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EDMUND BURKE

INDAGINE FILOSOFICA SULL'ORIGINE


DELLE NOSTRE IDEE
DEL SUBLIME E DEL BELLO.

PARTE II

§1 DELLA PASSIONE CAUSATA DAL SUBLIME.

La passione causata dal grande e dal sublime in natura, quando tali cause operano con la massima potenza, è
lo stupore; e lo stupore è lo stato dell'anima nel quale tutti i moti sono sospesi, con un certo grado di orrore.
In questo caso la mente è così interamente riempita del suo oggetto che non può prenderne in considerazione
altri e, di conseguenza, neppure ragionare sull'oggetto che la occupa. Di qui sorge la grande potenza del
sublime che, ben lungi da esserne prodotto, anticipa il nostro ragionare e ci assale con una forza irresistibile.
Lo stupore, come ho detto, è l'effetto del sublime nel suo più alto grado, gli effetti inferiori sono
ammirazione, reverenza e rispetto.

§2 TERRORE.

Nessuna passione rapisce così efficacemente alla mente ogni suo potere di agire e di ragionare come la paura.
La paura è una apprensione riguardo al dolore ed alla morte ed opera, perciò, in modo simile ad un dolore
reale.
Tutto ciò che è terribile alla vista, è anche sublime, sia o no la causa del terrore sostenuta dalla grandezza
delle dimensioni; perciò è impossibile guardare ciò che è pericoloso come insignificante o disprezzabile. Ci
sono molti animali che, sebbene di piccole dimensioni, sono capaci di far sorgere idee di sublime, in quanto
oggetti di terrore; ad esempio i serpenti e gli animali velenosi di qualunque genere. E, riguardo alle cose di
grandi dimensioni, se viene annessa loro una qualche idea avventizia di terrore, divengono senza paragone
più grandi. Una vasta estensione piana di terraferma è un'idea 1 di considerevole forza ed il prospetto di un
tale piano può essere esteso come quello dell'oceano; ma può mai riempire la mente con qualcosa di così
grande come l'oceano stesso? Ciò è dovuto a parecchie cause, ma soprattutto a questa: che l'oceano è oggetto
di non poco terrore.
In tutti i casi il terrore, aperto o latente che sia, è effettivamente il principio dominante del sublime.
Diverse lingue portano forti testimonianze dell'affinità di queste idee. Esse usano frequentemente la stessa
parola per significare indifferentemente le modalità dello stupore o dell'ammirazione e quelle del terrore.
Thambos, in greco, significa sia paura che meraviglia, deinos terribile e rispettabile, aideo riverire o temere;
il latino vereor corrisponde al greco aideo.
I Romani usavano il verbo stupeo, un termine che rimarca fortemente lo stato di una mente attonita
(astonished2), per esprimere gli effetti sia della semplice paura che dello stupore; la parola attonitus (colpito
da un tuono) è anch'essa espressiva del legame di queste idee; altrettanto chiaramente l'apparentamento tra le
emozioni della paura e della meraviglia 3 è indicato dal francese étonnement e, in inglese, da astonishment e
amazement. Chi ha una più vasta conoscenza delle lingue potrebbe senza dubbio produrre molti altri esempi
ugualmente efficaci.

1
Qui, come altrove, secondo il linguaggio dell'analisi della mente proprio della sua epoca (una tradizione che rimonta a
Locke e, più remotamente, a Descartes), Burke usa idea per intendere ogni rappresentazione mentale. Con espressione
leggermente ellittica l'oggetto rappresentato è detto idea, senza distinguere tra oggetto e idea di esso.
2
Per coerenza con la scelta fatta nel § 1 si sarebbe dovuto tradurre stupita, ma ciò avrebbe guastato troppo la forma
della frase; si intendano, comunque, normalmente tradotti con stupore, stupito ecc. i termini astonishment, astonished
3
wonder.

1
§ 3 OSCURITÀ.

A rendere qualcosa veramente terribile sembra in generale necessaria l'oscurità. Quando conosciamo l'intera
portata di qualche pericolo e possiamo abituare i nostri occhi ad esso, molta della nostra apprensione
svanisce. Chiunque si renderà conto di questo, considerando quanto la notte aggiunge al nostro timore 4 in
tutti i casi di pericolo, e quanto la rappresentazione di spettri e spiritelli maligni 5, dei quali nessuno sa
formarsi un'idea chiara, agisca sulla mente di chi dà credito ai racconti popolari riguardo a tale sorta di esseri.
Quei governi dispotici che sono fondati sulle passioni umane, e soprattutto sulla paura, tengono i loro capi il
più possibile lontani dalla pubblica vista. Tale politica è stata seguita in molti casi dalle religioni. Quasi tutti i
templi pagani erano bui. Ancora oggi, nei templi barbari degli Americani [nativi], l'idolo è situato in una
parte buia della capanna che è consacrata al suo culto. Per questo stesso scopo i druidi svolgevano tutte le
loro cerimonie nel cuore dei boschi più bui, ed all'ombra delle più antiche e folte querce. Nessuno più di
Milton sembra aver compreso il segreto di potenziare, ossia di mettere - se così possiamo dire - nella più
intensa luce, le cose terribili tramite la forza di un'opportuna oscurità. La sua descrizione della morte, nel
secondo libro del Paradiso perduto, è mirabilmente elaborata; è stupefacente vedere con che cupo fasto, con
che significativa ed espressiva incertezza di tratti e colori egli abbia definito il ritratto della regina dei terrori.

L’altra forma invece – se è possibile


Chiamare forma ciò che nessuna forma
Lascia distinguere in membra, arti o giunture,
Se può chiamarsi sostanza ciò che sembra un’ombra,
Ed ogni cosa infatti sembrava un’altra cosa –
Nera come la Notte era levata, e feroce
Come lo sono dieci Furie insieme, e tremenda
Come l’inferno, pronta a scoccare una freccia mortale.
E ciò che sembrava la testa reggeva l’emblema
Di una corona regale6.

In questa descrizione tutto è buio, incerto, confuso; è terribile e sublime al più alto grado.

§ 4 DELLA DIFFERENZA TRA CHIAREZZA ED OSCURITÀ IN RAPPORTO ALLE PASSIONI.

Una cosa è rendere chiara un'idea e un'altra renderla attiva sull'immaginazione. Se faccio il disegno di un
palazzo, di un tempio, di un paesaggio, presento una chiarissima idea di questi oggetti; ma al massimo
(assegnata la sua parte all'effetto dell'imitazione) il mio disegno può impressionare quanto farebbe il palazzo,
il tempio o il paesaggio visto dal vero. Dall'altro lato, la più vivace ed animata descrizione verbale che io
possa dare provoca un'idea assai oscura ed imperfetta di tali oggetti; ma in tal caso è in mio potere far
sorgere tramite la descrizione una emozione più forte di quanto potrei con la migliore pittura.
Quest'esperienza si può fare costantemente. Il modo appropriato alla trasmissione delle affezioni da una
mente all'altra è quello che avviene tramite le parole, in tutti gli altri modi di comunicazione ci sono grandi
manchevolezze; e la chiarezza dell'immaginazione è tanto lontana dall'essere indispensabile all'influsso sulle
passioni, che quest'ultimo può essere ottenuto in misura considerevole senza presentare affatto immagini,
attraverso certi suoni adatti allo scopo; di ciò abbiamo prova sufficiente negli effetti riconosciuti e potenti
della musica strumentale. In realtà una grande chiarezza aiuta assai poco ad influenzare le passioni, ed è in
qualche modo nemica di ogni entusiasmo.
Nell'Arte poetica di Orazio ci sono due versi che paiono contraddire l'opinione che ho espresso, perciò voglio
prendermi la briga di chiarirla un po' meglio. I versi sono:

4
dread.
5
gremlins. Essendo riferito a figure tipiche dell'immaginario folklorico inglese, il termine è pressoché intraducibile.
6
Quella riportata è la traduzione italiana di Roberto Sanesi, in J. Milton, Paradiso Perduto, Oscar Mondadori Grandi
Classici, Milano 1990, pag. 85. I versi originali di Milton citati da Burke sono i seguenti: “The other shape, / If shape it
might be called that shape had none / Distinguishable, in member, joint, or limb; / Or substance might be called that
shadow seemed, / For each seemed either; black he stood as night; / Fierce as ten furies; terrible as hell; / And shook a
deadly dart. What seemed his head / The likeness of a kingly crown had on”. [Paradise Lost, II, 666-73]

