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PREMESSA: Nel 1882 viene siglata la Triplice Alleanza tra Germania, Impero

austro-ungarico e Italia. Questa non era un’alleanza solo commerciale ma anche militare.
Nel 1907 viene siglata un’alleanza economico-militare chiamata Triplice intesa formata da
Francia, Gran Bretagna e Russia, che già precedentemente nel 1904 avevano firmato un
trattato che aveva preso il nome di Intesa cordiale.
Queste due alleanze furono parzialmente rispettate durante la prima guerra mondiale.

FRANCIA
In Francia l’ondata rivoluzionaria del 1848 comprometterà la stabilità dello Stato.
Il 22 febbraio 1848 inizieranno a partire i tumulti. In quel periodo a governare la Francia
c'era il re Luigi Filippo D'Orléans, il quale non fa parte dei Borbone (famiglia storica che
regnò la Francia prima di Napoleone).
Luigi instaurò una monarchia autoritaria, limitando tutte le libertà limitabili (di stampa,
manifestazione). Questo suo modo di governare era inadatto poiché con i moti del ‘20 e del
‘30 si era creato un approccio liberale, con i borghesi al governo.
Luigi inoltre non permise ai partiti politici di incontrarsi fra loro, e proprio per questo motivo
che trovarono come espediente i banchetti.
Il culmine si ha quando Luigi viene a conoscenza di un banchetto in programma a Parigi dai
gruppi repubblicani di sinistra, i quali volevano una Repubblica, e dai socialisti, che
difendono i diritti dei lavoratori. Luigi vieta così il banchetto annunciato ed è da qui che
partano le ribellioni da parte dei gruppi di sinistra. Il 22 febbraio 1848 di fronte al divieto i
partiti di sinistra si ribellano coinvolgendo i parigini e organizzando barricate, ovvero
ostruzioni delle strade con mobili e sedie. Essendo Parigi una città con struttura medievale
era facile bloccare il passaggio alle forze dell’ordine a causa delle strade molto piccole.
Le barricate occuperanno per qualche giorno le strade di Parigi e otterranno un obiettivo
importante.
Il 24 febbraio Luigi resosi conto di aver perso il controllo della situazione fuggirà in
Inghilterra e sarà costituito un governo provvisorio di cui faranno parte intellettuali, tra cui
Alphonse Lamartine (uno dei poeti romantici più importanti), e in cui i partiti di sinistra
avranno un peso notevole.
Il governo ristabilisce le varie libertà che il Re aveva abolito e prenderà anche dei
provvedimenti in campo sociale nei confronti dei lavoratori, come la diminuzione della
giornata di lavoro da 12 a 11 ore in tutta la Francia mentre a Parigi arriverà a 10 ore. Il 4
marzo abolì la pena di morte.
Inoltre a Maggio proclamò la Repubblica e introdusse il suffragio universale.
Lamartine come ministro degli esteri decise che la Francia non avrebbe sconvolto gli ordini
internazionali perché a causa della rivoluzione la Francia non aveva le forze per sostenere
una rivoluzione internazionale.
Il 23 aprile 1848 vengono indette nuove elezioni per eleggere l’Assemblea costituente, la
quale ha una maggioranza repubblicana fortemente moderata e lo dimostra il fatto che su
circa 600 membri, 250 sono di sinistra, 200 sono orleanisti e la parte restante era formata da
altri partiti di sinistra.
Erano elezioni a suffragio universale maschile, che portarono alle urne anche la gente di
campagna, che essendo divenuta in possesso di proprie terre, temevano un
danneggiamento da parte di socialisti che volevano abolire la proprietà privata.
Tra il 23 e il 26 giugno inizieranno nuovi tumulti armati poiché l’assemblea sembrava non
fare gli interessi del popolo, si tornerà difatti alle 12 ore di lavoro. Ci sarà quindi il ritorno ad
uno Stato molto più restrittivo.
Prende così il comando il 28 giugno il generale Louis Eugène Cavaignac, incaricato di
reprimere la rivolta del giugno.
I lavori dell’assemblea continuano e nel Novembre del ‘48 viene creata la nuova
Costituzione, che prevederà un Parlamento unicamerale, detto Assemblea legislativa, e
un Presidente della Repubblica, eletto ogni quattro anni, a cui verrà assegnato il potere
esecutivo, entrambi da eleggere a suffragio universale maschile.

Nel dicembre del ‘48 vengono organizzate le elezioni per eleggere il nuovo Presidente della
Repubblica francese, in cui verrà eletto con più del 60% Carlo Luigi Napoleone
Bonaparte, nipote di Napoleone.
Luigi riesce a concentrare su di sé il voto dei cattolici, della borghesia e di artigiani e
contadini che temono il dilagare del socialismo (movimento politico noto nella prima metà
dell’800).
Luigi, dato il trascorso di suo zio, voleva che lo si chiamasse principe presidente, avendo
così altissime ambizioni.
In una nazione altalenante però ha paura di perdere il consenso e così il 2 dicembre del
1851 decide di organizzare un colpo di Stato sciogliendo il parlamento e facendosi
riconoscere un prolungamento dei suoi poteri per 10 anni tramite un plebiscito
(consultazione popolare, simile al referendum, con la quale sottopone una domanda al
popolo con diritto di voto).

Esattamente un anno dopo, il 2 dicembre del ‘52, si terrà un nuovo plebiscito che sarà
determinante poiché Luigi chiederà se il popolo fosse d’accordo a instaurare nuovamente
l’impero. Ottenendo così il consenso si ritornerà ad una monarchia.
Nasce così con Napoleone III il Secondo impero, per rimettere al centro della scena
geopolitica la Francia come aveva fatto Napoleone, che durerà dal ‘52/‘53 al ‘70.
Nella politica internazionale vuole essere l’ago della bilancia, mentre all’interno del paese
attua delle innovazioni soprattutto al livello urbanistico in cui incarica, fino al 1870, il
prefetto della Senna Haussmann di rivoluzionare l'assetto urbanistico di Parigi, difatti sarà
proprio lui che darà il volto alla Parigi di oggi che prima aveva un aspetto medievale.
Vengono quindi creati, sia per un motivo di ordine sociale e di sicurezza stradale, che per
dirigere meglio il traffico, i boulevards, strade strette divise in due carreggiate larghe circa 8
metri. Si creano così anche zone maggiormente verdeggianti. Vi furono inoltre
miglioramenti della rete fognaria, l’introduzione dell’illuminazione pubblica a gas e la
realizzazione della rete idrica.
Haussmann cerca così, salvaguardando anche l’estetica (i tetti dovevano avere una certa
pendenza, i lampioni un certo stile ecc.), di tenere Parigi al passo coi tempi.

Nel 1855 viene organizzata a Parigi una delle prime esposizioni universali dell’epoca. Nel
1889 si tenne un’altra famosissima esposizione: fu in questa circostanza che venne costruita
la torre Eiffel per celebrare la modernità, simbolo ancora oggi di Parigi. Inizialmente però
qualcuno fu contrario all’idea di lasciarla lì.
L’epoca dell’era urbanistica finirà con la caduta di Napoleone III nel settembre del ‘70 che, a
seguito della battaglia di Sedan che segnerà la disfatta dell’esercito francese contro quello
tedesco, verrà destituito.
Venne così nuovamente proclamata la Repubblica, la terza, quella attuale.
I governi saranno nuovamente governi borghesi. Il governo che aveva sede a Versailles
aveva a capo il conservatore Louis-Adolphe Thiers che era favorevole a una rapida
conclusione del conflitto.
Il 28 marzo 1871 si riaccendono i tumulti popolari contro i governi borghesi che si sono
imposti con il ritorno alla Repubblica; queste rivolte porteranno alla nascita della
“Comune di Parigi”, una specie di repubblica autonoma socialista. I provvedimenti della
Comune (cariche pubbliche elettive e revocabili, istruzione laica e gratuita, abolizione della
distinzione tra potere legislativo ed esecutivo) miravano a instaurare una democrazia diretta
che avrebbe dovuto dare vita a un sistema politico di stampo proletario e socialista.
Alla fine di maggio del 1871, tramite una violenta repressione dell’esercito, avviene però
l'eliminazione di questo organo e Parigi torna dentro la Francia repubblicana.
Dopo l’approvazione nel 1875 della nuova Costituzione, che concedeva ampi poteri al
Presidente della Repubblica, la Francia visse anni turbolenti, in cui a falliti tentativi di colpi
di Stato si alternarono riforme che allargano gli spazi della democrazia.

GRAN BRETAGNA
1837-1901 sono gli estremi del regno della regina Vittoria, periodo che prenderà il nome di
“età vittoriana”. Questo periodo sarà il momento di massimo splendore della Gran Bretagna
sia per quanto riguarda la politica interna sia per le questioni internazionali.
La produzione di carbone e ferro, la disponibilità di materie prime e risorse energetiche e
l’amministrazione di diversi territori, fecero sì che la Gran Bretagna fosse una grande
potenza economica.
Nel corso dell'Ottocento la regina assumerà il pieno controllo di una colonia produttiva,
ovvero l’India che era stata governata fino ad allora dalla compagnia delle Indie Orientali, di
cui diventerà imperatrice.
A livello interno si alternano al potere della Gran Bretagna governi conservatori e liberali: i
conservatori di Benjamin Disraeli cercheranno di tutelare gli interessi dei ceti benestanti,
mentre i liberali di William Gladstone affronteranno le questioni sociali come il diritto al
lavoro, la riduzione del sovraffollamento e il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie.
I conservatori erano più attenti all'economia, mentre i liberali cercheranno sempre di
eliminare le disuguaglianze sociali. Per esempio tra gli anni ‘60 e ‘70 dell'Ottocento
riusciranno ad aumentare la quota di aventi al voto dal 4% al 16% tramite il Reform Bill
approvato nel ‘67, e nel 1918 riuscirono ad ottenere un riconoscimento del voto alle donne
con più di 30 anni e sposate.
Disraeli e Gladstone si alternarono alla guida del governo, soprattutto a riguardo di due
questioni: le spinte indipendentiste dell’Irlanda a seguito delle riforme liberali, che
facevano pensare ai conservatori alla disgregazione dell’unione della Gran Bretagna, e la
questione sociale delle classi sociali inferiori. Quest’ultima fu oggetto di un ampio
programma di riforme riguardanti le abitazioni degli operai, l’igiene pubblica, i sindacati, le
fabbriche, l’istruzione.
La questione irlandese invece fu la causa della caduta del governo di Gladstone poiché fu
attribuita a lui la responsabilità di aver concesso troppa autonomia all’Irlanda che sarebbe
rimasta legata alla Gran Bretagna solo in caso di guerra.
I conservatori invece, contrari a ogni concessione di indipendenza agli irlandesi, ottennero
il consenso delle classi medie e dei ceti più ricchi.
Negli ultimi due decenni dell'Ottocento saranno però i governi dei conservatori a guidare la
Gran Bretagna poiché la lotta alle disuguaglianze dei liberali non piace ai ricchi, i quali
costituiscono la parte più prevalente del voto.
A partire dal 1905 i liberali riprenderanno il controllo del governo e sotto di essi, fino allo
scoppio della Prima Guerra Mondiale, verranno approvate molte riforme sia dal punto di
vista sociale ma anche dal punto di vista rivoluzionale. Nel 1906 viene approvata una legge
che riconosce la pensione all’anzianità e nel 1911 vengono previste assicurazioni per
malattia e disoccupazione.
Nel 1901 la regina muore e le succede il figlio Edoardo VII fino al 1910. Diventerà poi
nuovo re suo fratello minore Giorgio V, fino al 1936.

STATI UNITI
Nel 1823 nasce la dottrina Monroe, che era il 5° presidente degli Stati Uniti. Essa nasce
durante un discorso pubblico dove lui fissa delle linee decisive utilizzando la frase spot:
“L’America agli americani, l’Europa agli europei”.
Monroe è dell’idea che gli europei non dovessero intromettersi nelle questioni diplomatiche
che riguardavano il continente americano.
Lui inaugura un periodo che fino alla prima guerra mondiale prende il nome di
isolazionismo (necessità di creare lo stato forte dei padri fondatori), e che lo porterà ad
occuparsi solo delle questioni americane senza occuparsi delle campagne al di fuori.
Perché la dottrina Monroe? Le 13 colonie, a partire dalla prima metà dell’800, si
ingrandiscono sempre di più verso est. Processo durerà più o meno fino al 1890.
L’intento era quello di creare una confederazione di stati che unisse due oceani, tanto che
nel 1869, stesso anno della costruzione del canale di Suez in Egitto, costruirono la prima
ferrovia transcontinentale (vero simbolo dell’unificazione coast to coast).
Nel 1867 riusciranno ad ottenere l’Alaska che precedentemente apparteneva ai russi;
essendo a quel tempo la Russia uno stato che aveva bisogno di soldi accettò il denaro da
parte degli americani che a loro volta avevano molte disponibilità.
Le Hawaii sono le ultime ad entrare a far parte degli Stati Uniti nel 1890, che rappresentano
per gli Stati Uniti la porta per l’Asia.

A segnare la svolta espansionistica nella politica estera degli Stati Uniti sarà la guerra
ispano-americana nel 1898, scoppiata con l’intento di espandersi verso i Caraibi. Essa si
concluderà l’anno stesso con l’indipendenza di Cuba che diventerà stato satellite degli Stati
Uniti in quanto molto influenzato dal governo di Washington.
Nel 1901 gli Stati Uniti ottengono dalla Colombia l’autorizzazione ad iniziare i lavori per il
canale di Panama, in modo da riuscire a collegare facilmente l’Atlantico al Pacifico.
Nel 1903 il parlamento colombiano ritirerà però l’autorizzazione e gli Stati Uniti riusciranno a
far sviluppare una ribellione da parte dei cittadini di Panama, che successivamente diventerà
indipendente. Continua la costruzione del canale che finirà nel 1914.

Gli Stati Uniti passarono da Paese prevalentemente rurale a Paese urbanizzato, con la
nascita e lo sviluppo di numerose città: i mezzi di trasporto urbano consentirono la
creazione di quartieri residenziali (suburbs) per il nuovo ceto medio. Questo processo di
modernizzazione non fu però privo di gravi contraddizioni: gli strati sociali più bassi, i
lavoratori dell'industria e gli agricoltori, ne beneficiarono in misura molto ridotta e le loro
condizioni di vita rimasero estremamente disagiate.
Gli ultimi trent'anni dell'Ottocento avevano gettato le basi del primato mondiale degli Stati
Uniti, i cui tassi di sviluppo e di produzione superavano in molti settori ogni singola potenza
europea. Gli Stati Uniti dovevano però intraprendere una politica estera in grado di
contendere all'Europa il proprio ruolo. Negli anni Novanta si diffuse quindi l'idea che il Paese
dovesse individuare nuovi mercati esterni per i suoi prodotti e che dovesse cercare aree
privilegiate per non rimanere schiacciato dalle principali potenze europee. Ciò spinse il
governo a intraprendere una politica di riarmo navale, che nel giro di pochi anni rese la
marina militare degli Usa in grado di intervenire militarmente all'estero. A partire dagli anni
‘90 si definirono le due principali direttrici dell'espansionismo statunitense:
1. verso il controllo dell'intero continente americano, già in qualche modo anticipata dalla
«dottrina Monroe» del 1823;
2. verso l'Asia orientale e in particolare verso la Cina, anch'essa anticipata dall'espansione
commerciale dei decenni precedenti.

GUERRA DI SECESSIONE
Dal 1861 è il 1865 gli Stati Uniti saranno attraversati dalla guerra di secessione.
PREMESSA: Gli stati degli Stati Uniti abbracciavano due modelli di sviluppo differente a
seconda che fossero del nord o del Sud.
Gli stati del nord erano stati industrializzati, stati dove la rivoluzione industriale era
rimasta più presente. L'agricoltura c'era ma era molto meccanizzata.
Gli stati del sud avevano invece come voce portante l'agricoltura di piantagione, dove
grandi terreni appartenevano a pochi grandi proprietari. Qui l'agricoltura era poco
meccanizzata.
Si trattava dunque di economie e società differenti, che facevano emergere interessi sempre
più in conflitto tra loro. Uno di questi interessi contrapposti era rappresentato dalla
questione della schiavitù, poichè negli Stati del Nord i lavoratori erano salariati, mentre al
sud erano schiavi non pagati.
La Costituzione non proibiva lo schiavismo perciò quello che avveniva negli Stati del Sud era
lecito. Nel corso della prima metà dell'Ottocento però crebbe una maggiore sensibilità da
parte degli stati del nord che inizieranno ad approvare leggi contro lo schiavismo. Questo
movimento verrà chiamato movimento abolizionista.

Nel 1860 viene eletto presidente Lincoln, appartenente al partito repubblicano, un partito
progressista nato a metà 800, che difendeva gli interessi delle classi emergenti, della
borghesia urbana e aveva sensibilità anche per le classi minori. Questo partito si
differenziava dal Partito Democratico, che era un partito più conservatore.
All'inizio del 900 però con Theodore Roosevelt si invertiranno i ruoli.
Lincoln, divenuto presidente, con le sue idee minacciava gli interessi degli stati del sud e
così nel Dicembre del 1860 il South Carolina si staccò dagli Stati Uniti. Fu il primo stato a
dichiarare la Secessione. Nel febbraio del 1861 la seguiranno altri stati del sud come
l'Alabama, il Texas e la Florida.
Questi fonderanno uno stato parallelo, chiamato gli Stati confederati d'America, e
daranno inizio allo scontro tra la parte secessionista e quella unionista.
Il divario tra le due parti sembra annunciare un conflitto di breve durata, ma l’esercito sudista
riuscì a resistere per quattro anni e anche a infliggere gravi sconfitte alle truppe unioniste
grazie alla tecnica degli attacchi a sorpresa. A guidare gli stati del sud era il Generale
Robert Lee e a guidare quelle del Nord era Ulysses Grant.
La battaglia che segnò il declino del fronte sudista e l'ascesa dei nordisti è quella di
Gettysburg nel luglio del ‘63. Sarà una lenta riconquista che finirà solo due anni dopo.
Nell’aprile del ‘65 il congresso americano approverà Il tredicesimo emendamento che
abolì la schiavitù, mettendo così fine alla guerra di secessione.
Il 15 aprile del ‘65 Lincoln sarà a teatro e un fanatico del fronte sudista gli sparerà a
tradimento uccidendolo.
A sostituire il presidente fu il vicepresidente Johnson, un politico di origine sudiste messo in
quel ruolo da Lincoln per volontà di mediazione. Johnson tentò di preservare il potere delle
vecchie classi dirigenti del sud, scontrandosi con i repubblicani che tentarono, per la prima
volta nella storia degli USA, l'impeachment, ovvero la messa in stato d'accusa di una
persona che detiene un'alta carica pubblica allo scopo di provocarne la destituzione.
L’estromissione dal potere non fu approvata dal Senato, ma il nuovo presidente ne uscì
indebolito e prese forma il progetto repubblicano di ricostruzione radicale. Gli Stati del sud
furono posti sotto il pieno controllo del governo federale e subirono un regime di
occupazione militare per oltre 10 anni; inoltre grazie alla loro concessione del diritto di voto
gli ex schiavi, si formarono amministrazioni locali guidate da repubblicani che tentarono di
avviare la modernizzazione della società del sud. La schiavitù, nonostante fosse stata
abolita, continuerà sotto altre forme.

IL RAZZISMO
La culla del razzismo è l'Europa e a partire dal ‘700 circa in molti classificheranno le
popolazioni del mondo. La famiglia ariana è considerata la famiglia modello, quella da cui
prendere esempio.
L' 800 è il secolo di una nuova rivoluzione scientifica e industriale: nel 1859 un naturalista
inglese, Charles Darwin, pubblicò il libro “L'origine delle specie” in cui analizzò
l'evoluzione degli animali e dell'uomo. Ciò però non piaceva alla Chiesa, poiché toglieva
all’uomo il privilegio di essere una creatura perfetta, in quanto l’uomo è fatto a somiglianza di
Dio.
Darwin nel suo libro parlò anche di estinzione, altro punto che non piaceva alla chiesa
perché ammettere che una specie potesse estinguersi voleva dire che Dio non era stato
bravo a creare qualcosa, in quanto quello che costruisce Dio è duraturo.
Si parlerà di “darwinismo sociale” per cui della declinazione della teoria di Darwin per ciò
che riguarda la società. Essa prende dalle teorie di Darwin 2 elementi: la lotta per la
sopravvivenza e la selezione naturale, tramite la quale la natura porta avanti gli elementi
che meglio si adattano ad essa. Nel 1894 Alfred Dreyfus, ufficiale francese, fu condannato
alla reclusione e fu sospeso da ogni incarico militare perché lo accusarono di aver passato
documenti segreti ai tedeschi, che dopo la battaglia di Sedan vennero definiti acerrimi
nemici.
In realtà l’accusa era infondata, ma venne accusato per ragioni razziste dato che lui era
ebreo.
Nel 1898 Emile Zola riaprì il caso di Dreyfus con una lettera al presidente della Repubblica
francese denunciando apertamente il razzismo e la corruzione degli ufficiali generali francesi
che avrebbero indotto i giudici a decretare una condanna contro di lui. Questa lettera venne
pubblicata sui giornali e intitolata “J’accuse”.
Tra il 1906 e il 1907 Dreyfus riceverà la grazia del presidente che cancellerà la sua
condanna e lo reintegrerà all’interno della società francese.
IL SOCIALISMO
Il socialismo è un movimento politico che nasce con lo scopo di tutelare i lavoratori all’inizio
dell’800 e che nel corso del secolo darà vita ai primi partiti in senso moderno, con una
propria organizzazione e un proprio partito interno. Ad oggi viene considerato un
movimento di sinistra ma a quel tempo questi concetti ancora non si erano formati.
All’inizio è un socialismo utopistico, speranzoso di un mondo che non esiste e che voleva
stabilire l’uguaglianza tra i ceti sociali, senza discriminazioni.
È da una punta di scetticismo che verso gli anni ‘30 dell’800 muta il suo volto e diviene
scientifico, analizzando la realtà da un punto di vista economico, sociale e culturale
cercando sempre la certezza e non fantasticherie.

I maggiori esponenti sono due tedeschi benestanti: Friedrich Engels e Karl Marx.
Marx inizierà gli studi a Berlino, ma non finirà e inizierà a fare il giornalista. Verso la fine
degli anni ‘30 lui si trasferirà a Londra dove conoscerà Engels. In Germania fonderanno poi
un giornale. Negli anni ‘40 torneranno a Londra dove scriveranno a 4 mani una delle loro
opere più famose. Nel 1848 infatti uscirà “Il manifesto del partito comunista” che aveva
come motto “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Il socialismo che nascerà dopo prenderà
ispirazione da ciò che viene riportato in questo libro.
Una delle opere più importanti della filosofia marxista è “Il capitale” del 1867, che teorizza la
contrapposizione tra i borghesi capitalisti, che detengono i mezzi di produzione e che
danno la possibilità di produrre, e gli operai, i quali detengono la forza lavoro.
Marx sostiene che gli operai devono assumere coscienza della loro situazione di sfruttati, e li
incita a scontrarsi contro i capitalisti che li stanno sfruttando.
Marx sostiene che tutti i proletari debbano farsi valere e avviare una lotta di classe tramite
una rivoluzione operaia/proletaria.
L’obiettivo scientifico di Marx nel “Capitale” è di collettivizzare i mezzi di produzione e di
redistribuire la ricchezza creata dal lavoro sulla base dell’importanza del lavoro svolto. Il
socialismo di Marx è per l’abolizione della proprietà privata.
Nel 1864 punta ad un salto di qualità: Marx, insieme ad altri che si sono uniti a questo modo
di concepire il lavoro, fonda la prima internazionale, un'organizzazione che si propone di
riunire tutti coloro che a livello europeo e poi mondiale si riconoscono nel socialismo.
In occasione di ciò si sviluppa una minoranza guidata dal Russo Bakunin.
Marx vuole arrivare gradualmente all’obiettivo, mentre Bakunin è un radicale che vuole
sovvertire i due pilastri della borghesia, per cui lo Stato e la Chiesa, attraverso azioni
violente, ovvero gli attentati.
Bakunin sarà espulso dalla prima internazionale e molti furono gli attentati compiuti da
anarchici contro esponenti di case regnanti e personaggi simbolo.

Nel 1876 la Prima internazionale si sciolse perché lo stesso Marx riteneva che fosse ormai
uno strumento superato e pensava che fosse necessario puntare allo sviluppo di forti
organizzazioni socialiste nelle diverse nazioni.
Ci sarà, nel 1889, una seconda internazionale che segnerà il declino del pensiero
dominante marxista e l’avvento di un socialismo più rivoluzionario.
Il primo partito nacque nel 1875, col nome di partito socialdemocratico tedesco, ad oggi
chiamato SPD, e fu il primo partito politico moderno, dotato di una struttura organizzativa
articolata, chiare linee di indirizzo condivise e una propaganda sostenuta da giornali propri.
In Italia il primo partito socialista nasce nel 1892 a Genova, mentre nel 1921 a Livorno nasce
il primo partito comunista: ciò che li accomuna è che siano nati entrambi in città marittime
portuali, che rappresentavano un terreno più adatto a causa della sua composizione sociale
e della sua specificità dell’economia cittadina.

RUSSIA
La Russia dell’800 e quella fino alla fine della prima guerra mondiale era molto arretrata,
basata sull’agricoltura tradizionale che rimandava alla struttura feudale medievale. Ancora
esisteva la servitù della gleba, dove gli schiavi lavoravano alle dipendenze di qualcuno
senza nessun guadagno e con il minimo per sopravvivere.
Prima di potersi sedere con le grandi potenze la Russia doveva cambiare e favorire di più i
diritti civili. Proprio per questo motivo nel 1861 venne abolita dallo zar Alessandro II
(‘55-‘85) la servitù della gleba, per cui gli uomini diventarono liberi e in grado di possedere
qualcosa, come proprietà fondiarie. Ciò però avvenne a condizioni favorevoli ai proprietari
terrieri, i quali potevano vendere le proprie terre ai contadini decidendone il prezzo; facendo
nascere così un’altra forma di schiavitù. Alessandro II permise anche l’accesso alle scuole e
alle università ai giovani provenienti dalle classi inferiori, con l’esenzione per i meno abbienti
dalle tasse, e anche alle donne.

Ad Alessandro II succedette Alessandro III (‘85-‘94) a cui succederà Nicola II (‘94-1917).


Appartengono tutti alla famiglia dei Romanov, al potere dal ‘600.
Nicola II sarà uno zar molto autoritario, sotto il suo controllo la Russia subirà un’ondata di
industrializzazione e un rafforzamento dell’esercito.
Nel processo di industrializzazione il ministro delle finanze emanò un programma
economico basato sul protezionismo e l’afflusso di capitali stranieri da investire in opere
pubbliche.
Gli esiti furono scarsi ma il governo poté vantare la costruzione della ferrovia trans
siberiana, inaugurata nel 1901.

