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Introduzione

Il presente di lavoro di ricerca si pone come obiettivo quello di

offrire una disamina degli istituti giuridici relativi alla detenzione

femminile e, in particolar modo, alla detenzione delle madri con i figli

minori. La normativa ha recentemente subito notevoli cambiamenti,

tra impulsi legislativi più illuminati e orientamenti, invece, orientati

alla funzione punitiva della sanzione penale. Così come accade spesso

in materia di sicurezza sociale, sono gli eventi di cronaca e l’influenza

della c.d. opinione pubblica sulla politica a determinare il predominare

dell’uno o dell’altro orientamento.

Nel primo capitolo si indagano gli aspetti criminologici del

fenomeno della devianza femminile, partendo da un approccio storico

e esaminando, poi, le teorie più note. Successivamente si analizzano

gli istituti giuridici relativi alla detenzione delle madri insieme alla

prole.

Nel secondo capitolo si evidenziano gli aspetti giuridici della

genitorialità in carcere, la “maternità ristretta” e gli istituti esterni

extramurari in cui madre detenuta e figlio possono trovare

collocazione. In particolar modo si propone un’analisi degli Istituti di


Custodia Attenuata per detenute Madri (ICAM). Altri luoghi su cui si

è posta attenzione, sono le case famiglia protette, ancora poco diffuse

sul territorio italiano ma dalle caratteristiche di grandi potenzialità. Il

capitolo si conclude con una riflessione sul benessere dei minori e il

reinserimento della madre, mettendo in evidenza le ragioni

dell’ingresso dei minori in carcere a fronte del bilanciamento delle

esigenze contrapposte tra esigenze restrittive e preminente interesse

del minore.

Nel terzo capitolo, infine, si offre una selezione di esperienze

europee e mondiali sul tema, analizzando gli istituti giuridici e i

trattati internazionali che regolamentano la materia. Inoltre,

nell’esaminare i diversi istituti di probation presenti negli ordinamenti

europei, si offrono spunti di riflessione per una possibile evoluzione

della dottrina, evidenziando i vantaggi della de-carcerizzazione per i

reati minori e nelle situazioni di non elevato allarme sociale.

2
CAPITOLO I

LA DEVIANZA FEMMINILE:
TEORIE CRIMINOLOGICHE E STRUMENTI NORMATIVI

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La delinquenza femminile e le teorie

criminologiche. - 2.1. Segue: Le teorie individualistiche. - 2.2. Segue: Le teorie

intermedie o individualiste con proiezione sociale. - 2.3. Segue: Le teorie di

carattere sociale. - 2.4. Segue: La criminologia femminista. - 3. La popolazione

carceraria femminile. – 4. Le norme in materia di detenzione femminile. – 4.1.

Segue: La circolare DAP 17 settembre 2008 GDAP – 0308268-2008. -– 4.2.

Segue: La legge 8 marzo 2001, n. 40. - 4.3. Segue: La legge 21 aprile 2011, n. 62.

1. Premessa

La storia delle donne in carcere è profondamente influenzata dal

ruolo sociale che la donna stessa assume e dalla sua rappresentazione

in una data società e in un preciso periodo storico, anziché dalle

caratteristiche della devianza declinata al femminile.

Lo scopo della privazione della libertà della donna era quello

correttivo in quanto la devianza femminile era concepita come la

corruzione della natura necessariamente benevola della donna in

quanto madre. Le cause potevano ascriversi a malattia, povertà o


debolezza ovvero semplice inclinazione al peccato, pur anche

presunta. Infatti, l’internamento delle donne in strutture affidate alla

gestione di organizzazioni ecclesiastiche, poteva avvenire anche a

seguito di una semplice segnalazione del parroco o di un familiare. Il

non aver contratto matrimonio poteva essere considerato un fattore di

rischio, poiché tale condizione privava la donna di una tutela maschile

in grado di distoglierla dal peccato, prevenendo così comportamenti

“pericolosi”.

Al carattere correttivo della istituzionalizzazione e alla

mancanza della tassatività delle fattispecie per cui internare una

donna, si aggiungeva anche l’indeterminatezza della pena. La durata

della misura correttiva era, infatti, stabilita sulla base del livello di

collaborazione della corrigenda e dalla valutazione del tutto arbitraria

della sua “guarigione”.

Il rientro in società per queste donne era possibile solo a seguito

della rieducazione ai valori morali socialmente accettati sia per ciò che

concerne la sfera sessuale che la sfera lavorativa: le donne, infatti,

dovevano condurre una vita casta fino al matrimonio e assolvere agli

obblighi coniugali poi; dovevano, inoltre, saper svolgere i lavori

domestici e di cura sia per adempiere al proprio ruolo di regina del

focolare sia per far fruttare le proprie abilità svolgendo mansioni

2
domestiche all’esterno del contesto domestico e contribuire

economicamente alla vita familiare1.

Nella fase di affermazione storica del carcere come istituzione

contenitiva e correttiva, le donne internate erano per lo più accusate di

atti lesivi valori morali o comportamenti “libertini” o ribelli, in

assoluta contrapposizione con i reati contestati alla popolazione

detenuta maschile per lo più incarcerata per atti lesivi di precisi beni

giuridici2.

La popolazione carceraria femminile era prevalentemente

composta da donne scappate da casa, vagabonde, donne considerate

troppo libere e prostitute. Le donne criminali vere e proprie venivano

internate nelle case penali femminili che a fine ‘800 in Italia erano

solo tre: la Giudecca a Venezia, la casa penale di Perugia e quella di

Trani3.

La storia della detenzione femminile va incorniciata nel

contesto fortemente stigmatizzante nei confronti della donna in quanto

deviante dalla norma sociale: era culturalmente inconcepibile

affrontare la problematica della donna delinquente in quanto soggetto


1
Per approfondimenti sulla storia delle istituzioni carcerarie per la popolazione femminile e su
altre tipologie di strutture di reclusione e correzione si rimanda a R. CANOSA - I. COLONNELLO,
Storia del carcere in Italia dalla fine del ‘500 all’Unità, Roma, 1984, pp. 1 ss; S. CAVALLO,
Assistenza femminile e tutela dell’onore della Torino del XVIII secolo, in Annali della Fondazione
Einaudi, vol. XIV, 1980, Torino, pp. 127-155; A. CAPELLI, La buona compagnia. Utopia e realtà
carceraria nell’Italia del Risorgimento, Milano, 1988, pp. 1 ss.
2
A. SALVATI, La detenzione femminile, Amministrazione in Cammino, 2009, p.3.
3
A. SALVATI, La detenzione femminile, cit., p.7.

3
perché considerata biologicamente e psicologicamente inferiore e

quindi incapace di libero arbitrio. Il contravvenire ad una regola

socialmente accettata era dunque frutto di possessione o malattia

mentale4.

Lo stesso Cesare Lombroso definiva la donna come “più debole e

stupida degli uomini”5 e, pertanto, incapace di delinquere come questi

ultimi.

La presunta debolezza, la condizione di subalternità e il

concepire la natura femminile solo in funzione procreativa e di cura,

contribuivano a connotare la sanzione ancorché penale, come sociale,

identificando la donna come degenerata e quindi, nei casi in cui avesse

prole, incapace di svolgere il suo ruolo di madre.

Le donne dovevano essere corrette nella loro personalità e

necessitavano di vigilatrici o ordini ecclesiastici che potessero farle

tornare sulla retta via, ovvero uniformarle a un modello culturale in

cui vivessero in condizione di sottomissione6.

Ciò che in questa sede preme sottolineare, è che un cambiamento

sostanziale delle condizioni di vita carceraria avviene solo a seguito

della riforma del 1975: si riduce l’età media e aumentano i capi di


4
A. SALVATI, La detenzione femminile, cit., p.9.
5
G. FERRERO-C. LOMBROSO, La donna delinquente: la prostituta e la donna normale, Milano,
1903, pp. 1 ss.
6
Per un approfondimento si rimanda a M. L. FADDA, La detenzione femminile: questioni e
prospettive, in www.ristrettiorizzonti.it, aprile 2010.

4
imputazione e le condanne per reati contro il patrimonio, contro lo

Stato, l’amministrazione della giustizia e l’ordine pubblico; mentre

diminuiscono quelli contro la famiglia e la morale. Solo nel 1968,

infatti, la Corte Costituzionale dichiara incostituzionali i commi primo

e secondo del delitto di adulterio ex art. 559 c.p.7, cancellando dal

nostro ordinamento il sistema sanzionatorio previsto per la moglie

adultera. Si assiste, quindi, in quegli anni a una trasformazione

dell’ordinamento giuridico e dell’organizzazione carceraria in cui la

donna non è punita per la sua “amoralità” ma in virtù del principio di

legalità che, per lo meno formalmente, si rivolge a tutti i cittadini

come pari, senza alcuna distinzione di genere.

Anche all’interno delle mura carcerarie si assiste a una

trasformazione: le suore, precedentemente investite del ruolo di

sorveglianti e rieducatrici, vengono sostituite prima da vigilatrici

dipendenti dello Stato cui viene affidata la funzione di sorvegliare e

custodire, mentre la funzione rieducativa e trattamentale viene affidata

a educatori, assistenti sociali, psicologi e altri esperti del settore8.

2. La delinquenza femminile e le teorie criminologiche

7
Corte Cost. (16 dicembre) 19 dicembre 1968, n. 126, in www.giurcost.org
8
A. SALVATI, La detenzione femminile, cit., p.10.

5
Nel quadro di una sostanziale contrazione delle politiche di

Welfare e di un sempre più diffuso Prisonfare – così come

argomentato da numerosi autori tra i quali Wacquant, Scott, De

Giorgi, Pitch e altri9 – si assiste alla diffusione di politiche di

tolleranza zero e di law and order che hanno contribuito alla

creazione del c.d. mass incarceration, il fenomeno per cui si

registrano tassi di detenzione più elevati a fronte di tassi di criminalità

stabili10.

I governi che si sono alternati, non solo in Italia ma anche a

livello internazionale, hanno utilizzato politiche di stampo repressivo

per mitigare, e in certi casi al contrario fomentare, l’irrazionale

insicurezza generale, focalizzando l’attenzione, nell’immaginario

collettivo, su bersagli cui addebitare la causa del disordine sociale

reale o presunto.

L’Italia non si differenzia dagli altri Stati europei e occidentali,

registrando una presenza numericamente elevata di detenuti, una bassa

propensione a misure di clemenza su larga scala11 e un approccio

9
L. WACQUANT, Crafting the neoliberal state: workfare, prisonfare and social insecurity, in
Sociological Forum, vol. 25, n. 2, 2010, pp. 197-220; D. SCOTT, Why prison?, Cambridge, 2013,
pp. 1 ss.; A. DE GIORGI, Il governo dell'eccedenza. Postfordismo e controllo della moltitudine,
Verona, 2002, pp.1 e ss.; T. PITCH – C. VENTIMIGLIA, Che genere di sicurezza. Donne e uomini in
città, Milano, 2001, pp. 1 ss.;
10
C. W. SUPRENANT, Rethinking punishment in the era of mass incarceration, New York, 2018,
pp. 1 ss.
11
Dagli anni ’90 ad oggi si annoverano solo il c.d. indultino del 2003 (L. 207/ 2003) e l’indulto del
2006 (L. 241/2006).

6
timidamente riformista con tentativi sporadici di apertura a forme di

giustizia riparativa e a misure alternative alla pena12.

La popolazione carceraria femminile, tuttavia, si attesta sempre

intorno al 5% della popolazione carceraria complessiva13. Questo

dato, messo in relazione con la percentuale di popolazione libera

divisa per genere, descrive una vera e propria sotto-rappresentazione

delle donne in carcere. Se, infatti, la popolazione è equamente

distribuita tra i generi, nelle carceri sono ristretti quasi esclusivamente

uomini.

Le donne, tuttavia, sono maggiormente a rischio povertà così

come dimostrano i tassi di disoccupazione femminile e il gender pay

gap14. La mancanza di indipendenza economica è spesso ragione del

permanere delle donne in situazioni familiari di violenza e di

sottomissione, determinanti in certe circostanze anche ai fini della

commissione del reato a loro imputato15.

La questione della criminalità femminile è stata oggetto di

12
Un importante dibattito è stato articolato durante gli Stati generali dell’esecuzione penale,
avviati dal Ministero della Giustizia nel maggio del 2015 e conclusi nell’aprile del 2016. In quella
sede è stato manifestato da più parti l’esigenza di riformare strutturalmente il sistema penitenziario
italiano per assolvere agli obblighi statuari e normativi dell’esercizio della giustizia penale ma
anche agli obiettivi funzionali a cui essa dovrebbe tendere come la rieducazione del condannato e
il reinserimento in società, utilizzando strumenti adatti e volti alla riduzione della recidività dei
reati.
13
Secondo i dati forniti annualmente dal Ministero della Giustizia.
14
Secondo i dati Eurostat relativi al 2017, l’Italia si attesta agli ultimi posti per tassi di
occupazione femminile con una percentuale inferiore al 50% della popolazione femminile
occupata in età da lavoro ma con un tasso elevatissimo di divario salariale tra uomini e donne.
15
Per una disamina sul tema si rimanda a L. ROVAGNANI-C. A. ROMANO, Women in prison.
Indagine sulla detenzione femminile in Italia, Lecce, 2013, pp.1 ss.

7
diverse teorie fondate su assunti a volte opposti: per alcuni autori,

infatti, la marginalità delle fattispecie criminose ad opera di donne è

da attribuire alla loro natura biologica16; per altri, la ragione risiede nei

processi di socializzazione che fanno propendere il genere femminile

verso atteggiamenti di avversione al rischio, di sottomissione e di

rifiuto dell’aggressività17; altri, ancora, pongono l’accento sul

maggiore controllo sociale a cui sono soggette le donne; altri, invece,

rilevano semplicemente una differenza di opportunità di accesso alla

carriera criminale18; infine, vi sono anche correnti di pensiero che

ipotizzano non vi sia alcuna differenza di genere nella fase di

commissione del reato ma ravvedono capacità manipolatorie e di

occultamento dei reati più efficaci nelle donne19.

16
In primis, tra tutti, maggiore esponente di questa corrente di pensiero è Cesare Lombroso che
nella sua opera, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, scritta nel 1893 con
Guglielmo Ferrero, ha descritto la donna come appartenente ad un sesso inferiore. Le donne
criminali, pertanto, possedevano caratteri maschili ossia intelligenza, attivismo, vivacità.
Nell’elencarne le caratteristiche innate, lo studioso ha riscontrato una più accentuata emotività e
impulsività nella commissione e nell’esecuzione dei reati rispetto agli uomini. In questo stesso
filone di pensiero possono essere annoverati anche altri autori come Freud, Ferrero e Thomas in
quanto individuano nelle anomalie fisiche e psicologiche i fattori scatenanti i comportamenti
devianti e criminali: Cft AA.VV., Devianza e disuguaglianza di genere, Milano, 2011, p.165
17
M. D. KROHN – J. L. MASSEY, Social control and delinquent behavior: an examination of the
elements of the social bond, in The Sociological Quartely, vol. XXI (4), pp. 529-544.
18
Tra questi autori possiamo annoverare Adler che ipotizza un aumento della capacità criminale al
tendere alla parità di genere. Infatti, così come le donne da un certo momento storico in poi hanno
avuto accesso alle professioni così hanno sempre maggiore rilievo negli ambienti illegali
costruendo sempre più importanti carriere criminali: G. CALANDRIELLO, Ristrette. Una storia
minore, Padova, 2016, p.53.
19
Tra gli autori afferenti alle c.d. teorie classiche, si può citare Pollack che, ne “La criminalità
della donna”, sottolinea come il carattere mascherato della devianza femminile impedisce la reale
conoscenza e valutazione del fenomeno. Il numero oscuro dei reati compiuti dalle donne sarebbe,
secondo l’autore, elevato non solo per la capacità di occultamento ma anche per una sorta di
tolleranza maggiore e di clemenza dei soggetti che hanno l’onere dell’indagine, dell’accusa e del
giudizio in area penale: M. A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”,
in Dir. Pen. Cont., 2015, p.8.

8
Volendo sinteticamente schematizzare le correnti di pensiero

sulla materia, possiamo individuare quattro diverse impostazioni

teoriche: 1. le teorie individualistiche; 2. le teorie intermedie o

individualiste con proiezione sociale; 3. le teorie di carattere sociale;

4. la criminologia femminista.

2.1 Segue: Le teorie individualistiche

Al primo filone di pensiero possiamo ricondurre le teorie che

trovano nell’elemento biologico il fattore scatenante della devianza e

del crimine. Prima della formulazione lombrosiana del concetto di

donna delinquente, anche Pyke20 aveva concluso che alcune

componenti biologiche fossero proprie del criminale insieme ad altre

caratteristiche sociali identificabili solo in una data società e in un

dato tempo.

Anche Bean, Broca e Topinard21 hanno sostenuto con fermezza

che le donne possiedono un’intelligenza meno sviluppata di quella

dell’uomo. Tuttavia Bean ha sostenuto che tale differenza non fosse

immutabile ma fosse il risultato di una mancata evoluzione22.

20
Cft. M. A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p.2.
21
C. DÍAZ, Delincuencia femenina: un enfoque psicosocial, Madrid, 1987, p.128.
22
Ibidem

9
La scuola positiva concepiva il reato come un dato naturale,

prodotto da fattori interni ed esterni al reo23. Si tratta, quindi, di una

visione determinista che concepisce l’uomo delinquente come

soggetto antisociale per natura e per contesto e che quindi incontra il

suo destino criminale in modo ineluttabile. Tuttavia, Lombroso

sostiene che alla donna delinquente è possibile associare la stessa

teorizzazione formulata per il delinquente nato per via della mancanza

per le prime di degenerazione fisiologica, presente solo in una parte

marginale della popolazione femminile e per lo più riscontrabile nelle

donne prostitute24. Il basso tasso di criminalità femminile, quindi,

sarebbe ascrivibile alla lenta evoluzione della donna causata dalla sua

inattività di natura biologica, testimoniata anche dall’immobilità

dell’ovulo rispetto allo spermatozoo.

La donna delinquente è una anomalia determinata, più

frequentemente, da depressione cranica, mandibola voluminosa,

plagiofalia, grande spina nasale, seno voluminoso, assenza di bellezza,

livello elevato di sopportazione del dolore, indole instabile e violenta

durante il ciclo mestruale.

23
P. MARTUCCI, All’inizio era il male: determinismo biologico e destino nella criminologia di
Cesare Lombroso, in Rassegna Italiana di Criminologia, vol. 1, 2013, p. 54.
24
A. VERDE - M. PASTORELLI, Il professor Lombroso e la donna delinquente: il fallimento di un
metodo, in Rassegna Italiana di Criminologia, fasc. 9, 1998, pp. 579-609.

10
Lombroso e Ferri individuano anche le tre caratteristiche

essenziali della donna delinquente25: l’immobilità fisiologica e la

passività psicologica; la capacità di adattamento superiore a quella

dell’uomo; l’amoralità e la capacità manipolatoria. Nella donna,

infatti, oltre alle caratteristiche note già per il delinquente uomo, si

sommano anche le peggiori peculiarità femminili, ossia l’astuzia, il

rancore e la falsità. L’anomalia femminile, inoltre, non riguarda

esclusivamente la sfera biologica ma anche quella sociale, facendo

riferimento al ruolo che la donna svolge nella società.

Per tale ragione, secondo Lombroso, la donna criminale è una

aberrazione e una modificazione della funzione sociale della donna e

ciò avrebbe certamente spezzato quell’equilibrio che la manteneva

innocua semi-criminale26.

Altri autori27, analizzando il rapporto tra sesso, reazioni emotive

e criminalità, affermano che la maggiore aggressività degli uomini è

dovuta alla prevalenza di testosterone. Gli ormoni femminili, al

contrario, favoriscono comportamenti remissivi. La spiegazione

endocrinologica sulla capacità di delinquere delle donne ha

sottolineato l’importanza dello studio della psicopatologia durante i

25
A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p. 4.
26
P. M. DE LA CUESTA AGUADO, Perfiles criminológicos de la Delincuencia Femenina, in Revista
de Derecho Penal y Criminología, fasc. 2, 1992, p. 223.
27
Cft. A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p.5.

11
momenti critici dello sviluppo come pubertà, maternità e menopausa,

nonché le crisi catameniali, ipotizzando un aumento delle attività

criminali al susseguirsi delle fasi di sviluppo biologico-sessuale.

Le teorie psicoanalitiche, il cui massimo esponente è Freud,

identificano nell’invidia e nella ricerca di vendetta della donna

delinquente, per non aver ricevuto uguali caratteristiche all’uomo, gli

elementi di anormalità. Il senso di castrazione per le bambine,

determinato dalla c.d. invidia del pene, che si sviluppa tra i 3 e i 5

anni, comporterebbe uno sviluppo di genere anomalo nel caso in cui

questo sentimento di afflizione non si trasformasse in desiderio verso

un uomo in senso carnale o verso la maternità28. L’aggressività e la

ribellione sarebbero quindi l’anticamera della nevrosi. La delinquenza

femminile è frutto, dunque, di una anormalità biologica e psicologica

che, manifestandosi nella condotta, genera una virilizzazione

impropria del genere femminile29.

2.2 Segue: Le teorie intermedie o individualiste con proiezione

sociale

Tra le teorie individualiste con proiezione sociale possiamo

28
F. DE LUISE – G. FARINETTI, Lezioni di storia della filosofia, vol. c, Bologna, 2010, Unità 5.
29
A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p. 6.

12
ricordare la teoria liberal-funzionalista di Thomas30 che descrive la

donna come destinata a uno stato di evoluzione inferiore all’uomo,

rintracciando nel fallimento dei processi di integrazione sociale e nel

periodo di socializzazione familiare le cause della realizzazione della

condotta criminosa. Secondo Thomas, infatti, la perdita dell’unità

familiare tradizionale e la mancata adesione a modelli sociali aderenti

alle istanze di controllo pubblico determinano comportamenti contrari

al senso comune. L’estrazione sociale, intesa come appartenenza a una

o a un’altra classe sociale, può essere quindi influente in quanto

elemento essenziale dei processi di socializzazione.

Secondo Pollack31, la donna supera la sua inferiorità biologica

attraverso gli attributi negativi del genere come l’astuzia, la falsità e la

vendetta. La donna ha, dunque, sempre assunto comportamenti

devianti ma in forma latente. Il numero oscuro dei crimini femminili è

pertanto elevato e alla donna sono comunque riservati trattamenti di

favore e di indulgenza in virtù della considerazione sociale che si ha

del genere.

30
M. L. FADDA, Differenza di genere e criminalità. Alcuni cenni in ordine ad un approccio
storico, sociologico e criminologico, in Dir. Pen. Cont., 2012, pp. 4 ss.
31
M. L. FADDA, Differenza di genere e criminalità. Alcuni cenni in ordine ad un approccio
storico, sociologico e criminologico, cit., pp. 4 ss.

13
2.3 Segue: Le teorie di carattere sociale

Tra le teorie di carattere sociale possiamo individuare diversi

orientamenti. Secondo le teorie di stampo funzionalistico32, la donna

si sarebbe ribellata al ruolo imposto dalla società ma senza possibilità

di successo poiché avrebbe sempre avuto bisogno di un “boia

autoritario” contro cui sovvertire.

Gli orientamenti basati sul ruolo33, invece, incentrano la

teorizzazione sulla diversa socializzazione tra uomo e donna

identificando, in alcuni casi, nella reversione dei ruoli la ragione della

differenza di ampiezza del fenomeno se distinto per genere, in altri, la

convergenza dei ruoli, ossia la mascolinizzazione del ruolo femminile

e viceversa34, la ragione dell’avvicinamento qualitativo e quantitativo

fra la delinquenza femminile e quella maschile.

La teoria delle uguali opportunità35 ha origine, invece, dalle

teorie dell’anomia di Merton, dalla teoria delle opportunità

differenziali di Sutherland e Cressey e della sottocultura di Cohen.

Tutti gli autori succitati concordano nell’identificare nella scarsa

presenza delle donne nella vita pubblica, economica e sociale, la

32
S. CURTI, Criminologia e sociologia della devianza. Un’antologia critica, Padova, 2017, pp.121
ss.
33
Cft. A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p. 9 ss.
34
La teoria postula che alcune caratteristiche appartengano propriamente al genere: ad esempio, la
delinquenza al genere maschile e la remissione a quello femminile.
35
Cft. A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p. 11 ss..