2
Segnius invitant animos demissa per aurem
Quam que sunt oculis subjecta fidelibus.
[De Arte Poetica, II, 180-1]

Su questo [principio] l'abate Du Bos fonda la sua critica, nella quale egli dà alla pittura la preferenza sulla
poesia, per ciò che attiene alla capacità di muovere le passioni, basandosi soprattutto sulla maggiore
chiarezza delle idee che la pittura rappresenta. Io credo che questo eccellente giudice sia stato indotto in
questo errore (se di errore si tratta) dal proprio sistema, al quale lo trovò più conforme di quanto, immagino,
lo avrebbe trovato all'esperienza. Conosco alcuni estimatori ed amanti della pittura che nondimeno guardano
agli oggetti della loro ammirazione in quell'arte in modo abbastanza freddo, in confronto al calore con cui
sono animati da brani toccanti di poesia o di retorica. Tra la gente più comune non osservo mai che la pittura
abbia molta influenza sulle passioni; è vero che in quegli ambienti non incontra molta comprensione né la
migliore pittura né la migliore poesia, ma certamente anche là le passioni sono suscitate molto fortemente da
predicatori fanatici, o dalle ballate di Chevy-chase, dei Bambini nel bosco, e da altre poesiole e racconti
popolari che sono diffuse fra quei ceti. Non conosco delle pitture, buone o cattive che siano, che producano
lo stesso effetto. Risulta così che la poesia, con tutta la sua oscurità, ha un più generale e più potente dominio
sulle passioni rispetto all'altra arte.
Penso che ci siano delle ragioni naturali per le quali un'idea oscura, se trasmessa con proprietà, è più efficace
sul sentimento di una chiara. È la nostra ignoranza delle cose che causa la nostra ammirazione e
principalmente eccita le nostre passioni, mentre sapere ed esperienza fanno sì che le più singolari cause non
impressionino che poco. Così avviene nel volgo, e tutti gli uomini sono volgo riguardo alle cose che non
capiscono. Le idee di eternità ed infinità sono tra le più impressionanti che noi abbiamo, eppure non c'è,
forse, null'altro che comprendiamo così poco come l'infinità e l'eternità.
Non esiste descrizione più sublime di quella, giustamente celebre, data da Milton nel ritratto di Satana, con
una dignità così appropriata al soggetto.

Egli che sopra a tutti


Si impone per figura e portamento si ergeva
Fermo come una torre; pur non avendo il suo aspetto
Perduto ancora la luce originaria, appariva
Non di meno un Arcangelo caduto, anche solo in parte
Il suo antico splendore si era offuscato: come quando il sole
Appena sorto nell’aria orizzontale traspare fra le nebbie
Quasi avesse perduto i suoi raggi; oppure come quando
Dietro la luna per opaca eclissi diffonde
Un disastroso crepuscolo sulla metà di tutte le nazioni,
E per paura di qualche mutamento rende i monarchi insicuri 7.

Qui c'è una pittura nobilissima; in cosa consiste questa pittura poetica? Nell'immagine di una torre, di un
arcangelo, del sole che sorge tra le nebbie, di un'eclisse, della rovina dei monarchi e della rivoluzione dei
regni. La mente viene spinta fuori di sé da una moltitudine di immagini grandi e confuse, che impressionano
tramite l'addensamento e la confusione. Provate a separarle e perderete molta della grandezza,
ricongiungetele e certamente andrà perduta la chiarezza. Le immagini suscitate dalla poesia sono sempre di
questo genere oscuro, sebbene in generale gli effetti della poesia non debbano essere attribuiti, come
vedremo più ampiamente appresso, alle immagini che suscita. La pittura, invece, una volta messi in conto i
piaceri dell'imitazione, può agire solamente con le immagini che presenta; anche nel dipingere, comunque,
un'opportuna oscurità in alcune cose contribuisce all'effetto del quadro, perché le immagini di un dipinto
sono precisamente simili a quelle in natura, e in natura immagini buie, confuse e incerte hanno un potere
maggiore di formare nella fantasia le più grandi tra le passioni di quanto ne abbiano quelle più chiare e
determinate. D'altro canto, dove e quando queste considerazioni possano essere applicate in pratica, e fino a

7
Trad. it di Roberto Sanesi, cit. pag. 37. Testo originale di Milton: “He above the rest / In shape and gesture proudly
eminent / Stood like a tower; his form had yet not lost / All her original brightness, nor appeared / Less than archangel
ruin'd, and th' excess / Of glory obscured: as when the sun new ris'n / Looks through the horizontal misty air / Shorn of
his beams; or from behind the moon / In dim eclipse disastrous twilight sheds / On half the nations; and with fear of
change / Perplexes monarchs” [Paradise Lost, I, 589-99].

3
che punto, è cosa che si dedurrà meglio dalla natura del soggetto trattato e dall'occasione che da qualunque
regola che si possa dare.
Mi rendo conto che quest'idea è stata contestata, e che probabilmente parecchi ancora la respingeranno. Si
consideri, però, che difficilmente qualcosa può colpire la mente con la sua grandezza senza che in essa vi sia
qualche sorta di tendenza verso l'infinità; che nulla può avere, perciò tale carattere quando siamo capaci di
percepire i suoi confini; ma vedere un oggetto distintamente è lo stesso che percepirne i confini. Un'idea
chiara è, perciò, un altro nome per una piccola idea. C'è un passo meravigliosamente sublime nel Libro di
Giobbe la cui sublimità è dovuta principalmente alla terribile incertezza della cosa descritta.

“Nel travaglio di una visione notturna, / allorché l'uomo viene trasportato nel torpore, / fui colto da paura e
da tremito, / le mie ossa furono scosse dal terrore. / Un soffio, aleggiante sul mio volto, / fece rizzare il pelo
sul mio corpo. / Esso sostò, ma non ne individuai l'aspetto, / una qualche apparenza era davanti ai miei occhi;
/ fu Silenzio, ma sentivo una Voce: / Può forse l'uomo, messo a confronto con Dio, aver ragione?…”
[Giobbe, 4, 13-17]8

Noi veniamo dapprincipio preparati con la massima solennità alla visione 9, siamo terrorizzati prima ancora di
essere lasciati accedere alla causa oscura della nostra emozione; ma, quando questa potente causa di terrore
fa la sua apparizione, che cos'è mai? Non è forse, ravvolta nelle ombre del suo incomprensibile buiore, più
angosciosa, sorprendente, terribile di quanto la potrebbe rappresentare la più vivace descrizione e il più
chiaro dipinto? Quando i pittori hanno tentato di darci chiare rappresentazioni di queste idee altamente
fantastiche e terribili, essi hanno, credo, quasi sempre fallito, tanto che, in tutti i dipinti raffiguranti l'inferno
che ho visto, sono rimasto in dubbio se il pittore non avesse in mente qualcosa di comico. Diversi pittori
hanno lavorato a soggetti di questo genere, con lo scopo di assemblare tanti orridi fantasmi quanti gliene
poteva suggerire l'immaginazione, ma tutte le raffigurazioni che ho avuto occasione di incontrare delle
tentazioni di Sant'Antonio erano piuttosto una sorta di strane e selvagge grottesche che non qualcosa capace
di produrre seriamente passioni. In tutti questi soggetti la poesia è, invece, felicissima; le sue apparizioni,
chimere, arpie, le sue figure allegoriche sono grandiose ed efficaci; e sebbene la Fama di Virgilio e la
Discordia di Omero siano oscure sono delle figure magnifiche. Dipinte sarebbero abbastanza chiare, ma
temo che potrebbero diventare ridicole.

§ 5 POTENZA.