Nel 1904 ci sarà la guerra russo giapponese tramite la quale la Russia voleva espandersi
ad oriente, ma ne esce sconfitta.
Nicola II arriva a percepire molte ingerenze del suo consigliere Rasputin negli affari di Stato,
e proprio per questo decide di sbarazzarsene.
Nicola invita Rasputin a cena e nei suoi piatti dà ordine di metterci un’intera boccetta di
veleno. A fine serata lo zar nota che Rasputin stava bene e che il veleno non aveva fatto
effetto, ma era solo ubriaco. A seguito di questo dà ordine alle sue guardie di seguirlo e
fucilarlo.

Nel 1898 nasce il partito socialdemocratico russo e, durante il suo congresso nel 1903
vengono elette due correnti: la corrente menscevica e quella bolscevica. La corrente
maggioritaria fin da subito fu quella menscevica.
Il modo di concepire la lotta di classe era differente: i menscevichi sostenevano che per
ottenere privilegi per i lavoratori era necessaria una collaborazione con i borghesi mentre i
bolscevichi pensavano che i borghesi fossero il nemico.
La corrente bolscevica sarà l’origine della prima rivoluzione russa.
A San Pietroburgo nel 1905 i bolscevichi promuovono un’insurrezione, che Nicola secondo
cercherà di domare con l’esercito, cosa che non sarà facile poiché ramificata in molte città
russe. Nell’ottobre del 1905 Nicola II sarà quindi costretto a scendere a patti: acconsente
alla creazione di un’assemblea legislativa per avere una maggiore rappresentatività, che
però non ebbe molto potere in fatto di legislazione, chiamata la DUMA, che fu il primo
parlamento russo.
Nella gestione della DUMA si vede quanto autoritario fosse Nicola II. Viene eletto il primo
parlamento ma le maggioranze non piacevano allo zar che decide infatti di sciogliere la
DUMA. Questo avverrà anche una seconda volta.
Nel 1907 per la terza volta viene rieletto una DUMA con una composizione che piace a
Nicola secondo poiché ci sono elementi allineati alla sua volontà.

SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


A partire dalla metà degli anni ‘60 dell’Ottocento si inaugurò in Europa una nuova e
travolgente fase di sviluppo economico e industriale, chiamata dagli storici Seconda
rivoluzione industriale. Quest’ultima viene definita multipolare poichè si sviluppa
contemporaneamente nell'Europa centro-settentrionale e negli Stati Uniti.
Essa radicalizzò il cambiamento ormai nato da almeno un cinquantennio in ogni aspetto
della vita umana: dai modi di lavorare ai rapporti sociali e politici, dalla vita quotidiana alle
percezioni culturali. Alla base della Seconda rivoluzione industriale vi fu la trasformazione
tecnologica del processo produttivo, derivata dalle applicazioni di nuove scoperte
scientifiche alla produzione di beni e servizi.
La Prima rivoluzione industriale aveva avuto come propri simboli:
● il carbone come fonte energetica;
● il ferro come materiale da costruzione;
● l’industria tessile come settore di maggiore sviluppo;
● la macchina a vapore e il treno come principale innovazione tecnologica.
La Seconda rivoluzione industriale si caratterizzò invece per:
● l’elettricità come fonte energetica;
● l'acciaio come materiale da costruzione;
● l’industria chimica come settore di maggiore sviluppo;
● il motore a scoppio come principale innovazione tecnologica.
L’auto originariamente sarà una specie di carrozza, ma con il modello T di Ford subirà una
svolta importantissima poiché questo modello sarà concepito specificatamente per le masse
e non solamente per i ricchi. (primi decenni del 900)
Ford credeva fermamente nel benessere dei suoi operai perché un operaio che sta bene
diventa un consumatore. Riuscirà così ad ampliare il bacino dei suoi clienti creando un vero
e proprio stile di consumo.
Taylor completerà la rivoluzione di Ford in ambito di organizzazione scientifica del lavoro:
durante il processo produttivo non dovevano esserci tempi morti e introduce così una
diversificazione delle mansioni arrivando così a un’iperspecializzazione del lavoro.
La grande rivoluzione fu la catena di montaggio, un nastro trasportatore che faceva
arrivare il pezzo davanti al lavoratore così che potesse lavorarlo.

Inizia l’era elettrica: Con l’invenzione nel 1879 della lampadina a incandescenza di
Thomas Edison l’elettricità iniziò a illuminare prima le abitazioni private e poi gli spazi
pubblici cittadini. Nel frattempo, l’energia trova un suo utilizzo anche nei mezzi di trasporto,
con la realizzazione dei primi tram elettrici. L’elettricità cominciò poi a diffondersi come
fonte energetica a partire dagli anni ‘80: nel 1882 fu costruita negli Stati Uniti la prima
centrale elettrica, destinata a fornire energia alla città di New York; seguito poi da altri
paesi.
Le comunicazioni e la produzione industriale: Le prime applicazioni dell’elettricità
avevano riguardato la comunicazione dei messaggi, tramite l’invenzione e la diffusione del
telegrafo via filo di Samuel Morse, il cui brevetto fu depositato nel 1838.
Si trattava dell’inizio di una rivoluzione delle comunicazioni che, attraverso le invenzioni
del telefono (1871-76), della macchina da scrivere (1877), della radiotelegrafia
(1894-97), del cinema (1895) e poi della radiofonia, segnerà i decenni successivi.
Nelle fabbriche l’utilizzo dell’elettricità produsse un salto di qualità nei metodi e nei tempi del
lavoro, sollecitando nuove invenzioni che migliorarono i livelli di produzione e la quantità del
prodotto.

La nascita dell’industria chimica: La ricerca scientifica diede un contributo diretto


all’innovazione dell’intero settore industriale. Molti scienziati abbandonarono il loro ruolo
tradizionale, e diventarono imprenditori o si misero al servizio dell’industria.
In particolare grazie a questo rinnovamento nacque e si diffuse l’industria chimica. Molti
dei materiali che provenivano da essa cambiarono la produzione di altri settori industriali: a
questo proposito, due chiari esempi sono rappresentati dalla realizzazione delle prime fibre
artificiali nel settore tessile e dall’utilizzo delle gomme sintetiche per gli pneumatici che
contribuì a far nascere l’industria automobilistica. Di particolare rilievo furono inoltre lo
sviluppo della lavorazione dei coloranti artificiali e l’invenzione della dinamite.
L’importanza della chimica fu poi confermata anche negli sviluppi dell’industria alimentare,
con l’adozione di nuovi metodi per la sterilizzazione, conservazione e l’inscatolamento dei
cibi.

L’acciaio come simbolo dell’epoca: Nel settore della metallurgia furono scoperte tecniche
innovative di lavorazione del ferro, che consentirono la produzione di acciaio in grandi
quantità e a costi molto più bassi che nel passato. L’acciaio era molto più flessibile, leggero
e resistente del ferro e fu utilizzato in ogni campo: esso venne infatti impiegato tanto per la
costruzione delle nuove rotaie delle ferrovie e delle corazze delle navi da guerra, quanto per
quella degli utensili domestici, delle macchine industriali e delle strutture di grandi edifici e
ponti.

Il petrolio e il motore a scoppio: Durante la seconda rivoluzione industriale comparve un


nuovo combustibile: il petrolio, che permise di abbandonare l’uso del carbone. La grande
quantità di riserve si trovava in giacimenti profondi e il perfezionamento delle capacità per
raggiungerli fu all’origine, nella metà dell’800, della nascita di un’industria petrolifera negli
Stati Uniti. L’utilizzo del petrolio però restava ancora limitato ad alcuni ambiti, come quello
del riscaldamento, della lubrificazione e dell'illuminazione. A mutare radicalmente questo
scenario intervennero due elementi: da un lato, l’affermazione dell’industria chimica, per la
quale il petrolio diventò la principale materia prima da cui ricavare una grande quantità di
sottoprodotti; dall’altro, l’innovazione del motore a scoppio, per la cui alimentazione veniva
utilizzato un derivato più leggero del combustibile (benzina), che ne fece aumentare la
domanda.
Il motore a scoppio fu un’altra delle grandi innovazioni della seconda rivoluzione
industriale. I primi prototipi erano stati realizzati tra gli anni ‘50 e ‘60, ma solo negli anni ‘80 si
arrivò a realizzare motori sufficientemente piccoli, potenti e flessibili in grado di sostituire in
poco tempo la vecchia macchina a vapore.
Il progresso della medicina: Ci fu una diffusione delle nuove teorie igieniche adottate per
introdurre pratiche di prevenzione e di contenimento delle malattie. Fu promossa la
canalizzazione delle acque di scarico all’interno delle abitazioni e dei quartieri delle
città. Nello stesso periodo i progressi della chimica consentirono di realizzare l’estrazione
di sostanze curative, capaci di reagire sui processi fisiologici. La farmacologia produsse
così sostanze anestetiche fondamentali per le operazioni chirurgiche. Infine, grazie
all’ingegneria sanitaria si arrivò a una trasformazione dei luoghi in cui il malato doveva
essere osservato e curato: nacquero così grandi policlinici, ospedali organizzati in diversi
reparti sulla base delle varie specializzazioni mediche chirurgiche.

GERMANIA
A seguito del congresso di Vienna nel 1815, nasce la “confederazione germanica”,
costituita da Stati germanici che mantengono la loro autonomia. In essa vi sono anche le
due protagoniste dell’800: la Prussia, il regno più grande della confederazione; e l’Austria,
comprendendo solo la parte di lingua tedesca.
All’inizio degli anni ‘30/40 si iniziò a parlare di unificazione sotto un unico Stato, e a
seguito di esso sorsero tre modelli di unificazione:
1) la grande Germania, che pensava di riunire gli Stati tedeschi inglobando anche
l’Austria, e quindi di avere confini corrispondenti a quelli della confederazione. Essa
risentiva molto delle spinte austriache.
2) la piccola Germania, che non preveda l’Austria nell’unificazione. Essa risentiva
delle spinte prussiane e mirava a privilegiare un’identità comune e ad estromettere
tutti i territori all’interno dei quali la maggioranza della popolazione non era di origine
tedesca.
3) la Terza Germania, che voleva restituire un unico grande stato federale. Si trattava
di una posizione concepita dagli Stati più piccoli per tutelare la loro posizione e non
diventare quindi sudditi dei due stati più grandi.
Il modello vincente sarà quella piccola Germania.

Nelle file della borghesia emergente si manifestò il desiderio di una libera circolazione di
merci all’interno dell’area. Cominciarono a nascere delle leghe che miravano all’abolizione
delle frontiere doganali fra i singoli regni.
La Prussia lavora in direzione di una piccola Germania: nel 1834, per esempio, crea
un'unione doganale chiamata Zollverein, coinvolgendo anche 18 Stati tedeschi e creando
uno spazio commerciale comune che anticipò l’unione politica della Germania.
Essa rappresenta il principio di unificazione dal punto di vista economico e stabilisce
l’abolizione dei dazi interni e regole comuni sulle imposte esterne.
Nel ‘49 anche l’Austria chiede di entrare, per ottenere vantaggi sul piano commerciale, ma la
Prussia glielo impedisce.

Tutti i principati tedeschi parteciparono alla conferenza di Dresda nel 1850 che confermò la
situazione precedente, ovvero nessuna soluzione unitaria era ancora in vista.
La Prussia, così come il regno di Sardegna, non aveva cancellato la Costituzione concessa
nel 1848 che prevedeva il suffragio universale ma favorendo gli elettori più abbienti. Il voto
del parlamento prussiano aveva valore vincolante solo sulle questioni fiscali e adesso dal
1854 fu affiancata una camera dei signori di nomina regia.
Nel 1861 diventa re di Prussia Guglielmo I che avviò un’azione di ammodernamento e di
ampliamento dell’esercito: i costi delle riforme lo fecero però entrare in conflitto con i
liberali maggioritari nel parlamento, contrari a nuove spese militari. Grazie a questo riuscì
però a sconfiggere due delle maggiori potenze europee, Austria e Francia, assicurandosi
una superiorità militare.
Guglielmo I nominò come cancelliere Otto Von Bismarck e fu grazie a lui che nel 1871 la
Germania raggiunse l’unificazione.

Bismarck era un esponente del ceto degli Junker, fortemente conservatori. Sarà
soprannominato “cancelliere di ferro” essendo lui molto autoritario poiché scavalcava
anche le decisioni del Parlamento. Viene ricordato come il padre dell’unificazione tedesca,
e sarà in carica fino al 1890. Bismark sostenne una politica dinamica che fu chiamata real
Politik, una politica tesa ad accrescere la potenza della Prussia e a realizzare i suoi
interessi anche in maniera spregiudicata. Bismark ottenne l’appoggio della borghesia
imprenditoriale, protagonista dei moti del ‘48 e i cui rapporti con la monarchia erano
sempre stati improntati a freddezza. Si venne così a creare una convergenza tra interessi
della grande borghesia imprenditoriale e quelli del ceto conservatore del junker: ad
accomunarli fu l’appoggio alla politica di potenza promossa da Bismarck e alla sua forte
volontà di procedere all’unificazione e la Germania sotto la guida della Prussia.

Le guerre d’indipendenza sono 3, più rapide delle tre italiane:


● la prima, del 1864;
● la seconda, del 1866;
● la terza, del 1870.

Prima guerra d’indipendenza


Si svolgerà contro la Danimarca: Bismarck formerà una coalizione con l’Austria, facendo
creare così un vuoto di potere sul trono di Danimarca. Si presentò così l’occasione di
attaccare.
Ciò che vogliono conquistare sono i ducati fino al fiume Elba, quello dello Schleswig,
Holstein e del Lauenburg. Con questa guerra Austria e Prussia metteranno insieme questi
ducati settentrionali, li conquisteranno e lo controlleranno in maniera collegiale tra loro.

Seconda guerra d’indipendenza


Il nemico della Prussia è l’Austria, ex alleata. Nello stesso anno avvenne la terza guerra
d’indipendenza italiana. L’imperatore di Francia Napoleone III convinse la Prussia e l’Italia a
siglare un accordo: esso prevedeva che, nel caso la Prussia dovesse avere bisogno di un
intervento militare per la sua guerra, l’Italia interverrà. L'interesse di Napoleone III era
quello di indebolire l’impero austro-asburgico.
L’Italia già sapeva che sicuramente sarebbe dovuta intervenire contro l’Austria: ciò che
l’Italia otterrà da questo accordo sarà il Veneto.
A maggio (l’accordo era stato firmato ad aprile) verrà mobilitato un esercito gigante contro
l’Austria: sarà l’inizio di una guerra lampo. La battaglia definitiva si terrà a Sadowa (Boemia)
il 3 luglio.
A vincere saranno la Prussia e l’Italia: questa guerra durerà così poco perché l’impero
austriaco si trovò chiuso a nord dalla la Prussia e a sud dall’Italia. l’Italia creerà un fronte
indebolendoli proprio vicino al Veneto.
L’Italia otterrà il Veneto e di conseguenza Venezia. La Prussia otterrà i ducati che erano stati
sotto il controllo di Prussia e Austria fino a quel momento. Questi ducati verranno annessi
alla Prussia in modo da poter unire la Prussia orientale a quella occidentale, creando un
unico grande territorio prussiano.
Durante la guerra si schiereranno anche dei principati tedeschi (annessi con la pace di
Praga, 1867): gli Hannover, i Nassan e gli Assia.
Questi territori prenderanno il nome di Confederazione germanica del nord.

Dal punto di vista istituzionale la confederazione poteva contare su un parlamento diviso in


due camere: il Bundesrat, formato dai rappresentanti di ciascuno Stato in rapporto alla
popolazione, e il Reichstag, eletto a suffragio universale e a voto segreto che non poteva
sfiduciare il cancelliere a cui era affidato il potere esecutivo.
Gli eserciti dei vari Stati furono unificati e posti sotto la guida del re di Prussia. Grazie
all’abolizione dei dazi, delle frontiere interne e all’unificazione delle valute e delle
norme che regolavano il commercio, la confederazione del Nord si rivelò un forte Volano per
l’economia e iniziò ad attrarre anche i principati del sud rimasti indipendenti.

Terza guerra d’indipendenza


La tensione tra Francia e Prussia iniziò a crescere fino a precipitare in occasione di una crisi
dinastica in Spagna, con la quale nel 1868 la regina Isabella II era stata costretta all’esilio
da una congiura militare. I rivoltosi offrirono la corona a un ramo della famiglia reale
prussiana: Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen. Ciò era inaccettabile per Napoleone
III, che chiese un’esplicita rinuncia da parte della Prussia a qualsiasi candidatura anche
futura al trono di Spagna. Il 12 luglio Guglielmo I respinse la richiesta con il “dispaccio di
Ems” (dalla località termale dove l’episodio ebbe luogo). Lui fu manipolato da Bismarck
affinché a Parigi suonasse come una provocazione. Il 19 luglio del 1870 la Prussia dichiara
guerra alla Francia: anche questa guerra durerà poco perché la Germania voleva annettersi
i territori dell’Alsazia e della Lorena.

Il 1 settembre 1870 avviene la battaglia di Sedan, dove Napoleone III e 100.000 soldati
francesi vennero imprigionati. La Francia a partire da Parigi venne sottoposta a occupazioni
militari, tanto che il 18 gennaio 1871, in una Francia ormai Repubblicana, all'interno della
sala degli specchi del palazzo di Versailles, Guglielmo I si proclama imperatore del secondo
Reich formato da 25 Stati. Il Secondo Reich non esercitò una vera e propria dominazione
continentale, come temevano soprattutto Francia e Gran Bretagna, ma l'azione del suo
cancelliere lo portò a diventare il baricentro degli assetti
geopolitici.
Il 10 maggio con la pace del ‘71 la Francia cede l’Alsazia e la Lorena.
Tutto questo innescherà un sentimento anti tedesco detto revanscismo che viene da
“revanche” (rivincita), che si protrarrà fino alla prima guerra mondiale quando la Francia si
riapproprierà di Alsazia e Lorena.
La Germania ingloberà anche l’attuale Germania meridionale, ovvero la Baviera e
Gutemberg.

La germania unita era una monarchia federale, costituita da diversi stati e da un potere
centralizzato. Quella della monarchia federale fu una scelta obbligata perché i vecchi
principati e ducati non avrebbero accettato di perdere tutti i loro poteri.
Bismarck fu ispiratore del “patto dei tre imperatori”, siglato nel ‘73 da Austria, Germania e
Russia, che impegnava le tre potenze a cercare soluzioni diplomatiche per eventuali crisi
internazionali.
Dal punto di vista della politica economica Bismarck favorì la liberalizzazione dei
commerci, e utilizzò le somme dell’indennità di guerra francese in investimenti produttivi. Ad
essere protagoniste di questo processo di industrializzazione tedesco furono le “banche
miste”, sia di risparmio che d’investimento, e l’azione statale, parlando quindi di
un’industrializzazione “dall’alto”, differente da quella inglese che partì dai privati, e che puntò
a investimenti in armamenti e ferrovie. Lo sviluppo industriale tedesco si basò
principalmente sull’industria pesante (meccanica e siderurgica) e su quella chimica.
A sostenere questo grande sviluppo furono la grande disponibilità di materie prime e l’alto
grado di istruzione dei cittadini, che facilitò l’iniziativa imprenditoriale aumentando la
preparazione del personale tecnico, grazie alle numerose università e centri di ricerca.
L’agricoltura venne modernizzata grazie ai nuovi macchinari, aumentando così la
produzione, e vennero introdotte nuove politiche protezionistiche, che favorirono gli
imprenditori, non scoraggiando gli investimenti.

A livello di politica nazionale erano presenti 3 diversi schieramenti:


● tradizionale, per cui della vecchia classe politica, composto da conservatori (destra)
e liberali (sinistra)
● cattolico, con al centro un partito cattolico chiamato Zentrum (centro)
● socialista, con il partito socialdemocratico tedesco, nato nel 1875
In un primo momento (1871-1878) Bismarck sarà contro i cattolici, ritenuti come una
minaccia per l’unità del paese poiché dividevano forze moderate e liberali: al nord
prevalevano i protestanti, mentre a sud i cattolici. Si arriverà, tra il ‘73 e il ‘75, all’emanazione
di una serie di leggi (Kulturkampf) volte a limitare l’attività della chiesa: verranno ritirati tutti i
sussidi che lo stato dava alla chiesa, verranno sciolti tutti gli ordini religiosi, verrà introdotto il
matrimonio civile in alternativa al religioso, e verrà esercitato un maggiore controllo sulle
scuole religiose. Un altro motivo di questo scontro fu il fatto che Bismarck era protestante.
Questi provvedimenti portarono però all’effetto contrario: i cattolici aumentarono i loro
consensi e nel 1878, tramite le elezioni, videro aumentare il numero dei loro deputati.
Dal 1878 nelle mire di Bismarck entreranno i socialisti: esso inizierà a vietare tutte le attività
del partito socialdemocratico tedesco, tramite la Legislazione Antisocialista, e anche le
attività dei sindacati amici del partito. Ciò costrinse il movimento operaio ad una sorta di
semiclandestinità.
Bismarck era convinto che per risolvere la questione sociale non erano necessarie le
repressioni, e per dimostrarlo decise di varare nel Reich una legislazione sociale volta a
dimostrare agli operai che potevano fare a meno del socialismo. Furono così introdotti un
sistema previdenziale e le assicurazioni obbligatorie per i dipendenti.

Sul piano estero Bismarck aveva tre obiettivi:


● tenere la Francia nell’isolamento diplomatico, a seguito della loro pericolosità per un
sentimento di rivincita dovuto alla sconfitta nella terza guerra d’indipendenza
● evitare una guerra su due fronti contro Francia e Russia contemporaneamente
● creare una rete diplomatica tra gli stati europei che avesse come centro proprio la
Germania

Esempi di crisi internazionale con la Germania protagonista:


● 1875 scoppiano delle ribellioni in Bosnia Erzegovina, che si diffonderanno poi in
bulgaria, appartenente all’impero ottomano (turchi)
● 1877 la russia, interessata ai Balcani (dove c’era la Bulgaria), dichiara guerra
all’impero ottomano
● 1878 chiudono la guerra con una pace, che prevedeva la nascita di un nuovo stato
indipendente, la Bulgaria, succube però della politica Russa
Questo accordo non venne molto gradito dalle potenze europee come Vienna e Londra che
avevano interessi nei Balcani. (Balcani = Adriatico fino alla Grecia)
In più non piaceva che fosse stato preso bilateralmente tra Russia e impero ottomano.
La Germania quindi cercherà di trovare un compromesso convocando nel 1878 il
congresso di Berlino assieme alle principali potenze europee.
Durante il congresso si stabilisce: la nascita della Romania che ridimensiona la grandezza
della Bulgaria; la nascita del Montenegro; e la cessione della Bosnia ed Erzegovina
all’impero austro-ungarico, la quale mantiene peró la sua indipendenza. Con essa l’impero
austro-ungarico consolida la sua posizione nei Balcani.
La conferenza di Berlino 1884-85 è importante perché durante essa avviene la spartizione
dell’Africa tra le diverse potenze europee.
Nello stato tedesco, tutto cambia nel 1890 quando diventa kaiser (imperatore) Guglielmo II,
che deciderà di non rinnovare a Bismarck la nomina di cancelliere. Questo perché i due
avevano linee politiche diverse: Bismarck era per un equilibrio europeo, mentre Guglielmo II
era di linea "weltpolitik" ovvero favorevole a una politica mondiale, non volendo più che la
Germania fosse l’ago della bilancia Europeo, ma che diventasse una grande potenza
mondiale, adottando così una politica estera tedesca più aggressiva.
Per fare ciò aveva però bisogno di trasformare la Germania dal punto di vista militare,
investendo molti soldi nella flotta tedesca poiché la potenza che dominava il mare dominava
il mondo. La Germania avrà quindi uno scontro con la Gran Bretagna, la quale era la
potenza che dominava il mare.

L'Europa degli inizi del Novecento era attraversata da forti tensioni: esistevano diverse
grandi potenze, nessuna delle quali era in grado di sottomettere le altre. Molti Paesi europei
tendevano sempre più al nazionalismo, con cui l’idea di nazione si era rafforzata ed era
stata utilizzata per integrare le masse popolari e attenuare i conflitti tra le classi sociali, e
adottavano politiche aggressive testimoniate dalla corsa agli armamenti e
dall'organizzazione di blocchi di alleanze contrapposte: la Triplice intesa (tra Francia,
Regno Unito e Russia) e la Triplice alleanza (tra Austria-Ungheria, Germania e, come
potenza minore l’Italia).
Motivo di ulteriori tensioni fra le potenze europee furono i domini coloniali, in particolare la
contesa tra Francia e Germania per il controllo del Marocco, uno dei pochi Stati africani
ancora indipendente.
Le crisi marocchine sono 2:
Prima crisi marocchina 1905: in Marocco c’era il sultano che fu afflitto da una crisi
economica; il popolo si rivoltò al sultano facendo nascere ribellioni che egli faticò a
reprimere. La Francia mandò a Fez una missione diplomatica con l’obiettivo di prendere
contatti con i capi dei rivoltosi e rovesciare il governo del sultano.
Guglielmo II però, non avendo molti terreni, era interessato al Marocco senza però dover
rovesciare l’impero del sultano per conquistarlo. Egli per cui andò direttamente a Tangeri
per incontrare il sultano: incombe il rischio di una guerra tra Francia e Germania. Per
evitarla, nel 1905 ad Algeciras venne convocata una conferenza per gestire la crisi
marocchina; ad appoggiare la Germania c’era solamente l’impero austro-ungarico mentre
tutti gli altri paesi appoggiavano la Francia. La Germania dovette quindi rinunciare alle sue
pretese sul Marocco e nel 1909 fu stipulato un trattato in cui la Germania si impegnò a non
interessarsi più alle questioni marocchine.

Seconda crisi marocchina nacque perché la Francia mandò in Marocco l’esercito; ciò non
disturbò soltanto la Germania ma anche la Spagna che aveva Ceuta, un territorio
marocchino. Guglielmo II mandò così una flotta armata lungo la costa nella baia di Agadir.
Si misero a tavolino e trovarono un accordo: la Germania accettò di rinunciare al Marocco e
di riconoscere il protettorato francese, ovvero che il Marocco dovesse stare alla volontà della
Francia. Guglielmo II invece ottenne una parte del Congo (colonia francese in Africa).
————-
Causata anch’essa dalle ambizioni coloniali di una potenza europea fu la Guerra Italo-turca
per la Libia (1911-12) che si concluse con un successo dell’Italia.

IMPERO AUSTRO-UNGARICO
A partire dal 1848 a governare era Francesco Giuseppe. Quest’ultimo incise molto sulla
storia europea perché sarà imperatore per un periodo molto lungo, dal 1848 al 1916, quando
morirà. Era un gentiluomo, sempre in divisa, con al suo fianco una bellissima principessa, la
principessa Sissi.
Dalla metà dell’800 si iniziò a considerare Vienna una città viva dal punto di vista culturale:
qui nascerà la secessione viennese, nata da Klimt.

