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Cap.

1 – Le italiane all’alba del XX secolo

Inizi 900 – Sempre più ragazze ricevono un’istruzione e alcune donne si affermano nella sfera pubblica. Le
donne dei ceti superiori cominciano ad avventurarsi fuori dalle mura domestiche e un piccolo movimento
femminista inizia a condurre campagne in favore di una riforma giuridica, tentando di mettere in discussione
alcune idee diffuse sul ruolo della donna nella società.

Ritornando però all’ultimo decennio dell’800, le divisioni di genere erano ampie e i 2 sessi conducevano
esistenze separate e completamente diverse. Le donne erano considerate esseri deboli ed emotivi, si teneva
d’occhio la loro condotta sessuale. In questo periodo la Chiesa svolgeva un ruolo primario nell’educazione,
nell’assistenza sociale e nel determinare alcune “regole” comunitarie. Tuttavia, con l’inizio del nuovo secolo
l’osservanza dei precetti religiosi, soprattutto nelle zone industrializzate, va scemando.

Questa differenziazione tra i sessi era legittimata anche dal Codice civile, nel 900 infatti la posizione giuridica
delle donne era determinata ancora dal codice Pisanelli (introdotto nel 1865 e rimasto in vigore fino al 1970)
il quale, basandosi sul codice Napoleone, assegnava alle donne una posizione subalterna all’interno della
famiglia. Con il matrimonio le donne perdevano una serie di diritti giuridici: erano obbligate a prendere
cognome e cittadinanza del marito e risiedere dove decideva lui, la gestione del patrimonio richiedeva
l’autorizzazione maritale e se si fossero presi decisioni importanti sui figli, ci sarebbe stato la preminenza
della volontà paterna. Nei centri urbani quasi tutti gli uomini diventavano capofamiglia col matrimonio,
poiché gli sposi si trasferivano in una casa indipendente, mentre nelle famiglie rurali si doveva attendere la
morte del padre per avere tale status.

Il matrimonio in questo periodo era al centro dell’esistenza della donna, ma il più delle volte si trattava di
una questione economica; i genitori indirizzavano la scelta e facevano pressione sulle giovani affinché si
sposassero prima dei 25. Fidanzamento e corteggiamento erano soggetti a rigide prescrizioni.

Restare nubile era un fallimento, queste donne vivevano presso famiglie altrui dove non avevano comunque
autorità, solo un 4% viveva da sola. Sole potevano essere le donne sposate, le cosiddette “vedove bianche”,
quelle i cui mariti erano emigrati oltreoceano per anni o per sempre. Vi era poi chi rifiutava il matrimonio a
favore della vita monacale.

Maternità: molte voci la decantavano come il destino più nobile per le donne, esperti positivisti ponevano,
in varie discipline in rilievo la maternità convinti che perfezionare il ruolo delle madri fosse un fattore
fondamentale per rafforzare la salute della nazione in difesa della razza. Le madri vennero quindi considerate
figure di primo piano nelle campagne igieniste, volte a ridurre mortalità e malattie infantili.

Tempo libero: mariti e mogli avevano poco a che fare gli uni con le altre, di rado uscivano insieme e
intrattenevano relazioni sociali come coppia. La maggior parte degli svaghi era destinata agli uomini. Tuttavia,
ci furono grandi mutamenti col nuovo secolo, che portarono le donne a uscire per fare spese nei nuovi
magazzini, frequentare sale da thè o andare a teatro.

Istruzione: la seconda metà dell’800 fu un’epoca di lenti ma graduali progressi nell’istruzione delle donne. Si
inizia a registrare una diminuzione dell’analfabetismo femminile, anche se le ragazze avevano comunque
maggior probabilità di rinunciare alla scuola perché la loro istruzione era considerata meno importante e si
aveva timore che la loro moralità potesse essere compromessa. Vi era inoltre il timore, data la difficoltà
maschile di trovare un lavoro idoneo al livello di istruzione conseguito, che la presenza femminile
rappresentasse una forte concorrenza. Solo verso il 1883 le ragazze furono autorizzate a frequentare ginnasi,
licei e scuole professionali ma solo un numero esiguo di ragazze con genitori dalla mentalità aperta colse
questa opportunità. Poche pioniere frequentavano l’università, che fu permessa dallo stato unitario solo dal
1876.
Lavoro: donne e ragazze erano ritenute più docili degli uomini e venivano pagate meno; le condizioni erano
durissime: gli orari lunghi e molti rischi per la salute, le assunzioni femminili provocavano inoltre inquietudini
da parte dei moralisti, preoccupati dei rischi sessuali e degli effetti della gravidanza. Una categoria
professionale assai discussa era quella della prostituzione: la politica adottata consisteva nel segregarla e
regolamentarla allo stesso tempo. Le prostitute erano infatti obbligate a lavorare in prostiboli autorizzati
dove venivano applicate tariffe uniformi, dovevano sottoporsi a visite mediche regolari e se fossero risultate
affette da malattie veneree sarebbero state trasferite al sifilicomio per la cura.

Nelle libere professioni la presenza femminile era irrisoria, l’accesso all’impiego pubblico tendeva ad essere
deciso caso per caso, spesso con risultati anomali. Solo quando le donne sembravano avvicinarsi troppo al
potere veniva negato loro l’accesso. Una professione aperta ad esse era la scrittura, poiché avveniva in
privato e non comportava grossi rischi per la rispettabilità. In questo periodo, infatti, si registrò un aumento
delle pubblicazioni rivolte alle donne e salirono alla ribalta scrittrici e giornaliste.

Cap. 2 – La torre di Babele: l’emancipazione a cavallo del secolo

Dicembre 1880- nascita della Lega promotrice degli interessi femminili, fondata da Anna Maria Mozzoni e
Paolina Schiff, con l’intento di condurre campagne su questioni quali: suffragio femminile, parità di
retribuzione, ricerca della paternità. Il comitato era legato all’Unione delle lavoranti. La fondazione di questa
organizzazione segnò il momento in cui il femminismo italiano da semplice idea si trasformò in movimento
politico.

Notizie dei movimenti attivi all’estero comparivano di frequente sulla stampa emancipazionista e la presenza
di un gran numero di donne straniere in Italia favoriva la circolazione di idee, vi era una moltitudine di voci
femministe differenti, le cui idee politiche e analisi delle questioni di genere variavano molto. Alcune si
dedicavano alla soluzione della questione femminile, altre erano combattute tra fedeltà alle idee femminisre
e le altre convinzioni politico-sociali (cattoliche o socialiste). Molte emancipazioniste esprimevano le loro
opinioni sulla rivista “La donna” fondata da Gualberta Adelaide Beccari nel 1868.

I partiti politici: poche donne vi aderirono, in Italia mancava un vero e proprio sistema partitico. Nemmeno i
liberali al governo erano organizzati in partiti e il loro sostegno alle idee femministe era scarso, la sinistra si
mostrava invece più solidale. Alla svolta del secolo il maggiore gruppo politico che dava un certo sostegno al
movimento femminile era il partito socialista italiano, a favore dell’emancipazione, che reclutava attivamente
le donne tra le proprie file. Tuttavia, il Psi dava la priorità alla componente economica, ignorando gli aspetti
culturali; perciò, ben presto si rivelò un cattivo alleato.

La socialista di maggior rilievo su Anna Kuliscioff, una delle prime a esercitare la professione di medico in
Italia; scelse di operare politicamente all’interno del Psi e non aderì mai ad una associazione
emancipazionista. La sua posizione era conflittuale, si trovava divisa tra fede socialista e la spinta
emancipatrice e cadeva spesso in contraddizione. Scatenò polemica quando appoggiò la legislazione per la
tutela delle donne sul lavoro, legislazione che proibiva l’impiego delle donne in alcuni lavori pericolosi e
insalubri.

Unione femminile nazionale: Ersilia Majno fu presidente dell’Unione femminile, associazione fondata da
esponenti del femminismo pratico che si distinse come una delle più importanti organizzazioni
emancipazioniste attive nei primi del 900. Nel 1905 diviene Unione femminile nazionale -> gruppo di donne
che avevano militato nelle leghe aderì a questa associazione. L’Ufn aspirava ad educare le proprie socie, le
iniziative comprendevano: corsi di formazione, uffici di collocamento per le domestiche, assistenza a madri
disagiate. Erano convinte che con l’emancipazione l’intera società sarebbe migliorata, per loro il femminismo
era un modo di rifare il mondo.
Femminismo cattolico: altro gruppo che esaltava il ruolo materno e si concentrava sulle attività assistenziali
era costituito dalle donne cattoliche. L’enciclica papale Rerum Novarum (1891) fu il trampolino di lancio del
cattolicesimo sociale. I democratici cristiani ritenevano necessario mobilitare le donne, che si stabano
rivelando il più devoto e affidabile dei due sessi; esse avrebbero dovuto costituire l’estremo baluardo della
Chiesa contro la modernità. Iniziò a circolare l’espressione “femminismo cattolico”, dove l’idea era che le
donne aiutassero la Chiesa a compiere la sua missione volta a ricristianizzare la famiglia e contrastare il
crescente ateismo degli uomini, tutto senza allontanarsi dalla missione di madri e mogli. Benché queste
donne si definissero femministe, per loro il femminismo significava restituire dignità alle donne e rafforzare
il loro ruolo morale e religioso, non conquistare diritti. Le cattoliche milanesi strinsero legami con il
movimento laico delle donne, nel 1907 organizzarono una conferenza per discutere le parti del programma
emancipazionista che le cattoliche potevano sostenere.

Consiglio nazionale donne italiane: 1908, vi fu un congresso indetto da questo consiglio. Apparentemente
laico, interclassista e apolitico, in realtà era un’organizzazione conservatrice che mirava a contenere il
sovvertimento sociale. Tra le aderenti primeggiavano donne aristocratiche e dell’alta borghesia, dal 1907
“Vita femminile italiana” fu il suo organo di stampa. Tra le loro iniziative più originali si distingue quella delle
Industri femminili italiane, fondate a partire dal 1903 con l’intento di promuovere le attività artigianali delle
donne. Nel 1908, fu fondata l’Unione fra le donne cattoliche d’Italia (Udci), guidata da Cristina Giustiniani
Bandini nel periodo 1909-17, fu posta sotto il controllo del Vaticano con l’istruzione di attenersi alla missione
spirituale. Scopo dell’associazione non era migliorare le sorti delle donne, ma difendere la cristianità: furono
condotte campagne in favore dell’insegnamento religioso nelle scuole e contro il divorzio, promosse il salario
minimo e contribuì a creare sindacati femminili.

