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ALL’ORIGINE DEL MONDO CONTEMPORANEO

La rivoluzione francese, dal punto di vista politico, rappresenta l'inizio della storia contemporanea e un
passaggio cruciale tra l'Antico regime e la modernità. Questo periodo rivoluzionario ha avuto un impatto
duraturo sulla civiltà europea, introducendo nuovi linguaggi (la Francia non rivoluziona la politica soltanto
abbattendo le vecchie istituzioni e fondandone delle nuove, togliendo la monarchia e impostando la
democrazia, ma la Francia rivoluziona totalmente l’idea di politica, introduce categorie nuove, questo
significa linguaggio, cioè la politica ha un linguaggio, e di che sostanza è fatta questo linguaggio? Di cosa si
parla quando si parla di politica) e modelli politici (ossia le forme istituzionali, di cooperazione sociale) che
hanno influenzato la storia a lungo termine. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 ha
svolto un ruolo fondamentale, segnando l’inizio di un nuovo modo di pensare la società. Di fatti, la società è
fatta di cittadini e nel momento in cui si pensa in modo alto un cittadino, lo si pensa libero, allora tutta la
società si rivoluziona. Di fatti il cittadino prima di tutto è uomo, poi è cittadino. Quindi l’uomo viene messo
al centro. Di fatti, prima l’uomo non era nessuno in quanto il soggetto era lo stato. Quindi che un uomo
fosse schiavo, che un uomo stesse male e morisse non importava, invece adesso in Francia tutto cambia
perché il singolo uomo vale tanto quanto vale lo stato ed è l’oggetto di cui la politica si deve occupare.
Studiare la rivoluzione francese è importante in quanto è “FONDATIVA” e dunque significa comprendere le
basi che hanno plasmato la nostra civiltà giuridica e politica.

LA CRISI FRANCESE

LA FRANCIA, UN PAESE SENZA RIFORME

Nel luglio 1789, la seconda grande rivoluzione del XVIII secolo ebbe luogo in Francia, celebre per il suo
assolutismo e l'Illuminismo. Con 26 milioni di abitanti, la Francia, esclusa la Russia, era la nazione più
popolosa del continente, con un'economia prospera e Parigi come capitale culturale europea. La radice del
problema fu la mancata realizzazione delle necessarie riforme da parte della monarchia (ad esempio in
Inghilterra abbiamo ancora la monarchia, ma la monarchia inglese ha fatto le riforme che il popolo voleva
per cui abbiamo un sistema misto (la monarchia parlamentare), in cui il re e il parlamento sono sullo stesso
piano. In Francia c’era il re ma era assoluto, cioè non ammetteva che ci fosse una rappresentanza del
popolo (il parlamento) e che questo potesse essere sullo stesso livello quindi interlocutorio, dialettico,
frantale con il re e che questo parlamento potesse essere democratico. Dunque la Francia era molto
indietro dal punto di vista politico, ma dal punto di vita intellettuale era il contrario. Quindi per cambiare il
mondo bisogna prima cambiare mentalità del mondo. Quindi il problema di fondo era la monarchia che non
riusciva a cambiare questa mentalità nonostante fossero arrivate mille avvisaglie/richiese, ci fossero
epidemie ecc… quindi la monarchia era da una parte e il popolo da tutt’altra parte.). Quindi vennero messi
sott’accusa l'eliminazione di privilegi, diritti signorili e regolamenti corporativi. Lo stato si era fortemente
indebitato, di fatti il re di Francia per avere una vita agiata, per avere un esercito forte e difendersi doveva
pagare ogni soldato, le armi ecc.. e dunque servivano molti soldi. Per ottenerli dunque tassava il popolo, ma
non ce la faceva perché il popolo non riusciva neanche a comprare il pane, avevano le tasse sulla casa che
siccome non riuscivano a pagare venivano resi servi oppure venivano messi nelle condizioni di disperazione.
Non c’erano cure per loro e venivano curati da monaci e da frati. Il sistema caritativo è molto forte, di fatti
c’erano i medici caritativi, i vincenziani, fondati da san Vincenzo, dunque monaci e suore all’epoca
fondarono questi movimenti della carità che permettevano di avere un pasto al giorno e allo stesso tempo
crearono attraverso le confraternite le OPERE DI PIETà che venivano anche dette le MISERICORDIE (ancora
oggi c’è la misericordia che viene da questo periodo, assieme alle confraternite che erano un modo per
fraternizzare, di fatti la fratellanza era proprio uno dei principi della rivoluzione francese). Però lo stato si
indebita perché chiede oro agli altri stati dicendo che poi avrebbe restituito tutto, però come tutti i prestiti
bisogna pagare anche gli interessi. Dunque lo stato richiedeva una riforma fiscale. Il problema era che non
bisognava tassare ancora le persone che non potevano pagare, ma bisognava togliere i privilegi ai nobili e le
tasse dovevano essere pagate anche dai ricchi che non le pagavano. Dunque il sistema di tassazione doveva
essere proporzionale. Fare patti uguali tra diseguali è la più grande ingiustizia. La giustizia si divide in
GIUSTIZIA PROPORZIONALE cioè agire uguale in proporzione e in GIUSTIZIA PIATTA che chiamiamo
indistinta.

