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Il ruolo della donna nella società nel passato e nel presente

La condizione della donna nella società lungo il corso dei secoli ha subito parecchi cambiamenti, a seconda dell’evoluzione
politica e giuridica dei popoli, della diversità dei fattori geografici e storici e della sua appartenenza ai vari gruppi sociali.
In quasi tutti i tempi e paesi essa è stata sottoposta nelle società del passato a un trattamento meno favorevole di quello
riservato all’uomo dal punto di vista giuridico, economico e civile e per tanto tempo è rimasta esclusa da tutta una serie
di diritti e di attività sociali. A differenza delle civiltà arcaiche, nelle quali la donna era regina nella famiglia e potente nella
comunità perché generava la vita, nell’antica Grecia il suo ruolo cambiò completamente. I grandi filosofi come Platone,
Pitagora o Euripide la consideravano ignorante, inferiore, difettosa e incompleta e fino alla morte soggetta alla potestà
del padre e quando si sposava del marito. Anche in epoca romana la donna era una semplice figura presente nel nucleo
familiare, che doveva unicamente pensare al mantenimento dei figli e della casa e le scelte erano affidate al paterfamilias
che ricopriva le cariche pubbliche. Solo le mogli dei grandi imperatori erano artefici nella vita politica, di conseguenza
potenti e libere. Nel Medioevo, invece, la donna veniva vista in due modi nettamente opposti: angelico e spirituale o
stregonesco e maligno. Nella donna si incarnavano infatti il bene e il male ma continuava ad essere piegata al potere
dell’uomo. Anche nel mondo cristiano la donna aveva pochi diritti: quando si sposava riceveva una dote, ma perdeva il
diritto di amministrarla poichè era il marito che la gestiva, e la moglie non era libera di fare testamento, doveva sottostare
al potere dell’uomo e doveva occuparsi della sfera del privato. Le donne venivano controllate e non potevano uscire di
casa senza essere accompagnate da un uomo, perché la loro libertà avrebbe minacciato l’ordine sociale. Tuttavia solo
grazie al lavoro esse erano più libere. Non rimanevano più confinate in casa e sottomesse quanto gli uomini avrebbero
voluto: le contadine lavoravano nei campi, le artigiane alla bottega del marito. Nella cultura musulmana la condizione
della donna non era molto diversa rispetto al mondo cristiano: l’incontro tra uomo e donna avveniva il meno possibile e
vivevano due vite distinte. Le donne musulmane non frequentavano la moschea ma andavano spesso ai bagni pubblici
dove compivano i riti di purificazione, curavano la propria igiene, si incontravano, si riposavano, combinavano matrimoni.
Nel mondo musulmano esse potevano possedere beni, ereditarli, svolgere attività economiche, anche se in proporzione
minore rispetto agli uomini: ad esempio esistevano ricche mercantesse, che però dovevano utilizzare collaboratori maschi
per poter trattare i propri affari. Durante il Seicento, poi, si nutrivano grandi paure nei confronti dell’universo femminile
e le donne che decidevano di ribellarsi al potere dell’uomo e alle regole della società venivano accusate di essere delle
streghe e condannate al rogo; e tale situazione durò anche per tutto il Settecento. Dopo la Rivoluzione francese fu grazie
a Napoleone che la sfera dei diritti delle donne venne ampliata: venne così concesso loro di mantenere il proprio cognome,
anche in caso di matrimonio, di esercitare autonomamente attività commerciali e fu abolita la disparità di trattamento
nella divisione dell’eredità del patrimonio familiare. Nel mondo occidentale tra fine Ottocento e inizio Novecento le
rappresentanti del genere femminile iniziarono a far sentire la propria voce e a chiedere gli stessi diritti degli uomini.
L’industrializzazione da parte sua contribuì al cambiamento: le donne cominciarono a lavorare e a capire di essere valide
tanto quanto gli uomini, soprattutto durante le due guerre mondiali, quando dovettero sostituire nei loro compiti gli
uomini, chiamati a combattere. Così in Italia nel 1946 arrivarono i primi riconoscimenti: le donne votarono per la prima
volta, nel 1948 la Costituzione stabilì l’uguaglianza tra i sessi e nel 1975 una legge decretò la parità di diritti tra marito e
moglie. La donna oggi è lavoratrice e cittadina, non può più quindi sottostare al potere dell’uomo e la sua forza lavoro, da
sempre esistita nella storia, ma non sempre riconosciuta, oggi ha un importante peso in piena società industrializzata,
soprattutto da un punto di vista economico e produttivo. La donna di oggi riesce ad essere lo specchio del passato, ma
anche la proiezione nel futuro. La donna manager, la donna presidente del consiglio, la donna presidente della Repubblica,
la donna presidente di Confindustria non sono però un risultato occasionale, ma il risultato di una guerra fatta di tante
battaglie vinte e altrettante perse, ma che alla fine l’hanno portata, nel mondo occidentale, all’apice della piramide.
Tuttavia ciò non è avvenuto nel mondo islamico. Ancora oggi la condizione della donna musulmana è problematica. Alcune
donne hanno ottenuto l’accesso alle massime cariche nell’amministrazione, ma in generale esse devono ancora affrontare
l’autorità del padre, dei fratelli, del marito e sono considerate una tentazione diabolica per i credenti; il loro corpo è
“motivo di vergogna” e va perciò velato. Nei paesi tradizionalisti le donne sono private persino dei fondamentali diritti
umani e civili: non godono della libertà di spostamento, della libertà di espressione e di parola; non possono procedere
negli studi né tanto meno fare carriera o ricoprire cariche o posizioni di responsabilità in campo civile o religioso. Non
possono decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono totalmente sottomesse all'uomo. La strada verso la
parità dei sessi rimane ancora lunga, tortuosa e difficile da percorrere. Tuttavia i progressi fatti nel mondo occidentale
lasciano ben sperare che un giorno la donna possa finalmente avere gli stessi diritti dell’uomo in tutto il mondo.

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