A seguito delle guerre del 1848/‘49, che avevano fatto perdere all’Austria il suo ruolo
centrale nella scena internazionale, si dotò di un governo molto autoritario che durò fino al
1859: la figura dominante fu quella del ministro dell’interno Alexander Von Bach. La
costituzione promulgata nel 1849 fu sospesa già nel 1851, mentre il nuovo concordato con
la Chiesa cattolica consacrava un’alleanza molto stretta fra trono e altare, con un maggiore
controllo da parte della Chiesa sull’istruzione e sulla censura.

Non fu invece revocata la legge che aveva abolito la servitù della gleba, favorendo la
diffusione della piccola e media proprietà contadina. Nello stesso periodo alcune riforme
furono dirette a favorire lo sviluppo industriale, che però rimase inferiore a quello delle grandi
nazioni europee. Questo fu dovuto a l’ingente spesa pubblica, grazie al peso degli apparati
burocratici e ai costi sostenuti per le numerose guerre.

Dopo la sconfitta del 1859 fu avviata una politica di decentramento, aumentando le


autonomie locali, con lo scopo di integrare le tante nazionalità che costituivano l’impero.
Furono quindi create delle assemblee nazionali, dette diete, con ampi compiti, e venne
istituito un Consiglio dell’impero, un organo consultivo composto dai delegati delle diete
che aveva facoltà di deliberare in materia fiscale. Nel 1861 Francesco Giuseppe
ridimensionò queste libertà.
Ciò che avrebbe portato alla crisi dell’impero era il rapporto tra la classe dirigente e la
mescolanza di popolazioni che viveva nei suoi confini.
Nel 1867 Francesco Giuseppe, cedendo alle insistenti richieste degli ungheresi, concede
loro uno statuto autonomo tramite l’“Ausgleich” (compromesso), creando un impero a sé
stante dove la figura principale era comunque il sovrano. Il regno comprendeva l’attuale
Ungheria, la Slovacchia, e alcuni territori balcanici.
L’unità dell’impero era garantita dal fatto che Francesco Giuseppe rappresentasse nella sua
persona entrambe le corone; inoltre i principali ministeri del governo (guerra, esteri e
finanze) rimasero comuni, vincolando i due imperi da un’Unione doganale. A renderli due
stati autonomi erano una propria Costituzione, un proprio Parlamento e un proprio Governo.

L’Austria però negli anni ‘60 perse non pochi territori: con la concessione che fa all’Ungheria
continuare a chiamare l’impero austro-asburgico era sbagliato, poiché asburgico fa
riferimento solo all'Austria: quest'ultimo prenderà quindi il nome di austro-ungarico,
riferendosi alla popolazione tedesca (austriaci) e alla popolazione magiara (ungheresi). La
questione delle nazionalità rimase comunque irrisolta poiché le popolazioni slave erano
subordinate da tedeschi e ungheresi, che cercarono di imporre la propria lingua e la propria
cultura ai popoli sotto il loro controllo provocando malcontento e scatenando la diffusione di
sentimenti nazionalisti, che puntavano alla riunificazione degli stati Slavi del Sud (serbi,
bosniaci, macedoni, croati, sloveni), appoggiati dalla Russia, definita da loro come
protettrice.
La Boemia e l’Austria si dirigevano verso una sviluppo industriale, mentre nell’Ungheria
prevaleva l’agricoltura organizzata nel latifondo.

Fino al ‘59 l’impero asburgico controllava anche parte della Lombardia, ma la perderà,
mentre nel 1866 perderà anche il Veneto, che faceva parte della zona più modernizzata.
Di fronte a queste perdite dovette per forza riconoscere autonomia all’Ungheria perchè era
troppo rischioso ignorare le loro richieste perché temeva delle rivolte, perché essendo essa
nel centro dell’impero asburgico e si sarebbe creata una disgregazione dell’impero.
Cecco Beppe accontentò gli ungheresi: loro rappresentavano le etnie più consistenti mentre
gli italiani rappresentavano la parte minoritaria, che risultavano solo dalla parte del Trentino.
La parte di Bolzano ancora oggi la chiamano Sud tirol e apparteneva alla Germania.
Questo impero comprendeva molti stati moderni come parte dell’Italia attuale, la Slovenia, la
Croazia, la Serbia, l’Albania, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Romania, l’Ucraina e la
Moldavia.

Nel ‘67 però, accontentando gli ungheresi, scontenterà tutte le altre etnie, soprattutto i serbi,
che causeranno la Prima guerra mondiale.
L'impero austro-ungarico sarà un impero con molte divergenze culturali e linguistiche: Cecco
Beppe cercherà quindi di creare alleanze internazionali che potranno dare stabilità.
Nel 1873 l’impero accettò di aderire alla lega dei 3 imperatori, voluta da Bismarck, che
riunirà Germania, Austria e Russia. Già negli anni ‘80 questa lega si scioglierà e nell’82 si
creerà la Triplice alleanza, con l’entrata dell’Italia e l’uscita della Russia.

ITALIA
Dopo l’unità italiana del 1861, non facevano ancora parte dell’Italia: Trentino, Friuli, Veneto e
Lazio. Lo Stato pontificio diventa italiano nel 1870 (anno della battaglia di Sedan). Il 20
settembre, i bersaglieri entreranno a Roma, nei pressi di Porta Pia, e colpiranno la capitale
conquistando tutto lo Stato Pontificio e facendo diventare Roma capitale. Prima di Roma, la
capitale era Torino che però era troppo legata al vecchio regno di Sardegna; il nuovo Stato
aveva necessità di identificarsi con una città che ne rappresentasse sia il Nord che il sud.
Nel 1864 ci fu la convenzione di settembre con la quale l’Italia si impegnava a tutelare il
possesso papale di Roma e a trasferire la capitale da Torino a Firenze. Tale trasferimento
provocò a Torino una protesta, repressa dall’esercito che sparò sulla folla uccidendo una
cinquantina di dimostranti. Pio IX pubblicò il sillabo, un documento in forma di elenco degli
80 principali “errori” del mondo moderno. Tra essi figuravano il liberalismo, il razionalismo, il
socialismo, l’uguaglianza delle religioni di fronte alla legge, la separazione tra Chiesa e Stato
e la negazione della sovranità temporale del pontefice.

Alla vigilia della guerra austro-prussiana il cancelliere Bismarck offrì al governo italiano
un’alleanza militare che venne subito accettata poiché in caso di vittoria della Prussia l’Italia
avrebbe acquisito il Veneto, malgrado le gravi sconfitte a Custoza e sull’isola di Lissa.
L’acquisizione italiana del Veneto non avvenne direttamente ma tramite la mediazione della
Francia, a cui venne formalmente ceduto il Veneto e che si impegnò a trasferirlo all’Italia. Il
modo in cui venne acquisito fu recepito dall’opinione pubblica come un’umiliazione e, a
salvare l’onore degli italiani fu Garibaldi, che sconfisse le forze austriache a Bezzecca, in
Trentino.
Trentino, Istria e Friuli rimasero fuori dall’Italia fino alla fine della Prima guerra mondiale.

L’italia dell’epoca era un paese prevalentemente contadino e la maggior parte dei suoi
abitanti viveva nei piccoli centri, nonostante le città fossero numerose. Nonostante
l’agricoltura produceva il 60% della ricchezza, la maggior parte dei contadini viveva in
condizioni pessime. Le loro abitazioni erano di pochi metri cubi, spesso condivise con
animali utilizzati per i lavori agricoli. L’economia agricola si basava spesso
sull’autoconsumo e sullo scambio diretto dei prodotti.
Solo nella Pianura Padana erano attive imprese agricole moderne che univano la
coltivazione all’allevamento e in cui i proprietari prestavano attenzione all’innovazione
tecnica, e utilizzavano la manodopera salariata. Nell'Italia centrale prevaleva la mezzadria,
un sistema che però non favoriva gli investimenti e l’introduzione di innovazioni tecniche,
rendendo poco competitivo il settore agricolo.
Nel resto del territorio prevaleva invece il latifondo, per cui grandi estensioni di territorio
spesso di proprietà nobile adibite a colture di cereali.
Si profilava quella che sarebbe stata chiamata questione meridionale. Tuttavia, i problemi
del Sud non furono mai affrontati in maniera strutturale; ci si limitò a provvedimenti
straordinari, come la creazione di alcune aree industriali, alcune opere pubbliche e leggi
speciali per le aree più depresse.

Quando si parla di Italia unita si fa riferimento a tre periodi:


1. liberale
2. fascista
3. repubblicano
Il periodo liberale si può a sua volta dividere in tre periodi:
1. destra e sinistra storica (1861-1867);
2. età crispina (1887.1896);
3. età giolittiana (1900-inizio guerra)
Tra il 1896 e il 1900 ci furoni governi transitori guidati da personalità insignificanti.

1861-1887 saranno gli anni della destra e della sinistra storica.


Quest’ultimi sono schieramenti di liberali di varia sensibilità politica: i liberali più
conservatori caratterizzeranno i governi della destra storica, mentre i liberali più
progressisti rappresenteranno i governi della sinistra storica. I due avevano interessi
diversi: i liberali conservatori attingevano a un bacino di elettorato concentrato nelle regioni
del sud italia, regioni prevalentemente agricole dominate ancora dai latifondi; i liberali
progressisti godevano di più sopporto nel nord italia, soprattutto in Lombardia, Piemonte e
Liguria, regioni che dopo la seconda guerra mondiale saranno soprannominate triangolo
industriale.
La destra storica governerà dal 1861 al 1876, mentre la sinistra storica dal ‘76 all’87.
Gli esponenti della destra storica erano per lo più appartenenti a ceti più elevati e,
nonostante amministrassero con rigore morale, mostreranno una grande insensibilità
rispetto alle tradizioni e alle culture di un paese molto eterogeneo. Esso era espressione di
un elettorato molto ristretto dato che potevano votare solamente mezzo milione di cittadini
maschi, selezionati su base censitaria, dei quali solo il 50% andava a votare.
Il suo obiettivo era quello di fare dell’Italia una nazione in grado di competere con le altre
potenze europee: nel giro di un decennio si trovarono però a dover affrontare due grandi
problemi, rappresentati dagli investimenti e dal pareggio di bilancio.
All’italia unita occorrevano infrastrutture, come strade, scuole e ferrovie: la destra storica
sosteneva che a doversi far carico di queste spese fosse lo Stato, che aveva però ancora da
coprire le spese della guerra d’indipendenza, ritrovandosi quindi con un debito pubblico
altissimo. Questo portò ad una crisi statale, aggravata anche dal fatto che la destra storica
volesse a tutti i costi realizzare il pareggio di bilancio così da consolidare l’immagine italiana
in campo internazionale.

La destra storica si dovrà confrontare con le necessità di una nazione appena nata a
seguito dell'unità d’italia: era necessario dare una struttura legislativa e normativa a tutto il
territorio nazionale. Per questo sceglierà un sistema amministrativo di tipo centralista. Negli
anni ‘60 la destra storica pubblicherà vari codici (raccolta di articoli vincolanti su vari
questioni): il codice penale, il codice di procedura penale, il codice commerciale e il
codice marittimo.
Continueranno però a esserci moltissime divergenze tra territori: per esempio molti erano
discordanti sulla pena di morte (ducato di toscana primo ad abolirla nel 1786). Con
l’unificazione italiana solo la Toscana mantiene l’abolizione della pena di morte: con
l’obiettivo di uniformare la legislazione nazionale, in ogni area del regno d’italiano si
stabilisce che la legge fondamentale fosse lo statuto albertino, la costituzione del regno di
Sardegna retto dai Savoia, che la prevedeva. Verrà abolita in tutta Italia solo nel 1889, fino
all’epoca fascista.

Come primo provvedimento, a destra storica nel 1861 fa il primo censimento della
popolazione italiana: questo fa emergere che il 78% della popolazione italiana sopra i 5
anni non sa né leggere né scrivere, quindi è analfabeta. Fu un dato importante perché la
legge elettorale adottata era basata su criteri censitari (reddito), ma anche su criteri
“capacitari”. Con questo solo il 2% della popolazione aveva diritto al voto. (nel 1900 ancora
il 56% della popolazione era analfabeta, piaga che richiederà molto tempo)
I governi della destra storica, per arginare questo problema, nel 1861 ricicleranno una legge
sulla scuola in vigore nel regno di Sardegna: era la legge Casati del ‘59, che prevedeva
l'obbligatorietà e la gratuità del primo biennio di scuola elementare. I maestri dell’epoca però,
a seconda della regione, parlavano essi stessi in dialetto: questo contribuì molto ad
allungare il processo di alfabetizzazione. Per quanto riguarda l’istruzione superiore
potevano accedere all’università solo coloro che avevano frequentato il liceo, e quindi i figli
dei ceti privilegiati.
Nello stesso anno un importante provvedimento fu la legge Rattazzi che rafforzava nelle
province piemontesi le prerogative del potere centrale. Le leggi di unificazione del 1865
confermarono questa tendenza: i consigli comunali venivano eletti su una ridottissima base
censitaria e i sindaci venivano nominati dal re. Il perno di questo modello amministrativo fu il
prefetto, un funzionario dotato di ampi poteri, la cui nomina spettava direttamente al
Ministero dell’Interno.

Nel 1868 la destra storica istituirà la tassa sul macinato, questo perché lo Stato unitario
ereditò molti debiti degli stati preunitari, al fine di diminuire il pesante debito pubblico. Si
trattava di una tassa sulla macinazione dei cereali, che incideva soprattutto sul grano che
rappresentava l’attività basilare: essa portò ad un grande aumento del prezzo del pane,
colpendo indistintamente ricchi e poveri. Proprio per questo motivo verrà considerata iniqua,
peggiorando la situazione delle classi sociali più povere. Ne nacquero delle rivolte sociali
che i vari governi della destra storica cercheranno di tenere a freno tramite le forze di polizia
e l’esercito.

Nel 1871 venne realizzato il primo traforo alpino italiano, cioè il traforo del Frejus: una
galleria che mise in collegamento l'Italia con la Francia. La destra storica incentivò
fortemente la creazione di reti ferroviarie: la ferrovia porrettana fu realizzata dalla destra
storica nel 1864, e fu la prima ferrovia che mise in contatto il Nord con il Sud (inizialmente
fino a Roma, poi si estese). Ebbe inizio così una politica di trasporti ben strutturata.

Nel 1876, anno della fine della destra storica, si otterrà un grande traguardo che nella storia
dell’Italia unita si otterrà solo in due occasioni: si raggiungerà il pareggio di bilancio grazie
a Quintino sella, in carica come ministro delle finanze, che decise di incamerare i beni
ecclesiastici ed introdurre per alcuni anni il corso forzoso della lira, non potendo convertire la
moneta in oro. La volta successiva sarà negli anni ‘80 del ‘900.
La destra storica finirà con una discussione in Parlamento per l’approvazione di una legge
per stanziare nuovi fondi al fine di realizzare nuove ferrovie in italia: il Parlamento però si
spacca e sopraggiungerà così la sinistra storica.

La sinistra storica raccolse i suoi consensi soprattutto tra i ceti medi urbani settentrionali,
rivolgendosi però anche ai notabili meridionali, non concordi con il programma della destra
storica.
Protagonista di questa fase sarà Agostino Depretis, che aveva un programma chiaro:
abolire la tassa sul macinato, ampliare il numero di elettori, garantire l’obbligo scolastico
elementare (previsto ma mai attuato), e realizzare un maggiore decentramento
amministrativo.
Nel 1877, per quanto riguarda l’alfabetizzazione, verrà emanata la legge Coppino, a
integrazione della legge Casati: essa estese l'obbligatorietà di frequentare la scuola da due
a tre anni, e previde inoltre multe per i genitori che non
mandavano a scuola i propri figli.

Nel 1882 la politica di trasporti proseguì con la creazione di un altro traforo fondamentale,
quello del San Gottardo, che collegava l’Italia con la Svizzera.
Nel 1881 si creò una crisi diplomatica tra Francia e Italia, che le portò a distaccarsi,
poiché la Tunisia, un regno indipendente vassallo dell’impero ottomano, divenne
protettorato francese: si riteneva però che essa potessi diventare un’area d’influenza italiana
data la vasta presenza di italiani.
Questo scombinò i piani dell’Italia che era intenta a espandersi: nell’82 l’Italia si ritrovò
quindi a stipulare la triplice alleanza con Germania e Impero Austro-Ungarico, un trattato di
carattere difensivo e antifrancese. Le conseguenze sul piano commerciale di questa
alleanza furono un aumento dei commerci tra Italia e Germania, che agevolerà però
soprattutto le regioni del nord, penalizzando quelle del Sud.
Quest’alleanza verrà però molto criticata considerando che l’Impero austro-ungarico era
considerato “nemico storico” a seguito dell’unità d’Italia.
Nello stesso anno verrà triplicato il suffragio: se prima potevano votare i cittadini maschi
con più di 25 anni e con un patrimonio di 40 lire, adesso potevano votare tutti gli uomini con
almeno 21 anni non analfabeti, con un patrimonio di 20 lire.
Depretis di fronte a questo successo dà vita ad un fenomeno che caratterizzerà gli ultimi
anni della sinistra storica: il trasformismo. Depretis per approvare le leggi in parlamento
cercava ogni volta di aggiungere alle leggi particolari che potessero attirare una
maggioranza definita.
Questo però portò anche ad un distacco dalla sua coalizione di un gruppo detto “Estrema
sinistra”, in disaccordo con Depretis. Esso era composto da radicali, repubblicani, e a
partire dal 1882 anche da socialisti. Bertani e Cavallotti, esponenti di questo movimento, si
batterono per un ampliamento dei diritti delle classi sociali, e nel 1882 riusciranno ad
ottenere particolari consensi alle elezioni.

ETÀ UMBERTINA
Nel 1878 morì il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, e sul trono salì il figlio Umberto I.
Questo fu per l’Italia un periodo di consolidamento economico e industriale: la produzione
agricola al sud fu quasi annientata. Per quanto riguarda invece l’area della Pianura Padana
vennero differenziate maggiormente le colture, coltivandone di più redditizie, ma anche
più soggette a malattie (vite=peronospora).
Tra il 1881 e il 1887 la produzione industriale italiana iniziò a crescere, soprattutto nei settori
chimico, meccanico e siderurgico. Lo Stato ebbe un ruolo rilevante in questo processo
anche come finanziatore, sostenendo la costruzione della prima acciaieria italiana (Terni,
1884) e della cantieristica.
Questa industrializzazione fu possibile perché dal 1878 l’Italia aveva introdotto tariffe
protezionistiche: i prodotti di importazione venivano gravati da un’imposta così alta che li
rendeva più cari di quelli nazionali. Questo strumento fu adottato anche da tutti gli altri paesi
per difendersi da una crisi capitalistica moderna: ciò portò di conseguenza anche ad un
crollo delle esportazioni, soprattutto in ambito alimentare, che rappresentava il settore
principale italiano. Ciò provocò danni permanenti soprattutto nel meridione, che basava la
sua economia sull’agricoltura.

ETÀ CRISPINA
I governi di Francesco Crispi, esponente della sinistra storica che assume una figura
centrale da guadagnarsi una fase tutta sua chiamata “età crispina”, caratterizzeranno gli
anni che vanno dal ‘87 al ‘91 e dal ‘93 al ‘96.
Crispi aveva dei modi molto autoritari ed era un grande ammiratore di Bismarck, tanto che, a
capo del governo, volle rafforzare i rapporti tra Italia e Germania, e di conseguenza la triplice
alleanza.
La politica di Crispi è orientata verso un accentramento del ruolo dello Stato nella vita
pubblica e soprattutto un consolidamento della borghesia nella società italiana. Nel 1888
approvò una legge amministrativa che riconobbe una maggiore autonomia ai comuni,
rendendo elettiva la carica di sindaco per i comuni con più di 10.000 abitanti (prima di
nomina regia), ma che allo stesso tempo stabilì un maggiore controllo sui comuni da parte
dei prefetti.
Nel 1889 vi fu un’altro esempio di questa natura ambigua di Crispi che da una parte da e
dall’altra toglie: venne approvato il codice penale che porterà il nome del suo promotore
Zanardelli, futuro presidente del Consiglio. Questo abolirà la pena di morte su tutto il
territorio nazionale e riconoscerà il diritto di sciopero. Nello stesso anno verrà pubblicato il
testo unico di pubblica sicurezza che stabilirà limitazioni della libertà personale senza
ricorrere a un processo.
Nel gennaio 1891 cadde questa prima fase di governo di Crispi, il quale non ottenne la
fiducia in sede di approvazione della legge di bilancio. Tra il ‘92 e il ‘93 ci fu un primo
governo Giolitti che peró non inciderà molto nella storia italiana, infatti quando si parla di età
giolittiana si fa riferimento al 1901. Durante il suo primo governo, egli delineò due delle
direttrici della sua azione politica successiva: un fisco che gravava meno sui ceti popolari e
uno Stato che non doveva intervenire nei conflitti di lavoro. Per questa ragione, quando in
Sicilia scoppiarono i moti di rivolta, i cosiddetti Fasci siciliani, (leghe di lavoratori che
miravano al riconoscimento dei diritti e a maggiori tutele per le fasce proletarie). Il suo
governo fu contrario a reprimerli con la forza.
A causa dello scandalo della Banca Romana del 1893, che si era resa colpevole di aggirare
il limite di emissione di carta moneta, il suo governatore Bernardo Tanlongo aveva cercato
di mettere a tacere lo scandalo, elargendo prestiti e favori a molti politici. Lo scandalo venne
peró alla
luce e portò alle dimissioni di Giolitti e all'insediamento di un nuovo governo Crispi.
Nel corso della sua seconda esperienza di governo Crispi mostrò un volto molto più
autoritario: essendo a favore della borghesia, di fronte ai moti rivoluzionari, risponde con la
repressione; un esempio è la repressione delle rivolte in Lunigiana nel 1894. Poi, nello
stesso anno, furono approvate alcune leggi dette "anti sovversive", che limitavano la libertà
di opinione e di organizzazione e scioglievano il Partito socialista. La politica autoritaria di
Crispi si potè vedere anche dalla decisione di concentrare in una sola figura tre cariche:
Presidente del consiglio, Ministro degli esteri e Ministero degli interni.
La fine politica di Crispi avvenne nel ‘96 quando, a causa della politica coloniale che Crisi
riprese, allargò i possedimenti sulle rive del mar Rosso e iniziò la penetrazione italiana in
Somalia. Nel maggio del 1889 firmò il trattato di Uccialli, in cui si riconoscevano i
possedimenti italiani in Eritrea. Dopo la revoca del trattato da parte del sovrano d'Etiopia
Menelik Il, Crispi invase l'Etiopia: il 1 marzo 1896 l’esercito italiano, che voleva conquistare
l’Etiopia con una campagna militare, venne sconfitto ad Adua. Fu questo a decretare la fine
dell’età crispina.
In questi quattro anni ci sarà molta instabilità politica, tant’è che gli storici la definiranno
“crisi di fine secolo”. In questi anni al comando ci furono governi conservatori: il primo fu
Antonio di Rudinì, il quale cercò di contenere la spesa pubblica e interruppe le aspirazioni
coloniali dell’Italia. L’avvenimento più importante nei suoi anni di governo riguardò i tumulti
popolari che scoppiarono nel 1898, anno in cui il suo governo finisce.
Essi scoppiano perché, l’anno prima, una terribile carestia aveva abbattuto la produzione di
cereali che di conseguenza aveva fatto aumentare il prezzo del pane; i moti che faranno più
discutere saranno quelli di Milano. L’8 e 9 maggio 1898 l'esercito, guidato dal generale
Fiorenzo Bava Beccaris, intervenne per reprimere la rivolta, aprendo il fuoco con i cannoni
sulla folla, provocando un centinaio di morti. Di fronte a ciò, Bava Beccaris ricevette un
riconoscimento per un valore militare. Nei giorni successivi il governo procedette a centinaia
di arresti e allo scioglimento delle organizzazioni socialiste e sindacali.
La deriva dittatoriale sembrava quasi inevitabile con Luigi Pelloux, che nel febbraio del ‘99
presentò in Parlamento un disegno di legge per limitare fortemente la libertà di stampa , di
espressione, di associazione e di sciopero. Non riuscì ad approvarlo solo perché il fronte
della sinistra, quindi liberali, socialisti e cattolici, si scontrarono contro tali limitazioni.
Nel giugno del 1900 le dimissioni di Pelloux aprirono nuove elezioni che videro il crollo dei
liberali di destra, il successo dei liberali di sinistra ma anche la crescita dei socialisti; si aprì
quindi, per la politica italiana, una fase più spostata a sinistra. Poco tempo dopo, a luglio
dello stesso anno, venne assassinato re Umberto I, che aveva sostenuto la politica
autoritaria degli ultimi governi, da un anarchico chiamato Gaetano Bresci. Al re, successe il
figlio Vittorio Emanuele III, che nel febbraio 1901 decise di affidare la guida del governo al
leader della sinistra liberale Giuseppe Zanardelli, che nominò Giolitti ministro dell’Interno.

ETÀ GIOLITTIANA
Nel 1901 ha inizio l’età giolittiana, in cui Giolitti non sarà Presidente del consiglio, ma sarà
Zanardelli.
Il governo Zanardelli durerà dal 1901 al 1903. Giolitti era ministro degli Interni ed aveva un
peso notevole sul governo; egli, nella gestione delle rivolte sociali, aveva un approccio
completamente diverso rispetto a quello di Crispi.
Giolitti capì che il peso del proletariato era il più consistente; per questo decise di
riconoscere le loro richieste, tra cui una riduzione delle ore di lavoro e il miglioramento delle
condizioni di vita. Lui era per un ruolo neutrale dello Stato.
Queste posizioni, in favore delle fasce popolari, valse al governo Zanardelli anche l’appoggio
dei socialisti, che lo sostennero in Parlamento. I traguardi raggiunti sotto il governo
Zanardelli furono:
● una legge che riduceva le ore di lavoro
● una legge in tutela di donne e bambine

La «svolta liberale» avviata da Zanardelli e proseguita da Giolitti, permise di intensificare


l'industrializzazione, iniziata negli ultimi anni dell’Ottocento. Nonostante le forti differenze
territoriali, l'Italia era giunta abbastanza preparata all'appuntamento dello sviluppo: era stato
creato un primo sistema industriale e le infrastrutture erano state potenziate con la
costruzione di una vasta rete ferroviaria.
Il sistema bancario, dopo la crisi dei primi anni Novanta, era stato riordinato secondo
il modello delle banche miste, che facevano credito alle imprese e insieme raccoglievano i
risparmi dei cittadini. Le misure protezionistiche, la stabilità raggiunta dalla lira e
l'afflusso di capitali dall'estero produssero un incremento della produzione industriale che
si concentrò soprattutto nella siderurgia, nell'industria cotoniera e dello zucchero, tutte
protette dai dazi doganali sulle merci estere, ma anche in nuovi settori più esposti alla
concorrenza, come il chimico, il meccanico e l'automobilistico.

