L'antico regime. Uno la popolazione. La definizione di antico regime.
Per antico regime si
intende il tipo di società che caratterizzò l'Europa dal quattordicesimo al diciannovesimo secolo. Tale espressione fu coniata dai rivoluzionari francesi con riferimento al sistema che essi volevano abbattere, caratterizzato dall'autorità di un sovrano assoluto alleato con una chiesa intollerante dai privilegi di nascita riconosciuti alla nobiltà e al clero dall'oppressione per i sudditi schiacciati dalle tasse. La storiografia ha poi esteso questa definizione all'intera Europa, infatti, pur essendovi notevoli differenze tra gli Stati, prevalevano gli aspetti comuni. La data della sua fine è dibattuta, secondo l'ipotesi tradizionale avvenne tra 708 100 in seguito alla rivoluzione francese e a quella industriale, ma a parere dello storico Arno J Meyer, l'antico regime è tramontato del tutto solo con la prima guerra mondiale. Perché tutto l'Ottocento è stato dominato da istituzioni e da una classe dirigente ancora ispirate ai modelli tradizionali. La stabilità demografica. Una delle caratteristiche fondamentali dell'Europa dell'antico regime e la stabilità demografica tra il 1300 e il 1700 la popolazione europea passo da 80 a 115.000.001, incremento assai modesto, si è paragonato alla crescita straordinaria della popolazione che si produsse nell'epoca contemporanea, quando la popolazione europea, in soli 100 anni, tra il 1770 e il 1870, passò da 140 a 280 milioni. Le ragioni di questa stabilità demografica risiedono innanzitutto nell'alternanza di fasi di crescita e di crisi. L'aumento della popolazione venne ciclicamente contrastato dalle grandi catastrofi demografiche determinate da guerre, carestie e epidemie. La stabilità demografica dipesa inoltre da fattori culturali, in particolare dalla pratica del matrimonio tardivo. Di norma il matrimonio in Europa si collocava tra i 2025 anni per le donne e tra i 25 e i 29 anni per i maschi si riduceva così il periodo di fecondità e di conseguenza il numero delle nascite. Una società giovane fondata sulla famiglia nucleare. Nella società dell'antico regime, la maggior parte della popolazione conduceva una battaglia quotidiana per la sopravvivenza e era continuamente insidiata da fame e malattie. La vita media era estremamente breve, 34 anni per le donne, 28 anni per gli uomini. La mortalità infantile era altissima, mentre gli ultrasessantenni non superavano l'otto percento della popolazione. La società, dunque, era estremamente giovane, basti pensare che alla fine del 600 l'età media degli inglesi era di circa 27 anni. Nell'Europa occidentale la famiglia era composta solitamente da non più di quattro o 5 persone, si trattava dunque della cosiddetta famiglia nucleare, costituita da una coppia e dai suoi figli. I moderni studi di storia della demografia hanno infatti dimostrato l'infondatezza della interpretazione proposta dai sociologi del secolo scorso, che individuavano nell'industrializzazione la causa della bottiglia mento della famiglia occidentale. 2. Una società rurale? La centralità dell'agricoltura? L'antico regime era una società rurale circa l'ottantacinque per 100 della popolazione, viveva in campagna e l'agricoltura rappresentava il settore economico prevalente, la produttività era molto bassa e l'unico modo per accrescerla era quello di ampliare la superficie coltivata. Per questo motivo pochi potevano vivere del lavoro altrui, pertanto anche i vecchi, i bambini e le donne si sottoponevano a massacranti giornate lavorative sulla terra e sul complesso della società rurale. Gravano ancora vincoli di natura feudale nell'Europa orientale le servitù globali erano state ripristinate per legge, mentre nell'Europa occidentale, anche se a partire dal 500, si era diffusa sempre più la libera commerciabilità della terra. Gli ordinamenti di origine feudale erano molto radicati e alla fine del 600, condizionavano ancora lo sviluppo dell'agricoltura. Ciò avveniva soprattutto in Francia, nella Germania settentrionale e nell'Italia meridionale, dove per esempio Vigevano ancora vecchi privilegi che impedivano la vendita o lo SME. Momento delle proprietà ecclesiastiche o aristocratiche, tutti questi vincoli e l'eccessiva frammentazione delle proprietà ostacolavano la piena affermazione di un'agricoltura moderna. La marginalità dell'industria. Nella società da antico regime la presenza dell'industria era marginale, prevaleva la bottega artigiana o il lavoro a domicilio, un mercante forniva la materia prima. Spesso anche l'attrezzatura, per esempio il telaio e poi ritirava i manufatti corrispondendo una retribuzione commisurata alla produzione. Spesso queste attività erano svolte da contadini nelle loro case, soprattutto nei periodi di calo dei lavori agricoli. Il peso del settore industriale era modesto, sia per il numero di uomini occupati che per la quantità di capitale investito. Esistevano tuttavia imprese controllate o direttamente dagli Stati o da finanzieri che spesso avevano acquisito le loro