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Capezzone, L’Islam sciita. Storia di una minoranza.

Introduzione.
Lo sciismo ha investito non solo il campo religioso ma anche quello culturale, politico, filosofico
e della mistica.
Lo sciismo si è sempre posto il problema dell’ interpretazione del Corano, anticipando in parte
teorie più moderne avanzate d autori come Averroè e Maimonide.
La maggioranza nell’Islam è il sunnismo, mentre lo sciismo è una corrente religiosa minoritaria
sviluppatasi nel VII secolo, più precisamente dopo la morte del profeta avvenuta nel 632 d.C.
A partire da questa data vi sono i califfi che hanno guidato la comunità musulmana. I califfati
principali sono:
1. Omayyade, dalla morte del Profeta fino al 750.
2. Abbaside dal 750 al 1258, con la presa di Baghdad da parte dei Mongoli.
Nel 622: Muhammad si sposta da Mecca a Medina (hijra). Esso corrisponde all’anno 1.
Nel 632: Muhammad muore a Medina. Contestualmente, la comunità nascente musulmana deve
affrontare un problema pratico per la sopravvivenza, ovvero trovare un capo che guidi la
comunità musulmana. Muhammad non lascia indicazioni né il Corano propone soluzioni. Si
vengono a creare due ordini di problemi, distinti e complementari: la scelta del capo e i criteri di
tale scelta + definire il soggetto politico a cui affidare tale scelta.
Le fonti principali da cui traiamo queste informazioni sono due testi di eresiografia:
1. Al-maqalat wa-al-firaq (Le dottrine e le divisioni) di al-qummi sa’ad (m. 911)
2. Firaq al-shi’a (Le divisioni dello sciismo) di al-Nawbakhti Hasan (m. 922)

Lo sciismo trae il suo nome dalla shi’at cioè il partito di Ali Ibn Abu Talib.
Esistono vari tipi di sciismo:
• Sciiti imamiti o duodecimani.
• Sciiti zayditi
• Sciiti isma’iliti
Lo zaydismo è la dottrina elaborata da Zayd, figlio del quarto imam e fratellastro del quinto.
Zayd proclamava che l’imamato spettava a chi, tra I discendenti di Fatima, se ne sarebbe
impadronito con le armi. Dal XVI secolo, le comunità zaydite sono state assorbite dallo sciismo
duodecimano, tranne in Yemen dove durò fino al 1962.
Gli ismailiti ritengono sia necessario interpretare il corano al fine di esplicitare il significato
profondo e autentico della rivelazione. L’unità degli ismailiti fu spezzata nell’899 quando Abd
Allah rivendicò per sè l’imamato. Molti si rifiutarono di riconoscerlo e questi presero il nome di
qarmati , una nuova setta. Questi, però, trafugarono la pietra nera della Ka’ba e quei pochi
superstiti dal massacro, furono costretti a convertirsi allo sciismo duodecimano. In Siria oggi c’è
una grande comunità ismailita.
Lo sciismo duodecimano è quello con cui si designa comunemente lo sciismo e viene detto in
arabo ithnà ‘ashariyya o imamiyya. Si tratta del secondo ramo dell’Islam per numero di adepti.
Esso riconosce 12 imam e questo 12esimo imam intorno all’874 decide di occultarsi e di sparire
dalla vista degli uomini (ghayba = occultamento). Nel X secolo, dalla scomparsa di questo
imam, lo sciismo diventa duodecimano.

Lo sciismo nasce come partito di opposizione, cosa che poi ridiventerà in Libano, ad esempio.
Lo sciismo è una minoranza eretica, una corrente religiosa, ideologica e politico-filosofica.
Esso è parte integrante dell’islam stesso, e nasce contestualmente all’islam, nel VII secolo.
Lo sciismo vede, nella Sura 24, verso 35 = versetto della Luce, così come la sura è quella della
luce, quella scintilla che alberga nell’imam, la guida della comunità sciita ed imamita in
particolare. Questa luce è testimonianza della conoscenza della verità.
A questi si potrebbero aggiungere i Ghulàt, lett. Coloro che esagerano. Questo appellativo deriva
dal fatto che divinizzano Alì, tramite la teoria dell’incarnazione divina. Quindi venerano una
trinità formata da Dio, Muhammad e Alì. Per questo motivo, la maggior parte dei musulmani li
ritengono eretici, dal momento che ignorano I fondamenti stessi dell’Islam e sopratutto il primo
precetto: l’unicità divina.

L’islam è da intendersi come terzo monoteismo riconosce tutti i profeti biblici a cui aggiunge
anche altri profeti: Muhammad è il sigillo dei profeti, ovvero l’ultimo profeta mandato da Dio
che conclude le rivelazioni.

L’Imam è una figura importante. Il termine deriva da una radice che vuol dire “davanti” , dunque
colui che sta davanti, che guida. Egli è anche il caposcuola, fondatore delle scuole giuridiche.
L’imam inoltre designa formalmente il suo successore mediante un testamento.

Cap. I: Lo sciismo fra ortodossia ed eterodossia, opposizione e ipotesi di potere.


A par re dal X secolo, lo sciismo ha elaborato il proprio edi cio do rinale, segnato a sua volta,
da ulteriori oscillazioni.
Lo sciismo imamita dichiara un’ortodossia ad opera di intelle uali e di teologi spesso vicini ai
luoghi di potere, in un’epoca in cui l’ul mo imam è creduto non morto ma occultato.
Quando parliamo di sciismo facciamo riferimento a due termini ad esso connessi:
▪ Ikhtilāf= divergenza
▪ Iftirāq = divisione
In contrapposizione ai termini umma e jama’ che significano “comunità”. Il termine firqa viene
tradotto anche come “setta” che non è da intendersi negativamente. Quindi divergenza e
divisione NON sono visti negativamente.
L’uso del termine eterodossia, per indicare una pluralità di tendenze interne allo sciismo,
sopra u o nella sua età forma va (VII-XI secolo), può dunque essere gius cato perché rende
l’idea di una tensione fortemente sen ta, capace di dare il mbro a una duplice disposizione
espressa da un lato dagli imam discenden da ‘Alì e Fa ma, glia del Profeta, dall’altro dai
gruppi e dalle manifestazioni di dissenso (spesso sfociate in rivolte), che hanno partecipato alla
costruzione della storia dello sciismo.
Fortemente poli cizzato nella sua dimensione originaria, ar colato all’inizio nella forma di un
par to (questo è appunto il signi cato primo del termine shì‘a nelle fon storiogra che più
an che) raccolto intorno al diri o di ‘Alì di accedere alla carica cali ale dopo la morte del
Profeta, lo sciismo opta, presumibilmente intorno alla metà dell’VIII secolo, con gli imam
Muhammad al-Bàqir (m. 732 o 735) e suo glio Ja‘far al-Sàdiq (m. 765), per il quie smo e la
rinuncia a ogni ambizione poli ca. Tale rinuncia, pienamente enfa zzata (ma non condivisa
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dall’intero panorama sciita), riesce a trasformare un’evidente disfa a sul piano poli co in
nobiltà della scon a.
Tu avia, questa stessa tendenza ad assumere un pro lo do rinario elitario dimostra la volontà
sciita, n dall’VIII secolo, di essere minoranza e di fare della propria diversità di pensiero
religioso l’elemento dis n vo. Questo si ri e e, a un livello più super ciale, anche nelle
autode nizioni: lo sciismo è khàssa (élite, appunto), mentre i sunni sono ‘àmma (la massa); di
fronte al sunnita, che è muslim (genericamente musulmano), lo sciita è mù’min (credente, ma
con una sfumatura di maggior ra natezza quanto a qualità della sua fede).
Lo sciismo è n dalle origini un fenomeno trasversale, che fa del dissenso e dell’opposizione
all’ingius zia un elemento assolutamente risonante nel corso dei secoli.
Mol esponen dell’élite sciita urbana sono entra nei meccanismi di potere, spesso ai livelli più
al dell’amministrazione cali ale.
Più o meno contemporaneamente, forme alterna ve di sciismo, come ad esempio lo zaydismo o
l’ismailismo, hanno addiri ura preso il potere, sfru ando par colari congiunture storiche.

Cap. II: ‘Alì, primo imam dello sciismo.


Alla morte del Profeta Muhammad, avvenuta nel 632, l’islam sperimenta immediamente una
divisione in scismi e frammentazioni, ri esso di tensioni sociali e di corren poli che che
emergono con vigore nel periodo in cui è in gioco la formazione e l’a ermazione di un criterio di
successione alla guida della comunità islamica.
I due maggiori schieramen erano quelli dei muhàjirùn, di coloro cioè che avevano condiviso la
hijra di Muhammad, allorché ques nel 622 aveva abbandonato Mecca per trovare riparo a
Yathrib (riba ezzata poi Medina). Costoro erano i più an chi musulmani. Accanto a ques , vi
erano gli ansàr, o Ausiliari, sedentari di Yathrib che accolsero il Profeta e si conver rono. A
queste due voci della più an ca nobiltà religiosa dell’islam si a ancarono in seguito, a raverso
la conversione, le altre tribù, sedentarie o nomadi, della penisola (fra cui cris ani ed ebrei).
Le conquiste territoriali intraprese dopo la morte del Profeta, grazie alle quali entrarono
nell’orbita islamica dapprima la Mesopotamia e la Siria, e in seguito l’Iran e l’Egi o, favorirono
l’emersione di altre due nuove componen sociali di grande peso: innanzitu o i militari, che
parteciparono alle spedizioni belliche e che decisero di stabilirsi nelle regioni so omesse (in
modo par colare in Iraq e nell’Iran orientale); poi le popolazioni conquistate, fra le quali la
conversione all’islam agì da fa ore decisivo di integrazione.
Il consiglio dei saggi (shura) con cui la comunità islamica dei primi decenni scelse di eleggere il
vicario (khalìfa) del Profeta, secondo una procedura tribale arcaica, se ne fregò delle
rivendicazioni di ‘Alì e dei suoi sostenitori. La shì‘a, il par to che nel tempo prese corpo intorno
al genero e cugino del Profeta, riconosceva l’avvenuta designazione di ‘Alì.
Alla ne, dopo la morte del profeta (632), si apre la dinas a dei cali ben guida (632-661):
1. Abù Bakhr (632-634), suocero del profeta e Muhajirùn. Egli era espatriato insieme al
Profeta da Mecca nel 622 e fu un personaggio fra i più eminen ; a ques toccò il
compito di ricompa are le tribù arabe dopo un iniziale sfaldamento dell’unità
comunitaria immediatamente dopo la morte di Muhammad.
2. ‘Umar (634-644), era un importante esponente dei muhajirun; so o la sua guida
avvenne la prima fase dell’espansione al di fuori dei con ni della penisola, che portò gli
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arabi, fra il 637 e il 642 alla vi oria sull’impero sasanide in Mesopotamia e in Iran, e su
quello bizan no in Siria e in Egi o.
3. Uthman (644-656), instaura una poli ca nepo sta e dispo ca ed è per questo che
muore assassinato. Alla sua volontà si deve la prima versione scri a del Corano; la
decisione fu di grande importanza per la storia del testo sacro dell’islam e proprio a
proposito di questa redazione, si originò forse la più an ca disputa do rinaria fra sunni
e scii . I secondi infa , sostennero che la versione di ‘Uthman fosse spuria, epurata in
par colare di tu quei verse in cui sarebbe comparsa la designazione u ciale di ‘Alì
da parte di Muhammad. Il diba to sull’auten ca versione del Corano impegnò lo
sciismo no al X secolo.
Le contraddizioni e le tensioni che, pur in maniera so erranea, avevano accompagnato
l’elezione dei primi tre cali , vennero alla luce con l’assassinio di ‘Uthman; subito dopo, in una
situazione dominata dalla confusione, e nonostante le contestazioni del clan omayyade, ‘Alì fu
nominato cali o.
4. Alì Ibn Abì Talib (656-660), a ua una poli ca di apertura nei confron dei non arabi. I
seguaci più fedeli di ‘Alì erano gli ansàr di Medina, e sopra u o i solda impegna nelle
a vità di conquista. Durante questo periodo, assumono una rilevanza par colare due
ci à: Basra e Kufa. Quest’ul ma fu scelta da ‘Alì come sede delle proprie a vià poli che
e amministra ve, divenendo la roccaforte dello sciismo.
Il cali ato di ‘Alì, tu avia, fu contestato n dall’inizio. Su di lui gravava il sospe o di essere il
mandante dell’assassinio di ‘Uthman; sopra u o, egli non si adoperò mai per ricercare e punire
i colpevoli, nonostante Mu‘awiya – cugino di Uthman e governatore della Siria – richiedesse,
secondo la legge, il prezzo del sangue per l’omicidio del cugino. Basandosi su questo argomento,
l’omayyade dichiarò nulla l’elezione di ‘Alì, sostenendo che fosse il fru o di una decisione
apertamente minoritaria, in quanto l’intero clan omayyade aveva abbandonato Medina in segno
di protesta dopo la scomparsa del terzo cali o, e non aveva dunque partecipato alle
consultazioni.
Nel fra empo Alì doveva fronteggiare un altro problema: la ba aglia del cammello, contro
‘Aisha vedova del profeta e alcuni compagni del Profeta. Da questa ba aglia Alì uscì vincitore.
In seguito, dove e a rontare un nuovo scontro con Mu’àwiya, dando vita alla prima guerra
civile della comunità musulmana.
Nel 657 si passò ad un vero e proprio scontro armato, noto come Ba aglia di Si n. Mu’àwiya fa
innalzare sulle punte delle lance dell’esercito dei fogli del Corano, intendendo dire che il giudizio
tra I due antagonis deve essere a dato a dio. Mu’àawiya propone un arbitrato per sanare
questo con i o. Le ques oni so oposte al giudizio degli arbitri riguardavano la condo a
assunta da ‘Uthmàn durante il suo cali ato, e se eventualmente avesse agito contrariamente ai
de ami della rivelazione; in questo caso, l’assassinio si sarebbe dovuto considerare un mezzo
lecito per porre ne a un governo ingiusto; nel caso contrario, ‘Alì avrebbe dovuto punire gli
assassini che sembrava proteggere. Alì acce ò l’arbitrato. Questa si rivelerà una decisione poco
intelligente perché adesso entrambe le par dovevano scegliere un loro rappresentante e
quest’ul mo non sarà un grande rappresentante.
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Si crea quindi un’ulteriore spaccatura, rappresentata dai khariji , I quali furono gli assassini di
Alì. Alla sua morte, avvenuta nel 661, venne acclamato Mu’àwiyya dando avvio alla dinas a
degli ommayadi.
I Khariji furono la prima espressione di dissenso organizzato nella storia dell’islam. Da questo,
divennero una vera e propria corrente minoritaria che basava la sua do rina sull’uguaglianza.
Ques sostenevano che il potere di guidare la comunità doveva essere rimesso nelle mani del
miglior musulmano, qualunque fosse il suo sesso o la sua astrazione sociale: anche schiavi e
donne.

Elementi del legittimismo alide:


• anzianità nella conversione (sabiqa)
• insieme di virtù morali e meriti personali
• nobiltà di sangue (sharaf wa ri’asa)
• parentela col profeta (qaràba) = triplice legame di sangue e fratellanza (mu’akhàkh)
spirituale col profeta. Poiché Ali è: cugino, genero (ha sposato Fatima, la figlia del
Profeta) e fratello spirituale del Profeta.
• Investitura ufficiale da parte di Muhammad nello stagno (632). Gli sciiti affermano che,
durante una sosta allo stagno di Khumm, Muhammad avesse pronunciato la frase
‘chiunque riconosce in me il suo patrono (mawla), sceglierà Alì per patrono’. Per gli sciiti
duodecimani, questa corrisponde alla destinazione politica di Alì come suo successore.
Inoltre, loro ritengono che all’interno del Corano vi erano degli indizi al riguardo che però sono
stati eliminati, falsificando di fatto il Corano stesso.
Il termine Mawla è un termine ambiguo, indica il patrono ma anche l’affiliazione di un individuo
ad un clan. Il termine può alludere ad una modalità di conversione e di partecipazione all’Islam.
Vicinanza ad una fonte di emanazione di potere e autorità.
Allo stesso campo semantico appartiene un altro termine, la wilàya, termine difficile da tradurre
in maniera univoca. Nel lessico sciita indica un’autorità specifica, ossia la missione sacrale
dell’imam: quella missione essenzialmente di natura ermeneutica, che garantisce la continuità
della comunicazione fra le sfere del divino e dell’umano anche dopo la conclusione del ciclo
della profezia, sancita da Muhammad. È naturalmente in base a questo significato particolare che
l’elaborazione sciita ha interpretato il termine allusivo con cui il Profeta aveva designato ‘Alì
nella sosta a Khumm.
L’elemento familiare non è da sottovalutare. È come se il Profeta, non avendo figli maschi, e
considerando l’amore smisurato per la figlia Fatima, avesse visto in Alì il figlio che non aveva e
quindi fosse lui il diretto discendente in quanto genero ‘preferito’. Molte tradizioni accolte dal
canone sciita, raccolte da autori del X secolo, infatti dichiarano che la relazione parentale
(qaràba) fra Muhammad e ‘Alì era l’elemento basilare delle pretese ereditarie di quest’ultimo. In
particolare, però, queste antiche tradizioni enfatizzano una fratellanza (mu’akhàh), introdotta
nella giovane comunità islamica dopo l’esilio a Medina. Alì partecipava della fratellanza col
Profeta sia come eminente muhàjir sia come parente di sangue, in quanto cugino: parentela di
sangue e parentela spirituale erano entrambe poste in rilievo.
Il diritto familiare viene collegato ad una famosa ordalia, nota come mubàhala, chiesta dai
cristiani di Najran affinché Muhammad dimostrasse la sua natura profetica. Il Profeta raccolse
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sotto la protezione del suo mantello alcuni membri della sua famiglia che sarebbero divenuti
oggetto di culto, definiti nella formula dell’ahl al-bayt: Fatima, ‘Alì e i loro due figli Hasan e
Husayn (futuri imam dopo la morte del padre). Questi vennero anche definiti come I cinque del
mantello.

Il modello di conversione di Salmàn


La cultura arabo-islamica classica ha sempre avuto la predilezione per la razionalità e la storicità
della propria auto rappresentazione. Questo atteggiamento, ha messo in ombra la presenza del
mito come fattore propulsivo di cultura e come elemento irrinunciabile di qualsiasi discorso sulle
origini. Anche se, in realtà, si è operato anche su figure non del tutto storicamente certe,
soprattutto nell’ambito di:
o Mi di fondazione
o Modalità di conversione e di ingresso nell’Islam.
Un esempio di questo punto è rappresentato dal caso di Salmàn al-Fàrisì. Due studiosi
sostengono due tesi contrapposte. Horovitz sos ene che l’ingresso della parola persiana
khandaq (fossato) deve essere accostato all’ingresso della gura che l’avrebbe introdo a,
appunto Salman, il quale avrebbe consigliato al profeta la strategia della trincea per vincere la
ba aglia.
Massignon invece sos ene la storicità del personaggio, in quanto nelle fon storiogra che più
an che si fa riferimento ad un persiano conver to schierato a favore di Alì.
In ogni caso ciò che salta all’occhio è che egli incarna la rappresentazione culturale e storico-
religiosa di un Iran che si protende verso l’Islam e che egli è lo straniero, simbolo
dell’universalità dell’Islam, che – nel momento in cui si converte – sceglie le ragioni alidi.
Una le ura simbolica del suo i nerario geogra co che lo porta ad innumerevoli conversioni,
vedrebbe tale percorso come quello intrapreso dalle religioni monoteis che, no all’ul ma
conversione cioè quella islamica, che rappresenta anche l’ul ma rivelazione.
Salman è come se fosse una porta, una via di accesso che conduce all’Islam e, col suo esplicito
schieramento a favore di Alì, anche allo sciismo.
La gura di Salman appare dunque una mappa mi ca, storica e geogra ca dell’Islam delle
origini.

!! Cap. III: Lo sciismo so o il regno omayyade e l’avvento degli Abbasidi.


Dopo la morte di Ali, una parte degli sciiti che si trovavano a Kufa, riconobbe in Hasan (m. 669
circa), il figlio maggiore di Alì e Fatima, l’erede e successore; non in quanto califfo ma in quanto
capo della loro comunità.
Hàsan però rifiuta di capeggiare la rivolta contro Mu’awiya. La scelta di Hasan fu preceduta da
un carteggio ad al-Mada’in (tra Hasan e Mu’awiya), durante il quale Hasan propone gli stessi
temi che suo padre aveva proposto contro Abu Bakhr, tra cui il legame di fratellanza e filiazione
spirituale (mawla) che faceva parte del legittimismo alide. Lo scopo di questi negoziati era
quello di ristabilire la pace ed evitare altri spargimenti di sangue tra musulmani. Quindi, la scelta
di Hasan di rinunciare al potere, viene vista dagli sciiti come un atto per ristabilire la pace.
Inoltre, dal carteggio, emerge che Mu’awiya non rinnega la superiorità (fadl) di genealogia
sostenuta da Hasan (quindi dal termine superiorità, cioè fadl, deriva l’Afdalìa = teoria della
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superiorità) tuttavia Mu’awiya sostiene che i criteri nella scelta del capo della comunità debbano
essere altri. Un altro conflitto ideologico tra sunniti e sciiti, riguarda la designazione del leader
della comunità:
• Per gli sciiti, bisogna possedere la Karafa = relazione parentale molto stretta.
• Per I sunniti, la legittimazione proviene dall’appartenenza alla tribù del profeta, quindi
posseggono una concezione più larga rispetto a quella degli sciiti.
Al termine del carteggio, Hasan rinuncia al califfato ed offre a Mu’awiya la bay’a, ovvero l’atto
formale di omaggio, pronunciato ufficialmente a Kufa. Mu’awiya ottiene così una legittimazione
al suo potere. Hasan si ritira e va a vivere a Madina dove morì tra il 660 e il 678.
I suoi eredi, gli Hasanidi, formarono un ramo importante della famiglia alide che nel tempo
tornò a nutrire aspirazioni politiche che si manifestarono, in alcuni casi, in aperte ribellioni.
Un destino completamente diverso, e decisivo per gli sviluppi ulteriori del movimento sciita,
ebbe il fratello Husayn (m.680). La leadership, come si vede, viene trasmessa secondo una
logica successoria orizzontale, da fratello in fratello (logica pre-islamica).
al-Husayn si trasferisce da Medina a Mecca perché non vuole rendere omaggio al nuovo califfo
Yazìd, figlio di Mu’àwiya, e proprio a Mecca inizia ad avere dei contatti con l’opposizione
kufana, di cui diventa capo in una rivolta (680). Con alcuni compagni parte da Mecca alla volta
di Kufa, tentando di confondersi con una serie di pellegrini; vennero intercettati dalle truppe del
califfo e venne bloccato loro l’accesso all’Eufrate = TRAGEDIA DI KARBALA (680). Donne
e bambini vennero condotti a Damasco insieme alla testa recisa di Husayn.
Zaynab, sorella di Husayn, divenne famosa per aver pronunciato un discorso contro Yazid, fu
risparmiata insieme a Ruqqaya, altra sorella, alla quale viene dedicata una moschea.
Al-Husayn = primo martire (Shahid) perché testimone contro l’ingiustizia di cui gli Omayyadi si
macchiarono nei confronti degli eredi del profeta. Questo è un elemento identitario dello sciismo.
Egli si sacrifica testimoniando l’ingiustizia degli omayyadi. Da questa data, lo sciismo comincerà
ad assumere una delle manifestazioni forse più visibili della sua religiosità: il dolore, la
sofferenza, il pianto per un’ingiustizia che, al di là degli eventi storici, ha una dimensione
cosmica ed escatologica.
Il trauma provocato dalla tragedia di Karbala produsse nel partito alide un’onda d’urto che univa
ai sentimenti di vendetta per il sangue versato ingiustamente un fortissimo desiderio di
espiazione, soprattutto nella città di Kufa, che si sentiva colpevole di non aver fornito a Husayn
l’appoggio promesso. Questo sentimento di colpa e di espiazione diede vita fra gli abitanti di
Kufa a un vero e proprio movimento, noto col nome di Movimento dei Penitenti/Tawwabùn =
desiderio di espiazione per non aver fornito aiuto ad Husayn. Questo movimento propone delle
rivolte tra 684/685 a Kufa, Basra e al-Mada’in.
Da questo movimento nasce una nuova formazione guidata da Mukhtar al-Thaqafi: servitore di
Ali ed esponente della nobiltà tribale. Egli si fa portavoce dei diritti usurpati del terzo figlio di
Ali: Muhammad ibn al-Hanafiyya (m. 701), avuto dopo la morte di Fatima da un’altra moglie.
Egli non aveva grandi ambizioni politiche ma rappresentava il membro più anziano della sua
famiglia.
Vengono immessi nel quadro ideologico del filoalidismo alcuni concetti appartenenti al mondo
Filosofico-misterico della tarda antichità come il concetto di mahdismo, idea del ritorno. Viene
inoltre inaugurata l’endiadi imam/portavoce > da’i / imam-wazir / mahdi.

Nell’ottobre del 685 Mukhtàr al-Thaqafì scatena una rivolta contro il governatore di Kufa e si
impadronisce della città. Per la prima volta, accanto alle forze militari arabe che sostengono con
le armi la rivolta, compaiono esplicitamente nelle schiere sciite i mawàlì, cioè i convertiti non
arabi iracheni e iranici affluiti dalle campagne nella metropoli.
Il ruolo dei mawali > i nuovi convertiti all’islam non arabi che entrano nel tessuto dello stato
arabo. Il termine fa riferimento alla clientela.
Mukhtàr, nonostante gli elementi innovativi della sua propaganda, riveste a Kufa il ruolo di
kàhin, cioè l’indovino dotato di poteri e che esprime i suoi oracoli in saj’, prosa rimata e ritmata
tipica della divinazione.
Il governatore di Basra, fratello dell’anticaliffo Ibn al-Zubayr, mise fine al controllo della città da
parte dei ribelli, reprimendo nel sangue la rivolta nel 687. Dissociatosi fin dall’inizio dalla
ribellione condotta in suo nome, il mahdì Muhammad ibn al-Hanafiyya approfittò della fine
dell’anticaliffato a Mecca nel 692 per recarsi a Damasco ed esibire la sua fedeltà all’omayyade
‘Abd al-Malik, e tornare poi a Medina dove rimase fino alla morte.

Si diffonde nel frattempo il concetto di ghuluww (esagerazione) > porta all’eterodossia. Il


termine indica l’unità di misura della deviazione religiosa e in particolar modo dell’eterodossia
dello sciismo, di quei movimenti che divinizzano Muhammad e quindi vengono sentiti come
esterni / eterodossi. Già c’erano stati altri personaggi che avevano considerato così Alì, come il
movimento ghulàt che venera una trinità formata da Dio, Muhammad e Alì, considerato
ovviamente eretico in quanto rinnega i fondamenti stessi dell’Islam.
Questo termine è di origine coranica, in particolar modo è presente nel versetto 171 della sura 4.
Viene utilizzato per invitare la gente del libro (ahl al-kitab, gente che ha ricevuto la rivelazione:
ebrei, cristiani e musulmani > monoteismi, a cui viene aggiunto talvolta anche lo zoroastrismo),
soprattutto i Cristiani, a non esagerare per quanto riguarda la natura di Cristo, a non considerare
Cristo al di sopra della natura umana. Considerare cristo come figlio di Dio è una esagerazione.
Un liberto di Mukhtàr, capo della sua guardia personale durante la rivolta, chiamato Kaysàn, si
pone a capo del movimento clandestino che quindi prenderà il nome di kaysàniyya. Al suo
interno, per la prima volta, lo sciismo assume le connotazioni di una confessione religiosa.
Il movimento kaysanita riconosce l’autorità di quattro imam:
1. ‘Alì
2. Hasan
3. Husayn
4. Muhammad ibn al-Hanafiyya
Dopo la morte di quest’ultimo, affiora un’aspettativa di tipo messianico e millenarista che aveva
cominciato a diffondersi già col movimento dei Penitenti. Questo tipo di sciismo annuncia non la
morte di Muhammad ibn al-Hanafiyya, bensì il suo potere di sottrarsi alla visibilità degli altri
uomini, e la sua permanenza in un luogo che lo occulta; a questa convinzione dell’occultamento
dell’imam (ghayba), si affianca la speranza che egli tornerà, in futuro, per ristabilire la giustizia e
l’equità in un mondo ottenebrato dall’oppressione e dalla tirannia. Occultamento e ritorno
messianico (raj‘a): sarà questo l’impianto dottrinale basilare su cui ogni altra espressione sciita
articolerà le proprie speculazioni, a partire da una diversa scelta della persona dell’imam e dalle
aspettative messianiche di cui questa viene investita.

