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LA COSTITUZIONE DEL 1789 / 91

Monarchia Costituzionale, divisione dei poteri e suffragio ristretto. Una costituzione


moderata
La prima costituzione prodotta dalla Rivoluzione Francese è detta del 1789/91, con doppia
data. Questo perché la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che la precede era
stata promulgata il 26 agosto del 1789, mentre il resto della Costituzione venne completato e
entrò in vigore il 3 settembre 1791. Dopo la promulgazione, l’Assemblea Nazionale
Costituente si sciolse e venne eletta, secondo i criteri della Costituzione, l’Assemblea
Legislativa.
La costituzione del 1789/91 è monarchico-costituzionale: perciò, sebbene la Dichiarazione
dei Diritti affermi che “il principio di sovranità risiede essenzialmente nella nazione”, assegna
al Re una serie di poteri e prerogative.

La divisione dei poteri e il diritto di veto


La divisione dei poteri è quella “classica”: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Al Parlamento eletto dai cittadini (e denominato Assemblea Legislativa) viene assegnato il
potere legislativo, al Re viene assegnato il potere esecutivo, e perciò spetta a lui la nomina dei
ministri.
Inoltre al Re viene assegnata la possibilità di interferire con il potere legislativo del Parlamento
tramite il diritto di veto sui decreti dell’Assemblea Legislativa. Tale diritto era concepito in
modo ingombrante: il Re poteva sospendere un decreto per la durata delle due legislature
successive a quella in corso1.

Questi aspetti della Costituzione del 1791 ne fanno un testo di compromesso con la monarchia.
I rappresentati dell’Assemblea Nazionale Costituente: borghesi del Terzo Stato, ma anche nobili ed esponenti
del clero “illuminati”, volevano l’abolizione della società per ceti e del potere assoluto del Re, ma non era nei
loro intenti un sovversione dell’intera società.
Durante il periodo di elaborazione della Costituzione c’erano stati diversi episodi di insurrezione popolare, i
primi eventi di questo genere erano stati: la presa della Bastiglia (14 luglio), l’importantissima insurrezione
contadina che aveva portato all’abolizione dei diritti feudali (luglio – agosto 1789), la marcia su Versailles dei
popolani di Parigi per costringere il Re a trasferirsi nella città (6 ottobre).
Emergeva una rivoluzione popolare, con la partecipazione di classi sociali che avevano interessi diversi e anche
opposti a quelli dei gruppi dell’alta borghesia rappresentati nell’Assemblea Costituente.

La consevazione della monarchia era anzitutto la strada percepita come la più ovvia: esisteva una tradizione di
fedeltà dei sudditi francesi ai loro sovrani e inizialmente erano pochissimi che la mettevano in discussione.
Gradualmente, però, la garanzia che non ci sarebbero state sovversioni troppo radicali – ossia che non si
sarebbero messe in discussione, dopo quelle basate sul “privilegio di nascita”, le gerarchie sociali basate sulla
ricchezza e sulla proprietà – fu il motivo per il quale gli esponenti moderati della Rivoluzione sostennero per un
certo periodo la conservazione della monarchia.

Non solo gli aristocratici “illuminati”, ma anche i rappresentanti borghesi all’Assemblea Costituente, volevano
il compromesso con la monarchia.