14
mancanza di opportunità per queste di delinquere. I processi di

emancipazione della donna, però, non hanno fatto registrare un

aumento significativo dei tassi di criminalità femminile. Tuttavia, ciò

che effettivamente si registra è un cambiamento sostanziale delle

tipologie di reato di cui le donne sono autrici: ai reati tradizionalmente

commessi, come furto e prostituzione, se ne sommano altri di natura

violenta.

Secondo alcuni autori36, in accordo con la teoria sull’anomia e la

tipologia di devianza formulate da Merton, il cambiamento

dell’autopercezione delle donne e la loro maggiore ambizione

costituiscono i fattori che determinano le condizioni per la

commissione di reati. Se, infatti, le donne accrescono la loro

aspirazione di mete sociali da raggiungere ma hanno poche o scarse

opportunità per raggiungerle, il contravvenire alla norma, sia essa

giuridica o sociale, è una opzione plausibile. E maggiore sarà la

scarsità di risorse legate anche all’appartenenza ad una classe sociale,

maggiori saranno le possibilità di delinquenza.

Henson37, tuttavia, mette in guardia da tali affermazioni,

sostenendo che il movimento di liberazione della donna non abbia in

36
Cft. E. M. MILLER, Street woman, Philadelphia, 1986, pp. 3 ss.
37
B. HENSON - P. WILCOX - B. W. REYNS - F. T. CULLEN, Gender, Adolescent Lifestyles, and
Violent Victimization: Implications for Routine Activity Theory, in Victims & Offenders, 2010, vol.
5, fasc. n. 4, pp. 303-328.

15
alcun modo influito sui tassi di criminalità, quanto piuttosto il

detrimento delle condizioni economiche delle classi meno abbienti e

la proliferazione delle droghe.

La teoria del controllo sociale38 identifica nell’intensità dello

stesso, a cui sono soggette le donne, la ragione del basso tasso di

criminalità femminile. L’autorità patriarcale è rappresentata nelle

diverse formazioni sociali fino alla organizzazione statuale. Le donne

sperimentano, quindi, processi di socializzazione differenti, intrisi di

fattori inibenti più forti rispetto a quelli subiti dagli uomini.

Il controllo sociale può essere formale o informale, a seconda del

soggetto che lo esercita; esso è posto in una relazione di sussidiarietà,

ossia ove manchi l’autorità patriarcale all’interno della famiglia o

nella rete informale, il controllo viene esercitato dallo Stato attraverso

istanze formali di contrasto alla criminalità. Secondo molti autori39,

sussiste, inoltre, da parte del sistema della giustizia penale, una sorta

di cavalleria nei confronti delle donne delinquenti, comminando pene

meno severe o emanando normative e regolamenti in materia

carceraria differenziati.

38
A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p. 13 ss.
39
Cft. A. NÚÑEZ PAZ, “La donna delinquente. Un percorso storico-teorico”, cit., p. 14 ss.

16
2.4 Segue: La criminologia femminista

La criminologia femminista, infine, declina le teorie femministe

in materia di devianza. In particolare due studiose, Freda Adler40 e

Rita J. Simon41, autrici di due opere importanti, evidenziano alcune

caratteristiche della devianza femminile: per Adler, la criminalità

femminile dipenderebbe dalla masconilizzazione dei comportamenti

delle donne42; per Simon, con l’aumento delle opportunità di

partecipazione alla vita pubblica, sociale ed economica, si

registrerebbe un aumento dei reati contro il patrimonio ad opera delle

donne.

Chesney-Lind43, invece, propone una teoria basata sulla

marginalizzazione. Secondo l’autrice, infatti, in seguito a studi

approfonditi sulla comunità carceraria femminile, le condizioni

materiali di vita sono foriere di comportamenti devianti in quanto i

soggetti si ritrovano a vivere situazioni degradanti e di deprivazione.

Ciò su cui bisognerebbe incidere dovrebbe essere, dunque, la

costruzione di interventi sociali non solo in ambito economico, sociale

40
F. ADLER, Sisters in crime: The rise of the new female criminal, New York, 1975, pp. 1 ss.
41
R. J. SIMON, Women and crime, Lexington, Mass., 1975, pp.1 ss.
42
Questa teorizzazione rientra nella corrente liberal-femminista, incentrata sulla dicotomia
superiorità-inferiorità tipica di una società caratterizzata da un modello culturale dominante
centrato sul genere maschile. Il tasso di criminalità, quindi, si sarebbe eguagliato tra uomini e
donne una volta raggiunta la parità ossia la mascolinizzazione del ruolo delle donne.
43
M. CHESNEY-LIND, The female offender: girls, women and crime, Thousand Oaks, 1997, pp. 1 e
ss.

17
ma anche educativo, anziché interventi incentrati sulla prevalente

prerogativa punitiva dell’incarcerazione.

Così come aderente al vissuto delle donne, la teoria si presta ad

una coerente applicazione alla devianza maschile, in quanto anch’essi

emarginati, vittime di razzismo e povertà, senza trascurare il fatto che

sono i fratelli, i padri e i mariti di donne emarginate.

Teorizzazioni più recenti, ascrivibili alla corrente femminista

dell’intersezionalità44, intendono mettere in relazione la variabile del

genere insieme ad altre per una maggiore comprensione della

complessità sociale. In particolare, l’attenzione ricade sulla classe

sociale, sulla razza e sul genere. Le donne ricoprono una posizione

svantaggiata, ancora di più se appartengono ad una classe sociale

meno abbiente, e subiscono forme discriminatorie e razziste per la

loro appartenenza a minoranze razziali o etniche.

Secondo Simpson45 ma anche Davis46, la classe, la razza e il

genere devono essere considerati come sistemi di dominazione e

controllo e possono sovrapporsi, acuendo la loro efficacia.

Smart47, invece, in ottica separatista, propone una teorizzazione

44
C. D’ELIA – G. SERUGHETTI, Libere tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio,
Roma, 2017, pp. 1 ss.
45
S. SIMPSON, White-Collar Crime: A Review of Recent Developments and Promising Directions
for Future Research, in Annual Review of Sociology, 2010, n. 39, pp. 309 ss.
46
A. DAVIS, Donna, razza, classe, Roma, 2018, pp. 1 ss.
47
C. SMART, Donne, crimine e criminologia, Roma, 1981, pp. 1 ss.

18
in cui si esclude completamente il paragone al maschile, si

individuano differenze e sfumature all’interno del genere per creare

uno spazio di riflessione solo per le donne, denominando la relativa

tesi come “criminologia di trasgressione”.

Secondo Cain48, aderendo ad un approccio separatista, ciò è

possibile solo riflettendo sul contesto sociale, decostruendolo e

ricostruendo il discorso e le pratiche sulla materia. In accordo con le

teorie femministe postmoderne, quindi, la scienza, lungi dall’essere

androcentrica, dovrebbe considerare entrambi i generi, senza

prenderne uno a modello di paragone per l’altro. Altri elementi

cardine del postmodernismo è sono rappresentati dal relativismo e

dalle diverse specificità di cui i fenomeni sociali sono portatori.

Un importante cambiamento registrato negli ultimi decenni, a

tal proposito, è la radicale trasformazione del ruolo della donna

all’interno della criminalità organizzata.

Se in passato, la funzione delle donne all’interno

dell’associazione era quella di educare le nuove generazioni ai valori,

ai costumi e ai principi dell’organizzazione, rafforzandone l’identità,

adesso anche le donne ricoprono ruoli di primo piano e di

48
M. CAIN, Towards transgression: new directions in feminist criminology, in International
Journal of Sociology of Laws, 1990, pp. 252-273.

19
responsabilità decisionale49. La ragione di questa trasformazione è

ascrivibile a ragioni interne ed esterne alle organizzazioni: i

mutamenti sociali rispetto al ruolo della donna nella società hanno

indirettamente influenzato la struttura interna e il processo di

trasformazione è stato facilitato anche dall’esigenza delle

organizzazioni di sopperire all’assenza temporanea dei soggetti

investiti di responsabilità e autorità a causa delle carcerazioni o della

forzata latitanza. Inoltre, l’internazionalità delle attività di queste

organizzazioni ha generato l’esigenza di individuare un numero

sempre maggiore di risorse da impiegare.

Nel narcotraffico, le donne ricoprono spesso il ruolo di

messaggere o di venditrici; all’interno della strategia

dell’organizzazione ruoli legati alla logistica ma anche, sempre con

maggiore frequenza, ruoli apicali in virtù della loro specializzazione e

del livello di istruzione più alto.

La diversificazione delle attività criminali e la commistione degli

interessi anche in settori nuovi, hanno determinato il differenziarsi non

solo delle attività ma anche delle professionalità richieste.

49
A. DINO, Narrazioni al femminile, in Meridiana, fasc. 67, 2010, pp. 55-78.

20
La criminologa Simon50, ad esempio, evidenzia, attraverso i

suoi studi, il fenomeno della femminilizzazione dei reati dei colletti

bianchi. Tuttavia, così come ampiamente dimostrato da Ingrascì51, il

passaggio dal ruolo tradizionale delle donne di custodi del codice

culturale mafioso al diretto coinvolgimento femminile nelle attività

criminali non ha determinato una trasformazione sostanziale ma, così

come lo definisce la stessa autrice, una pseudo-emancipazione.

L’apparente uguaglianza sul piano criminale non è accompagnata da

uguaglianza nella sfera individuale, dove rimangono legate a vincoli

tradizionali propri del sistema gerarchico e patriarcale tipico di queste

organizzazioni.

3. La popolazione carceraria femminile

Le donne ristrette nelle carceri italiane sono, dunque, una

minoranza che ha per lo più commesso reati di lieve entità. La

detenzione, infatti, è utilizzata anche come misura cautelare e nei casi

in cui non è possibile indicare un luogo idoneo per la detenzione

50
R. J. SIMON-H. AHN-REDDING, The crimes women commit. The punishments they receive,
Oxford, 2005, pp.1 e ss.
51
O. INGRASCÌ, Donne d’onore. Storie di mafia al femminile, Milano, 2007, pp.1 ss.

21
domiciliare ovvero in caso di recidiva52. Le statistiche ISTAT relative

al 2017 rivelano come le misure cautelari e la presenza delle donne

all’interno delle carceri prive di una condanna definitiva si attesti

intorno al 33,62% del totale della popolazione femminile presente53,

percentuale elevata, seppur in diminuzione rispetto al passato, in

relazione a una previsione che dovrebbe essere utilizzata come

estrema ratio. In realtà, così come si evince dai dati, la custodia

cautelare è ancora largamente utilizzata seppur il nostro ordinamento

preveda numerosi strumenti alternativi, in particolar modo per le

donne madri di prole di età inferiore ai dieci anni.

Tipo dato numero di detenuti adulti presenti nelle


carceri italiane
Territorio Italia
Cittadinanza Mondo
Seleziona periodo 2017
Sesso maschi femmine totale
Posizione giuridica
a disposizione delle
autorità 19039 814 19853
attesa di primo
giudizio 9242 430 9672
Appellanti 5026 209 5235
Ricorrenti 3600 143 3743
misti senza
definitivo 1171 32 1203
Condannati 35850 1601 37451
condannati definitivi 31833 1499 33332
misti con definitivo 4017 102 4119
sottoposti a misure di
sicurezza 298 6 304
tutte le1 voci
Figura - Fonte dati Istat 55187 2421 57608

52
D. DI CECCA, La detenzione femminile in Italia, in Un anno di carcere, XIV Rapporto sulle
condizioni di detenzione, Antigone, 2017, pp. 43-52.

22
Alcuni autori54, assumendo come modello lo studio classico di Rusche

e Kirchheimer sulla relazione tra pena e controllo sociale, definiscono

l’epoca contemporanea come un regime di eccedenza in cui alla classe

operaia si sostituisce una umanità al lavoro non gestibile nel suo

complesso. Il controllo sociale assume, quindi, caratteristiche che

mirano alla incapacitazione di intere classi di soggetti considerati a

priori portatori di rischio sociale.

Tra i dispositivi di controllo più utilizzati, vi sono luoghi di

annientamento, di attesa nei quali i soggetti devono essere ristretti,

confinati. Il carcere incapacitante e la città suddivisa in ghetti

rappresentano l’espressione di questi strumenti del potere, rivisitando

e attualizzando la teorizzazione foucaultiana55.

Tali assunti sono confermati dalla prevalenza in carcere di

persone provenienti da contesti di deprivazione economica e sociale,

sia per ciò che concerne la popolazione carceraria femminile che

quella maschile. In particolare, per le donne si registrano sentenze

definitive con pene comminate fino a 2 anni, pari al 92,51% sul totale

delle sentenze di colpevolezza emesse a loro carico nell’anno 2017.

53
Per ciò che concerne la popolazione maschile, la percentuale non è molto differente, attestandosi
al 34,49%.
54
V., per tutti, A. DE GIORGI, Il governo dell'eccedenza. Postfordismo e controllo della
moltitudine, Verona, 2002, pp.1 e ss.
55
A. DE GIORGI, cit., 2002, pp.1 e ss.

23
Tipo dato numero di condannati per delitto con sentenza irrevocabile
Territorio Italia
Sesso Femmine
Pena inflitta reclusione
Territorio Mondo
di
provenienza
geografica
Seleziona 2017
periodo
Periodo di fino 1 3 mesi 6 mesi 1 2 anni 3 anni 5 anni 10 totale
pena a un mese e 1 e 1 anno e 1 e 1 e 1 anni e
mese e 1 giorno giorno e 1 giorno giorno giorno un
giorno - 6 - 12 giorno - 3 - 5 - 10 giorno
- 3 mesi mesi - 2 anni anni anni e più
mesi anni
1486 3741 6089 5465 3989 813 580 207 81 22451
Figura 2 - Fonte dati Istat

I reati per cui le donne finiscono maggiormente in carcere sono quelli

contro il patrimonio, contro la persona e in materia di stupefacenti,

seguiti da quelli contro l’amministrazione della giustizia, la fede

pubblica e la pubblica amministrazione. Su 7.106 detenuti al 31

dicembre 2017 per associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.)

134 erano donne. Su 97 donne detenute per reati di prostituzione, 86

erano straniere. La differenza con gli uomini è evidente. Al 31 marzo

2019, risultano presenti nelle carceri italiane 2656 donne e 54 bambini

detenuti insieme alla madre56.

La specificità della detenzione femminile, che comporta tra gli

altri aspetti anche quello della continuità degli affetti come

preminente, non è però definita e regolamentata da disposizioni ad

56
Fonte dati ISTAT.

24
hoc. Alcuni autori57 ritengono che tale situazione non sia frutto di

dimenticanza ma di opportunità in quanto da considerarsi, al pari di

minori e stranieri, di una minoranza penitenziaria.

Secondo Tamar Pitch58, il modello carcerario italiano si ispira al

Care Model59, finalizzato al reinserimento sociale del condannato e

alla sua riabilitazione. In realtà, opera ancora l’approccio correzionale,

ad esempio, nei processi di infantilizzazione e minorazione, in

collegamento alla limitazione della responsabilità determinata dalla

vita all’interno di una istituzione totale e delle afflizioni aggiuntive

alla perdita della libertà.

In termini psicologici, l’espropriazione dell’autonomia personale

fino alla limitazione delle piccole attività quotidiane comporta, per la

popolazione detenuta, la percezione della mortificazione del sé

adulto60.

4. Le norme in materia di detenzione femminile

In materia di detenzione femminile, l’ordinamento penitenziario

57
P. GONNELLA, Le identità e il carcere: donne, stranieri, minorenni, I diritti dei detenuti, in
Costituzionalismo.it, 2015, fasc. 2, pp. 1 ss.
58
T. PITCH, Quale giustizia per le donne: appunti per un dibattito, in AA.VV., Donne in carcere,
Milano, 1992, pp.175-185.
59
In contrapposizione al Justice Model, alternativo modello di giustizia individuato da Kathleen
Daly, ossia orientato in senso retributivo, in una logica formalista e garantista secondo l’etica dei
diritti.
60
Così come ribadito anche in G. ZUFFA - S. RONCONI, Donne in transizione. WIT Women in
Transition, Report gennaio 2019.

25
contempla specificatamente le detenute donne, in quanto gestanti o

madri, negli artt. 11 e 39 della l. 375/1975 e dispone che, in generale,

le donne siano detenute in luoghi separati da quelli detentivi maschili

nell’art. 14 della stessa legge.

Un tentativo di colmare tale mancanza di previsione di

normativa specifica, è la circolare emanata il 17 settembre 2008 dal

Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria61, in cui si

regolamentano nello specifico gli istituti e le sezioni femminili.

4.1 Segue: La circolare DAP 17 settembre 2008 GDAP –

0308268-2008

La circolare raccoglie i risultati emersi in fase esplorativa e di

conoscenza in occasione del PEA 25/2005, un progetto del DAP62 che

si è articolato nella costruzione di gruppi di lavoro multidisciplinari

composti da operatori impegnati nell’area trattamentale con la finalità

di raccogliere informazioni sullo stato dell’arte della detenzione

femminile, le buone prassi e la formulazione di ipotetiche soluzioni

61
Circolare DAP 17 settembre 2008, Regolamento interno per gli istituti e le sezioni femminili.
PU-GDAP-1°00-17/09/2008-0308208-2008 e reperibile all’indirizzo
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_8_1.wp?facetNode_1=0_2&facetNode_2=0_2_1&previ
siousPage=mg_1_8&contentId=SDC54106
62
Il cui testo integrale è reperibile al seguente indirizzo https://www.sappe.it/wp-
content/uploads/2018/03/0308268_17-09-2008.pdf

26
alle problematiche rilevate. Il presupposto di tale lavoro è stato quello

di individuare le specificità della detenzione femminile non

paragonandola a quella maschile ma raccogliendo le esperienze degli

operatori coinvolti direttamente nella gestione delle detenute. Si tratta

quindi di mettere a sistema il patrimonio spesso ignorato e non

considerato delle pratiche, con l’obiettivo di ripensare l’intero

impianto detentivo, elaborando risposte specifiche ai bisogni emersi.

Il testo della circolare del 2008, elaborata anche sulla base delle

riflessioni di un gruppo di lavoro multiprofessionale composto, tra gli

altri, da magistrati di sorveglianza, costituisce la “parte seconda” del

regolamento d’istituto, successiva alla parte dedicata alle sezioni

detentive maschili, ove sono previste.

Ciò a cui si tende è la declinazione dell’esecuzione della pena in

virtù della differenza di genere. Si evidenziano, quindi, alcuni aspetti:

la maternità e il rapporto coi figli, l’affettività, peculiarità dal punto di

vista fisico e psicologico e le problematiche delle detenute straniere.

Secondo gli autori della circolare, la donna è investita da una carica di

sofferenza differente rispetto all’uomo a causa del diverso percorso di

socializzazione, del diverso ruolo sociale e del maggiore peso

dell’investimento emotivo e della responsabilità affettiva nei confronti

dei familiari e congiunti.

27
In linea con la risoluzione del Parlamento europeo, approvata il

13 marzo 2008, la circolare pone le basi per i successivi interventi

legislativi in merito alla filiazione e al diritto all’affettività dei detenuti

ed in particolare delle detenute madri.

4.2 Segue: La legge 8 marzo 2001, n. 40

Altri interventi legislativi di particolare nota sono le leggi del

2001 e del 2011. In particolare, la legge 8 marzo 2001, n. 40

introduce, modificando gli artt. 146 e ss. c.p., il rinvio dell’esecuzione

della pena per le donne in stato di gravidanza, madri di prole di età

inferiore ad un anno, persone affette da AIDS conclamata o altra

malattia particolarmente grave per effetto della quale risulta

incompatibile la permanenza in un istituto carcerario.

Tuttavia, la previsione normativa non può essere applicata

qualora sussista il concreto pericolo della commissione di nuovi

delitti.

La stessa legge prevede l’introduzione nel nostro ordinamento

della detenzione speciale, ossia la previsione della detenzione

domiciliare per la madre di prole di età inferiore di anni dieci, se non

sussiste il concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è

28
la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, al fine di

mantenere il legame di filiazione e di cura nei confronti della prole.

La condannata a detenzione domiciliare speciale può essere

sottoposta, inoltre, a prescrizioni e disposizioni modificabili dal

giudice di sorveglianza competente per il luogo ove si svolge la

misura. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta

a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale.

Le stesse previsioni di legge sono disposte per il padre detenuto

qualora la madre sia deceduta o impossibilitata o non vi sia altra

persona a cui affidare la prole. Al superamento del decimo anno del

figlio, il tribunale di sorveglianza può disporre la proroga del

beneficio se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà ai

sensi dell’art. 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354; può disporre

l’ammissione all’assistenza all’esterno dei figli minori di cui all’art.

21 bis della medesima legge, applicando le stesse previsioni di legge

previste per il lavoro all’esterno. Uguale trattamento è riservato al

padre qualora la madre sia deceduta o impossibilitata o non vi sia altra

persona a cui affidare la cura della prole.

Le ragioni di revoca di tali istituti sono la cessazione dello stato

di gravidanza per perdita del feto, la perdita o la sospensione

29
dell’esercizio della potestà genitoriale, trasgressione delle prescrizioni

e comportamento contrario alla legge.

L’esercizio del potere discrezionale del giudice

nell’applicazione di tali istituti normativi è legittimata, inoltre, dal

giudizio di pericolo di reiterazione di delitti e pur tuttavia non è il solo

che ne ostacola l’applicazione.

Ai fini dell’applicazione dell’istituto della detenzione

domiciliare speciale devono ricorrere tre presupposti: che la donna

condannata sia madre di prole di età inferiore di 10 anni al momento

della richiesta e vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i

figli; che l’accesso è subordinato all’espiazione di un terzo della pena

ovvero dopo almeno 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo; che

non deve sussistere il concreto pericolo di commissione di ulteriori

reati.

Ponendo a sistema le caratteristiche socio-culturali delle

condannate a pena detentiva, la durata della pena e la tipologia di

reato, spesso le madri detenute si ritrovano a non poter accedere a tale

istituto per assenza di un domicilio in cui espiare la pena oppure per

30
mancanza dei presupposti per accedere al lavoro all’esterno, nel caso

dell’assistenza all’esterno dei figli minori63.

Il rinvio dell’esecuzione della pena, inoltre, può avere una

ragionevolezza solo nei casi di condanne per pene di media e rilevante

gravità, al fine di allontanare la figura materna dalla prole in età più

avanzata. Tuttavia, così come dimostrato dai dati relativi alle

condanne del 201764, si tratta di una esigua minoranza.

4.3 Segue: La legge 21 aprile 2011, n. 62

Un altro importante strumento normativo è rappresentato dalla

legge 21 aprile 2011, n. 62. Con la disposizione di cui all’ art. 1 si

modificano gli artt. 275, comma 4, c.p.p. e 284, comma 1, c.p.p. e

s'introduce ex novo l'art. 285-bis nel codice di rito.

Si ampliano i casi di inapplicabilità della custodia cautelare in

carcere nei confronti della madre e, in subordine, del padre di figli

minori di anni sei65 e per la donna in stato di gravidanza. Il giudice

63
I. VALVASONE, Le misure detentive non carcerarie: disciplina vigente e prospettive di riforma,
in Adir – L’altro diritto, 2013, capitolo secondo.
64
Ut supra figura 2.
65
La norma ha innalzato il limite di età del minore da tre a sei anni, con l’intento di limitare
l’ingresso in carcere dei figli di imputati. Tuttavia, non sono chiare le motivazioni per le quali la
previsione di legge non si sia allineata, per ragioni logiche e di coerenza del sistema, ad altri
istituti che prevedono il limite di età, in ogni caso estendibile, di dieci anni di età del figlio minore
per accedere ad alcuni istituti come la detenzione domiciliare speciale o l’assistenza esterna a
figlio minore: G. BELLANTONI, I limiti della carcerazione in ragione della tutela del rapporto
genitoriale con i figli minori, in Giurisprudenza Italiana, 2014, p. 1766.

31
procedente può, in ogni caso, disporre e mantenere detta misura

custodiale, qualora ritenga che sussistano, in concreto, esigenze

cautelari di eccezionale rilevanza desumibili da puntuali e specifici

elementi che denotano uno spiccato, reale, allarmante e non comune

pericolo ai sensi dell'art. 274 c.p.p.