Il movimento kaysanita ebbe sostenitori per tutto l’VIII secolo, epoca che inaugura i primi
dibattiti sulla definizione genealogica degli imam e sulla natura della sua autorità. Si innesca così
una dinamica, peculiare dello sciismo, di minoranza nel cui seno si producono altre minoranze,
frutto di scismi e di fratture interne.

La rivolta di Zayd ibn Alì e la nascita della corrente zaydita.


La tradizione sciita indica come quarto imam Zayn al-‘Abidìn e suo figlio Muhammad al-
Bàqir come quinto imam, nonostante questi non abbiano rivendicato un ruolo politico di qualche
rilevanza. L’imamato di Zayn al-‘Abidin (m. 714) > non rivestì una importanza fondamentale,
soprattutto nell’ambito dell’elaborazione della dottrina, cosa che invece fecero i suoi successori.
Egli dà importanza soltanto alle genealogie e prerogative spirituali: l’ordàlia
Subisce una prigionia da parte del califfo ommayade che era a quel tempo al potere. Viene
rinviato a Medina, luogo di residenza degli imam. Poi viene imprigionato di nuovo durante il
califfato di Abd al-Malik > motivo: potrebbero essere coloro che organizzano le rivolte anti
ommaydi. Addirittura gli ultimi imam devono risiedere dove vivono i califfi.
Visione innovativa della trasmissione del potere:
• Ideologia dei rapporti parentali: fratellanze e filiazioni spirituali (v. caso Salman)
• Affermazione del ruolo di Fatima per la trasmissione del sangue del profeta.
• Definizione dell’asse genealogico di appartenenza

Opposizioni:
o ‘Abd allah ibn Zubayr, 681- anti califfo. Nel 683 si dichiara amir al-mu’minin (principe
dei credenti) > credente nell’unità e nell’unicità di Dio > movimento ecumenico.
o Qatari ibn al-Fuja’a, 688-99 – anti califfo in Sijistan.
o Il più importante è sicuramente ‘Abd al-Malik, 685-705. È un califfo molto importante
per diversi aspetti:
1. Avvia anche lui il processo di arabizzazione (più veloce) e islamizzazione (più
lento e che richiederà molti più anni). Questi processi diventano fondamentali
nella sua politica.
2. Emana due decreti che riguardano l’arabizzazione: lingua ufficiale del nuovo stato
ARABO > documenti amministrativi devono essere in arabo e tutti i documenti e
registri prodotti nel passato devono essere tradotti. Un decreto che è teso ad
affermare il primato della lingua araba all’interno del califfato. Questo metterà in
moto una serie di altri processi di trasformazione che riguarda anche il personale
amministrativo
3. Nuovo sistema monetario bimetallico
4. Islam religione egemone, il cui rappresentante è il califfo.
5. Edizione del corano vocalizzata: versioni: 1) dopo Uthman si canonizza una
versione del Corano (Vulgata di Uthman), 2) versione con i punti diacritici, 3)
versione completamente vocalizzata.
6. Ruolo profetico del fondatore dell’Islam (Sunna) > shahada (testimonianza di
fede islamica) contiene unicità e unità di Dio e Muhammad è il suo profeta >
introdotta in questo periodo

7. Diffusione del termine muslim in contrapposizione agli altri monoteismi


8. Unificazione di pesi e misure

A partire da questo momento si propongono due nuove procedure di designazione del califfo:
1. Designazione diretta.
2. Designazione testamentaria (wali al-‘ahd (il designato del testamento))
Il quinto imam, Muhammad al-Baqir (712-731):
➢ Rinuncia alla pretesa poli ca.
➢ A erma il primato genealogico dei discenden husayinidi del profeta: nur muhammadi
cioè la luce profe ca.
➢ Trasferisce sulla discendenza husaynide l’idea messianica dell’occultamento e del
ritorno, proie ate in un futuro indeterminato.
➢ La parola di dio e il suo valore allegorico-simbolico.
➢ Il sapere dell’imam > ‘ilm.
➢ Accentua il valore spirituale della missione dell’imam.
➢ Formazione di un circolo gerarchico di discepoli.

Nel 739, Zayd ibn ‘Alì, fratello di Muhammad al-Baqir, persuaso che l’imam debba dimostrare
con le opere la propria aderenza all’ideale di giustizia anche con un’azione armata, organizza una
rivolta contro il califfo Hishàm. La rivolta fallisce e Zayd muore nel corso dei combattimenti con
le truppe del governatore della città. Da questo evento nascerà la corrente zaydita (740).
Caratteri:
➢ Attivismo, dal momento che il suo iniziatore propone una rivolta armata verso il potere
costituito; riguarda ovviamente l’imam questo attivismo.
➢ Moderatismo
➢ Forma pragmatica di legittimismo: gli zayditi (anche qui nasceranno delle sottocorrenti)
daranno vita a numerose rivolte armate, soprattutto in epoca abbaside.
➢ Qualità morali e politiche dell’imam: al-afdal (il migliore), sabiqa (uno dei primi
convertiti, ‘Ali) > tutti gli alidi possono diventare capi della comunità (Corano 33,33)
➢ Da’wa: propaganda organizzata all’interno di un rete missionaria.
➢ Khuruj (oppositore armato non quiescente nei confronti del potere costituito): qualifica
l’imam > condanna del quietismo, dell’inazione, della passività.
➢ Liceità di ribellione nei confronti del sovrano ritenuto ingiusto
Le rivolte sciite saranno numerose nel corso della storia dell’Islam, soprattutto in alcune aree:
Mar Caspio e Tabaristàn. Qui si avvia un processo di islamizzazione > rivolte endemiche:
politica fiscale e agraria, ma non solo.
Viene diffuso anche in Yemen, dove avrà grande fortuna rimanendo fino al XX secolo:
particolarismo religioso in terre lontane.
Qasim Ibn Ibrahim (m. 860): primo teorico della dottrina zaydita.

Gli Abbasidi prendono il potere

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In questo clima di tensioni sociali e di agitazioni, nella propaganda a favore dei Banù Hashim si
inseriscono le aspirazioni di un ramo di quel clan, gli Abbasidi, la cui parentela col Profeta
passava attraverso la discendenza da un comune zio, al-‘Abbàs.
La famiglia abbaside vantava un discreto numero di pretenden al cali ato, nonostante no ad
allora nessun membro avesse rives to un ruolo di qualche rilevanza nello scenario poli co della
dissidenza an -omayyade.
Abù Muslim, un liberto di origini persiane, aveva cominciato la sua opera di propaganda intorno
al 745 all’interno del movimento hashimita, fondato sulla raccolta di consensi intorno a un
membro «favorito della famiglia di Muhammad» di cui non veniva esplicitato il nome.
Coinvolgendo arabi e conver autoctoni, il propagandista riuscì con abilità sorprendente a
tessere una tela di consensi in nome dell’ahl al-bayt. Si arrivò in ne alla rivolta aperta contro il
regime omayyade: alla ne della primavera del 747, l’esercito radunato da Abù Muslim
sventolava lo stendardo nero, colore dell’imam anonimo contrapposto al bianco degli
Omayyadi, e si impadronì dell’Iran orientale; l’anno successivo, l’armata ribelle cominciò la sua
avanzata verso ovest, e passando di vi oria in vi oria raggiunse l’Eufrate, entrando a Kufa ai
primi di se embre del 749.
Dopo la morte di Ibrahim, assassinato dagli Omayyadi, l’appoggio dell’esercito ribelle si spostò
sul fratello, Abù’l-‘Abbas, che nel 750 si fece proclamare cali o a Kufa. Il suo breve cali ato
mantenne quella ci à come capitale; ma il primo a o di visibilità poli ca monumentale della
nuova dinas a fu la fondazione di Baghdad (762), a cui fu dato il nome u ciale di Madinat al-
salàm (Ci à della pace).
Gli Abbasidi riuscirono a produrre una grande quan tà di argomen a sostegno della loro
legi mità. Primo fra tu il testamento di Abù Hashim anche se in realtà si scoprì essere una
falsi cazione.
Col terzo cali o al-Mahdì, che regnò dal 775 al 785, vi fu un’ulteriore re ca dell’asse
ereditario seguendo la nur al-khilafa cioè la luce del cali ato, che legi mava la sovranità
abbaside secondo un comune antenato: ‘Abd al-Mu alib, padre di al-Abbas e nonno del
profeta.
Successivamente si svilupperà la do rina della nur muhammadi, cioè la luce muhammadica,
contrapposta a quella abbaside. Questa nuova do rina sacralizzerà il corpo di Fa ma come
veicolo di trasmissione dell’autorità spirituale.
In questo periodo, vi furono innumerevoli rivolte, anche in ambito rurale (VIII-IX sec), da parte di
comunità non ancora del tu o conver te all’islam. Queste rivolte non erano però contro l’islam
ma contro il potere cos tuito e le poli che scali spesso oppressive.

Cap. IV: Dalla rinuncia all’assenza dell’imam: l’affermazione dello sciismo imamita.
Durante i primi decenni del califfato abbaside, lo sciismo attraversa la fase di fondazione più
intensa e sistematica. Sia Muhammad al Bàqir (quinto imam, 676-732) che Jafar al-Sàdiq (sesto
imam, 713-732) furono artefici del ritiro dalla scena politica e si accentua la missione spirituale
degli imam, fino al XII secolo.
Muhammad al-Baqir creò le condizioni dottrinali necessarie per infondere alla scelta del figlio
l’autorità spirituale riconosciutagli da una vasta ala dello sciismo dell’epoca. Egli viene definito

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al-‘ilm, cioè colui che possiede una grande conoscenza, continua la politica del padre (al-abidin)
in cui si rifiuta di legittimare a suo nome le rivolte anti-omayyadi.
Caratteristiche dell’imamato di al-Baqir:
• A lui si deve la prima formulazione di un discorso religioso sull’Imamato in cui
all’esercizio del potere si sostituisce l’esercizio del sapere.
• Si assiste alla nascita di una concezione iniziatica della trasmissione del sapere religioso
dell’imam > formazione di un circolo di discepoli.
• Differenziazione nella natura e nello spessore della fede.
Si sviluppa l’idea che l’imam è dotato di:
✓ Conoscenza ispirata, iniziatica ed esclusiva.
✓ Il sapere dell’imam è fondato sull’interpretazione del segno coranico.
✓ L’imam è fondamentalmente un Giurista e un medico, ma il suo è un sapere totale che
abbraccia tutti I campi a cui può applicarsi la natura ermeneutica che lo contraddistingue.
Emerge il suo insegnamento che riguarda l’ambito giuridico (umta’) > matrimonio temporaneo;
pratica permessa anche dal Profeta e che viene ammessa solo dallo sciismo.
A lui risale la rielaborazione di alcune dottrine imamite, tra cui i resoconti (hadith) costituiti dal
matn e dalla catena dei trasmettitori, isnad.
Egli inoltre spiega la superiorità genealogica husaynide sulla base della nur muhammadi (luce
muhammadica), la particella di luce divina che si trasmette alla discendenza del profeta passando
per l’anello di congiunzione di Fatima e Alì, fino agli Husayinidi. A questa concezione affianca
la teoria dei membri dell’ahl al-bayt e l’idea messianica dell’occultamento (ghayba) e del ritorno
(raja’) dell’imam.

Dissociazione e dissimulazione: l’imamato di Ja’far al-Sadiq


L’imamato di Ja’far al-Sadiq è contraddistinto da una gerarchizzazione dei componenti del
circolo dei discepoli. Ja’far al-Sadiq rese esplicita la rinuncia degli Alidi alle pretese politiche,
imprimendo allo sciismo la sua definitiva fisionomia settaria.
Durante l’imamato di Jafar, la comunità diventa più indipendente perché vengono attribuite
specifiche funzioni ad alcuni compagni dell’imam.
Il sapere ermeneutico dell’imam si esprime attraverso una concezione particolare della parola di
Dio che assume tutte le possibili profondità simboliche e allegoriche che la dimensione letterale
enuncia, questa pratica esegetica si chiama ta’wil, che fa riferimento all’interpretazione della
rivelazione (tanzil, cioè la discesa del nobile corano). Egli è considerato il padre di quella che
potrebbe essere definita una lettura mistica del testo sacro dell’Islam. Lo sciismo riconosce
infatti solo all’imam il potere di superare il valore letterale del Corano.
Dal punto di vista politico, Jafar non prestò alcun appoggio agli abbasidi quando salirono al
potere nel 750. Nei 15 anni successivi, si innesca una rivolta armata nei confronti degli abbasidi
guidata da un cugino di Jafar, ma lui se ne discosta.
Con Ja’far si afferma la distinzione tra califfato come istituzione politica e imamato come
concezione spirituale nell’Islam. La tradizione attribuisce proprio a lui la fondazione della scuola
giuridica ja’farita.
Con lui si afferma con certezza l’Idea che l’imamato si debba passare di padre in figlio, mediante
un testo scritto, una sorta di testamento denominato Nass.

Alla sua morte (765) è connessa proprio una conroversia che riguarda la successione. Egli aveva
indicato come successore Isma’il che però era morto prima del padre quindi si creano problemi
su chi doveva prendere il suo posto. L’idea di un imam assente, o occultato, proiettata su Ismail,
giustificava così la scelta, ritenuta infallibile, dell’imam: da questa posizione, l’eresiografia fa
discendere la branca sciita dell’ismailismo. A questa posizione, però, si opponeva chi rifiutava
una simile soluzione, ed era piuttosto convinto che all’apparente errore dell’imam dovesse
corrispondere una motivazione precisa: Ismail in qualche modo si era rivelato indegno del ruolo
che lo attendeva e Ja‘far al-Sadiq aveva cambiato segretamente idea sulla successione.
Alcuni di questi sostennero l’importanza della presenza fisica dell’imam, raccogliendo il
consenso su un altro figlio di al-Sadiq: Musa al-Kazim. Con questa scelta coincise
l’affermazione di un principio di trasmissione genealogica dell’imamato che ribadisce la linea
verticale, di padre in figlio, escludendo la trasmissione laterale di fratello in fratello (eccettuato il
caso isolato di Hasan e Husayn).

L’imamato sotto il controllo abbaside


Jafar al-Sadiq visse a Medina e intrattenne cordiali relazioni con gli Abbasidi e fu l’ultimo imam
a cui fu concesso di vivere e morire a Medina.
A quello stesso periodo, risalgono delle rivolte armate organizzate da due appartenenti al ramo
Hasanide, cioè Nafs al-Zakiyya e suo fratello Ibrahim. Queste rivolte furono, però, soffocate
nel sangue. Tutti gli imam successivi furono costretti a vivere in una prigione dorata a Baghdad,
a partire da Musa al-Kazim (m. 799).
L’espansione della comunità sciita, sia in termini geografici sia in termini sociali, favorì la
penetrazione di membri di importanti famiglie di fede sciita della capitale, negli ambienti della
corte e dell’alta burocrazia Abbaside.
In questi anni, si sviluppa anche una nuova corrente di pensiero definita razionale (kalàm), che
riguarda il campo dogmatico e quello teologico. A partire da questo discorso intellettuale, prende
vita il mu’tazilismo: la prima corrente teologica islamica organizzata secondo un criterio di
scuola, aperta al contributo interconfessionale.
Si sviluppa inoltre la corrente dei teologi appartenenti alla rafida, letteralmente coloro che
rifiutano, termine inizialmente dispregiativo con cui il sunnismo medievale appellava gli sciiti,
guidati da Hisham ibn al-Hakam. Questi ritengono la necessità di un imam divinamente
ispirato, erede del profeta ma non capace di ricevere rivelazioni. Anche loro sono in attesa
messianica dell’imam occultato. Il gruppo è concorde nel condannare le rivolte armate almeno
fin quando l’imam atteso non comparirà e ordinerà di insorgere.
L’imam è l’unica autorità capace di interpretare la parola di dio. Egli risiede fisicamente a
Medina, anche se a volte viene invitato presso la corte califfale.
Numerose comunità sciite imamite si trovano in altre località dell’impero, a Kufa, a Basra e in
giro per l’Egitto. Dato che vi è la necessità della mediazione dell’imam, questa lontananza fisica,
implica la presenza di altre figure indicate dall’imam stesso, che possano fare questo lavoro di
mediazione.
Con il VI imam, abbiamo una prima gerarchizzazione della comunità, stabilendo la presenza
degli Ashab al-Khassa (compagni intimi). Essi sono i testimoni della reale esistenza dell’imam e
del suo importante ruolo, oltre che essere i trasmettitori della sua parola.

Nell’VIII secolo, si apre la questione dell’imitazione contrapposta a quella dell’interpretazione. I


compagni dell’imam non possono aggiungere niente di più rispetto a ciò che dice l’imam.
In questo periodo si inizia a parlare di un tanzim al-sirri ovvero di una organizzazione segreta
che nasce per le occasioni in cui la comunità è in pericolo, in quanto minoranza religiosa. A
questo tipo di organizzazione è legato anche il concetto di taqiyya, cioè la dissimulazione
religiosa, secondo cui si nega il riconoscimento di quel dato imam come autorità religiosa.
La morte del VII imam, Musa al-Kazim, aprì una frattura in seno allo sciismo. Infatti una parte
di sciiti non credette alla sua morte, fondando la corrente wàqifa, cioè coloro che si arrestano e
non credono alla sua morte, credendo che egli si sia occultato per poi tornare come messia.
Questo comporta una crisi nello sciismo in formazione, crisi che anticipa l’occultamento del XII
imam. All’interno di questo gruppo, si sviluppa il gruppo dei giuristi (fuqaha’). Altro elemento
proposto dalla wàqifa è la teoria della doppia ghayba > un primo occultamento breve dell’imam
– che questo gruppo faceva coincidere con il periodo trascorso in carcere dal settimo imam –
sarebbe seguito un secondo occultamento dalla durata indeterminata. Tuttavia alla fine del IX
secolo la frattura sembra ricomporsi e il movimento riconfluisce entro il solco dell’opzione
maggioritaria.
Con l’VIII imam, ‘Alì al-Rida (m. 818), si assiste al superamento del legittimismo dinastico e
marcata con il cambio del colore ufficiale degli stendardi, dal nero degli abbasidi al verde degli
alidi.
Al-Ma’mun è il protettore della scuola teologica mu’tazilita e promotore della dottrina del corano
creato.
L’imam fu invitato a corte (816) e, attraversando tutto l’attuale Iran, effettua una sciitizzazione
ante litteram dell’Iran. Durante il viaggio, però, Al-Rida muore. Alcuni sostengono che la morte
debba essere attribuita allo stesso Ma’mun. Questi lo fece seppellire in un sepolcro intorno a cui
nacque la città di Mashahad (termine che significa luogo in cui è accaduto il martirio). Questa
città è divenuta luogo di pellegrinaggio e un centro di studio molto importante.
Dopo questa oscura vicenda, al-Ma’mun tentò di mantenere buoni rapporti con l’imam
successivo, Muhammad al-Jawad (m. 835), al quale diede in sposa una delle sue figlie,
trattenendolo però a Baghdad. Alla sua morte, trasmise l’imamato a suo figlio Ali al-Hadi (m.
868), anche lui subì la prigionia dorata.
L’undicesimo imam, Hasan al-Askarì (m. 874) fu soprannominato così perché costretto a vivere
nella guarnigione militare (chiamata appunto ‘askar) che proteggeva la residenza califfale di
Samarra. La sua figura, come del resto quella del nono e del decimo imam, non presenta alcun
rilievo di carattere dottrinale nella storia sciita.

L’Occultamento minore/ ghayba al-sughrà (874-941)


Nell’874, muore l’undicesimo Imam e sorgono nuovamente problemi dinastici. Per la mancanza
di eredi dell’undicesimo imam, si ripropone una divergenza interna simile a quella che
l’eresiografia documentava riguardo alla successione di Ja‘far al-Sadiq: c’era chi sosteneva che
l’imam non era morto ma occultato, e chi considerava legittimo il passaggio dell’imamato al
fratello di Hasan. Prevalse una tesi inaspettata: l’undicesimo imam aveva avuto un figlio, ma per
prudenza lo aveva immediatamente protetto nascondendolo, e ne aveva rivelato l’esistenza
esclusivamente a pochi intimi iniziati. Fin qui arriva la versione fornita dagli eresiografi

Nawbakhati e al-Qummi. Un’autorevole fonte sciita del X secolo, al-Mufìd, tra i padri del corpo
dottrinale imamita ufficiale, fa nascere l’ultimo imam degli imamiti intorno all’869, e raccoglie
le testimonianze di numerosi fedeli che lo avrebbero visto, adolescente, compiere il
pellegrinaggio a Mecca.
Soltanto agli inizi del XIII secolo si consolida la leggenda, divenuta parte integrante della
dottrina dell’occultamento del dodicesimo imam, secondo la quale il giovane imam, il cui nome
era Muhammad, sarebbe scomparso nei locali sotterranei della residenza di suo padre (o della
moschea) a Samarra. A quell’epoca data l’attestazione di un pellegrinaggio sciita che partiva da
una grotta situata sotto la moschea annessa alla tomba dei due imam esiliati a Samarra, passava
attraverso la cosiddetta «porta dell’occultamento» (bab al-ghayba) e si inoltrava in uno spazio
sotterraneo dove era ancora visibile il pozzo entro il quale l’imam sarebbe scomparso.
All’inizio, l’assenza del dodicesimo imam non venne considerata definitiva; negli anni
immediatamente successivi all’874, data in cui si apre l’occultamento cosiddetto «minore» (al-
ghayba al-sughra), si optava piuttosto per un’assenza temporanea, entro I limiti dell’età umana.
Nel corso del X secolo, tuttavia, di fronte a un’assenza che cominciava a prolungarsi, divenne
necessario offrire ai fedeli una spiegazione accettabile. Fiorì anche una letteratura specifica,
dedicata al tema della ghayba.
L’assenza dell’imam poneva però un problema ulteriore: la guida e l’organizzazione della
comunità sciita, ormai destinata all’attesa messianica dell’imam, ma che doveva pur sempre
attenersi a un fondamento di fede. Ben presto si riconobbero, in seno alla comunità, figure
rappresentative dell’autorità dell’imam, i safìr («portavoce», «ambasciatori»), che avevano il
compito di mantenere i contatti fra la comunità e il loro capo protetto dall’invisibilità
dell’occultamento.
Tra I personaggi importan in questo periodo ricordiamo Ibn Rawh al-Nawbakhti (m. 938), il
quale è stato uno dei ‘messaggeri’ dell’imam occultato. Appartiene alla famiglia dei Nawbakht di
Baghdad, i suoi parenti hanno avuto sempre ruoli importanti nella Baghdad Abbaside dalla sua
fondazione. Egli ha avuto legami importanti con l’aristocrazia di Baghdad, in particolar modo
con la famiglia dei Furat. Vengono citati anche i rapporti con altre ramificazioni dell’ismailismo,
cioè i Qarmati. Sulla base di questi rapporti, cade in disgrazia e viene imprigionato dai califfi
abbasidi (924-29).
Altro personaggio di spicco è Ali al-Shalmaghani il quale guida la comunità appellandosi alla
sua personale visione dello sciismo. Eretico dello sciismo e rappresenta una delle tendenze
maggioritarie di questo sciismo imamita in formazione. Egli contribuì alla messa a punto della
dottrina della ghayba.

La proclamazione dell’Occultamento maggiore


Ibn Rawh tentò di trasformare il ruolo di safir in una carica permanente, trasmessa per
designazione, ma dopo di lui l’idea fu abbandonata.
Secondo la tradizione sciita, lo stesso imam occultato, di fronte alla tirannia e all’ingiustizia
crescente nel mondo, avrebbe deciso di rescindere l’ultimo legame che lo stringeva alla sua
comunità, scegliendo di ritirarsi in un’assenza al di fuori del tempo e dello spazio. Dal 941,
dunque, lo sciismo vive nel periodo di occultamento maggiore dell’imam (al-ghayba al-kubra),

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nell’attesa del suo ritorno alla fine dei tempi, preannunciato dalla manifestazione di segni che
riveleranno l’ora del suo avvento.
È dunque in questo momento, in cui la dottrina del dodicesimo imam occultato si afferma come
orientamento maggioritario sulle altre tendenze dottrinali sciite, che gli imamiti (imamiyya)
diventano duodecimani (ithna ‘ashariyya).

L’elaborazione del canone imamita


Il discorso eresiografico concettualizzava l’eterodossia in termini di esagerazione religiosa
(ghuluww).
L’imamismo duodecimano mette in opera la sistematizzazione della mole immensa di tradizioni
(hadith) attribuite agli imam, compiendo così lo stesso lavoro di reperimento, di autenticazione
su base storica, prosopografica, filologica e linguistica che era già stato fatto per il profeta.
Il primo tentativo di riunire in un testo tutti I fondamenti delle dottrine imamite fu realizzato da
al-kulayni. Fu, inoltre, elaborata una disciplina definita ‘ilm al-rijàl, il cui oggetto di indagine
storica era rappresentato essenzialmente dagli uomini, ma anche dale donne discepole, che
avevano trasmesso il sapere degli imam. A tal proposito ricordiamo due repertori bibliografici:
1. Kitab al-fihrist di ibn al-nadim (987)
2. Fihrist kutub al-sh’ia di Abu Ja’far al-Tusi (x secolo), uno dei
padri della dottrina imamita.
Questa disciplina si sviluppa poi come metodo di fissazione di una tradizione dotta che stabilisca
la storicità degli enunciati dell’imam e si afferma come strumento di controllo e di epurazione sui
falsificatori della parola dell’imam. Un trasmettitore ritenuto inaffidabile viene definito da’if lett.
Debole, e di conseguenza anche l’enunciato non viene considerato autentico, indebolendo la via
di trasmissione.
Tutti questi testi, mirano a stabilire l’autentica successione delle dottrine definendo il genere
delle tabaqaat.
In questo periodo si sviluppano anche le scuole giuridiche (madahib) che presentano delle
differenze le une dalle altre.

Lo sciismo sotto la protezione dei Buidi


Lo sciismo degli imam proibiva ogni forma di connivenza e di collaborazione con il potere
illegittimo, rappresentato dalla tirannia usurpatrice degli Abbasidi. Si trattava di una proibizione
alquanto ambigua, perché di fatto alcune grandi famiglie sciite dell’aristocrazia urbana di
Baghdad avevano avuto modo di inserirsi nei meccanismi della corte califfale, spesso ricoprendo
la carica politica di visir, la più importante dopo quella del califfo. Tale pratica alimentava il
sospetto, da parte sunnita, che si volessero minare dall’interno le fondamenta dello Stato. Nel X
secolo, tuttavia, il potere abbaside entra in una crisi irreversibile; ruoli di governo concessi dai
califfi a membri della nobiltà militare in alcune periferie dell’impero si trasformano in cariche
dinastiche che danno vita a principati formalmente vassalli del califfo, ma di fatto indipendenti.
In questo periodo, la comunità sciita è presente in diverse città; alle comunità storiche irachene di
Kufa e Baghdad, e a quella persiana di Qom si affiancano, soprattutto in territorio iranico, i centri
ad alta concentrazione imamita di Hamadan, Nihavand, Qazwin, Rayy, Nishapur, Tus,
Samarcanda.

Dall’inizio del X secolo, la geografia politica dell’impero non è più interamente sotto il controllo
centrale di Baghdad. Dinastie locali governano su regioni più o meno estese, sottraendo al
dominio abbaside spazi cospicui di potere.
Il potere abbaside, quindi entra in una crisi irreversibile che porterà all’affermazione tra il
945-1055 della dinastia dei Buidi. Questi erano principi persiani di fede sciita (non si sa se
zaydita o imamita). Questa dinastia dominò sulla Persia e sull’Iraq tra il X e l’XI secolo. Questa
dinastia, emerge dapprima nell’Iran centrale poi, a partire dal 932, si ritagliano un pezzo di
territorio che diventa sempre più grande; fondano un nuovo potere, una nuova istituzione che
verrà poi rafforzata dai Selgiuchidi.
I buidi sono dei grandi mecenati che ospitano i grandi intellettuali dell’epoca, come:
- Abu al-Faraj al-Isfahani, autore del “libro delle canzoni”;
- Ibn al-Nadim;
- filosofi come Ibn Sina/Avicenna (m 1037) e Miskawayh (m 1030).
Erano inclusi anche intellettuali il cui sapere aveva un risvolto pratico come astronomi, geografi
ecc… > artefici di un nuovo clima culturale umanistico. Essi fondano anche una biblioteca
pubblica a Baghdad. Si interessano alla letteratura in neopersiano che emerge in questo periodo.
Ai buidi si deve anche la fondazione della Dar al’ilm (let. Casa della conoscenza), che è una
sorta di college, che precede le università.
Con Ahmad Ibn Buya inizia una vera e propria divisione dei poteri, focalizzandosi sulla
gestione dello Stato, assumendo il titolo di Mu’izz al-dawla (orgoglio dello stato), invece suo
nipote assumerà il titolo di Adud al-dawla (colonna dello stato), in quanto uno dei più importanti
sostenitori della dinastia. Quest’ultimo porterà la famiglia all’acme del potere, assumendo
intorno al 970 il titolo di Re dei Re (shahan-shah), già dei sovrani sasanidi. Figura di spicco del
X secolo, ‘Adud al-Dawla fu uno degli artefici, grazie all’opera di mecenatismo, del clima
culturale umanistico che connota quest’epoca. Sotto la sua protezione la filosofia e lo studio del
patrimonio greco conobbero un nuovo, ulteriore impulso e si istituirono le prime biblioteche
pubbliche nelle grandi città irachene e persiane.
Grandi favoriti di questo periodo furono gli sciiti imamiti.
Viene riconosciuto anche un sindacato degli alidi = niqaaba, che riconosceva ai discendenti di
‘Ali uno statuto importante. Ciò che compete al decano di questo sindacato, è l’accertamento
delle genealogie, dato che molti costruivano genealogie false per essere collegati ad ‘Ali e quindi
per acquisire prestigio sociale.
Quindi il Sayyid (pl sadat) è un discendente alide, a cui spettavano dei privilegi, come la
pensione.
Inizia dunque in questo periodo uno sviluppo teorico, intellettuale e giuridico teso a superare la
crisi di autorità che l’occultamento dell’imam ha aperto e che porterà Dotti e giuristi ad assumere
un ruolo sempre più importante.