fortune nei commerci a grande distanza proprio in questi settori andava formandosi l'economia moderna. L'immobilità dei villaggi rurali e la vitalità dei centri urbani. Durante l'antico regime 7 Persone su 10 vivevano in villaggi di campagna di 507 100 abitanti. Queste comunità rurali erano escluse dalle innovazioni economiche e sociali che cominciavano a svilupparsi nella città. L'immobilità era causata soprattutto dall'isolamento in cui si svolgeva la loro vita. I mezzi di trasporto molto lenti rendevano impossibile commerciare su lunghe distanze e così i villaggi erano impegnati nella ricerca di una difficile autosufficienza, affidandosi all'autoconsumo e al baratto. All'immobilità dei villaggi, corrispondeva l'estrema vitalità delle città. Proprio nei centri urbani, infatti, maturarono le rivoluzioni che inaugurarono l'epoca contemporanea. Nonostante ospitassero solo una piccola parte della popolazione, le città ebbero dunque grandissima importanza perché furono il luogo in cui si realizzarono grandi innovazioni economiche e sociali. Nella città si trovavano i centri di controllo di tutte le più importanti funzioni politiche, economiche, culturali e militari. Inoltre, la diffusione di città con decine di migliaia di abitanti implicò problemi di approvvigionamento, pertanto i centri urbani potevano sopravvivere solo ricorrendo ai grandi traffici commerciali. Nella realtà urbana, infine, era necessario risolvere problemi come il rifornimento idrico, le fognature, la sanità, applicando tutte le innovazioni tecnologiche e culturali che i tempi offrivano. Tre le gerarchie sociali. Una società divisa in ordini. Nella società dell'antico regime il principio dell'uguaglianza giuridica non era riconosciuto in quanto si pensava che gli uomini dovessero essere giuridicamente diversi per poter svolgere le varie funzioni necessarie alla società. Per questo la società non era articolata in classi composte da individui che condividono una medesima situazione economica, ma in ordini, detti anche ceti o Stati formati da individui che per nascita godono degli stessi diritti. In teoria la distinzione in tre ordini corrispondeva alle funzioni essenziali che dovevano essere esercitate nella società. Il primo ordine, il clero doveva pregare per la Comunità e amministrare il culto divino. Il secondo. La nobiltà aveva il compito di garantire la difesa attraverso l'esercizio delle armi. Infine il terzo formato da tutti coloro che non appartenevano né alla nobiltà né al clero, doveva lavorare per garantire la sussistenza all'intera comunità, la nobiltà e il clero godevano dei privilegi più noti. La sostanziale esenzione dalle imposte, il diritto di essere giudicati da tribunali speciali, gli impieghi riservati nella Corte nella chiesa e nell'esercito. Infine, i privilegi onorifici come il porto della spada o il blasone che rendevano tangibile la diversità degli aristocratici rispetto al resto della società. L'egemonia della nobiltà. La nobiltà deteneva il primato sociale e fondava la sua potenza sul controllo della terra. Al nobile era vietato lavorare e commerciale per non subire la delegazione, cioè l'eliminazione dai ranghi della nobiltà, ma doveva vivere delle rendite fondiarie senza curarsi del denaro. Questo, secondo la mentalità dell'epoca, significava vivere nobilmente o da gentiluomo. Naturalmente questo stile di vita porto molti alla rovina. I nobili caduti in miseria, continuavano a godere dei privilegi, ma il potere passava di fatto nelle mani della ristrettissima élite che disponeva di grandi ricchezze. Ciò valeva anche per il clero, perlopiù tutt'altro che ricco. Gli uomini che detenevano realmente gran parte delle ricchezze e del potere erano dunque veramente pochi, eliminando i nobili finiti in miseria e il clero povero. Rimaneva infatti una ristrettissima élite in Francia questa cerchia rappresentava all'incirca lo 0,5% della popolazione. La borghesia tra ascesa e tradimento. Al contrario della nobiltà, la borghesia deve la sua fortuna proprio all'impegno, negli affari o nelle cosiddette professioni libere, ad esempio, medico, giurista, gli ideali borghesi, dunque, erano legati allo spirito imprenditoriale, cioè la capacità di utilizzare le proprie ricchezze per organizzare un'iniziativa economica alla dedizione professionale, cioè l'esercizio di un mestiere con impegno e correttezza e infine al risparmio, ovvero l'attenzione nella gestione del proprio patrimonio. Poiché l'obiettivo finale era sempre il guadagno, in genere i valori borghesi erano identificati con lo spirito di profitto. A partire dall'undicesimo secolo in Europa, si realizzò una progressiva ascesa di questa classe sociale in virtù della sua crescente ricchezza. Ma il primato sociale rimase alla nobiltà, tanto che i borghesi cercavano di accedere all'ordine nobiliare acquistando titoli e feudi. La storiografia ha definito questo fenomeno tradimento della borghesia. Poveri ed emarginati dall'assistenza alla reclusione. La società da antico regime, era caratterizzata