Nella disposizione di legge non si precisa come debba avvenire

il distacco dalla prole che supera il limite fissato d’età ma si desume

che, dato il particolare evento (potenzialmente) traumatico, debbano

essere i servizi sociali del territorio a programmare gli interventi volti

a facilitare il distacco dovuto all’imminente ingresso del genitore

all’interno del circuito carcerario66.

La modifica dell’art. 284 c.p.p. incide sulle previsioni circa gli

arresti domiciliari, espiabili dalle madri di minori di età inferiore ad

anni 10, in casa famiglia protetta. In tal modo, si previene l’ingresso in

istituto delle madri - ma soprattutto della prole - che non dispongono

di un domicilio idoneo alla detenzione domiciliare.

La legge prevede, inoltre, le caratteristiche tipologiche delle case

famiglia protette e, cioè, la struttura, le dimensioni, l'arredo, i livelli di

vigilanza e di sicurezza, i servizi da erogare per soddisfare in maniera

adeguata le esigenze delle persone ospitate.

66
G. MASTROPASQUA, La legge 21 aprile 2011 n.62 sulla tutela delle relazioni tra figli minori e
genitori detenuti o internati: analisi e prospettive, in Dir. Famiglia, fasc. 4, 2011, p. 1859.

32
L’introduzione dell’art. 285 bis c.p.p. istituisce nel nostro

ordinamento gli Istituti a Custodia Attenuata (I.C.A.M.) ove la madre

di figlio di età non superiore a sei anni, oppure il padre nel caso in cui

la madre sia deceduta, impossibilitata ad assistere il figlio, possa

eseguire la misura cautelare insieme al figlio in un contesto più simile

a quello familiare. I dispositivi di sicurezza degli I.C.A.M. sono infatti

nascosti o camuffati: il personale di polizia penitenziaria non indossa

la divisa pur essendo sempre presente e ivi operano figure

specializzate per il sostegno psico-pedagogico per figli e genitori.

Infine, con la disposizione rubricata “Visite al minore infermo”,

introdotta con l’art. 21 ter nella legge 26 luglio 1975, n. 375, si

completa il quadro normativo delineato dall'art. 30 ord. penit., in cui si

prevede che la persona in vinculis può essere autorizzata a uscire dal

carcere per visitare congiunti e conviventi in imminente pericolo di

vita, nonché in caso di eventi familiari eccezionali di particolare

gravità.

Con l'articolo 3, comma 2, legge 21 aprile 2011, n. 62 si

consente alla madre con figlio infradecenne - condannata per delitti

non annoverati nell'art. 4-bis ord. penit. - di espiare fuori dal carcere

anche il terzo della pena o i quindici anni in caso di ergastolo, che

33
sono alcuni dei presupposti previsti per accedere alla detenzione

domiciliare speciale ex art. 47-quinquies ord. penit.

In particolare, la madre con figlio infradecenne può espiare i

suddetti minimi di pena in un I.C.A.M., oppure - qualora non vi sia un

concreto pericolo di fuga o di reiterazione di delitti - in abitazione, in

altro luogo di privata dimora, assistenza, cura o accoglienza, al fine di

assistere il figlio. In via residuale, la madre, qualora non possa espiare

la pena in abitazione o in altra privata dimora, può essere inserita in

una casa famiglia protetta.

L’impianto originario proposto dalla legge era quello di un

sistema alternativo di detenzione femminile extramurario in cui

conciliare, in modo più sbilanciato a favore dei minori, le esigenze

cautelari e l’obbligatorietà dell’azione penale, in ogni suo aspetto, e il

preminente interesse del minore. L’intenzione del legislatore, però, si

sono progressivamente spostate, in senso securitario, facendo

prevalere le esigenze della collettività rispetto a quelle del minore

detenuto67.

Le correzioni all’istituto della detenzione domiciliare ordinaria,

come recita l’art. 47 ter comma 1 ord. penit. così modificato,

prevedono l’ampliamento dell’applicazione per coloro i quali hanno

67
C. FIORIO, Madri detenute e figli minori, in Diritto Penale e Processo, fasc. 8, 2011, p. 936.

34
una pena da espiare, anche residua, non superiore a quattro anni,

innalzando i precedenti limiti.

Una più significativa previsione, introdotta dall’art. 3 comma 2

della legge 21 aprile 2011, n. 62, è la modifica apportata all’art. 47

quinquies ord. penit. in cui, ai fini del computo della pena espiata

necessaria per accedere all’istituto della detenzione domiciliare

speciale, può essere considerata la quota di pena espiata presso un

I.C.A.M. ovvero la propria abitazione ovvero un luogo di cura e

accoglienza al fine di provvedere all’accudimento dei figli ovvero una

casa famiglia protetta.

La norma, tuttavia, non si applica alle detenute madri

condannate per uno dei delitti previsti all’art. 4 bis ord. penit. ovvero

solo in caso di collaborazione con la giustizia, in assenza di

collegamenti con la criminalità organizzata – in caso di detenzione per

reati ostativi di prima e seconda fascia – e sulla base di prognosi

positiva dell’osservazione scientifica della personalità per le detenute

per reati di cui all’art. 4 bis comma 1 quater ord. penit., dopo aver

espiato un terzo della pena o almeno quindici anni in caso di

ergastolo.

35
Evidentemente, in questa ipotesi, la quota di pena già espiata sarà

stata scontata in ambito carcerario, per impossibilità di accesso ad altri

istituti.

Infine, l’art. 2 della legge 21 aprile 2011, n. 62, introduce l’art.

21 ter ord. penit. in cui si disciplinano i permessi per assistere il figlio

minore di anni diciotto in imminente pericolo di vita o in gravi

condizioni di salute. Alla madre condannata, imputata o internata, così

come al padre nelle medesime condizioni, è riconosciuta la possibilità

di visitare il figlio infermo all’esterno del carcere.

La visita al figlio minore infermo deve essere autorizzata dal

magistrato di sorveglianza; in caso di assoluta urgenza, può essere

autorizzata dal direttore dell’istituto.

Il contenuto del provvedimento autorizzativo e le modalità e i

tempi della visita non sono determinati dal legislatore che rinvia

verosimilmente all’art. 64, D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 in materia

di permessi68.

Il genitore detenuto di minore di anni dieci, inoltre, potrà

richiedere di presenziare alle visite specialistiche, relative a gravi

patologie, per assistere il figlio. Il giudice competente, diverso in base

alla posizione giuridica del richiedente, dovrà procedere

68
P. CORVI, La n.62/2011 rafforza almeno sulla carta la tutela delle detenute madri, in Il Corriere
del Merito, n.8-9, 2011, p. 841.

36
all’autorizzazione, non oltre le ventiquattro ore precedenti alla data in

cui è fissata la visita, e in essa indicare anche le modalità operative da

seguire.

I propositi del legislatore si scontrano con la carenza di risorse

e l’assenza di finanziamenti di programmi in favore della detenzione

extramuraria e con la mancanza di specificazioni dei requisiti delle

case famiglie e degli I.C.A.M.69.

Al mese di settembre 2018, infatti, su tutto il territorio italiano

si contano 15 nidi, 5 I.C.A.M. (Torino “Lorusso e Cutugno”; Milano

“San Vittore”; Venezia “Giudecca”, Lauro e Cagliari) e solo due case

famiglia protette (a Roma e a Milano).

Questi dati, oltre a porre un problema reale di inapplicabilità

della legge nei suoi presupposti, determina inoltre l’impossibilità per

le donne detenute di essere ristrette in luoghi in prossimità territoriale

a quelli di appartenenza o abituale residenza70.

Inoltre, osservando l’andamento della presenza di minori

all’interno degli istituti carcerari, non si registra una significativa

diminuzione dei minori che condividono la carcerazione con la madre.

Come si evince dal grafico sottostante, l’andamento della


69
P. CORVI, La n.62/2011 rafforza almeno sulla carta la tutela delle detenute madri, in cit., p.
842.
70
Se si considera, inoltre, che su tutto il territorio italiano gli istituti interamente dedicati alla
popolazione carceraria femminile sono solo 5 (Empoli, Pozzuoli, Roma “Rebibbia”, Trani,
Venezia “Giudecca”) e 52 sono le sezioni femminili all’interno di istituti penitenziari maschili.

37
presenza di minori all’interno degli istituti penitenziari è oscillante ma

né il 2001 né il 2011 hanno segnato in modo significativo la serie

storica.

Figura 3 - Fonte Ministero della Giustizia. Rilevazione al 31 dicembre di ogni anno.

38
CAPITOLO II

I LUOGHI DELL’AFFETTIVITÀ E DELLA GENITORIALITÀ PER LE

PERSONE IMPUTATE E CONDANNATE

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’affettività in carcere. – 3. La genitorialità


in carcere. - 3.1. Segue: La maternità in carcere. - 4. I luoghi di detenzione
extramuraria. - 4.1. Segue: Le ICAM. – 5. Benessere dei minori e reinserimento
sociale della madre.

1. Premessa

Così come precedentemente esposto71, l’istituzione delle ICAM

costituisce una innovazione importante per il nostro ordinamento,

seppur non realizzando, almeno per il momento, un cambiamento

significativo nell’entità del fenomeno della permanenza in carcere dei

bambini figli di madri detenute.

Spesso si tratta di donne provenienti da contesti di marginalità

sociale, molte straniere con uno scarso livello di scolarizzazione e un

basso livello di comprensione della lingua italiana, condannate o

71
Si veda al par. 3.3 del Capitolo I del presente lavoro di ricerca.

39
imputate per reati contro il patrimonio, prostituzione e violazione della

normativa su stupefacenti72.

La maggior parte delle madri che tengono i figli presso di sé sono

extra-comunitarie, e se italiane, di etnia Rom. La decisione di tenere il

bambino si configura come una soluzione che si assume solo quando

non sono possibili sistemazioni alternative, perché inesistenti o perché

difficilmente praticabili73. Per la quasi totalità delle donne la decisione

è dettata da situazione di emergenza: figlio nato in carcere, altri

numerosi figli già affidati a familiari, assenza o eccessiva lontananza

della famiglia. La scelta, qualora si configuri come tale, viene

motivata con il desiderio di seguire da vicino la crescita del bambino

sia pure in un ambiente tanto sfavorevole. Tuttavia, ciò che potrebbe

essere manifestata come scelta potrebbe essere, al contrario, una

«condizione ancora più estrema di mancanza di alternative, tanto da

rendere la detenzione del piccolo preferibile alle condizioni materiali e

affettive di vita che si troverebbe ad affrontare all'esterno»74.

L’esperienza dei bambini reclusi insieme alla madre nelle sezioni

nido75 è stata studiata sotto molti aspetti ed è emerso un quadro

72
Dati forniti da ISTAT in http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_DETENUTI#
73
E. CAMPELLI - F. FACCIOLI - V. GIORDANO - T. PITCH, Donne in carcere, Milano, 1992, p. 124.
74
E. CAMPELLI - F. FACCIOLI - V. GIORDANO - T. PITCH, Donne in carcere, cit., p. 125.
75
Per approfondimenti sugli aspetti pedagogici e psicologici della relazione madre-figlio nello
specifico contesto penitenziario, cfr.: G. PERRICONE - M. REGINA MORALES - C. POLIZZI - L.
GRANATO, La percezione della competenza genitoriale nei luoghi di detenzione, in

40
desolante: è stata osservata una sorta di regressione o di ritardo nello

sviluppo dei bambini, poiché risulterebbero ipostimolati dall’ambiente

in termini di movimento, materiali, giochi, attività, spazi, esperienze

di socializzazione ed esplorazione76. Per la maggior parte del tempo

condividono con la madre lo spazio della cella, spesso con la porta

chiusa, o del cortile del carcere; godono di limitatissime occasioni di

incontro con persone esterne, e praticamente nessuna con le figure

parentali, in particolar modo di quella paterna. La possibilità, per

questi piccoli reclusi, di avere rapporti con altri bambini, se non gli

altri residenti in carcere, è limitata alla frequentazione dell'asilo

comunale, che rappresenta quindi l'unico canale di socializzazione

esterna. Le relazioni umane per questi bambini si concludono con il

contatto con la madre, le altre detenute, il personale penitenziario e i

Minorigiustizia, 2010, fasc. 1, pp. ? ss; G. BIONDI, Lo sviluppo del bambino in carcere, Milano,
1994; R. CASSIBBA - L. LUCHINOVICH - J. MONTATORE - S. GODELLI, La genitorialità reclusa:
riflessioni sui vissuti dei genitori, in Minorigiustizia, 2008, fasc. 4, pp. 150-158; M. I. SARTI,
Madri e bambini in carcere, in Minorigiustizia, 2012, fasc. 1, pp. 488-491, G. PERRICONE- C.
POLIZZI-S. MAROTTA, La relazione madre-bambino all’interno della struttura penitenziaria, in La
Famiglia, bimestrale di problemi familiari, 2010, pp. 18-34; F. PETRANGELI, Tutela delle relazioni
familiari ed esigenze di protezione sociale nei recenti sviluppi della normativa sulle detenute
madri, in Rivista AIC, 2012; fasc. 4, p.? ; M. C. MALIZIA, Maternità in carcere; uno studio
esplorativo, in Psicologia e giustizia, 2012, fasc. 2, p.?; C. CATTARIN, Maternità in carcere,
aspetti legislativi, psicologici e statistici, Padova, 2012; A. M. DI VITA - A. SALERNO - V.
GRANATELLO, La maternità reclusa, in Psicologia contemporanea, 2003, pp. 58-64; D. FARANO,
La maternità in carcere: aspetti problematici e prospettive alternative, in La rivista di servizio
sociale, 2000, fasc. 3, pp.19-30; A. R. RAMASSO, Madri e bambini in carcere, in Infanzia, 2006,
pp. 14-16; M. C. CALLE, Figli presenti, figli assenti: essere madre nella discontinuità. Madri e
bambini in carcere?, in Minorigiustizia, 2005, fasc. 1, pp. 113-117; N. LAFACE, Fino a sei anni
del bambino custodia cautelare solo in casi eccezionali, in Famiglia e minori, 2011, fasc. 6, pp.
26-30; L. ROSSI, Diritti dell’infanzia, diritti della genitorialità e carcerazione, Pedagogika.it,
2001, pp. 39-40.
76
J. M. JIMEZ-J. PALACIOS, When home is in jail: child development in Spanish penitentiary units,
in Infant and Child Development: An International Journal of Research and Practice, 2003.

41
volontari che fanno loro visita.

Una delle attività predilette è il gioco della chiusura e apertura

delle porte e il gioco delle chiavi, dimostrando come questi bambini

abbiano una predilezione per giochi strutturati e ripetitivi77. Inoltre,

dimostrano notevoli difficoltà di socializzazione, determinate dalla

condizione di limitazione dei contatti umani oltre a quello con la

madre con cui, spesso, instaurano un rapporto simbiotico e di

dipendenza, improntato sull’iperprotetività della madre. Tutto ciò

comporta disagio per il bambino, espresso attraverso la rabbia e

l’insicurezza78. La figura paterna è completamente esclusa, anche ove

presente.

Il bambino in stato di detenzione con la madre può sviluppare,

inoltre, problemi alimentari relativi alla scarsa varietà e adeguatezza

nutrizionale dei cibi somministrati dalla mensa o comunque reperibili,

alternazioni del sonno, disturbi legati al ritardo nello sviluppo

cognitivo e linguistico79.

Diversa, ma non per questo meno problematica, è la condizione

dei bambini che crescono all’esterno delle mura carcerarie ma in

77
G. BIONDI, Lo sviluppo del bambino in carcere, Milano, 1994.
78
Ibidem
79
J. POEHLMANN, Children's Family Environments and Intellectual Outcomes During Maternal
Incarceration, in Journal of Marriage and Family, 2005, n. 67, pp. 1275−1285.

42
assenza delle figure di riferimento come la madre o il padre, o

entrambi.

Il quid della questione è quindi quello di calibrare l’intensità

della pretesa punitiva tenendo conto del preminente interesse del

minore, considerandone l’età, le particolari esigenze e operando

consapevolmente per prevenire quei fattori di rischio che potrebbero

influenzare il futuro della prole. Alcuni studi, infatti, dimostrano che

la presenza tra i familiari più stretti di esperienze di detenzione è un

elemento che può facilitare la devianza minorile, il precoce abbandono

scolastico e l’ingresso all’interno del circuito penale80.

2. L’affettività in carcere

In tema di affettività in Carcere, numerosi sono i testi normativi,

nazionali e internazionali, che regolamentano e disciplinano la

controversa materia: l’art. 12 C.e.d.u., che riconosce il diritto al

matrimonio, le Regole penitenziarie europee81, all’art. 24 comma 4,

80
D. H. DALLAIRE, Incarcerated Mother and father: a comparison of risks for children and
families, in Family Relation, 2007, fasc. n. 56, pp. 440-453; D. F. REED - R. L. REED, Children of
incarcerated parents, in Social Justice, 1997, fasc. n. 24, pp. 152–169; T. A. FRITSCH - J. D.
BURKHEAD, Behavioural reactions of children to parental absence due to imprisonment, in Family
Relations, 1981, fasc. 30, pp. 83–88; S. GABEL - R. SHINDLEDECKER, Characteristics of children
whose parents have been incarcerated, in Hospital and Community Psychology, 1993, fasc. 44,
pp. 656–660.
81
Racc. R (2006) 2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 11/01/2006, consultabile in
http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/92.pdf.

43
raccomandano agli Stati membri di consentire ai detenuti la possibilità

di mantenere i rapporti con i familiari da svilupparsi nel modo più

adeguato possibile. Notevole rilievo assume il commento in calce a

tale Regola, che contiene una precisazione in merito ai tempi di

godimento del diritto, laddove si legge che “ove possibile devono

essere autorizzate visite familiari prolungate” nella convinzione che

“visite coniugali più brevi autorizzate a questo fine possono avere un

effetto umiliante per entrambi i partner”82. Secondo Talini83, questa

raccomandazione include la sfera affettiva e sessuale.

La Corte EDU, tuttavia, sancisce ampia discrezionalità agli Stati

aderenti rispetto alla garanzia del godimento del c.d. diritto alla

sessualità intramuraria84, in considerazione delle questioni legate alle

necessità e alle risorse dei singoli ordinamenti nazionali. Per tale

ragione, la Corte prevede il principio generale della restrizione alla

riservatezza durante lo svolgimento delle visite per ragioni di ordine e

82
A. DELLA BELLA, Riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute: uno sguardo
all’esperienza francese, documenti Tavolo 14 Stati Generali esecuzione penale, allegato 3, in
https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/SGEP_tavolo14_allegato3.pdf, pp. 2-3; A. LA
VILLA, Diritto all’affettività e alla sessualità: la realtà del Canton Ticino tra prassi e norma, in La
dimensione dell’affettività in carcere. Uno studio sulla sessualità, la genitorialità e possibilità di
procreazione nel sistema penitenziario, in Quaderni ISSP, 2015, fasc. 12, pp. 73 ss.
83
S. TALINI, L’affettività ristretta, in Costituzionalismo.it, 2015, fasc. 2, p.18.
84
Corte EDU, sent. 4 dicembre 2007, Dickson c. Regno Unito; Corte EDU, sent. 29 luglio 2003,
Aliev c. Ucraina, consultabili in www.echr.coe.int; A. DIDDI, Il diritto del detenuto a coltivare
legami intimi con persone esterne al carcere: una questione antica e non (ancora) risolta, in Proc.
Pen.Giust., 2013, fasc.3, p.108. Cfr. anche T. GRIECO, La Corte costituzionale sul diritto dei
detenuti all'affettività ed alla sessualità, in Dir. Pen. Cont., 2013; H. CODD, The slippery slope to
sperm smuggling: prisoners, artificial insemination and human right, in Medical Law Review,
2007, fasc. 15(2), p. 220.

44
sicurezza, a tutela della vittima di reato, ovvero per ragioni di

prevenzione penale85.

Numerose sono le esperienze europee di concessione di visite

non sorvegliate come per esempio nel Canton Ticino: ai detenuti, è

concesso incontrarsi con i loro partner in un’apposita struttura, la cd.

“Silva”. In Germania alcuni Lander accordano la possibilità di godere

di visita non sorvegliata ai detenuti che hanno cumuli di pena

consistenti. In Norvegia, Danimarca e Olanda viene garantito il diritto

alla sessualità grazie alla predisposizione di piccoli appartamenti

immersi nel verde e forniti di tutti i comfort; in Svezia gli

appartamentini sono ubicati negli stessi istituti di pena. In Francia e in

Belgio è stato sperimentato un programma di convivenza del detenuto

con la famiglia in assenza di dispositivi di sorveglianza, per la durata

massima di 48 ore, addebitando i costi agli interessati. In Romania si

prevede la messa a disposizione di diverse stanze per dare espressione

alla propria intimità; in Croazia sono consentiti colloqui non

sorvegliati di quattro ore con il coniuge o con il partner e in Albania,

85
Corte EDU, sent. 22 ottobre 1997, E.L.H. e altro c. Regno Unito; Corte EDU, sent. 10 luglio
1980, Draper c. Regno Unito; Corte EDU, sent. 3 ottobre 1978, X. e altro c. Svizzera, tutte
consultabili in www.echr.coe.int.

45
una volta a settimana, sono previste visite non sorvegliate per i

detenuti coniugati86.

La Corte Costituzionale italiana, con la sentenza n. 301 del 2012,

ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità

costituzionale dell’art.18 comma 2 ord. penit. nella parte in cui

prevede il controllo visivo del personale di custodia sui colloqui dei

detenuti e degli internati con i partners.

Secondo il giudice a quo, «la preclusione posta di fatto

all’esercizio del diritto sarebbe in contrasto anche con il principio di

uguaglianza e ostacolerebbe il pieno sviluppo della persona del

detenuto; si concretizzerebbe, inoltre, in un trattamento contrario al

senso di umanità, tale da compromettere la funzione rieducativa della

pena in quanto l’astinenza sessuale, incidendo su una delle funzioni

fondamentali del corpo, determinerebbe pratiche innaturali e

degradanti, quali la masturbazione e l’omosessualità “ricercata o

imposta”. [...] e l’astinenza sessuale comporterebbe l’intensificazione

di rapporti a rischio e la contestuale riduzione delle difese sul piano

della salute, e non aiuterebbe uno sviluppo normale della sessualità

“con nocive ricadute stressanti sia di ordine fisico che psicologico”»

86
L. CUPPARI, Amore sbarrato: affettività e sessualità dei detenuti come diritti fondamentali
(parzialmente) inattuati. Approccio negazionista del legislatore italiano in una prospettiva di
analisi comparata, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, fasc. 2-bis, pp. 9 – 10.

46
contrastando con un precetto costituzionale di fondamentale

importanza, la garanzia del diritto alla salute, ex art. 32 Cost87.

Tuttavia non poche sono le difficoltà organizzative ed etico-

morali riguardo al tema: la mancanza di risorse e il sovraffollamento

potrebbero causare l’ingresso di oggetti e di sostanze stupefacenti in

modo incontrollato; si aprirebbe la questione nei confronti dei detenuti

che non hanno una relazione stabile all’esterno delle mura carcerarie o

ai detenuti stranieri; si dovrebbe prevedere un piano di distribuzione di

contraccettivi meccanici per evitare soprattutto la trasmissione di

malattie sessuali; si dovrebbe trovare un equilibrio normativo tra

genitorialità consapevole e responsabile e la c.d. “prigionizzazione

secondaria88” del partner che vive all’esterno delle mura carcerarie.

Certamente questi sono tutti temi molto controversi e di difficile

soluzione ma il legislatore italiano non sembra essere propenso

compiere scelte in merito, così come avvenuto in altri stati europei.

3. La genitorialità in carcere

Il percorso dell’ordinamento italiano in tema di genitorialità per i

87
Corte cost. (11 dicembre) 19 dicembre 2012, n. 301, in www.giurcost.org.
88
Ossia la restrizione delle mogli o delle compagne dei detenuti che subiscono la stessa restrizione
di diritti e marginalizzazione sociale. Per un approfondimento, v. M. COMFORT, Doing time
together. Love and Family in the shadow of the prison, Chigago, 2008.

47
detenuti ha avuto una sua evoluzione abbastanza recente: se, infatti, la

commissione di un reato, in particolare se l’autrice era la madre, era

già presupposto per considerare decaduto il ruolo genitoriale89, la

codificazione del diritto ha eliminato questo automatismo fino a

giungere all’affermazione, in anni recenti, del principio della

responsabilità genitoriale90.