1
La durata di una legislatura era prevista di due anni. Luigi XVI farà uso per sei volte del diritto di veto.
Il guaio, per loro, è che tale compromesso non lo volevano né il Re né quella ampia parte dell’aristocrazia che si
era sentita sconfitta e danneggiata dalla prima fase della rivoluzione borghese, e aspirava ad una
controrivoluzione che riportasse allo stato precedente. Il Re accettava apparentemente le innovazioni
rivoluzionarie, ma sempre con riluttanza; i nobili controrivoluzionari, con a capo il fratello minore del Re,
iniziavano ad emigrare nei paesi vicini e a cercare una rivincita contro la Francia rivoluzionaria.
Ciò diverrà evidente quando il Re, con la sua famiglia, prima ancora che si chiudessero i lavori dell’Assemblea
Costituente, cercherà di fuggire dalla Francia, verso il Belgio, allora sotto la sovranità austriaca (giugno 1791),
per unirsi ai controrivoluzionari.
Il conflitto era evidente, ma i rappresentanti della rivoluzione moderata non erano affatto disposti a sbarazzarsi
della monarchia, tanto che si inventò la vistosa bugia che il Re non stava fuggendo, ma era stato rapito. Non ci
credeva nessuno, ma i rivoluzionari borghesi, in larghissima maggioranza, facevano finta di crederci per non
dovere affrontare il “salto nel vuoto” di una rottura con la monarchia.
Il 16 luglio 1791, su proposta di Barnave, la Costituente votò la reintegrazione del re nella pienezza dei suoi
poteri. Votarono contro solo in cinque (tra i quali Robespierre).
Il giorno successivo, a Parigi, ci fu una manifestazione popolare contro la monarchia, ma l’Assemblea
Costituente la represse, mobilitando la Guardia Nazionale (massacro del Campi di Marte): era uno scontro tra
fazioni popolari radicali, che volevano la repubblica e un nuovo ordine sociale, e la linea maggioritaria della
rivoluzione borghese, alla quale bastavano i cambiamenti che già c’erano stati.
Ecco il primo conflitto fra le “due rivoluzioni”. Conservare la monarchia era una garanzia di stabilità. Ma
quanto poteva durare?

Il suffragio ristretto per censo (ricchezza)


Il secondo aspetto che caratterizza come moderata la Costituzione del 1791 è la restrizione del
diritto di voto sulla base del censo (ricchezza: reddito e proprietà). I più poveri non votavano
(erano dichiarati “cittadini passivi”).
A parte l’esclusione delle donne (su cui si discusse poco e che ai più sembrava scontata 2),
erano, così, esclusi dal voto tutti coloro che non pagavano un’imposta diretta annua (sulla
proprietà) del valore di almeno tre giornate di lavoro: ciò escludeva 3 milioni di potenziali
elettori (in pratica: i nullatenenti) su circa 7 milioni di uomini adulti. Inoltre i comuni cittadini
attivi non eleggevano direttamente i rappresentanti, ma al primo grado si “eleggevano gli
elettori”, che a loro volta avrebbero eletto i deputati. Per essere eletto “elettore di secondo
grado” occorreva un censo piuttosto alto, tanto che i potenziali “grandi elettori” erano circa
50.000 in tutta la Francia.
Quindi anche il voto dei cittadini di classe medio-bassa era mediato da una ristretta cerchia di
ricchi. Insomma: si era fatto di tutto perché in parlamento (all’Assemblea Legislativa) non

2
Vedi, in proposito, nel libro di testo (Brancati/Pagliarani) pag. 189: “I limiti delle carte settecentesche”.
Va però precisato che durante la Rivoluzione Francese il problema della limitazione dei diritti politici su base
razziale verrà ampiamente discusso e infine risolto col rifiuto della discriminazione.
L’associazione dei piantatori bianchi delle colonie premeva (con iniziale successo) per escludere dal diritto di
voto gli uomini liberi di colore, e quindi di far entrare nella legislazione francese la discriminazione razziale
che era già in atto nelle colonie, ma suscitò una forte opposizione presso alcuni deputati (Mirabeau,
Robespierre, Grégoire e altri), presso diversi esponenti associati della categoria dei liberi di colore (Raimond,
Ogé e altri) e infine in un movimento di opinione che riuscì ad ottenere la parità dei diritti politici
indipendentemente dalla cosiddetta “razza”, ma limitatamente a coloro che fossero “liberi, proprietari e
contribuenti” (28 marzo 1792). Come avremo modo di approfondire, non era ancora stato affrontato il problema
della schiavitù, ma la discriminazione razziale di per sé (limitatamente ai soli uomini liberi) era stata
esplicitamente esclusa.
arrivassero rappresentanti diretti delle classi inferiori, ma il voto di queste ultime (quando era
concesso) fosse filtrato dalle classi benestanti.