Oltre le cose che direttamente suggeriscono l'idea del pericolo e quelle che producono un simile effetto da
una causa meccanica, non conosco nessuna sublimità che non sia una qualche modificazione dell'idea di
potenza. Quest'ultimo ramo, come gli altri due, sorge naturalmente dal terrore, il tronco comune di tutto ciò
che è sublime. L'idea di potenza, a prima vista, sembra potersi rapportare indifferentemente sia al dolore che
al piacere; ma, in realtà, l'affezione che sorge dall'idea di una vasta potenza è estremamente remota da tale
carattere neutro. Anzitutto dobbiamo ricordare che l'idea di dolore, al suo più alto grado, è molto più forte del
più alto grado del piacere, e conserva tale superiorità in tutte le gradazioni subordinate. Da ciò deriva che, se
le possibilità di eguali gradi di sofferenza e godimento sono pari, l'idea di sofferenza sarà comunque
prevalente. In effetti, le idee di dolore, e soprattutto di morte, sono così influenti che, essendo in presenza di
qualcosa che supponiamo capace di infliggerci entrambi [piacere e dolore], è impossibile essere
completamente privi di terrore. E ancora: sappiamo per esperienza che per darci il godimento dei piaceri non
sono necessarie grandi espansioni di potenza; anzi sappiamo che tali sforzi tenderebbero a distruggere la
nostra soddisfazione: perché il piacere deve esserci porto e non imposto; il piacere segue la realizzazione di
un desiderio, e perciò in genere ci danno piacere cose di una forza molto inferiore alla nostra. Il dolore,
invece, è sempre inflitto da una forza in qualche modo superiore alla nostra, perché non ci sottometteremmo
mai volontariamente ad esso. Perciò la forza, la violenza, il dolore ed il terrore sono idee che irrompono nella
8
È stata riportata la traduzione di Amos Luzzatto (Feltrinelli, Milano 1991), tra le tante disponibili la più letteralmente
simile a quella citata da Burke (che, ovviamente, è la King James Version):
"In thoughts from the visions of the night, when deep silence falleth upon men, fear came upon me and trembling,
which made all my bones to shake. Then a spirit passed before my face. The hair of my flesh stood up. It stood still, but
I could not discern the form thereof; an image was before mine eyes; there was silence; and I heard a voice, - Shall
mortal man be more just than God?" [Job IV, 13-17]
9
Il passo citato da Burke è preceduto dalle seguenti frasi "Sappi dunque che a me, sommessamente, è pervenuta una
parola, / il mio orecchio ne ha captato il sussurro" (trad. Luzzatto cit.). Sebbene Burke le ometta, ci fanno capire meglio
l'analisi che ora sta svolgendo.

4
mente tutte assieme. Guarda un uomo o un altro animale di forza prodigiosa, qual è l'idea che ti viene in
mente prima di riflettere? È forse che tale forza sarà al tuo servizio, per i tuoi comodi, a tuo piacimento, a tuo
vantaggio in qualunque senso? No: la tua emozione verrà dalla paura che tale enorme forza sia impiegata per
scopi di rapina e distruzione. Che la potenza debba tutta la sua sublimità al terrore dal quale è generalmente
accompagnata apparirà evidente dal suo effetto nei pochissimi casi nei quali è possibile togliere un
considerevole grado di forza alla sua capacità di offendere. Quando fai ciò la privi di tutto quel che ha di
sublime, e immediatamente diviene trascurabile. Un bue è una creatura di grande forza, ma innocente,
estremamente servizievole e per nulla pericolosa, perciò l'idea di un bue non ha nulla di grande. Anche un
toro è forte, ma la sua forza è di un altro genere, spesso molto distruttiva e raramente (almeno tra noi) di
qualche uso nei nostri affari; l'idea di un toro è perciò grande ed ha frequente luogo in descrizioni sublimi e
comparazioni elevate. Guardiamo ora un altro forte animale, nelle due distinte ottiche nelle quali possiamo
considerarlo. Il cavallo, visto come un animale utile, adatto all'aratro, alla strada, al tiro delle carrozze, a tutti
gli utilizzi sociali, non ha niente di sublime; eppure, non è così che siamo impressionati da lui "il cui collo è
avvolto da tuono", le cui narici hanno una "gloria terribile", che "divora il terreno con fragore e furore / e
toglie credito allo squillo della tromba" (Giobbe, 39)10. In questa descrizione scompare del tutto il carattere
utile del cavallo ed assieme balenano il terribile e il sublime.
Abbiamo sempre attorno a noi animali di una forza considerevole, ma non dannosa. Tra questi non
cerchiamo mai il sublime, esso ci sopravviene nelle cupe foreste, nelle lande deserte echeggianti di ululati,
nella forma del leone, della tigre, della pantera, del rinoceronte. Quando la forza è solo utile e viene
impiegata a nostro beneficio e piacimento non è mai sublime, perché nulla può agire in modo a noi gradito se
non agendo in conformità al nostro volere, ma ciò che agisce così deve esserci sottomesso e perciò non può
essere causa di un pensiero imponente e dominatore. La descrizione dell'asino selvatico, in Giobbe, è
elaborata con non poca sublimità, semplicemente insistendo sulla sua libertà e sulla sua sfida nei confronti
dell'uomo; altrimenti la definizione di tale animale non avrebbe niente di nobile.
"Chi ha sciolto le briglie dell'onagro? / Io gli ho dato la piana desolata per casa, / la terra salina per
abitazione. / Ma egli non teme gli strepiti della città, / non obbedisce alle grida dei guardiani; / si arrampica
sui colli per pascolare…"
(Giobbe, 39, 5-8)11.
Le magnifiche descrizioni dell'unicorno12 e del Leviatano, nel medesimo libro, sono piene degli stessi
elementi di elevazione.
"Vorrà l'unicorno servirti volenteroso? Lo legherai all'aratro con le funi? Ti affiderai a lui, se la sua forza è
così grande? -- Puoi trascinare Leviathan con un uncino? Vorrà fare un patto con te? Lo prenderai per
sempre a servirti? Non si verrà abbattuti solo alla sua vista?" 13
In breve, qualunque cosa troviamo forte, ed in qualunque luce noi guardiamo la potenza, osserveremo
accanto al sublime la concomitanza del terrore, e disprezzeremo chi serve con una forza subordinata ed
innocua. La specie dei cani, in molte delle sue razze, ha generalmente un discreto grado di forza e di velocità,
ed esercita queste ed altre apprezzabili qualità con nostra grande convenienza e piacere. I cani sono, infatti,
gli animali più socievoli, affezionati ed amabili dell'intera creazione bruta; ma l'affetto si avvicina al
disprezzo assai di più di quanto comunemente si immagini, e perciò, sebbene carezziamo i cani, quando
vogliamo esprimere il nostro biasimo deriviamo dal loro nome un appellativo dei più carichi di dispetto; tale
appellativo marca, in tutte le lingue l'estremo grado della abiezione e della spregevolezza. I lupi non sono più
forti di parecchie razze canine, ma a causa della loro indomabile fierezza l'idea del lupo non è spregevole,
non è esclusa da grandiose descrizioni e similitudini. Così noi siamo impressionati dalla dalla forza, che è la
potenza nella sua forma naturale.

10
Burke cita la King James Version, facendo un collage di alcune delle molte immagini con le quali è descritto il
cavallo: "whose neck is cloathed with thunder, the glory of whose nostrils is terrible, who swalloweth the ground with
fierceness and rage, neither believeth that it is the sound of the trumpet". Si è cercato di tradurre letteralmente le
espressioni citate da Burke; per l'ultima frase è stata utilizzata la traduzione di Luzzatto cit.
11
Trad. Luzzatto cit. Così la King James Version: "Who has loosed (says he) the bands of the wild ass? whose house I
have made the wilderness, and the barren land his dwellings. He scorneth the multitude of the city, neither regardeth he
the voice of the driver. The range of the mountains is his pasture". La traduzione inglese è, in qualche dettaglio, utile a
comprendere l'analisi di Burke: anziché "non teme gli strepiti…" ha "disprezza le moltitudini"; all'ultimo dei versi citati
ha "la vastità delle montagne è la sua pastura", sicuramente più aderente al tipico immaginario del sublime.
12
La King James Version, in 39, 9-12, ha unicorn (il rinoceronte, così anche la Vulgata), dove, invece, le traduzioni più
recenti parlano del bufalo.
13
Un'altra volta Burke fa un collage, piuttosto rapido (tra i capitoli 39 e 41), dal Libro di Giobbe. L'effetto, stavolta, può
apparire debole, ma occorre considerare che probabilmente voleva solo richiamare passi di un testo che presumeva
familiare al lettore.