Il X e parte dell’XI secolo viene definito come un secolo sciita, poiché regnano anche altri sciiti:
▪ Hamdanidi (Aleppo e Mawsil) (890-1004)
o Sayf al.Dawla (m 967)
o al-Isfahani
▪ Fatimidi

o Abu ‘Abd Allah al-Shi’i/’ubayd Allah > fondazione di Mahdiyya (917)


o Egli, dalla Siria si sposta in africa settentrionale, conquista molti territori (come
l’Ifriqiyya), debellando tutte le dinastie che governavano questi territori
conquistati.
o Al-Mu’izz entra in Egitto > Fatimidi d’Egitto (969-1170) si propongono come un
potere rivale del califfato abbaside. Vengono fondate al-Qahira e al-Azhar. Inoltre
viene fondata la scuola giuridica isma’ilita da al-Qadi al-Nu’man (m 974).

Scissioni interne allo sciismo isma’ilita:


➢ Il califfo Al-Hakim, che muore nel 1021, viene spesso ricordato nelle fonti, in quanto la
sua vita è segnata da estremismi, non congruenti all’immagine della politica fatimide.
Egli si proclama incarnazione divina e un suo discepolo lo decanta come superiore al
profeta > nasce un nuovo orientamento, cioè quello dei Drusi, fondato da un discepolo di
al-Hakim
➢ Altra scissione si ha con al-Mustansir (m 1094)
o Musta’li
o Nizari (Alamut)

DOTTRINA > viene elaborato il canone scritturale degli sciiti che costruiscono la loro storia
attraverso diversi generi letterari come l’eresiografia, l’esegesi coranica, l’apologetica, la
polemistica ecc… > periodo in cui si compongono numerosi testi = MOVIMENTO DI
RICOMPATTAZIONE UNITARIA guidato da teologi ed intellettuali. La prima ondata di testi,
nello specifico, riguarda il tema dell’occultamento + Testi di refutazione nei confronti degli
estremisti.
Uno dei primi autori è al-Kulayni (m 940). Egli vive durante l’occultamento minore e muore
non appena inizia l’occultamento maggiore. Egli scrive il Kitab al-Kafi fi usul al-din =
Fondamenti necessari della religione. I primi due volumi riguardano questioni di tipo teologico;
gli altri cinque questioni di tipo giuridico, ma anche resoconti che hanno a che vedere con gli atti
di culto, che per l’islam, tanto sciita quanto sunnita, sono regolati dalla legge. L’unità di base è
rappresentata dallo hadith.
Un altro autore di spicco fu Ibn Babuya, detto al-Saduq (= il grande veritiero), morto a Rayy
nel 991. Egli compone 300 opere, ma ne sono arrivate fino a noi solo 12 all’incirca.
Il Manuale per chi non ha a disposizione il giurista entra a far parte delle 4 raccolte canoniche
sciite imamite. Questo manuale dà delle risposte a chi non è esperto della legge; oltre a
raccogliere i resoconti degli imam, contiene anche le parole dei giuristi. Testo che serve come
punto di riferimento per le comunità imamite.
La perfezione nella religione e il raggiungimento della grazia divina… (titolo lungo) > testo che
riguarda la Ghayba. Questo testo è importante perché la Ghayba viene indagata in alcuni suoi
aspetti, in particolar modo vengono trattati in questo testo alcuni dogmi dello sciismo =
✓ investitura divina dell’imam;
✓ designazione terrena esplicita;
✓ infallibilità dell’imam;
✓ autorità e sapere assoluto ed esclusivo;

✓ necessità dell’imam come interprete qualificato, poiché conosce e media la Parola di Dio,
ed è prova della verità della Rivelazione.
Quest’opera contiene anche:
✓ i rescritti dell’imam inviati ai suoi rappresentanti durante la piccola ghayba;
✓ indicazioni pratiche (come a chi devolvere il khums);
✓ indicazioni tese a risolvere la questione dell’assenza dell’imam.
Come viene colmato il vuoto lasciato dall’imam? Viene colmato dalla parola dell’imam = qawl
al-imam. Bisogna cercarla, verificarne l’autenticità, interpretarla e trasmetterla correttamente.
Critiche da parte di mu’taziliti e ash’riti
Le opere della raccolta canonica imamita sono considerate importanti tanto quanto la Sunna,
diventando modello per eccellenza.
Quando l’imam entra in occultamento, la comunità imamita si ritrova allo stesso modo di quando
il Profeta è morto > quello che gli imam hanno detto viene cercato e verificato, come lo si faceva
prima con le parole del Profeta. Una volta testata la veridicità, diventano Sunna. Queste raccolte
canoniche sciite e le parole degli imam contenute in questi resoconti, contengono anche ciò che il
Profeta ha detto. L’imam è filtro di ciò che il Profeta stesso ha detto.
Tra coloro che si occupano di questo, ricordiamo Al-I’tiqadar = professione di fede; e ‘Uyun
akhbar al-Rida = riunisce tutte le fonti che riguardano al-Rida > imam designato da al-Ma’mun.

Le scuole di Qom e Baghdad


Tra il X e l’XI secolo, in Iran e in Iraq, vengono fondate delle scuole che producono una
letteratura canonica che definisce le dottrine imamite. I centri maggiori sono appunto Qom e
Baghdad.
Uno dei personaggi di spicco a Qom è Ibn al-Babuiyya, il quale ha numerosi discepoli. Egli
tratta argomenti giuridici e le dottrine imamite, come l’occultamento. Ebbe numerosi discepoli
anche a Baghdad e promosse la metodologia basata sui princìpi del diritto (usul al-fiqh),
sviluppando metodi basati sul ragionamento.
Uno dei suoi discepoli è al-Mufid (948-1022), che è un intellettuale molto importante; egli
lavora alla definizione della metodologia giuridica, ed in particolar modo alla definizione dei
principi del diritto (opera > Tadhkira bi-usul al-fiqh).
Le fonti per eccellenza sono:
1. il Corano,
2. la Sunna e
3. le 4 raccolte canoniche.
A tal proposito, al-Mufid, che è un rappresentante della scuola razionalista, afferma che esiste un
corpus scritturale che, seppur risalga all’imam, deve essere analizzato secondo un ragionamento
logico-deduttivo; perché se alcune di queste tradizioni contraddicono la ragione, allora non
possono essere accettate.
In epoca Safavide verranno create due scuole giuridiche, in seguito ad una scissione:
o Akhbari: fondata sulla tradizione. (questa scuola progressivamente scomparirà)
o Usuli: propendente per l’attività interpretativa.

Nel X secolo sono state composte 400 opere usul (lett: fonte, radice) costituite da tradizioni
sentite direttamente dagli imam.
Si dice che il fondatore del Mu’tazilismo, scuola teologica dello sciismo (soprattutto
duodecimano), fosse Wasil Ibn Ata’ (m. 749).
Tante sono le sfumature nelle scuole di Basra e Baghdad, ma sono tutte accomunate dall’uso
dell’attività dialettica. Abbiamo 2 scuole, divise per diversità e ricchezza delle dottrine:
1. Baghdad: Bishr ibn Mu’tamir (m. 825)
2. Basra: Abu al-Hudhayl al-Allaf (m. 841)
Pilastri del mu’tazilismo:
I. Enfatizzazione del tawhid, cioè l’unità e l’unicità di Dio e quindi l’inaccessibilità di Dio.
Questa idea li porta a considerare, in maniera simbolica, gli attributi divini e affermano
che questi non sono coeterni all’essenza divina. Il Corano è la parola di Dio e come tale è
un attributo divino. Ma per loro è distinto dagli attributi divini e quindi il Corano viene
definito come creato.
II. Viene imposta l’inquisizione (mihna) durante l’epoca di al-Mamun (fino ad al-
Mutawaqqil) > molti finiscono in prigione, come Ibn Hanbal (fondatore dell’hanbalismo).
III. ‘adl, cioè la giustizia divina assoluta che però implica anche una libertà e una
responsabilità da parte dell’uomo. La sorte dell’uomo dipende dagli atti, non basta dire
di professare l’Islam, bisogna compiere atti, azioni e opere che sono prescritte. Non esiste
la predeterminazione.
IV. Stadio intermedio tra statuto di infedele e credente (manzila bayna l-manzilatayini), poi
se la vedrà Dio con loro. Finché è in vita, il fasiq resta nella comunità poi nell’aldilà si
vedrà.
V. Imperativo morale: comandare il bene e vietare il male. Elemento importante che verrà
ripreso in diversi momenti storici, anche in momenti storici vicino a noi come nel periodo
del Riformismo Islamico del XIX-XX secolo, per la realizzazione del bene comune,
secondo il rispetto della legge, in vista del raggiungimento del bene comune. Viene usato
anche dalle donne per rivendicare alcuni diritti.
Tra I discepoli di al-Mufid, ricordiamo I due fratelli al-Radi e al-Murtada, entrambi insigniti
del titolo onorifico di sharif, perché discendenti dal settimo imam Musa al-Kazim. Essi sono
esempi tipici di uno sciismo che convive e intrattiene relazioni con gli Abbasidi, infatti firmarono
un documento in cui sconfessavano la pretesa origine alide dell’anti califfo Fatimide del Cairo.
Sharif al-Murtadà (m. 1044, Baghdad) è discepolo di al-Mufid e fa parte della scuola
razionalista. Insieme a Mufid, partecipa alla vita pubblica di Baghdad. Fu uno dei primi dotti a
fare della sua casa, una scuola: un centro di insegnamento aperto a studenti di diverse parti
dell’impero. Questo poi diventerà pratica comune coi suoi discepoli. A lui viene riconosciuto il
titolo di Mujaddid (Rinnovatore) della sua epoca, rispetto ai dotti che lo avevano preceduto. Egli
porta al massimo splendore gli insegnamenti di Mufid, perché approfondisce la ragione
tradizionista e quella razionalista. Approfondisce i termini del conflitto tra queste due ragioni.
Arriva ad affermare che, se un resoconto, pur risalendo al Profeta, contraddice la ragione allora
non può essere accolto per creare la legge. Porta quindi all’estremo limite il ragionamento del
suo maestro.

Questo introduce un’altra questione, quella del limite dell’autorità dei dotti cioè il limite
dell’interpretazione, legata alla questione dello sforzo interpretativo (ijtihaad). Con questo
termine si indica l’interpretazione del Corano e della Sunna al fine di proporre norme giuridiche.
Nello sciismo indica il diritto di promulgare una fatwà, che diventa subito operativa come legge.
Indica letteralmente lo sforzo e chi compie questo sforzo è definito mujtahid.
al-Murtadà scrive un trattato sull’imamato al-Shafii fii l-imama, pensato in forma apologetica
perché risponde ad alcune accuse di alcuni intellettuali suoi contemporanei. Redige anche
Eliminazione di ogni elemento che permetta associazioni tra i profeti e gli imam.
Altro testo che ricade nell’ambito del diritto Dhari‘a ilà usul al-shari’a > riguarda la
metodologia giuridica. Afferma in questa opera che è necessario confrontare le tradizioni e
accertarne l’autenticità sulla base del ragionamento dialettico. al-Murtadà afferma che non
possono essere accettate le tradizioni con una sola catena di trasmettitori > khabar al-wahid /
resoconto unico. Il dibattito su queste tradizioni è molto acceso. Lui dice che non devono essere
accolte perché non siamo fino in fondo certi della loro autenticità.
Al-Radi (m. 1015) fu un altro dotto importante di questo periodo. È anche lui sharif. Non è un
giurista ma si occupa di letteratura, filosofia e fonda la dar al-‘ilm, un mix tra una biblioteca
pubblica e l’università. È autore di Nahj al-balagha / Sentiero dell’eloquenza: antologia di scritti
attribuiti ad Ali Ibn Abi Talib, il primo imam > considerata ancora oggi un capolavoro letterario
in arabo classico.
Ja’far al-Tusi nel 1017 arriva a Baghdad in un quartiere sciita (al-Khal). Anch’egli fu un allievo
di al-Murtadà. Egli riflette sull’autenticità di una parte del patrimonio scritturale sugli imam.
Riabilita alcuni tradizionisti. Usa ampiamente l’ijtihad. Con lui si intravede una rappresentanza
generale dell’imam nascosto (niyaba al-‘amma > rappresentante dell’imam nella sua
complessità). Lui è autore di:
o Raccolte canoniche
i. Al-Istibsar / Riflessione sulle tradizioni contestate
ii. Al-Tahdhib / La rettifica delle decisioni
o Opere prosopografiche > ‘ilm al-rijal > scienza che si occupa dei trasmettitori. Indaga i
trasmettitori per capire che sono affidabili e veritieri. Organizzate tutte per generazioni.
i. Al-fihrist
ii. Kitab al-rijal
iii. Ikhtiyar ma’rifat al-rijal > scrittra da al-Kashshi ma redatta da Al-Tusi.
o Diritto
i. Al-Mabsut
ii. ‘uddat al-usul
iii. Kitab al-ghayba
Nizam al-Mulk, vizir del sultano dell’epoca, e al-Ghazali sono intellettuali importanti che
lavorano alla costruzione della madrasa, università > istituto di studi superiori in cui si ultimava
l’apprendimento. È il centro dell’insegnamento. Viene istituzionalizzata e professionalizzata la
docenza. Riguarda il sapere giuridico, prevalentemente, ma non solo: storia, grammatica, logica,
lessicografia, teologia e storia religiosa.

Cap. V: In presenza dell’imam: lo zaydismo e la sfida ismailita.

Lo zaydismo
Zayd era nipote di Husayn, figlio del quarto imam Zayn al-’àbidìn. La sua autorità è frutto di
un’elaborazione della tradizione scolastica zaydita che ha preso corpo a Kufa intorno alla metà
del IX secolo. Si forma quindi la setta dello zaydismo che presenta al suo interno una serie di
sottogruppi, tra cui quello Jarudiyya: concentravano esclusivamente su Alì le qualità e i requisiti
dell’imam.
La pretesa di Ali all’imamato, per gli zayditi è fondata sulla sua precoce adesione all’islam e per
le qualità morali e politiche che fanno di lui il migliore (al-afdal) dei musulmani. Il diritto
dell’imamato passa poi ai figli Hasan e Husayn per designazione (nass). Ma dopo di loro, non è
attraverso una branca particolare, bensì in tutta la casata alide che il diritto all’imamato può
essere trasmesso. In questo senso, le prime speculazioni dottrinali dello zaydismo si fondano su
un versetto del corano e su una tradizione profetica che fanno riferimento al fatto che ogni alide
avrebbe il diritto di rivendicare l’imamato. Tuttavia, è vero imam chi reclama giustizia con le
opere e reagisce alla tirannia combattendola con le armi. È infatti la ribellione che qualifica
l’imam.
Nel corso del X secolo, l’imamato zaydita entra in collisione con l’ismailismo dei Fatimidi; i
vassalli yemeniti di questi ultimi, i Sulayhidi, si spingono fino a San‘a, impossessandosi dello
Yemen meridionale. Solo dal XII secolo, i discendenti dell’imam Yahyà tornano a estendere il
controllo verso sud, e nello stesso tempo vengono riconosciuti imam dalle comunità zaydite
ormai rimaste senza una guida. Dal XII secolo in poi, l’imamato zaydita dello Yemen resistette,
con fasi alterne, alla dominazione sunnita degli Ayyubidi, la dinastia fondata da Saladino che
pose fine al califfato fatimide in Egitto, al dominio della dinastia dei Rasulidi, vassalla dei
Mamelucchi egiziani, e all’impero ottomano.
In età medievale, si rinnova una costante già messa in luce nello sciismo imamita, che
ritroveremo nell’ismailismo fatimide: è la costituzione di potentati zayditi ad arrestare la spinta
rivoluzionaria di questa espressione di sciismo dottrinalmente «moderato», ma politicamente
assertivo, e favorisce invece l’opera di sistematizzazione giuridica che permette ai dotti zayditi di
presentarsi come setta e come opzione intellettuale in mezzo ad altre.
In pieno X secolo, analogamente a quanto è successo all’imamismo, attraverso il dispositivo
della scuola di pensiero, lo zaydismo elabora la propria tradizione dotta e, soprattutto, si presenta
nell’intera città islamica come uno degli orientamenti che compongono il tessuto discorsivo e
interlocutorio sulla natura del potere e sulle ipotesi di società giusta: in questo quadro in cui gli
indirizzi e le scelte politiche si confrontano, le cause delle divergenze che dividono la comunità
islamica rimontano a un passato conchiuso nello spazio storiografico.

Le origini dell’ismailismo.
La seconda corrente più importante dello sciismo deve il suo nome a Isma‘ìl, figlio di Ja‘far al-
Sadiq; l’eresiografia vide nelle dispute intorno alla sua successione, sostenuta da un’ala dei
seguaci del sesto imam, l’origine del movimento. Anche la denominazione di «sciismo
settimano» (sab‘iyya, dall’arabo sab‘a, «sette»), che sembrerebbe suggerire per analogia con i
duodecimani una linea di trasmissione dell’imamato ferma al settimo imam, è il riflesso di una
ricostruzione imprecisa proposta dagli eresiografi imamiti del IX-X secolo. In realtà, i primi

predicatori ismailiti della metà del IX secolo definivano il proprio movimento semplicemente
come la da‘wa, «missione».
L'ismailismo fonda la propria imamologia su una dottrina ciclica di manifestazione e di
clandestinità, che procede nel tempo attraverso una serie di sette imam visibili a cui succede una
seconda serie di sette imam invisibili.
Alla base dell’ismailismo vi è dunque la fede in una presenza continua e tangibile della persona
dell’imam, anche se retta da una visione metafisica del tempo.
I primi documenti relativi alla propaganda della nuova dottrina collocano i suoi esordi nella
regione iranica del Khuzistan, sul Golfo Persico. Il presunto fondatore pare essere un uomo detto
al-Akhbar, un alide per gli ismailiti discendente di Ja’far al-sadiq.
Per il resto della comunità islamica, il pensiero degli ismailiti appare eretico. Perché loro
privilegiano una lettura del corano fortemente improntata ad una interpretazione simbolica
(ta’wil).

Lo scisma: Carmati e Fatimidi


L’oscillazione fra la realizzazione dell’utopia ora e subito e l’adeguamento ai modelli di potere
correnti è probabilmente la vera causa che conduce a uno scisma fra le comunità del sud
dell’Iraq, del nord dell’Iran e del Golfo Persico (Yemen e Bahrayn) e la nuova realtà che si va
configurando in Nord Africa.
Dall'899, la frattura tra l’antico movimento carmata e l’embrione della sfida fatimide è un dato di
fatto che i documenti eresiografici riconducono a una diversa, decisiva interpretazione della
natura dell’occultamento di Muhammad ibn Ismail.
I Carmati resteranno fedeli a una linea di imam che si interrompe con lui legando alla sua
sparizione e alla sua prossima ricomparsa le istanze rivoluzionarie che caratterizzano la loro
predicazione e l’organizzazione comunitaria in cui si è voluta vedere una forma di comunismo
primitivo.

Il califfato fatimide.
Nel febbraio del 910, ‘Abdallàh al-Mahdi fece il suo ingresso trionfale nella città e si nominò
califfo. Fondando una dinastia, il cui nome rifletteva la presunta discendenza da ‘Alì e da Fàtima,
il capo supremo del movimento ismailita rinunciava così al compimento dell’attesa messianica e
rinnovatrice che aveva abbondantemente nutrito la sua predicazione. Coloro che dissentono da
tale idea, vennero puntualmente eliminati. Da allora, qualsiasi orientamento eversivo
esplicitamente ispirato al potenziale antinomistico della vecchia da‘wa fu bandito dall’ideologia
fatimide; gli aspetti dottrinari conobbero uno sviluppo assolutamente elitario, di tipo iniziatico;
dalle gerarchie provenivano i quadri dello Stato. Col tempo, infatti, divenne sempre più marcata
la sovrapposizione e l’identificazione fra l’apparato dottrinario e l’apparato statale che garantiva
la gestione politica e amministrativa, e da cui la dinastia traeva la propria stabilità.
Per circa cinquant’anni, i Fatimidi regnarono sull’Africa del Nord, risiedendo dapprima a
Mahdiyya, città sulla costa tunisina fondata dal primo califfo fatimide nel 917, e in seguito a
Mansuriyya, non lontano da Qayrawan. Nel 969, il generale fatimide Jawhar conquistò il delta
del Nilo, e i notabili della città di Fustat furono costretti a riconoscere l’imàm fatimide al-Mu‘izz
(r. 953-975). Nel 973, questi trasferì la sua corte nella nuova dar al-hijra, fondata da Jawhar

presso al-Fustat, a cui diede il nome di al-Qàhira, «la vittoriosa»: si deve dunque ai Fatimidi la
fondazione del Cairo. Da lì, il controllo si estese nel giro di poco tempo sulla Palestina e il sud
della Siria; gli sharıf alidi custodi del santuario di Mecca riconobbero l’autorità del califfo
fatimide, che assunse così il ruolo di protettore dei luoghi santi, da sempre titolo spettante al
califfo abbaside.
Il Cairo divenne sotto i Fatimidi il centro della da’wa ismailita. La dinastia non impose agli
egiziani una conversione di massa, si mostrò benevola nei confronti delle altre confessioni
religiose, promuovendo la costruzione di innumerevoli moschee.
Nei maggiori centri urbani delle province dell’impero, a fianco del giudice era posto un
missionario incaricato di organizzare la predicazione. Vi sono molti documenti relativi alle
lezioni pubbliche (maja¯lis alhikma, «sedute di saggezza»), dai quali emergono due fattori: la
capacità pedagogica dei missionari di adattarsi ai diversi livelli di ricezione e di ascolto; la
presenza delle donne. L’istruzione delle donne, infatti, è sempre stata una delle caratteristiche
delle politiche culturali di ogni comunità ismailita.
Al di fuori dei confini dell’impero fatimide, la propaganda coordinata dal Cairo era organizzata
nella clandestinità.

Lo scisma nizarita e l’ismailismo riformato di Alamut


Nell’ultimo decennio dell’XI secolo, la più importante figura della da‘wa ismailita è il persiano
Hasan-i Sabbàh. Egli era un uomo dotato di un forte rigore intellettuale che si convertì alla da’wa
fatimide. Divenne dà’ì intorno al 1072 e nel 1090, si impadronisce della cittadella di Alamut, da
cui non si allontanerà più fino alla morte, sopraggiunta nel 1124. Alamut diventa così il centro di
un potentato che include, oltre ai villaggi delle valli, alcune piccole città dei dintorni; nella sua
orbita entrarono in seguito le città-oasi del Quhistan e parte dell’Iran centrale, dove da tempo
sono operative altre cellule della da‘wa. Da lì, Hasan-i Sabbàh fomenta la ribellione aperta
contro i califfi di Baghdad e contro la nuova realtà politica che dalle steppe dell’Asia centrale ha
sostituito i Buidi in quella forma di potere condiviso e antagonista che mina e protegge nello
stesso tempo l’autorità centrale: i Selgiuchidi.
Nel 1092, il sultano selgiuchide Malik Shàh tenta di reprimere i focolai di rivolta spedendo
l’esercito verso Alamut e in Quhistan, ma le operazioni militari devono interrompersi e il sultano
viene accoltellato, nello stesso modo in cui poco prima era avvenuto un altro omicidio politico.
I due attentati inaugurarono uno stile di lotta politica che mirava a colpire singole personalità
nemiche con lo scopo di indebolire la struttura del regime selgiuchide e contava sulla fedeltà
assoluta di sicari che venivano puntualmente catturati, ma sceglievano di morire sotto tortura
senza rivelare il nome dei mandanti. Questa nuova strategia politica destò clamore.

Gli Assassini di Siria


Il gran maestro più celebre dell’ordine degli Assassini in Siria fu Rashìd al-Dìn, a cui si
ispirarono molte leggende crociate intorno alla figura del Vecchio della Montagna.
L’antagonista più importante della sfida ismailita siriana, Saladino, nel 1171 annientò la dinastia
fatimide del Cairo, scegliendo la città egiziana come bastione della riconquista musulmana
contro i crociati. Lo stesso Saladino scampò per pura fortuna a due attentati perpetrati dai
fidà’iyyun, ma riuscì a ridimensionare i domini ismailiti siriani. Fallita la presa della cittadella di

Masyaf, nel 1176, Saladino fu costretto a riconoscere l’indipendenza del principato controllato
dalla da‘wa retta da Rashìd al-Dìn, che nel frattempo andava affrancandosi dai legami con
Alamut.
Dopo la caduta di Alamut nel 1256, il sultano mamelucco Baybars, fra il 1271 e il 1273, dopo
aver salvato la Siria dall’avanzata mongola, si impadronì ad una ad una di tutte le roccaforti degli
Assassini.

NO Sciismo dei filosofi, sciismo degli alchimisti.


Il tema della conoscenza risiede nel cuore stesso dell’epistemologia sciita; «conoscere» l’imam,
nel suo valore sempre più accentuatamente metaforico, costituiva di per sé una teoria della
conoscenza.
L’inserzione del neoplatonismo nell’apparato dottrinale ismailita è solo un aspetto
dell’umanesimo che, dal X secolo, si presenta come una dimensione irrinunciabile del sapere
extra-coranico. Su altri fronti, l’incontro con le risorse del pensiero mutazilita ha dotato
l’imamismo e lo zaydismo di un aristotelismo di fondo. Grazie a simili ricerche di equilibrio e ai
conflitti fecondissimi tra diversi modelli della conoscenza, si è prodotto quel fenomeno di
tolleranza delle idee e della divergenza che fa dell’islam medievale un’esperienza unica e ancora
da comprendere appieno. Si comincia a sviluppare, soprattutto a Baghdad, la filosofia come
disciplina intellettuale per antonomasia.
La presa del potere buide, alla metà del X secolo, ha rappresentato un momento di enorme
importanza per lo sciismo imamita. Lo sciismo dell’età buide raffina una componente
speculativa, che in molti suoi aspetti risulta sganciata dal rigido legame della trasmissione (in
particolar modo, da quello giuridico e religioso), che poteva essere vivo e attivo soltanto in
presenza di un imam; in sua assenza, l’accumulo di sapere che fino ad allora poteva
comprensibilmente fondarsi su una memoria tràdita, sperimenta un accostamento alle discipline
storiche, teologiche e giuridiche, grazie alle quali viene conchiuso in corpora.