Il governo Zanardelli nel 1903 si spaccò su due questioni:


● una legge sul divorzio
● una nuova legge tributaria per ripartire più equamente del carico fiscale
Nessuna delle due difatti venne accettata e il governo cadde.
Questo aprì le porte ai governi Giolitti che, con delle parentesi, proseguirono fino al 1914
(1901-1914), avendo un’ultima fase tra il ‘20 e il ‘21.
L’esperienza di Giolitti come Capo del Governo si aprì nel 1904 con il primissimo sciopero
generale italiano dei lavoratori, indetto dal Partito socialista italiano. Esso fu un partito di
grande instabilità poiché per tutta l’età giolittiana fu dominato dalla lotta tra riformisti, che si
riconoscevano nell’ala di Giolitti, e rivoluzionari (ordinamento massimalista), per cui i
socialisti più radicali tra cui Benito Mussolini.
Nello stesso anno furono approvate le prime leggi speciali per il Sud, con interventi nei
settori dell’industria e dell’agricoltura a Napoli, in Basilicata, in Calabria e nelle isole. L’anno
dopo si portò a compimento la nazionalizzazione delle ferrovie, che tolse alle compagnie
private un settore decisivo per lo sviluppo economico.
Sotto i governi Giolitti, nel 1906 nacque la Confederazione Italiana del Lavoro (CGL).
Giolitti, nella sua carriera di Capo del governo, si trovò a dover spesso approvare delle leggi
per mantenere una certa maggioranza in Parlamento. Inizialmente i suoi maggiori alleati
furono i socialisti, e per questo approvò leggi per tutelare il lavoro, per finanziare le
assicurazioni per malattie, e per la creazione del sistema pensionistico.
Successivamente si avvicinò molto ai cattolici, cambiando nettamente le riforme che portò in
Parlamento.
In questo decennio Giolitti dovette però assistere a diversi mutamenti nella scena politica
nazionale, al punto tale che nacquero formazioni che ad oggi definiamo di “Estrema
destra”, come ad esempio l’associazione nazionalista italiana, nata nel 1910 a Firenze
da Luigi Federzoni e Enrico Corradini, e facendo nascere così i nazionalisti in Italia che
successivamente, intorno alla Prima guerra mondiale, si sciolsero per confluirsi al Partito
nazionale fascista.

L’ultimo grande avvenimento storico che riguarda i governi Giolitti fu la guerra in Libia. Nel
nord Africa quasi tutti gli stati erano stati conquistati da potenze europee: l’unico stato
rimasto libero era la Libia (all’epoca si chiamava Tripolitania e Cirenaica). Da tempo, per
ottenere il benestare di Francia, Inghilterra e Russia in caso di una futura invasione della
Libia, l’Italia aveva siglato una serie di accordi diplomatici bilaterali con queste tre grandi
potenze europee; accettano quindi di vedere nella Libia, un territorio di futura conquista
italiana in cambio di altre agevolazioni.
L’impero ottomano, che deteneva il controllo della Libia, agli inizi del 900 si trovò in grande
sofferenza, e l’Italia se ne approfittò: il 29 settembre del 1911, l’Italia attaccó la Libia.
Questa campagna militare durò poco meno di un anno, e nell'aprile del 1912 l’impero
ottomano si arrese, permettendo all’Italia di riprendersi la sua rivincita dai tempi della
sconfitta di Adua.
I socialisti si schierarono contro l’impresa in Libia (si trattò di una protesta interna) perché
non erano intenzionati a spendere molti soldi per la guerra ma a Giolitti non importava
poiché aveva il sostegno dei cattolici.
Giovanni Pascoli invece si schierò a favore della campagna in Libia a tal punto da arrivare a
scrivere “l’Italia si è mossa”.

Nel 1912 Giolitti approvó una nuova legge elettorale che sanciva ufficialmente il suffragio
universale maschile a delle condizioni. Potevano infatti votare gli uomini che, a partire dalla
maggiore età (21 anni), avevano un certo reddito, erano in possesso della licenza
elementare e avevano assolto la leva militare; e, superati i 30 anni, non furono necessari i
precedenti requisiti.

LA BELLE ÉPOQUE
Durante l’ultimo decennio dell’800 e i primi 15 anni del 900 un forte sviluppo economico,
scientifico e tecnologico migliorò le condizioni di vita di milioni di persone e favorì l'accesso
delle masse alla vita pubblica. Nacque inoltre il concetto di “tempo libero” come effetto della
diminuzione delle ore di lavoro e dell’aumento dei salari. Si moltiplicarono i luoghi di ritrovo e
intrattenimento come sale da ballo e cafè-chantant, locali di cabaret e i primi cinema. A tale
periodo venne dato il nome di Belle époque, “epoca bella”, proprio per sottolineare il
contrasto con la Prima guerra mondiale.

I CARATTERI DELLA PRIMA GUERRA


La Prima guerra mondiale fu una guerra civile europea, che mirava all'annientamento del
nemico. Fu un conflitto che non si concluse nel 1918, ma proseguì per quasi più di un quarto
di secolo a causa delle miserie e dei rancori che i combattimenti lasciarono, tant’è che venne
definita, dallo storico inglese Eric Hobsbawm, "l'inizio dell'età della catastrofe", che durò
fino al 1945.

Essa può essere definita come una guerra di massa poiché vennero coinvolte
simultaneamente nazioni e territori coloniali di tutti i continenti. Per la prima volta fu inoltre
coinvolta una grande quantità di uomini. Dato che si trattò di una guerra che coinvolse tutti
fu necessaria una nuova forma di propaganda finalizzata a militarizzare la società,
utilizzando per la prima volta la radio, relativamente poco diffusa, la stampa di manifesti e
volantini, comprensibili anche dagli analfabeti.
Ci fu un mutamento del ruolo dello Stato, il quale creò nuove strutture e potenziò quelle
esistenti per organizzare il lavoro e la produzione.
Le attività industriali furono indirizzate verso esigenze di guerra, garantendo enormi profitti
agli imprenditori. Furono per la prima volta coinvolte anche le donne che sostituirono gli
uomini nelle campagne e nelle fabbriche e, si impegnarono a prestare assistenza ai feriti.

La prima guerra mondiale fu la guerra dell’acciaio e della chimica, e mise a frutto le


invenzioni e le scoperte della Seconda rivoluzione industriale. Lo stretto rapporto tra
tecnologia e sviluppo degli armamenti modificò il modo di combattere e aumento la capacità
distruttiva delle armi.
Un’altra novità di questa guerra fu l’impiego delle armi chimiche come i gas velenosi.

Le nuove armi
La prima fu la mitragliatrice automatica, inventata negli anni ‘80 dell’800 dagli americani e
poi perfezionata, che impediva al nemico di superare la cosiddetta “terra di nessuno”, la
zona che separava le trincee nemiche.
Le prime mitragliatrici erano ingombranti, pesanti e non sempre affidabili. Avevano inoltre
bisogno di complessi sistemi di raffreddamento ad aria o acqua, e proprio per questo il loro
utilizzo fu puramente difensivo. Solo negli ultimi mesi di guerra i tedeschi li
perfezionionarono, presentando modelli più leggeri e maneggevoli.

L'artiglieria invece fu l'arma più impiegata e fu innovata grazie ad alcune innovazioni


tecnologiche, come per esempio il cannone d'acciaio. L'artiglieria pesante, che
comprendeva mortai e cannoni di grosso calibro, permetteva di raggiungere i ripari interrati e
di distruggere trincee. Si affermò successivamente anche l'artiglieria “mobile”, utilizzata
nei bomardamenti a breve distanza. Effetti devastanti furono apportati dalle granate, che
causarono il 70% dei feriti.

In questa guerra furono sfruttati per la prima volta i carri armati, anche se la principale
novità fu l'impiego dell'aeronautica militare, nata per la prima volta nel conflitto in Libia.
Nel 1914 gli aerei potevano compiere solo missioni di ricognizione e collegamento, ma in
breve furono migliorate le loro capacità di combattimento. L'aviazione tedesca si specializzò
nei bombardamenti a lunga distanza, con i dirigibili Zeppelin, arrivando alla fine della
guerra a conquistare il dominio dei cieli.

PRIMA GUERRA MONDIALE


L’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, l’erede designato a succedere Francesco
Giuseppe, il 28 giugno 1914, va in visita a Sarajevo, città principale della
Bosnia-Erzegovina, che dal 1908 era diventata un possedimento dell’impero
austro-ungarico.
Francesco Ferdinando voleva continuare il percorso di Francesco Giuseppe ma con un
impero tripartito, comprendendo popolazioni tedesche, ungheresi e slave.
La Serbia però aveva altri piani: essa voleva unificare e controllare tutti gli Stati della parte
balcanica sotto un unico regno, ma seguendo l’ideologia russa essendo essa un
protettorato.
Con il tempo nacquero delle associazioni segrete terroristiche volte a ostacolare il
progetto di Francesco Ferdinando; una di queste si chiamava “la mano nera”.
Lo stesso giorno della sua visita a Sarejevo un giovane nazionalista serbo, Gavrilo Princip,
un associato della mano nera, sparò uccidendo sia lui che la moglie. Questo avvenimento
creò polemiche in tutta Europa, diventando così la scintilla che fece scoppiare la guerra.

I vincoli di alleanza tra le potenze europee allargarono il conflitto poiché l’Italia, facente
parte della Triplice Alleanza, non si ritenne obbligata a schierarsi al fianco dell’Austria in
quanto i loro accordi prevedevano l’entrata in guerra solo in caso di aggressione. Fu invece
l’Austria ad attaccare la Serbia, che venne successivamente difesa dalla Triplice Intesa.
Il 23 luglio 1914 l’impero Austro-Ungarico inviò un ultimatum alla Serbia, accusandola di
essere dietro l'attentato e intimandola a punire tutti gli aderenti alla mano nera coinvolti.
A questo la Serbia diede una risposta positiva, rifiutando però di coinvolgere i funzionari di
polizia austriaci perché ciò violava la loro sovranità nazionale.
L’impero Austro-Ungarico a quel punto, il 28 luglio 1914, attaccò la Serbia.

Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto 1914, la Russia iniziò a mobilitare l’esercito e in
risposta, la Germania le dichiarò guerra (1°agosto). Ciò spinse la Francia, facente parte
della Triplice Intesa, a dichiarare la mobilitazione generale, la quale il 3 agosto fu
anch’essa attaccata dalla Germania.
Già dal 1905, in caso di guerra in Europa, la Germania stava preparando un piano che
prendeva il nome del generale che l’aveva predisposto, il cosiddetto piano Schlieffen.
Quest’ultimo prevedeva che la Germania attuasse una guerra lampo contro la Francia,
chiudendo così il fronte occidentale e tenendo aperto solo quello orientale, su cui
concentrare tutte le forze. Per far questo però la Germania avrebbe dovuto cogliere la
Francia di sorpresa, passando per il Belgio, che avrà da ridire in quanto neutrale.
Nonostante questo però la Germania lo attraversò e proprio a causa di questa violazione, la
Gran Bretagna, legata alla Francia dalla Triplice intesa, le dichiarò guerra. Questa
penetrazione in Francia sarà arrestata rapidamente nel settembre del 1914, quando le
truppe inglesi e francesi bloccheranno l'avanzata tedesca sul fiume Marna, fiume che passa
vicino a Parigi e che li avrebbe condotti ad essa.
Quindi l'idea di una guerra lampo fallisce. Nonostante questo, tra l’agosto e il settembre
1914, i tedeschi riuscirono a reggere abbastanza bene gli attacchi russi sul fronte orientale,
riuscendo a fare importanti conquiste tra cui: l’attuale Lituania, Lettonia, tutta la Polonia di
parte russa, la Serbia e gli imperi centrali fino al confine con la Grecia.

Le ragioni della neutralità italiana


L’Italia non entrò in guerra a fianco di Austria e Germania poiché la Triplice alleanza di cui
faceva parte aveva natura difensiva e non aggressiva. Ma c'erano anche altre ragioni. In
primo luogo lo stato carente delle forze armate, che ancora non si era riorganizzato dopo la
Guerra di Libia (1911-12); in secondo luogo, benché l'Italia avesse aderito alla Triplice da più
di trent'anni, una guerra a fianco dell'Austria, nemico storico, avrebbe destato malumori e
resistenze nell'esercito e nella popolazione; e in terzo luogo fu la speranza di ottenere senza
bisogno di combattere, in caso di sconfitta degli Imperi centrali, le terre non ancora liberate
dal dominio Austro-Ungarico: Trento e il Trentino, Trieste e la Venezia Giulia.

Tuttavia lo scoppio della guerra fece crollare i fragili equilibri su cui si reggeva l'assetto
politico del Paese. Col passare dei mesi si definirono due schieramenti: gli interventisti,
favorevoli all’intervento in guerra contro l'impero Austro-Ungarico, e i neutralisti, decisi
invece a mantenere l'Italia neutrale.
I primi erano: i liberali conservatori, guidati dal primo ministro Antonio Salandra; i
socialisti rivoluzionari, di cui faceva parte Benito Mussolini, il quale si schierò contro la
guerra in Libia e che però si dichiarò favorevole alla guerra armata nella prima guerra
mondiale, motivo per cui sarà espulso dal partito socialista e fonderà un suo quotidiano
chiamato “Il popolo d'Italia”.
I secondi erano: cattolici, socialisti e liberali giolittiani, che rappresentavano i più
progressisti.
Un terzo gruppo fu quello dei nazionalisti, di cui facevano parte intellettuali che non
avevano un pensiero di natura politica ma culturale: tra questi vi erano i futuristi di
Marinetti, di cui faceva parte anche D'Annunzio. Quest’ultimo una notte, con un aereo da lui
pilotato, diffuse volantini su Vienna contro l'Impero Austro Ungarico.

All’inizio del 1915 le pressioni dei Paesi dell’Intesa sull’Italia crebbero, poiché essi, in caso di
vittoria, le avrebbero concesso ampliamenti territoriali che comprendevano: il Trentino,
fino al passo del Brennero; il Friuli; l’Istria; e la Dalmazia.
Queste proposte furono formalizzate in un patto segreto, il 26 aprile 1915, noto come “Patto
di Londra”, siglato dal ministro degli esteri Sidney Sonnino e da Antonio Salandra, che
impegnava l’Italia a entrare in guerra entro la fine del mese successivo. Il 3 maggio l’Italia
uscì dalla Triplice alleanza e iniziò a mobilitare il proprio esercito.
La maggioranza del Parlamento si dichiarò neutralista, appoggiando così Giolitti, e di
conseguenza Salandra, di fronte al rischio di essere messo in minoranza alla Camera, si
dimette.
Vittorio Emanuele III, a conoscenza del patto di Londra e favorevole all’entrata in guerra,
riconfermò Salandra a capo del Governo. Tale atto e le intimidazioni contro i neutralisti
spinsero il Parlamento a votare il conferimento dei pieni poteri al Governo.
Fu così che il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria.
Gli italiani furono guidati dal generale Luigi Cadorna, e, fin da subito, portarono avanti una
guerra di trincea. In essa combatté anche Ungaretti, sul fronte del Carso, che diventerà
tristemente famoso dopo la seconda guerra mondiale grazie alle fonderie: insenature
naturali che furono utilizzate per uccidere gli oppositori del comunismo jugo-slavo.

1916
Il fronte occidentale era un fronte fermo, difatti quello su cui i tedeschi procedono fu quello
orientale, sul quale, nel corso del 1915 e del 1916, riportarono alcuni successi.
Nel febbraio 1916, intenzionata a sbloccare la situazione sul fronte occidentale, la Germania
sfrecciò un attacco alla città francese di Verdun, in Lorena, che costituiva la frontiera
militare e culturale tra Francia e Germania, con lo scopo di costringere il grosso dell’esercito
francese a radunarsi in un unico punto per poi annientarlo. Lo scontro si concluse nel
dicembre del 1916 con la vittoria delle truppe anglo-francesi. Fu un assedio lunghissimo,
durante il quale morirono 300.000 soldati e su entrambi i fronti ci furono 400.000 feriti.
Essa diventò una guerra di logoramento, per cui una guerra che in termini territoriali non
porterà a niente. Essa prevedeva attacchi giornalieri con cui si riusciva a conquistare
poche decine di metri alla volta e che, per fare ciò, necessitava di trincee.
Le trincee erano fossati lunghi moltissimi km, all'interno dei quali i soldati effettivamente
vivevano. Le condizioni di vita erano pessime: epidemie di tifo e colera, a causa degli
escrementi, si diffondevano facilmente. Non sempre arrivavano i rifornimenti necessari e per
cui i soldati per molti giorni rimanevano senza cibo.
Al richiamo dell'Ufficiale ogni soldato doveva partire e attaccare, e se si fosse rifiutato veniva
immediatamente fucilato.

Il fronte italiano
Il 1916 per l’Italia fu un anno di battaglie sferrate nella speranza di sbloccare la situazione di
blocco che si era creata. Vennero combattute quattro battaglie sull'Isonzo e nel maggio
dello stesso anno gli austro-ungarici sferrarono la cosiddetta Strafexpedition, la spedizione
punitiva contro gli italiani, colpevoli di aver tradito la Triplice alleanza.
Partito dal territorio di Trento, l’esercito austriaco entrò facilmente in Italia, ma la carenza di
truppe e la resistenza di essa impedirono loro di penetrare nella pianura vicentina.
Questo bastò a turbare l’opinione pubblica e ciò portò alla caduta del governo Salandra. A
seguito si formò un governo di coalizione nazionale, guidato dal liberal-conservatore
Paolo Boselli, un governo in cui erano rappresentanti tutti i gruppi politici a eccezione dei
socialisti.
Superata la crisi, i soldati italiani il 9 agosto 1916 conquistarono Gorizia.
Per riconsegnare il Trentino all’Italia, si arruolò come volontario Cesare Battisti, il quale
venne catturato e al quale misero una corda al collo. Quest’ultima però si ruppe e questo,
secondo il codice militare etico, fu un segno di grazia. Decisero però di fucilarlo
ugualmente. Questo dimostrò che non fu una guerra come le altre.

La guerra sottomarina
Un nuovo capitolo nella storia militare fu la guerra sottomarina. Fin dall’inizio la Germania
schierò una grande flotta di sommergibili, gli “U-boot”, da un lato per danneggiare le navi
mercantili dei Paesi dell’Intesa, dall’altro con lo scopo di spezzare il blocco navale, tattica di
guerra britannica che rischiava di danneggiare l’economia tedesca.
L’azione dei sottomarini non riuscì a compromettere il traffico di merci verso l’Europa, anzi,
danneggiò la reputazione dell’Impero tedesco poiché, nel 1915 colpirà il transatlantico
inglese Lusitania, una nave passeggera sulla quale moriranno circa 2000 persone, tra cui
160 cittadini statunitensi.
1917
Il 1917 fu l’anno della svolta per le sorti della guerra a seguito di due grandi avvenimenti: la
Rivoluzione bolscevica, e l’entrata in guerra degli Stati Uniti.
All’interno del paese russo ci furono diverse rivolte, tra cui la Rivoluzione d’ottobre che
segnò l’inizio della Rivoluzione bolscevica e che in pochi mesi portò l’uscita della Russia
dalla guerra. Il 3 marzo 1918 il paese firmò così il trattato di Brest-Litovsk che oltre
all’uscita della Russia dalla guerra, prevedeva la perdita per essa della Polonia russa, della
Finlandia, dell'Ucraina e degli attuali territori delle repubbliche baltiche.
L’entrata in guerra degli Stati Uniti scaturì invece dal fatto che il Presidente Wilson, stanco
dei molteplici attacchi sottomarini tedeschi, il 6 aprile decise di dichiararle guerra.

Sul fronte italiano, il 24 ottobre 1917, le truppe austriache lanciarono un’offensiva partendo
dal fiume Isonzo, vicino al villaggio di Caporetto nel quale successivamente riuscirono ad
entrare. Questo villaggio divenne per l’Italia sinonimo di vergogna e con questa disfatta
persero il Friuli e una parte del Veneto. Il confine italiano si spostò di 150 km sul fiume
Piave, fino ad arrivare ad Asiago, facendo sfollare così migliaia di italiani.

A seguito di questa battaglia, Boselli, successore di Salandra, fu sostituito alla guida del
Governo da Vittorio Emanuele Orlando, e cambierà i rapporti tra governo e esercito, che
verrà sottoposto a costante supervisione. Il nuovo Capo dell’esercito, Armando Diaz,
migliorò la situazione morale e fisica dei soldati e si preparò al contrattacco.
La situazione nelle trincee si fece sempre più insostenibile: i soldati cominciarono a rifiutarsi
di obbedire agli ordini dei comandanti e ovunque iniziarono a diffondersi episodi di
autolesionismo. Migliaia di uomini furono mandati in giudizio alla corte marziale (tribunali
che in tempo di guerra esercitavano la loro autorità sui civili) e in alcuni casi si ricorse al
metodo della decimazione, secondo il quale un soldato su dieci veniva fucilato.
La stanchezza morale e materiale dei soldati si diffuse in tutto il paese provocando un calo
dei raccolti che portò ad un forte aumento dei prezzi. Questo portò a un aumento
dell’inflazione, aumentato anche grazie alla decisione delle banche di stampare una
quantità maggiore di cartamoneta per soddisfare le esigenze dell’esercito. Le condizioni di
vita della popolazione peggiorò e per questo furono organizzati scioperi e proteste.

1918, la fine della guerra


Nella primavera del 1918 gli eserciti degli Imperi centrali lanciarono la loro ultima offensiva,
ancora una volta sulla Marna, poiché essendo la Russia uscita dalla guerra, la Germania
non doveva preoccuparsi più del fronte orientale e poteva concentrarsi sul fronte
occidentale. Questa battaglia vide il successo iniziale delle forze tedesche e li fece
avvicinare a Parigi.
Sul fronte italiano gli austro-tedeschi attaccarono la linea del Piave e, in un primo momento,
sembrò stessero per cedere ai colpi nemici permettendogli di entrare nella Pianura Padana.
Le forze dell’Intesa però riuscirono con enormi sforzi a fermarli, grazie all’aiuto delle truppe
statunitensi.
Inglesi, francesi e statunitensi decisero così di passare al contrattacco ad Amiens,
costringendo i tedeschi ad arretrare.
All’inizio di settembre la Germania iniziò le trattative per l’armistizio, e gli italiani iniziarono a
prendere l’iniziativa.
Dopo aver superato il Piave travolsero i nemici nella battaglia di Vittorio Veneto e
riconquistarono tutti i territori persi dopo Caporetto. Ad aiutare questa vittoria fu lo
sfaldamento dell'esercito e dell’intero Impero asburgico.
La battaglia a Vittorio Veneto indusse il governo di Vienna a chiedere l’armistizio, firmato
il 3 novembre 1918 a Padova, mentre gli Italiani conquisteranno Trento e Trieste.

Sul fronte occidentale le trattative per raggiungere un armistizio non raggiunsero alcun
risultato, e ciò porto,
all’interno dell'opinione pubblica, il formarsi di un gruppo di dissidenti a causa della
lunghezza della guerra. I viveri erano razionati e il benessere era ormai perduto: le persone
campavano ormai a stento.
Inizieranno a farsi sempre più numerose anche le diserzioni (un militare rifiuta di
combattere): ciò indebolirà la Germania da dentro e condurrà anche alla fine della guerra
(oltre agli Stati Uniti che metteranno alle strette il governo tedesco).
L’11 novembre 1918 la Germania accetterà la resa a Rethondes e porrà fine alla guerra.

IL PRIMO DOPOGUERRA
Nel gennaio 1918 il presidente Wilson elencò i cosiddetti 14 punti che dovevano dare
l’indicazione sul nuovo assetto mondiale, determinando la via per il mondo nuovo,
costituitosi a seguito della prima guerra mondiale. Esso fa questo poiché pensava che gli
ideali del popolo statunitense avessero valore universale.
Il principio più importante era quello all’autodeterminazione dei popoli (i confini degli
Stati devono corrispondere alla distribuzione geografica di popoli per cultura, lingua,
tradizione) poiché Wilson riteneva che ogni popolo e ogni nazionalità dovesse avere il diritto
di autogovernarsi. Questo però poneva un problema poiché l’indipendenza veniva garantita
solo a popoli consistenti; ancora oggi ci sono minoranze che reclamano la propria
indipendenza facendo riferimento a questo principio.
Essi prevedevano inoltre la limitazione di armamenti e la proposta di fondare una società
volta a garantire la pace e l’integrità degli stati.
Questi punti verranno poi ripresi da Wilson stesso, tra il 1919 e il 1920, nella conferenza di
Versailles dove si incontreranno le potenze vincitrici. L’idea di pace democratica proposta
dal Presidente si scontrò con l’idea di pace punitiva proposta dalla Germania. Wilson però
continuò a lottare per i suoi ideali e riuscì a far approvare lo statuto della Società delle
Nazioni, la cui attività iniziò il 10 gennaio 1920, formata da 42 stati.
Essa mirava ad eliminare le controversie internazionali ponendo sanzioni economiche o
facendo intervenire i militari contro chi avesse attaccato un altro stato. Tuttavia proprio gli
Stati Uniti non entrarono a farne parte e ciò tolse forza alla nuova organizzazione.

I trattati di pace
Il 18 gennaio 1919 si aprirà la conferenza di pace di Parigi: essa durerà dal ‘19 al ‘20 e
comprenderà 5 trattati di pace che regoleranno il nuovo ordine all’interno di 5 differenti
realtà geo-politiche.
Ad essa parteciparono i vincitori ma non i vinti, rappresentati da: Stati Uniti, Gran Bretagna,
Francia e Italia, poiché i vinti dovettero solo prendere atto di ciò che avrebbero deciso i
vincitori. Venne esclusa anche la Russia, che nonostante fosse tra i vinti voltò le spalle
all’alleanza e abbandonò la guerra.
La delegazione Italiana, formata dal presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando e
ministro degli Esteri Sidney Sonnino, risulterà un po’ ridicola, poiché gli italiani, alla
conferenza di pace di Parigi, cercarono di aggiungere qualche nuova acquisizione al Patto di
Londra, chiedendo la città di Fiume, Spalato e Valona, che erano zone più a sud di quelle
che in realtà gli spettavano.
Gli statunitensi misero in dubbio alcuni punti accordati nel patto di Londra, appellandosi al
fatto che secondo il principio di autodeterminazione dei popoli che voleva che a governare lo
stato fosse la realtà etnica maggioritaria. Secondo essi quindi l’Alto Adige, la quale
maggioranza parlava la lingua tedesca, doveva essere governato dai tedeschi, come
l'Istria dagli Slavi.
La delegazione Italiana, di fronte agli ostacoli posti dagli Stati Uniti, il 26 aprile ‘19 lascia la
conferenza e torna in Italia.
Orlando e Sonnino però si accorsero che andandosene non avrebbero raggiunto niente di
ciò che in realtà volevano quindi, dopo due settimane, il 7 maggio, decisero di tornare a
Parigi e di riprendere parte della conferenza.