5
La potenza che sorge dalle istituzioni, nei re e nei comandanti, ha la stessa connessione con il terrore. Ai
sovrani è frequentemente indirizzato il titolo di tremenda maestà. Si può anche osservare che i giovani poco
esperti del mondo, e che non hanno abitudine di rapporti con uomini di potere, sono di solito colpiti da un
timore che toglie loro il libero uso delle loro facoltà. "Quando mi recavo alla Porta della Città, - dice Giobbe
- stabilivo all'aperto il mio scanno; i giovani, al vedermi, si celavano" (Giobbe, 29, 7-8)14. È infatti così
naturale questa timidezza riguardo al potere, ed è così fortemente innata nella nostra costituzione, che
pochissimi sono capaci di conquistarlo se non immischiandosi molto negli affari del gran mondo o facendo
non poca violenza alle proprie disposizioni naturali.
So che alcuni sono dell'opinione che nessun timore e nessun grado di terrore accompagnino l'idea della
potenza, ed hanno azzardato di affermare che possiamo contemplare l'idea di Dio stesso senza alcuna di
quelle emozioni. Ho evitato di proposito, nelle mie prime considerazioni su questo tema, di introdurre
quell'idea grandiosa e tremenda come esempio in un argomento leggero come questo, sebbene mi sia venuta
in mente di frequente, e non come un'obiezione, ma come una forte conferma alle mie nozioni su questa
materia. Spero che in ciò che sto per dire saprò evitare la presunzione, laddove è quasi impossibile per il
mortale parlare con vera proprietà. Dico dunque che, se noi consideriamo la Divinità solamente come
oggetto dell'intelletto, ossia tramite un'idea complessa di potenza, saggezza, giustizia, bontà, tutte portate ad
un livello troppo eccedente i limiti della nostra comprensione, se la consideriamo in questa luce astratta e
raffinata, l'immaginazione e le passioni sono toccate poco e niente. Ma poiché noi siamo costretti dalle
condizioni della nostra natura ad ascendere a queste pure idee intellettuali attraverso il mezzo di immagini
sensibili ed a giudicare di queste qualità divine attraverso i loro atti e manifestazioni visibili, diviene
estremamente difficile districare la nostra idea della causa da quella degli effetti attraverso i quali siamo
condotti alla sua conoscenza. Così, quando contempliamo la Divinità, i suoi attributi e le loro operazioni
vengono unificati nella mente formando una sorta di immagine sensibile, e in tal modo sono capaci di
influire sull'immaginazione. Ora, sebbene in una giusta immagine della Divinità forse nessuno dei suoi
attributi sia predominante, la nostra immaginazione è colpita dalla potenza in misura assai maggiore che
dagli altri. Per darci cognizione della sua della Sua saggezza, giustizia e bontà occorrono riflessione e
comparazioni, per essere colpiti dalla sua potenza ci basta aprire gli occhi. Ma, mentre contempliamo un così
grande oggetto, sotto il braccio, per così dire, dell'onnipotenza e investiti da ogni parte dall'onnipresenza, ci
sentiamo restringere nella piccolezza della nostra natura, e siamo, in un certo senso, annichiliti di fronte a
Lui. Sebbene la considerazione degli altri suoi attributi ci dia sollievo alla nostra apprensione, neppure la
convinzione della giustizia con cui è esercitata, né della misericordia dalla quale è temperata po’ interamente
rimuovere il terrore che naturalmente sorge da una forza alla quale nulla può opporsi. Anche il nostro gioire è
accompagnato da tremore, e anche quando riceviamo benefici non possiamo che rabbrividire di fronte ad una
potenza che può così possentemente beneficare. Quando il profeta David contempla le meraviglie della
saggezza e della potenza, che sono mostrate nell'economia della creazione dell'uomo, pare colpito da un
divino orrore, e grida "spaventosamente e meravigliosamente sono creato!" (Salmo 139). Un poeta pagano
ha un sentimento di simile natura; Orazio presenta come l'estremo sforzo della forza filosofica il contemplare
senza terrore e meraviglia questa immensa e gloriosa fabbrica dell'universo:

Hunc solem, et stellas, et decedentia certis


Tempora momentis, sunt qui formidine nulla
Imbuti spectent.

Lucrezio è un poeta non sospettabile di voler dare corso a terrori superstiziosi, eppure, quando suppone che
l'intera natura sia disvelata dal filosofo suo maestro, il suo trasporto per quella magnifica visione, che egli
seppe rappresentare con i colori di una poesia così energica e vivida, è offuscato da un'ombra di segreto
timore ed orrore:

Nir tibi me rebus quaedam Divina voluptas


Percipit, adque horror, quod sic Natura tua vi
Tam manifesta patet ex omni parte retecta.

Ma solo la Sacra Scrittura può fornire idee adeguate alla maestà di questo tema. Nella Sacra Scrittura,
dovunque Dio sia rappresentato apparire e parlare, ogni cosa terribile della natura è richiamata ad esaltare il
timore e la solennità della Divina Presenza; i Salmi ed i libri profetici sono folti di esempi di questo genere.

14
Trad. Luzzatto cit.

6
"Tremò la terra, stillarono i cieli davanti al Dio del Sinai" dice il salmista (Sl. 68, 8) 15. È, inoltre,
rimarchevole che il quadro presenta gli stessi caratteri non solo quando Dio è rappresentato discendere a
punire il peccatore, ma anche quando esercita la stessa pienezza di potere nel beneficare l'umanità.
"Trema, o terra, davanti al Signore, davanti al Dio di Giacobbe: egli muta la rupe in stagno, la roccia in
sorgente d'acqua"(Sl. 114, 7-8 9)16.
Sarebbe un lavoro senza fine enumerare i passi, sia negli scrittori sacri che nei profani, che stabiliscono il
sentimento generale dell'umanità riguardo all'unione inseparabile di un sacro e reverenziale timore con le
nostre idee della divinità. Di qui la diffusa massima "primos in orbe deos fecit timor". Questa massima
potrebbe essere (come credo che sia) falsa a proposito dell'origine della religione. L'autore di essa vide
quanto siano inseparabili queste idee senza considerare che la nozione di qualche grande potere deve
precedere il nostro timore di esso; ma questo timore deve necessariamente seguire l'idea di un tale potere,
una volta che essa si sia affacciata alla mente. È per questo principio che la vera religione ha, e deve avere,
una così ampia commistione di salutare paura, e quelle false in generale non hanno altro che il timore a
sostenerle. Prima che la religione cristiana avesse, se così vogliamo dire, umanizzato l'idea della Divinità, in
qualche modo ravvicinandocela, solo poco si era detto dell'amore di Dio. Ne sapevano qualcosa i Platonici,
ma solo qualcosa, gli altri scrittori dell'antichità pagana, sia poeti che filosofi, nulla. Chi consideri con che
infinita attenzione, con che distacco da ogni oggetto mortale, con che lungo esercizio di pietà e
contemplazione un uomo possa raggiungere la compiutezza dell'amore e della devozione alla divinità,
comprenderà facilmente che non è quello il primo, il più naturale né il più impressionante degli effetti che
procedono da tale idea.
Abbiamo così seguito le tracce dell'idea di potenza attraverso le sue diverse gradazioni, fino alla più alta di
tutte, dove la nostra immaginazione, in ultimo, si perde, ed abbiamo trovato lungo tutto il percorso il terrore,
come suo compagno inseparabile, che cresce accanto ad essa, fin dove è possibile seguirla. Ora, poiché la
potenza è, senza dubbio, una sorgente primaria del sublime, abbiamo un'indicazione evidente delle origini
della sua energia, e di quale sia la classe di idee a cui appartiene.

§ 6 PRIVAZIONE.

Tutte le privazioni generali sono grandi, perché sono terribili: vuoto, buio, solitudine, silenzio. Con che fuoco
di immaginazione, pur nella severità del giudizio, Virgilio ha ammassato tutte questi elementi dove sa che
debbono unirsi tutte le immagini di una tremenda dignità: alla bocca degli inferi! Là, prima di schiudere i
segreti del grande abisso, egli pare posseduto da un orrore religioso e ritrarsi, stupito dall'arditezza del
proprio disegno.