L’evoluzione del diritto ha visto, infatti, il trasformarsi della

patria potestà, intesa come potestà attribuita al padre di proteggere,

educare e istruire la prole, in potestà genitoriale all’indomani

dell’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia operata nel

1975. Gli artt. 316 e ss. del c.c. vengono modificati nel 2013,

sostituendo il termine potestà in responsabilità, indicandone con

maggiore efficacia i contenuti dell’impegno genitoriale nei confronti

della prole.

La normativa in materia in vigore in riferimento alla decadenza

dell’esercizio della responsabilità genitoriale è la legge 4 maggio

1983, n. 184, modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 e dal D.

lgs. 28 dicembre 2013, n.154.

89
A. SALVATI, La detenzione femminile, in Amministrazione in Cammino, 2009, p.8
90
La riforma della filiazione, operata dalla la legge 10 dicembre 2012, n. 219 e dal decreto
legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, prevede la modifica dell’art. 316 del codice civile,
sostituendo l’espressione “potestà dei genitori” con quella di “responsabilità genitoriale” che
peraltro non contiene più il riferimento della durata fino alla maggiore età.

48
La decadenza della responsabilità genitoriale è pronunciata dal

giudice qualora il genitore violi o trascuri i doveri ad essa inerenti o

abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. Quindi, solo

per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio

dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o

convivente che maltratta o abusa del minore. Anche il comportamento

del genitore pregiudizievole ai figli può dare uguale esito. Il

provvedimento è comunque revocabile qualora siano cessate le ragioni

per le quali la decadenza dalle responsabilità genitoriali è stata

disposta.

La perdita della responsabilità genitoriale può essere anche

prevista come pena accessoria e avrà, quindi, la durata prevista dalla

sentenza di condanna, non revocabile o modificabile nel tempo, salvo

casi eccezionali. La durata della pena accessoria è pari a quella

principale.

La legge prevede, inoltre, la perdita della responsabilità

genitoriale nei casi in cui la qualità di genitore sia elemento costitutivo

del reato: ad esempio, all’art. 564 c.p. si prevede che il genitore che è

colpevole di incesto con un proprio discendente diretto, perda

automaticamente la tutela legale e ogni diritto sulla prole; ancora nei

reati contro lo stato di famiglia così come nei reati di violenza

49
sessuale, lì dove il colpevole sia ascendente, anche adottivo, tutore

ovvero persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di

vigilanza o di custodia, il minore sia affidato91. Un’altra ipotesi di

perdita di responsabilità genitoriale prevista dalla legge è novellata

all’art. 71 c.p. in merito all’affidamento abusivo nella fattispecie in cui

sia il genitore ad affidare definitivamente a terzi il minore senza che

ne abbia titolo.

L’intento del legislatore è quello di potenziare la

stigmatizzazione del comportamento illecito tramite l’irrogazione di

una sanzione aggiuntiva e fondare una presunzione di inidoneità di

taluni rei all’esercizio dei diritti e doveri legati alla responsabilità

genitoriale92.

La valutazione sull’idoneità del genitore ristretto, in altre ipotesi

che non rientrano nella sfera penale, è effettuata dal giudice civile

nell’ambito di procedimenti di scissione della coppia genitoriale o di

limitazione o oblazione della responsabilità genitoriale ovvero dello

stato di adottabilità.

La situazione potrebbe essere suscettibile di cambiamento nel

91
Così come previsto dall’art. 609 quater c.p.
92
J. LONG, Essere madre dietro le sbarre, in G. MANTOVANI, Donne ristrette, Torino, 2018, p.
138.

50
futuro poiché il recente d.l. sicurezza – d.l. 4 ottobre 2018, n. 118 così

come modificato con la legge di conversione l. 1 dicembre 2018,

n.132 – ha introdotto l’obbligo di comunicare al pubblico ministero

minorile il fermo e l’arresto di madre con prole di età minore, la

custodia cautelare in carcere e l’ordine di esecuzione della sentenza di

condanna a pena detentiva nei confronti di madre di prole di minore

età, nonché l’obbligo per gli istituti penitenziari e gli istituti a custodia

attenuata per detenute madri di trasmettere semestralmente al

procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni,

l’elenco di tutti i minori collocati presso le loro strutture, con la

specifica indicazione della località di residenza dei genitori, dei

rapporti con la famiglia e informazioni sulle condizioni psicofisiche

del minore.

La Procura è obbligata a effettuare ispezioni nei suddetti istituti

per valutarne l’idoneità. Il collegamento tra ordinamento penitenziario

e il diritto civile minorile potrebbe facilitare il rilevare e risolvere le

situazioni di pregiudizio per i minori93.

In tutte le altre ipotesi, la responsabilità genitoriale non cessa e,

al contrario, le relazioni con i familiari sono incentivate e sostenute.

La normativa penitenziaria riconosce il diritto fondamentale delle

93
J. LONG, Essere madre dietro le sbarre, cit., p. 114.

51
persone ristrette ad avere contatti con la propria famiglia e ciò

costituisce, spesso, un elemento perno su cui è incentrato il progetto

trattamentale individuale in vista del futuro reinserimento sociale del

condannato.

La normativa è in linea sia con i principi costituzionali sanciti

negli artt. 2, 29, 30 e 31, nonché nell’art. 8 Corte EDU, che riconosce

il diritto al rispetto della vita familiare, e le Regole penitenziarie

europee94, che all’art. 24 comma 4, raccomandano agli Stati membri

di consentire ai detenuti la possibilità di mantenere i rapporti con i

familiari da svilupparsi nel modo più adeguato possibile.

Un’altra fonte normativa di tutela della relazione tra detenuti e

filiazione è la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti

dell’infanzia e dell’adolescenza del 20/11/1989, ratificata dall’Italia

con la legge 27 luglio 1991, n. 176, che afferma il diritto dei

minorenni separati dai genitori, anche per effetto della detenzione di

quest’ultimi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti

diretti con i genitori, a meno che ciò non sia in contrasto con il

preminente interesse del minore.

Le c.d. “Regole di Bangkok”, ancora, stabiliscono che i contatti

tra le detenute e i figli, insieme a coloro i quali ne hanno la custodia e

94
Racc. R (2006) 2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 11/01/2006, cit.

52
ne sono rappresentanti legali, devono essere incentivati e facilitati

attraverso ogni ragionevole mezzo. Nella Raccomandazione (2018)5

del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, del 4 aprile 201895,

si prevedono specifiche indicazioni per favorire il mantenimento del

rapporto genitoriale: i contatti con il genitore incarcerato devono

essere garantiti sin dalla prima settimana di reclusione, pur non

interferendo con gli impegni quotidiani del minore con particolare

riferimento all’obbligo scolastico; le perquisizioni sui bambini

dovrebbero essere svolte in modo non traumatico per i minori; la

detenzione dei genitori dovrebbe rispondere al criterio territoriale per

favorire le visite dei familiari e anche la sala colloqui dovrebbe essere

accogliente; si dovrebbero incentivare contatti attraverso strumenti

tecnologici, quali video-chiamate96, per sopperire al problema della

distanza fisica. Gli istituti, inoltre, dovrebbero dotarsi di agenti di

polizia penitenziaria specializzati nel contatto con minori per

accompagnarli nel loro ingresso in istituto, spiegare loro le regole con

il giusto riguardo.

95
Consultabile in
https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectId=09000016807b3175.
96
Sul punto si fa riferimento a Trib. min. Trieste, decr. 23 agosto 2013, così commentata da J.
LONG, Restare padre dietro le sbarre: il diritto del figlio e del padre detenuto alla reciproca
frequentazione [nota a Trib. Min. Trieste, decr. 28.8.2013] in La Nuova Giurisprudenza Civile
Commentata, 2014, fasc. 1, pp. 45-51.

53
L’ordinamento penitenziario italiano dedica ai rapporti tra

detenuti e familiari numerosi articoli. Primo fra tutti, all’art.15 ord.

penit. si annoverano le relazioni familiari come elementi essenziali del

trattamento penitenziario; all’art. 28 ord. penit. l’Amministrazione

penitenziaria si assume le proprie responsabilità per favorire queste

relazioni. Infatti, sarà cura dell’amministrazione di segnalare agli

Uffici di Esecuzione Penale Esterna, competenti per territorio, ogni

problematica relativa alla continuità dei rapporti tra detenuto e

familiari affinché vengano intrapresi gli interventi opportuni.

Agli artt. 14 e 42 ord. penit. si prevede, inoltre, che assegnazioni

e trasferimenti possano essere disposti anche per “motivi familiari”,

ottemperando al principio della territorialità della pena ossia

prevedere l’esecuzione della pena in un luogo prossimo a quello in cui

risiedono i familiari del detenuto o internato.

Questo parametro ha avuto particolare rilievo nelle disposizioni

di riforma dell’ordinamento penitenziario operate dal d.lgs. 2 ottobre

2018, n. 123 in attuazione della legge 23 giugno 2017, n. 103,

affermando il diritto del detenuto o internato all’assegnazione ad un

istituto quanto più vicino possibile alla stabile dimora della famiglia o

al proprio centro di riferimento sociale, fatti salvi specifici motivi

contrari.

54
D’altra parte, è la stessa Costituzione che sancisce che la

sanzione detentiva non può comportare una deroga a tutti i diritti

personali e soggettivi. La Corte costituzionale ha affermato che «chi si

trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua

libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in

quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua

personalità individuale»97. Il detenuto, quindi, non può essere privato

della sua libertà personale in termini assoluti, conservando la titolarità

di quei diritti compatibili con la detenzione e la facoltà di esercitarli98.

In occasione degli Stati Generali dell’esecuzione penale conclusi

nel 2016, tuttavia, ampio dibattito è stato dedicato alle relazioni che

intercorrono tra detenuti e figli minori, alle limitazioni cui sono

sottoposti i detenuti in regime di 41-bis, ai permessi concessi nei casi

di “particolare rilevanza”, ai “permessi di attività”, all’aumento della

durata delle telefonate e all’introduzione dell’istituto della visita,

diverso dal colloquio perché priva di controllo visivo e/o auditivo.

Tuttavia, i decreti legislativi attuativi della riforma hanno

semplicemente aumentato il numero dei colloqui e poco altro,


97
Corte cost., (25 luglio) 6 Agosto 1979, n. 114; Id. (24 giugno) 28 Luglio 1993, n. 349, in
www.giurcost.org. Cfr anche S. TALINI, Un diritto “sommerso”: la questione dell’affettività in
carcere approda alla Corte Costituzionale in Forum di Quaderni Costituzionali, in Amicus Curiae
Rassegna, 2012, fasc. 10, pp. 1 ss.
98
A. GABOARDI, Trattamento penitenziario e diritti fondamentali alla luce del diritto
sovranazionale, in AA.VV., Libertà dal carcere, libertà nel carcere. Affermazione e tradimento
della legalità nella restrizione della libertà personale, Torino, 2013, p. 24; G. M. FLICK, I diritti
dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale, in Dir. Soc., 2012, fasc. 1, pp. 194 ss.

55
prevedendo solo, ove possibile, una dimensione riservata dei colloqui

visivi, evadendo, così, il problema dell’affettività in carcere e gli

orientamenti, seppur poco delineati, espressi dalla legge delega99.

Altre due questioni sono rilevanti in materia di affettività in

carcere e connesse alla realizzazione della personalità: la possibilità di

contrarre matrimonio e la procreazione.

La prima ha trovato soluzione nel dato normativo: l’art.110 c.c.

prevede infatti che, in caso di impedimento giustificativo, quale la

detenzione, a recarsi alla casa comunale, l’ufficiale di stato civile può

recarsi insieme al segretario comunale nei locali ove si trovi lo sposo

impedito. È richiesta la presenza di quattro testimoni. Anche per ciò

che concerne la costituzione di unione civile, si prevede analogo iter.

L’art. 44 ord. penit. prevede che non sia indicata la dicitura

dell’istituto penitenziario per indicare il luogo ove è avvenuto il

matrimonio ma solo l’indirizzo. Il matrimonio può essere contratto

anche in occasione di un permesso premio e quindi in quel caso può

avvenire nel luogo prescelto dalla coppia.

Più controverso è il percorso giurisprudenziale che ha condotto al

riconoscimento del diritto di accesso alle tecniche di procreazione


99
E. DOLCINI, La Riforma Penitenziaria Orlando: cautamente, nella giusta direzione, in Dir. pen.
cont., 22 febbraio 2018, pp. 1 ss.; A. DELLA BELLA, Riforma dell’ordinamento penitenziario: le
novità in materia di assistenza sanitaria, vita detentiva e lavoro penitenziario, in Dir. pen. cont, 7
novembre 2018, pp.1 ss.

56
assistita, disciplinate dalla legge 19 febbraio 2004, n.40, per la

persona ristretta in un istituto penitenziario. La Corte di Cassazione, in

tempi recenti, ha affermato il diritto dei detenuti di fare ricorso alle

suddette tecniche in caso di sterilità o infertilità certificata di uno dei

due partners oppure di patologia, accertata medicalmente, che

giustifichi il trattamento100, riconoscendo in capo alle persone ristrette

in carcere il diritto alla procreazione, quale situazione giuridica

soggettiva non sacrificabile in assoluto e tutelabile in concreto sulla

base di un bilanciamento ispirato al criterio della proporzione tra le

esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria e l’interesse della singola

persona101. Si tratta di un orientamento in linea con la giurisprudenza

europea, secondo la quale il concepimento di un figlio rientra nel

diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8

CEDU ed integrante un aspetto di particolare rilievo dell’esistenza e

dell’identità dell’individuo.

Il tema è di particolare rilievo per le detenute, in quanto, al di là

delle ipotesi contemplate nella legge, le donne potrebbero trovarsi

nella situazione di ridotta fertilità, se non del tutto compromessa

dall’avanzare dell’età, nel caso in cui debbano aspettare la conclusione


100
Le Linee Guida in materia di procreazione medicalmente assistita, espresse con d.m. 1 luglio
2015 n. 86935, prevedono l’utilizzo delle tecniche anche per portatori di una malattia virale
sessualmente trasmissibile per infezioni da HIV, HBV o HCV nonché malattie genetiche di
particolare gravità.
101
Cass., Sez. I, 30 gennaio 2008, n. 7791, in DeJure.

57
dell’esecuzione della pena. Sembrerebbe opportuno, quindi,

individuare dei criteri che consentano di contemplare e bilanciare il

desiderio di maternità con la necessaria tutela del nascituro, scevro da

strumentalizzazioni pericolose per il benessere psicofisico del

bambino.

3.1. Segue: La maternità in carcere

Il nostro ordinamento è stato progressivamente ispirato ad un

bilanciamento sempre più favorevole alle esigenze di sviluppo dei

minori, soprattutto nei loro primi mesi di vita. Con la legge cd.

"Gozzini", legge 10 ottobre 1986, n. 663, di modifica della legge

sull’ordinamento penitenziario si è introdotto, per determinate

categorie di soggetti e per condanne o residui di breve durata, l’istituto

della detenzione domiciliare. La detenzione domiciliare quale

modalità esecutiva della pena viene estesa anche alle donne incinte e

alle detenute con figli di età inferiore ai tre anni, con loro conviventi,

come alternativa al differimento della pena, previsione di favore già

prevista, benché fondata su una diversa ratio, dall'ordinamento. Con la

legge cd. "Simeone", legge 27 maggio 1998, n.165, la possibilità di

fruizione della detenzione domiciliare è stata ulteriormente ampliata,

58
in relazione sia alla durata della condanna che all'età dei minori,

arrivata alla soglia dei dieci anni.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 215 del 1990102,

estende anche ai padri la possibilità di usufruire della detenzione

domiciliare, alle stesse condizioni della madre, nel caso in cui questa

sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole.

La c.d. legge "Finocchiaro", legge 8 marzo 2001, n.40, interviene

nello specifico in merito alla situazione dei genitori detenuti103.

La legge interviene, inoltre, in materia di sospensione

dell'esecuzione della pena, ampliando i presupposti applicativi sia del

rinvio obbligatorio (da sei mesi ad un anno di età), sia di quello

facoltativo (fino a tre anni di età del bambino); introduce, quindi, due

nuovi istituti relativi ancora alla fase dell'esecuzione penale: il primo è

la detenzione domiciliare speciale; il secondo è l'assistenza all'esterno

per i figli minori”104.

102
Corte cost., (04 aprile) 13 aprile 1990, n. 215, in www.giurcost.org. All’art. 2 si legge, infatti,
“Il trattamento differenziato previsto per la prole infratreenne che, pur avendo la madre detenuta, è
ammessa dalla legge impugnata a godere dell’assistenza della genitrice mediante l’istituto della
detenzione domiciliare, rispetto alla sorte di coloro che, essendo la madre deceduta o
impossibilitata, non possono ricevere pari beneficio riguardo al padre detenuto, non
sembra ispirato a razionalità alcuna. In effetti, la manifesta incompatibilità di tale
situazione dell’art. 3 della Costituzione emerge particolarmente dal collegamento coi
principi consacrati negli artt. 29, 30, 31 della Costituzione stessa”. La sentenza è
integralmente consultabile al seguente indirizzo
http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0215s-90.html
103
F. PETRANGELI, Tutela delle relazioni familiari ed esigenze di protezione sociale nei recenti
sviluppi della normativa sulle detenute madri, in Rivista AIC, fasc. 4, 2012, pp. 2-3.
104
Per un’ampia trattazione degli istituti elencati si rinvia al capitolo primo della presente ricerca.

59
Pur rappresentando una minoranza tra la popolazione carceraria,

le detenute madri rappresentano il 73% delle donne recluse, e tra

queste il 42% ha figli minori105. La separazione al momento

dell’ingresso in carcere, così come lo stigma a cui sono soggetti i figli

pur restando all’esterno degli istituti detentivi, sono esperienze che

segnano negativamente i vissuti di questi minori106.

Le difficoltà sono spesso acuite dai limiti al principio della

territorialità della pena a causa delle esiguità delle strutture dedicate

alle donne107. Ciò non facilita la regolarità e la stabilità delle relazioni

familiari, soprattutto con i minori che hanno anche l’esigenza di

assolvere all’obbligo scolastico.

L’analisi della giurisprudenza evidenzia come la maggioranza dei

giudici civili sia restia a pronunciare provvedimenti limitativi o

oblativi della responsabilità genitoriale ancorati alla condanna penale

e alla detenzione del genitore108. L’interesse preminente del minore è

declinato, infatti, sul piano affettivo, mettendolo nelle condizioni di

maturare un attaccamento sicuro con il genitore.

105
M.P. GIUFFRIDA, Studio sulle donne ristrette negli istituti penitenziari, DAP – Gruppo di
Lavoro ICAM, Roma, 3 aprile 2009, in L. RAVAGNANI-C.A. ROMANO, Women in prison, Lecce –
Brescia, 2013, p. 188.
106
Così come evidenziato in premessa a questo capitolo, in particolare nella nota 6.
107
G. FABINI, Donne e carcere: quale genere di detenzione?, Torna il Carcere, XIII Rapporto
Antigone, maggio 2017, consultabile in http://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-
condizioni-di-detenzione/
108
J. LONG, Essere madre dietro le sbarre, cit., p. 114

60
Il modello di comportamento deviante del genitore reo, spesso

legato all’appartenenza a sub culture devianti, può essere neutralizzato

e sostituito da modelli più idonei attraverso interventi esterni sia sul

minore che sulla detenuta o internata in sede trattamentale.

Il minore, ad esempio, può accedere a servizi di “educativa

territoriale” e il genitore agli incontri sulla genitorialità organizzati

all’interno della struttura carceraria109.

Di differente orientamento è taluna giurisprudenza che, in

materia di associazione mafiosa, ha ritenuto opportuno interrompere i

rapporti tra genitori e prole a causa dei comportamenti sovversivi delle

regole morali e civiche, improntati sull’illegalità e, pertanto, tali da

compromettere il futuro dei figli minorenni110.

L’orientamento maggioritario, tuttavia, non riconosce tanto

pregiudizievole il contatto con l’ambiente carcerario così come

l’allontanamento del minore dalle figure genitoriali. Per ciò che

concerne la fascia d’età 0-3, la scelta di fare entrare i bambini

all’interno delle mura carcerarie è demandata alla madre.

Infatti, qualora la madre non possa accedere a misure cautelari

diverse dalla custodia in carcere o, nella fase di esecuzione della pena,

109
J. LONG, Essere madre dietro le sbarre, cit., p. 115.
110
Così Trib. Min. Reggio Calabria, decr. 8 marzo 2016, in
http://www.questionegiustizia.it/doc/Tribunale-Minorenni_Reggio-Calabria-8_marzo_2016.pdf.

61
a misure alternative alla detenzione, il distacco dal figlio minore

costituisce la regola.

Poiché nella maggioranza dei casi in cui la madre è detenuta lo è

anche il padre, l’affidamento del figlio è alla famiglia allargata ovvero

a una famiglia affidataria o comunità di tipo familiare111.

L’art. 9 comma 4 della l. 4 maggio 1983, n.184, consente ai

genitori di affidare i figli a tempo indeterminato a parenti entro il

quarto grado e fino a sei mesi anche ad estranei, senza alcun

intervento dell’autorità giudiziaria. Per ragioni pratiche, tuttavia,

qualora il tempo di affidamento sia sufficientemente lungo, è

conveniente formalizzare la decisione in virtù delle esigenze di

gestione dei rapporti ordinari con la scuola, ad esempio, o con le

autorità sanitarie. È in ogni caso necessario l’intervento dei servizi

sociali territoriali per disporre l’atto amministrativo – omologato

dall’autorità giudiziaria - idoneo all’affidamento per periodi più

lunghi rispetto a quelli contemplati dal suddetto articolo di legge.

Nei casi di urgenza o nelle more di un intervento giudiziale,

l’allontanamento può avvenire con atto amministrativo ai sensi

dell’art. 403 c.c.: l’Amministrazione penitenziaria, di concerto con i

servizi sociali territoriali, individuano una collocazione temporanea

111
J. LONG, Essere madre dietro le sbarre, cit., p. 125-126.

62
per il minore vittima di grave maltrattamento operato dalla donna

detenuta. Un esempio è l’arresto in flagranza di reato.

Se l’allontanamento è disposto con provvedimento giudiziario e

si configura come affidamento giudiziale a persona diversa dalla

madre oppure a collocamento presso affidatari o comunità di tipo

familiare, ai sensi dell’art. 333 c.c., il provvedimento avrà la durata

stabilita dall’ordinanza poiché non esplicitamente prevista dal codice.

L’ordinamento italiano prevede forme e presupposti diversi per

la salvaguardia dell’interesse del minore, a seconda della sua età,

nell’eventualità in cui la madre sia sottoposta a misure cautelari o

detentive limitanti la sua libertà personale. In linea generale, la rigida

costrizione della tutela alla prole delle persone in conflitto con la

giustizia penale, riconoscendo come unico parametro l’età del minore,

non esaurisce il contenuto del principio del superiore interesse del

minore poiché trascura tutti gli altri fattori altrettanto preminenti112.

La stessa previsione di legge circa l’età, rispetto alle misure di

distrazione della madre dal carcere, ha subito modifiche e

ripensamenti tanto che alcuni autori lo considerano come un

112
M. KRABBE-P.H. VAN KEMPEN, Women in prison: a transnational perspective, in P.H. VAN
KEMPEN- M. KRABBE, Women in prison. The Bangkok rules and beyond, Cambridge-Antwerp-
Portland, 2017, p. 23.

63
parametro fuori dalle capacità di controllo del legislatore113.

Nel nostro ordinamento, alla sottrazione della madre al carcere in

funzione di salvaguardia della convivenza con il figlio può

corrispondere la permanenza o il ritorno in piena libertà della donna

oppure la sua restrizione in regime di detenzione domiciliare. Nella

fase esecutiva della pena, invece, l’ordinamento prevede la possibilità

di differire l’inizio o ne sospende il corso determinando la liberazione

della madre114.