Contro il suffragio femminile furono addottati argomenti di ogni tipo: promiscuità tra uomini e donne nei
seggi, timore che le donne fossero troppo deboli e suggestionabili, timore che le donne avrebbero ubbidito
ai mariti nel voto. Maggiore consenso vi era nell’idea di ammetterle alle elezioni amministrative, in quanto
gli affari locali erano considerati più vicini alle occupazioni naturali delle donne nella sfera domestica. Solo
dal 1905 il suffragio diventò elemento centrale nelle campagne del movimento femminile.

La sessualità: tra le emancipazioniste dell’epoca prevaleva una morale puritana circa i comportamenti
sessuali; esse continuavano a considerare la maternità il ruolo primario e ritenevano che la sessualità fosse
di per sé negativa. Questa mentalità puritana creò problemi anche all’Asilo Mariuccia, una casa di accoglienza
gestita dall’Unione femminile a Milano, che dava rifugio a giovani donne per aiutarle a uscire dal giro della
prostituzione. L’atteggiamento moraleggiante delle organizzatrici, tuttavia, scavò un solco profondo tra loro
e le giovani che cercavano di redimere.

Cap. 3 – Sul fronte interno: la Grande guerra

In Italia la questione guerra-emancipazione è complessa: alcune trasformazioni prodotte dalla prima GM,
infatti, sopravvissero anche dopo la fine delle ostilità e le donne ebbero l’opportunità di dimostrare il proprio
valore sia nell’ambito del lavoro retribuito sia nel volontariato. Altre donne, però, tornarono alla vita
precedente. LE donne furono chiamate a sostenere la guerra in uno sforzo parallelo: il lavoro patriottico
assistenziale era presentato come un’attività patriottica e le vedove e le madri dei caduti venivano esaltate
per il loro sacrificio alla patria.

Uomini e mascolinità: molti tornarono con invalidità fisiche o gravi problemi psicologici. Inoltee la virilità
stessa fu messa in dubbio sia dalla passività della guerra di trincea, sia dalla sconfitta di Caporetto; questi
risvolti stravolsero la concezione tradizionale di mascolinità. Per una parte del mondo femminile, questo
periodo aprì nuove opportunità in ambito lavorativo e nelle attività di volontariato; ciò nonostante furono
tempi duri anche per loro, segnati da ansia, fame e privazioni.
Vedove: La vedovanza poteva avere aspetti emancipatori per le donne che diventarono capo famiglia,
acquisendo così diversi diritti giuridici. Tuttavia, per molte il dolore della perdita fu accompagnato da gravi
difficoltà economiche. Alcuni di questi problemi furono attenuati da una graduale comparsa di un sistema
assistenziale, che contribuì a introdurre l'idea di responsabilità dello stato in ambito sociale. Tuttavia i sussidi
erano esigui e furono erosi dall'inflazione. Molte vedove fondarono, nel 1917, l'Associazione madri e vedove
dei caduti in guerra, che esercitò pressioni per ottenere contributi economici.

Attività assistenziale: Durante la guerra molte donne di estrazione borghese e aristocratica si dedicarono con
grande slancio ad assistere i combattenti e le loro famiglie. I comitati municipali si basavano sul volontariato
e le donazioni, ma potevano anche imporre tasse straordinarie. Il governo affidò a tali comitati tutte le forme
di assistenza civile legata alla guerra; le attività assistenziali comprendevano: arrotolare bende, confezionare
indumenti caldi per i militari, assistere le famiglie dei soldati. Le donne gestivano gli uffici di informazione per
aiutare le famiglie a mantenere contatti con i parenti al fronte, organizzavano punti di ristoro per le truppe
in transito nelle stazioni ferroviarie, inviavano pacchi con cibi e vestiti.

Femminismo e la guerra: La questione dell'intervento o della neutralità investì trasversalmente anche le


associazioni femminili; nessuna adottò una posizione netta contro la guerra. La guerra offrì alle donne
l'opportunità senza precedenti di dimostrare le loro capacità. Tante erano orgogliose che venisse chiesto il
loro aiuto, che la loro esperienza fosse necessaria alle autorità. La guerra fece nascere molte nuove
associazioni femminili, che si attivarono per lo sforzo bellico. Una delle più importanti, la Federazione
nazionale dei comitati di assistenza (Fnca), nacque dalla fusione tra un comitato a gestione maschile e uno
che riuniva tutte le organizzazioni femministe milanesi. Nella fase più avanzata, le attività delle donne si
spinsero fino a comprendere una buona dose di propaganda probellica. un es. è fornito dalla Lega delle
seminatrici di coraggio (1971), che voleva sconfiggere i nemici interni che deprimono lo spirito pubblico.

Infermiere Croce Rossa: Le crocerossine diventarono figure iconiche dell'epoca, madri simboliche che
svolsero un maternage di massa dei feriti e dei moribondi. In precedenza, l'assistenza infermieristica veniva
prestata in modo sommario; gli ospedali si occupavano solo di poveri e malati cronici. Le infermiere della
Croce rossa fecero la loro comparsa in Italia a inizio '900. Durante la Grande guerra le crocerossine si
impegnarono a fondo nella cura di malati e feriti. Nel 1915 4mila donne avevano seguito un corso di
formazione organizzato dalla Cri. Per la maggior parte si trattava di donne nubili e senza figli, appartenenti ai
massimi vertici della società; molti esprimevano preoccupazione x i rischi morali: qualunque forma di intimità
con i soldati o i medici suscitava disapprovazione. Tuttavia, molte donne svolsero volentieri il loro lavoro,
orgogliose della loro opera. Nel 1916 alcune furono inviate al fronte, ma qui il ritmo del lavoro era più
frenetico, le condizioni di vita primitive e i rischi enormi; molte non erano pronte, altre si adattavano a fatica.

Lavoro: Nel corso del conflitto l'economia italiana registrò una espansione e subì un processo di
modernizzazione, ciononostante la categoria più numerosa di addette alla produzione bellica era impiegata
in un settore femminile: la confezione dei capi di abbigliamento; le autorità militari, tuttavia, sottovalutarono
l'imp. delle uniformi, considerate una priorità minore rispetto alle armi. I compensi erano offerti come
semplice integrazione del reddito, che proveniva da altre fonti. Il sistema funzionava malissimo e molti soldati
non disponevano di indumenti sufficienti.

Raramente le donne sostituirono direttamente gli uomini, tendevano ad assumere nuovi ruoli lavorativi
prodotti dall'espansione economica del tempo di guerra e da nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Solo
in rari casi andarono ad occupare i posti di lavoro prima considerati maschili, e assunsero nuove mansioni.
Gli operai maschili si opponevano alla sostituzione e all'intrusione femminile, temevano il basso livello della
loro retribuzione e temevano (una volta sostituiti) di essere inviati al fronte.

I recenti miglioramenti dell'istruzione femminile assicuravano un'offerta di candidate qualificate per le


mansioni impiegatizie; alle donne venivano assegnati i compiti più noiosi e ripetitivi, come la dattilografia e
la telefonia; ad ogni modo si rivelarono competenti e affidabili. Per molte donne il lavoro in tempo di guerra
non significò altro che continuare a coltivare la terra; milioni di contadine rimasero in campagna. Era un
lavoro duro, ben lontano dal favorire l'emancipazione, anche se alcune donne usarono le macchine agricole
per la prima volta, o impararono a tenere la contabilità e a vendere i loro prodotti. Poteva però infondere
sicurezza e orgoglio. Le donne se la cavarono bene in campagna durante questo periodo, e la loro resa superò
le aspettative.

La protesta sociale: Anche se il conflitto di fatto offrì nuove opportunità ad alcune donne, per molte fu un
periodo di fame, sofferenza e rabbia; il livello di agitazione crebbe col protrarsi della guerra – ci fu un enorme
sollevamento popolare a Torino nell'ago/1917. Le donne svolsero un ruolo di primo piano in molti scioperi
industriali; in genere tali scioperi riguardavano il salario o le condizioni di lavoro. La rabbia era aggravata
dall'idea diffusa che i ricchi se la cavassero meglio. Molti scioperi erano contro la prosecuzione della guerra.

Tipiche azioni di protesta inscenate dalle donne erano l'invasione in massa dei municipi per distruggere le
cartoline di chiamata alle armi, il saccheggio dei negozi e l'assalto ai commissariati o alle case dei ricchi.

Dopoguerra: Il ruolo delle donne subì una notevole trasformazione durante la prima GM. La maggiore
visibilità delle donne nella sfera pubblica e i nuovi discorsi sulla loro importanza per la nazione crearono lo
slancio necessario per la riforma giuridica. Nel fermento del 1919 le donne ottennero nuovi diritti giuridici e
furono a un passo dal diritto di voto. Il disegno di legge di Ettore Sacchi sulla riforma della posizione giuridica
delle donne, presentato alla camera nel feb/1917, ebbe maggiore successo (in vigore nel lug/1919). La legge
abrogava l'istituto dell'autorizzazione maritale e ammetteva le donne a esercitare tutte le professioni e a
ricoprire i pubblici impieghi. Più significativo dal punto di vista numerico fu il decreto del 23/ott/1919, che
offriva contratti a tempo indeterminato a tutti coloro che durante la guerra erano stati assunti
temporaneamente nell'amministrazione centrale dello stato. Le donne che lavoravano nei laboratori adibiti
alla confezione di uniformi furono tutte licenziate. Soltanto le donne che erano già impiegate prima della
guerra ottenevano l'indennità di disoccupazione se venivano licenziate. Per molte la fine delle ostilità significò
solo dover tornare ai vecchi problemi economici.

Cap.4 – Sposa e madre esemplare: sotto la dittatura fascista

Nel 1925 l'Italia era ormai stretta nella morsa di ferro della dittatura. Per le donne fu un periodo di mutamenti
complessi e contraddittori e, nonostante l'ideologia patriarcale del regime, per alcune si aprirono opportunità
e ruoli nuovi e più moderni. Il fascismo esaltava una virilità esagerata, identificata nelle virtù militari e
guerriere, e la contrapponeva a una visione della donna come angelo del focolare, dedita a produrre figli
destinati a essere futuri soldati per le imprese militari del regime. Gran parte dell'ideologia fascista in tema
di ruoli di genere ruotava intorno alla campagna demografica pro-natalista, e ciò si tradusse in un'attenzione
ufficiale alle donne, il cui modello ideale era: florida e rurale, con un gran numero di figli. La contraddizione
stava nel fatto che sembrava relegare le donne in un ruolo domestico, ma allo stesso tempo individuava in
loro una risorsa vitale per la nazione; L'atteggiamento tradizionalista si rafforzò con la firma dei Patti
lateranensi nel 1929, che dopo 70anni riconciliarono stato e chiesa.