Ma queste due settimane furono utili a stipulare il primo trattato di pace: la Germania e i
suoi alleati vennero indicati come i soli responsabili della guerra e delle sue conseguenze. Si
arrivò così, il 28 giugno 1919, sotto la minaccia di un’occupazione militare, alla firma del
Trattato di Versailles, i cui articoli più importanti riguardavano i confini, le colonie e le
riparazioni di guerra.
La Germania cedette tutte le proprie colonie a Francia, Regno Unito e Giappone, cedendo
molti territori anche alla Polonia che diventò uno stato vero e proprio e che prima della
guerra era diviso tra impero austriaco, Russia e la Prussia.
Inoltre una zona sul confine con la Francia, ossia l’area mineraria della Saar (zona
estremamente industrializzata), fu posta per 15 anni sotto il controllo dell’esercito inglese e
francese. Al termine di questi 15 anni fu fatto un referendum per decidere se tale territorio
sarebbe dovuto rimanere alla Germania o alla Francia, anche se la Germania non ebbe la
forza di rifiutarsi, essendo essa un paese ormai in ginocchio.
La Germania fu inoltre obbligata a limitare la consistenza del proprio esercito a 100.000
uomini, ad abolire la leva e a lasciare senza militari ne fortificazioni la valle del Reno.
Le furono lasciate solo sei navi e furono private di carri armati, sommergibili e aerei.
Dovette anche risarcire i danni causati dalla guerra agli stati vincitori, che ammontarono a
270 miliardi di marchi in oro.
Tutto ciò servì per evitare che la Germania si risollevasse e tornasse ad avere un ruolo di
primo piano sulla scena europea e mondiale.

Nel febbraio ‘19 la Germania diventò una repubblica, la cosiddetta Repubblica di Weimar,
che durò fino al 1933 quando Hitler creò il Terzo Reich.
Si tratterà di un esperimento abbastanza breve poiché le azioni di riparazione di guerra
divennero insostenibili: l’inflazione, che toccò il suo apice nell’autunno del 1922-23, svalutò
le banconote, tanto che il Marco, cioè la moneta tedesca, divenne addirittura uno strumento
di gioco per i bambini. Si tornò ad utilizzare il baratto come moneta di scambio: un taglio di
capelli costava 4 uova, una sepoltura/funerale ne costava 40 e una visita medica poteva
essere ottenuta in cambio di una bottiglia di vino.

A quel punto gli Stati Uniti fecero ragionare la comunità nazionale, facendo capire che la
Germania non aveva più modo di pagare le indennità dovute.
Quest’ultimi avanzarono una proposta: il piano dawes. Tale piano riconsiderava il periodo
temporale del risarcimento dilazionandolo ulteriormente, con la possibilità di rateizzare il
risarcimento. Questo segnò l’inizio della ripresa tedesca, che riconsegnò un certo
benessere al popolo tedesco. Tale benessere però durò poco, circa 5 anni, poiché la caduta
della borsa di Wall Street (1929) riportò ad un'ulteriore crisi che colpì l’intero mondo.

Il 10 settembre del 1919 venne stipulato il secondo trattato di pace: il trattato di Saint
Germain en Laye. Tale trattato stabilì lo smembramento dell’impero austro-ungarico,
dando vita a tanti nuovi stati. Con esso nascerà l’Austria proprio come la vediamo noi oggi.
Con tale decisione l’italia sottrae all’impero austro-ungarico l’Alto Adige, il Friuli Venezia
Giulia, l'Istria e parte della Dalmazia.
L’Austria fu ridotta a un piccolo stato di appena sei milioni di abitanti, mentre l’Ungheria
perse il 67% del suo territorio e la metà dei suoi abitanti. A giovarne furono i popoli slavi
che fondarono la Repubblica Cecoslovacca e il regno di Jugoslavia.
Le terre vennero spartite così con l’intento di creare una serie di “Stati cuscinetto” attorno
all’Unione Sovietica, al fine di tenere il comunismo fuori dal centro Europa.

Il 27 novembre del 1919 verrà firmato il terzo trattato: il trattato di Neuilly. Con tale
trattato la Bulgaria verrà punita per essere entrata al fianco degli imperi centrali (impero
austro ungarico e impero germanico) e verrà nuovamente ridimensionata, perdendo così
territori a vantaggio della Romania.

Il 4 giugno del 1920 verrà firmato il quarto trattato: il trattato di Trianon. Con tale trattato
nascerà l’attuale Ungheria, che però dovette comunque cedere alcuni territori agli slavi del
sud e alla Romania.

Il 10 agosto del 1920 verrà firmato il quinto trattato: il trattato di Serres. Tale trattato
segnò la fine dell’impero Ottomano, e la nascita della repubblica Turca.
Tale trattato stabilì inoltre il mantenimento del controllo italiano sulle isole del Dodecaneso
(a sud del mar Egeo), riconobbe il protettorato francese sulla Siria e sul Libano (sono
autonome ma devono sottostare all’amministrazione francese), e riconobbe il protettorato
inglese sulla Palestina e sull’Irac.

Tutti i territori voluti dall’Italia (Istria,Dalmazia,ecc) le verranno concessi con il trattato di


Rapallo, che verrà firmato nel novembre del 1920 e che chiuderà la questione che si era
aperta a seguito del trattato Saint Germaine en Laye, in quanto Gabriele D’Annunzio due
giorni dopo quest’ultimo trattato, entrò in armi, il 12 settembre del 1919, nella città di Fiume
(città che l’Italia voleva sua anche se i trattati non glielo avevano riconosciuto) e rifondò una
repubblica con a capo proprio lui stesso.
La situazione si concluderà nel novembre del 1920 con il ritorno al governo di Giovanni
Giolitti, il quale accettò di mandare l’esercito italiano a Fiume per liberare la città da
D’Annunzio in cambio di quei territori della Dalmazia che non le erano stati riconosciuti in un
primo tempo con il trattato di Saint Germain en Laye.
LA RIVOLUZIONE RUSSA DEL 1917
La Prima guerra mondiale mise a dura prova l’intera Russia, che si dimostrò fin da subito
impreparata alla guerra.
La fragile economia, basata ancora su un’agricoltura arretrata, e la disorganizzazione
dell’esercito, aggravate dal blocco degli approvvigionamenti, provocarono l’aumento del
malcontento cittadino.
Il 22 febbraio del 1917 secondo il calendario giuliano (8 marzo secondo il calendario
gregoriano), per le strade di Pietrogrado (all’epoca capitale), si formò un corteo spontaneo
di donne e operai che protestarono per l’aumento del prezzo del cibo di prima necessità,
soprattutto del pane. Ben presto la protesta assunse, non solo un taglio socio-economico,
ma anche un taglio politico, perché i manifestanti chiesero l’uscita della Russia dalla
guerra, mettendo così in discussione l’autorità del capo dello stato, lo zar Nicola II.
Lo zar di conseguenza, il 26 febbraio 1917, dichiarò lo stato d’assedio, con il quale
vennero sospese le libertà parlamentari e al governo e all’esercito vennero riconosciuti pieni
poteri.
Questo comportò uno scontro tra esercito e manifestanti. La rivolta si trasformò in
rivoluzione, poiché interi reparti militari cominciarono a passare dalla parte della
popolazione che protestava: si rifiutarono di sparare sulla folla e inoltre erano stanchi della
guerra.
Nicola II, quando vide l’esercito andargli contro, il 1 marzo 1917 abdicò in favore del fratello
Michele, che però il giorno dopo rinunciò al trono.
Si formò quindi un governo provvisorio che stabilì l’arresto della famiglia reale poiché lo
zar era stato irresponsabile nel voler partecipare alla guerra.
In questo governo ci furono: i partiti moderati della politica russa, come i menscevichi e il
partito liberale; e il partito dei cadetti, che avrebbe voluto una conservazione della
monarchia, ma come monarchia costituzionale.
Essendo il partito moderato è come se la famiglia reale, ormai arrestata, vivesse agli arresti
domiciliari, in grandi palazzi.
La decisione del governo però fu quella di continuare la guerra, tenendo fede all’impegno
preso, e ciò suscitò le antipatie della gente.
Una svolta importante si ebbe quando, il 4 aprile del 1917, Lenin, il capo dei bolscevichi,
enunciò davanti alla folla, le cosiddette tesi di aprile, per cui la linea da seguire per i
prossimi mesi per dare un nuovo corso alla Russia rivoluzionaria.
3 furono i punti fondamentali delle tesi di aprile: l’uscita immediata della Russia dalla
guerra; la nazionalizzazione di tutte le proprietà terriere private allo Stato, il quale le avrebbe
poi redistribuite ai contadini; e la democrazia proletaria, che prevedeva che tutto il potere
fosse affidato ai soviet, assemblee di operai e contadini che si erano formate con la prima
rivoluzione del ‘05 e che costituirono una sorta di governo alternativo al governo
provvisorio.
Nei soviet l’orientamento politico maggioritario era quello dei bolscevichi.
Nel giugno 1917 si ebbe un cambio ai vertici del governo provvisorio, e il nuovo capo del
governo diventò Kerenskij: esso dispose l'arresto dei dirigenti bolscevichi, andando contro
alla linea di Lenin, che riuscì a fuggire in Finlandia.
Tra agosto e settembre ci fu un tentativo controrivoluzionario da parte del generale
Kornilov, che cercò di restaurare la monarchia con gli uomini dell’esercito che gli furono
fedeli. Il tentativo però, grazie all’intervento dei soviet, fallì.
La Rivoluzione d’ottobre
In ottobre Lenin decise di puntare alla conquista del potere. Egli trovò l’opposizione di
importanti dirigenti contrari a un colpo di stato. Grazie però al sostegno di Trockij e di
Stalin, Lenin ottenne l’appoggio nella scelta dell’insurrezione armata.
Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre del ‘17 (secondo il calendario giuliano, 6-7 novembre
secondo il calendario gregoriano) i bolscevichi, che nel frattempo erano rientrati in Russia
in gran segreto, ritennero che i tempi furono ormai maturi per prendere il potere. Decisero
così di occupare i centri del potere della capitale, compreso il Palazzo d'inverno, con l’aiuto
dell’esercito e dei militari, costringendo Kerenskij a fuggire. Lenin formò un nuovo governo
che fece cadere quello provvisorio. Esso prese il nome di Consiglio dei commissari del
popolo, nel quale vennero nominati Trockij commissario degli affari esteri e Stalin
commissario per le Questioni nazionali.
Fin da subito questo stabilì il controllo operaio nelle fabbriche; la confisca della proprietà
terriera e la redistribuzione di essa ai contadini da parte dei soviet; la nazionalizzazione delle
banche, facendo diventare le banche russe statali; e l’uguaglianza di tutte le nazionalità che
compongono il vasto stato russo.

Repubblica dei Soviet


Nel novembre 1917 si svolsero le elezioni per l’Assemblea costituente poiché il
Parlamento doveva dare alla Russia la sua nuova Costituzione. La maggioranza che si creò
non piacque al gruppo bolscevico poiché un potere legislativo non allineato al potere
esecutivo avrebbe compromesso il consolidamento del nuovo regime comunista. Per
questo, il Consiglio dei commissari del popolo, nel gennaio del ‘18, assunse tutte le
funzioni di governo.
Con questo fu chiaro che il nuovo regime fosse un regime dittatoriale di stampo
comunista.
Il 3 marzo 1918 venne firmato il trattato di Brest-Litovsk che fece uscire la Russia dalla
prima guerra mondiale. Il paese socialista pagò un alto prezzo per questa pace: fu costretto
a versare un indennizzo di sei miliardi di marchi all’impero tedesco. Inoltre perse un terzo
della sua popolarità e diversi territori.
La Russia conobbe tra il 1918 e il 1921 una guerra civile tra le truppe fedeli allo zar, le
cosiddette armate bianche, e l’armata rossa, esercito costituito dai comunisti, nato nel
gennaio del ‘18.
Questa guerra mise a dura prova la Russia anche se un indebolimento sostanziale lo ebbe
già nel 1920.
Nel primo anno di guerra civile, più precisamente nel luglio del 1918, la famiglia reale dello
zar venne fucilata dalle armate rosse di fronte all’eventualità che l'avanzata delle armate
bianche potesse liberarla.
Un’altro evento si sommò alla guerra civile: nella primavera del 1920 la Polonia,
annusando la possibilità di conquistare altri territori a danno della Russia, la attaccò.
Inizialmente la Polonia conseguì diverse vittorie ma la Russia riuscì ad opporre una
resistenza efficace, tant’è che la guerra non durò molto, e si arrivò ad un armistizio, che
fece nuovamente mutare i confini della Polonia.

Il “comunismo di guerra”
Lo scoppio della guerra civile spinse Lenin e i bolscevichi ad adottare misure drastiche sul
piano economico e sociale. L’economia del Paese era sull’orlo del collasso: molte fabbriche
erano chiuse; il rifiuto dei contadini di consegnare il raccolto rendeva molto difficile
l'approvvigionamento dei generi alimentari; era esploso il mercato nero; e aumentò
l’inflazione.
Fu allora che il Governo attuò il cosiddetto comunismo di guerra, delle misure repressive
ed estremamente rigide per tenere compatta la nazione russa.
Tutte le aziende operanti in qualsiasi settore vennero statalizzate, cioè passarono sotto il
diretto controllo dello Stato; vennero chiusi i giornali che si ponevano in opposizione al
pensiero comunista; vennero espulsi i menscevichi dai soviet; e nelle fabbriche i turni di
lavoro diventarono più duri ed estenuanti, ricorrendo anche a frequenti misure punitive nei
confronti degli operai inadempienti.
Queste, sono tutte misure che incrementarono il malcontento della popolazione, soprattutto
quello dei contadini, ai quali erano state riconosciute dai bolscevichi piccole aziende, e che
adesso vengono nuovamente penalizzati; ma anche gli operai, a causa della rigidità nelle
fabbriche.
Questa insoddisfazione fu la ragione che portò nel marzo del 1921 a attuare una nuova
politica economica, la NEP. Essa stabiliva un ritorno alla proprietà privata, autorizzando la
ricostituzione di piccole aziende che non superano i 21 dipendenti. A tali aziende verrà
richiesto un pagamento in natura. Esso prevedeva che una quota della produzione
andasse allo Stato, mentre la restante parte poteva essere venduta. Questa si rivelò una
misura non fedele al comunismo di guerra e non adatta a sostenere la ripresa di uno stato
affossato dalle conseguenze di una guerra che si protraeva da anni. Di fatto con lo stimolo
alla proprietà privata ci si orientò più su un modello di stampo capitalistico, andando così
contro al comunismo stesso.

La nascita dell’URSS
La Russia, ormai circondata da continenti nemici, si trovò sempre più isolata. Nel dicembre
del 1922 si arrivò quindi al compimento della Rivoluzione bolscevica con la nascita
dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, quella che noi conosciamo come
URSS, che durerà fino al 1991. I fondatori furono le quattro repubbliche socialiste, per cui
la Russia, la Bielorussia, l'Ucraina e la Transcaucasica, formata dalle regioni dell'Armenia,
della Georgia e dello Azerbaigian.
Si trattava di uno stato federale, con capitale Mosca, in cui il potere legislativo era
esercitato dal Soviet supremo, formato dai delegati delle repubbliche, il quale a sua volta
aveva il compito di eleggere il Consiglio del popolo, cioè il governo dell’URSS.
Lo Stato federale aveva competenza in materia di difesa e sicurezza nei rapporti
internazionali mentre, le singole repubbliche avevano competenze su tutte le altre materie e
detenevano anche il diritto di secessione.

Nel dicembre del 1919 fu fondata a Mosca l'organizzazione dei partiti comunisti di tutto il
mondo nota come Terza internazionale, che voleva portare la rivoluzione e la dittatura in
altri paesi.
Il 21 gennaio 1924, a seguito di vari ictus, morì Lenin, e si aprì una lotta per decidere chi
fosse il capo del partito comunista.
Stalin, nel Testamento di Lenin, venne criticato per il modo in cui esercitava il suo potere
da Segretario Generale, ipotizzandone quindi la rimozione dall’incarico.
Stalin aveva però conquistato un tale potere che nessuno dei suoi avversari poté
approfittare del severo giudizio di Lenin.
Ciò però fu un problema poiché Stalin, nonostante non fosse apprezzato come uomo di
governo, divenne di diritto capo del partito comunista russo essendo lui ancora in carica
come Segretario generale.

Con i bolscevichi al potere la cultura, l'arte e i modelli di comportamento subirono grandi


cambiamenti. Cambiò il ruolo delle donne, che conquistarono la parità, mentre nelle
campagne l'analfabetismo si ridusse, con l'apertura di migliaia di scuole. Vennero inoltre
potenziate le strutture sanitarie e le vaccinazioni.
Nella cultura e nelle arti ci fu un enorme impulso alla creatività: nacque così il
Costruttivismo e diversi artisti si misero al servizio della Rivoluzione. Ci fu una
contraddizione di fondo però: questa libertà artistica era resa possibile da un potere
dittatoriale.
LA CRISI DEL ‘29
Con la fine della Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti diventarono i principali finanziatori dei
paesi europei.
Negli anni ‘20 difatti quest’ultimi ricoprivano il ruolo di veri signori dell’economia mondiale,
situazione che fu incrementata da un decennio di fortuna economica, periodo che gli storici
hanno denominato i “ruggenti anni Venti”.

Dal punto di vista culturale, gli anni ‘20, negli Stati Uniti sono un momento di strepitoso
rinnovamento perché per esempio si affermò il jazz come nuova tendenza musicale e il
cinema. Lo Stato inoltre fece sentire in modo prepotente la sua resistenza soprattutto per
quanto riguarda la gestione interna.
Gli anni ‘20 sono difatti gli anni del proibizionismo, ossia la campagna per la repressione
della vendita e del consumo di alcolici, che venne venne affermata per assicurare una
maggiore sicurezza dato che molti reati avvenivano per il consumo di alcolici.
Nonostante l’imposizione di questo veto nel 1920 fu approvato il Volstead act, una legge
che proibiva l’importazione, la produzione e la vendita di qualunque bevanda con tasso
alcolico superiore allo 0,5%.
Il proibizionismo inoltre favorì la nascita di associazioni mafiose, che con lo smercio di
bevande alcoliche fecero guadagni enormi. Il più celebre dei quali fu Al Capone, che mise
su il suo grande impero criminale.

Il “giovedì nero” e la “Grande depressione”


Il 24 ottobre 1929, denominato giovedì nero, la caduta della borsa di Wallstreet provocò
la svalutazione delle azioni quotate in borsa.
Il primo segnale si ebbe il 12 ottobre 1929 quando le operazioni allo Stock exchange di New
York (mercato finanziario) subirono un forte rallentamento dopo anni di crescita ininterrotta.
Le vendite continuarono a prevalere e il prezzo dei titoli scese ancora fino a quando giovedì
24 ottobre 1929 la paura prese il sopravvento, creando una frenetica corsa alla vendite che
determinò il crollo della borsa. I maggiori banchieri e finanzieri tentarono di rimediare
procedendo ad acquisti massicci di azioni, ma ciò si rivelò inutile. Circa 9000 banche
finirono per chiudere, milioni di risparmiatori videro svanire tutti i loro risparmi, e la drastica
riduzione delle tasse versate allo Stato, assieme all’interruzione dei prestiti alle imprese,
fece aumentare la disoccupazione.
La causa principale di questa crisi fu una cattiva distribuzione del reddito: alla fine degli
anni ‘20 più di un terzo del reddito nazionale era nelle mani di appena il 5% della
popolazione, mentre il 71% aveva un reddito di sussistenza. I salari degli operai erano molto
bassi e i contadini dovevano far fronte all’alto prezzo dei cereali dovuto alla concorrenza.
Queste categorie erano quindi costrette a risparmiare non partecipando all’aumento della
domanda di beni di consumo.

I pochi arricchiti avevano reinvestito solo una parte dei propri profitti nei settori della
produzione e del consumo, per dirottarne una quota rilevante verso la speculazione in borsa.
Ciò non aveva aiutato le aziende a vendere i loro prodotti, mentre aveva fatto salire la
domanda di titoli, e con essa il loro valore.
A fronte della crescita vertiginosa del valore delle azioni, la situazione economica delle
aziende quotate in borsa era peggiorata, poiché in pochi potevano permettersi di
acquistare, sicché i prodotti restavano invenduti. Si produsse così una crisi di
sovrapproduzione: la domanda di merci era molto inferiore all'offerta.
Quando cominciò a diffondersi la voce che molte aziende non avevano i conti in regola, chi
possedeva le loro azioni si affrettò a venderle. Poiché tutti vendevano e nessuno voleva
comprare, il valore delle azioni crollò.
Il sistema bancario americano si rivelò inadeguato a fronteggiare una crisi finanziaria di
simili proporzioni. Era frammentato in tante piccole banche locali, dotate di capitali ridotti, e
non esisteva alcuna autorità di controllo sulle operazioni di borsa. Anche il governo si rivelò
incapace di prevenire la crisi, poiché aveva scelto di non imporre regole al mercato
azionario.
Un effetto negativo ebbe, infine, la scelta protezionistica in economia: i dazi sulle merci
importate ridussero gli scambi commerciali impedendo così che arrivasse "denaro fresco"
nelle casse delle banche.
Questa fu una delle prime crisi economiche che dimostrò quanto il sistema economico
mondiale fosse collegato, poiché il venir meno dell’economia di uno Stato e questo contagiò
gli Stati collegati.

Questa crisi globale fece precipitare la credibilità del Presidente Hoover che decise di
accordarsi con imprese e sindacati per evitare un’ulteriore calo dei salari con conseguente
contrazione dei consumi. Ciò non servirà poiché la deflazione talmente alta continuò a
innescare un ulteriore calo dei consumi.
Il Presidente cercherà quindi di tamponarla con dei prestiti agevolati alle imprese e
finanziamenti per lo stanziamento di opere pubbliche. Questo però non riuscirà a bloccare il
declino del tessuto produttivo statunitense poiché queste idee vengono collocate all’inizio
della crisi finanziaria, e sarebbero quindi necessarie somme talmente alte che Hoover non si
sente di mettere a disposizione. Le stesse verranno poi riprese dal suo successore.
A questo punto Hoover istituì, nel 1932, la Reconstruction Finance Corporation, un ente
pubblico che doveva finanziare le imprese per la costruzione di nuove infrastrutture.
Tuttavia, i fondi di cui fu dotata la Rfc restarono in buona parte nelle casse degli istituti di
credito e non furono sbloccati per attività produttive.
Hoover, inoltre, non volle rinunciare a perseguire il pareggio di bilancio quindi rifiutò di
stanziare fondi federali a favore dei poveri e dei disoccupati, bloccò l'aumento degli
investimenti dello Stato per le opere pubbliche e nel 1932 si oppose con forza alla richiesta
di aiuto avanzata dagli ex combattenti della Prima guerra mondiale.

Dal 1929 al 1932, che rappresentano gli anni più acuti della Grande Depressione, negli
Stati Uniti il numero dei disoccupati passò da circa 2 milioni a oltre 13 milioni. Non andò
molto meglio a chi riuscì a conservare il lavoro: gli impiegati pubblici venivano pagati con
cambiali emesse da amministrazioni locali in bancarotta, mentre i salari nel settore privato
scesero spesso sotto la soglia di sussistenza. Il reddito degli agricoltori si ridusse di due terzi
nel giro di tre anni, e molti contadini si misero in marcia verso le grandi città nella disperata
ricerca di mezzi di sussistenza.
La miseria diffusa portò a un forte peggioramento del livello di vita. Aumentarono le
malattie fisiche e psichiche, i casi di malnutrizione e mortalità infantile, e gli episodi di
criminalità e di violenza. Le donne, le prime a essere espulse dal mercato del lavoro,
dovettero farsi carico della famiglia senza alcun aiuto dallo Stato.

Roosevelt e il New Deal


Nel 1932 verrà però eletto un nuovo presidente, il presidente Franklin Delano Roosevelt:
fu l’unico presidente degli Stati Uniti che verrà rieletto 3 volte (32-44), e sarà colui che
porterà fuori dalla crisi, promettendo un nuovo corso (New Deal) al popolo, e in guerra
(WW2) gli Stati Uniti.
Il suo primo provvedimento fu la riorganizzazione del sistema bancario, che portò ad
un’aggregazione delle banche che fece riunire le banche deboli in pochi soggetti ma più
solidi, favorendo fondi maggiori a meno banche.
Risale inoltre a Roosevelt la nascita della Federal Reserve Bank, la banca centrale
statunitense, con il compito di monitorare l’attività delle banche degli Stati Uniti e di valutare
periodicamente lo stato di salute del dollaro.
Per quanto riguarda il dollaro, il Presidente favorì delle misure per indurre una svalutazione
della moneta, rendendo così più convenienti le esportazioni, essendo il mercato interno
collassato, e combattendo così la sovrapproduzione.
Per ridurre la disoccupazione e contrastare la povertà, Roosevelt si mosse in due direzioni.
Da una parte, concesse aiuti e sussidi a chi aveva perso il lavoro. Dall'altra avviò un
imponente programma di lavori pubblici, in cui trovarono lavoro oltre mezzo milione di
disoccupati. Inoltre fu istituita la Civil Works Administration, che diede lavoro a oltre
quattro milioni di persone tramite la costruzione di migliaia di scuole, campi sportivi,
aeroporti e altre opere pubbliche.
Ciò permise di rimettere in moto il potere d’acquisto della classe media.
Uno dei punti centrali del New Deal fu l’intervento dello Stato a favore del settore agricolo.
Delle misure adottate con il New Deal beneficiarono però i grandi agricoltori, mentre i
contadini e i braccianti furono per lo più costretti a emigrare nelle grandi città.
Roosevelt eliminò inoltre il protezionismo, rendendo nuovamente legale la vendita e il
consumo di alcolici, anche se ancora sottoposti ad alta tassazione, finanziando così gli
interventi del governo.

L’azione di Roosevelt fu esposta a critiche che lo spinsero a lanciare, nel 1935, il “secondo
New Deal”, con il quale adottò provvedimenti nel campo della legislazione sociale, come
l’attivazione di pensioni per i lavoratori; aumentò gli investimenti statali nelle opere
pubbliche, intervenendo a favore dei diritti sindacali degli operai; e aumentò, nell’estate
1935, la tassazione sulla grandi ricchezze.
Nelle elezioni presidenziali del novembre 1936 Roosevelt ebbe una vittoria ancora più
schiacciante.
Il 1937 peró portò ad una ripresa della crisi economica: Roosevelt decise quindi, nel
tentativo di una ripresa economica, di investire nel settore pubblico e di approvare una legge
a favore dell’agricoltura.
Il New Deal fu la risposta democratica più valida a questa crisi, assieme alle iniziative nel
campo della politica culturale. Le politiche economiche adottate per fronteggiare la crisi
misero in evidenza le debolezze della cultura economica
liberale. Lo Stato assunse un nuovo ruolo, teorizzato dall'economista Keynes, che lo rese
soggetto attivo, indiretto e diretto, dello sviluppo economico.
Grazie a lui, intorno alla metà degli anni ‘30 gli Stati Uniti riusciranno a tornare alla
situazione economica pre-crisi.