La temporanea rinuncia all’attuazione della sanzione penale,

volta alla tutela della maternità e dell’infanzia, secondo la rubrica ed il

testo degli artt. 146 c.p., è obbligatoria nei confronti di donna incinta,

madre di infante di età inferiore ad un anno, persona affetta da AIDS

conclamata o da grave deficienza immunitaria ovvero da altra malattia

per effetto della quale risulta incompatibile con le sue condizioni di

salute lo stato di detenzione. Secondo l’art. 147 c.p. è, invece,

facoltativa se è presentata domanda di grazia, se la persona si trova in

condizioni di grave infermità fisica e se si tratta di madre di prole di

età inferiore a tre anni.

113
A. PRESUTTI, Legge 27 maggio 1998 n.165 e misure penitenziarie: la pena rinnegata, in A.
PRESUTTI, Esecuzione penale e alternative penitenziarie, Padova, 1999, p. 59.
114
M. CANEPA-S. MERLO, Manuale di diritto penitenziario. Le norme, gli organi, le modalità
dell’esecuzione delle sanzioni penali, Milano, 2010, p.222.

64
Con la sent. 145/2009 la Corte costituzionale115 si è espressa

affermando che il rinvio obbligatorio offre alla condannata la tutela

rappresentata da una “presunzione assoluta di incompatibilità col

carcere”. Questa condizione le consente di godere di una piena libertà

non suscettibile di limitazioni ad opera di obblighi accessori116, così da

offrire alla madre le condizioni per il pieno esercizio del suo ruolo.

Il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, invece, permette

il bilanciamento in concreto con le istanze confliggenti tra interesse

del minore e sicurezza sociale, donde al rilievo di concreto pericolo

della commissione di delitti corrisponde la carcerazione anche con la

condivisione della pena intramuraria con il minore.

115
Corte cost. (4 maggio) 8 maggio 2009, n. 145, in www.giurcost.org. Così come espresso “si è
così inteso privilegiare esigenze di natura umanitaria ed assistenziale che hanno un sicuro
fondamento costituzionale: nell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, il quale, prevedendo che
le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, impone di prestare
particolare attenzione alla condizione della donna condannata che sia incinta o madre di un
bambino in tenera età; e nell’art. 31 della Costituzione, che assegna alla Repubblica il compito di
proteggere la maternità e l’infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo; […]quanto al
dedotto contrasto con l’art. 30 della Costituzione, il pericolo che il rimettente paventa –
l’utilizzazione della maternità come scudo al fine di ottenere il rinvio (a volte, in caso di
gravidanze che si susseguono ravvicinate, anche molto lontano nel tempo) dell’esecuzione della
pena – è adeguatamente bilanciato dalla circostanza che il secondo comma dello stesso art. 146
c.p. prevede espressamente, tra le condizioni ostative alla concessione del differimento
dell’esecuzione della pena e tra quelle di revoca del beneficio, la dichiarazione di decadenza della
madre dalla potestà sul figlio (che, ai sensi dell’art. 330 cod. civ., può essere pronunciata quando
il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti con grave pregiudizio del figlio) nonché
l’abbandono o l’affidamento del figlio ad altri; che è evidente, pertanto, che ove il persistere della
condotta criminosa da parte della donna condannata sia tale da farle trascurare i suoi doveri di
madre, possono verificarsi le condizioni per la non operatività o per la revoca del differimento, la
cui concessione o il cui ulteriore godimento si giustificano esclusivamente in
chiave funzionalistica, se e finché ella sia sollecita nell’adempimento dei suoi doveri di assistenza
morale e materiale verso il figlio”.
116
Cfr. Cass. Sez. I, 22 settembre 1994, n. 3790, in DeJure; Cass. Sez. I, 9 novembre 1992, n.
4591, ivi; Cass. Sez. I, 27 novembre 1991, n. 4511, ivi.

65
In sede di misura cautelare la madre non può usufruire del rinvio

della misura. L’art. 275 c.p.p, prevede l’applicazione delle misure

cautelari solo in casi di eccezionale esigenza e l’art. 285-bis c.p.p.

prevede la possibilità di espiare la misura in particolari istituti a

custodia attenuata, qualora la contingenza lo permetta,

specificatamente organizzati per genitori di prole di età inferiore ai tre

anni.

4. I luoghi di detenzione extramuraria

Il novero delle sedi extramurarie in cui accogliere i detenuti o gli

imputati è cresciuto progressivamente negli anni per sopperire al

problema del reperimento del domicilio idoneo ove scontare la

pena117. Sulla scorta della delega contenuta nella l. 23 giugno 2017, n.

103, si era ipotizzato di esplicitare la concessione della detenzione

domiciliare in altro luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza

ovvero in un luogo di dimora sociale appositamente destinato

all’esecuzione extracarceraria della pena detentiva, qualora il

condannato fosse privo di fornire domicilio idoneo.

Agli Uffici di Esecuzione Penale Esterna sarebbe stato

117
R. MASTROTOTARO, La detenzione domiciliare, in D. PAJARDI - R. ADORNO - C.M. LENDARO -
C.A. ROMANO, Donne e carcere, Milano, 2018, p.105.

66
demandato il compito di individuare le risorse sul territorio per

consentire la fuoriuscita dalle mura carcerarie di coloro i quali

potessero chiedere la modifica della semilibertà in affidamento in

prova ai servizi sociali o detenzione domiciliare.

Il progetto complessivo di riforma non ha, tuttavia, trovato

concretizzazione nei decreti legislativi attuativi, interrompendo quel

disegno di riforma imbastito durante gli Stati Generali

dell’Esecuzione Penale svolti tra il 2015 e il 2016118.

Il legislatore, già nel 2011, aveva individuato nelle case famiglie

protette, le strutture ove ospitare la diade madre-figlio nel caso di

assenza di domicilio, ma aveva omesso la definizione amministrativa

delle caratteristiche che avrebbero dovuto avere tali strutture. Solo nel

2013, con il d.m. 8 marzo 2013, il legislatore precisa che le case

famiglia protette sono struttura residenziali destinate ad accogliere

imputati, madri e padri, di prole infraseienne, nei cui confronti siano

stati disposti gli arresti domiciliari in assenza di abitazione idonea;

madri e padri di prole infradecenne convivente, ammessi alla

detenzione domiciliare o alla detenzione domiciliare speciale.

Si tratta per lo più strutture residenziali gestite da privati e non si

118
Per un approfondimento si rimanda alla relazione del Tavolo 12 dei lavori per gli Stati Generali
dell’Esecuzione Penale 2015/2016 reperibile all’indirizzo
www.giustizia.it/resources/cms/documents/sgep_tavolo12_relazione.pdf (accesso maggio 2019).

67
caratterizzano in senso securitario119. Secondo l’art.4 comma 2 della l.

21 aprile 2011, n. 62, il Ministro della Giustizia può stipulare con gli

enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad

essere utilizzate come case famiglia protette ma senza maggiori oneri

per la finanza pubblica.

Petrangeli120 osserva che gli enti locali, in un certo modo, si sono

assunti la responsabilità di realizzare o finanziare tali strutture, in virtù

dell’assenso espresso in sede di Conferenza unificata. Tuttavia, ciò

non comporterà la loro effettiva realizzazione, in considerazione delle

condizioni finanziarie in cui versano gli enti locali e la difficoltà di

impegnarsi economicamente e politicamente in questa direzione. In

Italia, fino ad oggi, risultano essere operative la casa famiglia protetta

di Milano121 e quella di Roma122.

Stesso infausto destino è riservato alle ICAM, presenti nel nostro

territorio solo in cinque città: Torino, Milano, Venezia, Lauro e

Cagliari123.

119
F. PETRANGELI, Tutela delle relazioni familiari ed esigenze di protezione sociale nei recenti
sviluppi della normativa sulle detenute madri, in AIC, 2012, fasc. 4, pp. 10 ss.
120
F. PETRANGELI, Tutela delle relazioni familiari ed esigenze di protezione sociale nei recenti
sviluppi della normativa sulle detenute madri, cit., pp. 11 ss.
121
In gestione all’associazione C.i.a.o. e offre ospitalità per 6 madri.
122
“La casa di Leda”, in onore di Leda Colombini (partigiana, sindacalista, presidente
dell’Associazione “A Roma insieme” e attivista per i diritti delle madri detenute con i figli in
carcere), che può ospitare fino a otto madri con figli al seguito.
123
La Regione Toscana ha approvato, in data 16 gennaio 2019, una mozione, a firma dei
consiglieri Tommaso Fattori e Paolo Sarti, per l’approvazione dello stanziamento di fondi e
individuazione dell’immobile in cui rendere operativo, entro un anno, un istituto a custodia
attenuata per le detenute madri nella regione.

68
La prima sperimentazione degli Istituti a custodia attenuata per

detenute madri è avvenuta nel 2006 a Milano. L’intenzione iniziale

era quella di traghettare il sistema italiano verso la completa

scarcerazione dei bambini. La Regione Lombardia, già nel 2005 con l.

regionale 14 febbraio 2005, n.8, aveva predisposto degli strumenti per

le attività di recupero e reinserimento delle ex detenute, coinvolgendo

i servizi sanitari, l’ente locale e il terzo settore. L’ICAM di Milano è il

primo in Italia ma anche in Europa124.

4.1 L’ICAM e la tutela dei minori

L’esperienza degli Istituti a custodia attenuata per detenute madri

rappresenta una esperienza differente di esecuzione delle misure

cautelari in cui è preminente l’interesse del minore che condivide con

il genitore la sanzione detentiva.

Questi Istituti sono orientati in senso educativo-relazionale e le

finalità generali sono creare percorsi di autopromozione e

reinserimento sociale in modo che la mamma e il bambino, e più in

generale il nucleo familiare, possa successivamente trovare una

propria stabilità e solidità; favorire percorsi di cambiamento nelle

124
C. SCANU, Mamma è in prigione, Milano, 2013, p.130.

69
donne detenute attraverso la progettazione e realizzazione di un

programma di osservazione e trattamento individualizzato che,

partendo dall’analisi dei bisogni e dalla domanda dell’interessata, mira

a modificarne in positivo i comportamenti devianti, attraverso l’offerta

di sostegno psico-sociale e l’individuazione di risorse strategiche di

cambiamento nel suo contesto di vita125.

I principali obiettivi che la struttura persegue sono rivolti al

favorire uno sviluppo equilibrato dei bambini ospiti insieme alla

madre, consentendo loro anche esperienze e legami con l’esterno

dell’istituto. Numerose sono le associazioni di volontariato e gli

operatori sociali che si occupano di accompagnare i bambini ai servizi

educativi esterni pubblici, alle visite mediche e tutte le altre attività

che possono sostenere il loro processo di crescita equilibrato e sereno.

Gli operatori hanno, inoltre, il compito di facilitare la relazione

tra madre, figlio ed eventuali altri figli all’esterno, preparando, quando

ne ricorrono i termini, il processo di separazione con la madre.

L’Istituto deve, inoltre, garantire i collegamenti con i servizi

socio-sanitari territoriali e sperimentare sinergie e collaborazioni con

125
AA.VV., La detenzione femminile, Supplemento ai nn.1/2 di Pena & Territorio (2009), in
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_2_3_1_2&contentId=SPS
60122.

70
le risorse presenti nell’area geografica di riferimento.

In virtù della realizzazione precipua della funzione rieducativa

della pena, l’Istituto deve, inoltre, costruire, monitorare e verificare un

modello organizzativo valido nonché piani trattamentali per le

detenute. Ogni processo, ogni criticità, soluzione o risultato raggiunto,

deve essere opportunamente documentato.

Tali Istituti si caratterizzano per l’affievolimento degli elementi

pregnanti delle strutture carcerarie: non sono previste sbarre alle

finestre, il personale di polizia penitenziaria veste in borghese e sono

presenti operatori sociali professionisti dell’area minorile.

L’organizzazione dell’Istituto è commutata dagli Icatt (Istituti a

custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti così come novellati

all’art. 95 TU Tossicodipendenze D.P.R. 309/1990) ma non per ciò

che concerne l’aspetto terapeutico.

La persona è soggetto attivo in relazione con l’altro: ogni ospite

della casa viene considerato un individuo attivo, autore/attore capace

di operare le proprie scelte, la cui soggettività è frutto di una co-

costruzione (costruita insieme) attraverso processi circolari che

coinvolgono la persona e il contesto interattivo-relazionale, socio-

culturale e normativo in cui essi si collocano. Questo modello

pedagogico sistemico-relazionale è funzionale per la collaborazione e

71
la presa in carico congiunta con i servizi educativi per l’infanzia e le

famiglie presenti sul territorio. Si offrono così occasioni di confronto e

sostegno ai bambini e alle madri in termini di socializzazione e

proposte educative che si pongono in una prospettiva di prevenzione

primaria e di promozione delle risorse interne delle madri e dei

bambini. A livello pedagogico ci si riferisce all’idea di un’educazione

intesa come umanizzazione delle prestazioni di risocializzazione126.

Il modello di intervento perseguito è di tipo familiare, invitando

tutti i soggetti coinvolti a condividere momenti di vita quotidiana

sottolineando, in questo modo, la «matrice strutturale dell’agire

educativo nel duplice significato di e-ducere ovvero tirare fuori dal

soggetto le proprie potenzialità ed il suo intensivo educare ovvero

allevare, accudire nell’ottica generale che comunque non è il singolo

operatore ma l’ambiente che fa terapia»127.

L’applicazione del collocamento di madre e figlio in un ICAM è

oggetto di una facoltà da parte del giudice, il quale valuterà la

compatibilità con le esigenze cautelari di natura eccezionale volta per

126
Così come riportato nel progetto educativo 2008 della direzione della Casa circondariale S.
Vittore, a cura di Giovanna Longo, in cui si descrive il modello adottato e i suoi obiettivi.
127
Così come riportato nel progetto educativo 2008 della direzione della Casa circondariale S.
Vittore, a cura di Giovanna Longo, in cui si descrive il modello adottato e i suoi obiettivi.

72
volta128. Il mancato riconoscimento di valore assoluto della tutela del

diritto all’infanzia che, invece, è oggetto di bilanciamento in sede

giurisprudenziale tra tutela della maternità (e del minore) ed esigenze

punitive dello Stato, è affermato nella sentenza di Corte costituzionale

22 ottobre 2014 n. 239. In quella sede il Giudice delle leggi - pur

ritenendo fondata la questione sollevata dal Tribunale di Sorveglianza

di Firenze in riferimento all’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis

comma 1 ord. penit., nella parte in cui estende il divieto di

concessione dei benefici penitenziari anche alla misura della

detenzione domiciliare speciale a favore delle condannate madri di

prole di età inferiore a dieci anni129, chiarisce che «l’illegittimità

costituzionale non risiede nella mancata possibilità di concedere la

misura oggetto del giudizio, ma nell’aver reso tale preclusione

generale e automatica, impedendo al giudice di far emergere la

funzione di garanzia del minore che sottende alla previsione.

128
A. BALSAMO, Nuove disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (L. 21
aprile 2011, n. 62), 2011, Relazione in data 23 maggio 2011 a cura dell'Ufficio massimario della
Corte di Cassazione p. 2.
129
Corte cost., (22 ottobre) 22 ottobre 2014, n. 239, in www.giurcost.org. commentata, fra gli altri,
da A.M. CAPITTA, Detenzione domiciliare per le madri e tutela del minore: la Corte costituzionale
rimuove le preclusioni stabilite dall’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. ma impone la regola di giudizio,
in Arch. pen., 2014, fasc. n. 3, p.1 ss.; L. PACE, La “scure della flessibilità” colpisce un’altra
ipotesi di automatismo legislativo. La Corte dichiara incostituzionale il divieto di concessione
della detenzione domiciliare in favore delle detenute madri di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento
penitenziario, in Giur. cost., 2014, fasc. 5, pp. 3948 ss.; F. SIRACUSANO, Detenzione domiciliare e
tutela della maternità e dell’infanzia: primi passi verso l’erosione degli automatismi preclusivi
penitenziari, in Giur. cost., 2014, fasc. 5, pp. 3940 ss.; G. TABASCO, La detenzione domiciliare
speciale in favore delle detenute madri dopo gli interventi della Corte costituzionale, in Arch.
pen., 2015, fasc. n. 3, p.1-19; U. ZINGALES, Benefici penitenziari alle madri di bambini con età
inferiore a 10 anni. Commento alla sentenza n. 239 del 22 ottobre 2014 della Corte
Costituzionale, in Minorigiustizia, 2015, fasc. n. 2, pp. 186 ss.

73
Funzione, questa, posta dall’ordinamento a tutela dell’interesse

primario dell’infanzia che, solo nelle ipotesi in cui ricorrano esigenze

determinate a carattere eccezionale, può conoscere limitazioni in

ragione della pretesa punitiva dell’apparato statale»130.

Inoltre, in base alla normativa vigente, la valutazione di diversa

intensità di restrizione della libertà individuale è oggetto di

valutazione del giudice in caso di determinazione di misure cautelari,

da espiare in Istituti ordinari o ICAM, nel senso che a una maggiore

pericolosità sociale corrisponda una maggiore restrizione: così non è

per le misure di carattere domiciliare131. In questo modo, si afferma

indirettamente la priorità della pretesa punitiva rispetto all’interesse

del minore, in quanto a stabilire il collocamento è l’Autorità

giudiziaria che si pronuncia in merito alla situazione giuridica

dell’adulto e nessuno spazio è dato all’Autorità giudiziaria che si

occupa specificatamente dei minori132.

Nel XIII Rapporto sulle condizioni di detenzione redatto

dall’associazione Antigone, si descrivono le condizioni dell’ICAM di

Milano. La mancanza di fondi ha determinato il deterioramento della

130
S. TALINI, L’affettività ristretta, cit., p.16.
131
F. PETRANGELI, Tutela delle relazioni familiari ed esigenze di protezione sociale nei recenti
sviluppi della normativa sulle detenute madri, cit. pp. 10-11; S. MONETINI, I bambini ospitati negli
istituti penitenziari femminili con le madri detenute. Il ruolo dell’amministrazione penitenziaria, in
Rassegna Penitenziaria, 2012, p.93.
132
S. MONETINI, I bambini ospitati negli istituti penitenziari femminili con le madri detenute. Il
ruolo dell’amministrazione penitenziaria, cit., p. 93.

74
struttura in termini strutturali e di arredamento delle stanze. Gli agenti

di polizia penitenziaria, inizialmente specificatamente formati per

operare in questi istituti, non hanno più occasioni di formazione e

aggiornamento offerti dall’Amministrazione Penitenziaria.

Mantengono abbigliamento in borghese come scelta funzionale

al benessere psicologico del bambino, ma a volte ciò non è sufficiente

per celare del tutto i sistemi di controllo a cui, inevitabilmente, madre

e figlio sono sottoposti. Vi sono, infatti, coperture in plexiglas

trasparente alle finestre, sistemi di videosorveglianza nel perimetro e

metal detector all’ingresso, la porta blindata è chiusa dalla sera alla

mattina successiva. Pur riconoscendone i benefici rispetto alla

reclusione nelle sezioni nido ordinarie, i redattori del rapporto

descrivono gli effetti negativi della limitazione della libertà personale

vissuta anche dai bambini ristretti con le madri.

Dello stesso avviso è Carla Forcolin, fondatrice

dell’Associazione La gabianella e altri animali, che opera a Venezia

in favore dei minori figli di genitori detenuti e si occupa

prevalentemente di adozione e affidamento. In particolare, in

“Mamme dentro”133, l’autrice propende per la promozione

dell’affidamento consensuale tra madre e famiglie all’esterno, come

133
C. FORCOLIN, Mamme dentro. Figli di donne recluse: testimonianze, riflessioni e proposte,
Milano, 2016, pp. 106 ss.

75
strumento più efficace per contribuire alla crescita psicofisica dei

bambini ospiti con le madri nelle sezioni detentive e a custodia

attenuata. Infatti, per quanto si possano celare gli strumenti di

controllo e i dispositivi di reclusione, la condizione dei genitori

detenuti determina la sperimentazione della limitazione della libertà

personale anche per i minori.

La proposta, tuttavia, non è esente da difficoltà: l’assenso della

madre all’affidamento consensuale è spesso difficile da ottenere per

ragioni legate alla diffidenza nei confronti di estranei e nel timore di

perdere l’unica àncora ad una progettualità orientata sul futuro che

riempie i vuoti del presente ossia la relazione con i figli. Un’altra

difficoltà è legata anche all’impossibilità per la madre di scegliere

liberamente perché vincolata al volere del marito o del gruppo di

appartenenza. D’altro canto, è pur sempre difficile trovare persone

disponibili a spendere il proprio tempo in una attività di

accompagnamento alla crescita di questi bambini, persone a cui si

chiede un atto di responsabilità non indifferente sia nei confronti del

minore sia nei confronti della sua famiglia d’origine134.

5. Benessere dei minori e reinserimento sociale della madre

134
C. FORCOLIN, Mamme dentro. Figli di donne recluse: testimonianze, riflessioni e proposte,
cit., pp. 106 ss.

76
Il legislatore italiano ha ancorato il principio del preminente

interesse del minore ad un bilanciamento rigido il cui unico parametro

è l’età del minore. Ciò lascia «aperta la possibilità di una [...] continua

revisione alla luce delle ragioni costituzionali retrostanti», non

plausibilmente fronteggiabile con l’«inseguire volta per volta, passo

dopo passo, l’irraggiungibile obiettivo della “completezza

casistica”»135. Una prima correzione è stata segnata dalla sentenza

della Corte Costituzionale 2003, n. 350, che ha esteso la tutela offerta

dalla detenzione domiciliare ordinaria al figlio portatore di handicap

totalmente invalidante a prescindere dall’età, convivente con la madre

condannata.

La Corte Costituzionale, esprimendosi in sfavore

dell’automatismo dell’interdizione a forme di bilanciamento tra

interesse del minore e certezza della pena, ha sancito che la matrice

mafiosa del delitto attribuito all’adulto non può decretare la sua

inidoneità genitoriale136 né può interdirlo dall’accedere a misure a

favore del figlio minore.

Tuttavia, per queste situazioni, la Risoluzione approvata dal

135
A. TESAURO, Corte costituzionale, automatismi legislativi e bilanciamento in concreto, in Giur.
cost., 2012, p. 4942.
136
Così come anche ribadito dalla “Risoluzione in materia di tutela dei minori nel quadro della
lotta alla criminalità organizzata” approvata dal Consiglio Superiore della Magistratura con
delibera del 31 ottobre 2017.

77
CSM in data 31 ottobre 2017137 descrive le «concrete esperienze

operative» maturate da alcuni uffici giudiziari minorili del Sud Italia,

che hanno intrapreso – con risultati ritenuti confortanti – «la strada

[...] dei provvedimenti di decadenza o limitazione della responsabilità

genitoriale quindi con affido del minore ai servizi sociali e con

collocamento in comunità o in famiglie fuori dalla [...] realtà

territoriale» dello stesso. In questi contesti, d’altronde, è provato che

sono talvolta le madri a fare da «anello di congiunzione tra i minori e

la criminalità organizzata».

Tuttavia, il fulcro della riflessione dovrebbe vertere sulle ragioni

per le quali i bambini fanno ingresso nelle istituzioni carcerarie. Il

bilanciamento delle esigenze contrapposte nelle singole situazioni,

infatti, spesso determina la prevalenza delle esigenze restrittive e

cautelari all’interesse del minore.

In sede cautelare, ad esempio, la categoria protetta comprende

donne in gravidanza e madri di prole convivente d’età non superiore a

sei anni. I padri sono contemplati dalla novella soltanto in via

residuale. La custodia cautelare in carcere, pertanto, può essere

disposta e mantenuta soltanto se sussistono «esigenze cautelari di

137
Ibidem

78
eccezionale rilevanza»138. In giurisprudenza si esclude che i reati

temuti debbano necessariamente essere di estrema gravità o

riconducibili alla criminalità organizzata affinché il divieto della

custodia in carcere possa ritenersi superato. Basta il pericolo della

commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede

per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel

massimo a cinque anni. L’art. 275 co. 4 c.p.p. «si limita a richiedere

una pericolosità che superi la semplice concretezza richiesta dall’art.