Cap. VI: Un’epoca di rotture e di elaborazioni: i secoli XI-XV


I Selgiuchidi e l’avvento della madrasa.
Nell’XI secolo, la componente turca diventa protagonista della scena storica islamica. Con
l’arrivo dei turchi Selgiuchidi finisce la dinastia dei Buidi. Con loro nasce il sultanato e
allargano il territorio islamico. Si proclamano come difensori del Sunnismo e il loro potere viene
riconosciuto dagli Abbasidi.
I Selgiuchidi sono turchi che provengono dalle steppe centro-asiatiche e che entrano nel dar al-
Islam quando ancora non professavano l’Islam, ma erano buddhisti e animisti. L’arrivo dei
Selgiuchidi è un momento importante nella storia dell’Islam poiché è accompagnato da un flusso
migratorio di tribù turche. Questo momento è stato paragonato al flusso migratorio verificatosi
nel VII secolo che ha portato all’arabizzazione di numerosi territori. Il flusso migratorio dei
Selgiuchidi porterà alla turchizzazione del mondo arabo-islamico.
Dall’inizio dell’XI secolo si assiste alla pressione crescente delle tribù nomadi turche sui territori
dell’Iran orientale, in particolare nel Khorasan. Il califfo al-Qà’im, minacciato dall’altra parte
dell’impero dai Fatimidi – che controllano la Siria e sono giunti persino in terra irachena – vede
nei nuovi conquistatori una forza militare a cui conviene concedere la legittimazione a cui essi

aspirano. Tughril Beg viene così investito del titolo di sultan (sultano), formula che introduce
una nuova modalità di gestione del potere, totalmente sganciata dalla concezione califfale
dell’autorità, ma che permette all’istituzione califfale di sopravvivere come simbolo
rappresentativo di una ideale unità imperiale.
Nel 1055 Tughril Beg, giunto a Baghdad, viene riconosciuto come sultano e assume anche il
titolo di Re dell’Occidente e dell’Oriente, prendendo il posto del Re Buide.
Con i Segliuchidi si accentua la dualità di poteri che era già stata avviata dai Buidi:
• al califfo rimane la funzione di rappresentare la comunità sul piano religioso.
• al sultano spetta la gestione dell’impero.
questo durerà fino al XII secolo, fino all’arrivo dei mongoli, quando il califfato abbaside viene
annientato.
A proposito dei Selgiuchidi si dice che in cambio di quest’offerta di legittimità da parte del
califfo, essi si presentano come difensori del sunnismo nella forma hanafita.
In questo periodo si sviluppano anche delle scuole che dividono il mondo sunnita e che
definiscono i loro tratti tra il X e l’XI secolo:
1. Malikita
2. Shafi’ita
3. Hanbalita
4. Hanafita
La differenza sta nella diversa importanza che le scuole attribuiscono alle varie fonti del diritto
nella metodologia giuridica, ovvero il Corano e la Sunna.
Per quel che riguarda il Corano, solo 500 sono versetti legiferanti, tra cui 400 sono riguardanti gli
atti di culto (‘ibadat), e solo 100 hanno a che vedere con quelli che sono gli istituti giuridici
(mu’amalat), che regolano i rapporti tra gli uomini (matrimonio, successione ecc…).
La sunna invece rappresenta i detti e i fatti, in 6 raccolte canoniche, che riguardano la vita del
Profeta.
Queste fonti risalgono al IX e al X secolo > fonti scritte, trasmesse.
Accanto a queste fonti vi sono:
o Ijma’ = accordo di opinione della comunità su qualcosa. Il consenso unanime
serve per trovare soluzioni a situazioni che non trovano risoluzione né nel corano
né nella sunna
o Qiyas = l’applicazione ad un caso o atto nuovo non ancora qualificato di una delle
cinque qualificazioni legali (es: il vino è una bevanda vietata nel testo sacro
dell’Islam, dato che procura ebbrezza > quindi si applica lo stesso principio a tutte
le bevande che procurano ebbrezza e non saranno considerate lecite)
o ‘urf = consuetudine
La scuola hanafita utilizza tutti i criteri e ne introduce altri che includono sempre il
ragionamento; la scuola malikita invece attribuisce grande importanza alla Sunna, sebbene
utilizzi anche gli altri criteri. Gli hambaliti riducono di molto l’attività razionale, si basano sul
corano e sulla sunna e accolgono l’interpretazione letterale del testo sacro dell’Islam.
I turchi selgiuchidi diventano i paladini del sunnismo nella versione hanafita. Loro nemico e
anche dei califfi abbasidi, è l’ismailismo. Gli ismailiti, per mettere in crisi l’apparato selgiuchide,
colpiscono i vertici di quest’apparato, uccidendo i vizir e il sultano.

I selgiuchidi condannano l’ismailismo ma conducono una politica favorevole per gli imamiti.
Nel frattempo, si sviluppa una politica culturale di enorme impatto sulle società medievali
islamiche. Nizam al-Mulk (m. 1092) fonda, nel 1067, la prima madrasa al-nizamiyya,
un’istituzione che presenta forti affinità con le università che cominciano a sorgere in quegli
stessi anni nell’Occidente latino. La madrasa è un centro di insegnamento che istituzionalizza la
figura del docente, incentrato sulla trasmissione del sapere giuridico teologico e sulle scienze
ausiliarie. Ogni scuola viene dedicata all’insegnamento di un indirizzo ben preciso (scuole
hambalite, scuole hanafite ecc…) > permettono la formazione del giurista.
L’avvento della figura del giurista, che incarna un ruolo di mediatore fra il potere e le masse, è
un fenomeno che taglia trasversalmente l’ecumene islamica fra il X e il XII secolo e permea
tanto il sunnismo quanto lo sciismo. La madrasa, anche da questo punto di vista, è il frutto di
una tendenza epocale; sebbene il potere statale protegga l’istituzione in sé, non ne controlla le
attività. Esattamente come per le biblioteche pubbliche, le madrase sono poste sotto un vincolo
giuridico che ne riconosce l’utilità pubblica; il modello costitutivo vede infatti un fondatore che
istituisce una madrasa affidandola alla direzione di un giurista di prestigio.
Al-Ghazali (m. 1111) contribuisce alla realizzazione del progetto pedagogico alla base della
costruzione delle madaris. Egli scrive un’opera, La rivivificazione delle scienze religiose, dove
riflette sui diversi tipi di sapere; egli conferisce al misticismo, ovvero al sufismo, una piena
legittimità all’interno dell’ortodossia islamica.
Le materie fondamentali in ogni madrasa sono quindi diritto e teologia, anche se troviamo molti
insegnamenti di medicina, di filosofia, astronomia ecc. La madrasa assorbe un modello più
antico di istituzionalizzazione della trasmissione e della conservazione del sapere, rappresentato
fino ad allora dalla biblioteca pubblica; da questa, la madrasa eredita la funzione conservativa;
sostanzialmente ogni madrasa era istituita intorno a un fondo di libri; tuttavia, con l’avvento
della madrasa, il concetto di consultazione comincia ad assumere un aspetto decisamente più
ampio, funzionale ai corsi di studio. Il bibliotecario è spesso anche l’insegnante di letteratura e
delle materie umanistiche, e nella biblioteca tiene le sue lezioni.
I grandi viaggiatori musulmani del Medioevo, benché sunniti, ci hanno lasciato numerose
testimonianze delle pratiche di culto sciite presso i santuari, proprio perché questi erano inseriti
in un circuito di mirabilia da visitare, al di là della differenza confessionale. Il Kitab al-naqd ci
aiuta a comprendere il perché di tanta fioritura artistica nei centri imamiti persiani, possibile solo
grazie a una politica mecenatistica e di patronato. In un primo momento, il potere selgiuchide
dimostra un’esplicita ostilità nei confronti di ogni espressione dello sciismo.
Nello sciismo imamita, dunque, i Selgiuchidi comprendono di poter trovare un prezioso alleato,
in grado di costituire, là dove è necessario, un fronte confutativo proveniente dall’interno, attivo
proprio sul piano ideologico, dottrinale e intellettuale.
Al-Qazwini ha solo parole di elogio nei confronti dei sovrani selgiuchidi.
L’evoluzione della figura del giurista nell’ambito istituzionale della madrasa coinvolge dunque
anche lo sciismo imamita, che vede proprio nella madrasa uno strumento di integrazione nelle
dinamiche sociali e negli spazi politici e culturali della città islamica medievale.
Dalla fine dell’XI secolo in poi, è all’interno del sistema della madrasa che i dibattiti di natura
metodologica ed epistemologica sulle fonti del diritto proseguono e si articolano, in particolare
quelli tra tradizionisti e razionalisti.

L'invasione mongola e la fine dell’ismailismo di Alamut.


Le ambizioni imperiali dei Selgiuchidi furono messe in crisi dalla sopravvivenza di concezioni
del potere e di istituzioni di origine nomade. Nonostante l’affermazione di un unico sultano che
costituiva un elemento di unificazione, la struttura del potere selgiuchide doveva rispondere a
vincoli di natura tribale fra i numerosi membri della famiglia regnante e i capi dei clan che li
sostenevano.
L’unità dell’impero regge fino alla morte di Malik shah perché poi i suoi figli si spartirono le
province fondando dinastie indipendenti.
Nella metà del XIII secolo, il mondo musulmano orientale viene investito con una violenza senza
precedenti dalle orde mongole di Gengis Khàn. Al loro apparire in Iran, nelle comunità sciite
imamite presero a circolare predizioni apocalittiche attribuite ad ‘Alì che vedevano in questi
cavalieri venuti dalle steppe l’inizio della fine della città iniqua, Baghdad, e della sua dinastia
usurpatrice, gli Abbasidi.
Questi iniziarono a distruggere tutti i territori che attraversavano, trascurando – però – l’elemento
religioso.
Con loro ebbe fine la dinastia degli Abbasidi e annientarono gli Ismailiti di Alamut.
L’instabilità iranica produce numerosi effetti: il primo consiste in una forma di mobilitazione
latente in certe regioni che facilita, in momenti di crisi del potere, la riaccensione dei focolai di
opposizione. Ciò permette all’Iran di sperimentare presto forme di potere semi autonomo come
sarà per l’ismailismo cosiddetto riformato: questo è detto così perché ha preso posizione, a
partire dal 1094, Con il califfo fatimide legittimo che era stato brutalmente detronizzato e che
avrà il suo centro di potere in Alamut, a ridosso della zona caspica, come sempre rifugio di chi
trasgredisce. Alamut sarà il centro dell’opposizione ismailita, tanto pericolosa da Venir
considerata il nemico numero uno di ogni dinastia impiantatasi in Iran, fino alla caduta di Alamut
stessa, per mano mongola, nel 1256.
Nel 1255, il nipote di Gengis Khan Hulagu iniziò l’invasione dell’Iran.

Quando il califfato legittima il sultanato, viene elaborata la teoria classica di designazione in


ambito sunnita, grazie ad al-Mawardi (m. 1058), che sottolinea l’importanza del califfo rispetto
a qualsiasi altro potere, compreso il sultano, poiché è proprio il califfo che riconosce e legittima
il potere del sultano.
Teoria messa a punto da al-Mawardi:
o Il capo deve essere qurayshita, moralmente integro e dotto nelle scienze islamiche
o Il califfo è la fonte di ogni potere e la guida visibile della comunità
o Il califfo garantisce l’unità della comunità applicando la legge e difendendone
l’applicazione
fino a quel momento il califfo aveva potere esecutivo ma non legislativo > le leggi erano fatte dai
giuristi
o Il califfo è l’esecutore ed il garante della giusta applicazione della legge (din,
dawla)
o Il califfo è il guardiano del dogma
o Non può essere destituito ma può abdicare

o Atto di omaggio > accordo contrattuale (bay’a) tra governante e governato. In


base a questo i governati obbediscono al governante.
A partire dal 1118 comincia una disgregazione dell’impero selgiuchide.
Khawarizm > regnano dal 1077 al 1231. Essi nascono nell’attuale Uzbekistan. Si crea una vera
e propria sfiducia in coloro che erano al governo, dunque si ricerca un rapporto diretto con Dio
durante questo periodo si diffonde il sufismo. > fino all’arrivo di Isma’il che fonda la dinastia
safavide.

Lo sciismo in epoca mongola: la scuola di Hilla


Hulagu, discendente di Gengis Khan, arriva ad Alamut nel 1255, cosa che porta
all’annientamento degli ismailiti riformati; nel 1258 si verifica la caduta del califfato abbaside a
Baghdad. Nel 1260 Baybars ferma i mongoli.
I mongoli, eredi di Hulagu, fondano la dinastia degli Ilkhanidi, che regna dal 1256 al 1353.
Questi non si convertirono all’Islam ma favorirono le comunità che li aiutarono: gli imamiti, in
particolare la città imamita di Hilla.
Quindi viene attuata una politica di protezione nei confronti delle comunità imamite, dovuto
anche al comportamento di alcuni personaggi importanti come Nasir al-din al-tusi, personalità
molto ambigua che ha una grande responsabilità nella caduta degli ismailismi riformati di
Alamut e ha, inoltre, facilitato l’accesso dei mongoli a Baghdad.
Numerosi sono i capi che si susseguono, e alcuni di essi si convertono all’Islam + favoriscono le
minoranze.
Teguder nel 1282 si converte all’islam; Arghun sostiene il buddhismo e applica una politica anti-
musulmana; Con Ghazan (1295-1304) l’Islam diventa religione ufficiale. Infine Oljaytu (m.
1316) si converte all’imamismo. + fonda una scuola per studenti di diritto sciita. La sua
conversione all’imamismo è dovuta ad uno dei più grandi giuristi del tempo.
Con Abu Sa’id (1317-1335) si verifica il crollo della dinastia degli Ilkhanidi
Intorno al 1300, i mongoli cominciarono a convertirsi all’Islam e Oljaytu abbracciò l’imamismo,
sotto la guida di Ibn Muhaqqiq al-Hilli (conosciuto come ‘Allàma, il dottissimo (1250-1325)), è
una delle figure più importanti di questa epoca perché è il padre del diritto moderno imamita.
Cosa lo caratterizza?
• Teologia, scrivendo opere.
• Polemistica: un’opera di polemistica dedicata all’imamato, per ribattere le accuse di
Ibn Taymiyya che vive in contemporanea a lui (sunnita hanbalita). Questi era un
grande teologo della sua epoca ma con un pensiero troppo rigoroso per al-Hillì.
• Filosofia
• Credo imamita: al-Bab al-hadi ‘Ashar
• Metodologia giuridica: definizione di ijtihad. A lui si deve la definizione teorica
dell’ijtihad e in particolar modo si deve l’accento sulla natura congetturale
dell’ijtihad. Questo principio sancisce l’autorità interpretativa del giurista,
riconoscendogli una capacità legittima di produrre opinioni sulla base delle fonti.
• Insignito del titolo di Ayatollah: scala gerarchica del sapere giuridico, in cui questo
appellativo indica il massimo grado. Alla base c’è il semplice mujtahid, poi la prova
di dio e all’apice invece ayatollah. In epoca Safavide, questa scala diventerà molto

più precisa e all’apice ci sarà un altro personaggio chiamato Marja’ al-taqlid (lett.
Fonte di imitazione): punto di riferimento, in teoria, di tutti i mujtahid e di tutta la
comunità imamita sparsa per il mondo.
Sotto la dinastia mongola, la città di Hilla raggiunse una posizione di prestigio, divenendo la
nuova capitale del metodo razionalista, guidata dal maestro al-Hilli, a cui si devono le basi
teoriche del moderno diritto imamita.

Lo sciismo e le confraternite mistiche dell XIV secolo


Dopo la morte dell’ultimo sovrano ilkhanide, nella prima metà del ‘300, il dominio mongolo si
smembra, dando vita a dinastie regionali:
− Gialairidi in Mesopotamia
− Muzaffaridi in Iraq e in Iran
È un periodo segnato dall’incertezza che porta alla nascita di movimenti millenaristi, anche
armati che hanno grande presa sulla popolazione che li sostiene con la forza armata.
Legato a questo movimento, è anche la riesumazione del mito del sovrano ideale.
Di fronte a tanta incertezza, si ricorre a questa idea di un sovrano ideale, del vero califfo che può
garantire l’applicazione della giustizia nel quotidiano.
Dal punto di vista religioso, possiamo notare una massiccia penetrazione degli elementi sciiti che
si esplica essenzialmente in una forma di venerazione per i membri della famiglia del Profeta e
per i 12 imam.
In questo periodo si diffonde inoltre il misticismo islamico, con la creazione di confraternite
come tariqa/ turuq con cui si intende il modo di comportarsi, un modello, un metodo. Questo
diventa un punto di riferimento per le masse.
La diffusione delle confraternite ha favorito la fusione nel sunnismo di elementi che
appartengono allo sciismo.

Eresie e sperimentazioni del potere tra il XIV e il XV secolo


Le confraternite assumono una dimensione politica locale e sono caratterizzate da una
militarizzazione interna e da una forte tensione messianica. Come l’ordine della shaykhyya-
juriyya, fondato dallo shaykh Khalifa e successivamente ampliato da Juri, il quale fece
sviluppare una dinastia locale: i Sarbedar.
Lo Shaykh ha un’altra funzione importante, cioè è una forma di culto, una sorta di mediazione
per la comprensione della parola di dio rivelata. Ci sono quindi alcune affinità tra shaykh e
imam: entrambi hanno in comune la centralità dell’interpretazione simbolica del corano > ha
portato alla nascita del sincretismo religioso a livello popolare.
I Sarbedar (r. 1337-1381), regnano per pochi anni, cioè tra la morte dell’ultimo della dinastia
ilkhanide e l’ascesa di Tamerlano. Questo comincia a conquistare I territori intorno al 1370 e gli
anni a venire.
Questi sono caratterizzati da elementi sciiti: conio di monete con i nomi dei 12 imam, ma anche
nel Rito giornaliero (due volte al giorno) per accogliere il mahdi. Andare alla porta della città per
accogliere il restauratore della giustizia, cioè il mahdi.
‘Ali Mu’ayyad (m. 1386), si avvia per la creazione di un principato sciita stabile. Tenta di
allontanarsi di queste premesse religiose abbastanza turbolente, legate a queste confraternite Sufi

armate. Egli invita alla sua corte Muhammad al-‘Amili Shahid al-Awwal (m.1384), un libanese
(nel Libano troviamo molti dotti importanti nel corso del tempo). Lo invita per passare da uno
sciismo popolare ad uno di tipo diverso e garantire al principato una certa stabilita data dalla
presenza di dotti ed esperti in ambito giuridico, come lui. Questo libanese, viene soprannominato
Shahid al-Awwal (il primo martire)
Uno dei grandi condottieri dell’antichità fu tamerlano. Egli compare come capo importante
intorno al 1370 e muore intorno al 1405. Egli era il prodotto di una serie di matrimoni misti
esponenti di clan mongoli e di tribù turcofone. Metterà insieme grandi territori dando vita
all’impero timuride, il quale correva in lungo e largo su questi territori.

Fa numerose conquiste, le cui guerre furono molto sanguinose.


In questo periodo nascono dei movimenti eretici importanti, tra cui il mushasha.

Cap. VII: Iran: lo sciismo da religione di comunità a religione di stato.


I Safavidi (1501-1722)
L’Iran moderno e sciita emerge dalla disgregazione della vasta ma fragile compagine politico-
militare dei discendenti di Tamerlano, i Timuridi (secoli XIV-XV), per opera di un ordine sufi
fondato ad Ardabil (Iran nord-occidentale) dallo shaykh Safi al-Din (m. 1334), da cui il nome
Safawiyya (Safavidi), i quali successivamente si convertirono allo sciismo duodecimano.
Dall’ala armata, fanno parte i Qizilbash, i quali diventano il braccio armato dei Safavidi.
In un primo momento, la safawiyya è di orientamento sunnita e intorno alla prima metà del XV
secolo si convertono allo sciismo, con Kwaja ‘Ali (1429).
Nel 1494 prende il potere Isma’il, anche se – data l’età – il potere passa realmente nelle sue
mani solo nel 1501 fino alla sua morte sopraggiunta nel 1524. Egli è un personaggio carismatico,
si pone a capo della nuova confraternita da ragazzino. Si presenta come il mahdi in persona.
Elementi molto estremi che lui li fa convergere sulla sua persona. Si presenta come il sovrano
ideale e conquista, forte dei Qizilbash, numerosi territori. Conquistò l’odierno Afghanistan, la
Turchia orientale, la Siria settentrionale e parte dell’Anatolia. È un personaggio quasi
leggendario. Attorno a lui si costruisce una immagine di invincibilità e infallibilità. A lui si deve

una obbedienza assoluta, per questi motivi. Ed è per questo che gli viene attribuito l’appellativo
di Re dei re > sovranità universale.
Quando prende il potere (1501) sceglie come religione di stato l’imamismo. Molti si sono
interrogati sul motivo di questa scelta e cosa lui intendesse esattamente per sciismo
duodecimano, anche in base alla sua formazione / istruzione. La sua istruzione era infatti fondata
sulla importanza della famiglia del profeta e di ‘Alì e ricevette un’istruzione turco-iranica legata
anche a Abu Muslim.
La sua dinastia si può riassumere in alcuni punti fondamentali:
❖ Riduzione degli estremismi ideologici e degli eccessi rivoluzionari dei Qizilbash.
❖ Trasferimento dell’organizzazione Sufi safavide nella struttura burocratico-
amministrativa del nuovo stato.
❖ Conversione allo sciismo duodecimano.
❖ Ricomposizione delle fratture etniche e culturali.
❖ Elemento turco-persiano e le conseguenti fratture che si vengono a creare.
Isma’il conquista numerosi territori, come in una sorta di riconquista dell’altopiano iranico. Parte
dell’Azerbaigian e poi torna indietro. Una battaglia decisiva è nel 1514 che segna
definitivamente i confini tra queste due grandi potenze: Ottomani e Safavidi. Tra queste due
potenze diversi sono i tentativi di conquista dei territori reciproci. L’impero ottomano è sostenuto
da un esercito formato da soldati che aderiscono ad una confraternita Sufi: della Shi’a >
misticismo.
Ismail, come detto, si propose sempre come un sovrano invincibile ma dopo alcune guerre perse,
la sua figura fu lentamente rivalutata.
Dopo la sua morte, salì al potere il figlio Tahmasp (r. 1524-1576). Questi sale al potere all’età di
10 anni per cui fu inizialmente appoggiato da un corpo di reggenti che dovranno inoltre sedare
delle rivolte tribali e delle guerriglie.
Non appena sale al potere, limita il potere dei Qizilbash e rappresenta altre tribù per evitare
ribellioni.
Egli riuscì a mantenere la quasi totalità delle conquiste del padre, fatta eccezione per l’Iraq che
fu riconquistato dagli ottomani sotto Solimano.
Grazie a Tahmasp si convertirono numerosi territori, tra cui la città di Tabriz.
Durante questo periodo vediamo la presenza di numerosi propagandisti religiosi che vanno in
giro diffamando i sunniti. In particolare saranno oggetto di diffamazione i califfi, soprattutto i
ben guidati, e Aisha.
Abbiamo inoltre una massiccia migrazione di dotti che lavoreranno a fianco dei Safavidi, come
al-Karaki. Vengono, inoltre, reclutati degli schiavi per sostituire il ruolo che avevano ricoperto in
precedenza i Qizilbash (gholam).
Dal 1576 al 1578 vi fu il regno di Ismail II, il quale fu un sovrano crudele: ordinò l’uccisione di
numerosi principi Safavidi. Egli tornò inoltre a seguire il sunnismo e la tribù dei Qizilbash.
I successivi dieci anni sono dominati da Muhammad Khoda-Banda (r. 1578-1587), o meglio
dalla moglie Mahd-e ‘Olya che per questo fu assassinata (1579), sicuramente dai Qizilbash.
Uno dei più grandi shah safavidi fu Abbas I (r. 1587-1629). Egli fu uno stratega eccezionale e
riconquistò numerosi territori perduti: Tabriz, Kandahar, Golfo Persico, Kurdistan, Baghdad;
favorendo una centralizzazione del potere.

Sul piano interno egli ridefinì le basi della propria autorità con la trasformazione di vaste aree
provinciali in territori a gestione diretta della Corona. Egli inoltre sposta la capitale ad Isfahan
nel 1590. Fa costruire numerose moschee ma anche edifici non religiosi, favorendo lo sviluppo
della produzione artistica.
Egli inoltre annienta il potere dei Qizilbash e attua una forte propaganda per la diffusione dello
sciismo.
Nel 1722 un gruppo di sunniti afghani riuscì ad entrare nella capitale conquistandola e
saccheggiandola, ponendo la parola fine alla dinastia safavide: l’Impero safavide cade.

Sciitizzazione e politica religiosa:


➢ Repressione, sradicamento delle confraternite Sufi, soprattutto contro quelle mistiche di
orientamento sunnita. Questa forma di islam mistico comunque permane, non vengono
tutti annientati.
➢ Assorbimento di comunità sciite che non sono imamite: zayditi, presenti nella zona del
Gilan e vengono riassorbiti dagli imamiti, e ismailiti. L’assorbimento di alcune comunità
ismailite segue delle fasi alterne, il cui processo è legato alle specificità dottrinali. Quindi
aderiscono allo sciismo imamita.
➢ Sradicamento del sunnismo: migrazioni (Asia Centrale, India ecc)
➢ Impianto e propagazione dello sciismo:
❖ Costruzione di Moschee.
❖ Vengono inserite le formule sciite nel richiamo alla preghiera (adnan).
❖ Esecrazione e maledizione dei primi tre califfi, pratica che si continua nel corso
dei regni e dei vari dinasti.
❖ Imam-zade e pellegrinaggi, verso alcune importanti città come Mashhad e Qumm.
❖ Commemorazioni e ricorrenze sciite.
❖ Migrazione dei dotti che rappresentò un’opportunità unica per lo sciismo. È
evidente che c’è anche una contropartita.

Lo sciismo safavide
L’avvento dei Safavidi, l’elevazione dello sciismo a religione ufficiale e la richiesta di supporto
ideologico-dottrinario imponevano alla comunità dei giuristi sciiti di misurarsi e trovare
soluzioni a una serie di tematiche teorico-pratiche:
1. La ridiscussione delle teorie sul rapporto con il potere temporale e
la loro applicazione al contesto safavide.
2. La relazione tra élite persiana e immigrati arabi.
3. Il ruolo degli ulama’.
4. La polemica tra Razionalisti e Tradizionisti.
I dotti andarono ad occupare delle posizioni importanti, come Shaykh al-islam, cioè un’autorità
religioso-giuridica di una regione o città. Venivano nominati come mufti, cioè uno specialista di
giurisprudenza e che emette il parere giuridico (la fatwa). O ancora il ruolo di imam, cioè guida
della preghiera, o addirittura insegnanti delle madaris, oppure gestivano le fondazioni pie, dei
santuari. Quindi cariche molto importanti.

Migrano in Iran numerosi dotti che appartengono anche a famiglie importanti, anche di
ascendenza alide, acquistando prestigio nella Persia safavide.
Figura centrale nello schema di raccordo tra apparato religioso imamita e i Safavidi, nelle
cruciali fasi iniziali della dinastia, fu l’arabo libanese, residente a Najaf, ‘Alì al-Karaki (m.
1534). Egli entra in contatto con Sha’ Isma’il nel 1503-1504. Si reca in Egitto dove studia diritto
e in particolar modo le 4 scuole giuridiche sunnite. Secondo altri, si reca anche a Damasco. È
uno dei primi a collaborare con i Safavidi, quindi lo troviamo spesso nelle fonti.
In nome del sovrano:
▪ Emana nel 1524, un decreto per l’espulsione dei dotti sunniti da tutti i territori Safavidi.
▪ Dichiara obbligatoria la preghiera del venerdì anche durante l’assenza dell’imam, perrché
al posto dell’Imam ci sarà qualcun altro.
▪ Abbandono della taqiyya/dissimulazione religiosa. In virtù dell’obbligo di osservare la
maledizione rituale contro i califfi e le autorità sunnite.
▪ Stabiliva la liceità per i giuristi di ricevere stipendi, dedotti dalle tasse fondiarie, da
sovrani e governanti.
Tra il XVI e XVII secolo, il raggio d’azione di giuristi viene ridefinito e il loro potere ampliato.
Tra i risultati di questo processo ricordiamo:
• Congiunzione tra sforzo interpretativo (ijtihad) ed imitazione (taqlid).
• Ad esso è connesso il divieto di seguire le decisioni di un mujtahid non più in vita > il
credente deve seguire un giurista qualificato che sia vivo. Dunque bisogna avere, per ogni
epoca, la presenza di giuristi qualificati.
• Il loro raggio d’azione viene ampliato alla shari’a. Inoltre emerge questo concetto di
reggenza generale ( niyaba ‘amma), intesa in senso tanto generale quanto collettivo.