I fascisti sostenevano che la prodezza dell'Italia in guerra era legata alla forza demografica e che, senza un
incremento della popolazione, il paese non avrebbe retto il confronto con le altre potenze europee. La
battaglia demografica coincideva con le mire imperialistiche del regime, perché avrebbe dovuto fornire carne
da cannone per l'esercito e al tempo stesso spiegare il motivo per cui l'Italia aveva bisogno di colonie, cioè
per creare spazio per la popolazione in espansione. Per incoraggiare gli italiani a procreare, il regime diede
sfogo alla sua mania per l'esibizione e la propaganda, facendo ricorso a tutta una serie di iniziative: dal 1933
si iniziò a festeggiare il 24/dic, Giornata della madre e dell'infanzia, in cui le madri prolifiche ricevevano
pubblici onori; fu introdotta una serie di provvedimenti a sostegno delle nascite e del matrimonio – tra queste
figura una tassa sul celibato; la nuzialità fu promossa abbassando l'età minima per il matrimonio e l'età del
consenso. Il fascismo tentò do sopprimere l'aborto introducendo norme penali più severe attraverso leggi di
pubblica sicurezza del 1926; la legislazione fu ulteriormente rafforzata dal codice Rocco del 1930, che definiva
l'aborto un reato contro l'integrità e la sanità della stirpe. La campagna demografica fu un fallimento. Il tasso
di natalità continuò a diminuire e l'aborto rimase pratica diffusa. Un motivo si può ascrivere al fatto che gli
incentivi offerti erano troppo modesti per compensare i costi reali da sostenere per allevare più figli.

Assistenza alla maternità: Nel 1925 lo stato fascista istituì l'Opera nazionale per la maternità e l'infanzia
(Onmi), che si prefiggeva lo scopo di ridurre il tasso di mortalità infantile e garantire che le nuove generazioni
di italiani crescessero secondo regole razionali e scientifiche. Forniva un sostegno diretto a gestanti e
puerpere. Parte dell'attività veniva svolta dai comitati di patronato; in un primo tempo facevano visite a
domicilio, davano consigli e distribuivano sussidi in denaro; negli anni '30 i sussidi furono ridotti e i fondi
destinati a attività più professionali, con lo scopo di creare una rete nazionale di consultori ostetrici e
pediatrici. Nel 1923 la ruota fu abolita e vennero fatti vari tentativi di migliorare le condizioni dei brefotrofi
attraverso ispezioni e provvedimenti. Nel 1927 furono introdotti sussidi per le madri nubili che accettassero
di allattare i figli neonati. Le madri furono incoraggiate a riconoscere i propri figli. Ma i sussidi erano sempre
miseri e negli anni '30 le ruote erano ancora in funzione. Un altro problema era che le madri non ricevevano
un sostegno reale a lungo termine.

Istruzione: Nel 1923 l'istruzione obbligatoria per ambo i sessi fu estesa a 8 anni, ma solo in teoria, perché la
mancanza di scuole adatte di fatto impedì l'attuazione del provvedimento in molti comuni rurali. I tassi di
analfabetismo femminile scesero dal 30% nel 1921 al 24& nel '31, ma continuava a essere molto più elevato
al sud. L'istruzione femminile post-elementare era considerata più problematica. La riforma Gentile del 1923
tentò di arrestare la tendenza riducendo il numero degli istituti magistrali e introducendo il liceo femminile
triennale (materie umanistiche + discipline femminili, che non dava accesso all'uni), che però fu un fallimento,
perché i genitori del ceto medio preferivano un vero liceo che desse accesso all'uni. Furono usate tattiche
per scoraggiare le ragazze a proseguire gli studi con l'imposizione di tasse discriminatorie.

Lavoro: I principali bersagli della legislazione contro il lavoro femminile nel ventennio fascista furono le donne
del ceto medio. I fascisti presentarono il lavoro come un fattore essenziale sia per l'orgoglio maschile sia per
il successo demografico. Alcune donne avevano bisogno di lavorare per motivi economici, e su questo i
fascisti erano d'accordo, ma la loro missione materna non poteva consentirgli di aspirare a una carriera. Il
governo fascista prese di mira il settore dell'istruzione, nel ’23 gli fu precluso di diventare preside nelle scuole
medie; nel '26 gli fu impedito di insegnare le materie più prestigiose nelle magistrali e nei licei. Un numero +
alto e in crescita di donne lavorava nel settore terziario, in particolare nei negozi e negli uffici, dove però
percepivano salari da sfruttamento, spesso in condizioni di impiego precario. Molte ditte imponevano le
dimissioni forzate in caso di matrimonio.

Furono introdotte alcune innovazioni, come il prolungamento del congedo di maternità e l'offerta di asili
nido. Una legge del 1934 creò una nuova categoria di donne minorenni (15-20 anni), escluse dai lavori
pesanti, pericolosi o nocivi. L'impatto della normativa fu limitato, perché molti imprenditori evitarono di
applicarla. È difficile distinguere gli effetti delle politiche fasciste dai cambiamenti più generali intervenuti
nell'economia (es. crisi industria tessile), la diminuzione registrata potrebbe riflettere un semplice aumento
del numero di donne che svolgevano lavori marginali, temporanei o stagionali.

Le domestiche non erano organizzate in sindacati, perché il loro servizio non era considerato una vera
occupazione, ma parte naturale della missione della donna. Solo nel '42 le domestiche ottennero il diritto a
una giornata libera la settimana e le ferie retribuite. La prostituzione continuava a essere la professione
esercitata da alcune donne. Dal 1926 la polizia fu autorizzata ad arrestare qualsiasi donna che sostasse in un
luogo pubblico e fosse sospettata di adescamento.

Spose e madri esemplari? : La famiglia contadina estesa e gerarchica era ben lontana dall'essere scomparsa,
tuttavia, questo periodo fu caratterizzato da una progressiva urbanizzazione che permise ad alcune donne di
sottrarsi alle restrizioni del mondo contadino. Nelle aree urbane i matrimoni erano sempre più fondati sul
sentimento. Non sembra infondato ritenere che tra le coppie della classe operaia in nord Italia, dove la moglie
lavorava a tempo pieno, alcuni uomini si facessero carico di parte dei lavori domestici (certo non quelli più
faticosi come il bucato). L'abbigliamento femminile si modificò, diventando sempre più sportivo, pratico e
meno differenziato in base alla classe sociale¸ le attività delle donne nel tempo libero rimanevano vincolate
alle incombenze domestiche e ai canoni di rispettabilità; erano escluse da molti locali pubblici, come osterie
e caffè.

Cap 5 – Per la patria: mobilitazione di massa durante il ventennio fascista

Il ventennio fascista suonò le campane a morto per il femminismo italiano¸ Le org. femminili che contavano
il numero maggiore di tesserate erano quelle fasciste. Le org. femminili che contavano il numero maggiore
di tesserate erano quelle fasciste, l'Unione femminile nazionale riuscì a sopravvivere, dedicandosi
all'assistenza sociale, ma fu sciolta nel '38 perché i programmi assistenziali fascisti l'avevano resa superflua
(in realtà perché molte ebree erano socie).

Contribuirono a gettare i semi della Resistenza in tempo di guerra e produssero un piccolo gruppo di donne
politicamente mature. Il numero di donne coinvolte era tuttavia modesto. Di gran lunga più imp. sotto il
profilo numerico furono le organizzazioni delle donne cattoliche, che offrivano l'unica vera alternativa al
regime. Nel 1919 l'Udci prese il nome di Unione femminile cattolica italiana (Ufci), che fu suddivisa in 2 rami:
l'Unione donne di Azione cattolica (Udaci) e la Gioventù femminile (diretta dalla Barelli); anni dopo si
aggiunse un terzo ramo, le Universitarie. L'Ufci era subordinata alla gerarchia della Chiesa.

Pur promuovendo il ruolo materno delle donne, i gruppi femminili cattolici assunsero una posizione più rigida
contro la modernità. La loro missione era contrastare la secolarizzazione e offrire una formazione sociale e
religiosa alle future madri d'Italia. Proponevano un'idea molto tradizionale dei ruoli di genere, osteggiando
l'emancipazione delle donne e criticando il lavoro extradomestico e l'istruzione femminile eccessiva. Le
associazioni cattoliche proponevano alle loro iscritte una serie di attività. Le principali erano di carattere
religione e comprendevano meditazioni, conferenze su tematiche inerenti alla fede; le iscritte dovevano
trasmettere il messaggio dell'org. anche al di fuori delle riunioni e negli anni '30 svolsero parecchio lavoro
anche in campo sociale. Sebbene queste associazioni predicassero la sottomissione femminile e la
domesticità e negassero un ruolo politico alle donne, permisero a molte dirigenti di raggiungere un livello
non indifferente di emancipazione personale.

In breve tempo sorsero gruppo solo femminili, che poi presero il nome di Fasci femminili. Il primo fu fondato
a Monza nel mar/1920, poi seguito da altri soprattutto nelle aree del centro-nord Italia. Alcune vedevano nel
nuovo movimento una forza capace di trasformare il paese, altre una via per scongiurare il pericolo rosso. Le
donne che abbracciarono il fascismo nei primi anni scelsero di farlo per la loro appartenenza di classe, più
che di genere. A molte nazionaliste e irredentiste che si consideravano anche femministe questa nuova
corrente politica non pareva peggiore delle altre in relazione alle questioni di genere.

Nel 21, quando il movimento fascista si trasformò in partito politico, il Pnf definì i gruppi femminili come
mere sezioni interne dei Fasci di combattimento. Il disinteresse nei loro confronti, paradossalmente permise
alle fasciste un certo grado di autonomia. Nel 1924 Mussolini affidò a Elisa Majer Rizzioli il nuovo incarico di
ispettrice generale dei gruppi femminili fascisti, con un posto nella direzione nazionale del partito. Ciò
infastidì molti gerarchi fascisti, e la loro ostilità nei suoi confronti trovò espressione nei nuovi regolamenti
dei Fasci femminili redatti dalla direzione del partito. Nel nov/1925 fu concesso il suffragio ad alcune ristrette
categorie di donne. Il provvedimento prevedeva l'ammissione all'elettorato amministrativo delle donne che
avessero almeno 25 anni e fossero: decorate per il servizio reso durante la guerra o per meriti civili, le vedove
o le madri di caduti in guerra, e le donne che versavano almeno 100 lire annue in tasse.