da un brutale divario tra ricchezza e povertà. I poveri, cioè quelli completamente privi di fonti di reddito, superavano il 20% della popolazione e si concentravano soprattutto nelle città. Il problema dei mendicanti e dei vagabondi esplose nel corso del 500 come effetto di crisi economiche, carestie, epidemie che si succedettero a ritmo serrato, colpendo soprattutto le campagne e spingendo migliaia di contadini verso le città. Questo fenomeno incrinò quell'atteggiamento di accoglienza e assistenza che aveva caratterizzato il Medioevo e rese indispensabile l'intervento degli Stati, che iniziarono a sperimentare le prime forme di politica sociale. Sì, Miro a riorganizzare l'assistenza per i poveri, ponendola il più possibile sotto il controllo della pubblica amministrazione. Per reperire i fondi necessari fu istituita un'imposta il cui pagamento era obbligatorio. Contemporaneamente furono emanate leggi che proibivano la mendicità e perfino l'elemosina fatta in pubblico. Tutti questi provvedimenti non bastarono a debellare la mendicità, anzi, il problema si aggravò nel corso del 600. Questo convinse gli Stati ad attuare la reclusione ovunque. in Europa sorsero istituti per il ricovero obbligato dei poveri. Erano un po prigioni, un po opifici, un pò scuole e un po conventi. La vita era comune e minuziosamente organizzata, si lavorava, si pregava, si riceveva una prima istruzione, si apprendeva un mestiere, si facevano esercizi spirituali. Quattro lo Stato. Lo stato assoluto. Tra il dodicesimo e il XVI secolo, anche il potere sovrano fu subordinato al rispetto dei privilegi degli ordini. Le monarchie feudali erano infatti caratterizzate da una sorta di contratto tra sovrano e società nella sostanza clero, nobiltà e terzo Stato accettavano di sottomettersi all'autorità del re nella misura in cui egli si faceva garante dei loro privilegi. Il re era concepito come una specie di supremo magistrato. Non poteva introdurre nessuna innovazione di rilievo senza il consenso dei sudditi, progressivamente però i sovrani rigettarono questo ruolo di arbitri e rivendicarono un potere assoluto, cioè sciolto dal rispetto della legge. In sintesi, il sovrano cominciò a respingere la formula medievale, l'ex facit regem la legge fa il re, nel senso che la legge fonda il limita, il potere sovrano e adottò la formula assolutistica Rex. Facit legem, il re fa la legge, cioè il re fonda la legge e ne determina la validità. Dunque i sudditi non avevano alcun diritto, ma solo doveri. La monarchia assoluta fu la forma di Stato tipica dell'antico regime, ma non riuscì ad esercitare un potere totale sulla società. Infatti, permanevano tra le regioni diversità linguistiche di ordinamenti amministrativi e fiscali, a cui la legislazione Reggia tentava di introdurre correttivi, ma perlopiù si adattava alla situazione. D'altronde non bisogna dimenticare che l'antico regime era il Regno della Tradizione, dove più che abolire qualcosa si tentava a far convivere i nuovi organismi con i vecchi, questo creava un intrico caotico di competenze e un marasma amministrativo. L'alleanza tra trono e altare. Un'altro aspetto fondamentale dello Stato dell'antico regime era l'alleanza tra trono e altare. Il sovrano, sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti, solitamente esercitava un controllo diretto sul clero da cui pretendeva obbedienza e collaborazione. In cambio si presentava come il protettore della vera fede, cioè di quella che lui stesso professava. Questa forte alleanza tra trono e altare era un'eredità dei secoli sedicesimo e diciassettesimo che avevano visto l'esplosione della riforma protestante, la reazione controriformistica della Chiesa cattolica, le persecuzioni e le guerre di religione. In quest'epoca le chiese si erano avvalse degli strumenti repressivi del potere temporale per perseguitare gli eretici e per tutelare la loro autorità. In cambio avevano offerto al re il riconoscimento del suo potere che veniva ritenuto sacro ed origine divina, soprattutto dalle masse popolari. D'altro canto, i sovrani erano convinti che uno Stato diviso sul piano religioso fosse ingovernabile, in quanto un suddito di un'altra fede avrebbe rifiutato l'autorità regia. L'identificazione chiesa stato costituiva la radice fondamentale dell'intolleranza verso le minoranze religiose e, in generale verso chiunque non si conformasse pienamente ai costumi dominanti. La concezione patrimoniale e dinastica dello Stato. Nell'antico regime lo Stato era considerato una proprietà di cui il sovrano disponeva come di un qualsiasi altro bene, tanto che alla sua morte passava in eredità ai suoi figli. Questa concezione patrimoniale e dinastica dello Stato giustificava le pretese assolutistiche. Il sovrano era libero di disporre dello Stato proprio in quanto legittimo proprietario. Soltanto la rivoluzione francese contesterà questo principio, affermando che il fondamento di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, cioè nell'insieme degli individui che la costituiscono.