274 c.p.p., connotandosi come sostanziale certezza che l’indagato, se

sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere,

continuerà a commettere delitti tra quelli indicati nel suddetto art. 274,

lett. c)»139. Così determinata, la soglia di pericolosità che consente il

ricorso alla custodia in carcere si presta ad essere raggiunta proprio

nell’ambito di quella fascia di delinquenza legata alla marginalità

sociale alla quale spesso appartengono le donne, che, in sede

cautelare, possono essere sottoposte alla carcerazione anche durante il

periodo della gravidanza e nel primo anno di vita del figlio. Non è un

caso che all’interno degli ICAM trovino per lo più ospitalità donne

138
Così come recita l’art. 275 co. 4 c.p.p.
139
Cass., Sez. II, 8 giugno 2010, n. 32472, in Ced, rv. 248352; inoltre, Cass., Sez. V, 5 dicembre
2005, n. 2240, in Ced., rv. 233026; Cass., Sez. V, 4 febbraio 1999, n. 599, in C.E.D. Cass., n.
213344): v. G. BELLANTONI, Ordinamento europeo, tutela del minore e limiti alla carcerazione a
fini di salvaguardia del rapporto genitoriale con figli minori nel sistema processuale penale
italiano, in Ordines, 2015, fasc.1, p. 133 s.

79
imputate per delitti contro il patrimonio o delitti previsti nel Testo

Unico Stupefacenti140.

I limiti della detenzione domiciliare in termini di prevenzione

speciale potrebbero essere ridotti se esistesse una rete capillare

presente sul territorio ove sopperire all’assenza della privata

abitazione della condannata. Inoltre, l’avanzamento delle tecniche

informatiche agevolano non poco le funzioni di controllo141. In questo

modo potrebbero aumentare i margini per prognosi positive sotto il

profilo dell’idoneità alla detenzione domiciliare, neutralizzando allo

stesso tempo non solo la commissione di ulteriori reati ma anche gli

effetti criminogeni della permanenza in un istituto carcerario.

Elementi, questi, che favoriscono il reinserimento sociale se combinati

a interventi mirati per il superamento dello stato di bisogno in cui

versa la maggior parte degli autori di reato, orientati all’inserimento

lavorativo anche con strumenti di politiche attive del lavoro e di

supporto alle responsabilità genitoriali142.

La soluzione prevista dal legislatore dell’accoglienza presso le

case famiglia protette stenta a concretizzarsi per la mancanza di una

politica di investimenti. Le uniche due case famiglia protette presenti


140
Così come dimostrato supra, vedi l’introduzione a questo capitolo.
141
Un esempio su tutti: la possibilità di avvalersi del braccialetto elettronico ai sensi dell’art. 58
quinquies ord. penit.
142
D. PAJARDI – R. ADORNO – C. M. LENDARO – C. A. ROMANO, Donne e carcere, Milano, 2018,
pp. 158 – 164.

80
in Italia, una a Milano e l’altra a Roma, non posso certo sopperire alle

esigenze delle detenute, sia da un punto di vista numerico sia

geografico. Queste dovrebbero essere, in linea generale, i luoghi

privilegiati di assegnazione delle donne che accudiscono la prole, in

quando risorse in cui poter progettare interventi di supporto alla

genitorialità e al reinserimento sociale credibili e che possano avere

delle possibilità di esito positivo143.

Un altro elemento critico è la mancanza di collegamento tra le

diverse Autorità giudiziarie a cui fanno capo i differenti interessi in

gioco. Così, ad esempio, in caso di fermo o arresto di donna con bimbi

fino a sei anni, la prassi penitenziaria si scontra con la previsione di

legge che stabilisce l’ingresso nelle sezioni nido o negli ICAM di

minori di anni tre. Il problema è l’assenza di specifiche ordinanze di

custodia cautelare in ICAM o, in caso di detenute definitive, l’assenza

di ordinanze di ammissione alla detenzione domiciliare speciale in

ICAM.

Un altro problema pratico è il caso di una detenuta madre con un

bimbo superiore a 3 anni che passi alla posizione giuridica definitiva,

ovvero sia raggiunta da ordine di esecuzione se in stato di libertà:

seppur fosse da lei richiesta la concessione della detenzione

143
Anche in termini di prevenzione della recidiva.

81
domiciliare speciale presso un ICAM, sarebbe, secondo la norma,

comunque necessaria l’assegnazione della stessa presso un Istituto

Penitenziario ordinario, con temporaneo allontanamento del bambino

(qualora la prole avesse più di 3 anni) in attesa della deliberazione del

competente tribunale di Sorveglianza in ordine alla concessione della

misura. Per evitare l’allontanamento temporaneo del bambino sarebbe

auspicabile la previsione normativa di una sospensione dell’ordine di

esecuzione ex art. 656 c.p.p. o la possibilità di un’applicazione

provvisoria della misura della detenzione domiciliare da parte del

Magistrato di Sorveglianza in sede monocratica144.

Pur essendo stato evidenziato il ruolo dei servizi sociali

territoriali e della giustizia per la presa in carico dell’imputata o

condannata e del suo nucleo familiare, appaiono ancora troppo lente le

maglie dei collegamenti tra i servizi e le Autorità giudiziarie che,

invece, collaborando sinergicamente, potrebbero assumere decisioni

ponderate, improntare interventi proficui e supporti rispondenti ai

bisogni delle parti in causa, anche in un’ottica di maggiore efficienza

della spesa delle risorse pubbliche.

144
Così come evidenziato da I. DEL GROSSO, ICAM e case famiglia protette, Documento del
Tavolo 3 – Donne detenute, Stati Generali dell'Esecuzione Penale, consultabile in
/www.giustizia.it/resources/cms/documents/sgep_tavolo3_allegato2.pdf

82
CAPITOLO III

IF YOU WERE NAUGHTY AND SENT TO PRISON, DOES THAT MEAN I

WAS NAUGHTY TOO? OVVERO LA GENITORIALITÀ E IL CARCERE

IN UNA PROSPETTIVA INTERNAZIONALE

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I bambini detenuti con le madri in alcuni


paesi europei. – 3. I bambini detenuti con le madri in alcuni paesi del mondo. – 4.
Il carcere residuale: i sistemi di probation e l’evoluzione della normativa. – 4.1.
Segue: Misure alternative in diversi paesi europei. - 5. Conclusioni.

1. Premessa

A dare il titolo a questo capitolo è la frase di un bambino

ristretto insieme alla madre in un carcere tedesco145. La tutela dei

diritti del bambino dovrebbe guidare il legislatore nella scelta circa

l’articolazione dell’organizzazione penitenziaria. In realtà, ciò non

avviene in molte ordinamenti in cui prevale la pretesa punitiva della

sanzione penale.

Nei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa si stima siano

presenti 150 milioni di bambini. In sede di Conferenza tra Consiglio

145
Il testo integrale dell’articolo di C.HENNEN, Behind bars in the mother-and-child cells of a
German prison, è consultabile al seguente indirizzo https://www.dw.com/en/behind-bars-in-the-
mother-and-child-cells-of-a-german-prison/a-5660740

83
d’Europa e Direttori di Istituti Penitenziari e dei Servizi di Probation,

riunitasi in due diverse occasioni nel 2015 e nel 2016, è stato

affrontato il tema dei bambini ristretti insieme al genitore e si è

stimata la presenza di 2.1 milioni di minori all’interno delle istituzioni

carcerarie146. Oltre alla raccomandazione emanata nel 2018147, il cui

contenuto indica delle linee guida importanti per gli Stati membri al

fine di configurare modalità operative sempre più orientate al minimo

impatto sullo sviluppo psicofisico dei minori figli di persone

carcerate, pochi altri testi normativi posso essere annoverati in

materia.

Un esempio di buona pratica proviene proprio dall’Italia,

ovvero il Protocollo di Intesa sottoscritto dal Ministro della Giustizia,

dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e l’Associazione

Bambinisenzasbarre. La carta dei diritti dei figli di genitori detenuti è

stata originariamente sottoscritta nel 2014 e, ad oggi, è stata rinnovata

per la terza volta. Le parti si impegnano a favorire il mantenimento

delle relazioni familiari dei genitori detenuti, salvaguardando

l’interesse superiore del minore; a intervenire per eliminare ostacoli,

discriminazioni e stigmatizzazioni che possano essere ostativi allo

146
Questa stima è frutto di una elaborazione di dati operata dal COPE (Children of Prisoners
Europe) sulla base di uno studio dell’istituto di ricerca nazionale francese INSEE.
147
Raccomandazione (2018)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, del 4 aprile 2018,
già esaminata nel secondo capitolo del presente elaborato di tesi.

84
sviluppo e al mantenimento di tali relazioni; a offrire supporto

educativo e psicologico ai minori che vivono questa condizione; a

ripensare a modus operandi penitenziari in un’ottica più vicina alla

prospettiva del minore; a promuovere la sinergia tra i soggetti

istituzionali e la società civile per interventi integrati; a promuovere la

conoscenza della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo

del 1989 in favore del personale e delle persone detenute aventi figli

di minore età.

Al primo articolo, le parti si impegnano a raggiungere

l’obiettivo di evitare la permanenza in carcere dei bambini, da

considerare solo come extrema ratio. Inoltre, si stabilisce la necessità

di inviare comunicazione alla Procura della Repubblica presso il

Tribunale dei Minorenni all’ingresso del minore che accompagna il

genitore nell’istituto penitenziario, al fine di valutare e disporre

iniziative riguardanti la tutela degli interessi dei figli minorenni148.

Nel Protocollo sono, inoltre, elencati tutti gli strumenti

strutturali e organizzativi utili al favorire l’ospitalità migliore per il

minore che vive ristretto con il genitore oppure che si reca all’Istituto

per fargli visita: tra questi, le parti si impegnano ad allestire uno

“spazio bambini” in cui non vi siano solo giochi e attrezzature

148
Così come previsto dall’art.15 bis l. 1 dicembre 2018, n.132.

85
necessarie per intrattenere e rendere dignitosa la permanenza per i

bambini in attesa di colloquio ma anche operatori formati e dedicati

alla preparazione degli incontri. Ampio spazio, infatti, è dedicato alla

questione della formazione specifica del personale.

La realtà, anche italiana, è molto differente: in una recente

intervista149, Antonio Nicosia, direttore dell’Osservatorio Diritti

Umani, ha dichiarato carenti e inaccettabili le condizioni in cui vivono

le detenute con i loro figli all’interno dell’ICAM di Venezia.

La struttura, oltre a versare in pessime condizioni strutturali,

non offre i servizi minimi di base come l’assistenza sanitaria né per le

donne né per i loro figli, mancano le figure specialistiche

espressamente previste in organico dalla legge istitutiva degli ICAM,

sono presenti agenti di polizia penitenziaria in divisa e i bambini

attraversano la porta carraia del carcere poiché la struttura è ubicata

all’area intramuraria della Giudecca.

Le stesse carenze sono riportate anche nel rapporto

dell’Associazione Antigone del 2017 che, in visita proprio alla

Giudecca, aveva riscontrato una carenza gravissima di personale, in

particolar modo dell’area educativa. Inoltre, non è predisposto alcun

intervento psicologico per l’accompagnamento della diade madre-

149
Il testo integrale dell’intervista è visionabile al seguente indirizzo
https://estremeconseguenze.it/2019/02/13/ninna-nanna-prigioniera/

86
figlio verso la separazione che interviene per lo scadere dei termini di

legge legati all’età del minore. Neanche le associazioni e altri soggetti

esterni, presenti nell’istituto detentivo ordinario, hanno accesso

all’ICAM. Anche Mauro Palma, Garante Nazionale dei Detenuti,

ravvede criticità nella struttura ma con toni più pacati.

2. I bambini detenuti con le madri in alcuni paesi europei

Secondo la regola 36 approvata dal Comitato dei Ministri agli

Stati membri con la raccomandazione (2006)2 sulle regole

penitenziarie europee, i bambini in tenera età possono restare in

istituto con un genitore se ciò risponde al proprio interesse.

Tuttavia, non possono essere considerati al pari dei detenuti e

quindi non devono sottostare all’obbligo di permanenza intramuraria.

L’istituto che li accoglie deve essere dotato di nido d’infanzia in cui

sia impiegato personale qualificato ai quali poter affidare il minore

quando il detenuto sia impegnato in attività per cui è preclusa la

presenza del bambino. L’alloggio in cui sono ristretti genitore e figlio

deve essere rispondere alle esigenze di cura e di benessere del minore.

Nel gennaio 2018, il Comitato Europeo per la Prevenzione della

Tortura ha elaborato delle linee guida e delle regole che tutti i paesi

87
aderenti al Consiglio d’Europa dovrebbero adottare. In esse si esplicita

che le sezioni detentive femminili devono essere rigorosamente

separate da quelle maschili pur incoraggiando esperimenti di

convivialità e convivenza all’interno di specifici programmi. Le

attività formative, invece, devono essere condivise per dare a tutti le

stesse opportunità e per restituire una parvenza di normalità.

Attenzione viene posta anche sulla questione sanitaria e sulla

limitazione delle perquisizioni corporali che possono essere usate

come strumento vessatorio. Si ribadisce, inoltre, anche in questa sede

che il preminente interesse del minore deve prevalere sulle esigenze di

sicurezza, lasciando però generico e alla libera interpretazione la

concretizzazione di tale bilanciamento.

Nel Regno Unito, una donna che partorisce durante la

detenzione può tenere con sé il bambino fino al compimento del

diciottesimo mese, stessa età massima prevista per l’ingresso in

istituto se successivo al parto. Per le madri detenute sono previste

delle apposite unità ma l’accesso è sottoposto al giudizio di una

commissione che valuta secondo il criterio della tutela primaria

dell’interesse del minore. In nessun caso questi può essere accolto in

una sezione differente rispetto a quella destinata alle madri con figli al

seguito. Al compimento del diciottesimo mese, è prevista, in ogni

88
caso, la separazione con il conseguente affidamento del minore alla

famiglia allargata, ad una famiglia affidataria o altra soluzione

ponderata dai servizi sociali che prendono in carico il minore sin dal

suo ingresso in istituto. Sul territorio nazionale, sono presenti sei unità

predisposte per ospitare le madri con i loro figli150.

Anche l’ordinamento francese151 permette la permanenza in

carcere dei figli delle detenute che non abbiano compiuto il

diciottesimo mese di vita. Ad autorizzare l’ingresso del minore, su

richiesta della madre, è la commissione preposta formata da specialisti

di diversa area disciplinare tra cui psichiatri, pediatri, psicologi e

esperti di esecuzione penale e misure alternative.

In Grecia152 e in Spagna153 il limite di età è fissato in tre anni e

l’autorizzazione all’ingresso è sempre sottoposta al parere positivo di

una commissione e all’esito positivo di visite periodiche con

professionisti della salute mentale.

In Portogallo154 il limite anagrafico è sempre indicato in tre anni

ma in eccezionali circostanze può essere elevato a cinque.

150
Informazioni reperite sul sito ufficiale del governo britannico e visionabili all’indirizzo
https://www.gov.uk/life-in-prison/pregnancy-and-childcare-in-prison.
151
Ibidem
152
Ibidem
153
Ibidem
154
Ibidem

89
L’ordinamento svedese155 prevede che entrambi i genitori

possono richiedere la convivenza in carcere con il figlio minore,

qualora ciò sia nel suo primario interesse. Inoltre, il limite di età non è

espressamente previsto ma genericamente indicato come spädbarn,

ossia infante. La permanenza del minore in istituto è comunque

soggetta ad attenta valutazione degli organi predisposti che

determinano l’approvazione del suo ingresso nel migliore interesse per

il minore156.

In Germania, nella prigione di Preungesheim, sono accolte le

madri insieme ai loro figli in piccoli appartamenti separati l’uno

dall’altro. Alcune madri svolgono anche mansioni lavorative insieme

alle altre detenute, affidando i minori al personale specializzato. Se la

detenuta è ristretta in alta sicurezza, può convivere insieme al figlio

fino al compimento del terzo compleanno, altrimenti il minore può

rimanere insieme alla madre detenuta in regime di bassa sicurezza fino

al compimento del quinto compleanno.

La detenuta madre di figli di età superiore ai limiti indicati può

utilizzare 21 giorni di permesso per andare a trovare i minori

all’esterno delle mura carcerarie. Le donne autorizzate al lavoro

155
Ibidem
156
Informazioni reperite sul portale della Library of Congress e visionabili all’indirizzo
https://www.loc.gov/law/help/children-residing-with-parents-in-prison.

90
all’esterno possono richiedere di occuparsi delle proprie famiglie157, in

modo tale da lasciare l’istituto prima che i loro figli si sveglino per

poterli accudire, passare il giorno con loro, svolgere tutte le faccende

connesse alla gestione della casa e ai bisogni dei bambini, e tornare in

carcere solo la sera, dopo averli158.

A Frondenberg, in North Rhine-Westphalia, sono disponibili 16

appartamenti per accogliere altrettante donne accompagnate dai figli

fino al compimento dei 6 anni. Non sono presenti sbarre alle finestre e

altri dispositivi di sicurezza visibili. La polizia penitenziaria non

indossa la divisa e sono previsti programmi per sostenere e supportare

la relazione madre-figli159. L’istituto accoglie detenute in regime di

minima sicurezza e pertanto è permesso loro, qualora ricorrano

condizioni favorevoli dettate dalla buona condotta e aderenza al

trattamento, di uscire dall’istituto per giocare con i loro figli,

organizzare delle gite e delle piccole vacanze160.

In Norvegia i bambini non sono ammessi a condividere con i

genitori la cella. La condannata a pena detentiva che sia madre di

157
Lo Stato, quindi, riconosce l’attività di casalinga e di madre al pari di qualsiasi altra attività
lavorativa. Per un approfondimento si rimanda a R. MOSHENSKA, International good practice:
alternatives to imprisonment for women offenders, Prison Reform Trust, 2013, pp. 30 ss. in
http://www.prisonreformtrust.org.uk/Portals/0/Documents/Women/InternationalGoodPractice.pdf
158
M. PAURUS, International Report on the Conditions of Children of Incarcerated Parents. A
Survey of Prison Nurseries, 2017, p. 38 reperibile al seguente indirizzo https://cicmn.org/wp-
content/uploads/2017/03/Melanie-Report-Edited.pdf
159
International Centre for Prison Studies, International profile of women’s prisons, April 2008, p.
48, in www.prisonstudies.org/info/downloads/Womens_prisons_Int_Review_final_report_v2.pdf
160
International Centre for Prison Studies, cit., pp. 48-49.

91
infanti, può essere collocata in una mødrehjem (casa per madri) fino a

che il minore non possa separarsi da lei perché divezzato. Le madri

che devono scontare pene esigue possono farlo in queste particolari

strutture. In caso di assenza di possibilità alternative all’affidamento a

familiari, il bambino che non può seguire la madre in carcere viene

collocato in famiglie affidatarie o strutture comunitarie adeguate. La

gravidanza o l’essere madre di bambini di pochi mesi può essere

ragione valida per posporre l’inizio dell’esecuzione della pena. Inoltre,

sono previste misure alternative alla pena detentiva, in largo uso in

caso di particolare tenuità del fatto e se l’autrice del reato è madre o in

stato di gravidanza.

In generale, nella maggior parte degli Stati membri, il limite di

età previsto per la coabitazione con la madre detenuta è di tre anni. In

molti paesi sono previsti strumenti normativi per evitare l’ingresso in

carcere dei bambini: misure alternative alla pena, sospensione della

pena fino al compimento di una data età del minore, detenzione

domiciliare e luoghi detentivi separati ed esterni al carcere.

In tutti gli Stati membri, le sezioni detentive femminili sono

separate da quelle maschili ma non tutti i paesi hanno strutture

dedicate esclusivamente alle detenute donne. Tutti gli Stati membri,

inoltre, garantiscono uguali trattamenti sanitari rispetto a quelli

92
previsti per la popolazione non detenuta, in riferimento quindi alle

politiche screening e di prevenzione in ambito sanitario, cure prenatali

e post natali.

Non sono di facile reperimento le statistiche relative alle

presenze dei minori insieme al genitore detenuto. Inoltre, la

comparazione dovrebbe anche rendere conto delle differenze di

accesso alle misure alternative alla pena, alle caratteristiche del

sistema carcerario e alla presenza di intervento dei privati nella

gestione degli istituti.

Un tentativo in tal senso è stato messo in atto dal COPE (Chidren

of Prisoners Europe), un network di organizzazioni no profit pan-

europee che si occupano prevalentemente di minori separati dai

genitori a causa della detenzione, che su impulso delle Nazioni Unite,

ha elaborato il UN Global Study on Children Deprived of Liberty. I

risultati sarebbero dovuti essere disseminati a settembre dello scorso

anno ma non sono ancora reperibili161.

3. I bambini detenuti con le madri in alcuni paesi del mondo

Negli USA, solo nove Stati - New York, Nebraska, South

161
v. in tal senso la scheda Children Deprived of Liberty - The United Nations Global Study, in
https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/CRC/StudyChildrenDeprivedLiberty/Pages/Index.aspx.

93
Dakota, Ohio, Washington, Illinois, Indiana, California, West Virginia

- hanno previsto sezioni nido in cui poter accogliere i figli delle

detenute insieme a loro.

La prima sperimentazione è stata quella del Bedford Hills

Correctional Facility of Women, funzionante dal 1901. Le altre

sezioni nido sono state riaperte dagli anni ’80 in poi a causa

dell’aumento esponenziale della popolazione detenuta femminile. Si

stima, infatti, che negli ultimi trent’anni questa abbia subito un

aumento del 800%162.

Non essendo prevista una legge federale che obbliga gli Stati

membri in un senso, ciascuno Stato ha previsto una sua precisa

legislazione in materia: nella maggioranza dei casi, infatti, il minore

viene allontanato dalla madre dopo 48 o 72 ore dalla nascita e viene

affidato ad un parente prossimo della madre, o al padre, o ad una

famiglia affidataria qualora non ricorrano le condizioni di

adottabilità163.

Numerosi studi hanno confermato, tuttavia, come la tutela del

rapporto tra madre e figlio anche all’interno dell’istituzione carceraria

162
Dati del National Prisoner Statistical Data Series elaborati dal Bureau of Justice Statistics and
West, C. HEATHER-W. J. SABOL. Prisoners in 2007, Bureau of Justice Statistics, 2008.
163
WARNER J. Infants in orange: an international model-based approach prison nurseries, in
Hastings Women’s Law Journal, 2015, fasc.26, articolo 5, pp.67 ss.

94
abbia ridotto i casi di recidiva164.

Numerosi studi165 hanno confermato come la presenza della

figura materna, seppur ristretta in carcere e se sussistano le condizioni

ambientali favorevoli, sia un elemento positivo ai fini di un

attaccamento sicuro del bambino166 nei confronti della figura di

riferimento, con effetti positivi di lungo termine.

L’accesso a programmi di nursing è subordinato al rispondere a

determinati requisiti: essere state condannate per reati non violenti,

non avere precedenti per reati contro l’infanzia e abuso su minore167.

La Commissione Africana di Esperti di Diritti e Welfare per il

Bambino (ACERWC), composta da undici membri eletti

dall’Assemblea dell’Unione Africana, ha ratificato nel 2013 un

164
J. R. CARLSON Jr., Prison Nurseries: A Pathway to Crime-Free Futures, in Corrections
Compendium, 2009, fascicolo 34, pp. 1 ss.; S. DIAMOND, Prison Nursery Programs: Literature
Review and Fact Sheet for CT, in Diamond Research Consulting, 2012, pp. 3 ss.
165
J. POEHLMANN-D. DALLAIRE-A.B. LOPER-L.D. SHEAR, Children's contact with their
incarcerated parents: research findings and recommendations, in The American
psychologist, 2010, vol. 65, n.6, pp. 575–598.
166
La teoria di riferimento in merito al fisiologico sviluppo del bambino a cui si fa riferimento è la
teoria dell’attaccamento di Bowlby, nota per la sua capacità predittiva circa lo sviluppo della
personalità del bambino. Secondo l’autore, infatti, è proprio nei primi anni di vita che si posano le
basi per un corretto sviluppo della personalità. Se la madre o la figura di riferimento riconosce e dà
risposta alle emozioni del bambino, questi potrà considerarla come “base sicura”. Dal tipo di
attaccamento si potranno determinare le possibili personalità dell’adulto. Per un approfondimento
sulla teoria e i suoi sviluppi si rimanda a: A. LIS- S. STELLA- G.C. ZAVATTINI, Manuale di
psicologia dinamica, Bologna, 1999; M. H. van IJZENDOORN, Adult attachment
representations, parental responsiveness, and infant attachment: a meta-analysis on the predictive
validity of the adult attachment interview, in Psychological Bulletin, 1995, Vol. 117, n. 3, pp. 387-
403; N. A. FOX, Of the way we were: adult memories about attachment experiences and their role
in determining infant-parent relationships, ivi, pp. 404-410. In particolare, per ciò che concerne
l’attaccamento con il genitore detenuto, si segnala J. POEHLMANN, Representation of
attachment relationships in children of incarcerated mothers, in Child Development, 2005, Vol.
76, n. 3, pp. 679-696.
167
J. WARNER Infants in orange: an international model-based approach prison nurseries, in
Hastings Women’s Law Journal, 2015, fasc. 26, articolo 5, pp.66 ss.