La Rizzioli rimase in carica a lungo; alla fine del 1925, il segretario del partito, Farinacci, ordinò la chiusura
della sua rivista e nel 1926 abolì l'Ispettorato dei Fasci femminili. Il successore di Turati, Farinacci, nominò
Angiola Moretti segretaria dei Fasci femminili, che però era troppo giovane per aver avuto davvero a che fare
col femminismo e abbastanza ambiziosa da non creare problemi. Nel 1932 fu introdotto l'obbligo per ogni
sezione locale del partito di avere un Fascio femminile; ogni sezione locale era diretta da 1° segretaria che
rispondeva alla fiduciaria provinciale, a sua volta subordinata alla gerarchia maschile. Alle donne veniva
chiesto di dimostrare attivamente il loro sostegno al fascismo e contribuire a forgiare il consenso desiderato
dal regime tramite il lavoro di assistenza sociale, spoglia di qualsiasi ideologia emancipazionista.

L'invasione dell'Etiopia comportò nuovi impegni e determinò un cambiamento sia nelle attività dei Fasci
femminili sia nel linguaggio utilizzato per rivolgersi alle donne; l'es. più famoso di mobilitazione femminile a
sostegno di questa guerra è il sacrificio delle fedi nuziali. Furono istituiti corsi di preparazione alla vita
coloniale per formare le future mogli del nuovo Impero. Alla fine degli anni '30 l'intensificazione delle attività,
dovuta alla campagna autarchica e all'aumento del numero di tesserate, portò alla creazione di una nuova
figura stipendiata: l'ispettrice nazionale, dopo lo scoppio della 2GM le donne fasciste ottennero maggiore
influenza politica.

Massaie rurali e Sold: Nel 1933 fu creata una sezione speciale x le contadine all'interno del sindacato fascista
dei lavoratori agricoli; poi fu assorbita nel partito, come sezione “Massaie rurali” dei Fasci femminili. Il nuovo
organismo mise a punto un ricco programma di corsi di formazione che mirava a migliorare le condizioni di
vita delle donne rurali senza modificare le relazioni di classe nell campagne o la gerarchia di genere. Gran
parte dei corsi e delle gare riguardavano l'economia domestica, l'igiene e la puericoltura. Le contadine furono
esortate a incrementare la produzione per la causa nazionale. Nel '37 fu istituita una sezione analoga per le
donne del proletariato, la Sezione operaie e lavoranti a domicilio (Sold), che reclutava anche casalinghe e
domestiche. Le finalità reali di entrambe le sezioni erano politiche e rientravano nel più vasto programma
perseguito da Starace, che mirava a mettere in divisa fascista l'intera nazione.

Tesseramento: Nel 1929 le iscritte ai Fasci femminili erano già intorno a 100mila, nel 1942 superò il milione.
Le tesserate delle Massaie rurali passarono da 225mila nel 1935 a 2,5 milioni alla fine del 1942. I motivi per i
quali un numero tanto elevato di donne aderiva alle organizzazioni fasciste erano diversi e variavano in base
a periodo, estrazione sociale e ruolo nell'org. In molti casi l'opportunismo o i bisogni materiali erano motivi
non trascurabili. Alcune donne si iscrissero per ottenere un impiego. Alla fine degli anni '30 la tessera del
partito era diventata un requisito indispensabile per accedere a taluni benefici dell'assistenza sociale e altri
servizi, tanto da guadagnarsi il soprannome di “tessera del pane”; per le impiegate pubbliche la tessera del
partito era un requisito indispensabile per l’assunzione.

Organizzazioni femminili giovanili: Il fascismo reclutò un numero ingente di ragazze in org. Giovanili
femminili, inquadrate in base alla fascia di età: 8-12 anni Piccole italiane, 13-18 Giovani italiane, che nel '29
furono poste sotto il controllo del ministero dell'educazione nazionale. Nel 1937 i gruppi giovanili di entrambi
i sessi confluirono nella Gioventù italiana del Littorio (Gil). Nella Gil furono introdotti i corsi di cultura fascista
e la possibilità di partecipare ai Ludi Juvenilis, raduni annuali ai quali i giovani di entrambi i sessi si misuravano
in gare sportive e culturali. Le opportunità per le alunne furono straordinarie, permettevano di uscire dalla
famiglia ed esibirsi in pubblico in spettacoli coreografici di massa. I livelli di tesseramento erano più alti in
città e nelle province del nord, rispetto al sud e alla campagna. I livelli più bassi si registravano nella fasce di
età più elevate. Alcune si iscrivevano per conformismo, altre per l'opportunità di praticare attività sportive e
sociali.

Eredità del ventennio: Il modello di mobilitazione femminile affermatosi in questo periodo ebbe ricadute sul
futuro. Per certi versi agì come una specie di freno sul progresso, ostacolando lo sviluppo della politica
femminile dopo il ritorno della democrazia; per altri versi la mobilitazione negli anni precedenti favorì la
modernizzazione, perché tanto le organizzazioni cattoliche quanto quelle fasciste fecero sì che l'idea di
mobilitare in massa le donne sembrasse normale e contribuirono a creare le premesse per l'ammissione delle
donne al voto

Cap.6 – La guerra raggiunge le donne


La 2 ° Guerra Mondiale fu un periodo complesso e durissimo per le donne italiane. Nella seconda fase di
questa guerra, la distinzione tra fronte interno e fronte di combattimento diventò sempre più confusa; molte
donne raggiunsero livelli di attività nella sfera pubblica senza precedenti.

Mobilitazione civile e lavoro donne: L'Italia entrò in guerra il 10/giu/1940, in un momento in cui la vittoria
nazista pareva imminente e inevitabile. Di conseguenza, la stragrande maggioranza degli italiani non si
allarmò più di tanto per lo scoppio della guerra, certa che si sarebbe conclusa nel giro di pochi mesi. Molte
donne però non erano affatto entusiaste dell'entrata in guerra. All'inizio a molti civili la guerra sembrò
distante. Poiché la vittoria sembrava a portata di mano, la mobilitazione forzata dei civili pareva un intervento
inutile, costoso e potenzialmente impopolare. Il 5/giu/1940 il Consiglio dei ministri approvò un disegno di
legge per consentire la sostituzione del personale maschile impiegato nella pubblica amministrazione con
personale femminile o pensionato. Le donne furono incoraggiate a lavorare nei trasporti pubblici, negli uffici
e nei servizi postali, ma non vennero obbligate a prestare la loro opera. Molte lavoravano e per alcune la
mole di lavoro e le responsabilità aumentarono. Molte contadine si ritrovarono ad avere parecchio da fare.
Dopo il primo anno di guerra emersero opportunità per le donne nell'industria e nei servizi. Donne e ragazze
diventarono di nuovo (era già successo nella 1GM) madrine di guerra di soldati, ai quali scrivevano e inviavano
pacchi al fronte. Le uniche italiane ad andare al fronte furono le infermiere della Croce rossa.

Vita quotidiana: La situazione peggiorò, molte persero i loro cari o i loro averi, o rimasero ferite nei
bombardamenti aerei. L'inadeguatezza dei preparativi del regime diventò lampante, con una enorme carenza
di rifugi antiaerei e una copertura inefficace, l'estensione di altre misure di protezione dei civili, come i rifugi
e le sirene di allarme, avvenne con grande lentezza. I servizi di assistenza erano scarsi, l'approvvigionamento
di generi alimentari diventò un problema serio; fu gradualmente introdotto il razionamento. Molti contadini
si rifiutavano di consegnare la loro produzione all'ammasso. Per le donne, il semplice atto di reperire il cibo
per la famiglia diventò un'attività faticosa. Tutti dovettero fare ricorso al mercato nero e la caccia al cibo
indusse molti a compiere frequenti spostamenti.

Resistenza: Il 25/lug un colpo di stato mise fine alla sua dittatura ventennale. Molti si illusero che la guerra
fosse finita. L'euforia però ebbe vita breve. Il nuovo governo Badoglio non si arrese agli Alleati e trascinò
troppo a lungo i negoziati. Questa parte dell'Italia precipitò in una sanguinosa guerra civile tra chi rimase
fedele a Mussolini e chi si unì alla Resistenza. Un numero enorme di donne partecipò alla Resistenza; La
maggior parte delle partigiane fu impegnata in altre attività, come: offrire rifugio e indumenti ai soldati,
soccorrere gli ebrei in fuga, i partigiani..

Vita quotidiana sotto il nazismo: Non tutte le donne del nord occupato dai tedeschi diventarono partigiane,
anzi. La maggioranza si limitò a cercare di sopravvivere, formando la zona grigia di coloro che non fecero
scelte politiche nette. Un numero non indifferente di donne e ragazze nei territori occupati subì l'orrore e la
vergogna dello stupro; un numero ignoto di donne subì le violenze dei militari tedeschi o repubblichini
durante l'occupazione

Sotto l’occupazione alleata: Anche nei territori occupati dagli alleati la vita continuò a essere molto dura per
le donne. Gli orrori della guerra civile e dei bombardamenti erano finiti, ma la terribile mancanza di generi
alimentari persisteva. Molte donne ricorsero alla prostituzione come unica possibilità di sopravvivere. La
microcriminalità diventò un fenomeno molto diffuso, alcune operarono come spie e informatrici tra i
partigiani o nelle linee alleate.

Conseguenze guerra: La 2GM fu un periodo di intensa attività x molte donne italiane; l'emergenza della
situazione permise loro di trasgredire le norme del comportamento femminile rispettabile. Questa intensa
attività femminile era in antitesi con la passività che durante questi anni caratterizzò l'esistenza di molti
uomini italiani. Un numero esorbitante di militari italiani fu fatto prigioniero di guerra e incarcerato nei campi
di prigionia, in una sorta di limbo in attesa della fine della guerra. Durante l'occupazione tedesca molti uomini
rimanevano nascosti in casa per non incorrere nei rastrellamenti. Erano spesso le donne a confrontarsi col
mondo esterno. Il ruolo delle partigiane diventò un simbolo della forza e della capacità delle donne di
svolgere un ruolo attivo nella sfera pubblica. L'emancipazione che ne derivò fu abbastanza limitata. La
Resistenza cominciò a essere celebrata come una lotta maschile e le ex partigiane non furono abbastanza
coraggiose da rivendicare il loro ruolo.