Tutto ciò (soprattutto la condizione dei “cittadini passivi”) contraddiceva vistosamente quanto affermato, in un
momento di maggiore slancio idealistico nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino.
La Dichiarazione del 1789, infatti, affermava che “La legge è l’espressione della volontà generale” e che perciò
“tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o tramite i loro rappresentanti, alla sua
formazione” (art. 6). Arrivati alla legislazione concreta ed effettiva, la prima fase della rivoluzione “borghese”
si rimangiava le formali promesse e i principi espressi nella “Dichiarazione”.

LA COSTITUZIONE DEL 1793

Sappiamo che, in seguito alla guerra, lo scontro tra le forze rivoluzionarie più radicali (Giacobini, rivoluzione
popolare dei Sanculotti) e la monarchia portò alla destituzione del Re, del quale era ormai palese la connivenza
col nemico (Austria, Prussia, nobiltà francese emigrata e controrivoluzionaria). I moderati non potevano più
salvare il compromesso con la monarchia. Cercarono di farlo, fino a quando l’insurrezione popolare del 10
Agosto 1792 non costrinse l’Assemblea Legislativa (eletta – come sappiamo – a suffragio ristretto e composta in
larga maggioranza da moderati e monarchici3) a dichiarare “sospeso” il Re, e ad arrestarlo (13 agosto).
La costituzione monarchica del 1791 era perciò decaduta, occorreva scriverne un’altra, stavolta repubblicana.
Allo scopo venne sciolta l’Assemblea Legislativa, che come ultimo atto decretò l’elezione di una nuova
assemblea costituente, denominata Convenzione Nazionale.
I tempi erano cambiati, la rivoluzione popolare aveva ormai preso il sopravvento, il suffragio ristretto era
improponibile, e perciò la Convenzione Nazionale fu eletta a suffragio universale maschile. Si riunì per la prima
volta il 20 settembre 1792, come primo atto (21 settembre) proclamò la Repubblica.
Non possiamo fare qui la storia delle vicende della Francia all’epoca della Convenzione. Ci limitiamo a dire che
la nuova Costituzione fu completata e promulgata il 10 Agosto 1793, durante il governo del Comitato di Salute
Pubblica composto dai Giacobini, ma venne anche dichiarato che la costituzione sarebbe entrata in vigore solo
alla fine della guerra.
Di fatto, perciò, non venne mai applicata, ma i suoi contenuti ne fanno il modello della costituzione
repubblicana democratica, in questo senso contrapposta alla costituzione monarchica e moderata del 1791.

Repubblica, sovranità popolare e suffragio universale


La costituzione del 1793 è repubblicana, afferma la sovranità esclusiva del popolo. Il diritto di
voto è attribuito a tutti i cittadini maschi adulti, senza distinzioni di censo.

I diritti economico-sociali
La costituzione del 1793 è preceduta da una Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del
Cittadino rinnovata e ampliata rispetto a quella del 1789.
Poiché nasceva da un’alleanza fra i gruppi politici più radicali della rivoluzione borghese
(Giacobini) e il movimento popolare (sanculotti), la nuova dichiarazione introduce dei diritti di
nuovo genere: i diritti sociali (o meglio: economico-sociali). Essi mirano a ridurre le forme più
gravi della povertà, a garantire a tutti la sussistenza, e ad estendere l’istruzione e con essa la
partecipazione delle classi meno abbienti alla vita politica della nazione.
I diritti economico-sociali sono contenuti negli articoli 21 e 22 della nuova Dichiarazione:

3
Con l’eccezione del gruppo di sinistra formato da Giacobini, Girondini e Cordiglieri (136 su un totale di 745
deputati)
Art. 21 – I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve la sussistenza ai cittadini
disgraziati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che
non sono in età di poter lavorare.
Art. 22 – L’istruzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere i
progressi della ragione pubblica, e mettere l’istruzione alla portata di tutti i cittadini.