95
documento contenente le linee guida esplicative dell’art. 32

dell’African Charter on the Rights and Welfare of the Child168.

In particolar modo, l’articolo tutela i bambini figli di genitori

detenuti. Le linee guida sono formulate sulla base del mandato dato

dall’art. 30 della Carta Africana dei Diritti e Welfare per i Bambini.

Gli Stati membri si obbligano a prevedere misure non custodiali per le

donne madri ove possibile, promuovere l’utilizzo di misure alternative

alla pena, prevedere l’eventuale carcerazione in istituti dedicati

all’utenza, escludere la possibilità di incarcerare la madre con il

bambino e prevedere, attraverso programmi ad hoc, il reinserimento in

famiglia e in società della detenuta.

Le previsioni di legge devono contemplare anche la figura

paterna e le figure di riferimento primarie. Il preminente interesse del

minore deve guidare la scelta dell’Autorità che si esprime sul merito,

soprattutto se è valutata la possibilità che il minore faccia ingresso in

istituto insieme alla figura genitoriale o altro parente a cui è affidato.

La decisione dovrebbe essere ponderata sulla base dell’età, il genere,

il livello di maturità, la qualità della relazione con il caregiver e

l’impossibilità di trovare una soluzione migliore. La pena di morte,


168
L’African Charter on the Rights and Welfare of the Child (ACRWC), sottoscritta da 47 Stati
dei 54 componenti il continente africano, è stata adottata dall’Organizzazione dell’Unità Africana
(OAU) nel 1990 ed è entrata in vigore nel 1999. Tuttavia la carta non è stata ratificata da Marocco,
Repubblica Centrale Africana, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Democratica
Araba dei Sahrawi, São Tomé e Príncipe, Somalia, Sud Sudan e Tunisia.

96
per gli Stati in cui ancora vige, non è comminabile per una donna in

stato di gravidanza o madre di bambini in tenera età169.

In molti stati africani, infatti, vi è la possibilità di far coabitare

madre e figlio in carcere, qualora non vi sia alternativa migliore. Il

limite d’età è variabile dai diciotto mesi ai quattro anni circa. Molto

più di frequente, di quanto non accada in altri continenti, il limite è

calcolato sulla base della valutazione del raggiungimento

dell’autonomia nel nutrimento del bambino, indice, probabilmente, di

una maggiore diffusione dell’allattamento al seno e della maggiore

difficoltà a reperire alimenti adatti all’infanzia170.

In Australia, nel Centro di pre-rilascio di Boronia, le madri in

regime detentivo di media sicurezza vivono insieme ai loro figli in una

struttura organizzata in forma comunitaria. Possono essere accolte le

donne che devono scontare una pena di una certa durata e i bambini

posso vivere insieme alla madre fino al compimento dei quattro anni.

Nella struttura sono presenti spazi adeguati per visite prolungate per i

bambini di età inferiori a dodici anni in visita alle madri171.

169
Per un approfondimento si rimanda al testo riassuntivo delle linee guida visionabile
all’indirizzo https://cdn.penalreform.org/wp-
content/uploads/2014/08/PRI_ACERWC_booklet_EN_
SINGLES.pdf.
170
https://www.loc.gov/law/help/children-residing-with-parents-in-prison/foreign.php.
171
M. PAURUS, International Report on the Conditions of Children of Incarcerated Parents. A
survey of Prison Nurseries, 2013, visionabile all’indirizzo https://cicmn.org/wp-
content/uploads/2017/03/Melanie-Report-Edited.pdf

97
4. Il carcere residuale: i sistemi di probation e l’evoluzione della

normativa

In generale, in Europa e nel mondo vi sono alcune esperienze

degne di nota e innovative, primi fra tutti i programmi tedeschi e

australiani per le detenute madri.

Così come dimostrato in precedenza e come si evince da

numerosi studi172, i tassi di recidiva si abbassano per coloro che hanno

scontato la pena in misura alternativa173 ovvero per coloro che hanno

partecipato a programmi detentivi non ordinari, come le donne

accompagnate dai figli in strutture dedicate e sperimentali174.

L’obiettivo, per lo meno dichiarato, per la maggior parte dei

paesi è l’eliminazione del fenomeno dell’incarcerazione dei minori

insieme alla madre o al padre.

Verso opzioni alternative alla detenzione, in riferimento non solo

alla popolazione femminile e ai genitori di figli minori, si muovono i

sistemi di probation.

Le misure alternative alla pena, in Italia, sono state introdotte

dalla riforma penitenziaria del 1975 e dalla sentenza della Corte

172
Vedi par. 5 del Cap. II del presente lavoro di ricerca.
173
V. Dap ed elaborazione dati Antigone; il documento è reperibile all’indirizzo
http://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/01-costi-del-carcere/
174
Tra gli altri studi in materia si segnala: S. KUBIAK - N. KASIBORSKI - E. SCHMITTEL,
Assessing long-term outcomes of an intervention designed for pregnant incarcerated women, in
Research on Social Work Practice, 2010, fasc. 20(5), pp. 528-535.

98
Costituzionale n. 204 del 1974175 in cui si afferma il «diritto per il

condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di

diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva

venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena

espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo».

La riforma prevede un cambiamento significativo rispetto al

Codice Rocco176: sul piano criminologico, abbraccia le teorie

sociologiche sulla “deprivazione sociale”, secondo cui la causa della

devianza è addebitabile anche al contesto socio-ambientale di

provenienza; sul piano penitenziario, asserisce la centralità del

trattamento rieducativo individualizzato come finalità della pena177.

L’art. 27 della Costituzione vede la sua applicazione, quindi, anche

con l’approvazione di un istituto mutuato dal sistema di probation

anglosassone ossia l’affidamento in prova al servizio sociale178.

175
Corte cost. (27 giungno 1974) 4 luglio 1974, n. 204, in www.giurcost.org
176
Nel codice, la pena è intesa in senso paternalistico come afflizione e giusta conseguenza per il
male commesso. La connotazione morale della pena è evidente e il carattere punitivo è l’unica
funzione contemplata.
177
M. BERTOLATO, Le misure alternative tra prassi applicative ed esigenza di riforma, in
AA.VV., Le alternative alla detenzione: profili critici e prospettive di riforma, L. RISICATO (a
cura di), in Giur.it., 2016, p. 1522.
178
Affidamento in prova al servizio sociale ordinario è disciplinato dall’art. 47 ord. penit. Il
condannato instaura un rapporto con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna e si obbliga ad aderire
ad un programma trattamentale al fine di comprovare il suo recupero sociale, desumibile
dall’evolversi della sua personalità e dalle scelte compiute durante il periodo di affidamento.
L’esito positivo, estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Possono avere accesso
all’istituto i condannati ad una pena , o residuo di pena, non superiore a tre anni (art. 47, comma
1) ovvero a quattro anni (art. 47, comma 3 bis) quando il reo abbia serbato, quantomeno nell’anno
precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una
misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da far ritenere che il provvedimento
stesso, anche attraverso le prescrizioni, contribuisca alla sua rieducazione e assicuri la prevenzione

99
La seconda riforma penitenziaria del 1986 – la c.d. legge Gozzini

– amplia gli strumenti giuridici diretti al reinserimento del condannato

attraverso il graduale contatto con l’esterno: sono introdotti per la

prima volta i permessi premio179 e la detenzione domiciliare180. La l.

del pericolo che commetta altri reati. Inoltre, l’affidamento in prova è previsto anche in casi
particolari, così come novellato dall'art. 94 del Testo Unico n. 309/1990 e consiste in una specifica
forma di misura alternativa rivolta ai condannati tossicodipendenti e alcooldipendenti. Infine, la
legge 231/1999 ha inserito nell’ordinamento penitenziario l'art. 47-quater che consente ai soggetti
affetti da aids o da grave deficienza immunitaria, che hanno in corso o intendono intraprendere un
programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed
universitarie o altre unità operative impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai malati di
aids, la possibilità di accedere all'affidamento in prova previsto dall'articolo 47 ord. penit. anche
oltre i limiti di pena ivi previsti. Per una più approfondita analisi ed evoluzione dell’istituto si
rimanda a T. TRAVAGLIA CICIRELLO, L’affidamento in prova al servizio sociale: da misura
“alternativa” alla detenzione a “misura penale di comunità” a contenuto riparativo?, in AA.VV.,
Le alternative alla detenzione: profili critici e prospettive di riforma, cit., pp. 1535-1540.
179
I permessi premio sono disciplinati all’art. 30 ord. penit. e sono parte integrante del trattamento.
Sono concessi dal magistrato di sorveglianza ai condannati che non risultano socialmente
pericolosi e che hanno mantenuto una condotta regolare. La finalità dei permessi è quella di
coltivare interessi affettivi, culturali e lavorativi. La concessione dei permessi premio è ammessa
nei confronti dei condannati all’arresto o a una pena non superiore ai quattro anni, anche se
congiunta all’arresto; dei condannati alla reclusione superiore ai quattro anni che abbiano espiato
almeno un quarto della pena; dei condannati alla reclusione per uno dei reati indicati nei commi
1,1-ter e 1-quater dell’art. 4 bis ord. penit. che abbiano espiato almeno metà della pena e,
comunque, non oltre i 10 anni; dei condannati all’ergastolo dopo l’espiazione di almeno 10 anni.
La durata di un permesso premio non può superare i 15 giorni e non possono essere concessi più di
45 giorni complessivi di permessi l’anno. Altri limiti alla concessione di permessi sono previsti per
autori di particolari reati: i condannati per reati associativi (previsti dall’art. 416 bis e 630 c.p., art.
74 Dpr 309/90) possono avere i permessi premio solo se collaborano con la giustizia (art. 4 bis
ord. penit., periodo 1); i condannati per i delitti di cui agli articoli 289 bis e 640 del codice penale
che abbiano provocato la morte del sequestrato devono aver espiato almeno i due terzi della pena o
26 anni se ergastolani (art. 58 quater comma 4 ord. penit.); i condannati per altri reati gravi
(commessi per finalità di terrorismo, omicidio, rapina aggravata, estorsione aggravata, traffico
aggravato di droga) possono avere i permessi premio solo se non vi sono elementi tali da far
ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (art. 4 bis ord.
penit., comma 1 periodo 3). Chi è evaso oppure ha avuto la revoca di una misura alternativa, è
escluso dai permessi premio per due anni. Non può averla per cinque anni chi ha commesso un
reato punibile con una pena massima pari o superiore a tre anni, durante un’evasione, un permesso
premio, il lavoro all’esterno o mentre si trovava in misura alternativa.
180
Per ciò che concerne specificamente le condannate madri si rimanda al primo capitolo del
presente lavoro di tesi. In generale, la misura consiste nell'esecuzione della pena nella propria
abitazione o in altro luogo di privata dimora, in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza e,
solo in caso di donne incinta o madri di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, di
case famiglia protette. Se l’esecuzione della pena è già iniziata, la misura è concessa dal tribunale
di sorveglianza competente (dal magistrato di sorveglianza provvisoriamente nel caso di grave
pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione). Se l’esecuzione della pena non è
iniziata, nei casi previsti dall’art.656 c.p.p. c.5, il pubblico ministero la sospende. L'ordine di
esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato che entro trenta giorni può
presentare l’istanza di concessione della misura. L’istanza viene dunque trasmessa dal pubblico

100
ministero al tribunale di sorveglianza che dovrà decidere entro quarantacinque giorni dal
ricevimento. Il tribunale fissa le prescrizioni della misura e può anche prevedere modalità di
controllo con mezzi elettronici.
Il detenuto domiciliare non è a carico dell’Amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la
cura e l’assistenza medica.
Ai sensi dell’art. 47- ter ord. penit., la detenzione domiciliare ordinaria può essere richiesta dalla
persona condannata purché non sia stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per
tendenza né gli sia mai stata applicata l'aggravante di cui all'articolo 99 del codice penale e abbia
le seguenti caratteristiche: persona che abbia compiuto i settanta anni condannata per qualunque
reato ad eccezione di quelli previsti dal dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I (riduzione in
schiavitù, tratta ed altri reati contro la personalità individuale), dagli articoli 609-bis, 609-quater e
609-octies del codice penale (reati sessuali), dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura
penale (associazione a delinquere, sequestro di persona), dall'articolo 4-bis dell'ordinamento
penitenziario (reati associativi); chi deve scontare una condanna all'arresto o una pena anche
residua inferiore a quattro anni e sia donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci
con lei convivente, padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui
convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare
assistenza alla prole, persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti
contatti con i presidi sanitari territoriali, persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche
parzialmente, persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di
lavoro e di famiglia; chi deve scontare una pena anche residua inferiore ai due anni anche senza i
requisiti ma purché non sia stato condannato per uno dei reati previsti dall'art. 4-bis ord. penit.
quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale
misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati; quando potrebbe
essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli
146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al
comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di
durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. In tal caso l'esecuzione della pena
prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare (mentre se viene concesso il rinvio ai
sensi degli artt.146-147 la pena viene sospesa).
L’art.47- quinquies ord. penit. disciplina la detenzione domiciliare speciale, istituto previsto,
assieme alla misura dell’affidamento (art.47-ter ord.penit.) all'art. 47 quinquies la misura
alternativa della detenzione domiciliare speciale è stata introdotta dall’art. 3 della legge 8 marzo
2001 n. 40, di modifica dell’Ordinamento penitenziario. Con tale beneficio si è voluto consentire
alle condannate, madri di bambini di età inferiore agli anni dieci, di espiare la pena nella propria
abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al
fine di provvedere alla cura e all’assistenza dei figli. La detenzione domiciliare speciale può essere
concessa, quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter (pena inferiore ai 4 anni),
solo se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità
di ripristinare la convivenza con i figli. Vi possono essere ammessi, se hanno espiato almeno un
terzo della pena, o almeno 15 anni in caso di condanna all’ergastolo: la madre di bambini di età
inferiore ad anni dieci, con lei conviventi; il padre quando la madre sia deceduta o altrimenti
nell'impossibilità assoluta di assistere i figli. La legge 62/2011 ne ha esteso l’efficacia
introducendo il comma 1-bis all'art. 47-quinquies che consente l’espiazione dei minimi di pena
richiesti per accedere al beneficio ( un terzo o 15 anni in caso di ergastolo) presso un istituto a
custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione
di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in
luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli. In
caso di impossibilità ad espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora,
la stessa può essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite. Tale possibilità resta
comunque preclusa alle madri condannate per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4-bis ord.
penit. L’47-quater ord. penit. disciplina la detenzione domiciliare per soggetti affetti da Aids o
grave deficienza immunitaria. L’articolo è stato inserito della l. 231/1999, il legislatore ha voluto
consentire ai soggetti affetti da aids o da grave deficienza immunitaria, accertate ai sensi
dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, e che hanno in corso o intendono
intraprendere un programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive
ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani

101
27 maggio 1998, n. 65 ha disposto l’accesso alle misure alternative

direttamente dallo stato di libertà per i condannati che non stessero già

scontando una pena detentiva, con l’intento di sottrarli

dall’esposizione all’ambiente carcerario, rinunciando, però, a poter

effettuare nei loro confronti l’osservazione scientifica della

personalità, che ai sensi dell’art. 13 ord. penit., è il presupposto per la

regionali nell'assistenza ai casi di aids, la possibilità di accedere alle misure alternative o di


comunità previste dagli articoli 47 (affidamento in prova al servizio sociale) e 47-ter (detenzione
domiciliare), anche oltre i limiti di pena ivi previsti. La l. 199/2010 ha introdotto la detenzione
domiciliare pene non superiori a diciotto mesi. L’istituto ha subito successive modifiche
concernenti il limite di pena: inizialmente prevista per una durata di tempo limitata al 31 dicembre
2013, è stata stabilizzata dal dl 23 dicembre 2013 n. 146. Ai condannati con pena detentiva (anche
residua) non superiore a diciotto mesi, può essere concessa dal tribunale di sorveglianza la
possibilità di scontare la pena presso la propria abitazione o un altro luogo, pubblico o privato. La
misura non può essere concessa: ai condannati per i reati particolarmente gravi (quelli previsti
dall’art. 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario); i delinquenti abituali, professionali o per
tendenza (artt. 102, 105 e 108 del codice penale); ai detenuti sottoposti al regime di sorveglianza
particolare (art. 14 bis della legge sull’ordinamento penitenziario); qualora vi sia la concreta
possibilità che il condannato possa darsi alla fuga o commettere altri delitti; qualora il condannato
non abbia un domicilio idoneo alla sorveglianza e alla tutela delle persone offese dal reato
commesso. Nel caso la condanna a diciotto mesi - o meno - di reclusione sia comminata a una
persona in libertà, è lo stesso pubblico ministero che, al momento della condanna, ne sospende
l’esecuzione, previo accertamento dell’esistenza e dell’idoneità dell’alloggio, nonché, se si tratta di
persona tossicodipendente o alcooldipendente, previa verifica della documentazione medica
attestante lo stato di tossicopendenza o alcooldipendenza e del programma di recupero,
trasmettendo quindi gli atti al magistrato di sorveglianza per la concessione della detenzione
domiciliare. Nel caso in cui il condannato, con pena da scontare fino a diciotto mesi, sia in carcere,
potrà presentare una richiesta al magistrato di sorveglianza. In ogni caso - anche senza la richiesta
dell’interessato - la direzione dell’istituto di pena preparerà per ciascun detenuto che rientra nelle
condizioni previste dalla legge una relazione sul comportamento tenuto durante la detenzione e
sulla idoneità dell’alloggio, oppure raccoglierà la documentazione medica e terapeutica, qualora si
tratti di persona dipendente da droga o alcool, intenzionata a seguire un programma di cura che
potrà essere eseguita presso una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata accreditata ai
sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Il
magistrato di sorveglianza provvederà con un’ordinanza per la concessione della detenzione
domiciliare. In ogni caso, il magistrato di sorveglianza può imporre le prescrizioni e le forme di
controllo necessarie per accertare che il tossicodipendente o l'alcoldipendente inizi
immediatamente o prosegua il programma terapeutico.
L'ufficio locale dell'esecuzione penale esterna, competente per gli interventi di sostegno e
controllo, segnala ogni evento rilevante sull'esecuzione della pena e trasmette le relazioni
trimestrali e conclusiva. La l. 199/2010, in caso di evasione dalla detenzione domiciliare (art. 385
codice penale), inasprisce le pene portandole da un minimo di un anno di reclusione a un massimo
di tre (fino a cinque se vi sono violenza o effrazione, fino a sei se con armi).

102
determinazione del trattamento rieducativo individualizzato181.

La l. 165/1998 – c.d. legge Simeone – introduce nuovi criteri per

l’accesso alla detenzione domiciliare, in ordine alle esigenze deflattive

delle carceri italiane, afflitte da carenze strutturali e sovraffollamento.

Questo tipo di orientamento, tuttavia, depotenzia la portata della

misura alternativa nelle sue finalità e nei suoi scopi. La misura di

comunità, infatti, così come definita dal Comitato dei Ministri del

Consiglio d’Europa in una raccomandazione del 19 ottobre 1192182, è

una misura che deve mantenere il reo a contatto con la comunità e

comprende sia le misure precedenti la condanna e sostitutive ad essa,

sia le misure alternative alla pena detentiva. All’art. 30 della

Raccomandazione R(92)16, infatti, esplicita che lo scopo di tali

misure è quello di far maturare un senso di responsabilità nei confronti

della società e nei confronti della vittima del proprio fatto reato. Il

reinserimento sociale del reo deve essere guidato da professionisti in

un’ottica solidaristica in modo da ottenere i risultati a lungo termine

sperati ossia la prevenzione della recidiva, la sicurezza collettiva e la

buona amministrazione della giustizia183.

181
M. BERTOLATO, Le misure alternative tra prassi applicative ed esigenza di riforma, cit., p.
1523.
182
Raccomandazione R(92)16 in http://www.antoniocasella.eu/restorative/r(92)16.it.pdf.
183
M. BERTOLATO, Le misure alternative tra prassi applicative ed esigenza di riforma, cit., p.
1524.

103
Un’altra forma di probation giudiziale è la messa alla prova,

introdotta dalla l. 28 aprile 2014, n. 67. L’imputato richiede la

sospensione del procedimento per essere affidato all’Ufficio di

Esecuzione Penale Esterna per lo svolgimento di un trattamento

articolato in attività obbligatorie e gratuite, l’esecuzione di un lavoro

di pubblica utilità184 in favore della collettività che può essere svolto

per enti locali, istituzioni e organizzazioni di assistenza sociale,

sanitaria e di volontariato. È previsto lo svolgimento di attività

riparativa, attività di risarcimento del danno e, ove ricorrano le

condizioni, la mediazione con la vittima del reato. Il programma di

trattamento è l’anello cardine dell’istituto, ed è sulla base

dell’adesione ad esso e della condotta generale del reo che il giudice

valuterà l’esito positivo del periodo di prova, a cui conseguirà


184
È una sanzione penale sostitutiva e può essere irrogata in diversi ambiti della materia penale.
Consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività. L’attività viene
svolta presso gli Enti che hanno sottoscritto con il Ministro, o con i Presidenti dei Tribunali
delegati, le convenzioni previste dall’art. 1 comma 1 del D.M. 26 marzo 2001, che disciplinano le
modalità di svolgimento del lavoro, nonché le modalità di raccordo con le autorità incaricate di
svolgere le attività di verifica. La sanzione, inizialmente, era prevista esclusivamente nei
procedimenti di competenza del giudice di pace, ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo 28
agosto 2000 n. 274. Successivamente, la misura ha trovato applicazione come modalità di
riparazione del danno collegata all’esecuzione di diverse sanzioni e misure penali, che vengono
eseguite nella comunità. Trova applicazione nei casi di violazione del Codice della strada, previsti
all’art. 186 comma 9-bis e art. 187 comma 8-bis del d.lgs.285/1992; nei casi di violazione della
legge sugli stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 comma 5 bis del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309; come
obbligo dell’imputato in stato di sospensione del processo e messa alla prova, ai sensi dell’art. 168
- bis del codice penale, introdotto dalla legge 28 aprile 2014 n, 67; congiuntamente alla pena
dell’arresto o della reclusione domiciliare, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. i) della legge 28
aprile 2014 n, 67; come obbligo del condannato ammesso alla sospensione condizionale della
pena, ai sensi dell’art. 165 codice penale e art. 18 bis delle Disposizioni di coordinamento e
transitorie del codice penale; come modalità di attuazione del programma di trattamento del
detenuto ammesso al lavoro all'esterno ai sensi dell’art. 21, comma 4 ter dell’ordinamento
penitenziario introdotto dal decreto legge 1 luglio 2013, n. 78, convertito nella legge n. 94/2014.
L’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna ha il compito di verificare l’effettivo svolgimento
dell’attività lavorativa.

104
l’estinzione del reato e la conclusione del giudizio. Il programma è

elaborato dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna su formale

richiesta dell’interessato o del suo procuratore speciale. Il programma

è individualizzato.

La misura può essere concessa dal giudice per i reati puniti con la

reclusione fino a quattro anni e per non più di una volta185. L’esito

negativo del periodo di prova può essere determinato da grave e

reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle

prescrizioni, per il rifiuto a svolgere il lavoro di pubblica utilità, dalla

commissione di un nuovo reato non colposo o di un reato di stessa

indole per quello per cui si procede. La conseguenza è l’interruzione

della messa alla prova e la ripresa del procedimento.

Soprattutto per ciò che concerne il rapporto tra autore di reato e

vittima, negli ultimi anni sono state elaborate forme di riparazione del

danno, intendendo la pena non solo come riabilitativa ma anche come

riparativa.

Con l’espressione restorative justice si intende qualunque

procedimento in cui la vittima e il reo, qualora sussistano le

condizioni, partecipano attivamente al ripristino della situazione

185
La seconda volta è ammissibile solo per reati antecedenti a quello per cui si sospende il
procedimento. Ciò determina l’impossibilità di accedere a tale istituto a imputati recidivi,
contravventori e delinquenti abituali, professionali e per tendenza.