Cap. 7 – Trasferirsi in città (1945-67)

I decenni successivi alla guerra furono un periodo di grandi cambiamenti per le donne; in questi anni, tuttavia,
le gerarchie di genere rimasero intatte, se pur non del tutto incontaminate. Il periodo 1958-63 fu quello degli
anni del miracolo economico, un periodo di crescita estremamente rapida che produsse trasformazioni
enormi a livello culturale e sociale. Questi decenni furono caratterizzati da una straordinaria mobilità della
popolazione italiana. Il paese conobbe un'enorme ondata migratoria, soprattutto dalle campagne ai centri
urbani. Si verificò anche una nuova ondata di emigrazione all'estero. Molte persone provenienti da famiglie
contadine povere si lasciarono alle spalle uno stile di vita basato sulla agricoltura di sussistenza, per
abbracciare una nuova cultura consumistica urbana che si ispirava al mito americano.

Nei primi tempi molti immigrati furono costretti ad accettare salari bassi e condizioni di vita penose e si
ritrovarono in una situazione di precaria legalità, in quanto le leggi fasciste sulle migrazioni interne furono
abrogate nel 1961. Negli anni '60 i salari migliorarono e fu in questo decennio che l'abbondanza prodotta dal
miracolo economico cominciò a elevare il tenore di vita; l’Italia diventò un mondo dagli orizzonti sempre più
aperti, il benessere e la mobilità sociale erano finalmente possibili.

Una delle trasformazioni sociali più radicali dell'epoca fu la disgregazione della famiglia contadina patriarcale.
Le persone nate in tali famiglie emigravano nei centri urbani dove formavano piccole famiglie nucleari. Per
le donne corrispondeva alla liberazione da usanze mortificanti e da rapporti familiari difficili; tuttavia la
disuguaglianza tra i sessi continuava a essere considerata la norma.

Mass media e corpo: I mezzi di comunicazione di massa raggiunsero tutti gli strati della popolazione. Le prime
trasmissioni tv iniziarono nel 1954; il cinema diventò uno svago sempre più popolare e il numero e la tiratura
dei periodici registrarono una forte crescita. Verso la fine degli anni '40 circa 10milioni di donne leggevano i
rotocalchi, tra cui i fotoromanzi. I media cominciarono a prestare crescente attenzione al corpo delle donne.
Nuovi modelli femminili, proposti dai film hollywoodiani con la loro ostentazione dell'abbondanza e le
immagini patinate di donne affascinanti, inondarono l'Italia. Le nuove rappresentazioni della mascolinità nei
media erano spesso associate alla tecnologia. Caratteristici di questo periodo furono i concorsi di bellezza,
che attrassero numerose concorrenti col miraggio della fama e della mobilità sociale. Le donne erano sempre
più incoraggiate a prendersi cura del proprio aspetto e indossavano abiti sempre più succinti.

Istruzione e mondo giovanile: Gli adolescenti cominciarono a diventare una categoria a sé stante. Gli
adolescenti di entrambi i sessi in questi anni iniziavano per la prima volta a imporsi come gruppo sociale
identificabile, distinto dal mondo degli adulti. Per le ragazze fu un po' più difficile considerarsi indipendenti
dalle loro famiglie rispetto ai ragazzi; sognavano una nuova ricchezza, un lavoro affascinante e viaggiare.
Molte aspiravano anche a una società che garantisse una maggiore parità tra i sessi. In questo periodo si
registrarono enormi progressi nei livelli di istruzione femminile. Un numero crescente di ragazze frequentava
le scuole miste e cominciavano a integrarsi con maggiore facilità. Le relazioni con gli studenti maschi
cominciarono a cambiare: l'amicizia diventò possibile. Con la migliore istruzione le ragazze acquisirono
maggiore fiducia in sé stesse e nuovi orizzonti si aprirono.

Lavoro: Le conquiste nel campo dell'istruzione non crearono subito un boom nell'occupazione femminile; i
tassi italiani ristagnarono fino all'inizio degli anni '70. Negli anni '50 e '60 solo un terzo delle donne italiane
era ufficialmente registrato come economicamente attivo; le donne abbandonarono la campagna più
lentamente rispetto agli uomini. I contadini partivano da soli verso il nord e le donne restavano a casa a
lavorare i campi per garantire la sopravvivenza della famiglia. Alla fine degli anni '50 alcune donne emigrarono
verso le regioni industriali per raggiungere i mariti; all'inizio c'era grande richiesta di manodopera, quindi
molte trovarono lavoro, anche se con una bassa retribuzione e condizioni precarie. In seguito, l'occupazione
femminile diminuì: le statistiche indicano che negli anni '60 1milione di donne uscì dal mercato del lavoro.
L'industria stava diventando meno competitiva con l'aumento dei salari maschili e alcune donne furono
espulse dal mercato del lavoro, perché il principio della parità di retribuzione (1960) rendeva meno proficuo
assumerle. Al tempo stesso, l'aumento dei salari maschili permise a molte donne di fare la casalinga a tempo
pieno. L'insegnamento era ancora la principale professione femminile, infatti nel 1951 le donne costituivano
la metà degli insegnanti nelle scuole medie e oltre il 70% dei maestri elementari.

Questo periodo vide anche emergere nuove opportunità di impiego, solo femminili, che esaltavano il sex
appeal, come l'hostess, l'estetista, la presentatrice tv, l'attrice del cinema; ma rafforzavano l'idea che le
donne lavorassero solo quando erano giovani e nubili; in questo modo non entravano in concorrenza con gli
uomini e non dovevano fingere di essere asessuate. Nel 1950 venne migliorata la protezione delle lavoratrici,
e grazie a T. Noce una legge allungò il periodo di congedo di maternità e lo estese a nuove categorie e proibì
il licenziamento delle donne in gravidanza/madri – anche se questo scoraggiava i datori ad assumere donne
sposate.

Casalinga moderna: La casalinga moderna del dopoguerra si dedicava più o meno esclusivamente alle
faccende domestiche. In questi anni la tecnologia rivoluzionò il suo lavoro. Milioni di donne disponevano di
acqua corrente e elettricità in casa e di apparecchi domestici che facevano risparmiare fatica. I consumi di
massa, promossi da un'ondata di pubblicità che sommerse la stampa e i media televisivi, furono presentati
agli italiani come l'essenza stessa della modernità. La pubblicità e le altre rappresentazioni della vita moderna
trasmettevano messaggi connotati da un punto di vista di genere. Il fatto che molte campagne pubblicitarie
fossero rivolte alle donne fu di per sé un fenomeno inedito. Il ruolo di casalinga era quello che molte
ambivano a svolgere; turbate dalla guerra, anelavano la pace e la quiete domestica. Per molte fu un
miglioramento, un'emancipazione dalla schiavitù del lavoro nei campi.

Gli elettrodomestici, che facevano risparmiare fatica, ebbero il maggiore impatto sulle donne più povere, in
quanto quelle benestanti avevano di rado svolto lavori domestici e per loro le macchine si limitarono a
sostituire il personale di servizio. Col miglioramento della tecnologia aumentarono le aspettative. Gli
standard di pulizia si alzarono, creando una nuova mole di lavoro per la casalinga.

Demografia e sessualità: anni del dopoguerra videro molte trasformazioni e il nascere di molte
preoccupazioni; ; i timori riguardavano la disgregazione della famiglia, la perdita di autorità dei genitori sui
figli, la perdita di valori morali e spirituali, ecc. Le donne giocarono un ruolo in questa situazione, tenendo
unita la famiglia. Alcuni cominciarono ad attribuire alle madri la colpa dei mali della società italiana – periodo
che vede l'invenzione del mammismo. Il diritto di famiglia non fu riformato e rimase in vigore il codice civile
del '42, che manteneva le donne in una posizione giuridica subalterna; lo stato era spalleggiato dalla Chiesa
che continuava a sostenere l'autorità maritale. In questi anni il sistema giuridico cominciò a smettere di
condonare la violenza domestica.

Negli anni '50 i fattori economici potevano ancora giocare un ruolo decisivo; l'usanza della dote perdurava,
permettendo ai genitori di esercitare una notevole influenza sulle scelte matrimoniali. Molte finirono per
avere un matrimonio infelice. Sebbene il divorzio non fosse legale, cresceva il numero di coppie che si
separavano in modo ufficioso. Dal 1965 cominciarono ad aumentare le separazioni legali, sempre più per
motivi consensuali anziché per accuse di comportamento moralmente riprovevole da parte di uno dei due
coniugi. L'antica figura della levatrice locale andò scomparendo, in quanto sempre più donne optavano per
il parto ospedaliero. Le migliori condizioni abitative e nutrizionali associate al perfezionamento delle cure
mediche ridussero i tassi di mortalità infantile. Oltre all'Onmi furono conservati alcuni altri elementi delle
leggi demografiche fasciste, come gli assegni familiari. Più problematico fu il mantenimento in vigore (fino al
'71) del codice che proibiva la diffusione di info sugli anticoncezionali; l'aborto rimaneva illegale.
Nel 1951 il Papa dichiarò lecito il metodo Ogino-Knaus, anche se la Chiesa continuava a opporsi ad altre forme
di controllo delle nascite. Esisteva tutto un divario tra il discorso ufficiale sulla sessualità e l'atteggiamento di
molti italiani. Molte italiane pensavano che fosse bene avere una famiglia poco numerosa – molte
approvavano e facevano ricorso al controllo delle nascite. Questo ricorso era spesso considerato frutto
dell'egoismo delle donne moderne, il che equivaleva a negare il fatto che la cooperazione maschile fosse
indispensabile.

Il codice d'onore continuava a regolare i rapporti all'interno di molte comunità e i delitti d'onore non erano
scomparsi. Negli anni '60 una donna sedotta e abbandonata poteva trovarsi in condizione di dover uccidere
il responsabile per recuperare il rispetto della comunità. L'adulterio poteva essere rischioso x le donne. Le
donne disonorate il cui oltraggio rimaneva invendicato spesso venivano cacciate di casa dai genitori o
schivate dalla comunità locale. Non veniva invece attribuita altrettanta importanza alla castità o fedeltà
maschile; era ancora considerato normale che la vittima di uno stupro sposasse il suo aggressore per
riacquistare l'onore col matrimonio riparatore.