L’idea di diritti sociali, per quanto di difficile attuazione, implica il principio di un intervento dello Stato nella
vita economica, che salvaguardi la sussistenza del cittadino. Essa si collega alla politica di calmiere dei prezzi
(maximum) che il governo giacobino attuò nel periodo di più stretta alleanza con la rivoluzione popolare.
L’intervento dello Stato in economia fu invece avversato dalle forze moderate, espressione della borghesia
commerciale e imprenditoriale, che vollero il ripristino del libero mercato.
L’idea di diritti economico sociali è in generale estranea alle costituzioni del Sette e Ottocento 4. La costituzione
del 1793 fa perciò eccezione. I diritti economico sociali sono invece diventati parte integrante di molte delle
costituzioni democratiche redatte nel Novecento, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. La nostra
Costituzione repubblicana (in vigore dal 1948) ne è un tipico caso. Il diritto al lavoro è affermato nell’articolo 4,
il diritto all’istruzione di base pubblica e gratuita nell’articolo 345.

Abolizione di servitù personale e schiavitù


Un articolo della nuova dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino era specificamente
dedicato a mettere fuori legge la servitù personale e (pur senza nominarla) la schiavitù,
l’articolo 18:
“Ogni uomo può impegnare i suoi servizi, il suo tempo; ma non può vendersi, né essere
venduto; la sua persona non è una proprietà alienabile6. La Legge non riconosce domesticità;
può esistere solo un vincolo di cure e di riconoscenza tra l’uomo che lavora e quello che lo
impiega”.
La schiavitù in tutte le colonie francesi venne abolita dalla Convenzione Nazionale solo alcuni mesi dopo: il 4
febbraio 1794 (16 Piovoso, anno II) 7.
Gli storici hanno ampiamente discusso il ritardo (di circa 5 anni) con cui la Francia rivoluzionaria procedette
alla abolizione della schiavitù nelle colonie, dopo aver dichiarato (Dich. del 1789) che gli uomini “nascono e
rimangono liberi e uguali nei diritti”. Non possiamo riassumere qui il complesso gioco di interessi e di vicende
che portarono all’abolizione non prima del 4 febbraio 1794, ma occorre notare che l’art. 18 della Dichiarazione
del 1793 ne poneva le basi di principio. Ricordiamo ancora una volta che né la rivoluzione inglese del 1689, né
quella americana, con relativa costituzione, fecero il minimo accenno alla abolizione della schiavitù, che veniva
conservata e perfino (nel caso degli USA) costituzionalizzata. È evidente la maggiore portata universalistica dei
principi della Rivoluzione Francese.

4
Essa è per es. assente nella attuale Costituzione degli Stati Uniti d’America, che è stata approvata nel 1787
5
La gamma dei diritti della Costituzione della Repubblica Italiana è molto ampliata. Nelle sezioni dedicate ai
rapporti sociali e ai rapporti economici sono contenuti, distinti in due gruppi, i diritti sociali nel senso stretto
della parola: diritti alla famiglia (artt 29, 30, 31), diritto alla salute (art 32), diritto allo studio (art 34), e i diritti
economici: diritto al lavoro (art 35), diritto all'assistenza sociale pubblica (art 38), diritto di organizzarsi in
sindacati (art 39), diritto di sciopero (art 40), libertà di iniziativa privata (art 41)
6
L’unico rapporto di lavoro e di servizio ammesso e legittimo è quindi quello derivante da un contratto libero
tra individui, col lavoro svolto in cambio di un salario.
7
Nel periodo tra la promulgazione della Costituzione e il decreto del 4 Febbraio i proprietari delle piantagioni
sperarono che si potesse proseguire con la pratica schiavistica perché la costituzione non era ancora in vigore.
Nel frattempo (Agosto/Settembre 1793) i Commissari della Repubblica nella colonia di Saint-Domingue,
Sonthonax e Polverel, avevano, di loro iniziativa e all’insaputa di ciò che accadeva a Parigi (le notizie
arrivavano con un ritardo di c/a 2 mesi), dichiarato abolita la schiavitù nella colonia.
LA COSTITUZIONE DEL 1795