Dii quibus imperium est animarum, umbraeq; silentes!


Et Chaos, et Phlegethon! loca nocte silentia late?
Sit mihi fas audita loqui! sit numine vestro
Pandere res alta terra et caligine mersas!
Ibant obscuri, sola sub nocte, per umbram,
Perque domos Ditis vacuas, et inania regna.
[Aeneid, VI]17

15
Trad. it. C.E.I (A. Lancellotti); Vulgata: "Terra mota est, etenim Caeli distillaverunt, a facie Dei Sinai"; King James:
"The earth shook, the heavens also dropped at the presence of God"; Guido Ceronetti: "E la terra tremava e si ruppero i
cieli / Davanti al Dio del Sinai".
16
Trad, it. C.E.I.; King James: "Tremble, thou earth! at the presence of the Lord; at the presence of the God of Jacob;
which turned the rock into standing water, the flint into a fountain of waters!"
17
Seguono due esempi di traduzione inglese, rispettivamente di Pitt e di Dryden:
 Ye subterraneous gods! whose aweful sway
The gliding ghosts, and silent shades obey;
O Chaos hoar! and Phlegethon profound!
Whose solemn empire stretches wide around;
Give me, ye great tremendous powers, to tell
Of scenes and wonders in the depth of hell;
Give me your mighty secrets to display
From those black realms of darkness to the day.
 Obscure they went through dreary shades that led
Along the waste dominions of the dead.

7
§ 7 VASTITÀ.

La grandezza delle dimensioni è una potente causa del sublime. Ciò è troppo evidente, e l'osservazione
troppo comune, per aver bisogno di alcuna illustrazione; non è, però, così comune sapere in quali modi la
grandezza delle dimensioni, la vastità dell'estensione, o la quantità abbiano così sorprendenti effetti. Poiché
certamente ci sono modi e aspetti nei quali la stessa quantità di estensione produrrà più grandi effetti che in
altri. L'estensione può essere in lunghezza, altezza o profondità; tra queste la lunghezza colpisce di meno:
cento iarde18 di terreno non produrranno mai l'effetto che invece fa una torre alta cento iarde, o una roccia o
un monte di tale altezza. Sono portato ad immaginare, similmente, che l'altezza è meno imponente della
profondità, e che noi siamo colpiti maggiormente nel guardare giù in un precipizio, che non in su ad un
oggetto di eguale altezza, ma di questa osservazione non sono del tutto sicuro. Un piano perpendicolare ha
maggior forza nel dare origine al sublime di uno inclinato, e l'effetto di una superficie scabra e rotta è più
forte di quello di una che sia liscia e levigata. Entrare qui in un discorso sulla causa di queste apparenze ci
porterebbe fuori dal nostro percorso, ma certamente ciò fornirebbe un ampio e fruttuoso campo di
considerazioni.
(Comunque, non si deve trascurare di aggiungere a queste osservazioni sulle dimensioni che, come è sublime
la grandezza estrema delle dimensioni, così l'estremamente piccolo è, in qualche modo, similmente sublime.
Quando prestiamo attenzione all'infinita divisibilità della materia, quando perseguiamo la vita animale fino a
quegli esseri enormemente piccoli, eppure organizzati, che sfuggono alla più sottile inquisizione dei sensi,
quando spingiamo le nostre scoperte sempre più giù, e consideriamo quelle creature grado a grado sempre
più piccole, e la scala sempre diminuente dell'esistenza in un inseguimento nel quale l'immaginazione, come
i sensi, si perde, allora ci troviamo stupiti e confusi dalle meraviglie della minutezza, né riusciamo a
distinguere nei suoi effetti questo estremo di piccolezza dalla vastità stessa. [Ciò accade] perché la divisione
dev'essere infinita quanto l'addizione; infatti l'idea di una perfetta unità [indivisibile] non può essere
raggiunta più di quella di una totalità completa alla quale nulla possa venire aggiunto).

§ 8 INFINITÀ.

Un'altra fonte del sublime è l'infinità, sempre che quest'idea non si riduca piuttosto a quella già esaminata
sopra. L'infinità tende a riempire la mente con quella specie di dilettevole orrore che è il più genuino effetto e
la prova più vera del sublime. Ci sono a stento delle cose che possono divenire oggetto dei nostri sensi e
siano davvero, nella loro natura, infinite. Ma, non essendo l'occhio capace di percepire i confini di molte
cose, esse sembrano infinite e producono gli stessi effetti che se lo fossero realmente. Noi siamo ingannati in
maniera simile se le parti di qualche ampio oggetto si estendono così continuamente e in numero indefinito
che l'immaginazione non incontra alcun ostacolo che possa impedirle di estenderle a piacimento.
Ogni volta che siamo soggetti alla ripetizione frequente di un idea, la mente, per una sorta di meccanismo, la
ripete parecchio più a lungo della cessazione della sua prima causa. Dopo aver piroettato su noi stessi, se ci
sediamo, gli oggetti attorno a noi sembrano roteare; dopo una lunga successione di rumori, come lo scroscio
di una cascata, o il picchiare dei martelli di un'officina, i martelli battono e le acque rombano nella nostra
immaginazione ancora a lungo dopo che i suoni reali hanno cessato di influenzarla, e svaniscono alla fine
attraverso gradazioni appena percettibili. Se elevate una sottile asta e la guardate da una delle sue estremità,
vi sembrerà di un'altezza quasi incredibile; mettete un certo numero di segni uniformi ed equidistanti sull'asta
e avrete lo stesso inganno: vi sembreranno moltiplicati senza fine. I sensi, fortemente impressionati in
qualche modo, non possono rapidamente cambiare il proprio stato o adattarsi ad altre cose, ma continuano
nella direzione tracciata finche non si esaurisce la forza della causa che li ha mossi. Questa è la causa di un
fenomeno frequente nei folli: essi rimangono per interi giorni e notti, e talvolta interi anni, a ripetere
continuamente la stessa frase, lo stesso lamento o la stessa canzone che ha colpito potentemente la loro
immaginazione in disordine all'inizio della loro frenesia, e che ogni ripetizione ravviva con nuova forza; la
furia dei loro spiriti, non dominata dal freno della ragione, fa proseguire tale impulso fino alla fine delle loro
vite.

§ 9 SUCCESSIONE ED UNIFORMITÀ.

18
iarda = m. 0,914

8
La successione e l'uniformità delle parti sono ciò che costituisce l'infinito artificiale. 1). La successione che
richiede che le parti siano reiterate tanto a lungo, nella stessa direzione, da imprimere nell'immaginazione,
tramite i loro frequenti impulsi sui sensi, l'idea di una progressione oltre i loro limiti attuali, 2). L'uniformità
perché, se le figure delle parti cambiassero, l'immaginazione ad ogni cambiamento troverebbe un ostacolo; tu
riceveresti ad ogni alterazione la fine di una di un'idea e l'inizio di un'altra, in tal modo diverrebbe
impossibile continuare quell'ininterrotta progressione che sola può imprimere il carattere dell'infinità su
oggetti delimitati19. È in questa specie di infinità artificiale, credo, che si deve cercare la causa per cui la
figura rotonda ha un così nobile effetto. Perché in una rotonda, sia un edificio o la disposizione delle piante
in un giardino, non sai dove fissare il termine; volgi lo sguardo nella direzione che vuoi: lo stesso oggetto ti
sembra presentarsi continuamente e l'immaginazione non ha riposo. Le parti, però, oltreché disposte
circolarmente, per dare a questa figura tutta la sua forza, devono essere uniformi, poiché ogni differenza, sia
nella disposizione che nella figura o anche nel colore di esse, è molto compromettente per l'idea di infinità,
che ogni cambiamento bloccherebbe ed interromperebbe, dando inizio ad una nuova serie ad ogni
alterazione. Con gli stessi princìpi di successione ed uniformità si può facilmente rendere conto dell'aspetto
grandioso degli antichi templi pagani, che erano generalmente di forma oblunga, con file di colonne su tutti i
lati; e con un'identica causa si può spiegare il grandioso effetto delle navate di molte delle nostre antiche
cattedrali. La forma della croce usata in molte chiese non mi pare, invece, così appropriata come il
parallelogramma degli antichi; almeno ritengo che non sia adatta agli esterni, poiché, supponendo che i
bracci della croce siano uguali, se guardi in direzione parallela ad uno dei muri perimetrali o dei colonnati,
invece di avere un inganno che faccia l'edificio più esteso di quanto è, sei tagliato fuori da una parte
considerevole (due terzi) della sua effettiva lunghezza; ogni possibilità di progressione è esclusa in partenza,
perché i bracci della croce prendono una nuova direzione, ad angolo retto con la linea dello sguardo,
distogliendo totalmente l'immaginazione dalla ripetizione della prima idea. Supponiamo, invece, che lo
spettatore sia collocato in modo da avere una diretta visione [complessiva] di tale costruzione; quale sarà la
conseguenza? sarà che buona parte delle basi di ciascun angolo formato dall'intersezione dei bracci della
croce, sarà perduta inevitabilmente; il tutto assumerà inevitabilmente un aspetto rotto e sconnesso, le luci
saranno ineguali, qua forti e là deboli, senza quella nobile gradazione che la prospettiva sempre produce sulle
parti disposte ininterrottamente in linea retta. Tutte o alcune di queste obiezioni valgono contro ogni figura di
croce, da qualunque punto di vista la si osservi; ho scelto come esempio la croce greca, nella quale questi
difetti risultano più gravi, ma in qualche grado appaiono in tutti i tipi di croce. Infatti non c'è nulla di più
pregiudizievole alla grandiosità degli edifici dell'abbondanza di angoli, un difetto evidente in molti, e dovuto
ad un disordinato desiderio di varietà che, dovunque prevalga, sicuramente riduce ad assai poco il vero gusto.