IL DOPOGUERRA IN ITALIA
Tra i Paesi vincitori (Francia, Inghilterra, Russia, Stati Uniti) l’Italia era quello più disastrato
dalla guerra. La sua economia era paralizzata, poiché la produzione industriale era crollata
e il costo della vita era aumentato notevolmente; la smobilitazione dell’esercito produsse un
alto numero di disoccupati e la promessa ai soldati non mantenuta di concessione di terre,
produsse una malcontento tra i reduci di guerra.
Inoltre, l’esito delle trattative di pace provocò una delusione dell’opinione pubblica poiché,
Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino chiesero, in aggiunta a Trento, Trieste, Alto
Adige, Istria, anche la Dalmazia e la città di Fiume, abitata in prevalenza da italiani ma
controllata da truppe alleate, che però non gli furono concesse. La Dalmazia non venne
concessa poiché con il principio di nazionalità, essendo essa di maggioranza slava, doveva
apparteneva al nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni; la città di Fiume invece non era
prevista negli accordi di Londra. Ciò spinse Orlando a dare le dimissioni e gli subentrò
Francesco Saverio Nitti, facendo ritirare la delegazione italiana da Versailles.
Il 12 settembre 1919 lo scrittore Gabriele d’Annunzio, a seguito della non concessione dei
territori richiesti dall’Italia agli ex alleati, organizzò una spedizione con la quale conquistò,
con la forza delle armi dei reduci di guerra, Fiume e per circa un anno creò una sorta di
Repubblica retta da lui (Reggenza del Carnaro), fino a dicembre 1920.
Nella primavera del 1920 Nitti, accusato di scarsa fermezza, si dimise. Il nuovo governo,
presieduto da Giolitti, definí i confini orientali con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Nel novembre 1920 tra l'Italia e il Regno di Slavi, Serbi Croati, si firmerà il trattato di
Rapallo che riconoscerà all'Italia alcuni territori come Zara, una parte della Carniola e
l’Istria; Fiume inoltre diventerà una città autonoma.
Giolitti quindi inviò l’esercito per evacuare Fiume e il 31 dicembre 1920 d’Annunzio firmò la
resa.
Elezioni 1919 e l’ultimo governo Giolitti
Il 1919 per l'Italia è un anno molto importante: dal punto di vista politico, la crisi economica
e sociale fece fallire il governo liberale.
Le masse popolari si erano mobilitate come mai prima d’ora e l’esperienza nelle trincee
aveva dato a contadini e proletari la convinzione di poter diventare soggetti attivi della
politica.
La classe dirigente liberale peró non seppe adeguarsi alla nuova situazione, restando
convinti che del governo dovesse occuparsi una cerchia ristretta di notabili.
Per questo, nascono due nuovi soggetti politici: il Partito popolare italiano, fondato da
Don Luigi Sturzo, che è il partito dei cattolici che però rivendica autonomia nei confronti
della chiesa; e a marzo, il movimento dei “Fasci di combattimento” a Milano, in piazza San
Sepolcro. Quest’ultimo era un programma antimonarchico e anticlericale che sosteneva
le imprese e i lavoratori delle campagne, avendo un programma simile a quelli di sinistra.
Dopo un’anno diventeranno però un partito di estrema destra.
Il 16 novembre 1919 si terranno le prime elezioni svolte con il sistema proporzionale, un
sistema che accresce l’instabilità di governo per i risultati ottenuti. A queste elezioni difatti il
primo partito sarà il partito socialista con il 30% dei voti e il secondo sarà il partito popolare
italiano con il 20% dei voti.
Per creare un governo stabile bastava un’alleanza dei due partiti. Il partito socialista però
non seppe sfruttare tale vantaggio, ritenendo le proprie prospettive inconciliabili con
quelle di altri. Si formò quindi un governo, fragile, a guida liberale che prevederà il ritorno di
Giolitti, che però non riuscì a guadagnare la fiducia dei socialisti e ad evitare la paralisi dello
Stato liberale.
Il “biennio rosso”
Nel 1919-20 l’Italia fu percorsa da numerosi scioperi operai e contadini: gli operai
chiedevano il rinnovo dei contratti; i braccianti del Nord un sistema più equo di reclutamento
della manodopera, e quelli del Sud la fine del latifondo e la distribuzione delle terre incolte.
Nacquero anche, in alcune fabbriche del “triangolo industriale” (Torino-Genova-Milano) dei
consigli di fabbrica: organismi eletti dagli operai con lo scopo di coordinare le lotte.
Da un lato si vedeva in essi l’avanguardia di un possibile sviluppo rivoluzionario, dall’altro la
loro nascita fece scaturire la paura che tali consigli potessero trasformarsi in soviet,
portando l'inizio di una rivoluzione. Per questo motivo, questo periodo prese il nome di
"biennio rosso”.
A questo punto Giolitti mantenne il suo solito approccio, non facendo intervenire l’esercito
ma cercando di convincere entrambe le parti a tornare sui propri passi. Riconobbe quindi
agli operai un aumento dei salari e il parziale controllo sulla produzione. Convinse i
proprietari terrieri a garantire condizioni di lavoro migliori per i contadini; e i sindacati a non
appoggiare più le proteste degli operai. Così facendo le proteste calarono.

I fascisti, a seguito della grande paura suscitata in vasti settori della società italiana,
decisero di entrare nella scena politica italiana con tutto il loro carico di violenza. Durante il
biennio 1919-20, vennero ingaggiati dai proprietari terrieri delle squadre fasciste armate, che
diedero vita allo “squadrismo”.
Questi fenomeni di violenza squadrista si verificano soprattutto nel nord e nel centro Italia e
in seguito colpirono anche altre sezioni della società civile, come le sedi di partiti, di
sindacati e di giornali.
Nel luglio 1920 si verificarono i primi due atti di squadrismo, fino ad arrivare all’autunno
1920 dove le violenze si moltiplicarono.
A capo delle squadre fasciste emersero i “ras”, gerarchi e capi locali del movimento
fascista. L’abitudine alla violenza propria dei reduci e la nuova mentalità instaurata negli anni
di guerra contribuirono a formare la lotta politica in battaglia di strada.
Le forze di polizia e anche la magistratura, di fronte alle azioni fasciate, si dimostrarono
tolleranti perché la paura che il comunismo dilagasse era grande.
Con il congresso nazionale del ‘20, i fasci di combattimento assunsero un profilo di destra;
poi con il congresso del ‘21, essi si costituirono in un partito politico che prese il nome di
Partito nazionale fascista (Pnf), di cui Mussolini fu proclamato “duce”. In questo stesso
anno, anno in cui nascerà anche il partito comunista italiano, si tennero delle nuove
elezioni nelle quali i fascisti entrarono a far parte di una grande lista chiamata “Blocco
nazionale”, insieme a liberali, cattolici e nazionalisti. Questa lista servirà per marginare il
successo dei socialisti. Grazie a ciò 35 deputati fascisti riuscirono ad entrare in
Parlamento.
Solo a Parma il movimento degli Arditi del Popolo, sostenuto da operai e ceti popolari, riuscì
a respingere le squadre fasciste.
A mettere ancora più in difficoltà i socialisti fu il fallimento di uno sciopero generale indetto il
1° agosto per protestare contro le violenze squadriste. Lo sciopero fu la “Caporetto del
socialismo italiano”: una sconfitta che incrementò le divisioni del Psi, da cui si staccarono i
riformisti che diedero vita al Partito socialista unitario (Psu).

FASCISMO
I fascisti erano riusciti a diventare i protagonisti della vita politica. L’opinione pubblica
però era stanca di questo clima di violenza, tant’è che Mussolini si rese conto di dover
forzare la situazione.
Il 28 ottobre 1922 i fascisti marciarono su Roma su organizzazione di Mussolini, il quale
si trovava a Milano pronto a prendere un treno nel caso in cui il colpo non riuscisse,
paralizzando la capitale e prendendo il controllo sulle istituzioni.
Non per niente, l'allora presidente Fakta vedendo i disordini dei fascisti, andò dal re Vittorio
Emanuele III, che aveva la possibilità di fermare l’attacco essendo quest’ultimo militarmente
modesto.
Il re però si rifiutò di firmare lo stato d’assedio perché credeva che Mussolini fosse l’uomo
adatto a prendere in mano il paese, e il 30 ottobre convocò Mussolini per dargli l’incarico di
formare un nuovo governo. Pochi giorni dopo Mussolini tenne il suo discorso di
insediamento in Parlamento, nel quale mostrò il suo totale disprezzo delle istituzioni dello
Stato. Utilizzò un linguaggio che intimoriva il Parlamento; da questo momento le cose non
potranno che peggiorare.

Nel gennaio ‘23 Mussolini istituì la Milizia volontaria di sicurezza nazionale, un corpo
parastatale in cui confluiranno gli squadristi autorizzati a intervenire sull’ordine del governo.
Nello stesso mese istituì anche il Gran consiglio del fascismo, un organo di raccordo tra il
Partito nazionale fascista e il governo, nonostante continuasse Mussolini stesso a dettare la
linea di governo. Tale organo fu particolarmente importante perché il 25 luglio 1943 fu
quest’ultimo a destituire Mussolini; atto che si rivelò l’unico modo per dare una svolta a
un'Italia in guerra che stava andando alla deriva.

La legge elettorale e l’omicidio Matteotti


Per poter attuare la dittatura, Mussolini doveva prima conquistare il potere sfruttando le
regole dello Stato liberale. A tale scopo, nel novembre del ‘23 venne approvata una nuova
legge elettorale, la cosiddetta legge Acerbo, la quale istituì un sistema elettorale
maggioritario che prevedeva un premio di maggioranza alla lista che raggiungeva la soglia
del 25%.
Alle elezioni politiche del 6 aprile 1924, il Partito nazionale fascista, che faceva parte di
una lista che includeva soggetti politici molto conservatori, vinse le elezioni con circa il 65%
dei voti.
L’ampia vittoria elettorale del Partito fascista fu peró causata da brogli e da un pesante
clima di violenza e di minacce, come fu denunciato dal deputato socialista Giacomo
Matteotti. Il 10 giugno 24 Matteotti fu sequestrato e ucciso, ritrovando poi il suo corpo due
mesi dopo in una campagna non lontana; si ritiene questo omicidio importante poiché viene
riconosciuto come primo omicidio politico del fascismo.
Il delitto Matteotti suscitò un grande movimento di opinione pubblica, che accusò il Partito
fascista di aver architettato il rapimento e l'uccisione, che per un momento mise in crisi il
governo.
Il 25 giugno le Camere rinnovarono la fiducia a Mussolini e a quel punto, le opposizioni,
per protesta, abbandonarono i lavori parlamentari e si riunirono in sede separata, dando vita
alla cosiddetta “secessione dell’Aventino”, dal nome del colle romano su cui i plebei si
erano ritirati, poiché si sentivano discriminati da parte dei Patrizi, e dove minacciarono
l’istituzione di una repubblica autonoma.
La vicenda fu sciolta con un celebre discorso di Mussolini ad inizio gennaio ‘25 con cui si
dichiarò colpevole. Con questo discorso molti storici fanno iniziare realmente la dittatura
fascista.
Il consolidamento della dittatura fu completato da due leggi del 1925-26, le cosiddette
leggi “fascistissime”, con le quali Mussolini diede un nuovo ordinamento amministrativo ai
territori periferici dello stato. La nuova struttura amministrativa fu basata però soprattutto
sulla figura del prefetto, che rappresentava lo Stato di ogni provincia. Quest’ultimo si
occupava di far mantenere l’ordine, di far rispettare le leggi del governo ed aveva il controllo
sulla pubblica sicurezza. Sostituì poi alla figura del sindaco, il podestà di nomina
governativa. Sempre in questo anno istituì il tribunale speciale, il ramo della magistratura
che doveva reprimere gli oppositori del governo fascista. Di conseguenza tutti coloro che
erano sospettati di essere contrari al governo vennero segnalati al tribunale, il quale
prendeva dei provvedimenti. I provvedimenti più temibili erano la carcerazione, il confino
(spedire il condannato in un luogo isolato senza possibilità di avere rapporti con il mondo
esterno; il luogo isolato spesso era o la montagna o in un'isola; es. Cesare Pavese fu
mandato al confino a Brancaleone calabro, in Calabria ) e in casi straordinari la pena di
morte, reistituita dal governo fascista.
Nel 1928 venne approvata una nuova legge elettorale che lasciava all’elettore la sola
libertà di barrare una casella della lista di candidati al Parlamento composta da soli fascisti,
poiché tutti gli altri partiti erano stati dichiarati illegali. Il no era più piccolo del sì e non era
garantita la segretezza del voto in quanto venivano a sapere cosa tu avessi votato.
Istituirono così una speciale polizia politica, l “Ovra”, che portò avanti indagini su persone
sospette.
Inoltre tutti gli impiegati statali furono costretti a prendere la tessera del Partito fascista,
pena la perdita del lavoro o pesanti discriminazioni.

Il totalitarismo fascista
Il regime fascista non si limitò a modificare le strutture dello Stato per accentrare su di sé il
potere ma ambiva anche a fondare un nuovo tipo di uomo. Tale regime puntò soprattutto
sui giovani, e quindi sull'educazione scolastica. Uno dei suoi primi atti fu infatti la “riforma
Gentile”, realizzata nel 1923 dal ministro Giovanni Gentile, che la elabora. Quest’ultima
mise al centro della scuola italiana le discipline umanistiche, istituendo così i licei classici,
perché era necessario che i futuristi avessero basi umanistiche.
Questo perché nella riforma gentile era molto importante il tipo di scuola che avevi
frequentato: difatti chi avesse frequentato il classico era libero di frequentare qualsiasi
facoltà volesse, mentre chi per esempio aveva frequentato lo scientifico era veicolato alle
sole facoltà scientifiche.
Istituì inoltre l’esame di stato poiché riteneva che al termine del percorso scolastico, ogni
studente dovesse effettuare una verifica finale; quando fu istituito esso non avveniva sul
programma delle materie selezionate, ma avveniva sul programma di tutte le materie di tutti i
cinque gli anni. Nel 1928 venne istituito il libro di testo unico, un’enciclopedia in cui erano
racchiuse tutte le materie.

Il fascismo puntò molto sull’istruzione per manipolare le coscienze degli italiani, difatti i
programmi furono sempre più improntati a un cultura militare e rituale.
Un esempio ne è la storia, la quale era basata molto su aneddoti dell'antichità romana, che
doveva fungere da modello per i giovani italiani.

Tra il 1925 e il 1926 il fascismo volle inoltre riunire tutti i giovani a seconda della classe di
età, dal momento della nascita a quello dell’università, in dei gruppi, cosiddetti
organizzazioni giovanili, ai quali non potevano rifiutarsi di partecipare.
I bambini delle elementari erano i “figli della lupa”; quelli più o meno delle scuole medie fino
al primo anno di superiori erano i “balilla”; quelli invece delle superiori erano gli
“avanguardisti”; e infine si avevano i “Guf”, per cui i gruppi universitari fascisti.
Nel 1937 tutte le organizzazioni giovanili furono riunite in un’unica struttura paramilitare, la
Gioventù italiana del littorio.
Il fascismo istituì l’Opera nazionale dopolavoro, creata con lo scopo di organizzare il
tempo dei lavoratori.
Essa organizzava gite turistiche, spettacoli e gare, occupandosi anche di assistenza sociale,
gestendo asili e colonie estive.
Era famosa l’organizzazione dei cosiddetti “sabati fascisti”, per cui di manifestazioni
organizzate in tutta Italia nelle piazze che prevedevano lo svolgimento di esercizi ginnici e
paramilitari. L’assenza ad uno di questi eventi richiedeva una valida giustificazione.
La donna era considerata come generatrice di vita, e per questo motivo le famiglie
numerose ricevevano dal Partito fascista degli assegni.
Vennero approvate inoltre delle leggi sul matrimonio che stabilivano il pagamento di una
tassa, che prendeva il nome di tassa sul celibato, per gli uomini, e sul nubilato, per le
donne, che si rifiutavano di sposarsi. Tutto questo faceva parte di una politica demografica
fascista.

Il progetto totalitario del fascismo richiedeva un'accurata attività propagandistica. Nel


1924 nacque la radio in Italia, e alla fine degli anni ‘20 l’istituto Luce, il quale svolse la sua
missione di propaganda trasmettendo video e documentari prima dell'inizio di un film.
Oltretutto per gestire la propaganda, nacque un apposito ministero, il Minculpop, il ministero
della Cultura popolare, che ricorse alla censura esercitando un controllo su ogni forma di
comunicazione di massa.

Gli intellettuali e la Chiesa


Il regime fascista riuscì a garantirsi il sostegno di una grande schiera di intellettuali, molti dei
quali nel 1925 firmarono il Manifesto degli intellettuali fascisti, con la quale esaltarono la
figura del duce. Tra di essi troviamo la firma di Pirandello e Ungaretti. Nello stesso anno,
pochi mesi dopo, venne firmato il Manifesto degli intellettuali antifascisti, tra cui
ritroviamo Montale, il famoso Benedetto Croce e il futuro presidente della repubblica Luigi
Einaudi.

L’11 febbraio 1929 il regime fascista sanò una frattura che ormai andava avanti da mezzo
secolo, quella con la Chiesa cattolica. In quel giorno, vennero firmati i Patti lateranensi, in
Laterano, di cui i firmatari furono Benito Mussolini e il cardinale Gasparri, allora cardinale
dello Stato pontificio.
Essi comprendevano tre documenti:
● la convenzione finanziaria, con la quale lo Stato italiano si impegnò a versare al
papa un risarcimento per i territori perduti;
● il trattato internazionale, che sancì il reciproco riconoscimento delle due sovranità,
del Regno d'Italia da una parte e della Città del Vaticano dall’altra;
● il concordato, che regolò i rapporti interni allo Stato italiano con la Chiesa cattolica.
Con questo per esempio venne riconosciuta legittimità giuridica al matrimonio
religioso e venne introdotto nelle scuole italiane lo studio obbligatorio della
religione cattolica.

Economia e società rurale


Il governo fascista realizzò importanti interventi in ambito economico, sostenendo una
politica economica liberista e incoraggiando l’iniziativa privata. La spesa pubblica fu ridotta,
difatti molti dipendenti pubblici furono licenziati e i servizi telefonici privatizzati. Tutte queste
misure condussero al pareggio di bilancio e ad una significativa ripresa della produzione
industriale e agricola. D’altra parte la politica liberista fece salire l’inflazione, facendo
perdere valore alla lira, al punto che una sterlina era arrivata a valere 150 lire.
Per questo nell’estate 1925 fu operata una svolta protezionistica: venne difatti rivalutata la
lira, imponendosi come obiettivo, con lo slogan “quota novanta”, il cambio di 90 lire con una
sterlina. Anche grazie alla riduzione dei crediti alle imprese e a grandi prestiti da parte delle
banche americane fu possibile raggiungere questo obiettivo.
La rivalutazione della lira danneggiò le imprese esportatrici, e favorì coloro che lavoravano
sul mercato interno grazie alla diminuzione del costo del lavoro.

Mussolini impose all’Italia una politica finalizzata a raggiungere l'autosostentamento


produttivo. Per fare ciò diede vita a un’opera di ruralizzazione, per cui a frequenti opere di
bonifica delle aree paludose.
Nasceranno quindi nuove città come Littoria (ad oggi Latina), Sabaudia e Aprilia.
Dal punto di vista sociale e culturale la ruralizzazione era destinata a fallire, avendo l’Italia
imboccato la strada dello sviluppo industriale e della modernizzazione.
La vocazione ruralista si fondò principalmente sulla battaglia del grano, che si proponeva di
rendere l’Italia autosufficiente nella produzione dei cereali. L’obiettivo fu nel complesso
raggiunto, ma a costo di produrre squilibri ambientali in quanto la coltura del grano fu estesa
in modo improprio provocando l’erosione del suolo. D’altra parte ciò garantì una base
alimentare in tempo di crisi.
Attuò inoltre una politica di urbanizzazione dalle campagne, le quali erano state territorio
di malaria, dato che nelle paludi era più facile contrarla attraverso il pinzo di zanzara.

LA GUERRA IN ETIOPIA
Uno degli avvenimenti importanti per la politica estera Italiana fu la Guerra in Etiopia (l'Italia
possedeva Eritrea, la Libia e la Somalia), con la quale Mussolini voleva mostrare che l'italia
potesse avere un impero coloniale come le altre potenze europee.
L'Etiopia era l’unico stato ancora autonomo in Africa (re Negus); per questo, nell’ottobre
del 1935, le truppe italiane varcarono il confine etiopico, dando inizio a una delle grandi
campagne coloniali della storia, per mezzi coinvolti e numero di vittime.
La guerra durò circa sette mesi, fino alla sconfitta degli etiopi e alla nascita dell'impero
dell'Africa orientale italiana (Aoi), il 9 maggio 1936.
Il quadro delle relazioni internazionali muto a seguito di essa. L’aggressione ad un paese
membro della Società delle nazioni, isolò l’Italia dalla comunità internazionale.
Mussolini si avvicinò allora alla Germania, unico Stato che nonostante le sanzioni
economiche inflitte all'Italia continuò a con essa e le assicurò sostegno diplomatico.

I due paesi, nel 1936, segnarono il cosiddetto asse Roma-Berlino, con cui il governo
fascista riconosceva nell’Europa centrale e orientale un’area di influenza tedesca, e sua
volta il governo nazista accettava l’espansione italiana nel Mediterraneo.
L'Etiopia sarà un possedimento italiano fino al 1941, quando, durante la seconda guerra
mondiale, gli italiani perderanno l'Etiopia, la quale sarà liberata dagli inglesi.

L’alleanza italo-tedesca si rafforzò nel novembre dell’anno dopo con l’adesione italiana al
Patto anti-Komintern, firmato precedentemente da Germania e Giappone (1936).
L’adesione a questo patto porterà l'uscita dell’Italia dalla Società delle nazioni (dicembre
1937).
NAZISMO
Nel corso degli anni ‘20 la Germania visse gravi problemi economici e sociali, con
un’inflazione altissima che tocco il suo apice nel 1923.
La situazione in Germania fu drammatica fino a che non furono attuati diversi
provvedimenti.
Il primo fu la creazione, nel dicembre del 1923, di una nuova moneta, il Rentenmark; il
secondo fu il Piano Dawes, approvato nel 1924, istituito per frazionare la restituzione dei
debiti tedeschi; ed infine, il terzo fu l’avvio di una fase di espansione economica.

Adolf Hitler
Adolf Hitler nacque nel 1889 a Braunau, in Austria, in una modesta famiglia. Il padre era
un impiegato di dogana che avrebbe voluto che il figlio entrasse a far parte della Pubblica
Amministrazione. Questo però non era ciò che Hitler voleva, dato che sognava di diventare
un’artista. Provò difatti ad entrare all'Accademia di belle arti di Vienna, dove però non
venne preso. Si trasferirà comunque a Vienna, dove inizierà a lavorare come imbianchino e
poi come illustratore. A questo periodo risale la sua passione politica, a cui dava sfogo in
lunghe discussioni con interlocutori nei caffè.
Prima dello scoppio della prima guerra mondiale, Hitler si trasferì a Monaco di Baviera, nel
sud della Germania, per sfuggire al servizio militare in Austria.
Hitler era convinto della superiorità razziale dei tedeschi, e che la Germania sarebbe
diventata la nazione dominante, di cui lui doveva essere a capo. Per questo deciderà di
arruolarsi nell'esercito tedesco. Fu ferito durante il combattimento, e gli fu per questo
conferita la croce di ferro per meriti di guerra.
Tornato a Monaco, nel settembre del 1919, si avvicinò alle attività del partito tedesco dei
lavoratori, diventandone il maggiore animatore. In poco tempo assunse la guida del partito,
che nel 1920 ribattezzò con il nome di Partito nazionalsocialista dei lavoratori.
Il termine lavoratori lo ereditò dal partito a cui si era avvicinato nel 1919; socialista è un
movimento di sinistra che ha sempre messo le condizioni del lavoratori al primo posto;
invece nazional rappresenta i partiti di destra, che ritenevano la propia nazione al di sopra
delle altre, l'opposto di socialista.
All’inizio il partito nazista raccolse adesione soprattutto tra ex militari, disoccupati e giovani,
specialmente studenti. Gli iscritti venivano inquadrati in una formazione paramilitare nota
con la sigla di SA, a cui Hitler affiancò, nel 1925, le SS.

Il Partito nazista alla sua fondazione era un partito contro i capitalisti, che utilizzava toni
critici contro la Chiesa ed era un partito che mostrava anche molti malumori alla Repubblica
di Waimar. Tra l’8 e 9 novembre 1923 Hitler, insieme ad altri sostenitori del Partito nazista,
tentò un colpo di stato a Monaco, dove sequestrò il governatore della Baviera in una
birreria. Ciò però fallì grazie all’intervento delle forze dell’ordine e Hitler venne condannato a
5 anni di detenzione, ma per buona condotta dopo 9 mesi di galera uscì. Tanto bastò però
ad Hitler per iniziare e finire di scrivere il manifesto ideologico e programmatico del
partito nazista, il “Mein Kampf”.

La crescita del Partito nazista


Nel 1924 il Partito nazista partecipò alle elezioni per il Parlamento ma, non contando niente
dal punto di vista elettore, non riuscì ad ottenere tanti voti.
Le cose però cambieranno alle elezioni del 1928, alle quali Hitler conquistò il 2,6% dei voti,
riuscendo così a portare al Parlamento un gruppo esiguo.
Le nuove elezioni si svolsero il 14 settembre 1930, in cui il partito, questa volta, arrivò a
superare il 18,3% dei voti (quasi 1 persona su 5). L’avvenimento che fece raggiungere, in
soli due anni, questa percentuale di voto fu la caduta della borsa di Wall street nel 1929,
poiché fece leva sulle paure delle persone di tornare in uno stato di terribile miseria.
Nella primavera del 1932, anno della svolta, Hitler partecipò alle elezioni presidenziali,
candidandosi contro il presidente Hindenburg, di orientamento ultra conservatore, che fu
generale durante la Prima guerra mondiale e presidente della Repubblica di Weimar dalla
metà degli anni '20.
A tali elezioni quest’ultimo fu rieletto presidente della repubblica, ma la cosa sconvolgente fu
che Hitler riuscì a raggiungere il 37% dei voti.
Hindenburg, a seguito di queste elezioni, decise di nominare capo del governo (cancelliere)
Franz Von Papen, nel giugno dello stesso anno. Von Papen fu un liberale conservatore che
convinse Hindenburg a sciogliere il Parlamento, che negli ultimi anni si ritrovò a non avere
una maggioranza definita, e ad indire nuove elezioni.
Nel luglio del ‘32 si terranno tali elezioni, nelle quali il Partito nazista supererà il 37% dei
voti, diventando cosi il partito più votato. Da questo si notò che il partito venne scelto in base
al proprio leader.
Ciò nonostante Hindenburg offrì a Hitler la possibilità di entrare nel governo come ministro,
in modo da far perdere quella natura violenta nazista e racchiuderla in uno schema
istituzionale. Hitler deciderà però di rifiutare questo incarico.
Il Parlamento venne nuovamente sciolto a causa dell'ingovernabilità e delle discordanze
tra Parlamento e governo.
Si indirranno quindi nuove elezioni, nel novembre del ‘32, alle quali il partito nazista
prenderà il 33% dei voti, rimanendo sempre il più votato. A questo punto Von Papen,
pensando di poter civilizzare Hitler avendolo accanto, propose a Hindenburg di nominarlo
vicecancelliere, carica che ancora una volta Hitler rifiutò.
Alla fine, Hindenburg, su proposta di Von Papen, il 30 gennaio 1933 nominò cancelliere
Hitler e Von Papen divenne vicecancelliere.
La nascita della dittatura
Non appena nominato cancelliere Hitler formò un governo di coalizione. I conservatori
erano convinti di poter contenere le sue ambizioni, ma Hitler non nascose che il pluralismo
politico gli sarebbe stato utile solo fino alla creazione di un regime autoritario.
Hitler indisse quindi nuove elezioni e, approfittò dell’incendio del Reichstag, sede del
Parlamento, del 27 e 28 febbraio 1933, accusando un comunista olandese di aver
appiccato l’incendio. Tanto bastò però per iniziare una campagna denigratoria contro i
comunisti.
Alle elezioni del 5 marzo Hitler sguinzagliò due gruppi paramilitari: prima le SA e
successivamente le SS, che nascono come gruppo di protezione di Hitler.
Il 44% dei tedeschi alle elezioni votò i nazisti. Si formò un nuovo governo con a capo Hitler
che, facendo leva su comunisti e ebrei, riuscì a far approvare al Parlamento, il 23 marzo,
una legge che garantiva pieni poteri al capo del governo. Nonostante non ottenne la
maggioranza assoluta riuscì ad avere un numero maggiore di voti grazie ai cattolici, che si
fecero impaurire dai nazisti, chiedendo però di salvaguardare gli interessi della chiesa. In
questo momento finirà la repubblica di Weimar e inizierà la dittatura.