Con la caduta della dittatura giacobina (27 luglio 1794, arresto di Robespierre e dei suoi seguaci) di fatto cadde
anche la rivoluzione popolare. La guida della Francia rivoluzionaria (o post-rivoluzionaria) e repubblicana passo
di nuovo nelle mani dei moderati, espressione degli strati più elevati e più abbienti della borghesia.
Timorosi sia della ripresa delle agitazioni popolari, sia del ritorno della monarchia (che avrebbe messo in
questione i diritti acquisiti e anche i numerosi arricchimenti tramite l’acquisto dei beni confiscati alla Chiesa e
alla nobiltà emigrata), i nuovi dirigenti moderati misero a punto una nuova costituzione, che venne completata e
approvata il 22 agosto del 1795.

Una costituzione repubblicana moderata. Il suffragio ristretto


La nuova costituzione prevede nuovamente restrizioni al diritto di voto e inserisce di nuovo un
sistema di voto a due gradi. I cittadini eleggono degli elettori, che a loro volta eleggono i
rappresentanti. Le condizioni per essere elettore sono ancora più restrittive di quelle previste
nella costituzione del 1791, e sono legate alla proprietà terriera. La costituzione prevede un
livello molto alto di consistenza patrimoniale per essere eletto elettore (possedere dei beni che
fruttino una rendita pari al valore – a seconda della regione – di 200 o 300 giornate di lavoro).
Ancora più che in passato la scelta dei rappresentanti è in mano più ricchi. I cittadini che
potevano essere eletti elettori e votare al secondo livello erano circa 30.000.

Fra i principi fondamentali viene ribadito il ruolo della proprietà privata: “È sul mantenimento delle proprietà
che riposano la coltivazione delle terre, tutte le produzioni, ogni mezzo di lavoro, e tutto l'ordine sociale”.
La Costituzione del 1795 non faceva più menzione di diritti economico-sociali, cancellati con la caduta del
governo giacobino Conservava, invece, il divieto della schiavitù (art. 15), dato ormai per acquisito 8.

Bicameralismo e separazione dei poteri


La Costituzione dell’anno 1795 è basata sulla distinzione del potere legislativo, affidato a due
distinte camere (bicameralismo), ed esecutivo, affidato ad un governo detto Direttorio,
composto da cinque membri.
Bicameralismo: una camera, detta Consiglio dei Cinquecento, produceva la legislazione, ma
una seconda camera, detta Consiglio degli Anziani, esercitava su di essa un potere di controllo
e di veto. Ciò aveva in teoria la funzione di rallentare e rendere più meditata e controllata la
legislazione e impedire il rischio di una dittatura.

La separazione dei poteri era affermata (a parole) in modo scrupoloso e il Direttorio era soggetto ad una
continua rotazione, per evitare un eccessivo accentramento di poteri. In pratica, però, data la situazione di
incertezza in cui il nuovo sistema politico si trovò ad operare, rimase una forte instabilità e il rispetto della
legalità costituzionale fu sostituito da una sequenza di lampanti violazioni e veri colpi di Stato:
 l’8 settembre 1797 il Direttorio annullò le elezioni che avevano dato una maggioranza monarchica,
 l’8 maggio 1798 destituì 106 deputati neo-giacobini legittimamente eletti e distribuì i loro seggi a deputati
moderati,
 il 18 giugno 1799 furono costretti alle dimissioni due componenti del Direttorio stesso.

Questa serie di violazioni crea i presupposti per il colpo di Stato del 18 brumaio anno VIII (9 novembre 1799)
col quale Napoleone Bonaparte abbatterà il sistema del Direttorio ed instaurerà la dittatura.

8
La schiavitù nelle colonie verrà, però, ripristinata da Napoleone con decreto del il 18 maggio 1802

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