§ 10 DIMENSIONI DEGLI EDIFICI.

Al sublime negli edifici appare richiesta la grandezza delle dimensioni, perché su poche parti, e piccole,
l'immaginazione non può ascendere ad alcuna idea di infinità. Nessuna grandezza nello stile può veramente
compensare la mancanza di dimensioni appropriate. Non c'è pericolo di trascinare, tramite questa regola,
verso progetti stravaganti; essa porta con sé il proprio correttivo, perché una lunghezza troppo grande negli
edifici distrugge lo scopo di grandezza che era intesa a promuovere: la veduta prospettica perderà in altezza
di quanto guadagna in lunghezza e, infine, si concluderà in un punto, risolvendo l'intera figura in una sorta di
triangolo, forma che, tra tutte quelle che si possono presentare ai nostri occhi, è quasi la più povera di effetti.
Ho sempre osservato che colonnati e viali alberati di media lunghezza erano senza paragone più grandiosi di
quelli che subivano un prolungamento per immense distanze. Un vero artista produrrà negli spettatori un
generoso inganno, e realizzerà i più nobili progetti con metodi facili. Quei progetti che sono vasti solo per le
loro dimensioni sono sempre il segno di bassa e comune immaginazione. Nessuna opera d'arte può essere
grande se non tramite un inganno, fare altrimenti è prerogativa della sola natura. Un buon occhio fisserà la
via di mezzo tra una eccessiva lunghezza, o altezza (la stessa obiezione vale contro entrambe), e dimensioni
brevi ed interrotte; forse ciò potrebbe essere accertato con un tollerabile grado di esattezza, se fosse mio
scopo approfondire le particolarità di singole arti.

19
Il signor Addison, nei numeri dello Spectator riguardanti i piaceri dell'immaginazione, sostiene che ciò avvenga
perché in una rotonda si può cogliere con un solo colpo d'occhio metà dell'edificio. Non credo che questa sia la vera
causa. [Nota di Burke]

9
§ 11 INFINITÀ NEGLI OGGETTI PIACEVOLI.

Un'infinità, sia pure di altro genere, causa molto del nostro piacere per le immagini gradevoli, così come fa
per il nostro diletto riguardo alle immagini sublimi. La primavera è la più gradita delle stagioni e i piccoli
della maggior parte degli animali, pur se ancora lontani dalla forma compiuta [della loro specie], producono
una sensazione più gradevole degli individui pienamente maturi; ciò avviene perché l'immaginazione è
intrattenuta dalla promessa di qualcosa a venire, e non si acquieta sull'oggetto presente ai sensi. In disegni
schizzati e non finiti ho trovato spesso qualcosa che mi piaceva più della miglior rifinitura; ciò credo proceda
dalla causa che ho ora indicato.

§ 12 DIFFICOLTÀ.

Un'altra sorgente di grandezza è la difficoltà. Quando un lavoro appare aver richiesto immensa forza e fatica
per essere svolto, l'idea è grande. Stonehenge non ha nulla di ammirevole che riguardi la disposizione o
l'ornamento, ma quelle enormi e rozze masse di pietra erette e sovrapposte l'una sull'altra volgono la mente
all'immensa forza necessaria per un simile lavoro. Anzi, la rozzezza dell'opera accresce la causa della
grandiosità, escludendo l'idea di arte e di artificio; la destrezza, infatti, produce un altro genere di effetto,
abbastanza differente da questo.

§ 13 MAGNIFICENZA.

La magnificenza è, similmente, una fonte del sublime. Una grande profusione di cose splendide o preziose in
se stesse è magnifica. Il cielo stellato, sebbene sia una vista così frequente, non manca mai di risvegliare
un'idea di grandiosità. Ciò non può essere dovuto a qualcosa che appartenga alle stelle considerate
isolatamente, la causa è sicuramente la loro moltitudine. Il loro apparente 20 disordine aumenta la grandiosità,
perché l'apparenza della cura è altamente contraria alle nostre idee di magnificenza. Inoltre, le stelle sono
sparse con una così vistosa confusione che è impossibile, in circostanze ordinarie, contarle, ciò le gratifica di
una specie di infinità. In opere d'arte occorre ammettere con molta cautela quel genere di grandiosità che
consiste nella moltitudine, perché non si può ottenere una profusione di cose eccellenti, o - almeno - non la si
ottiene che molto difficilmente, e perché in molti casi questa splendida confusione finirebbe per distruggere
del tutto l'uso, che nella maggior parte delle opere d'arte va perseguito con la massima cura; inoltre va
considerato che, se non riesci a produrre col tuo disordine un'apparenza di infinità, ti rimarrà solo il disordine
senza la magnificenza. Ci sono, comunque, cose come i fuochi d'artificio ed altre simili che, condotte in
questo modo, riescono bene e sono veramente grandiose.
(Anche nei poeti e negli oratori ci sono molte descrizioni che devono la loro sublimità ad una ricchezza e
profusione di immagini dalla quale la mente è così abbagliata da essere incapace di badare a quella coerenza
e a quell'accordo delle allusioni che esigerebbe in ogni altra occasione. Non ricordo, ora, esempio, riguardo a
ciò, più efficace della descrizione dell'esercito del re nell'Enrico IV [di Shakespeare]:

All furnished, all in arms,


All plumed like ostriches that with the wind
Baited like eagles having lately bathed:
As full of spirit, as the month of May,
And gorgeous as the sun in Midsummer,
Wanton as youthful goats, wild as young bulls.
I saw young Harry with his beaver on
Rise from the ground like feathered Mercury,
And vaulted with such ease into his seat
As if an angel dropped down from the clouds
To turn and wind a fiery Pegasus.
[Henry IV, Pt. I, IV, i], 97-109

20
apparent, che però può voler dire anche evidente, visibile

10
In quel libro eccellente, così notevole tanto per la vivacità delle descrizioni quanto per la solidità e la
penetrazione delle sue asserzioni, che è la Sapienza del figlio di Sirach21, c'è un nobile panegirico del sommo
sacerdote Simone figlio di Onia; è un bellissimo esempio del nostro argomento:
"Era molto splendido quando tornava dal santuario, quando usciva dalla casa del velo: era come l'astro
mattutino in mezzo alle nubi, come la luna piena nei giorni della festa, come il sole che brilla sul tempio
dell'Altissimo, come l'arcobaleno che splende tra nubi luminose, come la rosa fiorita nella stagione dei frutti,
come il giglio cresciuto dove zampilla l'acqua, come il germoglio del Libano nei giorni dell'estate; come
fuoco ed incenso nell'incensiere, come un vaso tutto martellato d'oro, adornato con ogni specie di pietre
preziose, come fronde d'ulivo che portano frutti e come cipresso che s'innalza tra le nubi. Quando indossava i
paramenti preziosi egli era rivestito di perfetto splendore; quando saliva presso il santo altare irradiava la
gloria in tutto il santuario. Quando riceveva le porzioni dalle mani dei sacerdoti, mentre stava presso il
focolare dell'altare, intorno a lui si formava una corona di fratelli, simile a germoglio di cedri del Libano, e lo
circondavano come fossero ceppi di palme. Allora tutti i figli di Aronne nella loro gloria, tenendo l'offerta del
Signore nelle loro mani, stavano dinanzi a tutta l'assemblea d'Israele" [Siracide, 50, 5-13]22.