Il re per ingraziarsi i nobili e gli aristocratici che gli davano sostegno gli esentava dal pagare le tasse. Quindi
il re si trovava in una situazione difficile perché se lui avesse fatto il volere del popolo sarebbe stato cacciato
dai nobili. Dunque bisognava ridurre le esenzioni per clero e per la nobiltà e un miglioramento del sistema
di riscossione tributaria, spesso inefficiente.

ASSOLUTISMO SENZA FORZA NÉ CONSENSO

In Francia, durante l'Antico Regime, sorse un dilemma cruciale: un potere politico assolutista che, al
contempo, risultava fragile. L'assolutismo si era consolidato tramite benefici, privilegi e cariche,
coinvolgendo burocrazia e nobiltà. Tuttavia, quando fu necessario riformare questo sistema di privilegi, la
monarchia mancò di consenso e potere reale, incapace di rinnovare le basi del suo dominio. L'assolutismo
in Francia non riusciva più a comandare o a garantire coesione sociale, deludendo il clero, la nobiltà
conservatrice, gli innovatori aspiranti a una monarchia costituzionale, la borghesia desiderosa di riforme e i
contadini oppressi dalla miseria e dalle tasse. Fondamentalmente, il sistema politico francese non
corrispondeva più alle aspettative né degli antichi dirigenti né delle forze più dinamiche di una società
influenzata dagli ideali illuministi di diritti, libertà e felicità, incapace di seguire l'evoluzione della società
civile.( se quel gay lo dovesse chiedere LA NOBILTà DI SPADA O DI SANGUE ed era quella di piu antico
linguaggio che si conquistava con la guerra, invece la nobiltà DI TOGA era costituita da magistrati e
funzionari che avevano ottenuto il titolo nobiliare acquistando cariche pubbliche).

IL RE E I PARLAMENTI

Il sistema politico si rivelò debole nel conflitto tra la monarchia e i parlamenti, corti di giustizia che
giudicavano cause importanti e potevano registrare o contestare gli editti reali. I tredici parlamenti, guidati
da quello potente di Parigi e dai dodici provinciali, erano in gran parte composti da una nobiltà di toga
determinata a difendere i propri privilegi fiscali. Sebbene fossero la principale opposizione alle riforme, si
presentavano come difensori delle libertà contro il dispotismo monarchico, guadagnando consenso da
parte di intellettuali innovatori, inclusi alcuni illuministi, e del popolo.

I MINISTRI DELLE FINANZE E LA BANCAROTTA

Lo scontro tra il re e i parlamenti diventò acceso su questioni economiche, finanziarie e fiscali. Di fronte a
un debito pubblico in continuo aumento, vari controllori generali delle Finanze cercarono di risolvere il
problema riducendo privilegi, riformando gli appalti e realizzando catasti, ma i loro sforzi fallirono. Luigi XV
e successivamente Luigi XVI cedettero alle resistenze dei privilegiati, licenziando ministri riformatori come
Turgot nel 1775, che propose un ampio programma di riforme economiche ma fu licenziato per
l'opposizione dei nobili e del popolo. Nel 1787, con il bilancio in disastro e il rischio di bancarotta, fu
introdotta un'imposta fondiaria senza esenzioni. Poiché il parlamento di Parigi si oppose, Luigi XVI esiliò il
parlamento, ma le proteste costrinsero il sovrano a richiamarlo alla fine dello stesso anno.

LA RIVOLTA NOBILIARE

Nel 1788, il parlamento di Parigi rifiutò di permettere al governo di prendere in prestito 420 milioni di lire
tornesi, sostenendo che solo gli Stati generali (un'assemblea con clero, nobiltà e Terzo stato) avevano quel
potere. In risposta, Luigi XVI scioglie tutti i parlamenti sostituendoli con tribunali scelti dal re, provocando
proteste in tutto il paese contro l'assolutismo. Sebbene gli storici chiamino questo evento "rivolta
nobiliare," coinvolse anche borghesia e ceti popolari. Il re alla fine cedette: a settembre 1788 ripristinò il
parlamento e accettò di convocare gli Stati generali, che non si riunivano dal 1614.
I PREPARATIVI PER LA CONVOCAZIONE DEGLI STATI GENERALI

