi
dogmi coincidono con la filosofia.

III. Filoso a
Sintesi di arte e religione; coglie pienamente l’assoluto perché nella filosofia c’è
corrispondenza tra forma e contenuto.
Alla forma razionale della filosofia corrisponde il contenuto razionale della realtà; la
filosofia ESPRIME L’ASSOLUTO ATTRAVERSO IL CONCETTO.
L’assoluto rientra in se’ ed ha consapevolezza di se’ —> tale consapevolezza è anche
consapevolezza della storia della filosofia (filosofia=storia della filosofia, coincide
con il suo processo); la storia della filosofia è un processo dialettico in cui le varie
concezioni dei filosofi sono FIGURE che si succedono come TAPPE dello Spirito.
Vanni Rovighi: dice che uno degli aspetti più fecondi del pensiero di Hegel sta nella
convinzione che nessun filosofo sta chiuso nella sua stanza, ma ha dietro di se’ una
tradizione filosofica che merita di essere conosciuta prima di essere criticata.
Lineamenti della filosofia del diritto
Filosofia come ‘Nottola di minerva che arriva sul far della sera’ —> la filosofia non
produce cambiamenti della realtà ma arriva quando ci sono, non trasforma ma
piuttosto concettualizza. Arriva quando c'è una civiltà e descrive ciò che l'assoluto ha
già fatto: visione crepuscolare della filosofia. Coglie il reale e necessario(ciò che ha
aumentato il tasso di libertà) e non l’esistente.

MORTE HEGEL —> DESTRA E SINISTRA HEGELIANA


Diversa concezione di superamento.

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