§ 14 LUCE

Dopo aver considerato l'estensione, in quanto capace di suscitare idee di grandezza, la prossima
considerazione spetta al colore. I colori dipendono dalla luce, e perciò bisogna anzitutto esaminare la luce e
con essa il buio che le è opposto. Riguardo alla luce, per renderla capace di produrre il sublime, occorre che
sia accompagnata da alcune circostanze, oltre la sua mera facoltà di mostrare gli altri oggetti. La sola luce è
una cosa troppo comune per fare una forte impressione sulla mente, e senza una forte impressione nulla può
essere sublime. Ma una luce come quella del sole, che agisca direttamente sull'occhio, poiché sopraffà il
senso, è una grandissima idea. Una luce di forza inferiore a quella, se si muove con grande celerità, ha la
stessa potenza; perciò il lampeggiare è certamente produttivo di una grandiosità, che è certamente dovuta
all'estrema velocità del suo moto. Un rapido passaggio dalla luce al buio, come pure dal buio alla luce, ha
pure un grande effetto. Ma il buio è più capace di produrre idee sublimi della luce.
(Il nostro grande poeta era convinto di questo, e, infatti, era così pieno di quest'idea, così interamente
posseduto dalla potenza di una oscurità ben usata, che, descrivendo l'apparire della Divinità, in mezzo a
quella profusione di magnifiche immagini che la gloria di questo soggetto lo spingeva a riversare da ogni
lato, non dimentica certo l'oscurità che circonfonde l'essere più misterioso, ma "con la maestà del buio
attorno circonda il suo trono"23. E, cosa non meno rimarchevole, il nostro autore conosce il segreto di
mantenere quest'idea anche quando pare maggiormente allontanarsene, quando descrive la luce e la gloria
che fluiscono dalla Divina Presenza, una luce che per il suo assoluto eccesso si converte in una specie di
oscurità: "Buio per troppa luce appare il tuo lembo"24.
Qua non c'è solo un'idea in alto grado poetica, ma letteralmente e filosoficamente giusta. La luce estrema,
sopraffacendo gli organi della vista, ne oblitera tutti gli oggetti, tanto che nei suoi effetti somiglia
esattamente all'oscurità. Dopo aver guardato per un po' il sole, due macchie nere (le impronte che ci ha
lasciato) sembrano danzare davanti ai nostri occhi.
Ecco due idee così opposte quanto si può immaginare riconciliate nell'estremo di entrambe; entrambe,
nonostante la loro opposta natura, sono portate a concorrere nella creazione del sublime. E questo non è
l'unico esempio nel quale gli estremi opposti operino egualmente a favore del sublime, poiché esso, in tutte
le cose, rifugge la mediocrità.

21
Libro deuterocanonico dell'Antico Testamento, conosciuto col titolo di Ecclesiastico, o Siracide.
22
Traduzione C.E.I (A. Minissale); la traduzione riportata da Burke è la seguente: "How was he honoured in the midst
of the people, in his coming out of the sanctuary! He was as the morning star in the midst of a cloud, and as the moon at
the full: as the sun shining upon the temple of the Most High, and as the rainbow giving light in the bright clouds: and
as the flower of roses in the spring of the year; as lillies by the rivers of waters, and as the frankincense tree in summer;
as fire and incense in the censer; and as a vessel of gold set with precious stones; as a fair olive tree budding forth fruit,
and as a cypress which groweth up to the clouds. When he put on the robe of honour, and was clothed with the
perfection of glory, when he went up to the holy altar, he made the garment of holiness honourable. He himself stood by
the hearth of the altar compassed with his brethren round about, as a young cedar in Libanus, and as palm trees
compassed they him about. So were all the sons of Aaron in their glory, and the oblations of the Lord in their hands",
&c. [Ecclesiasticus, L, 5-13]
23
--With the majesty of darkness round / Circles his throne. [Milton Paradise Lost, II, 266-7]
24
Dark with excessive light thy skirt appear. [id., III, 380]

11
§ 15 LUMINOSITÀ DEGLI EDIFICI.

Poiché il trattamento della luce è una materia importante in architettura, è bene chiedersi fino a che puntole
precedenti osservazioni possano applicarsi alle costruzioni. Ritengo che tutti gli edifici pensati per produrre
un'idea di sublime debbano essere piuttosto bui e cupi, e ciò per due ragioni: la prima è che l'oscurità, in se
stessa, in altre circostanze mostra di avere sulle passioni un effetto maggiore della luce. La seconda è che,
per far si che un oggetto colpisca e sorprenda veramente, dovremmo renderlo più differente possibile da
quelli ai quali che ci sono immediatamente familiari; quando, perciò, tu entri in un edificio non puoi passare
ad una luminosità maggiore di quella che trovi all'aria aperta, ed entrare in un ambiente poco meno luminoso
non produrrà che un cambiamento trascurabile, ma per rendere la transizione pienamente impressionante
devi passare dalla più piena luce a tanto buio quanto sarà compatibile con l'utilità dell'architettura. Di notte si
dovrà seguire la regola contraria, ma per l'identica ragione: più fortemente una stanza sarà illuminata e più
grande sarà la passione.

§ 16 IL COLORE, CONSIDERATO COME CAUSA DEL SUBLIME.

Tra i colori, quelli tenui e quelli vivaci (eccetto forse un rosso forte, che è un colore vivace) sono inadatti a
produrre immagini grandiose. Una immensa montagna, coperta con un manto verde brillante è insignificante,
da questo punto di vista, in confronto ad una scura e cupa; il cielo annuvolato è più grandioso di quello blu e
la notte è più sublime e solenne del giorno. Perciò nella pittura storica un drappeggio allegro o sgargiante
non può mai avere un effetto felice e negli edifici, quando si mira al più alto grado della sublimità, nei
materiali e negli ornamenti si devono evitare colori come il bianco, il verde, il giallo, il rosso chiaro, il
violetto e gli effetti di chiazzato; si devono preferire il nero ed il bruno o il porpora scuro e simili. La gran
parte delle dorature, dei mosaici, delle pitture e delle statue contribuiscono poco al sublime. Non è necessario
mettere in pratica questa regola se non quando si vuole produrre un livello uniforme della più impressionante
sublimità, e lo si vuole in tutti i particolari; poiché bisogna osservare che questo malinconico genere di
grandezza, sebbene sia certamente il più alto, non va perseguito in tutte le specie di edifici nei quali
comunque si cerchi la grandiosità; in parecchi casi la sublimità deve essere ricavata da altre fonti, con una
stretta attenzione, comunque, nell'evitare tutto ciò che sia leggero e ridente, perché nulla indebolisce come
queste cose il gusto del sublime.

§ 17 SUONI E LORO FORZA.

L'occhio non è l'unico organo di senso attraverso il quale possa essere prodotta una passione sublime. I suoni
hanno un grande potere su queste come su molte altre passioni. Non mi riferisco alle parole, perché le parole
non influiscono semplicemente il loro suono, ma con mezzi interamente diversi. Un suono troppo potente è
sufficiente da solo a sopraffare l'animo, a sospendere la sua azione ed a riempirlo di terrore. I rumori di vaste
cateratte, tempeste furiose, tuoni o artiglierie risveglia nella mente una sensazione solenne e paurosa,
sebbene non vi sia grazia o artificio in tale genere di musica. Il clamore di una moltitudine ha un effetto
simile; con la sola forza del suono sbalordisce e confonde l'immaginazione, tanto che in questa vertigine e
furia della mente i più solidi temperamenti riescono a stento ad evitare di esserne schiacciati e di unirsi al
grido comune ed alla comune volontà della folla.