Una delle figure più importanti del XVI secolo è Zayn al-Din al-‘Amili, noto come al-Shahid al-
Thani cioè il secondo martire (Libano, m. 1558-59). Egli si inserisce all’interno del filone
razionalista della scienza giuridica sciita imamita. Diversamente da al-Karaki, Shahid al-Thani
agisce da solo; le sue speculazioni hanno una validità e una portata più ampia, poiché si
basavano esclusivamente sulla sua autorità di mujtahid > egli era quindi sganciato dal potere.
Egli fa parte di una famiglia di dotti e studia in un primo momento col padre, fino al 1519 circa.
In seguito intraprese una serie di viaggi alla ricerca della conoscenza, insieme ad una serie di
dotti. Egli si reca quindi anche a Damasco (1535) e in Egitto, dove studiò con i maggiori dotti
della corrente sunnita. Tornò anche nella sua città natale, andò alla Mecca e a Medina + visitò
numerosi santuari in Iraq. Le fonti lo registrano anche a Gerusalemme.
Evitò i contatti con il potere safavide e secondo alcune fonti egli non era molto ricco, tanto che
fu costretto ad improvvisarsi come mercante di stoffe. Si recò ad Istanbul nel 1545, dove
dissimula il proprio credo religioso facendosi passare per sunnita. Egli in realtà voleva ottenere il
permesso di insegnare in una delle madaris dell’epoca. In seguito alla sua redazione di
un’epistola, Solimano il magnifico gli rilascia un’autorizzazione ad insegnare in una madrasa nel
Libano.
Pare che Shahid al-Thani fu accusato di eresia e di propagandare lo sciismo e per questo fu
convocato dal sultano ottomano. Egli scappò e venne imprigionato, poi inviato ad Istanbul su una
nave, dove trovò la morte. Un altro racconto riporta che non appena sbarcato, fu ucciso. In ogni

caso non giunse mai al cospetto del sultano. Per questo motivo egli riporta il nome di “Shahid al-
Thani” ovvero secondo martire.
Le sue opere (70) sono opere di grammatica, teologia, tafsir e hadith. Il suo contributo maggiore
è senz’altro all’interno della disciplina giuridica. La caratteristica delle sue opere è che siano solo
commenti a opere di autori precedenti, come al-Muhaqqiq, ‘Allama al-Hilli, al-Shahid al-Awwal.
Le sue opere sono importanti per la chiarezza espositiva e per le argomentazioni di cui si serve.
Inoltre egli riesce ad intrecciare mirabilmente il testo al commento da lui fornito.
Temi trattati nelle sue opere:
➢ Definizione di giurista pienamente qualificato come rappresentante generale (na’ib
‘amm) dell’imam scomparso. La sua autorità si basa sul suo sapere, e non è data
dall’imposizione politica (come fu per al-Karaki)
➢ Il mujtahid ha la facoltà di operare in campi che sono riservati all’azione dell’imam =
dirigere la preghiera comunitaria e tenere il sermone del venerdì. Shahid al-Thani dice
che per il mujtahid questo è obbligatorio anche quando l’imam è in occultamento
➢ Il mujtahid ha anche la facoltà di far applicare le pene coraniche = hudud = punizioni
previste per adulterio e fornicazione, calunnia di fornicazione, furto, brigantaggio,
assuzione di bevande alcoliche ….)
➢ Il mujtahid percepisce, amministra e distribuisce le tasse religiose (khums)
Nel 1695 viene emanato un editto che riguarda la politica religiosa:
o Estirpazione di ogni manifestazione eretica – legata alla nuova campagna che egli
promuove contro i sufi (ragion per cui difende il padre dicendo che non era un mistico ma che si
avvicinò ad essi per portarli allo sciismo) + fa espellere i sufi e reprimere alcune comunità
sunnite (in particolare del Kurdistan e dell’Afghanistan)
o Chiusura dei caffè e di altri luoghi di ritrovo
o Proibizione della musica e della danza
o Messa al bando del gioco d’azzardo, degli scacchi, del consumo di oppio
o Reclusione delle donne > non potevano stare da sole nei luoghi pubblici
Majlisi Thani dichiarò che i primi 3 califfi erano non solo ipocriti ma anche miscredenti, motivo
per cui meritavano la maledizione divina.
Majlisi Thani è associato ad un’opera chiamata Bihas al-anwar = il mare delle luci (1694). Opera
imponente e voluminosa, scritta in arabo. Egli ricerca minuziosamente tutti i resoconti risalenti
agli imam, dunque è importante anche per chi si occupa di sciismo. Alcune sezioni di
quest’opera vengono tradotte in persiano, in favore dei credenti persiani che non avevano
familiarità con l’arabo.
Egli viene criticato per:
- collaborazione con il potere
- il suo operato di maestro, nel senso che “ha autorizzato ogni persona a trasmettere hadith
sulla sua autorità”. Quindi pur di trasmettere la sua autorità di maestro, non ha selezionato
accuratamente i suoi allievi.

Razionalisti e tradizionisti:







All’inizio del ‘660, vi fu una importante disputa tra razionalisti (usuli) e tradizionisti (akhbari).
Queste correnti esistono già da molto tempo all’interno del pensiero sciita imamita. In epoca
safavide, dato il clima culturale e politico, il dibattito tra queste due correnti si inasprisce.
In generale, gli usuli sposano la necessità di fare ricorso allo sforzo di interpretazione (ijtihad)
basato sui principi e sulle fonti del diritto islamico, per dedurre norme durante la continua
assenza dell’imam. Al contrario, gli akhbari hanno posto l’accento sulle tradizioni che risalgono
agli imam, alle quali danno un valore primario ed esclusivo.
Le due correnti facevano quindi fatica a coesistere. La vittoria della corrente giuridica degli usuli
ha portato alla scomparsa degli akhbari; alcuni di questi ultimi emigrano in Bahrein.
Questo dibattito non interessa solo la Persia safavide ma tutto il mondo sciita. La disputa che
emerge con forza e la posizione degli akhbari sono il risultato di accelerazioni avvenute in
Persia.
Muhammad Amin Astarabadi (m. 1624 o 26) dà una definizione completa degli akhbari nel
suo testo al-Fawa’id al-madaniyya. I tratti che definiscono questa scuola giuridica sono:
- le tradizioni che risalgono agli imam e al profeta, sono la fonte principale della legge
accanto al Corano.
- Le tradizioni rappresentano per loro una guida infallibile in quanto costituiscono le parole
dell’imam stesso.
- Le tradizioni sono tutte sane (sahih) > dunque per loro non è necessario distinguere tra le
tradizioni vere e quelle false. – “allargamento” di tutte le tradizioni > questo accade anche nelle
scuole sunnite.
All’interno dell’akhbarismo vi è la necessità di raccogliere un maggior numero di resoconti
risalenti agli imam. Gli akhbari vietano l’ijtihad (= sforzo interpretativo) poiché pensano che
conduca all’incertezza. Essi affermano che il consenso è garantito dallo stesso imam, anche
perché non fanno distinzione tra un pre e un post ghayba, dato che per loro valgono comunque le
parole dell’imam. Inoltre, non consentono un ragionamento analogico e si avvalgono della
sospensione della decisione in caso di conflittualità.
Gian Roberto Scarcia (islamologo) scrive che entrambe le correnti partono dalle stesse premesse:
sha’r = sistema giuridico rivelato, permeato di giustizia. Esso è tale quando c’è chi è in grado di
leggere e codificare questo sistema giuridico rivelato > finché è presente sulla Terra, l’imam.
Gli usuli sono mu’taziliti e distinguono un sistema giuridico perfetto da un sistema giuridico
imperfetto, che si verifica in assenza dell’imam.

Lo sciismo di epoca safavide: sopravvivenze mistiche e devozione popolare.


Gli ulama’ safavidi approfittarono della libertà ottenuta per condurre dibattiti sull’applicazione
della dottrina in assenza dell’imam. Infatti, in questo periodo, furono composti numerosi trattati,
epistole, dissertazioni, monografie e così via. L’opera che più di tutte racchiude tutti i punti
cardine del dibattito è Bihàr al-Anwar di Majlisi, che tratta di:
o Integrità del Corano.
o La posizione dei compagni del Profeta, descritti come peccatori per aver usuparto Alì.
o La posizione degli imam, dei quali si dice che possedevano la conoscenza dell’occulto e
compivano miracoli.



In quest’epoca, prendono piede anche numerose tendenze mistico-teosofiche e gnostiche tra cui
‘irfàn, la gnosi sciita, il prodotto di una profonda riflessione esoterico-intellettuale che combina
sufismo, filosofia e sciismo. L’accento viene spostato sulla natura intuitiva della conoscenza,
chiamata hikma .
Nel corso del ‘600, questo indirizzo trovò il suo punto più alto nella hikmat-i ilàhì (sapienza
divina), della cosiddetta Scuola di Isfahan.
La progressiva vicinanza tra misticismo e sciismo, osservabile in vari movimenti e correnti dei
secoli XIV e XV, si spiega con l’utilizzo di elementi e etemi cari allo sciismo e molto popolari tra
le masse, utili allo scopo di una strutturazione militante del movimento per una azione di
opposizione politico-ideologica.
Si formarono due ordini:
I. Ni’matullàhiyya, che si forma nel XIV secolo ma nel corso dell’800 si adeguò a un
atteggiamento dottrinario più prudente al fine di installarsi nel panorama religioso
dell’Iran.
II. Nuqtawiyya, un ordine Sufi con forti connotazioni di protesta politico-religiosa e che
trova le sue radici nello gnosticismo cabalistico della Hurufiyya del XV secolo. Il
nome di questo movimento deriva dalla concezione della terra come punto (nuqta) di
origine di tutte le cose. La dottrina consisteva in una sorta di metempsicosi
materialista per cui le particelle del corpo non venivano distrutte con la morte ma
erano assorbite dal suolo da cui riemergevano sotto forma vegetale o animale.
Si diffonde un’idea di religione popolare, spesso incrementata dall’alto per creare coesione
interna ed evitare comportamenti “devianti”. Da qui l’insistenza su pellegrinaggi e visite (ziyàra)
alle tombe degli imam e dei discendenti degli imam (Imamzade), nelle città di Qom, Mashhad e
in altri centri dell’Iran e dell’Iraq. A questi aggiungiamo i rituali di commemorazione del
martirio di Husayn e dei suoi seguaci a Karbala; nonché i rituali di commemorazione della morte
di Alì.
Lo sciismo si impone anche grazie alla diffusione della letteratura popolare, incentrata sulla
figura degli imam e sulla famiglia del Profeta.
Una delle conseguenze di questo fervore religioso, fu la marcata accentuazione degli aspetti
miracolosi e taumaturgici della azione degli imam.

L’Iran nel XVIII secolo: l’intermezzo afghano e Nadir Shah.


Con l’occupazione afgana della parte sud-est del paese, gli attacchi russi dal nord e le incursioni
ottomane da ovest, non era solo crollata una dinastia, ma sembrava in pericolo la stessa
sopravvivenza dell’Iran. L’arrivo sulla scena politica del turco Nadir Khan della tribù Afshar,
determinò una nuova svolta. Dapprima come comandante supremo dell’esercito, poi come
reggente per conto dei pretendenti safavidi, e infine come shah dal 1736, egli fu in grado di
riconquistare i territori perduti aggiungendovi le conquiste, pur se effimere, di Bukhara,
Samarcanda, Kabul, Jalalabad, Peshawar, Delhi. Per un brevissimo periodo (1732-33), riuscì
anche a occupare l’Iraq ottomano e le città sante (Najaf, Karbala, Samarra), dove rese visita ai
santuari degli imam.
Egli, dopo essere salito al potere, impone ai dotti la rinuncia alla maledizione publica dei primi
tre califfi. Egli propone inoltre un trattato di pace con l’Impero Ottomano, il quale però rispose

negativamente. Viene loro proposto di accettare la Scuola Ja’farita come quinta scuola sunnita,
ma viene respinta anche questa proposta. Fu poi emanato un documento nel quale si sanciva un
ritorno al sunnismo, abbandonando lo sciismo (1743), politica che non troverà seguito nei suoi
successori.

L’Iran nel XIX secolo: i Qajar (1796-1925), tra stagnazione, riformismo, tensioni millenaristiche
Clan tribale della originaria confederazione qizilbash di Shah Ismail, i turchi Qajar avevano
consolidato la loro posizione territoriale e militare grazie alle concessioni loro elargite dagli shah
safavidi. Teheran, allora piccolo centro di provincia, divenne la nuova capitale.
Muhammad ‘Ali Khan, fondatore di questa dinastia. Emerge già nel 1789 e viene incoronato
nel 1796. Sposta la sede di residenza a Teheran, che diventa la capitale e viene chiamata con un
termine che rinvia ad un’altra grande potenza dell’epoca: la chiamano sede del califfato,
similarmente agli ottomani. Egli non ha pretese religiose come i Safavidi, non avanza
rivendicazioni legate all’autorità religiosa e non costruisce una discendenza nobile dal profeta
che passa attraverso l’imam. Per legittimare il potere, si appoggia agli elementi più importanti
della società dell’epoca: il corpo di giuristi e teologi. Manifesta nei loro confronti il proprio
appoggio in modo diverso, costruendo moschee, costudendo scuole e restaurando santuari, dà
molta importanza alla costruzione delle strutture destinate alla commemorazione della tragedia di
kerbelà. Questa dinastia favorì le celebrazioni ufficiali della storia dello sciismo.
Il primo periodo di regno è caratterizzato da prosperità. Tuttavia la seconda parte del loro regno
cambia perché la storia della Persia è legata alla storia internazionale: diversi sono i motivi di
questo declino come:
− Tensioni politico-dinastiche
− Movimenti di opposizione
− Ingerenze straniere > frontiere insicure
Per quanto riguarda le ingerenze straniere, presso le frontiere turco-persiane si registrano alcuni
conflitti. In particolare modo il conflitto Persia – Impero ottomano nel 1821-23. Successivamente
abbiamo la stesura del trattato di Erzurum (1847), con cui si pone fine a tale scontro. Questo
trattato viene supervisionato dalla Russia e dalla Gran Bretagna. Prevede che lo shatt al’arab
passi definitivamente agli ottomani. Questo ovviamente crea ulteriori lotte.
Nelle Frontiere persiano-afghane, abbiamo l’indipendenza dell’Afghanistan (1919)
Conflitto con la Russia nel 1804-05 e uno successivo nel 26-28 con la perdita di Herat. Inoltre
abbiamo anche Un Conflitto con la Gran Bretagna, che porta alla perdita del Caucaso.
Si avvia un processo di modernizzazione, avviato a partire dal 1850; accelerato e imposto
dall’alto e su sollecitazioni esterne. Si instaura inoltre il cosiddetto sistema delle concessioni:
o Svendita delle risorse del paese
o Interferenza diventa condominio indiretto del paese
o Concessione, produzione e vendita del tabacco a Gerald Talbot, per cinquant’anni (1890)
Ogni provvedimento passa attraverso un sistema di concessione, perché la Persia non era molto
ricca e quindi per inserirsi nei circuiti mondiali commerciali ha bisogno che qualcuno la
sostenga. Lo shah appalta a ditte straniere la costruzione di infrastrutture e la
commercializzazione di alcuni prodotti persiani, come il tabacco o il cotone o anche il thé, in
cambio delle royalties.

Il processo di modernizzazione viene percepito come legato alla presenza di potenze straniere
all’interno del territorio persiano. Così la modernizzazione viene vista come un complotto per
l’espropriazione della Persia alla Persia stessa, perché ricavava beneficio chi stava al potere e le
potenze, le elite che ruotavano attorno ai poteri di turno.
L’uso delle concessioni ha un risvolto negativo per la popolazione locale ed è per questo che dal
1891 vi furono numerose proteste e atti di boicottaggio. Così nel 1892 viene revocata la
concessione.
In questo periodo si sviluppano anche i riformismi, cioè dei movimenti ispirati al panislamismo,
al nazionalismo, al modernismo. Nel 1896 assassinio di Nasir al-Din Shah.

Cap. VIII: Lo sciismo nei secoli XVIII-XIX


Il frutto della politica religiosa safavide è la presenza di numerosi giuristi, insegnanti, predicatori
e mullà. Il rapporto clero-corona è travagliato. Motivi:
− innovazioni giuridiche
− Alienazione delle ricchezze del paese
− Integrità della nazione
− Inefficienza dello stato
possiamo affermare che durante l’epoca qajar, il clero modifica la sua configurazione interna
alimentando la stratificazione interna. Il corpo del clero, dei giuristi ecc, diventa fortemente
gerarchizzato. Il loro potere deriva proprio dal consenso ottenuto grazie alla loro sapienza. Tale
corpo è inoltre economicamente indipendente. Stabiliscono una nuova politica matrimoniale per
la creazione di alleanze con la classe mercantile e quindi si crea un ulteriore consenso.
I qajar di fronte a questa evoluzione reagiscono, cercando di ricondurli all’interno dell’apparato
dello stato, rendendoli funzionali. È una strategia che non è però vincente in assoluto. Alcuni
mujtahid hanno, infatti, interferito con la politica estera.
Emergono alcuni dotti durante i primi decenni dell’epoca qajar. Tra questi ricordiamo Bihbihani
detto al-wahid (m. 1792). Egli nasce nel 1705 ad Isfahan; costretto a trasferirsi a Najaf con
l’arrivo degli afghani, poi a Bihbihan, sempre in Persia, per poi recarsi in Iraq dove sconfigge gli
akhbari, impiegando numerosi mezzi, come quello dell’argomentazione scritta, il dibattito.
Secondo alcuni, la sconfitta degli akhbari è legata anche ad altre cause, come la peste che aveva
colpito l’Iraq, causando la morte di numerosi rappresentanti akhbari, che a differenza degli usuli,
non erano emigrati.
Egli ha un gran numero di allievi, tanto arabi quanto persiani.
Elementi che caratterizzano il pensiero di Bihbihani:
• Rafforzamento del ruolo del giurista qualificato (mujtahid). Egli distingue tra chi ha
raggiunto le qualifiche tecniche necessarie per effettuare lo sforzo interpretativo, e chi
invece non le ha raggiunte, ed è quindi tenuto a seguire le regole stabilite dal mujtahid.
• Diritto del muhtahid di emanare sentenze e farle eseguire (anche tramite il corpo di
polizia)
• Condanna del sufismo, della filosofia gnostica e degli akhbari/tradizionisti.
Conseguenze > Nuova terminologia parte della tradizione imamita ma trasferita al mujtahid:
• Conoscenza superiore = a‘lamiyya
• Fonte di emulazione = marja‘iyya

• Emersione di mujtahid maggiormente autorevoli, accentuazione del ruolo di guida,


ampliamento del raggio di intervento.
A Bihbihani fu conferito il titolo di fondatore (mu’assiss) di una nuova fase della giurisprudenza
imamita. Tra i suoi successori ricordiamo suo figlio, noto con l’appellativo di Ammazza Sufi, poi
Bahr al-‘Ulum, a cui furono attribuiti numerosi miracoli e alcuni ritennero di vedere in lui
l’imam in stato di occultamento; e Kashif al-Ghita’ (m. 1812), autore di un influente testo di
diritto positivo. Con lui abbiamo la scomparsa dell’akhbarismo. Egli era contro i wahhabiti
(1803 e 1806).

Nascita ed evoluzione del concetto di marja’ al taqlid.


Nel 1848 si stabilisce una nuova terminologia, che dalla tradizione imamita ma trasferita al
mujtahid, quindi all’esperto giurista.
➢ Conoscenza superiore / a’lamiyya > il più qualificato, la persona che conosce più degli
altri ed è capace di dedurre le fonti del diritto.
➢ Fonte di emulazione / marja’iyya > qualità del giurista più esperto di essere fonte di
emulazione. Colui che ha la conoscenza superiore diventa la fonte di emulazione.
La tendenza dell’usulismo a individuare la figura del più erudito di ogni particolare periodo portò
all’emergere di un ristretto gruppo di giuristi che per doti morali, grado di conoscenza, numero di
studenti, seguito fra i fedeli, furono riconosciuti come aventi maggiore autorità.
Da questo momento in poi, la questione di chi fosse il «migliore» e il «più esperto», di come
arrivare a individuarlo e di quale fosse il quadro del suo agire ha costituito uno dei principali
motivi di dibattito tra i mujtahid.
Emersione di mujtahid maggiormente autorevoli, tra cui:
▪ Muhammad Hasan Najafi: marja’ al-taqlid / fonte di emulazione e na’ib al-imam /
vicario.
▪ Murtadà al-Ansari (m. 1864): l’unico marja al-taqild di tutto il mondo sciita.
▪ Mirza Hasan Shirazi: famoso per una fatwa sul tabacco > uso politico
Quindi abbiamo una accentuazione del ruolo di guida e all’ampliamento del raggio di intervento.
Tra gli allievi ricordiamo anche Mullà Ahmad al-Naraqi, un brillante giurista e militante. Ha
scritto riguardo la nozione di reggenza per conto dell’Imam in occultamento. Dice che l’imam
può pronunciare il jihad e, infatti, lo pronuncia contro la Russia nel 1826.
Questo suo trattato è sicuramente centrale per la riflessione che lui avvia sull’antica nozione di
reggenza per conto dell’Imam. Arriva alla conclusione che i giuristi con le giuste qualifiche sono
da considerare come i vicari dell’imam nascosto, quindi viene estesa ancora di più l’autorità
della figura del mujtahid. Il giurista è autorizzato a governare la comunità. Gli specialisti vedono
un’anticipazione della wilayat al-faqih, cioè la vicereggenza del giurista, di Khumayni cioè il
padre della rivoluzione iraniana del 1978-79. Tra questi due ci sono naturalmente delle differenze
che riguardano la custodia, il mandato legale e il mandato a governare; però la sostanza è la
stessa.
Il suo successore al-Ansari limitò molto le sue affermazioni, affermando una versione più
prudente della wilaya, intesa come un mandato legale.
Secondo, invece, Kashfi , durante il periodo di occultamento, agli ulama’ era demandata
l’autorità religiosa e ai sovrani quella secolare, sulla base sempre della shar’ia.

Nel corso del XIX secolo, gli ulama’ sono stati particolarmente attivi, soprattutto durante la
prima guerra Iran-Russia (1804-13). Qui gli è stato sancito il compito di lanciare il jihad quando
necessario, questione che si ripropose anche nel corso della seconda guerra Iran-Russia (1826).
Infine, nella Rviolta del Tabacco (1891-2), gli ulama’ riuscirono a coinvolgere vari settori della
società, così come poi avvenne nella Rivoluzione Costituzionale (1905-06) che porterà alla
promulgazione della Qanun Asasì, la legge fondamentale.
Nel fronte di opposizione ricordiamo Muhammad Ali Shah e Fadl Allah Nuri. Quest’ultimo
chiedeva delle modifiche della costituzione, inserendo l’Islam imamita come religione di stato e
creando un comitato di 5 mujtahid, esperti nel diritto e dotati di diritto di veto.

Evoluzione dello sciismo e correnti eretiche


Nel corso dell’800 si svilupparono nuovi movimenti mistico-filosofici e gnostici tra cui:
o Shaykhismo : dalla teologia speculativa di Shaykh Ahmad al-Ahsà’ì, il quale divenne
oggetto di profonda venerazione in Iraq.
o Babismo: un movimento messianico-millenarista che presto superò l’Islam instaurando
un nuovo sistema religioso e politico. Il termine babismo fa riferimento all’idea che il suo
fondatore era la porta (bàb) dell’imam nascosto e veicolo di comunicazione con lui.

Cap. IX: Lo sciismo nell’Oriente Arabo e in India.


Nelle politiche dell’impero ottomano nei confronti delle comunità sciite dei propri territori è
possibile riscontrare l’ampio spettro di possibili comportamenti discriminatori, dalla
segregazione ambientale e sociale all’accesso limitato alle opportunità di avanzamento e
integrazione, dallo sfruttamento economico alla mancanza di stato giuridico ufficiale.
Non ci fu da parte ottomana una deliberata e assidua politica di persecuzione continua degli
sciiti. In generale, riservarono il trattamento più duro ai Qizilbash per la pericolosità militare.
Il problema dei duodecimani del Levante arabo era, e continuò a essere, la mancanza di
riconoscimento ufficiale e legale in quanto comunità musulmana seguace di un rito proprio.
Questo era un fatto, d’altronde, non imputabile agli Ottomani, ma al sunnismo in generale e alla
storia dei suoi rapporti con lo sciismo fin dall’epoca omayyade.
Nel corso della seconda metà del ’700, la progressiva erosione della capacità di governo e di
intervento diretto degli Ottomani lasciò spazio a fenomeni di semigoverno provinciale e urbano,
a vantaggio prima di tutto dei notabili sunniti.
Il ’700 fu un periodo di grave declino per buona parte dello sciismo ottomano, sia culturale che
materiale; tale situazione proseguì, a eccezione dell’Iraq, per tutto l’800, in concomitanza con i
tentativi di riaffermazione dell’autorità ottomana, la comparsa di forme radicali di islam e la
progressiva influenza e presenza delle potenze coloniali.

Iraq
L’Iraq è l’altro paese arabo dove la comunità sciita imamita è maggioritaria. Sciita è anche la
minoranza persiana, spesso provvista di doppia nazionalità iraniana e ottomana. Anche molti
turcomanni sono sciiti. Invece esigua è la percentuale sciita imamita di curdi che sono soprattutto
sunniti. L’Iraq è plurietnico:

• arabi,
• persiani,
• curdi,
• armeni;
pluriconfessionale:
• cristiani di diversa appartenenza
• Ebrei
• Gruppi esoterici ed eretici
• Mandei, sabei
• Musulmani
Gli sciiti sono concretati, in particolare, nella regione meridionale del paese, dove sono anche
situate le loro città sante: Najaf, dove c’è il santuario di ali; Karbalà, dove c’è il santuario di
Husain. Basra è il centro più importante, nonostante vi sia una forte concentrazione sunnita.
Baghdad è sciita a metà.
Il profilo socio-economico sciita è oggi tra i più bassi del paese.
L’attivismo sciita iracheno è complesso da definire. Nel 1980 si crea un Consiglio Superiore
della Rivoluzione Islamica d’Iraq che anima operazioni dimostrative di piccolo cabotaggio,
sebbene ad esso si attribuisca un attentato a Saddam Hussain nel 1987. Lo scopo del consiglio è
quello di rovesciare il regime di Saddam Hussain e coordinare l’opposizione esistente nel paese.
Gli inizi dell’attuale risveglio sciita si possono datare al 1958, quando si conclude l’esperienza
monarchica hashimita e in particolare prende fine il regime di Nuri al-Said. Sale al potere Abd
al-Karim al-Qasim, paladino di una rivoluzione simile a quella dell’Egitto che portò al
nasserismo.
La maggior parte degli sciiti aderì al partito comunista iracheno.
Nel 1977 si impone Saddam Hussain. Questi, per legare a sé gli sciiti:
o Proclama festivo il giorno della nascita di Ali.
o Finanzia le fondazioni pie delle città sante.
Ma solo alcuni capi religiosi passano dalla sua parte, mentre la massima autorità sciita gli è
nemico e aderire alla sua alleanza viene dichiarato illegittimo. Tentano un colpo di stato, ma
fallisce e da lì (1979) iniziano le repressioni. Infatti vengono espulsi circa 75.000 sciiti iraniani
dal paese, cercando di stroncarne le attivitià in Iraq.
Gli sciiti sono però irriducibili. Essi sono fedeli alla causa nazionale durante la guerra con l’Iran,
guerra che essi combattono in prima persona, come soldati semplici. Ma appena conclusa la
guerra riprendono le loro agitazioni e ripropongono le loro rivendicazioni sociali e politiche.
La storia dell’opposizione sciita in Iraq, ha quindi, radici profonde.
Gli ottomani entrano nel paese (1534) e applicano all’Iraq una politica particolarmente
repressiva. Paradossalmente, è però in epoca ottomana che la comunità imamita irachena si
rafforza, sia numericamente che dal punto di vista del prestigio, nei confronti del resto
dell’ecumene sciita.

La massa degli sciiti di città è costituita da una piccola borghesia che vive a ridosso dei santuari e
grazie agli affari dei pellegrinaggi. È fiorente l’industria funeraria, visto che una tradizione
ininterrotta attribuisce valore salvifico alla sepoltura nelle vicinanze delle tombe di uno degli
imam.
La maggior parte degli sciiti è però legata alla terra. Nel sud si coltiva riso, ci sono piantagioni di
datteri e si allevia bestiame. Per lo più i contadini non sono proprietari terrieri; la terra è nelle
mani delle grandi famiglie o dello stato. La struttura tribale permane nelle campagne come
elemento di appartenenza.
Nella zona dell’Iraq e del Golfo, ci sono alcune tribù beduine che sono molto importanti dal
punto di vista politico perché costituiscono un pericolo costante per l’impero ottomano. Queste
tribù diventeranno poi imamite a partire dal XVIII secolo.
Al loro interno quei gruppi prevedono una rigida gerarchia, che distingue tribù nomadi e tribù di
rango inferiore, in parte sedentarizzate. Nell’inevitabile e classica interdipendenza tra contadini e
nomadi, si pone il loro ruolo all’interno della comunità sciita, destinato ad aumentare quando
intervengono forze esterne.
A metà ottocento, il governo ottomano dà avvio ad un periodo di riforme (tanzimàt). Alle varie
componenti religiose ed etniche dell’Impero viene riconosciuto lo statuto di Millet ma gli sciiti
non ottengono tale riconoscimento. Questo aumenta la discriminazione nei loro confronti, anche
perché gli viene negato l’accesso agli alti gradi militari.
In Iraq predomina il sunnismo rafforzato dalla relativa chiusura della comuntià sciita.
Gli sciiti dibattono sulla legittimità o necessità di un governo costituzionale, perché il governo
stesso possa esssere definito islamico. La prima costituzione viene concessa nel 1876 e subito
revocata. Questo troverà fondamenta anche in eventi storici non iracheni: rivoluzione
costituzionale in Iran e la rivolta dei giovani turchi. A ciò si collega il boicottaggio iraniano
(guidato dall’Iraq) del tabacco.
Sul piano dottrinale la disputa tra akhbàrì e usùlì impegna per circa un secolo l’elite religiosa
sciita in Iraq. L’usulismo esce vincitore e diventa la scuola di pensiero dominante.
La maggior parte degli esponenti di prestigio della comunità, tra cui molti capi tribali, si
esprimono contro la penetrazione coloniale. La Gran Bretagna è il nemico più pericoloso.
L’intellighenzia sciita si schiera, nella I guerra mondiale , con l’impero ottomano.
Nel 1917 gli inglesi occupano Baghdad e ottengono qualche anno dopo un mandato sull’Iraq. Gli
sciiti manifestano che poi si trasforma in una rivoluzione (1920-22) che culmina in un accordo
che comunque non frena l’ira sciita. Il governo quindi attua una rappresaglia di massa contro gli
sciiti.
In Iraq si giocano le sorti degli Abbasidi che, una volta al potere, vi fissano le loro capitali a
Baghdad e per un breve periodo a Samarra.
Nella prima metà del 900 si instaura la dinastia dei Buyidi, chiaramente sciiti. Questi non
perseguitano i sunniti iracheni ma si avvalgono del loro potere per promuovere su tutti i piani la
comunità sciita che deve loro la possibilità di un consolidamento. Nel 994 viene creata a Bagdad
una ricca biblioteca, grazie a fondi sciiti.