Gettate le basi della dittatura, Hitler dovette affrontare la questione del controllo del suo
partito. I problemi maggiori provenivano dalle SA macchiate di numerosi delitti politici e di
efferati crimini comuni. Nella sua nuova posizione Hitler temeva la concorrenza del capo
delle SA, Ernst Röhm, che godeva di ampia popolarità presso i nazisti militanti.
Hitler indì quindi una campagna contro i “disfattisti” delle SA, il cui piano si attuò il 30 giugno
1934, notte che prese il nome di “notte dei lunghi coltelli”: Hitler, per creare il suo regime
dittatoriale, eliminando anche le opposizioni interne al partito, decise di effettuare
un’epurazione di massa, incaricando le SS (corpi di protezione del fuhrer) di catturare, e in
molti casi anche uccidere, gli ufficiali delle SA, incolpandole di aver tramato contro lo Stato.
Fecero incursioni anche nelle abitazioni private delle SA e uccisero anche il comandante di
quest’ultime, Röhm.

L’anno dopo, il 2 agosto 1934, Hindenburg, che era l’unico a poter fermare la deriva
autoritaria, morì, e Hitler fece approvare al Parlamento una nuova legge che gli riconobbe
anche la carica di Presidente della repubblica. Essendo però il titolo di presidente della
Repubblica troppo associato alla figura di Hindenburg, Hitler trasformò questa carica nella
carica del Fuhrer, condottiero, guida.
Nel rapporto diretto tra Fuhrer e popolo si compì il passaggio definitivo al Terzo Reich.

Dalla dittatura al totalitarismo


Era necessario risolvere la disastrosa situazione economica tedesca. La vera
preoccupazione di Hitler era però procurarsi le risorse necessarie al riarmo. Il ministro
dell’Economia Schacht scelse così una politica di spesa pubblica incentrata su grandi
opere, come il potenziamento della rete autostradale, e sul riarmo. Nel giro di pochi anni la
disoccupazione si ridusse drasticamente. Il numero di disoccupati calò anche per altri due
motivi: l’introduzione dell’obbligo di leva per tutti i giovani di sesso maschile e il grande
impegno di manodopera al posto delle macchine in alcuni settori. La creazione di posti di
lavoro aumentò il potere di acquisto di operai e impiegati, i consumi, la produzione e anche il
consenso verso il regime.
Schacht, che spingeva perché la Germania si aprisse al mercato mondiale, fu emarginato
da Hitler, il quale voleva dare compimento al piano imperialista e razzista teorizzato nel
Mein Kampf.
Il 15 settembre 1935, a conclusione del congresso del Partito fascista, a Norimberga, città
della Germania centro-meridionale, furono approvate tre leggi. Con la prima fu adotta una
nuova bandiera nazionale, sulla quale figurava una croce nera disegnata al centro di un
cerchio bianco di sfondo rosso; la seconda legge attribuiva la cittadinanza soltanto a chi
avesse sangue tedesco; e con l’ultima disposizione, si stabiliva il divieto di matrimoni
misti, cioè matrimoni tra tedeschi ed ebrei, in quanto gli ebrei non potevano sposarsi con un
purosangue, e si proibiva l’assunzione di personale ariano da parte di imprenditori
ebrei.

Nel 1936 si instaurò la cosiddetta asse Roma-Berlino, grazie ad un avvicinamento tra Italia
e Germania a causa della guerra di Etiopia con la quale l’unico paese che continuò a
commerciare con l’Italia fu la Germania.
Nel 1937 l’Italia entrò in una precedente alleanza tra la Germania e il Giappone, facendo
nascere il cosiddetto asse Roma-Tokyo-Berlino.

1938
Nel marzo ‘38 Hitler sferrò un colpo di stato contro l’Austria, dal quale ne uscì vincente
grazie alla non opposizione dell’Italia di Mussolini dovuta alla loro alleanza, e anche alla non
opposizione della Gran Bretagna dovuta al nuovo Capo dello Stato Chamberlain.
Quest’ultimo sosteneva la politica cosiddetta “apaisement”, cioè una politica di tolleranza e
accomodamento nei confronti delle richieste più ragionevoli di Hitler.

Pochi mesi dopo, Hitler si annetté anche la regione dei Sudeti, una fascia di territorio
confinante con la Germania ma all’interno della regione Cecoslovacca.

Il 29-30 settembre venne convocata la cosiddetta conferenza di Monaco, convocata su


proposta dell’Italia di Mussolini. Si trattava di una conferenza che aveva lo scopo di
regolarizzare le conquiste avvenute nell’anno, per cui la conquista dell'Austria e della
regione dei Sudeti.

Il razzismo fu il segno distintivo del nazismo, che Hitler espose nel suo programma “Mein
Kampf”. Il regime nazista impose come l’idea che i tedeschi fossero di razza superiore,
indicando gli ebrei, popolo senza patria, come portatori di un virus che avrebbe portato la
razza ariana alla degenerazione generica. L’apice della violenza antisemita, prima della
guerra, fu la cosiddetta “notte dei cristalli”. L’uccisione a Parigi di un diplomatico tedesco
per mano di un giovane ebreo che voleva vendicare i genitori espulsi dalla Germania, fu un
pretesto per i nazisti per scatenare, nella notte tra il 9 e il 10 novembre, una feroce
distruzione in Germania e in Austria. Questa notte, chiamata così per le migliaia di vetrine di
negozi mandate in frantumi, portò alla morte di 91 ebrei da parte delle SS, mentre altre
migliaia furono arrestate e rinchiuse nei Lager.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE (1939-1945)


Premessa → Il 23 agosto del 1939 il Ministro degli Esteri russo, Molotov, su indicazione di
Stalin, firmò con il Ministro degli Esteri tedesco, Ribbentrop, il patto russo-tedesco di non
aggressione, noto come «Patto Molotov-Ribbentrop», con il quale la Germania e l’Unione
sovietica si impegnarono a non intervenire militarmente l’una contro l’altra per 10 anni. Esso
inoltre, tale patto, prevedeva un protocollo segreto il quale stabiliva, in caso di una guerra
che vedeva coinvolta la Polonia, alla Germania la parte occidentale di quest’ultima e
all’Unione sovietica la parte orientale; il protocollo, apparentemente, sembrava promettere ai
russi più di ciò che sembrava aspettare alla Germania poiché l’URSS, in caso di guerra,
poteva appropriarsi dei territori persi durante la conferenza di pace di Parigi e per cui delle
Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), della Bessarabia, zona tra Ucraina e
Romania, e della Finlandia, senza che la Germania intervenisse.
La firma di tale patto fu però un vero e proprio paradosso poiché 3 anni prima, nel 1936,
Germania e Giappone avevano stipulato il Patto anticomintern, a cui nel 1937 entra a far
parte anche l’Italia dando vita all’asse Roma-Tokyo-Berlino, che era un patto contro i
comunisti, e i russi erano comunisti.

Scoppio della guerra → Dopo essersi coperto le spalle a est (lato russo), Hitler inviò un
ultimatum alla Polonia per riunificare la Germania e quindi abbattere il corridoio di
Danzica, parte di territorio, considerato come una città autonoma, ceduta alla Polonia con la
conferenza di pace di Parigi che permetteva al paese un affaccio sul mar Baltico e divideva
in due parti la Germania, occidentale e orientale. L’ultimatum però scadde e così, il 1°
settembre del 1939, Hitler attacca la Polonia, dando inizio alla Seconda guerra mondiale.
In pochissime settimane, con una sorta di guerra lampo, la Germania riuscì ad abbattere la
Polonia, ad annettersi la parte nord occidentale e ad istituire, invece, nella parte meridionale
un Governatorato filo-nazista, con capitale Cracovia. Con tre settimane di ritardo, la
Russia occupò la parte orientale della Polonia, dove furono organizzate delle elezioni per
legittimare l’annessione.
Nel novembre dello stesso anno, l’URSS condusse la sua guerra parallela attaccando la
Finlandia, durante la quale i finlandesi attaccarono duramente. Un giornalista italiano, Indro
Montanelli, racconta addirittura che i finlandesi si scagliavano contro i sovietici con gli sci,
sfruttando ogni parte del bosco per farlo. Tale guerra, che fu soprannominata “guerra
d’inverno”, terminò a marzo del 1940 quando la Finlandia decise di cedere all’URSS il
territorio al di là della baia, la Carelia. A seguito di questa, l’URSS venne espulsa dalle
Società delle Nazioni Unite.
Nel giugno del ‘40, l’URSS invase e occupò le 3 repubbliche baltiche: Estonia, Lettonia e
Lituania. Nei primi mesi di guerra, la situazione sul fronte occidentale (Francia), a differenza
di quella del fronte orientale (Polonia), fu molto piatta. Questa fase di stasi, che passa alla
storia come “guerra stramba”, durò fino al maggio del 1940 quando Hitler, avendo liquidato
la questione polacca, poté dedicarsi al fronte occidentale, attaccando la Francia passando
dai paesi neutrali per cui Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. L’obiettivo dei tedeschi era
quello di penetrare nel territorio francese, attraverso la foresta delle Ardenne, per poi
giungere alla Manica, circondando così sia i francesi che gli inglesi. Nel giro di poche
settimane i tedeschi entrarono a Parigi e questo costrinse la Francia, il 22 giugno 1940, a
firmare l’armistizio nello stesso vagone ferroviario, in cui fu firmato l’armistizio con il quale la
Germania, nel 1918, si ritirò dalla Prima guerra mondiale. A seguito del l’armistizio, la
Francia venne divisa in due parti: quella centro-settentrinale fu posta sotto il diretto
controllo della Germania nazista, mentre in quella meridionale nacque un governo
collaborazionista che prese il nome di Repubblica di Vichy, con sede a Vichy, con a capo il
generale Philippe Pétain. Il regime di Pétain mirava al ritorno ai valori tradizionali della
famiglia e della religione. Pétain dette vita ad uno Stato fascista che prevedeva l’abolizione
delle elezioni libere e dei sindacati e persecuzioni per gli oppositori. Nel frattempo però molti
ufficiali e funzionari francesi collaborarono con i tedeschi, individuando e consegnando alle
SS i cittadini francesi di origine ebraica. Ben presto quindi Pétain perse il controllo del
governo che passò ai tedeschi. Le regioni di Alsazia e Lorena furono annesse alla
Germania.
GRAN BRETAGNA
La situazione della guerra al giugno del 1940, considerando che nello stesso mese venne
occupata anche la Norvegia, vide completa la guerra lampo. L’Europa era tutta oppressa
oppure alleata di Hitler, ad eccezione della Gran Bretagna.
Nel maggio del 1940 alla guida della Gran Bretagna venne messo Winston Churchill, un
uomo dal polso duro che non aveva mai condiviso la linea di Chamberlain (linea
dell’appeasement) di accontentare Hitler su tutto ciò che chiedeva; lui già dai tempi della
Conferenza di Monaco si era espresso negativamente. Churchill non accettò le offerte
tedesche di avviare delle trattative di pace neppure di fronte alla sconfitta della Francia. Per
questo, nel maggio del 1940, Hitler diede inizio all’operazione militare «Leone marino», il
cui obiettivo era quello di prendere il controllo dei cieli sul canale della Manica per creare le
condizioni per lo sbarco sull'isola. Tale operazione vide un vasto dispiegamento di forze
aeree, per cui di bombardamenti dall'alto, da parte dell’aviazone tedesca - la Lutfwaffe -
sulle principali città inglesi, molte delle quali furono seriamente compromesse, come la
stessa Londra, e alcune rese al suolo, come la città di Conventry. A tutto questo però i
britannici riuscirono ad opporre resistenza, bloccando l’assalto via mare ideato da Hitler,
grazie alle attrezzature aeree all'avanguardia possedute. Non per niente si calcola che circa
2000 aerei tedeschi furono abbattuti a fronte dei 500/600 inglesi.
Tale operazione si protrasse fino al maggio del 1941, quando Hitler, di fronte alla caduta di
circa 1800 aerei tedeschi, cambiò strategia, puntando ad una guerra sottomarina, così da
bloccare i rifornimenti che arrivavano alla Gran Bretagna.
Anche questo tentativo però fallì.
ITALIA
Allo scoppio della guerra l’Italia, allora guidata da Mussolini, adottò la linea della “non
belligeranza” e quindi non entrò in guerra, ma comunque confermò l’alleanza con la
Germania.
Tale decisione derivò soprattutto dall’impreparazione dell'esercito italiano, che non si era
riorganizzato dopo la guerra di Etiopia e la guerra civile in Spagna. Le cose però cambiarono
quando si verificò il crollo della Francia: Mussolini infatti, nella convinzione che la guerra
sarebbe terminata di lì a poco e soprattutto che, intervenendo, ne sarebbe uscito vincitore,
ottenendo nuovi territori, il 10 giugno del 1940, dal balcone di Palazzo Venezia, annunciò
alla folla che l'Italia aveva dichiarato guerra alla Francia e al Regno Unito, con l’obiettivo di
conquistare nuovi territori, tra cui la Corsica. La scelta di attaccare un paese ormai sconfitto
destò sconcerto, e profonda fu la delusione per l'andamento delle operazioni belliche, che
videro le truppe francesi fermare quelle italiane sulle Alpi. Di conseguenza, il 24 giugno del
1940 fu firmato l’armistizio a seguito del quale l’Italia ottenne Mentone e qualche paesino
sulle Alpi.
Lo scopo di Mussolini però non era tanto quello di entrare in guerra per sostenere la sua
alleata (Germania) quanto per ottenere la supremazia sul mar Mediterraneo attraverso la
conquista della Grecia e dei Balcani ed espandere il dominio coloniale italiano a discapito
degli inglesi. Per raggiungere i suoi obiettivi quindi Mussolini condusse una guerra parallela
a quella tedesca in Africa e nei Balcani.
AFRICA → In Africa l’Italia controllava l’Eritrea, l’Etiopia, la Somalia italiana e la Libia:
mancavano quindi a est la Somalia britannica e lo stretto di Gibuti, zona del mar Rosso che
ospitava i traffici commerciali tra Europa e Asia, e a nord l’Egitto.
Tutti questi territori però erano sotto il controllo britannico e quindi, nel momento in cui
Mussolini li attaccò, trovò la controffensiva inglese che ribaltò la situazione: Mussolini infatti,
oltre a fallire nel suo tentativo di conquistare i nuovi territori, perse anche quelli che già
possedeva, che quindi passarono nelle mani degli inglesi. A questo punto quindi Mussolini fu
costretto a chiedere aiuto ad Hitler il quale inviò in nord Africa un corpo di spedizione,
l’Afrikakorps, grazie al quale riuscirono a respingere le truppe inglesi oltre il confine italiano.
BALCANI → Nell'ottobre 1940 Mussolini, per far vedere alla Germania quello che valeva
l’esercito italiano, attaccò la Grecia partendo dall’Albania.
In un primo momento le truppe italiane, seppur impreparate, riuscirono ad avanzare con
facilità, ma presto subirono una serie di rovesci. Verso la primavera del 1941 dovettero
infatti intervenire i tedeschi in aiuto degli italiani perché non soltanto i greci opposero
all’offensiva italiana una forte difesa ma gli italiani furono respinti oltre il confine albanese
rischiando di perdere anche l'Albania. I tedeschi, per paura di un attacco inglese da sud,
intervennero in aiuto dell'Italia e così in poco tempo tutti i Balcani vennero sottomessi e
posti sotto amministrazioni nazifasciste.

Con il fallimento di queste due guerre parallele si constatò che l’Italia non era più la grande
potenza di una volta infatti, a meno di un anno dall’entrata in guerra, aveva perso ogni
iniziativa militare a causa soprattutto delle errate strategie adottate, che quindi la portarono a
dover sottostare alle decisioni di Hitler.

L’OPERAZIONE BARBAROSSA
Al sogno hitleriano di un Impero germanico destinato a durare nei secoli mancava solo la
Russia comunista, a cui Hitler aspirava per impadronirsi di nuovi territori e risorse e per
eliminare definitivamente la minaccia comunista.
Il 22 giugno 1941 quindi, con la cosiddetta “operazione Barbarossa”, Hitler attaccò l’URSS
attuando una guerra di movimento in 3 direzioni: a nord verso Leningrado, l'attuale San
Pietroburgo; al centro verso Mosca; e a sud verso il Caucaso. In totale l'esercito tedesco si
ritrovò a coprire un fronte di 2000 km.
La strategia di Hitler portò a dei risultati: ad ottobre le truppe tedesche erano alle porte di
Mosca ma trovarono l’opposizione dei russi che attuarono la tattica della “terra bruciata”,
volta a distruggere ogni tipo di risorsa del nemico. Nonostante questo, nel corso del 1942,
Hitler continuò le operazioni di conquista nel territorio russo ma questa volta, invece che
puntare a Mosca, puntò a conquistare la città di Stalingrado, un luogo strategico del
Caucaso, che, riuscì a conquistare, ma che di fatto non terrà a lungo. I tedeschi non
avevano messo a sicuro la sponda del fiume che attraversava la città, il Volga. Così facendo
i russi riuscirono ad accerchiare i tedeschi insediati nella città, ai quali venne impedito ogni
tipo di collegamento per ricevere armi e approvvigionamenti, ritrovandosi sempre più
abbandonati a sé stessi.
Nonostante Hitler avesse ordinato ai suoi uomini di non arrendersi, i soldati tedeschi, ormai
stremati e isolati, nel febbraio del 1943 si piegarono ai russi: questa rappresenta la prima
grande sconfitta di Hitler.

DA GUERRA EUROPEA A GUERRA MONDIALE (Stati Uniti)


Quella che fin’ora era una guerra europea, poiché aveva visto coinvolti solo Paesi europei, il
7 dicembre del 1941 si trasformò in una guerra mondiale poiché 350 aerei e alcuni
sommergibili giapponesi attaccarono la base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii,
uccidendo circa 2400 soldati statunitensi. Di conseguenza gli Stati Uniti, che fino a quel
momento avevano sostenuto la Gran Bretagna ma solo a livello di armi non con un vero e
proprio intervento, dichiarano guerra al Giappone.
Si crearono così, alla fine del 1941, 2 schieramenti:
● da una parte l’ASSE, composta da Italia, Germania e Giappone;
● dall’altra gli ALLEATI, composta da Gran Bretagna (guidata dal primo ministro
Churchill), Stati Uniti (guidati dal presidente Roosevelt) e URSS che, il 1° gennaio
del 1942 firmano il Patto di Washington con cui promettono di lottare con tutte le loro
forze e di non firmare alcuna pace col nemico.
L’attacco del Giappone agli Stati Uniti, poiché era stato sferrato senza alcuna dichiarazione
di guerra, scatenò una grande indignazione tanto che, il presidente Roosevelt definirà
questo giorno il “giorno dell’infamia”.
Il ‘42 è ancora un anno che depone a favore delle forze dell’asse. L’anno della svolta per la
Seconda guerra mondiale fu il 1943. Nel gennaio ‘43, a Casablanca, il presidente Churchill
e Roosevelt si ritrovano per stabilire come muoversi in Europa. Churchill, che aveva paura
dei comunisti, voleva liberare l’Europa partendo dai Balcani; Roosevelt, invece, preferiva
partire dalla Francia. I due arriveranno ad un compromesso, che fu quello di partire dall’Italia
meridionale.

Il 10 luglio 1943 gli alleati aglo-americani sbarcarono in Sicilia con l’operazione Husky e,
dopo aver conquistato Lampedusa, in poco più di un mese, conquistarono tutta l’isola,
raggiungendo Palermo e Messina. La perdita della Sicilia e la prospettiva di uno sbarco da
parte degli anglo-americani nel resto della penisola (Italia) portarono ad una grande crisi per
il regime fascista.

LA CADUTA DEL REGIME FASCISTA


A seguito della sconfitta da parte dell’esercito anglo-americano, negli animi degli italiani
cresceva il malcontento, tanto che si iniziò a considerare Mussolini come l’unico vero
responsabile della disfatta. Questo portò quindi molti a vedere Vittorio Emanuele III come
l’unico in grado di portare l’Italia fuori da una guerra ormai persa.
Più precisamente erano 3 i leader fascisti che volevano destituire Mussolini: Dino Grandi,
Giuseppe Bottai, che era il genero dello stesso Mussolini, e Galeazzo Ciano.
La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il Gran consiglio del fascismo, composto dai gerarchi
del partito fascista, approvò a maggioranza l’ordine del giorno, presentato proprio da uno di
questi gerarchi Dino Grandi, che ridimensiona il peso di Mussolini e attribuiva al re Vittorio
Emanuele III maggiori poteri nelle decisioni di guerra. Uno dei primi atti del re fu quello di far
imprigionare Mussolini che venne scortato dai carabinieri in una baita del Gran sasso con
una scontra sempre presente a controllare, e di affidare la guida del nuovo governo al
generale Pietro Badoglio. La caduta di Mussolini e l’instaurazione di questo nuovo governo,
noto come “governo dei 45 giorni” poiché durerà fino all’8 settembre del 1943, segnò la
fine del fascismo. In tutte le città italiane quindi furono distrutti i simboli del fascismo e, da
parte del Partito fascista, non ci fu nessuna reazione, come se fosse scomparso. In tutto
questo Badoglio, nonostante avesse dichiarato che la guerra sarebbe continuata, iniziò
delle trattative segrete con gli anglo-americani per arrivare ad un armistizio ma Hitler,
intuendo ciò che stava accadendo, con la scusa di voler sostenere l’alleata in difficoltà
(l’Italia) aumentò le truppe tedesche in Italia, attuando la cosiddetta “operazione Alarico”.
Nonostante questo però il 3 settembre del 1943 fu firmato in Sicilia l’armistizio tra italiani e
anglo-americani, che venne annunciato alla radio solo 5 giorni dopo, l’8 settembre. Con tale
annuncio quindi l’Italia dichiarava l’uscita dalla guerra, rompendo così l’alleanza con la
Germania. Di conseguenza il Paese, che ormai era diviso in due tra gli anglo-americani e i
tedeschi, precipitò nel caos: il re, Badoglio e altri membri del governo fuggirono a Brindisi
poiché non avevano un piano per una prevedibile reazione da parte dei tedeschi.
Di fatto le truppe tedesche massacrarono quelle italiane: 600.000 soldati italiani furono
deportati in Germania, altri furono bombardati e i sopravvissuti furono trucidati.
Il 12 settembre del 1943 (operazione quercia) un gruppo di tedeschi liberò Mussolini che,
una volta tornato, costituì la Repubblica sociale italiana (Rsi), con sede a Salò (sul lago di
Garda), la quale sosteneva di voler rifiorire gli ideali del fascismo originario che diventa il
covo dei fascisti in un italia che poco a poco sta cedendo pezzi agli anglo americani.
Intanto, il 9 settembre del 1943, a seguito dell’armistizio tra italiani e anglo-americani,
nacque il Cln, ossia il Comitato di liberazione nazionale, col quale tutte le forze fasciste,
che fino a quel momento si erano trovate a vivere all’estero o al segreto in Italia, uscirono
allo scoperto e combatterono per la liberazione dai nazifascisti.

Nel gennaio del 1944 l’avanzata americana sbarcò ad Anzio, a sud di Roma, e a maggio
finalmente gli Alleati riescono a forzare la linea Gustav (che divideva in 2 l’Italia: a nord i
tedeschi e a sud gli alleati), fino a che il 4 giugno Roma fu liberata.
Nell’autunno del 1944 i tedeschi creano una nuova linea difensiva, la linea Gotica (che
andava dalla Spezia fino a poco sotto Rimini e passava anche per le nostre zone, infatti
Pistoia era stata liberata ma l’Abetone no). La liberazione dell’Italia però si bloccò perché gli
Alleati avevano deciso di aprire un secondo fronte di guerra nel nord della Francia, tramite
l’operazione Overlord attuata il 6 giugno del 1944, che passa alla storia come D-day. Il 25
agosto 1944 gli Alleati entrarono vittoriosi a Parigi.
I tedeschi quindi erano ormai accerchiati: a occidente premevano gli anglo-americani e a
oriente Stalin. Per fronteggiare tale situazione Hitler lanciò due attacchi su ciascuno dei due
fronti: a occidente sferrò un attacco alle Ardenne, che però fu respinto; e a oriente sferrò
un attacco a Budapest, che al contrario portò risultati migliori.
Nel frattempo, tra il 4 e l’11 febbraio del 1945, i leader degli Alleati (Churchill, Roosevelt e
Stalin) si riuniscono nella Conferenza di Jalta per discutere dell’assetto postbellico
dell’Europa. A riguardo decisero di dividere la Germania in 4 parti, quella britannica, quella
sovietica, quella statunitense e quella francese, e di fissarne i confini.
La situazione dei tedeschi non migliorò anzi, tra febbraio e aprile, l’esercito crollò su tutti i
fronti e addirittura gli Alleati penetrarono a Berlino che fu definitivamente conquistata. Di
fronte a tutto questo Hitler, ormai sconfitto, il 30 aprile del 1945 si toglie la vita assieme alla
sua compagna, che aveva sposato poche ore prima, e il cadavere fu appeso a testa in giù
ad una pompa di benzina.

Nel frattempo continuò la liberazione Italiana: gli Alleati penetrarono nella Pianura Padana e
liberarono numerose città, tra cui Bologna. Di fronte a tutto questo Mussolini, il 28 aprile
del 1945, tentò di fuggire in Svizzera, ma fu catturato e fucilato assieme ad altri gerarchi
fascisti. Il giorno dopo i tedeschi in Italia firmarono la resa.
La guerra finì soltanto nell'agosto del 1945 quando anche il fronte asiatico subì una
definitiva battuta d’arresto con il bombardamento nucleare delle città di Hiroshima e
Nagasaki, il 6 e il 9 agosto 1945, ordinato dal neoeletto presidente degli Stati Uniti, Harry
Truman.
Le devastazioni provocate dalle bombe atomiche spinsero il Giappone ad avviare le
trattative per l’armistizio, che fu firmato il 2 settembre 1945.
Quella di Hiroshima e Nagasaki fu una strategia già prevista da Roosevelt che incoraggiò
l’uso della bomba atomica e sperimentò la bomba attraverso il Progetto Manhattan.