Gli Stati Generali avrebbero avuto deputati eletti in ogni parrocchia e regione attraverso assemblee
separate per clero, nobiltà e Terzo stato. Il diritto di voto era per chi avesse almeno 25 anni e pagasse le
imposte. Le elezioni generarono grande eccitazione nel paese, con ciascun ordine che compilava "quaderni
di rimostranze" contenenti richieste al re. La consuetudine delle "doléances", ovvero rimostranze e
suppliche, era già nota, ma assunse un significato speciale in vista degli Stati Generali. Dai 60.000 testi
redatti in oltre 600 quaderni emergeva una fiducia nella monarchia e un rispetto profondo, ma con richieste
comuni come la tutela delle libertà personali, l'abolizione dell'acquisto delle cariche, la fine dei diritti feudali
e la riduzione delle imposte.

LA COMPOSIZIONE DEGLI STATI GENERALI

Gli Stati Generali si riunirono vicino a Versailles il 5 maggio 1789. La convocazione prevedeva 1.139
deputati: 578 per il Terzo stato (50,7%), 291 per il clero (25,6%) e 270 per la nobiltà (23,7%). Se
consideriamo la democrazia rappresentativa, i numeri possono sembrare strani, dato che il Terzo stato
rappresentava il 98% dei francesi ma aveva solo poco più della metà dei deputati. Tuttavia, era già
significativo avere un'assemblea di questo tipo e molti rappresentanti del Terzo stato, poiché il re aveva
accettato di raddoppiare il loro numero. Nel clero, c'erano vescovi e prelati, ma la maggioranza era
composta da membri del basso clero, come i curati di parrocchia. Tra i nobili c'erano principi, duchi,
marchesi, conti e visconti, ma anche rappresentanti della nobiltà intermedia aperti a riforme. Nel Terzo
stato, due terzi dei delegati erano uomini di legge, mentre il resto includeva medici, professori, letterati,
mercanti, banchieri, industriali, alcuni membri del clero e nobili progressisti. Non c'erano contadini o
artigiani tra i delegati.

DIVERSE OPZIONI POLITICHE

Nell'assemblea degli Stati Generali, non c'erano confini rigidi tra i tre ordini - preti, nobili e borghesi. Fin
dall'inizio, ci furono cambiamenti di alleanze, riflessioni, dubbi e crisi di coscienza. I deputati avevano
diverse opinioni e aspirazioni, che non sempre coincidessero con l'appartenenza a un ordine. Il re sperava
di usare gli Stati Generali per ottenere approvazione al prestito di 420 milioni e per imporre le sue decisioni
fiscali ai privilegiati. Tuttavia, molti deputati avevano obiettivi a lungo termine: l'aristocrazia conservatrice
voleva limitare il potere assoluto e proteggere i propri privilegi, mentre alcuni aristocratici e preti
progressisti erano disposti a collaborare con i borghesi per ottenere riforme e una trasformazione
costituzionale della monarchia.

IL RUOLO DELL’OPINIONE PUBBLICA

Il Terzo stato suggeriva che tutti e tre gli ordini si riunissero insieme e votassero individualmente. Alcuni
nobili e preti erano d'accordo, ma la maggioranza temeva le conseguenze e preferiva una votazione
separata. Le discussioni durarono settimane, ma furono fondamentali per il Terzo stato, poiché non
esistevano partiti politici e i deputati provenivano da diverse regioni della Francia senza conoscersi. Durante
questi dibattiti, iniziarono a conoscersi e a sviluppare una linea politica comune. Si resero anche conto di
avere il sostegno della gente, poiché le loro riunioni erano pubbliche e sempre affollate da sostenitori che li
incoraggiavano. Attorno a queste riunioni stava nascendo un'opinione pubblica nuova, coinvolgendo non
solo le élite intellettuali, ma anche i ceti popolari di Parigi.

IL TERZO STATO DIVENTA ASSEMBLEA NAZIONALE

Il 17 giugno, il Terzo stato prese una decisione audace: seguendo la proposta dell'abate Sieyès, si dichiarò
Assemblea nazionale, affermando di rappresentare la nazione. Questo segnò l'inizio formale e simbolico
della rivoluzione, poiché veniva infranto lo schema tradizionale dei tre ordini e sorgeva un'assemblea
rappresentativa del popolo francese. In risposta, il re chiuse il luogo delle riunioni, ma i deputati si
trasferirono in un'altra sala e il 20 giugno giurarono, nel famoso Giuramento della Pallacorda, di rimanere
uniti finché non fosse stata stabilita una Costituzione solida. Poiché molti preti e nobili si unirono ai "ribelli",
il re incoraggiò i rimanenti a partecipare all'assemblea. Il 9 luglio, l'assemblea si proclamò Assemblea
nazionale costituente, impegnandosi a redigere la prima Costituzione della Francia.