Con i selgiuchidi e poi con i mongoli si pone definitivamente fine al califfato Abbaside, con la
presa di Baghdad nel 1258, e la comunità sciita implode piano piano.
Il basso Iraq è la regione sciita per eccellenza. Dopo l’epoca abbaside, Baghdad perde molto del
ruolo che aveva e Basra diventa la città di maggior rilievo economico.
Bisogna aspettare l’avvento ottomano perché l’Iraq si ricompatti e gli sciiti tornino a far parlare
di sé.

Approfittando della tradizionale frammentazione geo-politica, le truppe di Shah Ismail I


occuparono l’Iraq centro-meridionale e le città sante sciite nel 1508. Nel corso della campagna
venne assoggettato un ennesimo movimento sciita estremista a carattere messianico ovvero i
Musha’sha’. Sotto i Safavidi, i Musha‘sha‘ agirono da governatori del Khuzistan/‘Arabistan fino
al XVII secolo, abbandonando gli estremismi messianici e uniformandosi a un più tranquillo
sciismo duodecimano.
Nel 1534, Baghdad e l’Iraq meridionale furono annessi all’impero ottomano da Solimano il
Magnifico (r. 1520-66). Il complesso mosaico etnico, sociale e religioso dell’Iraq imponeva un
delicato equilibrio di poteri e la concessione di una parziale semi-autonomia, in cambio
dell’obbedienza al sultano, il pagamento delle tasse e l’ordine sociale.
L’Iraq contribuì al flusso di eruditi che andavano a ingrossare le fila dei quadri religiosi del
nascente Stato safavide.
Nel corso del XIX secolo i rapporti di forza all’interno della comunità musulmana irachena
cominciano a cambiare radicalmente con la massiccia conversione delle tribù e degli arabi delle
paludi nel sud del paese.

Amoretti, Iran
La storia dello sciismo in Iran è strettamente collegata con quella dello sciismo iracheno. Non si
tratta di una specifica dipendenza, bensì di una manifestazione di una costante storica che vede
l’Iraq come entroterra naturale della civiltà che si sviluppa in Iran. Tale flusso verso e dall’Iraq
non si interrompe neanche quando vengono fissate frontiere politiche che delimitano gli spazi
culturali e geografici.
Non ci sono conflittualità quando il mondo iranico si apre all’Islam dopo la battaglia di
Qadisiyya del 637.
L’Iran viene considerato oggi la culla dello scisma, prestandosi a un passato molto antico che
invece risale all’inizio del 500: L’assunzione del credo sciita imamita come religione di Stato da
parte della dinastia allora al potere cioè i Safavidi, e la successiva conversione delle masse
iraniane allo sciismo, fino al suo farsi religione maggioritaria. Lo sciismo diventa elemento di
identità protonazionale solo dopo l’invasione afghana del paese (1722) condotta in nome
dell’ortodossia islamica. Il 92% delle popolazioni dell’odierno stato iraniano è oggi sciita.
Nei primi secoli dell’Islam, invece, lo sciismo in Iran era un fenomeno minoritario. Infatti in
questa zona, fin dall’viii secolo, vi erano ribelli di varia natura tra cui i kharijiti del Sistan. Si
tratta in genere di regioni di difficile accesso e perciò relativamente chiuse all’influenza delle
correnti ideologiche religiose che si vanno imponendo al centro dell’impero: Damasco e
Baghdad. Sono anche regioni dove risulta problematico stabilire il quadro religioso e culturale

precedente all’avvento dell’Islam. Tra le regioni geografiche più importanti in questo senso
ricordiamo:
L’Azerbayjian che cambia spesso nel tempo la sua fisionomia etnico-lingusitica. A partire dal XI
secolo, in questo territorio, si insediano I Turchi. Questo territorio acquista con l’Islam una
doppia anima:
1) continua ad alimentarsi della cultura cristiana e caucasica
2) Rafforza i suoi vincoli con l’Iran e in particolare con la componente persiana delle
popolazioni iraniche
Tutto l’entroterra del Mar Caspio costituisce invece una sorta di blocco relativamente
impermeabile a quanto avviene sull’altopiano. Tuttavia esso ai suoi collegamenti privilegiati da
un lato con il khorasan e dall’altro con il Qazwin e la regione circostante. Qazwin È una città di
cultura ed è molto importante nella storia dell’Iran. Essa è stata per lungo tempo una città sunnita
e spesso capitale delle dinastie locali, anche per gli Safavidi.
Il Khorasan È una regione di frontiera e di transito da e per l’Asia centrale ed è la sede
privilegiata dei primi coloni arabi venuti al seguito degli eserciti di occupazione e si configura
ben presto come un pesante polo di potere alternativo a Baghdad.
In tutte queste zone la dimensione rurale è quella che predomina. Troviamo molte rivolte a
carattere rurale i cui protagonisti sono spesso i piccoli proprietari fondiari che hanno mantenuto
il loro status anche dopo la conquista islamica, ma che dalla conquista non hanno tratto profitto
diversamente dei grandi latifondisti, i quali furono i primi a convertirsi. In realtà tutti questi
movimenti hanno una dimensione locale circoscritta e che non rappresenta una minaccia
importante per il potere centrale. La portata limitata delle rivolte permette al contrario ad alcuni
leader di ritagliarsi per qualche tempo una fetta di potere in loco.
In Iran ed è sempre presente la componente nomadica che verrà rafforzata quando sull’altopiano
giungeranno i turchi. L’interdipendenza tra nomadi e potere centrale è una costante storica
quando il paese innesca una politica espansionistica e l’elemento beduino tribale diventa
trainante sul piano militare. Non è raro che in Iran siano le tribù nomadi che a sposare forme di
religiosità estremi zanti che celano istanze eversive.
L’instabilità iranica produce numerosi effetti: il primo consiste in una forma di mobilitazione
latente in certe regioni che facilita, in momenti di crisi del potere, la riaccensione dei focolai di
opposizione. Ciò permette all’Iran di sperimentare presto forme di potere semi autonomo come
sarà per l’ismailismo cosiddetto riformato: questo è detto così perché ha preso posizione, a
partire dal 1094, Con il califfo fatimide legittimo che era stato brutalmente detronizzato e che
avrà il suo centro di potere in Alamut, a ridosso della zona caspica, come sempre rifugio di chi
trasgredisce. Alamut sarà il centro dell’opposizione ismailita, tanto pericolosa da Venir
considerata il nemico numero uno di ogni dinastia impiantatasi in Iran, fino alla caduta di Alamut
stessa, per mano mongola, nel 1256.
Solitamente si data la prima penetrazione sciita in Iran all’anno della sconfitta della rivolta a kufa
nel 687 di al Mukhtar, che contava tra suoi partigiani numerosi mawali iranici. È una rivolta che
ha inizio nel nome di Muhammad Ibn al-Hanafiyya. Centri per eccellenza imamiti: Qom,
Kashan, Mashhad. I miti di fondazione di Qom e di Mashhad sono collegati all’imamismo e
contrassegnati dalla sua presenza. Entrambe le città ospitano la tomba di un membro della
famiglia:

− A Mashhad > la tomba di Alì al rida, l’ottavo imam. Infatti Alì al-Rida è martire in terra
di Iran, infatti la città è stata costruita intorno alla tomba dell’imam.
− A Qom > la tomba di Fatima. Secondo la tradizione, questa città fiorisce per merito di
una famiglia araba cioè gli Ashari, che sceglie di emigrare da Kufa verso oriente e si
stanzia nella regione. La Qom musulmana nasce su una località già abitata.
Gli Ashari arrivano in Iran probabilmente ancora non acquisiti alla causa sciita. Questa città
viene scelta da alcuni sovrani per testimoniare il loro atteggiamento religioso come i Buydi. Essa
diventa poi nel XV con i turcomanni una sorta di capitale invernale per le battute di caccia,
tradizione che si mantiene anche con i primi Safavidi.
Qom produce anche figure di rilevo come Babawayhi, ideologo dell’imamismo del x secolo. E
qui sorgerà anche l’akhbarismo. Infatti qui lo sciismo passa da essere ideologia ad essere
dottrina. L’imamismo va così acquisendo una fisionomia distinta nel complesso corpo sciita e
consuma tra il III e il IV secolo dell’egira la sua rinuncia al potere e la conseguente pretesa di
essere una religione e non una politica.
Mentre meno costruita sulla presenza sciita è la città di Kashan, dove il sunnismo ha avuto
spesso un ruolo non secondario.
Altre città significative sono Abah e Rayy, non distanti dall’attuale Teheran convertite
probabilmente dal nono o dal decimo imam. Anche a Samarcanda ci sono molti ci sono molti
fedeli imamiti e nel Khuzestan c’è una scuola di tradizionisti imamiti. Ma comunque si tratta di
entità, fino a tutto il periodo timuride, di poco conto.
Nel Daylam e nel Tabaristan troviamo l’installazione di uno stato zaydita semi-indipendente. Lo
zaydismo caspico decadrà a partire dal XIII secolo e confluirà nell’imamismo sotto il dominio
safavide.
La sola forza in grado di contrastare l’espansione ismailita sono i Selgiuchidi che non si
accontentano del dominio dell’Iran ma proseguono verso occidente la loro opera di conquista, in
direzione dell’Anatolia bizantina e delle regioni del crescente fertile.
In Iran comincia a prendere piede la pratica della taqiyya (dissimulazione religiosa) per evitare
rischi. Quindi anche se gli sciiti ci sono, sono nascosti e non se ne può stabilire la storia. Si
sviluppa anche una scuola giuridica cioè lo sciafiismo, fondata da al-Shafi’i anche se si
svilupperà di più a Baghdad. Lo sciafiismo considera come fonte prioritaria per il diritto, dopo il
corano e la sunna, il consenso (ijma) dei dotti. In contrapposizione ai Selgiuchidi che invece si
proclamano i protettori del sunnismo nella forma hanafita.
Quando i mongoli arrivano in iran non sono musulmani, ma dopo che il primo sovrano mongolo
si convertì all’Islam si passò ad un’islamizzazione. Con gli ilkhanidi l’Iran viene unificato sotto
un unico dominio a cui si aggiunge l’Iraq. Dal momento che i primi mongoli non si interessano
all’aspetto religioso del territorio conquistato, rifluisce nel tessuto culturale dell’iran
l’ismailismo.
Un atteggiamento tollerante viene adottato da Tamerlano quando inizia la sua conquista dell’iran
che è completa intorno al 1395, dopo la morte dell’ultimo sovrano ilkhanide (intorno al 1353).
Il cinquecento segna un mutamento sostanziale per l’iran. Si impone infatti una dinastia turca i
cui capi appartengono alla Safawiyya (confraternita Sufi) che darà vita ad una forma di sciismo
estremizzante legata all’ala armata dei Qizilbash. Solo quando prende il potere Ismail si pone

fine a questo estremismo dei Qizilbash e dà manforte allo sciismo duodecimano. Il primo secolo
della dominazione Safavide è caratterizzato dalla conflittualità (per via dei Qizilbash).
Con il successore di Isma’il, Tahmasp, si acuisce ancora di più l’adesione all’imamismo.
Tra il XVI e il xix secolo, l’Iran subisce molti cambiamenti economici per diversi motivi:
1. Comparsa delle potenze europee + Russia e Inghilterra
2. Nuovi ceti sociali > mercanti, clero, elite intellettuale…
Il sufismo opera nel nuovo contesto a favore di una sciitizzazione di massa. Anche se comunque
si viene a creare un confronto-scontro tra sciismo e sufismo.
In epoca safavide si istituzionalizza la ritualità imamita:
− Culto delle tombe dell’ahl al-bayt
− Pellegrinaggi ai vari imamzade
− Ashura: uso di celebrare i primi dieci giorni di Muharram in memoria della morte di
Husain
− Taziya: celebrazioni sacre recitate durante l’ashura
Ovviamente in iran c’è anche il sunnnismo, soprattutto nella parte ovest del paese: curdi,
turkmeni, Afghanistan e Asia centrale.

Libano
Il Libano fu annesso all’impero ottomano nel corso della campagna di Selim I del 1516-17.
Anche qui la natura del territorio, la relativa importanza strategica e la complessità etnica e
religiosa (sunniti, sciiti, drusi, alawiti, cristiani) fecero sì che gli Ottomani, nel classico stile del
divide et impera, si accontentassero di un controllo spesso blando, lasciando il compito di
gestione nelle mani di clan «feudali» locali, principalmente cristiani e drusi ma, in minor misura,
anche sciiti, in un’intricata rete di alleanze e feroce competizione in cui l’appartenenza religiosa
non sempre era determinante nel definire gli schieramenti.
In Libano, la riaffermazione dell’autorità del sultano di Istanbul prese il via intorno alla metà
dell’800, e si fece più incisiva dopo gli scontri interreligiosi e i massacri di cristiani in Libano e
Siria del 1860 e la minaccia di intervento delle potenze europee.
Il problema della comunità sciita libanese dell’800 non era più tanto la mancanza di
riconoscimento, quanto il grave stato di arretratezza materiale e culturale, a causa di
un’economia agricola dominata da proprietari terrieri e regolata da pratiche di appalto e
mezzadria, mentre le altre comunità approfittavano dei progressi legati all’industria tessile e
mercantile, traducendo il tutto in termini di rappresentanza e influenza politica.

La penisola arabica
La storia della Penisola rimane secondaria e periferica. Il controllo della regione del Hijaz e
delle «due città sante» (Mecca e Medina) garantiva, però, un prestigio di grande valore simbolico
per la legittimità «universale» di qualsiasi dinastia e potere temporale. Con la conquista del
Medio Oriente e dell’Egitto nel 1516-17, gli Ottomani penetrarono anche nella Penisola, si
insediarono a Jedda e lungo la costa del Mar Rosso e misero sotto protettorato i luoghi santi,
concedendo un certo grado di autonomia ai clan familiari del casato del Profeta che da secoli vi
governavano, gli «sceriffi» (sharìf) hascimiti di Mecca e gli emiri di Medina. Il Il sultano Selìm I
e i suoi successori, fino alla prima guerra mondiale, furono così in grado di fregiarsi del titolo di

«Servitore dei luoghi santi». Molto più breve e instabile fu l’occupazione dello Yemen
(1538-1636), dove la tenace resistenza degli imam sciiti zayditi riuscì nell’intento di cacciare gli
invasori e stabilire un imamato che, salvo per un breve ritorno ottomano (1872-1918) durò fino
al 1962, anno della proclamazione della Repubblica dello Yemen.
Dalla metà del XVIII secolo, un nuovo movimento puritano-riformatore, il wahhabismo, prese
le mosse dal centro della Penisola (Najd) per avviare una lotta armata, qualificata come jihad,
contro le deviazioni, le corruzioni e le eresie che, a dire dei suoi seguaci, avevano intaccato
l’originaria purezza dell’islam. Il wahhabismo arrivò a conquistare i luoghi santi e gran parte
della Penisola nel corso degli anni Venti del Novecento, imponendo la propria versione di Islam
rigido e intransigente. Per le piccole comunità sciite, la scelta era tra difficile sopravvivenza o
forzata emigrazione.

Bahrayn
Con il nome Bahrayn («I Due Mari») i geografi musulmani medievali indicavano la zona
costiera che dal basso Iraq arrivava fino all’Oman. Il Bahrain è di estrema importanza sia per la
sua posizione strategica che si affaccia sul Golfo, sia per la presenza di innumerevoli giacimenti
petroliferi. Qui si instaura il wahhabismo, già dalla fine del ‘700, instaurandosi definitivamente
dal 1913. Nel 1981, gli sciiti tentano un colpo di stato in Bahrain, dove si sono avute proteste
massicce quando, nel 1980, viene ucciso in Iraq uno dei leader ideologici dell’imamismo
contemporaneo: Muhammad Al-Baqir al-Sadr.
Lo sciismo di Bahrayn era antico, connesso all’esperienza qarmata-ismailita di epoca medievale,
alla vicinanza geografica e alle affinità socio-economiche con le comunità sciite del sud Iraq.
Esso era localizzato nelle aree rurali, mentre gli insediamenti urbani e le aree semidesertiche
erano in prevalenza sunniti, di rito malikita e hanbalita. Allora come oggi, l’appellativo bahranì
(«di Bahrayn») serviva quale termine di autodefinizione, in opposizione ad «arabo» che indicava,
invece, la popolazione di origine beduina. Il Bahrain, dopo l’intervallo di dominazione
portoghese (1521-1602), cade in mano persiana per circa due secoli, nonostante i ripetuti
tentativi ottomani della prima metà del ‘700 di impossessarsi delle isole. Queste vengono
conquistate nel 1783 dagli Al-Khalìfa, una famiglia araba proveniente dal Qatar, che si impianta
in forma di dinastia.
Alla fine dell’800 il Bahrain diventa protettorato britannico per poi raggiungere l’indipendenza
nel 1971, grazie alla mediazione delle Nazioni Unite.
Il bahrayn è caratterizzato da:
• Ricchezza economica, dovuta soprattutto alla pesca di perle e al commercio di spezie,
datteri e tessuti di prestigio.
• Scarso popolamento.
• Debolezza delle formazioni politiche indigene.
• Continui tentativi militari di acquisire il controllo.
A partire dal XVI secolo abbiamo una massiccia presenza di potenze mercantili e militari
europee, fino alla conquista safavide del 1602. La dominazione safavide in questo territorio durò
più di 100 anni (1602-1717).

Nel 1783, i persiani lasciarono definitivamente Bahrayn, abbandonando il campo a una tribù
sunnita originaria del Qatar, i Khalìfa, la cui dinastia di emiri, pur dovendo accettare un lungo
protettorato britannico a partire dalla metà del XIX secolo, si è mantenuta fino ad oggi.
In grandi linee, le tendenze dello sciismo di Bahrayn si possono riassumere in un progressivo
passaggio dall’ismailismo allo sciismo imamita, nella forma usulì, con un riorientamento in
senso akhbarita nel corso del XVIII secolo. L’utopia egualitaria dell’ismailismo carmata rimase
politicamente importante in alcune tribù locali fin dentro il XV secolo, ma già nel corso del
secolo XIII compaiono i primi eruditi duodecimani di un certo spessore, tale da giustificare la
loro inclusione nei dizionari biografici.
La spinta politica e ideologica safavide causò, come detto, l’adozione della forma di sciismo
razionalista usulì, i cui effetti non si fecero attendere, visto che, dal XVII secolo, anche il
Bahrayn fu in grado di produrre un numero costante di importanti studiosi e giuristi che, per
necessità o scelta, andarono a ingrossare le fila degli emigrati in territorio safavide e iracheno.

Asia minore e Afghanistan


Entrambi sono culturalmente dipendenti dall’Iran. La fede musulmana in entrambi i casi è intrisa
di elementi preislamici ben connotati. Presentano un quadro etnico composito, formato da curdi,
turchi, armeni, georgiani, assiri, iranici, mongoli ecc. Questi due luoghi sono comunemente
definiti come sunniti. Le minoranze spiccano più altrove e vengono talvolta definiti come
estremistici o miscredenti, come avviene in Afghanistan.
Nei fatti le minoranze in questione non presentano alcuna eccezionalità intrinseca, al di fuori
della diversità loro attribuita. Lo sciismo acquista perspicuità alla fine del califfato abbaside, sia
in Anatolia sia in Afghanistan.
L’Anatolia conosce, a partire dal XVI secolo, repressioni e oppressioni delle minoranze secondo
logiche tipiche di uno stato centralizzato. Con la fine dell’impero ottomano, all’indomani della
rima guerra mondiale, la Turchia eredita atteggiamenti di chiusura verso le minoranze, anche
etniche non solo religiose.
Una certa continuità caratterizza invece la storia Afghana dove non ci sono dinamiche interne di
confronto.
L’Asia minore è l’ultima grande regione dell’area vicino-orientale sottomessa al dominio
musulmano. L’Islam vi arriva solo nel XI secolo con i selgiuchidi i quali impiantano la prima
dinastia islamica. Essi rappresentano nelle terre orientali del califfato la ripresa dell’egemonia
sunnita. La sconfitta dei tradizionali padroni dell’Anatolia avviene nel 1077.
Con l’invasions mongola e la frantuamazione dell’impero selgiuchide in Anatolia, questa si
divide in stati indipendenti. Nel frattempo tutti questi territori vengono lentamente turchizzati ma
l’islamizzazione procede più lentamente e con molte difficoltà. Infatti, nel 1560 due terzi della
popolazione anatolica è cristiana, sebbene vi fosse da tempo la potenza ottomana. Le conversioni
all’Islam sono prevalentemente sunnite, in armonia con la fede professata dal regime al potere;
scarsa la presenza sciita.
Il sufismo anatolico registra, specie a partire dal XIII secolo, forme di acceso estremismo.
Quando il potere ottomano entra in Anatolia (XV secolo) essa è hanafita quindi sunnita. Questi
attuano una profonda repressione, con deportazioni di massa nell’Europa ottomana.

Tra il 1515 e il 1521 gli ottomani organizzano una sorta di boicottaggio economico nei confronti
dell’iran, proclamando chiuse le frontiere tra i due paesi e illegali i traffici. Tutta l’anatolia entra
in una specie di impoverimento.
L’opera dei Safavidi è fondamentale nella propagazione dello sciismo fra i gruppi etnici in
Afghanistan. Si assiste, infatti, al loro esperimento di esportare il proprio modulo attraverso i
Qizilbash che accompagnano ogni loro tentativo di espansione. Il khorasan orientale, e in
particolare la città di Harat, diventa un centro molto importante conteso da vari popoli. Questa
popolazione era in parte hanafita e in parte sciita ma persofona. La città è profondamente ostile
ai pathani, l’etnia dominante afghana e infatti la città e l’entroterra urbano si ribellano al nuovo
regime Afghano.
Quando arrivò il colonialismo inglese le divisioni interne si acuirono. In questo periodo si tenta
di rompere la struttura piramidale dei poteri locali, intendendo quella dei capi-tribù. Le riforme
che la modernizzazione prevede, riguardano soprattutto l’assetto fondiario. Si tenta inoltre una
rilettura delle tradizioni e delle usanze.
Il Badakhshan è una regione molto importante per la storia dell’ismailismo perché qui un
pellegrino, di ritorno o proveniente dall’Iran, avrebbe portato una copia diwan testo che farebbe
riferimento alla tragedia di Alamut. Il Badakhshan è un centro da cui si irradia una consistente
presenza ismailita in tutto il paese, presenza il più delle volte mantenuta segreta per evitare
repressioni e rischi vari. Incerta la consistenza reale di tale presenza, che è però documentata a
Kabul.
Il grosso degli sciiti imamiti si divide in tre gruppi:
1) Gli hazara, stanziati nella regione di Hazarajat
Essi sono il risultato dell’omogenizzazione – dovuta alla comunanza di fede sciita in un ambiente
sunnita – di alcune tribù mongole giunte in Afghanistan nel XIII secolo e fissatesi
nell’Hindukush. Alcuni studiosi, inn quando persofoni, li omologano ai Qizilbash. Essi si
considerano un’etnia e danno molta importanza alla cultura, alla musica e alla poesia come
mezzo per rafforzare l’identità nazionale. Alla fine degli anni ’50 si presentavano ancora
suddivisi in clan / tribù a struttura patriarcale, praticanti una stretta endogamia religiosa, in
particolare favorendo il matrimonio tra cugini ma non imponevano il velo alle donne, le quali
potevano anche ereditare il potere.
A partire dagli anni ’70 si assiste nella massa a mutamenti di rilievo. C’è emigrazione verso le
città.
2) I farsiwan, nell’ovest del paese
Questi sono tradizionalmente i nemici delle tribù dei Durrani.
3) I Qizilbash che hanno i loro punti di massima concentrazione a Kabul, Harat, Qandahar e
dintorni.
I Qizilbash arrivano con i Safavidi e sostengono l’ascesa al trono del sunnita Ahmad Shah,
fondatore della dinastia dei Durrani. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del novecento sono
costretti ad indossare, gli sciiti, come segno distintivo un particolare turbante e a pagare una sorta
di capitazione, che tradizionalmente era invece chiesta solo ai non-musulmani.
I Qizilbash si mantengono anche in seguito relativamente legati all’Iran, sia culturalmente –
usando il persiano come lingua – sia idealmente.

Con l’avvento di Abd al-Rahman si ha il primo serio tentativo di fare dell’Afghanistan uno Stato
e di imporre l’autorità centrale su tutto il paese. Sennonché il sovrano favorisce i pashtofoni e i
sunniti, il che scatena l’opposizione degli Hazara anche in forma armata, da cui questi ultimi
usciranno sconfitti. Molti sono costretti a convertirsi per non essere considerati bottino di guerra
e ridotti al rango di schiavi. Tra questi non saranno pochi coloro che mettono in pratica la
dissimulazione religiosa che lo sciismo prevede quando l’esistenza del singolo o della comuntià
sia in pericolo.
Anche il successore, Habibullah, impone una recrudescenza fiscale e seicento nuclei familiari
tentano di fuggire in iran dove formeranno il primo gruppo politico di resistenza. Solo negli anni
’20 del novecento ottengono la libertà di culto che però viene rievocata negli anni 60 con
l’istaurazione della repubblica da parte di Da’ud il che scatenò numerose lotte interne.
Oggi come in altri paesi musulmani, in Afghanistan ci sono fronti uniti e varie organizzazioni
delle forze islamiche che si definiscono sciiti o i cui aderenti sono sciiti.

Il subcontinente indiano
Nel subcontinente indiano si concentra il grosso dei musulmani del mondo: oltre 160 milioni e
gli sciiti ne sono la minoranza. La divisione in due stati, consumatasi nel 1947, con il
conseguente trasferimento di popolazioni musulmane verso il Pakistan, indù verso la repubblica
federale indiana, lascia inalterata la consistenza sciita: 12% dell’India e e 15% del Pakistan. Più
definita la concentrazione sciita indiana. Nel Deccan o nel nord del paese.
La componente ismailita è invece numerosa nel Gujarat e nel Maharashtra, specie nella città di
Bombay. Il Kashmir è un’altra regione dove la presenza sciita è importante. Esso va certamente
visto geograficamente come parte integrante del subcontinente ma ha sempre presentato,
soprattutto dal punto di vista religioso, caratteristiche molto particolari.
Il Bangladesh è invece divenuto stato indipendente dopo la guerra di secessione del 1971 dal
Pakistan. Qui si sono raccolti gran parte dei musulmani del bengala. Oggi la popolazione è per
l’85% musulmana e il 10% sono sciiti. Qui non si è verificata alcuna contrapposizione tra sunniti
e sciiti.
L’Islam in india ha assunto una fisionomia specifica, tale da permettere l’ipotesi di un islam
indiano. L’influenza persiana non impedisce che nasca e si sviluppi una lingua locale: l’urdu, che
diventerà l’emblema della comunità islamica d’india e come tale sarà dichiarato lingua ufficiale
del Pakistan. Il sistema egualitario musulmano si piega alla struttura casuale della società
indiana. La necessità di ampliare, a favore dell’induismo, la categoria delle religioni ammesse
accanto all’Islam, tende a mantenere operante l’elastiicità giuridico dottrinaria propria dell’Islam
dei primi tempi. Nel complesso l’Islam appare più permeabile alla cultura indiana di quanto non
lo sia l’induismo all’Islam, nonostante i secoli di dominazione musulmana.
Qui lo sciismo è prevalentemente un fenomeno urbano e gli sciiti indiani, con l’esclusione degli
ismailiti, erano spesso del ceto medio. Molti di questi sciiti pretendono di risalire alla famiglia
del profeta e si definiscono sayyid, altri si definiscono ansàr, altri ancora come discendenti di
immigrati iraniani. Diversamente che in Afghanistan o nel libano, gli sciiti non costituiscono una
minoranza particolarmente sfavorita. Al contrario vantano un livello mediamente alto di cultura e
una situazione economica stabile e talvolta florida.