§ 18 SUBITANEITÀ.

L'improvviso attacco, o l'improvvisa cessazione di un suono di qualche considerevole forza ha il medesimo


potere, l'attenzione viene risvegliata e le facoltà, se così vogliamo dire, cacciate in avanti sulla linea di difesa.
Tutto ciò che, sia nella vista che nell'udito, rende facile [e graduale] il passaggio da un estremo all'altro non
causa terrore e perciò non può essere causa di grandezza. In tutto ciò che è improvviso ed inaspettato siamo
portati a trasalire, ossia abbiamo la percezione di un pericolo e la nostra natura si risveglia a difendersi contro
di esso. Si può osservare il grande effetto che produce un singolo suono, che sia abbastanza forte e si ripeta
ad intervalli. Poche cose sono più paurose dei colpi di un grande orologio uditi nella notte, quando il silenzio
impedisce all'attenzione di disperdersi. Si può dire lo stesso di un singolo colpo di tamburo ripetuto a pause e
del fuoco distanziato di un cannone; tutti questi effetti hanno cause molto prossime.

12
§ 19 INTERMITTENZA.

Un suono basso, tremulo e intermittente, sebbene sembri in un certo senso opposto agli esempi appena
menzionati, è produttivo del sublime. Val la pena di esaminare un po' questo caso. Il fatto in sé può essere
riconosciuto dall'esperienza e dalla riflessione di ognuno. Ho già osservato che la notte accresce il nostro
terrore forse più di qualunque altra cosa; è nella nostra natura che, quando non sappiamo che cosa possa
accaderci, temiamo il peggio; perciò l'incertezza è così terribile che spesso cerchiamo di librarcene anche a
rischio di un danno.
Dei suoni deboli, confusi ed incerti ci lasciano in un'ansietà impaurita riguardo alle loro cause, allo stesso
modo che l'oscurità o una luce incerta fanno riguardo agli oggetti che ci circondano.

Quale per incertam lunam sub luce maligna


Est iter in silvis…
...A faint shadow of uncertain light,
Like as a lamp, whose life doth fade away;
Or as the moon cloathed with cloudy night
Doth shew to him who walks in fear and great affright.
[Spenser, Faerie Queen, II, vii, 29]

Ma una luce che ora si appare ed ora ci abbandona, continuando ad accendersi e spegnersi, è anche più
terribile della completa oscurità; così anche una certa specie di suoni vaghi, quando concorrono le
circostanze adatte, è più allarmante di un silenzio totale.

§ 20 I VERSI DEGLI ANIMALI.

Suoni che tali da imitare la naturale voce inarticolata di uomini o animali in preda al dolore o alla paura sono
capaci di trasmettere idee grandi, a meno che non sia la ben nota voce di qualche creatura alla quale siamo
abituati a guardare con disprezzo. Il verso rabbioso di animali selvaggi è egualmente capace di causare una
sensazione potente e paurosa.

Hinc exaudiri gemitus, iraeque leonum


Vincla recusantum, et sera sub nocte rudentum;
Setigerique sues, atque in presepibus ursi
Saevire; et formae magnorum ululare luporum.

Potrebbe sembrare che queste modulazioni del suono abbiano qualche connessione con la natura delle cose
che rappresentano, non essendo meramente arbitrarie, perché i versi naturali di tutti gli animali, anche di
quelli che non abbiamo mai visto, non mancano di rendersi sufficientemente comprensibili, cosa che non può
dirsi del linguaggio. Le varietà di suoni che possono produrre la sublimità sono pressoché infinite. Quelle
che ho menzionato sono solo alcuni esempi, fatti allo scopo di mostrare su quale principio si basano.

§ 21 ODORE E SAPORE. AMARO E FETORE.

Odori e sapori hanno qualche parte in idee di grandezza, ma è una parte piccola, debole nella sua natura e
limitata nella sua efficacia. Osserverò soltanto che odori e sapori non possono produrre una sensazione
imponente, eccetto l'amarezza eccessiva e i fetori intollerabili. È vero che queste affezioni dell'olfatto e del
gusto, quando dispiegano la loro piena forza ed agiscono direttamente sul sensorio, sono semplicemente
penose e non accompagnate da alcun genere di diletto, ma, quando sono moderate, come in una descrizione o
in una narrazione, divengono autentiche fonti del sublime, come qualunque altra, in base all'identico
principio del dolore moderato. "Un calice di amarezza", bere fino alla feccia "l'amaro calice della fortuna", le
mele amare di Sodoma; queste sono tutte idee suscettibili di descrizioni sublimi. Né certo senza sublimità in
questo brano di Virgilio il fetore dei vapori di Albunea coopera così felicemente con l'orrore sacro ed il tetro
aspetto di quella foresta profetica:

13
At rex sollicitus monstrorum oraculi fauni
Fatidici genitoris adit, lucosque sub alta
Consulit Albunea, nemorum quae maxima sacro
Fonte sonat; saevamque exhalat opaca Mephitim.

Nel sesto libro, ed in una descrizione molto sublime, non vengono dimenticate le esalazioni velenose
dell'Acheronte, e non stonano tra le altre immagini tra le quali sono introdotte.
Spelunca alta fuit, vastoque immanis hiatu
Scrupea, tuta lacu nigro, nemorumquc tenebris
Quam super haud ullae poterant impune volantes
Tendere iter pennis, talis sese halitus atris
Faucibus effundens supera ad convexa ferebat.

Ho riportato questi esempi perché alcuni amici, del cui giudizio ho grande rispetto, sono dell'opinione che se
tali sensazioni venissero considerate semplicemente per se stesse, sarebbero a prima vista facili da volgere in
burlesco e ridicolo; ma credo che ciò derivi principalmente dal considerare l'amaro ed il fetore accompagnati
da quelle idee basse e spregevoli con le quali, riconosco, sono spesso uniti; una simile unione, degrada il
sublime anche in tutti gli altri casi, non meno che in questi. Questa, infatti, è una delle prove attraverso le
quali può essere attestata la sublimità di un'immagine, non considerando il suo degradarsi quando è associata
a idee basse, ma guardando se, nell'associarla con immagini di grandiosità riconosciuta, il tutto della
composizione sia sostenuto con dignità. Le cose terribili sono sempre sublimi, ma cose che possiedono
qualità sgradevoli, o recano qualche grado di pericolo, tale però da essere facilmente superato, sono
solamente odiose, come ad esempio ragni e rospi.

§ 22 SENSAZIONI DOLOROSE.

Delle sensazioni si può dire poco altro, se non che l'idea di dolore fisico in tutti i suoi modi e gradazioni di
fatica, pena, angustia25, tormento è fonte di sublime; null'altro in questo senso può produrlo. Non ho bisogno
di aggiungere esempi nuovi, perché quelli dati nelle precedenti sezioni illustrano abbondantemente
un'osservazione che, in realtà, richiede solo attenzione alla natura per essere fatta propria da ciascuno.
Avendo così percorso le cause del sublime con riferimento a tutti i sensi, apparirà molto prossima al vero la
mia tesi fondamentale: il sublime è un'idea che appartiene all'autoconservazione. Essa è perciò una delle più
influenti (affecting) che noi possediamo. La più forte delle emozioni che le sono proprie è un'emozione di
angoscia (distress), e non le appartiene, in senso positivo, alcun piacere. Per sostenere la verità di queste tesi
si potrebbero portare innumerevoli esempi oltre quelli menzionati, e probabilmente si possono derivare da
esse molte utili conseguenze.

Sed fugit interea, fugit irrevocabile tempus,


Singula dum capti circumvectamur amore.

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anguish. Il termine è suscettibile di riferimento anche alla sofferenza psichica, ma non solo. Non è stato tradotto con
angoscia, perché il significato più forte di quest'ultimo termine è riferito alla sofferenza psichica, e si renderebbe meglio
con l'inglese anxiety, di cui l'Oxford dictionary of current english da la seguente definizione "Condizione emotiva di
paura e incertezza riguardo al futuro". Questa osservazione vale a chiarire l'uso di distress nel successivo capoverso.
Nella gamma di significati di quest'ultimo termine rientrano anche turbamento, preoccupazione, pericolo.

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