Cap. 8 – La politica delle donne all’ombra della guerra fredda

Negli anni del dopoguerra le donne operano soprattutto sotto le insegne dei partiti. I due principali partiti,
Dc e Pci, hanno molte analogie nella linea adottata nei riguardi della mobilitazione delle donne: abbracciano
la causa del suffragio femminile; danno risalto al ruolo materno della donna; si propongono come i difensori
della famiglia. All'interno dei partiti le donne continuavano a rimanere in secondo piano, relegate in attività
marginali. I politici, tuttavia, non potevano permettersi di ignorarle completamente ed anche se ne furono
elette poche, quelle che entrarono in parlamento riuscirono a far approvare importanti riforme legislative.
L'Italia non vide una donna ministro nel governo fino al 1976.

Chiesa e Dc: Per quanto indebolita dall'affermarsi dei valori laici, la Chiesa in questo periodo godeva di un
potere formidabile. Il cattolicesimo era ancora un temibile avversario della parità tra i sessi e continuava a
insistere sul destino materno delle donne, sulla purezza e la domesticità femminile. Il Vaticano era allarmato
dalle manifestazioni della modernità che implicavano atteggiamenti più liberi nei riguardi della sessualità. Il
concetto di bellezza cattolico esaltava la bellezza interiore, non gli attributi fisici. Preoccupava anche la
proliferazione delle rubriche di consigli, che minacciavano il suo monopolio della confessione.

Comunisti e socialisti: Il Pci parlava spesso di diritti e sosteneva l'emancipazione della donna, ma la
consideravano come una questione essenzialmente economica ed erano poco propensi ad affrontare temi
quali la disuguaglianza nel matrimonio, la sessualità e il divorzio. La donna comunista ideale era la lavoratrice
iscritta al partito, ma anche una buona moglie madre. L'emancipazione eccessiva, come fumare e indossare
abiti succinti, era bollata come americana e inadatta all'Italia. In un primo tempo l'atteggiamento del Psi nei
riguardi delle questioni di genere non si distinse da quello del Pci; negli anni '50 e '60, invece, alcuni
parlamentari socialisti si fecero promotori di importanti tematiche trascurate dal Pci, tra cui la riforma della
legge sulla prostituzione nel 1958 e i disegni di legge sul divorzio nel 1954, '58 e '65.

Il voto: Le italiane votarono per la prima volta nel 1946, il provvedimento fu approvato dal governo Bonomi
il 1/feb/1945 ed ammise al voto tutte le donne adulte. Il diritto delle donne a essere elette fu sancito nel
mar/1946. Furono soprattutto i mutamenti verificatisi durante la guerra a far sembrare inevitabile il suffragio
femminile. Molti ascrissero il motivo del provvedimento al ruolo svolto dalle donne nella Resistenza – la
legittimità della cittadinanza trovava il suo fondamento nell'aver imbracciato le armi + l'ampio ruolo svolto
sul fronte interno. L'opinione maschile era divisa.

Tra gli iscritti della sinistra persisteva il timore di lunga data che le elettrici si sarebbero limitate a seguire gli
orientamenti del clero. L'avvento del suffragio ebbe un'enorme imp. simbolica per le donne, per molte fu un
momento emozionante; il voto mobilitò le donne anche in nuove forme di attivismo politico, es. interventi ai
comizi elettorali.
Costituzione: Le donne rappresentavano solo il 3.7% dei deputati dell'Assemblea costituente; delle 21 donne
elette: 9 comuniste, 9 democristiane, 2 socialiste e 1 del partito populista. La presenza fu determinante per
garantire l'inclusione di importanti articoli in materia di parità tra i sessi e su queste tematiche, le donne dei
diversi partiti si fecero spesso causa comune. Il risultato fu una Costituzione forte in termini di diritti delle
donne nella sfera pubblica, ma ambivalente in merito alla parità tra i sessi nella sfera privata. La Costituzione
prometteva pari diritti e pari retribuzioni per le lavoratrici e sanciva il diritto delle donne di votare e ricoprire
cariche pubbliche.

Donne e organizzazioni politiche: Le donne aderirono a una grande varietà di associazioni, tra cui sindacati,
cooperative e partiti politici o nuove organizzazioni di massa ad essi legati. Per alcune iscriversi a tali
associazioni rappresentava un aspetto secondario della vita, per altre diventò un elemento fondamentale
dell'identità personale. Nel 1949 la Cgil contava poco più di 1milione di tesserate, rispetto a 7milioni di
uomini; ciò rispecchiava sia i livelli di occupazione femminile sia l'atteggiamento poco incoraggiante di molti
sindacalisti nei confronti delle donne sul lavoro. Molte tesserate esistevano solo sulla carta; data la natura
clientelare della Dc, molte aderirono soprattutto per ottenere agevolazioni e posti di lavoro., circa il 60%
delle adesioni femminili venivano dal sud; ¾ erano casalinghe.

Unione donne italiane (Udi) e Centro italiano femminile (Cif): L'Udi era la prosecuzione diretta dei gruppi
femminili della Resistenza; sostenevano i diritti delle donne, sottolineando al contempo l'unità tra uomini e
donne nella lotta (era aperta a tutte le antifasciste). Fino al '47 l'Udi operò in modo autonomo, ma con
l'intensificazione della guerra fredda, diventò sempre più subordinata alla sinistra.

Togliatti considerava l'Udi un buon strumento x persuadere ogni segmento della popolazione femminile ad
abbracciare la causa comunista ed essenziale per la strategia intesa a trasformare il Pci in un partito di massa.
All'inizio l'ideologia dell'Udi era incentrata sull'emancipazione, ma a causa del solco sempre più profondo tra
i due fronti politici, assunse posizioni più conservatrici. All'inizio degli anni '50 l'Udi si mobilitò in favore delle
campagne organizzate dal partito contro la bomba atomica e contribuì a sostenere le battaglie elettorali,
l'organizzazione cominciò a porre un maggiore accento sui diritti delle donne e, dal 1956, allentò un po' i
legami col Pci. Dopo che Giuliana dal Pozzo ne assunse la direzione nel '56, la rivista dell'Udi Noi donne, si
discostò spesso dalla linea ufficiale del partito sulle questioni riguardanti la sfera privata; pubblicò una serie
di articoli pioneristici nei quali veniva approfondita la questione del divorzio. Negli anni '60 si occupò spesso
dei problemi del matrimonio moderno e della necessità di una riforma del diritto di famiglia. Nel '64 l'Udi
chiese l'abrogazione della legge fascista sul controllo delle nascite.

La nascita dell'Udi indusse i cattolici a patrocinare una propria organizzazione, il Centro italiano femminile
(Cif), che accoglieva solo le cattoliche praticanti e le preparava a svolgere un ruolo attivo nella vita terrena.
Non era subordinata alla gerarchia della Chiesa; tuttavia i comitati del Cif avevano, ad ogni livello, un
consulente religioso, un sacerdote che dispensava consigli sui temi della fede. Nelle elezioni del '48 il Cif
conduceva campagne per la Dc e l'Udi per la sinistra¸ Entrambe si prodigarono in attività assistenziali,
soprattutto durante gli anni della ricostruzione: le iniziative comprendevano ampi programmi di istruzione
per gli adulti, corsi sul funzionamento del sistema politico.

Entrambe pubblicavano periodici: il vivace Noi donne dell'Udi, per un pubblico vasto con contenuti vari; il
Bollettino del Cif, con info di tipo organizzativo per le militanti. Entrambe offrivano occasioni di svago e
attività culturali e ricreative: balli, feste, gite, pellegrinaggi, ecc e una festa annuale per promuovere la loro
identità: Giornata internazionale della donna (8/mar, Udi) e Giornata della donna cristiana (S. Caterina, Cif).

Rappresentanti elette: Poche donne furono elette al parlamento, la maggior parte si trovava alla Camera
dei deputati, solo un numero esiguo raggiunse il Senato. Il Pci in genere otteneva i risultati migliori, anche
perché tendeva a presentare candidate che avevano dimostrato il proprio valore nel corso di una lunga
esperienza al servizio del partito; la difficoltà era rappresentata anche dal fatto che spesso le donne erano
poco inclini a votare per una donna, ritenendo che gli uomini potessero assolvere meglio all'incarico. Le
prime donne parlamentari si ritrovarono in una posizione ambigua, non era chiaro se fossero state elette
per rappresentare tutti gli italiani o solo per difendere gli interessi femminili. Intervennero su ogni genere di
argomento, ma dovevano avere coraggio per farlo.

Riforme legislative: A dispetto della loro posizione marginale, le deputate e le senatrici assicurarono
l'introduzione di alcuni importanti miglioramenti legislativi. Furono costituzionaliste dei diritti delle donne,
perché spesso motivavano la riforma col fatto che le leggi in vigore erano ancora in contrasto con i principi
affermati nella Costituzione. Molte leggi furono approvate una dietro l'altra, negli anni '50-60, a partire
dalla legge del 1956 che permise alle donne di accedere alle giurie popolari nelle Corti di assise e di
diventare giudici onorari nei Tribunali per i minorenni. La legislazione in materia di prostituzione fu oggetto
di un dibattito molto più acceso. La legge Merlin del 1958 vietò l'esercizio di case di prostituzione e proibì la
registrazione e l'esame medico obbligatorio per le prostitute. Stabilì pene severe per i reati di lenocinio,
tratta delle donne e adescamento, ma non criminalizzò la prostituzione di per sé.

Nel 1959 le donne furono ammesse nelle forze di polizia, ma il loro intervento era limitato ai reati contro la
moralità e ai procedimenti giudiziari riguardanti le donne e i minori. Nel 1963 le casalinghe ottennero la
pensione. Il 1964 vide l'abolizione del coefficiente Serpieri, un sistema di valutazione in base al quale il
lavoro di una contadina era considerato solo pari a una percentuale prestabilita di quello di un uomo. Nel
1967 la nuova legge di tutela del lavoro dei minori pose il divieto di adibire i minori ai lavori considerati
pericolosi, faticosi e insalubri, fissava limiti di età diversi per ragazzi (16 anni) e ragazze (18).

Cap.9 – “Io sono mia” (’68-’80)

Anni ’70 spartiacque per le idee sui ruoli di genere, questo decennio denso di tumulti politici e culturali vide,
oltre ad un esuberante movimento femminista, la nascita di: movimento studentesco, politica
extraparlamentare, militanza sindacale e terrorismo di sinistra e destra. Il femminismo italiano aveva molte
caratteristiche in comune con altri femminismi occidentali, come l'accento sui cambiamenti nella sfera
privata, sulla sessualità e sul corpo e sulla necessità di un'organizzazione autonoma e non gerarchica. Nel
1974-76 assunse le caratteristiche di un movimento di massa, con manifestazioni e iniziative più concrete.

Negli anni '80 ormai non esisteva più come movimento, mutò e assunse nuove forme.