Secondo alcune leggende, lo sciismo nasce qui anticamente, già in epoca Ommayade, risalente a
qualche figura prestigiosa tra i primi seguaci alidi e attribuiscono alla pratica della taqiyya la
mancata visilità degli sciiti del subcontinente durante i secoli.
Alcune fonti classiche, per lo più sunnite, sono interessate a illustrare il passaggio dell’India al
mondo musulmano tout four e tralasciano la menzione di eventuali presenze minoritarie.
L’opinione più accreditata attribuisce agli ismailiti le prime conversioni indiane allo sciismo;
avvenute prevalentemente nel Sindh, la prima regione toccata da una spedizione arabosunnita. A
parte il caso di Sindh, la pnetrazione sciita nel resto del subcontinente è episodica e spesso legata
a singole personalità. Le vie di accesso all’India sono due:
1. La prima è quella del nord, da cui vengono tutti gli eserciti di occupazione. Questa è la
via maestra per l’introduzione delle grandi confraternite Sufi.
2. L’altra via di accesso è per mare. Non a caso la zona di Bombay è centrale nella
propaganda sciita. Si tratta di un missionarismo condotto da mercanti sciiti, arabi o
persiani, che raggiungono le coste per motivi commerciali e conducono un’azione di
proselitismo di portata limitata ma con irreversibili effetti.
I due possibili accessi all’India, rendono inevitabile l’inserzione dell’India nel panorama
politico-culturale iraniano: inserzione a sua volta strumentalizzata in loco, in funzione di
interessi locali.
Il cinquecento segna in inda, con i Moghul, una svolta decisiva. Questi hanno il loro punto di
forza nel nord, dove c’è la capitale: Delhi. Nella prima metà del 500 Akbar tenta di fondare e
diffondere una sua religione sincretica, non appoggiata dalle istanze musulmane. Egli favorisce
l’inserzione nell’apparato di potere di tutte le componenti etniche presenti alla sua corte – turchi,
persiani, afghani, indiani – al di là della confessione religiosa. A quest’epoca risale anche la
prima opera di polemica sunnita-sciita del mondo indiano.
Dei pesanti contrasti tra sunniti e sciiti si registrano a Delhi nella prima metà del XVIII secolo.
Lo sciismo non acquista mai una dimensione di massa. Sono poche le conversioni, a volte dal
sunnismo, e tra i notabili. Gli indù che optarono per lo sciismo sembrano farlo più in funzione di
interessi materiali, magari per usufruire della legislazione sciita sull’eredità. Nel XVIII secolo,
sono sciite le famiglie alidi, in genere proprietarie terriere, e gran parte dell’esercito al servizio
dei nawwab. Ma i militari sono immigrati e sono sciiti in quanto appartengono generalmente ai
Qizilbash.
Nel Deccan sono esplicite le componenti indù nell’ambito delle realizzazioni culturali tra il XIV
e il XVII secolo che vede al potere dinastie sciite. Questa presenza sciita comporta una rete di
rapporti privilegiati con l’Iran. In questa regione nasce l’urdu. In questa regione è nato uno stato
autonomo fondato nel 1590 da un sovrano sciita che venne inglobato dalla repubblica indiana
solo nel 1948. Qui si registra una piacevole collaborazione tra sunniti e sciiti. La dimensione
sciita del Deccan è medievale, fino all’avvento coloniale europeo. La dinastia bahmanide traduce
ufficialmente lo sciismo nel Deccan.
Famiglie importanti persiane si installano, fin dal xix secolo, a Bombay dove svolgono un ruolo
significativo nelle conversioni di Khoja all’imamismo.
Assume un ruolo particolare il Kashmir, terra di rifugio sciita, o per meglio dire meta di
emigrazioni non sempre spontanee. Molti tra gli immigrati alidi sono considerati sciiti in quanto
sayyid, anche quando il solo dato accertato è la loro appartenenza alla scuola giuridica sciafiita

che è quella per lo più professata dagli sciiti. È noto che la famiglia di Khomeyni, che rivendica
origini arabe e alidi, è stata impiantata per secoli nel Kashmir. L’emigrazione nel Kashmir di
alidi e di giurisperiti sciiti dal Libano e dall’Iran viene poi potenziata quando i Safavidi prendono
il potere. Tra la fine del 500 e la prima metà del settencento, vengono riscontrati innumerevoli
scontri sciiti-sunniti, praticamente subito dopo la conquista del Kashmir dalla dinastia Moghul
(1540). Tuttavia anche l’avvento Moghul non riconverte al sunnismo gli sciiti Kashmiri. Qui si
sviluppa un corpo di giurisperiti che segue l’evoluzione dei mujtahid iraniani. Il Kashmir guarda
così tanto l’Iran da venir soprannominato ‘piccolo iran’.
Il Pakistan è segnato da un certo contenzioso tra sunniti e sciiti. Le guerre tra Pakistan e India
facilitano una coesione, più apparente che reale, tra gruppi diversi a livello nazionale. Ma sunniti
e sciiti non si assimilano e le due parti acquistano sempre più il carattere di due entità distinte. La
peculiarità del Pakistan è quella di avere un suo ‘clero’. Attualmente gli sciiti sono documentati
in ogni località dove si era data una loro presenza nel passato.

Africa, Europa e America


Africa ed Europa hanno in comune il fatto di essere marginali rispetto al quadro complessivo
della presenza sciita nel mondo. In Europa e in America troviamo numerosi libanesi e iraniani.
Per quanto riguarda l’Africa ricordiamo una cospicua presenza sciita proviene dalle comunità
indo-pakistane. Qui si sviluppa un movimento internazionale islamico (al-jihad) convertito allo
sciismo dopo la rivoluzione iraniana. Si forma inoltre un movimento islamico per la libezione
dell’Azania, un movemento sciita dello Zimbabwe.
Nell’Africa occidentale, ad eccezione del maghrib, troviamo movimenti fondamentalisti che
promuovono un ritorno alle origini. Questa è una conversione piuttosto recente allo sciismo,
grosso modo dopo la rivoluzione iraniana, così come nella Costa d’Avorio dove abbiamo una
comunità di circa 100.000 sciiti.
In Africa orientale, lo sciismo prende piede già a partire dal xix secolo, piùprecisamente quando,
nel 1840, sayyid ibn sultan sposta la capitale del sultanato da masqat nell’Oman, a Zanzibar, per
ragioni commerciali e culturali.
Per quanto riguarda l’America, riguarda un gruppo di arabi che si trasferiscono e che sono per lo
più cristiani ma non mancano i musulmani, i maggioranza sciiti. Negli Stati Uniti troviamo una
comunità yemenita zaydita, in particolare in michigan che è un centro islamico con circa 100.000
libanesi. In canada, emigrano negli anni 50 numerosi pakistani che svolgono il ruolo di
professionisti o piccoli commercianti. In entrambi i luoghi troviamo molti ismailiti africani ma di
origine indiana.
Troviamo presenza sciita anche nell’ex unione sovietica e in particolare nella Georgia, dove si
stanziarono sciiti turcofoni di origine iranica cioè gli Shirvani. Qui abbiamo un risveglio islamico
meno autogeno che altrove e un processo molto rapido di aggregazione dei musulmani. Gli azeri
sciiti sono qui veicolo di transito di nuove idee provenienti dall’Europa e dall’Iran, soprattutto tra
il xix e il xx secolo.
Anche in cita troviamo una presenza sciita ismailita soprattutto nel Sinkiang, dove c’è una
comunità di 50.000 persone, in maggioranza turca.

Cap. X: L’età contemporanea.


L’Iran: la fine dei qajar e la rivoluzione costituzionale (1896-1911).


Il secolo XX ha rappresentato un periodo di grandi cambiamenti per il mondo musulmano e,
conseguentemente, per le comunità sciite. Tra gli eventi decisivi della storia dell’Iran moderno
ricordiamo la Rivoluzione costituzionale, prodotta da una crisi politica, di potere, economica e
sociale. Si apre questo periodo, che porterà alla promulgazione della carta costituzionale (la
prima del mondo islamico) nel 1905-06. Molte conquiste e proposizioni, della Rivoluzione
rimasero sulla carta o parzialmente realizzate, per:
• l’assoluta mancanza di mezzi e risorse finanziarie,
• il forte condizionamento esterno di Russia e Gran Bretagna,
• l’incapacità dell’Assemblea rappresentativa (Majlis) di venire a capo delle divisioni e
• delle lacerazioni interne e di tutelare la pace sociale e la sicurezza.
L’influenza della Rivoluzione fu, ad ogni modo, enorme in termini politici e culturali, tale da
condizionare tutta la storia dell’Iran contemporaneo.
Tutto prese le mosse dalla reazione, originata nel bazar e tra classi mercantili dell’epoca che
volevano riorganizzare il sistema doganale. La protesta è animata da diverse fasce della
popolazione tra cui i mercanti che volevano mettere a freno l’intrusione straniera ed evitare la
svalutazione dei prezzi della mercanzia. Tutto questo sfocia nella rivoluzione costituzionale,
appoggiata anche da vari esponenti del corpo religioso, tra cui al-Bihbihani e Tabatabai. Così nel
1906 abbiamo la creazione dell’assemblea nazionale elettiva che porterà nel 1906-07 alla
promulgazione della legge fondamentale / qanun-e asasi, tale legge determinò una vera. e
propria Costituzione, che lo shah firmò nel 1907, pochi giorni prima della sua morte.
Così sale al potere Muhammad ‘Alì Shah Qajar (r. 1907-09), fermamente contrario al
costituzionalismo, riunì intorno a sé le correnti ostili all’Assemblea, la quale era impegnata
nell’integrazione della Costituzione e nella definizione di due importanti questioni rimaste
irrisolte: i poteri e compiti del governo costituzionale e il ruolo dell’autorità religiosa. A questo
punto si fece più violenta l’opposizione di molti ‘ulama. Nel fronte di opposizione ricordiamo
Fadl Allah Nuri. Egli chiedeva delle modifiche alla costituzione, inserendo l’Islam imamita
come religione di stato e creando un comitato di cinque mujtahid, un comitato di esperti nel
diritto che sono dotati nel diritto di veto sull’attività legislativa dell’assemblea. L’integrazione fu
approvata.
Nel 1908 viene sciolta l’assemblea dallo Shah dopo un colpo di stato. I costituzionalisti, formato
un esercito, obbligarono lo shah all’abdicazione e all’esilio. Nuri fu giustiziato nel 1909, e l’anno
successivo anche Bihbihani. Nel 1909-11 anche il secondo Majlis viene dissolto.

Gli ‘ulama’ e la Rivoluzione costituzionale.


Durante la Rivoluzione Costituzionale, gli ulama’ ebbero sicuramente un ruolo importante
indipendentemente dal lato in cui si erano schierati. Di grande importanza fu il sostegno
ideologico al movimento costituzionalista proveniente dagli ‘Atabàt, i luoghi santi iracheni dove
gli esponenti dell’establishment religioso conducevano la loro polemica.
Il primo Majlis (1906-08) recepì, in effetti, alcune richieste di Nuri, riaffermando nella
Costituzione l’adesione all’islam sciita quale religione ufficiale dello Stato e riconoscendo
l’ascendenza della sharì‘a. Inoltre, con l’articolo 2, fu autorizzata la creazione di un comitato di
cinque mujtahid dotati del diritto di veto su tutta la legislazione dell’Assemblea nazionale, allo

scopo di rigettare e respingere qualsiasi proposta di legge contrario o non conforme alla legge
islamica.
Nell’interazione alla costituzione del 1906:
1) L’uguaglianza dei cittadini fu limitata.
2) Si proibì la pubblicazione di libri eretici.
3) Abolite le società che potevano nuocere allo stato e alla religione.

La dinastia dei Pahlavi: Rida Shah e Muhammad Rida Shah (1925-1979)


Nel 1921, Rida Khan propone un colpo di stato contro lo shah qajar, ispirato dagli inglesi. Egli
si muove contro Teheran e diviene capo dell’esercito, ministro della guerra fino a diventare
primo ministro nel 1923. Nel 1925 viene deposto l’ultimo shah dei qajar e, poco dopo, Rida
Khan diventa re, il cui regno durò fino al 1941. Così si diede avvio ad una nuova dinastia: i
Pahlavi.
In questo periodo abbiamo un recupero dell’identità iranica / achemide, quasi saltando il periodo
islamico ed è un tratto che accomuna tutti i territori persiani che hanno una cultura più antica
della cultura islamica, e una limitazione influenza dei dotti. Propongono una modernizzazione
del paese, cercano di renderlo simile all’occidente perché deve consumare i prodotti
dell’occidente. Le politiche messe in campo vengono sentite come operazioni che sono al di
fuori delle regole della democrazia che procuri un benessere alla comunità tutta. Questi sovrani
attuano un assolutismo. La loro è una cattiva politica perché favoriscono solo alcuni segmenti
della società, come l’elite.
Rida Shah mise in moto un drastico e autoritario programma di interventi statali su tutti gli
aspetti della vita politica, economica e culturale del paese, in gran parte impostato sulle linee
guida del programma di rigido centralismo di Mustafà Kemal Atatürk in Turchia.
Inevitabilmente, egli entrò in rotta di collisione con la gerarchia religiosa, della quale procedette
a ridurre le basi economiche con l’emanazione di codici secolari (commerciale, penale, civile)
che ponevano seri limiti alle sfere di competenza dei tribunali della sharì‘a, cancellavano le
funzioni di notaio da parte dei giudici, e stabilivano il controllo diretto delle fondazioni religiose.
Particolarmente aggressive, in stridente contrasto con le secolari tradizioni del sapere sciita e le
modalità del percorso di studi del giurista-teologo, furono le misure che egli volle imporre per la
certificazione obbligatoria dello status di erudito religioso e l’adozione di un curriculum unico
per le scuole religiose redatto dal ministero dell’Istruzione.
L’imposizione dall’abbigliamento «all’occidentale» per gli uomini e la proibizione del velo e del
chador per le donne, e la messa al bando delle ta‘ziye e delle altre forme pubbliche di
commemorazioni sciite furono vissute in vari ambienti come un affronto ai sentimenti e alla
coscienza religiosa del paese.
Rida Shah attua una politica filogermanica che vede l’invasione sovietica e inglese dell’Iran, con
la successiva abdicazione di Rida Shah nel 1941 sostituito da Muhammad Rida Shah. Con lui
si ha una ripresa dell’attivismo del partito comunista Tudè; la nascita di altri partiti e l’attivismo
degli ‘ulamà. Questo è un periodo molto turbolento:
− Arresto di comunisti e islamisti
− Creazione della SAVAK (1957)
− Monarchia totalitaria

− Scioglimento dell’assemblea e sospensione della costituzione


I primi anni del regno di Muhammad Rida Shah (r. 1941-1979), riconosciuto re anche da Gran
Bretagna e URSS, sono caratterizzati da:
➢ Occupazione alleata.
➢ Crisi economica.
➢ Instabilità interna.
➢ Riattivazione delle attività dei comunisti iraniani.
➢ Ripresa dell’attivismo da parte degli ‘ulama’.
Dopo aver rovesciato il governo del nazionalista Mossadeq, con l’appoggio americano e
britannico nel 1953, lo shàh procedette alla riduzione graduale e inesorabile delle già deboli
forme democratiche del paese, con arresti ed esecuzioni di comunisti e islamisti. Il carattere
sempre più totalitario della monarchia, espresso nello scioglimento dell’Assemblea nazionale e la
sospensione de facto della Costituzione (1961), portarono la tensione allo scontro frontale.
Nel 1962-63, l’Iran fu tetro di grandi proteste che presero il nome di Rivoluzione Bianca. Essa
consisteva in:
• Una riforma agraria.
• Accentuazione del controllo governativo sulla destinazione dei proventi delle fondazioni
religiose (waqf).
• Riordino del sistema educativo e dell’istruzione.
• Creazione di un esercito del sapere.
• Riconoscimento del diritto di voto attivo e passivo delle donne e la riforma del codice di
famiglia.
• Religione di stato, sotto il controllo personale dello shah.
È in questa fase che abbiamo un personaggio di spicco: Ruhallah al-Khumaynì (1902-1989).
Egli proclamò nel 1963 la natura anti islamica del governo, ma la sua linea di pensiero non fu
condivisa e fu costretto all’esilio.

La rivoluzione e la nascita della Repubblica Islamica: alcune osservazioni


Gli anni Settanta furono assolutamente disastrosi per l’Iran e il governo dello shàh. L’economia
del paese era afflitta da una grave e crescente inflazione e le misure decise per contrastarla
producevano effetti negativi sull’occupazione, accrescendo il malcontento tra le classi popolari
già in difficoltà. Nelle campagne i grandiosi piani di trasformazione previsti dalla riforma agraria
e dalla roboante «Rivoluzione bianca» si stavano rivelando un fallimento.
Il perseguimento di un’opera di forzata modernizzazione, senza concedere alcunché in termini di
democrazia, la natura poliziesca del governo e l’assoluta incapacità di capire la situazione
trasformarono il malcontento in determinazione militante fornendo, paradossalmente, quel
collante unitario che doveva portare alla rivoluzione.
Il massacro di civili a Qom il 9 gennaio 1978, seguito a una manifestazione nella quale si
richiedevano il ripristino della Costituzione del 1906-07, la riapertura delle università e il ritorno
di Khumayni dall’esilio, è considerato generalmente il punto di partenza della catena di eventi
che condussero al rovesciamento del regime dello shah. Il primo febbraio 1979 Khumaynì, ormai
noto come l’Imam/«la Guida», rientrò dall’esilio cui lo shah lo aveva costretto nel 1964 per
diventare l’effettivo capo dello Stato.

Khumayni fu un personaggio quindi fondamentale. Nel 1979 viene quindi istituita la repubblica
islamica dell’iran e venne approvata la nuova costituzione.
La rivoluzione iraniana è stata inquadrata all’interno del movimento islamico, espressione
abbastanza generica e ambigua, perché non è relativa solo alla rivoluzione iraniana, ma anche ad
altri movimenti. La rivoluzione Iraniana può essere collocata all’interno dell’islam radicale
(islamismo). Quest’ultimo si presenta in maniera differente a seconda dei contesti in cui opera;
sebbene i vari movimenti si declinino diversamente, le cause sono sempre le stesse.
Elementi che accomunano i vari movimenti:
- Pedissequa imitazione dell’occidente > ha portato a considerare l’età dell’oro dell’islam il
periodo per eccellenza.
- Modernizzazione senza equilibrio che ha portato a crisi di legittimità.
- Crisi economiche. In Iran ad esempio, lo sfruttamento delle risorse era gestito da autorità
esterne (America).
- Allo stato-nazione si oppone la fondazione dello stato islamico.
Il successo della Rivoluzione iraniana, il suo carattere ideologico, il processo di creazione della
Repubblica islamica e la sua Costituzione, hanno avuto importanti conseguenze per la gerarchia
dei mujtahid della cosiddetta «internazionale» sciita; laddove la rivalità per la suprema carica di
marja‘ era stata, in un certo modo, attenuata dalla tradizionale libertà data ai fedeli di seguire
qualsiasi grande mujtahid, l’ideologizzazione khomeinista ha trasposto la competizione religiosa
sul piano politico e di potere. Soprattutto, dopo la Rivoluzione, le discussioni sulla teoria del
«governo del giurista» non sono arrivate a conclusione definitiva e restano oggetto di
controversia e polemica.

Lo scisma in Iran la continuità e rottura: il concetto della wilayat al-faqih


Ruhallah Khomeyni (1902-1989), nacque a Khomeyn, diventa presto orfano del padre, e
cominciò il percorso di formazione che lo porterà a diventare mujtahid (1935). Studiò con al-
Ha’iri nella città di Qumm, dove si trasferì a 19 anni. Egli emerge dapprima nella disciplina
mistico-teosofica; pubblicò un testo nel 1944 Kashf al-asrar (lo svelamento dei misteri), dove
egli tratteggia la wilayat al-faqih = vice-reggenza del giurista, tenuto a governare.
Secondo Khomeyni, il monarca deve essere scelto da un’assemblea di giuristi qualificati ed è
indispensabile che egli aderisca alla legge islamica > soluzione provvisoria finché non venga
istituito un sistema migliore.
Khomeyni fu un oppositore di Muhammad Rida Shah. La sua opposizione nasce già nel 1963,
durante la rivoluzione bianca, costituita da una serie di provvedimenti governativi e riforme
suggeriti e sostenuti dall’amministrazione americana (creazione di un esercito del sapere,
elemento che mirava da parte dello shah al controllo del clero sciita; nazionalizzazione delle
foreste; riforma agraria ecc…). In particolare la riforma agraria sottraeva al clero numerose terre,
motivo per cui il clero stesso si ribellò. Khomeyni mise in discussione il carattere anti-islamico
delle riforme, non le riforme in sé.
Il clero si divide tra una parte più moderata e una parte militante, che si schiera accanto a
Khomeyni.
Proteste e arresto di Khomeyni (1963), che viene scarcerato nel 1964. Proprio a quest’anno risale
un momento decisivo per la storia dell’Iran e al ruolo di leader di Khomeyni: immunità




diplomatica per tutti gli americani residenti in Iran + prestito di armi > espressione della
sudditanza nei confronti del governo americano.
Nel 64 fu di nuovo arrestato ed esiliato, dapprima in Turchia e poi nel 65 a Najaf, dove resterà
fino al 68, dove Saddam Hussein, pressato da Muhammad Rida Shah, lo caccia. Khomeyni si
reca così a Parigi, da dove riesce comunque a guidare la rivoluzione.
A Najaf e poi a Parigi, Khomeyni redige la dottrina della wilayat al-faqih al-mutlaqa (assoluta) e
la concepisce come unica forma di governo legittimo. Questa dottrina viene elaborata durante
una serie di conferenze che egli tiene a Najaf, intorno agli anni 70. Queste conferenze sono
confluite in un unico testo chiamato “Il governo islamico. L’attività spirituale del giureconsulto”.
L’occidente è accusato di aver soppresso le leggi islamiche e giuridiche dell’Islam sostituendole
con importazioni europee. Da qui l’appello alle giovani generazioni di musulmani al fine di
ristabilire «la verità riguardo alle dottrine e alle leggi islamiche, redigere e pubblicare le leggi
dell’islam e spiegarne l’utilità, migliorando la maniera di comunicare il messaggio e il modo
d’agire. Gli specialisti della legge non si accontentano di stare in disparte (a Qumm o a Najaf) a
trattare qualche argomento secondario, ma intendono occuparsi attivamente di politica.
La necessità di unire la nazione dell’Islam; i musulmani sciiti hanno il compito di prevenire il
caos istaurando un governo che sia giusto, cosa che potrebbe affrettare il ritorno dell’imam in
occultamento.
Il governo islamico è costituzionale, nel senso che i suoi dirigenti sono guidati dagli elementi
portanti dell’islam, cioè il Corano e la Sunna.
Nell’Islam Dio è il legislatore per eccellenza ed egli è il vero sovrano; nessuno quindi ha il
diritto di emanare leggi, ma solo le leggi del vero legislatore possono essere applicate. Il giusto
governo si può realizzare solo in presenza del giurista qualificato, che può accedere alle fonti per
eccellenza e comprenderle. I poteri politici esercitati dal Profeta, poi dall’imam e
successivamente dal giurista, sono gli stessi, anche se i 3 hanno status e rango diversi.
Khomeyni, a sostegno della sua dottrina, cita delle fonti:
▪ Tradizione di Ibn Hanzala, i cui protagonisti sono Ibn Hanzala e il sesto imam (Jafar al-
Sadiq) a cui chiede di indicargli un esperto per dirimere una disputa; l’imam gli risponde
di rivolgersi a qualcuno della scia informato della legge e della dottrina, che è per lui
hakim = arbitro, persona dotata di autorità di governo.
▪ Corano 4, 58-59 “Oh voi che credete, obbedite a Dio, al Suo Messaggero e a quelli che di
voi detengono l’autorità” = imam e mujtahid
▪ Critiche alla wilayat al-faqih: da parte del clero moderato
▪ Ayatallah Shari‘at-Madari (m 1986)
▪ Ayatallah Abu al-Qasim al-Khu’I (m. 1992)
Elementi di critica alla dottrina:
1. L’autorità dei giuristi non può essere posta sullo stesso piano di quella del profeta e
dell’imam
2. Il giurista non deve assumere il potere che invece va affidato ai laici
3. Il giurista ha il compito di consigliare, di far sì che l’attività del governo non sia in
opposizione con i principi dell’islam
4. Tutti i giuristi non possono essere subordinati ad uno solo > questo è contrario alla
tradizione.

5. Rifiuto della scelta del marja‘ da parte dell’assemblea.


‘Ali Shari‘ati (1933- Londra 1977).
Secondo alcuni esperti, ‘Ali Shari‘ati è uno dei pensatori più interessanti del XX secolo. Egli non
fa parte del clero, ha studiato in Europa e secondo alcuni egli rappresenta l’antitesi di Khomeyni.
‘Ali Shari‘ati esalta il ruolo dell’intellettuale religioso come agente del cambiamento
rivoluzionario. Egli si muoveva nel campo filosofico, ma si definiva sociologo. Le sue idee erano
molto conosciute e diffuse all’interno dell’Iran, in particolare dai giovani laici istruiti. > IDEE
RADICALI e criticate dagli ulamà.
Nel 1975 viene liberato dopo essere stato imprigionato, e gli vengono concessi gli arresti
domiciliari. Poi si trasferisce a Londra, e secondo le fonti ufficiali muore per un attacco cardiaco,
anche sa alcuni pensano sia stato ucciso dagli agenti segreti.
‘Ali Shari‘ati teorizza che l’Islam, come ideologia, e quindi anche lo sciismo come forma di
islam, equivale ad una rivoluzione permanente. (teologia islamica di liberazione)
Egli utilizza il patrimonio collettivo islamico (monoteismo, profeti ecc…) e dello sciismo, per
dimostrare che, ad esempio, anche i profeti sono stati rivoluzionari nei confronti del sistema
politico, sociale e culturale in cui vissero. Attraverso questi esempi, che egli attualizza, propone
delle analogie. Egli fa rifermiento anche ai fatti del ’63, quindi a Khomeyni, che si oppone al
sistema.
Egli fa tutto questo per spingere il popolo ad impegnarsi per la realizzazione di questo nuovo
assetto. Un altro elemento interessante è che “l’Islam ha il merito di essere la prima scuola di
pensiero sociale” perché riconosce nel popolo (al-nas) un fattore cosciente e fondamentale
nell’evoluzione della storia.
‘Ali Shari‘ati riflette sulla taqiyya = dissimulazione religiosa vs shahada = martirio,
testimonianza
Lui afferma che questi due elementi, che sono tratti caratteristici dell’islam, in particolare quello
sciita, si tramutano in un vero e proprio dovere che lo sciita deve praticare. La shahada è in
alcuni casi doverosa. → testimonianza della scelta della verità.
‘Ali Shari‘ati insiste sulla divisione tra oppressore e oppresso, diseredato; quest’ultimo ha il
dovere di combattere l’oppressore.
Il vero e puro Islam è da lui identificato nello sciismo primigenio, quello di Alì e della sua
famiglia da lui definito come Sciismo rosso → filosofico e politico, che predica la ribellione.
Questo è in opposizione allo sciism attendista, conservatore e oppressivo del periodo safavide e
post-safavide, da lui chiamato sciismo nero. Operando una distinzione tra religione come
istituzione e religione come rivoluzione, Sharìati fa dello «sciismo alide»/«rosso» il
rappresentante degli oppressi contro il dispotismo e lo sfruttamento, lo strumento di giustizia,
uguaglianza, verità, tramite il quale le masse si ribellano.
Altri eventi che hanno contribuito alla rivoluzione sono:
❖ 1973-75, boom economico e le contraddizioni che la modernizzazione produce + fase
successiva della recessione
❖ 1975 fondazione del partito della rinascita, da parte di Muhammad Rida Shah
❖ 1976 recessione, legata al ribasso del prezzo del greggio > provoca ribasso dei salari,
molti prodotti di consumo vennero bloccati > colpiti i bazary, costretti alla vendita dei
loro prodotti ai prezzi dello stato

❖ 1977 si richiedono delle riforme democratiche + rispetto dei diritti umani. L’associazione
degli scrittori richiede la libertà di parola e di associazione + richiesta di avviare un
processo di liberalizzazione economica. Richieste degli scrittori > durante la
manifestazione “le 10 notti di poesia a Teheran”
❖ Uccisione di Shari‘ati
❖ Morte di Mustafà, figlio di Khomeyni > manifestazioni represse nel sangue
❖ Khomeyni dirige la scena grazie ad una fitta rete di seguaci appartenenti al clero militante
L’organizzazione dell’insurrezione è avvenuta tramite l’utilizzo di elementi per esprimere
dissenso (con slogan onnicomprensivi, relativi a tutti i ceti sociali):
§ Associazioni clandestine
§ Fondazione del giornale Enteqam = vendetta
§ Comitato segreto
Nel 1978 Khomeyni viene accusato di essere comunista e spia della Gran Bretagna; questo dà
adito a nuove proteste. Lo shah riduce i salari e reprime nel sangue ogni forma di protesta.
Nel Dicembre 1978, durante i festeggiamenti di Ashura, molte persone scesero in strade e
l’esercito ne uccise 700. Queste persone erano vestite di bianco, segno del martirio > primo atto
di emulazione sull’esempio di Husayn, come Shari‘ati aveva insegnato.
Viene nominato come primo ministro Bakhtiyar, che aderiva al partito nazionale, da cui venne
ripudiato. Shari ‘ar-Madari, parte moderata del clero, però richiede le libere elezioni. Il 16
gennaio 1979 Muhammad Rida Shah lascia l’Iran e l’1 febbraio 1979 Khomeyni ritorna in Iran.