105
precedente al fatto commesso dall’autore di reato che ha determinato

il disequilibrio. Il percorso di riparazione è solitamente facilitato da un

professionista in un’ottica complementare al sistema penale, con

l’intento di migliorare la tutela e la protezione delle vittime. I

procedimenti di giustizia riparativa possono includere la mediazione,

la conciliazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli

commisurativi186.

Un’altra definizione di giustizia riparativa è contenuta nella

Direttiva 29/2012/UE che recita testualmente che per giustizia

riparativa deve intendersi «qualsiasi procedimento che permette alla

vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi

acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti

dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale». L’elemento della

volontarietà è imprescindibile, sia dal punto di vista dell’autore di

reato sia dal punto di vista della vittima. È possibile, infatti, che

quest’ultima non sia disponibile al confronto con il reo e pertanto

l’attività di riparazione eventualmente pianificata non riguarderà il

soggetto che in particolare ha subito il reato ma la comunità o

specifiche sottocategorie sociali.

186
Così come definita dalle Nazioni Unite in Basic Principles on the Use of Restorative Justice
Programmes in Criminal Matters e visionabile al seguente indirizzo
https://www.un.org/ruleoflaw/blog/document/basic-principles-on-the-use-of-restorative-justice-
programmes-in-criminal-matters/

106
Nella Raccomandazione R(2010)1187 del Comitato dei Ministri

agli Stati Membri sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di

probation, la giustizia riparativa viene definita attraverso alcuni

postulati: la riparazione del danno è l’elemento centrale per

l’assunzione di responsabilità da parte dell’autore di reato, dando alla

vittima un ruolo attivo e definitorio della tipologia e articolazione di

tale riparazione188. La comunità è tenuta a contribuire a tale processo.

I principali strumenti della giustizia riparativa sono la

mediazione autore-vittima, le scuse formali, gli incontri tra vittime e

autori di reati analoghi a quello subito dalle vittime (victim/community

impact panel), gli incontri di mediazione allargata (community/ family

group conferencing), i conference group189.

Nell’ordinamento italiano, le norme che prevedono esplicito

riferimento alla vittima sono l’art. 21 ord. penit. che, al comma 4 ter

prevede che «i detenuti e gli internati possono essere assegnati a

prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno

187
Reperibile al seguente indirizzo http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/119.pdf
188
In questo senso, la vittima di reato è anch’essa destinataria di trattamento individualizzato. Vedi
anche l’art. 8 della Direttiva 2012/29/UE.
189
Così come elencati nei documenti del Tavolo 13 degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale
intitolato La Giustizia Riparativa. Profili definitori; tipologia e caratteristiche dei programmi di
giustizia riparativa reperibile all’indirizzo telematico:
https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/sgep_tavolo13_allegato3b.pdf . Per una breve
articolazione di tali strumenti si rimanda a G. MANNOZZI, Le aperture alla giustizia riparativa
nell’ambito delle misure alternative alla detenzione, AA.VV., Le alternative alla detenzione:
profili critici e prospettive di riforma, cit., pp. 1530-1535.

107
delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi»; e l’art. 47, in

cui si afferma che il reo deve adoperarsi in favore della vittima del suo

reato.

Anche all’art. 1, comma 2, d.p.r. 30 giugno 2000, n.230, è

possibile individuare aperture ai percorsi di giustizia riparativa tra le

finalità degli interventi di trattamento; così come all’art.27 del

medesimo testo normativo si prevede che il condannato operi una

riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle

motivazioni e sulle conseguenze negative da esse derivanti e sulle

possibili azioni di riparazione del danno causato.

Le misure di probation rappresentano una sfida, quindi, per la

società nel suo complesso perché impongono di allontanarsi dalla

logica carcerocentrica della sanzione penale dal binomio reclusione -

sicurezza collettiva, con riparazione del danno e misure alternative

alla pena – benessere collettivo.

Secondo accorta dottrina infatti «Se è vero, però, che la risposta

più immediata alla paura è l’allontanamento dalla causa che l’ha

prodotta, non sempre la soluzione istintiva coincide con quella più

efficace. Così, allontanare il criminale non serve alla società per

riacquistare sicurezza, se non in maniera provvisoria e ottusa, posto

che la reclusione carceraria – per il fisiologico carattere escludente e

108
le condizioni nelle quali viene concretamente eseguita – non è in

grado di realizzare il reinserimento sociale del condannato: unica via,

questa, per garantire un’autentica sicurezza collettiva a lungo

termine»190. E a partire da ciò è possibile immaginare un ventaglio di

possibilità che contemplino l’allontanamento del reo dalla società

come l’extrema ratio, giustificata solo dalla pericolosità accertata del

soggetto.

La strada segnata dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale nel

segno della valorizzazione della misura penale come misura di

comunità191, riconosce il ruolo fondamentale che la comunità ricopre

nella rieducazione del condannato.

4.1. Segue: Misure alternative in diversi paesi europei

Negli ordinamenti di molti stati europei192, sono previsti istituti

che sostituiscono strutturalmente la pena detentiva propriamente

intesa.

L’ordinamento spagnolo si caratterizza per la previsione di pene

190
T. TRAVAGLIA CICIRELLO, L’affidamento in prova al servizio sociale: da misura “alternativa”
alla detenzione a “misura penale di comunità” a contenuto riparativo?, IN cit., p. 1540.
191
Così come evidenziato nella relazione del Tavolo 12 degli Stati Generali dell’Esecuzione
Penale, in https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/sgep_tavolo12_relazione.pdf.
192
Per un approfondimento v. l’allegato 6 del Tavolo 14 degli Stati Generali dell’Esecuzione
Penale con commento di A. MENGHINI, Misure alternative: Spagna, Francia, Inghilterra e
Germania, in https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/SGEP_tavolo14_allegato6.pdf.

109
privative di libertà, di diritti e la multa. La Spagna ha optato per la

valorizzazione del regimen abierto, ossia la sospensione condizionale

della pena, il lavoro socialmente utile e multi dìa, la limitazione della

carcerazione preventiva e l’introduzione di nuove forme di giustizia

riparativa quali la mediazione penale tra adulti. Il régimen abierto

permette ai detenuti di scontare la parte finale della loro condanna nei

c.d. centri di inserimento sociale, nelle sezioni aperte o nelle unità

indipendenti, ubicate fuori dei centri penitenziari.

La legge organica n.5/2010 del 22 giugno ha disciplinato la

sostituzione delle pene privative di libertà con la pena pecuniaria a

tassi giornalieri e l’arresto di fine settimana per pene detentive brevi.

Anche i lavori a beneficio della comunità e la multa possono sostituire

pene detentive che non superano i due anni inflitte a rei non abituali.

In caso di condanna per reati di violenza di genere, la pena detentiva

potrà essere sostituita solo con la pena di lavori a beneficio della

comunità o di localizzazione permanente in un luogo distinto e

separato dal domicilio della vittima. In queste ipotesi, il giudice o

tribunale imporrà altresì, oltre alla frequentazione di programmi

specifici di rieducazione e di trattamento psicologico, l’osservanza

degli obblighi o doveri previsti per legge.

110
La pena del lavoro di pubblica utilità non può essere comminata

senza il consenso della persona condannata. Le attività possono

consistere nella riparazione del danno, supporto e assistenza alle

vittime, partecipazione a programmi di rieducazione e formazione.

In Francia, le pene criminali possono essere di tipo detentivo,

pecuniarie e di tipo complementare. Queste ultime, in materia

correzionale e contravvenzionale, possono essere considerate come

sanzioni principali a discrezione del giudice. Un ruolo fondamentale è

svolto dal lavoro di pubblico interesse: può essere, infatti, considerate

come pene strutturalmente alternative, come pena complementare o

come pena principale. Un ruolo molto importante assume la

restorative justice.

In Inghilterra, il sistema si caratterizza per un’accentuata

discrezionalità del giudice, sia in riferimento alla scelta della sanzione

da applicare sia al quantum di pena. Il CJA del 2003 ha previsto una

c.d. community sentence. Tra le attività prescritte rientrano: il lavoro

di pubblica utilità c.d. unpaid work requirement (già community

service order); l’activity requirement; programme requirent;

prohibited activity requirement; curfew order; exclusion requirement;

residence requirement; mental health treatment requirement; drug

111
rehabilitation requirement; alchohol treatment requirement;

supervision requirement; attendance requirement.

La discrezionalità della Corte si articola nell’indicazione del

livello di restrizione della libertà commisurato non solo alla fattispecie

di reato ma anche al grado di consapevolezza del soggetto. A seconda

del livello individuato, varieranno di conseguenza durata e numero

delle prescrizioni. Già negli anni Settanta con il Criminal Justice Act

1972, in seguito trasfuso nel Powers of Court Act 1973 e, negli anni

Ottanta, con la Section 67 del Criminal Justice Act del 1982,

nell’ordinamento inglese è stato introdotto il sistema dei cosiddetti

compensation orders.

In Germania, la pena detentiva di breve durata è sostituibile con

pena pecuniaria ed è prevista l’istituto della compensazione autore –

vittima e le conseguenze dell’integrale risarcimento del danno. Tale

norma dispone che, nel caso di risarcimento totale o parziale del

danno, sia attraverso prestazioni di carattere economico, sia di natura

personale, il giudice penale può diminuire la pena o anche rinunciarvi

nel caso in cui la pena detentiva in concreto da irrogare non superi

l’anno di reclusione oppure quella pecuniaria trecentosessanta tassi

giornalieri.

112
5. Conclusioni

Il benessere del bambino, secondo le Nazioni Unite193, dovrebbe

essere il principio cardine e preminente nel bilanciamento con

qualsiasi altro principio. L’ordinamento italiano prevede una

protezione assoluta dell’interesse del minore a ricevere cure genitoriali

costanti, in un ambiente diverso da quello carcerario, soltanto per il

nascituro e per l’infante di età inferiore ad un anno194, per tutte le altre

situazioni è necessario un bilanciamento tra le contrapposte esigenze

operato in sede giudicante. Permane, in ogni caso, la valutazione della

pericolosità sociale del reo, intesa come probabile commissione di

delitti, e ciò determina un ostacolo all’accesso al sistema di benefici

penitenziari previsti a tutela del rapporto tra madre e figlio195. Ancor

di più se tale valutazione è posta in riferimento alle caratteristiche

della devianza femminile196, poiché i contesti di marginalità sociali,

dai quali provengono, determinano la tipologia di reati per cui le

donne vengono incarcerate e la loro reiterazione in assenza di

cambiamenti significativi delle condizioni socio-economiche. Le

scelte sanzionatorie in riferimento ai reati contro il patrimonio, contro

193
Così come dichiarato, tra le tante fonti, in UNHCR, Determining the best interests of the child,
UNHCR Guidlines, 2008 e reperibile al seguente indirizzo https://www.unhcr.org/4566b16b2.pdf
194
Così come previsto dall’art. 146 c.p.
195
Così come espresso nella Risoluzione C.S.M. del 27 luglio 2006 in
https://www.csm.it/documents/21768/87321/Risoluzione+del+27+luglio+2006/df258e6f-a4e6-
4ae9-8d85-61c8ffe3230c.
196
Così come esposte nel capitolo primo del presente lavoro di ricerca.

113
la persona e in materia di stupefacenti, sono particolarmente sensibili

alle pressioni della c.d. opinione pubblica e quindi spesso oggetto di

strette repressive e di inasprimento delle pene. Se, però, da un lato le

misure di tutela della maternità e dell’infanzia si sono sempre più nel

tempo affrancate da sbarramenti legati all’entità della pena da

scontare, lo stesso non si verifica in caso di recidiva o di valutazione

di pericolosità sociale197.

In un’ottica complessiva, non sembra essere compiuta una

razionalizzazione degli istituti giuridici volti alla de-carcarizzazione

delle madri e dei loro figli, con lo scopo di far prevalere

effettivamente l’interesse del minore a ricevere le cure parentali in un

luogo idoneo al suo benessere psico-fisico198.

In generale, il tema del superamento del regime penitenziario è di

straordinaria attualità in considerazione non solo del fenomeno del

sovraffollamento ma anche al mancato esercizio, da parte dello Stato,

del ruolo rieducativo della pena e di una pressoché inesistente politica

penitenziaria rivolta ai diritti e ai bisogni delle vittime di reato199.

197
G. MANTOVANI, La de-carcerizzazione delle madri nell’interesse dei figli minorenni: quali
prospettive?, in Dir. Pen. Cont., Fasc. 1, 2018, p. 256.
198
G. MANTOVANI, cit., 2018, p. 262.
199
G. STEFANI, Alternative alla detenzione: quali prospettive in Europa? Analisi, buone prassi e
ricerca in sette Paesi dell’Unione Europea, in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza,
Vol. IX, n. 2, 2015, p. 101.

114
In particolare, la detenzione femminile - oltre a portare con sé il

carico della carcerazione come la spersonalizzazione, infantilizzazione

e minorazione, la deprivazione degli affetti, il tempo vuoto e

insensato, oltre ad altre dimensioni200 - per le donne ha forti

ripercussioni nell’area del materno e della maternità. Quest’ultima

torna come ruolo sociale necessario e come elemento del trattamento,

anche se non rispondente alle prerogative della donna. E ciò che il

carcere restituisce alla società è l’immagine di “madri imperfette” che

hanno messo in quella situazione degradante i loro figli. Tuttavia, in

termini di cura, sono le stesse donne che hanno reti familiari povere e

che ricevono, anche durante il tempo di reclusione, sostegno solo da

altre donne, come sorelle o madri. La povertà economica, inoltre,

segna ancora di più le esistenze di tutti quelli che compongono la rete

e la depauperano di mezzi201.

Le alternative alla detenzione rappresentano un’opportunità per

affrancarsi dalla pena in quanto punizione e di offrire al reo nuovi

strumenti per modificare la sua condizione di vita, offrendo così la

possibilità di scegliere di quali strumenti avvalersi, leciti o illeciti. Il

rapporto tra carcere e recidiva, infatti, è un campo di indagine che dà

200
Così come evidenziato in una ricerca condotta nelle carceri di Sollicciano, Pisa e Empoli e
pubblicate in S. RONCONI – G. ZUFFA, Recluse, Roma, 2014, pp. 1 ss.
201
S. RONCONI – G. ZUFFA, Recluse, Roma, 2014, pp. 256-261.

115
ampio spazio a riflessioni che dimostrano quanto siano distanti i

propositi per i quali sono state istituite le carceri dai risultati effettivi.

L’agire punitivo, allontanando il soggetto deviante dalla società per

restituirlo ad essa solo dopo averlo rieducato ai valori e norme sociali

condivise, si traduce, in realtà, in esiti criminogeni e cristallizzazione

dell’identità deviante del soggetto202.

Inoltre, un ulteriore vantaggio della de-carcerizzazione dei

detenuti è la personalizzazione della pena a seconda dei bisogni e

della pericolosità, incentrando il focus della misura inflitta sulla

riabilitazione del condannato, predisponendo percorsi educativi e

psicologici. In particolar modo, se si tratta di una donna e madre di

figlio minore, l’eventuale detenzione del minore insieme alla madre

non è una condizione scevra da ripercussioni a lungo termine203 come

anche la separazione dalla figura di riferimento204. Così come afferma

Winnicott205, è bene, infatti, tenere presente che il bambino assimila,

seppur in modo immaturo e dipendente, tutte le esperienze vissute.

Quindi, è auspicabile la sempre più massiccia diffusione di istituti

quali la detenzione domiciliare speciale, lì dove ricorrano le

condizioni, e l’ampliamento e una capillare diffusione delle case


202
Per un approfondimento si rimanda a D. CAPANNA, Condannati a delinquere? Una ricerca su
carcere e recidiva, Milano, pp.1 ss.
203
Così come evidenziato nel capitolo II del presente lavoro di ricerca.
204
Come evidenziato in premessa al capitolo II del presente lavoro di ricerca.
205
D. W. WINNICOTT, Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, 1970, p. 76.

116
famiglie, per sopperire all’eventuale assenza di un domicilio in cui

eleggere sede dello svolgimento della misura. Le ICAM, così come

sono state articolate fino ad oggi, non hanno prodotto i risultati

sperati: ne sono esempio le dichiarazioni circa le carenze di personale

specializzato e le testimonianze delle famiglie affidatarie dei bambini

ristretti insieme alle mamme nell’ICAM di Venezia206. Inoltre, la

carenza di strutture adeguate e diffuse nel territorio, non consentono il

rispetto del criterio della territorialità207. Ciò comporta, tra le altre

cose, un allontanamento della detenuta dalla famiglia di origine o il

costo, in termini economici e di tempo, per gli eventuali spostamenti.

Gli esempi provenienti dalla Germania, in particolare quello della

prigione di Preungesheim, potrebbero essere un buon punto di

partenza per una ulteriore riflessione e per compiere dei passi in avanti

verso la realizzazione di un sistema in cui davvero il preminente

interesse del minore sia tale. Così come l’esempio portato dai paesi

baltici in cui la genitorialità non è una questione esclusiva della madre

ma condivisa da entrambe le figure genitoriali, ove presenti. In tal

senso, sono positive le aperture legislative e della giurisprudenza

206
Vedi il paragrafo 4.1 del capitolo II del presente lavoro di ricerca e C. FORCOLIN, Mamme
dentro. Figli di donne recluse: testimonianze, riflessioni e proposte, Milano, 2016, pp. 1 ss.
207
V. paragrafi 3 e 3.1 del capitolo II del presente lavoro di ricerca.

117
costituzionale alla figura paterna. Tuttavia, gli istituti che disciplinano

la materia, assegnano al padre un ruolo residuale.

Per altro verso, il recente orientamento del legislatore di

prevedere per legge208 la comunicazione tra autorità giudiziaria, opera

in senso positivo verso la presa in carico del nucleo familiare e non

fare prevalere la dimensione penale sugli altri interessi correlati.

Sarebbe, infatti, auspicabile la sinergia tra le diverse autorità e diversi

enti per offrire un intervento integrato e coordinato, il cui risultato

possa avere maggiori chance di esito positivo.

In termini di spesa pubblica, d’altronde, la buona riuscita di

programmi di risocializzazione e di rieducazione del condannato

determinano l’abbattimento dei costi. È stato calcolato, infatti, che a

fronte di una spesa di circa 125 euro al giorno209 per mantenere un

detenuto in carcere, ne basterebbero 40 per programmi di educazione

e formazione in misura alternativa al carcere210.

In ultima analisi, le misure di probation, le sanzioni e le misure

in comunità hanno il potenziale di correggere le distorsioni di un

sistema costruito sulla base di una società connotata da fenomeni e

valori sociali differenti rispetto a quella odierna. Per poter essere


208
Si fa riferimento all’obbligo di comunicazione all’autorità giudiziaria competente per i minori,
operata dal c.d. “Decreto sicurezza”, al momento dell’ingresso del minore nell’istituto detentivo.
209
Cifra calcolata dal Ministero dell’Interno nel 2013 e reperibile al seguente indirizzo
https://www.altalex.com/~/media/Altalex/allegati/2014/04/02/64827%20pdf.pdf
210
G. STEFANI, cit., 2015, p. 111.

118
credibili alternative alla carcerazione di breve durata, tuttavia, è

necessario che si investa sia economicamente sia sperimentando

soluzioni innovative, prevedendo, inoltre, una riallocazione delle

risorse per rafforzare gli strumenti a disposizione della Direzione

generale per l’Esecuzione penale esterna e di messa alla prova e gli

Uffici di Esecuzione penale esterna211.

211
R. PALMISANO, Realizzazione di un sistema di probation, in Rassegna penitenziaria e
criminologica, fasc. 1, 2015, p. 108.

119
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XVIII
Indice delle decisioni citate

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consultabile in www.echr.coe.int

Corte EDU, sent. 29 luglio 2003, Aliev c. Ucraina, consultabile in

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Corte EDU, sent. 22 ottobre 1997, E.L.H. e altro c. Regno Unito,

consultabile in www.echr.coe.int

Corte EDU, sent. 10 luglio 1980, Draper c. Regno Unito, consultabile

in www.echr.coe.int

Corte EDU, sent. 3 ottobre 1978, X. e altro c. Svizzera, consultabile in

www.echr.coe.int

Giurisprudenza costituzionale.

Corte cost. (22 ottobre) 22 ottobre 2014, n. 239, in www.giurcost.org.

Corte cost. (11 dicembre) 19 dicembre 2012, n. 301, in

www.giurcost.org.

Corte cost. (4 maggio) 8 maggio 2009, n. 145, in www.giurcost.org

Corte cost., (24 giugno) 28 luglio 1993, n. 349, in www.giurcost.org

XIX
Corte cost., (4 aprile) 13 aprile 1990, n. 215, in www.giurcost.org

Corte cost., (25 luglio) 6 agosto 1979, n. 114, in www.giurcost.org

Corte cost. (16 dicembre) 19 dicembre 1968, n. 126, in

www.giurcost.org

Giurisprudenza di legittimità.

Cass., Sez. II, 8 giugno 2010, n. 32472, in Ced, rv. 248352

Cass., Sez. I, 30 gennaio 2008, n. 7791, in DeJure

Cass., Sez. V, 5 dicembre 2005, n. 2240, in Ced., rv. 233026

Cass., Sez. V, 4 febbraio 1999, n. 599, in C.E.D. Cass., n. 213344

Cass. Sez. I, 22 settembre 1994, n. 3790, in DeJure

Cass. Sez. I, 9 novembre 1992, n. 4591, in DeJure

Cass. Sez. I, 27 novembre 1991, n. 4511, in DeJure

Giurisprudenza di merito.

Trib. Min. Reggio Calabria, decr. 8 marzo 2016, in

http://www.questionegiustizia.it/doc/Tribunale-

Minorenni_Reggio-Calabria-8_marzo_2016.pdf

XX
Indice generale

Introduzione

CAPITOLO I
LA DEVIANZA FEMMINILE:
TEORIE CRIMINOLOGICHE E STRUMENTI NORMATIVI
1. Premessa…..…………………………………….…………...…...p.1
2. La delinquenza femminile e le teorie criminologiche…..……......p.5
2.1. Segue: Le teorie individualistiche……………………......…p.9
2.2. Segue: Le teorie intermedie o individualiste con
proiezione sociale…………………………………………p.12
2.3. Segue: Le teorie di carattere sociale………………...……..p.14
2.4. Segue: La criminologia femminista……………...………..p.17
3. La popolazione carceraria femminile………..……………….....p.21
4. Le norme in materia di detenzione femminile……………….....p.26
4.1. Segue: La circolare DAP 17 settembre 2008
GDAP – 0308268-2008…………………………………...p.26
4.2. Segue: La legge 8 marzo 2001, n. 40………………….......p.28
3.3. Segue: La legge 21 aprile 2011, n. 62…………………..…p.31

CAPITOLO II
I LUOGHI DELL’AFFETTIVITÀ E DELLA GENITORIALITÀ PER LE

PERSONE IMPUTATE E CONDANNATE

1. Premessa…..…………………………………….…….………p.39
2. L’affettività in carcere………………………………………...p.43

XXI
3. La genitorialità in carcere……………………………...………..p.47
3.1. Segue: La maternità in carcere…………………...…….….p.58
4. I luoghi di detenzione extramuraria…………………..…….…..p.66
4.1. Segue: Le ICAM…………………………………………..p.69
5. Benessere dei minori e reinserimento sociale della madre.….....p.76

CAPITOLO III
IF YOU WERE NAUGHTY AND SENT TO PRISON, DOES THAT MEAN I
WAS NAUGHTY TOO? OVVERO LA GENITORIALITÀ E IL CARCERE
IN UNA PROSPETTIVA INTERNAZIONALE

1. Premessa…………………………………………………….…..p.83
2.I bambini detenuti con le madri in alcuni paesi europei………...p.87
3. I bambini detenuti con le madri in alcuni paese del mondo…....p.93
4. Il carcere residuale: i sistemi di probation e l’evoluzione
Della normativa………………………………………….....p.98
4.1 Segue: Misure alternative in diversi paesi europei…....p.109
5. Conclusioni………………………………………..………......p.113

Indice bibliografico…………………………....……p. I
Indice delle decisioni citate………………………….p.XIX
Indice generale………………………………….….p. XXII

XXII

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