Origini del movimento delle donne: La nascita del femminismo avvenne grazie anche all'urbanizzazione, al
miglioramento dell'istruzione e una ricchezza materiale senza precedenti, I media contribuirono a diffondere
le notizie provenienti dall'estero e alcune figure chiave dei primi anni del femminismo italiano come Carla
Lonzi e Serena Castaldi passarono un periodo negli Usa.

Tra 1965-66 nacque il Demau (Demistificazione autoritarismo); questo collettivo femminile fu il primo a
sollecitare una nuova analisi del ruolo delle donne nella società. Era un gruppo antiautoritario che metteva
in discussione i ruoli di genere imposti a entrambi i sessi; volevano “costruire una società dove potessero
avere corso i valori comuni ai due sessi”. Un numero di gran lunga maggiore di donne si avvicinò al
femminismo attraverso il movimento studentesco del 1968, che creò un terreno favorevole alla nascita del
femminismo con la sua critica delle idee autoritarie, la rivendicazione di una maggiore libertà sessuale e la
convinzione iconoclastica che tutto dovesse essere contestato e messo in discussione. Per alcune fu un
momento liberatorio, per altre fu fonte di disorientamento e paura.

Parità/uguaglianza/differenza: Molte femministe italiane si concentravano sull'idea che esistessero


differenze fondamentali tra i sessi che definivano differenza sessuale; le donne, a loro parere, non dovevano
semplicemente integrarsi nel mondo maschile, dovevano invece ricercare la propria identità. Sostenevano la
contraccezione e si opponevano alla violenza contro le donne. Erano per la maggior parte anticapitaliste;
alcune adoperavano un linguaggio dagli echi marxisti accentuati. Le questioni economiche erano solo un
aspetto dell'oppressione delle donne: la liberazione doveva avvenire in tutte le sfere della vita.
Aspetti organizzativi: Alcuni gruppi raggiunsero maggiori dimensioni, come il Movimento di liberazione della
donna (Mld), attivo nella campagna a favore dell'aborto. I primi collettivi nacquero nel periodo 1969-71; tra
i primi figurano: Rivolta femminile, fondato da Carla Lonzi, Anabasi, Lotta femminista, Il cerchio spezzato
(gruppo studentesco) e tra i più noti troviamo Col di Lana e Collettivo femminista romano. Molte femministe
si dedicavano in modo esclusivo alle finalità interne, accantonando le riforme legislative come marginali.
L'attenzione verso l'esterno cominciò a crescere a partire da metà degli anni '70. Alcuni gruppi si occuparono
di tematiche specifiche. Le femministe diedero vita anche a stazioni radiofoniche, gruppi teatrali e consultori;
produssero grande quantità di scritti (Effe, Quotidiano donna, Sottosopra).

Femminismo e altre organizzazioni: Il femminismo si manifestò in maniera diversa nelle varie regioni, a
seconda della situazione politica locale, ebbe inizio a Torino nel 1975 con la costituzione di un gruppo di
coordinamento intercategoriale donne CgilCisl-Uil; le riunioni prevedevano la pratica dell'autocoscienza;
cercavano di esercitare pressioni sui sindacati affinché dessero priorità alle rivendicazioni intese a migliorare
la condizione delle donne sul lavoro. L'influenza del femminismo si propagò attraverso l'iniziativa delle “150
ore”, che riconosceva ai lavoratori dipendenti permessi retribuiti a fini di studio, intanto la Dc osteggiava
apertamente il femminismo. Alla metà degli anni '70 la nuova sinistra stava per adottare una rigida
impostazione marxista-leninista nell'ottica di una rivoluzione comunista, non compatibile col femminismo; le
tensioni esplosero in diverse occasioni, quella più famosa è la manifestazione in favore dell'aborto nel 1975,
alla quale parteciparono circa 20mila donne. Vi fu uno scontro tra le manifestanti e il servizio d'ordine di Lotta
continua, i comunisti erano restii a mettere in discussione le idee cattoliche sulla famiglia in questo periodo
di compromesso storico, e liquidarono il femminismo. Malgrado l'ostilità di alcune femministe verso qualsiasi
forma di istituzione, nel 1976 il femminismo ottenne un canale ufficiale attraverso il quale promuovere le
proprie posizioni con la nascita delle Consulte femminili (alcune molto efficienti).

Riforma giuridica: In questo decennio furono introdotte importanti riforme giuridiche, nel caso di alcuni nuovi
atti legislativi, come la legge sulla maternità del 1971, furono l'Udi e i sindacati a esercitare l'azione più
efficace in favore del cambiamento. Il divorzio fu legalizzato nel 1970; l'importanza della legge stava nel fatto
che qualsiasi coppia poteva chiedere il divorzio dopo un periodo di separazione di 5 anni. Nel 1971 venne
abrogata la legge fascista contro la diffusione di info sulla contraccezione e nello stesso anno fu introdotto
un servizio nazionale di asili nido. Il '75 vide la riscrittura del codice civile, che soppresse tutte le disparità
rimaste nel diritto di famiglia: uomini e donne diventarono uguali nel matrimonio; le donne non dovevano
più ottenere l'autorizzazione del marito per avere il passaporto, né dovevano prenderne il cognome o
risiedere dove egli si stabiliva, i genitori condividevano la responsabilità delle decisioni sui figli; i figli illegittimi
avevano gli stessi diritti dei legittimi.

Aborto: La battaglia più dura fu quella per il diritto all'aborto, la lotta per la sua legalizzazione ebbe molta
risonanza in Italia a causa dell'accesso limitato alla contraccezione. A causa dell'influenza della Chiesa, tutti i
maggiori partiti politici si opponevano alla legalizzazione, persino il Pci, che poi però la sostenne. Il primo
disegno di legge sull'aborto presentato dal Pci nel 1975 prevedeva l'aborto gratuito presso strutture
pubbliche, ma solo nel caso in cui la gravidanza comportasse un pericolo per la vita o la salute della donna,
oppure in caso di stupro o incesto o grave malformazione genetica. Le femministe si mobilitarono in favore
dell'aborto libero e gratuito, praticato su richiesta presso strutture sanitarie pubbliche, lasciando che la
decisione spettasse alle donne.

Nel Mag/1978 la legge fu infine approvata e consentiva l'interruzione volontaria della gravidanza a spese
dello stato entro i primi 90 giorni; la gravidanza o il parto dovevano comportare un serio pericolo per la salute
fisica o psichica della donna. Per le ragazze di età inferiore ai 18 anni era necessaria l'autorizzazione dei
genitori. Il personale sanitario aveva la facoltà di dichiarare la propria obiezione di coscienza.

Violenza sessuale: Lo stupro era un grosso problema e la trasformazione dei costumi sociali offriva agli
aggressori maggiori opportunità, ora che le donne si muovevano più liberamente¸nel 1976, in concomitanza
di un clamoroso processo a carico di 3 stupratori accusati dell'omicidio di una delle due vittime, fu lanciata
una grande mobilitazione femminista all'insegna dello slogan “riprendiamoci la notte”. Il testo proposto
prevedeva la ridefinizione dello stupro come reato contro la persona e considerava violenza sessuale anche
quella consumata tra le pareti domestiche. Per poter essere discusse dovevano essere corredate da 50mila
firme, il progetto di legge ne contava 300mila.

Declino del femminismo: Verso la fine degli anni '70 il movimento femminista cominciò a dare segni di
cedimento, una tendenza dovuta almeno in parte al dilagare del terrorismo. Diverse donne vi ebbero ruoli di
comando, la brigatista più famosa è Mara Cagol. Le femministe erano divise sulla questione delle terroriste:
molte le criticavano e condannavano il loro l'approccio violento alla politica, altre le consideravano donne
forti.

Un bilancio: Il movimento degli anni '70 contribuì in misura straordinaria allo sviluppo della riflessione sui
ruoli di genere, ma i risultati concreti mostravano seri limiti; sia la legge sul divorzio sia quella sull'aborto
erano leggi moderate, che erano state approvate per prevenire campagne in favore di riforme più radicali.
Permanevano disparità di retribuzione tra uomini e donne, i media diffondevano immagini degradanti della
donna e l'ideologia femminista, incentrata sulla differenza, rischiava di rafforzare i ruoli di genere tradizionali.
Le femministe tendevano a dare priorità alle questioni che interessavano soprattutto le giovani donne,
emarginando quelle più mature. Le femministe sembravano interessate ad esplorare il tema delle madri
come figure simboliche più che a discutere i problemi che le madri stesse dovevano affrontare nella realtà.
Questo decennio vide alcuni esordi nel mondo politico, tra cui la prima donna ministro (del lavoro), Tina
Anselmi (Dc) e tre anni dopo, la prima donna presidente della Camera dei deputati, la comunista Nilde Jotti.

Si sviluppò rapidamente la terza Italia, quella dei distretti industriali del nord-est e dell'Italia centrale,
caratterizzata da piccole imprese locali, in gran parte a conduzione familiare, la cui produzione era spesso
destinata a un mercato internazionale. Molte donne avevano ancora posti precari, mal retribuiti e senza
assicurazione sociale.

Cap.10 – La doppia presenza

Gli ultimi due decenni del '900 furono anni di rapido mutamento sociale, economico, culturale e politico.
L'Italia aveva un tasso di natalità molto basso, legami familiari forti e duraturi e un sistema nazionale di servizi
sociali carente e in quegli anni subì una crescente diversificazione dal punto di vista etnico, con l’arrivo di
lavoratori immigrati. Ci fu la comparsa di un autentico pluralismo religioso, dovuto al numero crescente di
seguaci di altre fedi religiose. Le donne in questo periodo fecero passi da gigante sia nell'istruzione sia in
ambito lavorativo. Tuttavia, i privilegi maschili non erano affatto una realtà del passato.

Femminismo, la lunga ondata: Negli anni '90 il femminismo storico fu sostituito da quello che è stato definito
femminismo diffuso, intendendo l'ampia penetrazione delle idee femministe nei valori culturali generali e
nella sfera istituzionale e politica. Le nuove parole chiave definivano obiettivi compatibili, la parità e la
diversità, comprendendo in quest'ultima sia la differenza tra le donne e gli uomini sia le diversità presenti tra
le donne stesse. Le femministe continuarono a organizzarsi, ma con nuove modalità. I gruppi avevano
dimensioni ridotte e locali e si concentravano su tematiche specifiche e ben definite. I primi corsi di
specializzazione in storia delle donne furono lanciati da una scuola estiva, organizzata dalla Società italiana
delle storiche. L'Udi proseguì le attività attraverso i propri gruppi attivi a livello locale e continuò a pubblicare
la sua rivista a tiratura nazionale e nei primi anni 2000 cominciò a ricostruire una struttura organizzativa
nazionale trasformandolo in Unione donne in Italia – apertura alle donne immigrate.