Repubblica islamica d’Iran.


Gli sviluppi post-rivoluzionari sono stati assai complessi. Alcuni parlano di un periodo di
involuzione della rivoluzione stessa. Khomeyni progressivamente delegittimò tutti i suoi
avversari, come il partito comunista, le forze politiche liberali moderate, alcuni rivali anti-
islamici progressisti, ecc…
Khomeyni dirige l’Iran dal ’79 all’ ’89 attraverso il consiglio dei guardiani della rivoluzione
(chiamati Pasdaran).
Viene fondato anche i partito repubblicano islamico (non guarda né ad est n ad ovest, ma alla
proprie tradizioni), sulla base della sua nuova ideologia radicale della wilayat al-faqih. Questo è
uno strumento politico importante che permise al governo di indirizzare la popolazione.

La costituzione del 1979


In grandi linee, ricalcava in parte la carta del 1906-07, il progetto costituzionale fu ratificato
dall’assemblea degli esperti, composta in stragrande maggioranza di religiosi. Più che il pensiero
di Khumayni, sulla forma finale della Costituzione iraniana fu decisivo l’apporto del grande
mujtahid iracheno Muhammad Baqir al-Sadr (m. 1980). Ai primi di febbraio del 1979, egli
aveva redatto e fatto circolare una propria opinione sulle caratteristiche e le finalità dello Stato
islamico, per passare poi a sviluppare uno schema coerente di Repubblica islamica costituzionale
che istituzionalizzasse il ruolo dei giuristi nel quadro della visione di Khumayni. Molte delle sue
proposte e definizioni furono riprese e inserite, con alcune modifiche, nel testo definitivo. Fu
Sadr, infatti, a delineare la tipologia della funzione primaria del marja‘ in un sistema politico



islamico: capo dello Stato e comandante delle forze armate, con facoltà di nomina, o di
approvazione, di candidati alla carica di presidente e capo dell’esecutivo
La Costituzione fu sottoposta a referendum e approvata con voto plebiscitario nel dicembre del
1979.
(art. 56). La Guida religiosa è il garante dell’applicazione della legge divina e arbitro e
supervisore tra i differenti rami del governo: legislativo, esecutivo, giudiziario.
La Repubblica islamica è un sistema basato sulla fede nei seguenti princìpi: 1) il monoteismo
[…]; 2) la rivelazione divina e il suo ruolo fondamentale nel determinare le leggi; 3) la
Resurrezione […]; 4) la giustizia divina nella creazione e nelle leggi; 5) l’imamato, come
funzione di guida ininterrotta e il suo ruolo fondamentale nella continuità della Rivoluzione
islamica; 6) la dignità dell’uomo e i nobili valori umani, e il libero arbitrio dell’individuo con la
responsabilità che a esso si accompagna davanti a Dio» (art. 2). Pilastri del credo sciita.
Durante l’occultamento dell’imàm nascosto, il mandato a governare e la guida della comunità
sono di competenza del giusto e pio giurista che possiede conoscenza, coraggio, abilità in campo
amministrativo.
L’imamato, definito continuo, equivale a leadership ininterrotta e viene raccordato al continuo
ijtihàd dei giuristi, per cui, secondo Arjomand, si può parlare di «trasferimento dell’imamato
dagli infallibili imàm al giurista capo della Repubblica islamica». A Khumayni, definito Imàm in
tutto il documento, vengono riconosciute le qualità necessarie per assumere il ruolo di guida, tra
cui la qualifica di marja‘ (art. 107), con specifici e ampi poteri (art. 110):
❖ comando supremo delle forze armate e delle guardie rivoluzionarie,
❖ nomina dei giuristi che fanno parte del Consiglio dei guardiani,
❖ nomina della massima autorità giudiziaria,
❖ ratifica della elezione del presidente, destituzione dello stesso per incapacità e
incompetenza dichiarate
Ai giuristi del Consiglio dei guardiani è data facoltà di sospendere la Costituzione o le leggi dello
Stato se ritenute contrarie con i princìpi dell’islam.
Lo sciismo imamita costituisce la religione ufficiale dello Stato, ma le quattro scuole giuridiche
sunnite e lo zaydismo sono ugualmente «considerati con assoluto rispetto, e i loro seguaci sono
totalmente liberi di professare, insegnare e compiere gli atti di culto previsti dai rispettivi
Canoni» (art. 12). Cristiani, ebrei e zoroastriani sono le «sole minoranze riconosciute» (art. 13).
Vengono così esclusi, ad esempio, i bahai.

Cap. XI: L’Oriente arabo


Iraq
L’Iraq è la culla dello sciismo. L’Iraq è pluriconfessionale e questo incide sulla questione
irachena > abitato da musulmani sunniti e sciiti, comunità di ebrei e cristiani. Oltre a questo, è
anche un paese multietnico: arabi, persiani, armeni e curdi. La questione irachena nasce su
queste diversità, soprattutto su quella etnica curda e quindi tutta la questione sull’autonomia del
Kurdistan.
Gli sciiti sono una comuntà importante in Iraq perché sono la maggioranza dei musulmani. Nel
1900 sono i tre quarti della popolazione. Questi in parte sono arabi anche se molti sono persiani,
anche alcuni curdi aderiscono allo sciismo: si trovano concentrati nelle città sante sciite tra cui

Najab, che diventa luogo di attivismo politico ed è un centro di pellegrinaggio. Qui si sviluppano
importanti scuole di formazione anche religiosa, politica e giuridica.
Anche la Siria è sciita, in particolare la città Zayda Zeynabnla quale nasce attorno al mausoleo
omonimo, che è diventato naturalmente meta di pellegrinaggio, centro culturale e gli sono state
poste attenzioni politiche. Qui hanno inoltre fondato molte scuole teologiche.
Altri centri importanti (wilayat) nella prima metà del ‘900 sono: Baghdad, Mosul e Bassora; a
cui si aggiunge anche Samarra. Intorno al XVIII-XIX secolo assistiamo ad un movimento di
conversione verso lo sciismo. Secondo alcuni dovuto alla politica ottomana, in particolare alla
politica amministrativa ottomana, in particolare la costituzione di grandi fondi territori affidati ai
notabili più improntanti.

Bassora, Najaf, Kerbelà

Nel corso della prima guerra mondiale, tra il 1914 e il 1916, gli sciiti combatterono duramente
contro gli invasori inglesi del corpo di spedizione indiano, poi procedettero all’espulsione del
governo ottomano e dei suoi funzionari dalle città-santuario.

Nel 1916 abbiamo gli accordi di Sykes-Picot, che portano ad una spartizione dei territori della
mezzaluna fertile:
o Palestina, Giordania, Iraq vanno alla Gran Bretagna
o Siria e libano vanno alla Francia
Nel 1917 Baghdad fu occupata dagli inglesi che imposero un proprio governatore.
Nel 1918 abbiamo l’armistizio di Mudros: le sorti dell’impero ottomano sono già segnate e le
grandi potenze si dividono sulla carta i territori ottomani. Popoli, comunità e confessioni si
ritrovarono segmentati e divisi dai nuovi confini imposti dalle potenze vincitrici della prima
guerra mondiale. I curdi, ad esempio, nel 1920 siglarono il trattato di Sevres e crearono il
Kurdistan.
Nel 1918 viene proclamato un referendum in Iraq con cui si reclama la creazione di uno stato
indipendente arabo e musulmano.
Nel 1920, con la concessione alla Gran Bretagna del mandato sull’Iraq da parte della Società
delle Nazioni, la mobilitazione sciita si trasformò, nella forma tradizionale del jihàd, in
sanguinosa rivolta. Questa decisione dà vita ad un grande movimento armato che fu chiamato

come la Rivoluzione del 1920. È una rivoluzione che ha un successo perché in pochi giorni
riescono a conquistare numerose regioni Baghdad e Bassora e in particolar modo nella città di
kerbela, dove si instaura un governo provvisorio. Qui vengono fatte delle richieste: gli sciiti
richiamano l’indipendenza e chiedono l’instaurazione di un governo arabo e islamico. A capo
degli sciiti troviamo Muhammad Taqi al-Shirazi (nato in Iran nel 1840 e morto nel 1920). Lui
emetterà una fatwa con cui proclama il jihad contro la Gran Bretagna, in quanto guida degli
insorti.

Tra il 1921-1958:
Gli storici sottolineano l’Origine coloniale dello stato iracheno in quanto sotto mandato
britannico. Questa origine è basata su una sorta di paradosso, in quanto Londra attua una politica
che avrebbe dovuto portare all’indipendenza di questi luoghi. Londra giocava la carta del
Nazionalismo arabo, che era poco diffuso nel paese senza tener conto delle tendenze ideologiche
degli iracheni, appoggiandosi alle Élite dell’ex impero ottomano che erano sunniti di professione
hanafita. Quindi erano un elemento minoritario. Questo significa che ovviamente la maggioranza
viene esclusa dal potere. La Scoperta del petrolio a Kirkuk spinge i britannici a guardare con
occhio speciale questa area e anche il Kurdistan.
Nel 1921 abbiamo la conferenza del Cairo alla quale partecipano Churchill, sir Percy Cox e
Lawrence d’Arabia, con cui l’Iraq diventa una monarchia araba costituzionale e il re diventa
Faisal al-Hashimi e governerà dal 1921 al 1933. Ancora una volta sono gli sciiti che fanno
sentire la loro voce, grazie al personaggio Mahdi al-Khalistan (m. 1925). Le sue richieste sono
rivolte a Faisal e chiede in cambio del giuramento di fedeltà al re, che il re rifiuti ogni vincolo di
indipendenza con la Gran Bretagna, questo perché vogliono l’indipendenza dell’Iraq. Mahdi è
un personaggio molto importante, è un mujtahid. Viene da alcuni definito anche come marja.
Nel 1922 viene firmato il trattato anglo-iracheno, tramite referendum, per accettare che l’iraq
diventi un Protettorato britannico, conseguenze:
➢ Istituzionalizzazione dei funzionari britannici
➢ Extraterritorialità dei britannici
➢ Diritto di veto > alto commissario Cox che ottiene in tutti i campi della politica irachena
➢ Basi militari: Baghdad e Bassora
➢ Opposizioni sciite: capitanate da Mahdi al-Khalisi e la sua fatwa, con cui proibisce ai
musulmani di recarsi a votare per il referdum del trattato.
Per aggirare il boicottaggio, i britannici proclamano l’ Espulsione di al-Khalisi. Lo definiscono
uno Straniero di nazionalità iraniana anche se non era vero. Gli altri del clero in senso di protesta
e solidarietà, lasciano l’Iraq e vanno in Iran. Ma questa non fu una decisione positiva perché
l’opposizione era ora senza un leader.
Nel 1924 viene istituita la nuova Costituzione che non fa differenza di appartenenza né etnica né
confessionale. Quindi non c’è una differenza tra gli iracheni. Invece, sempre nel 1924, viene
approvato il codice di nazionalità, un codice discriminatorio nei confronti degli sciiti, secondo
cui solo gli Iracheni di nazionalità ottomana vengono considerati cittadini a pieno titolo. Coloro
che erano di Nazionalità persiana > vengono considerati come iraniani e quindi attuano un
ricongiungimento iraniano. Quindi vengono tutti accusati di shu’ubiyya.

1933 morte di Faisal cui segue nel 1933-39 il figlio, Ghazi: promette bene, è abbastanza popolare
e a lui si guarda ricercando delle speranze per risolvere queste conflittualità irachene, legate alla
presenza britannica ma anche per le minoranze confessionali. Durante questo periodo:
o 1934 nasce il partito comunista, molto importante nella storia dell’Iraq. È il primo partito
comunista che viene fondato nel mondo arabo e acquista una grande importanza in Iraq.
Aderiscono gli sciiti ma anche il proletariato urbano.
o Nel 1936 abbiamo il primo colpo di stato dei paesi arabi: Baker Sidqi > anti coloniale,
contro le elites filo-britanniche e ghazi si schiera dalla loro parte.
o 1939 muore Ghazi in un incidente > forse ad opera dei britannici
1939-58: sale al potere il giovanissimo Faisal II per cui l’Iraq viene diretto da ‘Abdulillah
(1939-53): anni della II guerra mondiale con ricadute anche nel mondo arabo-islamico.
Nel 1940-41: colpo di stato filo-nazista guidato da Rashid ‘Ali al-Jaylani e si appoggia al
quartetto d’ oro > dei generali. Ovviamente abbiamo l’ Intervento della Gran Bretagna > interessi
economici (petrolio) e Insedia Nuri Sa’id, un anglofilo.
La fondazione di Israele porta nel 1948 alla guerra arabo-israeliana. Quindi nel 1948 abbiamo
un’insurrezione importante, seguita nel 1951 da un’altra insurrezione con la fondazione del Ba’th
iracheno, un partito che mette in prima istanza il laicismo e il nazionalismo panarabo e il
socialismo. Abbiamo un’insurrezione anche in Egitto nel 1952.
Nel 1953 Faisal II riesce a prendere realmente il potere senza intermediari, guidando l’Iraq. Nel
1955 stipula il patto di Baghdad > una mutua assistenza, una coalizione militare tra Turchia, Iran,
Pakistan contro il potere sovietico. Anche gli Stati Uniti sono coinvolti insieme alla Gran
Bretagna.
1956 crisi di suez > proteste e repressioni. Dà vita ad un’altra ondata di proteste contro la Gran
Bretagna e represse con una certa durezza.
1958 unione federale tra Giordania e Iraq > nasce per bilanciare il peso dell’Egitto e della RAU
(repubblica araba unita) a cui aveva aderito anche la Siria.
L’Esercito ha avuto un ruolo molto importante per la costruzione dello stato iracheno. Tutti
possono far parte dell’esercito: anche curdi e sciiti. Le cariche più alte vengono riservate a
famiglie sunnite, quindi l’esercito era guidato da grandi comandatnti che facevano parte di grandi
famiglie sunnite. Quindi in qualche modo all’interno dell’esercito, c’erano delle differenze
etnico-religiose.

1958-1968: repubblica
1958 ufficiali liberi e colpo di stato > Abd al-Karim Qasim Kassem e Abd al-Salam Arif
Kassel (1958-63): “l’Iraq prima di tutto”
Non adesione alla RAU > sostenitori e oppositori
Alleanza con il partito comunista (sciiti); non riconosciuto
Alleanza con il partito democratico di Barzani (curdi); non ricosciuto
1958 arresto di ‘Arif (panarabista)
1958 arresto di Jaylani (entrambi graziati)
Conseguenze: i due alleati: curdi e comunisti
1958 costituzione: gli arabi e i curdi sono associati nella nazione
Comunismo /sciismo > risveglio del movimento religioso

Pericolo comunista
Nasseriani e ba’ateisti contrari alla politica di Kassem
1959 attentato > saddam Husseyn esiliato a damasco e poi al Cairo
Rivalità Egitto – Iraq > accuse di nasser
1959 rivolte sanguinose a Kirkuk
1959 fuoriuscita dal patto di Baghdad
1961 invasione del Kuwait
Dal punto di vista economico:
− Negoziazione con l’Iraq: petroleum company
− 1961: confisca delle concessioni petrolifere non sfruttate
− Campi petroliferi di Rumayla
− Riforma agraria (1958 e 1964) > fallimento
Ba’th (partito della rinascita araba e socialista) al bando
▪ Sciiti poche adesioni
▪ Opposizione clandestina
‘Arif fa una controrivoluzione:
5. Febbraio 1963: colpo di stato guidato da ‘Arif
6. Repressone: basta comunisti, basta sciit, basta sharagwa
Novembre 1963: colpo di stato di Arif > regime militare anticomunista, nasseriano
Repressione contro il ba’th: repressione selettiva rivolta contro gli sciiti
Marja Muhsin al-Hakim movimento di rinascita islamica
Muhammad Baqir al-Sadr (1935-1980) > teologo, mujtahid più importante del periodo. Vive a
najaf e ha segnato la scena politica dell’Iraq in questi anni. Egli si forma come mujtahid sciita e
presta attenzione alle relazioni intercomunitarie, è molto attento alla scoietà del suo tempo e
rientra in quella teologia di liberazione in cui l’Islam se ripensato e calato all’interno di diversi
settori (politico, economico ecc) permette di superare la crisi.
Il suo penseiro è incisivo anche erché redige numerose opere. È molto prolifico. Redige molte
opere che non risalgono a questo periodo agli anni 60-70.
1964 nazionalizzazione delle banche e delle assicurazioni > inadeguatezza tecnica e
amministrativa
1964 Iraq > atonal oil company > Rumayla
Rete clientelare e clan
1966 muore Arif in un incidente aereo
1966-68 Abd al-Rahman
Due colpi di stato

Nell’aprile del 2003, la caduta del regime di Saddàm Husayn ha segnato la fine di una gestione
del potere di stampo monopolistico e di clan da parte di una élite burocratico-militare sunnita.
Nel marasma politico e sociale che ne è seguito, la comunità sciita si è presentata come elemento
di (parziale) ordine e stabilità nelle zone di maggiore concentrazione.

Amoretti, Sciiti nel mondo.


Premessa.

Lo sciismo è una corrente religiosa minoritaria facente parte dell’Islam, ma è anche un partito di
opposizione politica. Quindi lo sciismo non è solo una dottrina religiosa ma è anche un fatto
politico e una visione del mondo. Spesso lo sciismo è stato accusato di fanatismo e di
intolleranza, non solo dalle altre religioni ma anche da rami stessi dell’Islam. Questo perché non
esiste un unico islam, inteso come un blocco monolitico, ma esistono diversi islam nel tempo e
nello spazio.
Circa l’11% dei musulmani nel mondo è di orientamento sciita, variamente distribuiti. Il luogo in
cui è maggiormente professato è l’Iran, seguito dall’Iraq, dal Libano a cui si aggiungono
minoranze sparute in India, Pakistan, Arabia Saudita, Afghanistan, ex Unione sovietica, paesi del
Golfo Persico e in Africa.
Trattare di sciiti significa fare la storia di una forma di dissenso – teorico, ideologico, anche
dissimulato – o talvolta di opposizione concreta all’apparato istituzionalizzato in quel momento e
in quel luogo dominante.

Cap. III: Tra sopravvivenza e riscatto: il mondo arabo.


Il mondo arabo non è accomunato dal punto di vista etnico, ma trae tale nome dall’iniziale
processo di arabizzazione che accomuna questi luoghi. Le città principali come Damasco,
Baghdad, Kufa, Basra, Fustat e così via, sono molto importanti in quanto sono state alcune sedi
califfali, altre città accampamento, altre ancora fondamentali dal punto di vista economico-
commerciale. Di tutto ciò l’unico filo conduttore è la lingua araba, lingua non solo del Corano
ma anche dell’amministrazione nella maggior parte dei casi.
Bisogna fare una dizione tra:
- Area asiatica del mondo arabo: regione siro-palestinese, penisola araba, Iraq.
- Area nord africana del mondo arabo: Egitto e paesi del Maghreb. Qui lo sciismo è
collegato all’ascesa dei Fatimidi, che muovono alla conquista del potere nel maghrib a
partire dal 909 e arrivano a fondare il califfato del Cairo, in contrapposizione a quello
abbaside. Qui si sviluppa maggiormente la storia dell’ismailismo. Sempre in questa area
troviamo però anche la presenza dello zayidismo in Marocco tra il 789 e il 926,
soppiantati poi dai Fatimidi.
L’origine dell’ismailismo:
Siamo nell’VIII secolo. Le probabilità di soppiantare il califfato abbaside diminuiscono
rapidamente con il passare del tempo. Nello sciismo ha inizio quel lungo percorso che,
concludendosi nel IX-X secolo, lo porterà a diventare religione più che partito. Una simile
tendenza è però ancora fluida quando la scena sciita viene occupata da uno dei personaggi più
significativi della sua storia, Jafar al-Sàdiq. La sua posizione è ambigua nei confronti del
potere abbaside. Durante questo periodo abbiamo la disputa che porta una parte degli Sciiti a
riconoscere come suo successore, invece del primogenito Ismail come vorrebbe la tradizione, un
altro figlio ovvero Musa al-Kazim: si dice preferito dal padre per la sua condotta di vita più
consona alla carica. In realtà Ismail muore prima del padre e i suoi partigiani sostengono il diritto

alla successione del figlio Musa. Alla fine si arriva all’idea del Mahdi cioè l’atteso: con lui inizia
la fase maghrebina del califfato fatimide.
Caratteristiche generali dello sciismo:
o Si viene a creare una relazione tra un missionario leader e gruppi tribali locali. Una
caratteristica dello scisma militante è quindi la capacità di aggregare interi nuclei tribali.
o Piuttosto che una sistematica campagna di conversione, la dinastia mette in opera un
doppio livello di appartenenza. Le masse possono tranquillamente mantenere il loro
credo ma devono esprimere il consenso politico che equivale a dire quiescenza.
o La dinastia sciita quando si impone a una massa di fede diversa, mantiene una coscienza
minoritaria di sé da cui trae la sua forza di coesione interna. Sono privilegiate, in linea di
massima, le altre minoranze eventualmente presenti nel paese.
Nella zona della penisola araba, i gruppi sciiti si diversificano a seconda dell’area interessata.
Nella regione centrale, e in particolare nelle due città Sante, la presenza sciita si intreccia con la
presenza alide. Nella regione centrale della penisola, lo sciismo non entusiasma gli elementi
nomadici, diversamente da quanto succede nell’area che si affaccia sul Golfo e in Iraq. I centri
urbani detengono una sorta di autorità sui nomadi circostanti. In un certo senso nella parte
centrale della penisola permangono le condizioni presenti all’epoca in cui l’Islam è sorto. Lo
sciismo interessa poco le tribù beduine.
Gli Zayditi sono gli sceriffi della Mecca, mentre gli imamiti sono quelli di Medina.
Il controllo del Golfo è all’origine delle difficoltà degli sciiti della penisola araba, dal
cinquecento ad oggi. Sul golfo è oggi stanziata la popolazione della penisola di fede sciita
imamita. Si hanno sciiti nel Kuwait, in Bahrain negli Emirati e in Oman. Poco importanti in linea
generale gli sciiti dell’Oman, dove si professa un altro tipo di islam minoritario: il kharigismo
ibadita. Tuttavia, essi vanno ricordati in nome del fatto che l’Oman ha da sempre avuto contatto
con India e Zanzibar, paesi dove la presenza sciita è significativa.
La storia recente dei gruppi sciiti in tutti questi paesi è caratterizzata dalla precarietà della loro
situazione. Il Bahrain è di estrema importanza sia per la sua posizione strategica che si affaccia
sul Golfo, sia per la presenza di innumerevoli giacimenti petroliferi. Qui si instaura il
wahhabismo, già dalla fine del ‘700, instaurandosi definitivamente dal 1913. Nel 1981, gli sciiti
tentano un colpo di stato in Bahrain, dove si sono avute proteste massicce quando, nel 1980,
viene ucciso in Iraq uno dei leader ideologici dell’imamismo contemporaneo: Muhammad Al-
Baqir al-Sadr.
Quasi ognuno di questi paesi vanta organizzazioni politiche che si professano sciite.
Gli sciiti del Golfo sono numericamente troppo poco numerosi per poter sfuggire al controllo dei
regimi dei paesi nei quali vivono, anche quando sono in netta maggioranza. Qui la maggioranza
degli sciiti è araba, seguita a ruota da persiani.
Il Bahrain, dopo l’intervallo di dominazione portoghese (1521-1602), cade in mano persiana per
circa due secoli, nonostante i ripetuti tentativi ottomani della prima metà del ‘700 di
impossessarsi delle isole. Queste vengono conquistate nel 1783 dagli Al-Khalìfa, una famiglia
araba proveniente dal Qatar, che si impianta in forma di dinastia.

Alla fine dell’800 il Bahrain diventa protettorato britannico per poi raggiungere l’indipendenza
nel 1971, grazie alla mediazione delle Nazioni Unite.
Il Kuwait è un entro commerciale florido, grazie soprattutto alla sua posizione geografica.
In tutti questi luoghi, in epoca abbaside, il comune denominatore è l’egemonia dei Carmati che
impiantano in questi territori i loro quartier generali: ismailiti.
La presenza carmata è attiva anche nel deserto di Siria, tra i beduini della penisola.
Con l’arrivo carmata nel Golfo scompaiono gli ultimi residui cristiani. Il potere carmata si
affievolisce a partire dal 1058, quando alcune tribù locali si ribellano al governato carmata di una
delle isole dell’arcipelago, Uwal.
Lo Yemen è per il 50% sciita zaydita, già a partire dall’860. Nel 1962 viene proclamata la
repubblica.
L’area siro-palestinese fu la sede della prima dinastia califfale. Lo sciismo è comunque presente,
sia pure in tono minore. Oggi l’area si divide in più stati: Libano, Siria, Israele > componente
drusa. Oggi le organizzazioni islamiche integraliste sono tutte di matrice sunnita.
La rivendicazione della Palestina come terra santa da parte di tutte le religioni monoteistiche
rivelate, conferisce un significato anomalo alla presenza sul suo territorio di quasi tutte le forme
attraverso cui tali religioni si esprimono.
Damasco è meno toccata dallo sciismo, sebbene nelle sue vicinanze vi siano santuari nati su
templi alidi, tra cui quello della sorella di Husain. Damasco svolge il ruolo di paladina
dell’ortodossia contro l’eretica e inquieta Aleppo. Ciò non significa che non vi sia presenza sciita
a Damasco.
Ad Aleppo è possibile ritrovare un risveglio dello sciismo imamita che a poco a poco si sta
trascinando dietro anche Damasco. Aleppo è una città multietnica e multiconfessionale, vi risiede
infatti una delle maggiori comunità armene del paese > prototipo della città mercante.
La maggioranza dei gruppi sciiti è comunque in Siria, considerando circa il 12% della
popolazione musulmana.
La regione tra Aleppo e Damasco comprende anche il massimo centro ismailisma del mondo
arabo: Salamiyya, cui si aggiungono due località storicamente famose: Maysaf e Qadmus.
Da Salamiyya è partita la propaganda ismailita che, trasferita in africa, ha dato origine al califfato
Fatimida. Per molti secoli, fino al XIII, l’ismailismo è una costante nella regione. Dal XIV secolo
in poi, Salamiyya cade in rovina e tribù beduine si riappropriano della regione. A metà del XIX
secolo, a Marqab, viene inviata una famiglia proveniente dall’Iran con l’intento di ripopolare la
zona e reinstaurare l’ismailismo.
Il problema di una continuità storico-culturale tra passato e presente, tra istanze di potere e
masse, in relazione al fatto di essere minoranza, concerne in modo esemplare gli sciiti del
Libano. Gli sciiti libanesi rivendicano l’appartenenza a una tipologia caratterizzata da
marginalità e oppressione, contro cui gli sciiti avrebbero deciso di ribellarsi. Tutti gli imamiti del
libano e della Siria vengono solitamente definiti mutàwalì > deformazione del grido di battaglia
con cui si intende dire ‘che io muoia per’ o ‘al posto di ali’.

Il IX secolo è probabilmente quando alcuni gruppi sciiti si sono stabiliti nell’area siro-libanese.
Nello stesso periodo, Tripoli è sotto il dominio Fatimida, ma lo sciismo di questa città è talvolta
asciutto a una conversione forzata della popolazione da parte dell’allora gruppo dominante il cui
sciismo è peraltro controverso.
È possibile inoltre un’emigrzione sciita verso il Libano da Aleppo nel XII in concomitanza con il
declino sciita della città. Il Libano diventa poi protettorato francese: i francesi però concedono
agli imamiti uno statuto a sé che prevede la costituzione di tribunali ja’fariti.
Anche l’ala sciita più radicale è, nei fatti, condizionata dalla peculiarità libanese anche perché gli
aderenti ai movimenti estremistici sono per la maggioranza di bassa provenienza sociale.

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