L’INSURREZIONE IN CITTÀ E LA PRESA DELLA BASTIGLIA

Nel frattempo, Luigi XVI inviò truppe scelte a Versailles. A Parigi, dove il malcontento era alto a causa
dell'aumento del prezzo del pane, scatenando l'insurrezione nella notte dell'11 luglio. Una folla incendiò i
caselli daziari e attaccò i depositi di armi. I borghesi presero la guida della rivolta, formando il Comune di
Parigi e la Guardia nazionale. Il 14 luglio 1789, la folla prese d'assalto la Bastiglia, simbolo dell'assolutismo e
carcere per i detenuti politici.

LA RIVOLTA NELLE CAMPAGNE

Nel frattempo, la rivoluzione si diffuse in tutto il paese. Con l'insurrezione di molte città, vennero formati i
Comuni e le Guardie nazionali, mentre i contadini, a partire dal 20 luglio, scatenarono una violenta rivolta
nelle campagne. Armati, assalirono uffici delle imposte, castelli e abbazie, bruciando registri catastali e
archivi dei tribunali signorili. Questa rivolta, accompagnata dalla "Grande paura", diffuse voci di vendette
nobiliari, massacri, stupri e razzie da parte di truppe mercenarie e bande di briganti.

Per capire le ragioni della rivolta rurale, bisogna considerare che i contadini francesi vivevano in condizioni
di grande sofferenza da decenni. I cattivi raccolti del 1787 e 1788, causati dalla siccità, resero ancora più
intollerabile il peso dei diritti signorili, delle imposte e degli abusi, eredità del passato feudale. Nonostante
tutto, questa rivolta dell'estate 1789 non fu una delle solite rivolte contadine, chiamate jacqueries. I
contadini sapevano dell'insurrezione a Parigi e della vittoria del Terzo stato, pensavano che il re, a cui erano
devoti, fosse d'accordo con il cambiamento e speravano finalmente di liberarsi da secoli di miseria e
oppressione.

LA NOTTE DEL 4 AGOSTO DEL 1789: LA FINE DI UN’EPOCA

L'entrata delle masse popolari e contadine accelerò la rivoluzione in modo imprevisto. Nonostante la paura
della violenza, i deputati dell'Assemblea nazionale compresero la necessità di una risposta politica per
riportare l'ordine e frenare la rivolta contadina. Nella notte del 4 agosto 1789, l'Assemblea deliberò
l'abolizione del feudalesimo, convertita in decreto l'11 agosto. Il decreto abolì senza indennizzo i diritti di
servitù personale, prevedendo anche l'abolizione con riscatto di canoni e censi, delle decime, della venalità
delle cariche pubbliche, e cancellò immunità fiscali e privilegi. Il libero accesso a cariche ecclesiastiche, civili
e militari fu garantito a tutti i cittadini senza distinzione di nascita. Nonostante la volontà di difendere la
proprietà privata, la decisione fu storica, poiché in una notte, preti, nobili e borghesi cancellarono un
sistema secolare.

26 AGOSTO 1789: L’INZIO DI UN EPOCA NUOVA

Dopo il Giuramento della pallacorda, l'Assemblea nazionale costituente sentì la necessità di precedere la
nuova Costituzione con un testo che enunciasse i principi fondamentali della nuova Francia. Non tutti erano
d'accordo sulla sua stesura, ma chi sosteneva la sua importanza riteneva necessario fondare lo stato su basi
nuove, come gli americani avevano fatto. Così nacque la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
approvata il 26 agosto 1789. Questa Dichiarazione, enunciando i principi in forma di diritti dei cittadini,
rappresentava una rottura con il passato e la costruzione dell'idea moderna di cittadinanza, sostituendo i
doveri dei sudditi con i diritti dei cittadini.

LE DUE ANIME DELLA DICHIARAZIONE


I costituenti francesi, ispirandosi al modello americano del 1776, crearono la Dichiarazione dei diritti
dell'uomo e del cittadino. A differenza della Dichiarazione americana, quella francese collegava i diritti
direttamente alla cittadinanza e impegnava lo stato nel loro rispetto. Mentre condividevano gli obiettivi
fondamentali, vi erano orientamenti diversi tra le due "anime" dei costituenti: una liberale, centrata sulla
garanzia dei diritti individuali, e una democratica, basata sulla sovranità popolare. La Dichiarazione non
prendeva posizione sulla forma di governo, ma piuttosto sull'opposizione tra uno stato dispotico e uno di
diritto. In modo significativo, il testo non menzionava mai il monarca.

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