Televisione: La tv era diventata il più importante mezzo di comunicazione di massa in Italia, il modo in cui la
donna veniva rappresentata non era irrilevante. Alcune serie tv avevano per protagonista una forte figura
femminile e il numero di giornaliste era in crescita – nel 1978 il 10%, nel 2002 il 35%. In molte trasmissioni
persisteva la divisione del lavoro in base al genere; la presenza femminile era scarsa anche tra gli inviati
speciali e i corrispondenti esteri e le donne venivano raramente intervistate in veste di esperte. Un aspetto
problematico era il fatto che l'immagine femminile era spesso presentata con una forte connotazione erotica.
Le emittenti tv private nella loro programmazione ponevano un forte accento sul consumismo e
l'intrattenimento edonistico e iniziarono a proporre trasmissioni serali con vallette e showgirl; il pubblico
femminile in generale era lungi dall'essere soddisfatto dalla situazione, le donne dicevano che l'immagine
che la tv dava di loro era: distorta, volgare e umiliante.

Alla luce del sole: è in questo periodo che le lesbiche cominciarono a organizzarsi e diventarono molto più
visibili; nel 1981 organizzarono un sit-in a Roma per protestare contro l'arresto di due donne che avevano
commesso il reato di baciarsi su una panchina ad Agrigento. Dicevano “vogliamo viverci interamente alla luce
del sole”. Nel decennio successivo la situazione cambiò, grazie soprattutto alle attività promosse dall'Arcigay
Donna (costituita nell'89). La scelta di uscire alla luce del sole ricevette un impulso significativo dalla prima
manifestazione nazionale del Gay Pride a Roma nel 1994.

Partiti politici e parlamento: Negli anni '80 il Pci cominciò a prendere sul serio le idee femministe. Nel 1984 il
VII Congresso delle donne comuniste fece propria l'idea dell'autonomia e l'86 vide la pubblicazione della
Carta delle donne comuniste, un documento che applicava il concetto della differenza sessuale a una serie di
tematiche politiche; venne chiamata Livia Turco a far parte della segreteria nazionale del partito con l'incarico
di rappresentare le questioni femminili e lanciò una nuova politica che prevedeva di riservare quote alle
donne in seno ai propri organi rappresentativi ed esecutivi.

Un aspetto curioso è che le donne attive in politica sembrano essere rimaste estranee alla corruzione
sistemica venuta a galla nei processi spettacolari dei primi anni '90. Il feb/1996 la lunga campagna femminista
per la riforma della legge sulla violenza sessuale diede infine i suoi frutti. La legge sancì il principio rivendicato
dalle femministe, cioè che lo stupro fosse catalogato come reato contro la persona e non contro la moralità
pubblica; la pena detentiva è da 3 a 5 anni e la reclusione da 6 a 12 anni in circostanze aggravanti.

Un tentativo di aumentare la presenza femminile fu compiuto nel '93 con l'inserimento della clausola di
genere, in parte dovuta all'abilità politica di una parlamentare come Tina Anselmi, nella nuova legge
elettorale. La clausola introduceva un controverso sistema di quote in base al quale i partiti dovevano
elencare nelle liste elettorali i candidati e le candidate alla Camera in ordine alternato. La legge 25/mar/1993
n°81 stabiliva che nelle liste elettorali nessuno dei due sessi poteva essere rappresentato in misura superiore
ai 2/3 dei candidati nei comuni di grandi dimensioni e ai ¾ in quelli più piccoli.

Istruzione: Già all'inizio degli anni '80 le ragazze si erano messe alla pari con i ragazzi nell'istruzione
secondaria, tra 1982-95 più ragazze rispetto ai ragazzi completavano con successo gli studi e un minor
numero di esse doveva ripetere l'anno. Nel 1992 le ragazze costituivano oltre il 50% degli iscritti alle
università italiane; la crescita dell'istruzione femminile fu particolarmente significativa nel sud e negli anni
'90 alcune ragazze si orientavano verso studi precedentemente maschili, come lo scientifico.

Lavoro: “doppia presenza” -> tanto gli impegni lavorativi quanto quelli familiari erano considerati parte
integrante dell'identità femminile. La crescita dell'occupazione femminile di quegli anni proseguì; aumentò
sia il numero delle donne che cercavano lavoro sia quello delle donne occupate. I differenziali retributivi,
però, persistevano. Nell'83 sotto Craxi fu istituito il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità
di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori/trici presso il ministero del lavoro e l'anno
successivo a tale organismo si aggiunse una Commissione nazionale per le pari opportunità. L'84 vide
l'istituzione di una nuova figura, il consigliere di parità, che operava all'interno delle commissioni regionali
per l'impiego. Per la crescita dell'occupazione femminile furono più significativi i mutamenti culturali,
l'espansione del terziario e la crescita del sistema delle scuole materne.

Nel 2000 il numero di dipendenti pubbliche superò quello degli uomini – di grande importanza perché offriva
la garanzia reale di un lavoro sicuro e una buona pensione. Il numero di lavoratrici autonome aumentò: nel
2004 il 23.5% delle imprese italiane erano classificate come imprese femminili, questa espansione fu
alimentata dalla legge n° 215 del 1992 che promuoveva l'imprenditoria femminile in vari modi. Nella terza
Italia le donne svolgevano un ruolo centrale in veste sia di lavoratrici sia di imprenditrici.

L'Italia era indietro rispetto a molti paesi dell'Ue, infatti il 36% di italiane ufficialmente registrate come
occupate nel '96 era al di sotto della media Ue del 50%. Alcuni datori di lavoro trovavano il modo di eludere
la legge sulla parità, come le FS con prove tecniche che richiedevano una notevole forza fisica e, inoltre,
l'occupazione femminile era frenata dalla carenza di posti di lavoro a tempo parziale. I sindacati fecero poco
per promuovere orari di lavoro flessibili e le leggi italiane offrivano scarsi incentivi. La partecipazione delle
donne al mercato del lavoro era limitata dall'età di pensionamento femminile obbligatoria, fissata a 55 anni
nel settore privato, che scoraggiava il ritorno al lavoro dopo la nascita dei figli.

Donne immigrate: Nell'ultimo quarto di secolo l'Italia diventò una meta di immigrazione. Alcuni immigrati la
scelsero perché era un paese cattolico; altri furono attratti dal benessere diffuso nella società italiana, dalle
opportunità offerte dall'economia informale ai lavoratori privi di documenti e dal fatto che l'Italia fu una delle
ultime nazioni europee a imporre controlli sull'immigrazione. Spesso la vita per gli immigrati era molto dura,
a causa del razzismo, della violenza e della carenza di alloggi e servizi sociali (dovuti alla mancanza di
preoccupazione per il loro arrivo). Molti dovettero rivolgersi a istituti di carità e la maggior parte delle
immigrate vivevano in condizioni di grande povertà e inviavano la maggior parte dei loro guadagni a casa.

Con la maturazione delle comunità di immigrati crebbero i livelli di ricongiungimento familiare e si verificò
anche una certa diversificazione delle occupazioni. Al volgere del secolo, alcune donne immigrate
cominciavano a creare le proprie organizzazioni e furono lanciati progetti per assisterle. Il servizio domestico
era quasi l'unica fonte di lavoro per le donne immigrate. Un altro folto gruppo di immigrate era costituito
dalle lavoratrici del sesso: giovani donne straniere e vulnerabili. Alcune immigravano per conto proprio e poi
lavoravano in autonomia, ma si diffuse anche un altro fenomeno orribile, che vide l'afflusso di giovani donne
persuase con l'inganno a emigrare in Italia e costrette a prostituirsi.

Famiglia e demografia: La legalizzazione del divorzio (reso più semplice nel 1987, con la riduzione del periodo
minimo di separazione da 5 a 3 anni) non determinò la disintegrazione della famiglia, al contrario, la famiglia
rimase un'istituzione estremamente forte. In parte era dovuto a motivi culturali, ma anche al fatto che, in
una società priva della protezione offerta da uno stato sociale efficiente e in cui le aziende a conduzione
familiare erano un importante fonte di occupazione per i membri della famiglia stessa, esistevano numerose
ragioni perché le famiglie restassero unite.

La famiglia italiana fu condizionata dal declino del tasso di natalità, dall'innalzamento dell'aspettativa di vita
e dal fatto che molti figli adulti continuavano a vivere assieme ai genitori. Alla fine del secolo il tasso di
divorzio e il numero di famiglie con un solo genitore erano in aumento. Dalla fine degli anni '80 furono
presentati diversi disegni di legge intesi a legalizzare le unioni civili, che non andarono a buon fine, negli anni
'90 alcuni comuni cominciarono a permettere le registrazioni delle unioni civili. Le iniziative erano
controverse e sollevarono un'enorme opposizione da parte della Chiesa e dei politici del centro-destra. La
bioetica (in particolare la procreazione assistita) fu un'altra questione controversa sulla quale la gerarchia
ecclesiastica si espresse con forza. Alla fine del secolo l'80% delle italiane aveva avuto almeno un figlio entro
i 40 anni, ma molte si fermavano lì: ciò si tradusse in un drastico calo della fertilità e assegnò all'Italia un tasso
di natalità tra i più bassi del mondo. Gli opinionisti concordano nell'individuare il migliore livello di istruzione
delle donne, la loro doppi presenza e il loro nuovo desiderio di emancipazione tra i fattori fondamentali.
Giocavano un ruolo significativo anche le maggiori attese riguardo a ciò che i genitori dovevano essere in
grado di offrire ai figli. Anche l'instabilità del mercato del lavoro, la mancanza di alloggi in affitto a prezzi
accessibili e l'elevata disoccupazione giovanile scoraggiavano la formazione di una propria famiglia. Cresceva
il numero di donne che rimanevano senza figli. Giacché passavano dalla gabbia dorata delle cure materne
alla vita coniugale, gli uomini non imparavano mai a cavarsela da soli.
La linea di governo in materia di famiglia era ambigua e consisteva in un insieme di politiche spesso
conflittuali sviluppate nel corso del tempo. Affrontare il calo della fertilità era una specie di argomento tabù.
L'assistenza alle famiglie ammontava a poco più del sistema degli asili nido e dei modesti assegni familiari,
che non venivano percepiti dai genitori disoccupati.

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