LA RESISTENZA
Le formazioni partigiane nacquero nell’Italia centro-settentrionale quando alcuni militari,
che non si presentarono nelle caserme per essere spediti al fronte, si unirono a gruppi di
civili che volevano sfuggire alla deportazione in Germania e porre fine alla guerra e alla
dittatura. Poco armati e spesso protetti dalle popolazioni i gruppi partigiani organizzavano
azioni di sabotaggio e incursioni mirate. Tra loro c’erano molti giovani e la
collaborazione delle donne fu fondamentale poiché esse trasmettevano messaggi tra i
partigiani nascosti nei boschi e quelli in incognito in città, assicuravano assistenza ai
combattenti e in alcuni casi presero le armi assieme agli uomini.
In Italia i partigiani furono circa 200.000. Quasi la metà era nelle brigate Garibaldi, di
orientamento comunista. Nelle loro formazioni il comandante militare era affiancato dal
commissario politico, che doveva svolgere opera di propaganda e verificare che le unità
seguissero le indicazioni politiche del partito. La seconda componente, per importanza, era
costituita dalle brigate Giustizia e libertà. Si formarono anche gruppi di stampo
socialista, cattolico e monarchico, nonché le formazioni autonome, guidate da ex ufficiali
dell’esercito. Il referente politico dei gruppi partigiani era il Cln.
Nel 1944 il movimento partigiano italiano si irrobustì di nuove leve e intensificò la sua
azione, liberando importanti città come Firenze. Anche se il loro contributo non fu deciso per
le sorti della guerra, i partigiani divennero una spina nel fianco per i tedeschi e favorirono
l’avanzata degli Alleati. In alcune zone periferiche, la scarsa presenza o la fuga dei fascisti
favorì la nascita di «repubbliche partigiane» che volevano firma di governo democratico e
popolare.
Le popolazioni furono ritenute responsabili della presenza dei partigiani nel loro territorio,
tant’è che interi villaggi furono massacrati come ad esempio a Sant’Anna di Stazzema dove
furono uccise 560 persone e a Marzabotto dove furono uccise 775 persone. Le stragi
rientravano in una specifica strategia, quella di scoraggiare i partigiani e provocare l’odio dei
civili nei loro confronti.

La Resistenza al nazifascismo ebbe una dimensione europea. In alcuni paesi i partigiani si


dedicarono ad attività di sabotaggio, ad attentati e alla diffusione di stampa
clandestina; in altri animarono formazioni combattenti a fianco degli Alleati.
Le forze di resistenza francesi erano composte dai partigiani e dal Comitato dei francesi
liberi di De Gaulle, che operò nelle forze militari alleate. In Urss la Resistenza ebbe un
carattere di massa e coinvolse civili e soldati. Le formazioni partigiane russe agivano in
sintonia con l’Armata Rossa, da cui ricevevano direttive militari e sostegno logistico. In
Ucraina e in Bielorussia combatterono formazioni partigiane anche sovietiche di
orientamento nazionalista. L’esercito partigiano che ebbe più successo fu quello jugoslavo,
appoggiato dagli anglo-americani, liberò da solo molte regioni del paese.

Opposti alla resistenza erano coloro che combattevano a fianco delle forze dell’Asse o
cooperavano con i nazifascisti: i collaborazionisti. Le motivazioni della scelta
collaborazionista furono varie, tra cui l’adesione all’ideologia fascista, l’anticomunismo,
l’opportunismo e la paura. I nazisti agirono ovunque con brutalità e i civili furono
considerati responsabili della presenza dei partigiani nel loro territorio e subirono esecuzioni
di massa.
Fin dal 1941 Hitler aveva ordinato ai suoi soldati di eliminare chiunque apparisse pericoloso
per la sicurezza dei tedeschi.

LE PERSECUZIONI RAZZIALI
La distruzione degli ebrei d’Europa ha rappresentato l’apice della violenza del ‘900.
Olocausto e Shoah sono le parole che vengono utilizzate per denominare questa tragedia.
Dal 1º settembre del 1941 gli ebrei furono costretti ad applicare ai vestiti una stella gialla
come segno di riconoscimento, furono spogliati di tutti i loro beni e gli fu vietato di
frequentare luoghi pubblici. Durante la conferenza di Wannsee, il 20 gennaio 1942, fu
predisposta la soluzione finale del problema ebraico, il genocidio.
L’8 dicembre 1941 fu aperto il primo campo di sterminio a Chelmno, in Polonia, dove per
uccidere i prigionieri fu utilizzato per la prima volta il gas.
A partire dall’estate del 1942 furono aperti nuovi campi di sterminio e fu ampliato il campo di
Auschwitz-BIrkenau, aperto già nel 1940.
Nel corso del 1943 furono uccisi gli ultimi sopravvissuti, e nel corso del 1944 la maggior
parte dei campi di sterminio furono demoliti. All’avvicinarsi delle truppe sovietiche a ovest e
di quelle anglo-americane, migliaia di detenuti dei lager furono costretti a intraprendere la
“marcia della morte”, lunghi trasferimenti verso luoghi lontani dal fronte. Quando i soldati
alleati entrarono nei lager, si trovarono di fronte a montagne di cadaveri insepolti, superstiti
ridotti a scheletri viventi ed enormi fossi comuni. Nei i mesi seguenti iniziò il periodo che Levi
definì “la tregua” dove i pochi sopravvissuti emigrarono in Palestina o negli Stati Uniti,
grazie all’assistenza di alcune organizzazioni ebraiche.

La Shoah in Italia
L'occupazione tedesca dell’Italia centro-settentrionale, nel settembre del 1943, e la nascita
della Repubblica sociale italiana di Mussolini, la Shoah colpì anche gli ebrei italiani.

Nel ghetto di Roma viveva la più antica comunità ebraica d'Europa. Nell'autunno del 1943 i
nazisti imposero agli ebrei romani di consegnare 50 chili d'oro per evitare la deportazione.
Tale ricatto era solo un modo per spogliare le vittime di una parte dei loro beni. Infatti, la
mattina del 16 ottobre 1943 i soldati tedeschi circondarono il ghetto e cominciarono a
catturare gli ebrei casa per casa.

Al termine della guerra si pose il problema di giudicare i crimini commessi dai nazisti. Nel
novembre del ‘45 a Norimberga, la città che aveva dato il nome alle leggi antisemite, si
aprì il processo contro i principali criminali di guerra nazisti. Il tribunale di Norimberga fu il
primo tribunale internazionale e sancì una rivoluzione giuridica poiché, accanto a tre capi
d’accusa tradizionali, fu introdotto quello di crimini contro l’umanità e venne giudicata la
responsabilità individuale degli accusati che non poterono giustificarsi affermando di aver
obbedito agli ordini.
IL SECONDO DOPOGUERRA
A seguito della Seconda guerra mondiale, la storiografia ha coniato il termine
«bipolarismo» per identificare la divisione del mondo in due blocchi ideologicamente
contrapposti: l’URSS, con un’ideologia comunista e socialista, e gli Stati Uniti, con
un’ideologia liberista e capitalista. L’Unione Sovietica, che già prima della guerra aveva
un’economia poco sviluppata, nel corso del conflitto aveva subito numerose perdite
umane e materiali. La supremazia dell’URSS quindi non si basava tanto sull’economia
quanto sulla forza dell’esercito, sul controllo militare dei paesi dell’est Europa che erano
alleati della Germania e sull’ideale del comunismo.
Al contrario invece gli Stati Uniti erano dotati di un’ideologia progressista e di un’economia
molto forte, che addirittura, con la guerra, non fece che migliorare.

Quando la guerra era ancora in corso, Roosevelt (stati uniti) propose 2 progetti a lungo
termine, uno sul piano economico e uno sul piano politico.
- PROGETTO ECONOMICO. Sul piano economico la proposta di Roosevelt era prendere
corpo nella Conferenza di Bretton Woods (1944) , che prevedeva la creazione di un
mercato globale liberalizzato, dotato però di regole volte a contenere possibili crisi.
A completamento di tale progetto fu firmato “l’Accordo generale sulle tariffe e il
commercio” che prevedeva un abbassamento della barriere doganali, volto a favorire gli
scambi commerciali. Alla base di tutte queste decisioni c’era la teoria del liberalismo,
secondo la quale il motore della crescita economica era la libera concorrenza che abbatteva
i mercati protetti e creava un mercato mondiale aperto e omogeneo.
- PROGETTO POLITICO. Sul piano politico invece Roosevelt propose la creazione di un
organo volto a garantire la pace e la tutela dei diritti. Tale organo avrebbe sostituito la
Società delle Nazioni che si era rivelata incapace di raggiungere gli obiettivi prestabiliti,
infatti non era riuscita ad impedire lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nasce così, il
26 giugno del 1945, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), con sede a New York.
L’ONU si compone di 2 organi principali: l’Assemblea generale, formata da tutti gli Stati
membri e presieduta da un segretario generale, che si riunisce ogni anno; e il Consiglio di
sicurezza, composto da un segretario generale e da 15 membri, 10 a rotazione e 5
permanenti (Usa, Urss, Cina, Regno Unito e Francia), questi ultimi con potere di veto,
ossia la capacità di bloccare le decisioni prese a maggioranza nel Consiglio.

Gli Stati Uniti, dopo la fine della guerra, non volevano commettere lo stesso errore delle
potenze vincitrici della Prima guerra mondiale che avevano attuato misure punitive a danno
della Germania ma, al contrario, volevano creare un clima di fiducia e collaborazione tra i
paesi europei. Per fare questo Truman attuò il cosiddetto Piano Marshall, che prevedeva
massicci finanziamenti per assicurare una ripresa economica generale. I primi effetti si
iniziarono a vedere già dai primi anni ‘50, quando le principali potenze europee superarono i
livelli produttivi d’anteguerra. Tale piano però aveva anche uno scopo politico, ossia quello
di favorire il libero mercato e più alleanze possibili con altri Paesi europei.

ITALIA DEL DOPOGUERRA


Finisce la guerra nell’estate del ‘45, ma in realtà il nuovo corso politico l’Italia lo riceve già
durante la guerra.
Con la destituzione di Mussolini (25 luglio 1943), viene nominato il generale Pietro Badoglio
come capo dello stato. Il governo di quest’ultimo è ancora un governo di emergenza
nazionale.
Nell’aprile del ‘45 l’Italia viene liberata. Il primo capo del governo dell’Italia liberata fu
Ferruccio Parri. Il governo di quest’ultimo si caratterizzava per l'unità politica perché al suo
interno si riunirono tutti i partiti politici che, negli anni del ventennio fascista, si erano opposti
al regime (viene ristabilito il cosiddetto “pluralismo politico”).
I maggiori partiti che facevano parte di tale governo, erano:
la democrazia cristiana (partito di centro), erede del partito popolare italiano fondato da
Don Luigi Sturzo, che proponeva un maggiore protagonismo dei cattolici e, da un punto di
vista della politica estera, voleva stringere rapporti con gli Stati Uniti. Il leader di questa era
Alcide De Gasperi;
il partito comunista (partito di sinistra), leader Palmiro Togliatti,che desiderava una
ricostruzione che annientasse tante disuguaglianze sociali che si erano tramandate fin dai
tempi dell’unità d'italia;
il partito socialista (partito di sinistro/centrosinistra) che al suo interno si spaccò in:
un'ala radicale, quella di Pietro Nenni, più incline alle riforme e a una collaborazione con i
comunisti, e un'ala minoritaria, più conservatrice che al contrario voleva dialogare con la
democrazia cristiana.

I partiti minoritari invece erano:


il partito liberale (centro/centrodestra); il partito d’azione (centro leggermente spostato a
sinistra); il partito dell’Uomo qualunque, fondato da Giannelli (non voleva riconoscersi in
un area politica ma, per le proposte che faceva, lo si può ricondurre ad un'area di destra);
Movimento sociale italiano, di cui il leader era Giorgio Almirante.

Il governo Parri durò poco, da aprile ‘45 fino a dicembre dello stesso anno, per la questione
dei conti con il fascismoo, e così nel dicembre del ‘45 diventò capo del governo Alcide De
Gasperi.
Nel giugno del ‘46 i conti del fascismo vennero risolti con un'amnistia generale, tramite la
quale vennero cancellati tutti i reati lasciando liberi i fascisti.
Il 2 giugno del ‘46 ci fu un Referendum per scegliere tra Monarchia e Repubblica, al quale
vinse la Repubblica. Vince la Repubblica per una differenza di voti piuttosto limitata, 2
milioni di voti (da ciò che era successo negli anni precedenti, ci si sarebbe aspettato un esito
più netto). Le regioni che votarono più convintamente per la Monarchia fu il sud Italia,
mentre le regioni del nord, compresa la Toscana, votarono per la Repubblica. Dato l’esito
del Referendum, Umberto II lasciò l'Italia e si trasferì in Portogallo.
Tale referendum fu importante perché per la prima volta le donne votarono ma anche perché
venne eletta l’Assemblea costituente, che aveva il compito di dare all’Italia una
Costituzione. La Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio del 1948.

LA GUERRA FREDDA (1946-1989)


L’espressione “Guerra fredda” comparve per la prima volta come titolo di un libro del
giornalista statunitense Walter Lippmann, pubblicato nel 1947. Tale termine indicava lo
stato di ostilità che si creò dopo la Seconda guerra mondiale tra gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica.
Nonostante i due schieramenti si preparassero da tempo ad un possibile scontro, non fu mai
dichiarata la guerra. Non si trattava infatti di una guerra diretta quanto di uno stato perenne
di tensione da parte di entrambi i blocchi, che gli storici hanno definito “equilibrio del
terrore”. Il ‘terrore’ di cui gli storici parlano è dettato principalmente dal potenziale distruttivo
delle armi che entrambi i Paesi avevano a disposizione, ossia bombe atomiche, bombe a
idrogeno e missili teleguidati.
La Guerra fredda inoltre fu una guerra tra ideologie contrapposte: gli Stati Uniti si
presentavano come i paladini del modello liberale basato sul rispetto delle libertà
individuali, della proprietà privata e della libera iniziativa economica, e puntavano a riformare
il capitalismo internazionale così da produrre prosperità, liberismo di mercato e consenso
piuttosto che conflitto. L’Unione Sovietica invece mirava a difendere la classe operaia.
In questo scontro ideologico risultò fondamentale il ruolo della propaganda con cui ogni
Paese puntava ad evidenziare i difetti del modello avversario: mentre gli Stati uniti
insistevano sulla violazione dei diritti che si verificava nell’Unione Sovietica, quest’ultima
puntava alle grandi disuguaglianze sociali presenti nella società statunitense.
L’obiettivo della propaganda quindi era sia assicurarsi il sostegno da parte dei propri
cittadini, sia ottenere consensi presso l’opinione pubblica estera. A riguardo infatti,
nonostante la libertà di opinione, non mancavano regimi dittatoriali, specialmente nell’Unione
Sovietica, dove il dissenso era vietato all’intera società (non potevano non approvare il
modello russo).
L’inizio della Guerra fredda→ L’inizio della guerra fredda si ricollega ad un celebre
discorso tenuto nel marzo del 1946 dall’ex primo ministro inglese, Winston Churchill,
all’università di Fulton, negli Stati Uniti. Più precisamente, durante tale discorso disse:
“viviamo in un mondo diviso in 2 blocchi” e, in riferimento all’Europa, disse “dal Baltico a
Trieste una cortina di ferro è scesa sull’Europa”. Per “cortina di ferro” infatti intendeva
proprio la barriera politico-ideologica che si era creata tra i due blocchi d’Europa.
La Guerra fredda però non interessò soltanto USA e URSS ma quasi tutto il mondo poiché i
due Paesi cercavano in ogni modo di far sentire la propria influenza, così da procurarsi
sempre più alleati.
Lo stato più celebre che subì la fine della Seconda guerra mondiale e i conflitti della Guerra
fredda fu la Germania. All’inizio del primi anni ‘40, la Germania venne divisa in 4 zone di
influenza occupate militarmente dai paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, per cui
Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Urss.
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, nel corso del tempo, si unificarono, lasciando così in
disparte la Germania sovietica, dove era situata la città di Berlino che, a sua volta, venne
divisa in 4 parti: i tre alleati occidentali (USA, Regno Unito e Francia) presero la parte a
ovest, mentre l’URSS prese la parte a est.
Ad inasprire ulteriormente le divergenze tra i 2 schieramenti fu il blocco di Berlino,
installato da Stalin nel giugno del 1948, con il quale Stalin bloccò ogni accesso stradale e
ferroviario a Berlino e fece staccare la corrente elettrica alla zona ovest della città. Con
questa strategia Stalin voleva costringere gli ex alleati ad abbandonare la capitale tedesca
ma gli USA reagirono rifornendo la città per via aerea fino a quando, a maggio del 1949,
Stalin accettò di rimuovere il blocco.
Dalla crisi di Berlino, la Germania restò divisa in due parti: la Repubblica federale tedesca,
con capitale Bonn, e la Repubblica democratica tedesca, con capitale Berlino Est.
La crisi di Berlino, inoltre, comportò la necessità di creare un sistema di difesa comune per
fronteggiare la minaccia sovietica. A tal fine quindi tra Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e
Lussemburgo fu stipulato il Patto di Bruxelles, che li vincolava ad assistersi in caso di
guerra.
In un secondo momento, a tali Paesi se ne unirono altri, dando vita, il 4 aprile del 1949, ad
un’ampia alleanza militare, che prese nome di Patto atlantico. Questa nuova
organizzazione ben presto si dotò di una struttura militare permanente, la Nato (North
Atlantic Treaty Organisation).
Nel 1955 l'Unione Sovietica rispose con il Patto di Varsavia, un'alleanza militare alla quale
partecipavano i paesi dell'Europa dell'Est.
Durante la guerra, un momento di alta tensione si ebbe nel 1961 quando l’Unione Sovietica
fece costruire il muro di Berlino con l'obiettivo di fermare i flussi migratori dei cittadini della
Berlino dell'Est verso i territori della Berlino Ovest, dove chiaramente si viveva meglio.
Ci furono però anche dei momenti in cui si pensò che si potesse arrivare finalmente ad un
dialogo tra queste due grandi superpotenze.
Uno di questi momenti fu nel 1953 quando Stalin morì e al suo posto salì al trono Nikita
Chruscev.
Stalin fu l’unico personaggio che ebbe un seguito negli anni ‘50. La sua politica fu la stessa
che tenne durante gli anni della guerra, cioè una politica oppressiva e fissata con il
controllo della popolazione. Nel febbraio del 1956 Chruscev, durante il congresso del
partito comunista sovietico, a porte chiuse, di fronte ai delegati provenienti dai vari territori
dell'URSS, presentò un rapporto segreto in cui denunciava i crimini commessi sotto la
dittatura di Stalin. Per la prima volta si utilizzò il termine "dittatura" per descrivere il periodo
di tempo in cui Stalin fu al potere; questo processo viene chiamato dagli storici
"destalinizzazione della politica sovietica". Quella di Chruscev fu una mossa furba
perché si rese conto che il regime sovietico aveva commesso degli errori, ma invece di
scaricare la colpa sui funzionari dell'amministrazione, l’attribuì totalmente al leader massimo
che era morto.
Nel 1989 gli Stati dell’Europa orientale caddero e nel novembre dello stesso anno il Muro di
Berlino fu abbattuto, aprendo così la strada alla riunificazione della Germania.
Nel ‘91 quindi la stessa URSS si dissolse e le repubbliche che la componevano divennero
Stati indipendenti: la Guerra fredda era terminata con la vittoria degli Stati Uniti.

WELFARE STATE
A seguito della fine della Guerra fredda il mondo si sentì perso. A riguardo un politologo
statunitense, Francis Fukuyama, scrisse un libro, “La fine della storia”, il cui titolo allude al
fatto che il mondo, ormai abituato ad una realtà basata sulla violenza, di fronte alla fine della
guerra si sente disorientato e va incontro allo sbando totale, rompendo così la situazione di
equilibrio che si era precedentemente creata.
Si apre così uno scenario imprevedibile in quanto a partire dagli anni ‘80 si affermò il
neoliberismo che mise in crisi i modelli economici di stampo socialista, portati avanti
dall’Unione Sovietica. Sempre negli anni ‘80 infatti crollò il cosiddetto Welfare State, o Stato
del benessere, che si era affermato a partire degli anni ‘50.
Lo scopo principale del Welfare state era assicurare il benessere dei cittadini e ridurre le
disuguaglianze tra questi ultimi, tramite interventi di assistenza sanitaria, edilizia popolare,
istruzione pubblica, sussidi di disoccupazione o di maternità, etc.
I modelli principali di tale Stato erano 2:
● quello occupazionale, dove il sostegno per la società dipendeva dai versamenti
degli stessi lavoratori;
● quello universalista, dove gli interventi assistenziali non dipendevano dalla
ricchezza del paese e quindi erano uguali per tutti.
In Italia, tra gli anni ‘60 e ‘70, si adottò un modello misto: occupazionale per le pensioni,
che quindi variavano a seconda del reddito percepito durante la carriera lavorativa; e
universalista per la sanità, che invece era uguale per tutti.
I sistemi di welfare permisero a milioni di persone di sfuggire alla povertà, accedere
all’istruzione superiore, vivere in case decorose, essere curati e ottenere pensioni.
Questo cambiò radicalmente il concetto di cittadinanza che, se fino a quel momento era
limitato al possesso dei diritti civili e politici, con il Welfare state si estese al diritto ad un
tenore di vita dignitoso.
Dal 1950 al 1970 la popolazione mondiale crebbe a dismisura: con i progressi nel campo
della medicina e il miglioramento dell’assistenza sanitaria, la mortalità crollò drasticamente e
la natalità, al contrario, aumentò.

GLI ANNI DEL “CENTRISMO” (1948-1958)


Politica economica e estera negli anni del “centrismo”
Le elezioni del 1948 inaugurarono in Italia la stagione del «centrismo», che durò fino al
1958, una formula politica che si basava sull'alleanza di governo tra la Democrazia
cristiana, il Partito liberale, il Partito repubblicano e quello socialdemocratico. I primi
governi centristi, guidati fino al 1953 dal leader democristiano Alcide De Gasperi, puntarono
a completare la ricostruzione economica, secondo le linee guida indicate dal ministro delle
Finanze, il liberale Luigi Einaudi (che divenne presidente della Repubblica nel maggio
1948), ovvero:
● stabilità della moneta e contenimento dell'inflazione;
● abolizione delle barriere protezionistiche ereditate dal fascismo;
● apertura dell'economia nazionale al mercato mondiale.
A tali misure tipicamente liberali la politica economica italiana affiancò un forte intervento
dello Stato nell'economia, soprattutto nel realizzare le infrastrutture necessarie allo sviluppo.
Accanto al già esistente Iri (l'istituto per la ricostruzione industriale, creato nel 1933 dal
fascismo) incaricato della costruzione di centrali elettriche, strade, opere pubbliche e
acciaierie, fu fondato l'Eni (ente nazionale idrocarburi) destinato ad assicurare al Paese
l'approvvigionamento di energia. L'economia italiana si fondò quindi su un sistema misto,
caratterizzato dalla compresenza di aziende private e grandi imprese pubbliche.
Sul piano internazionale, gli assi portanti della politica italiana durante gli anni del
«centrismo» furono due:
● l'ingresso nel Patto atlantico a guida statunitense (1949), resosi inevitabile con
l'adesione al Piano Marshall (piano di ripresa sancito dagli USA che prevedeva
grandi finanziamenti al fine di una ripresa economica generale post-guerra);
● l'europeismo, di cui De Gasperi e i suoi successori furono convinti sostenitori.
Inoltre nel 1955 l’Italia verrà ammessa a far parte dell’ONU, mentre nel 1957 firmerà a Roma
assieme a Francia, Paesi bassi, Belgio, Lussemburgo e Germania i trattati fondativi della
CEE, la comunità economica europea, tappa fondamentale di integrazione dei mercati
europei prima della nascita dell’UE nel 1992.

Il Pci e il Psi fino al 1953


Gli anni dal 1948 al 1953 furono segnati da un duro scontro ideologico e politico, che
riguardava la collocazione del Paese nel nuovo sistema geopolitico, segnato dalla
contrapposizione tra le democrazie capitaliste dell'Occidente e il blocco sovietico.
Dalle elezioni del 1948 in poi il Pci si affermò come il principale partito della sinistra
italiana, esercitando il suo dominio sul maggior sindacato italiano, la Cgil (confederazione
generale italiana sul lavoro).
Il Pci si propose, malgrado il suo stretto legame con l'Urss, come una forza politica
"nazionale", che non voleva importare in Italia il comunismo sovietico. Alla metà degli anni
‘50 però, il leader del Pci Palmiro Togliatti, non riuscì a diminuire il peso delle componenti
più intransigenti del partito che guardavano al radicalismo sovietico: a seguito di ciò il
percorso del partito iniziò ad avere degli intoppi.
Il Partito socialista, indebolito dalla scissione che aveva portato alla nascita del Partito
socialdemocratico, fu attraversato da nuove divisioni interne. Il suo gruppo dirigente,
guidato da Pietro Nenni, mantenne in questi anni l'alleanza con i comunisti, ma al tempo
stesso cominciò a prospettare nuove strategie per uscire dall'isolamento e dalla dipendenza
al Pci. A tal fine, dalla metà degli anni ‘50 il partito cominciò a guardare alla sinistra della Dc,
cioè a quei dirigenti democristiani che erano favorevoli ad attribuire allo Stato una
funzione di primo piano a favore dei ceti più disagiati e in vista di una maggiore giustizia
sociale.

Gli anni dello scontro politico


La democrazia, nata con la Costituzione del 1948, portò ad un nuovo slancio nella vita civile
del Paese, ma furono forti i freni esercitati sia dalle tensioni internazionali della Guerra
fredda, sia dal conservatorismo delle classi dirigenti, ostili a cooperare con il movimento dei
lavoratori.
I risultati positivi in campo economico non portarono gli stessi benefici a tutti i gruppi sociali,
nel quadro di un modello di sviluppo fondato su bassi salari, bassi consumi e
l’autoritarismo presente nei luoghi di lavoro, a causa del quale il potere contrattuale degli
operai restò basso.
Con l'esplodere della Guerra fredda, l'anticomunismo diventò una preoccupazione centrale
del governo: alla polizia fu ordinato di intervenire contro scioperi e dimostrazioni operaie.
Nelle grandi fabbriche non furono rari i casi di licenziamento di militanti dei partiti e
sindacati di sinistra e di pratiche contrarie alla libertà sindacale.
La Chiesa cattolica, con Pio XII, assunse una linea molto conservatrice e partecipò
all'inasprimento della lotta politica con la scomunica dei comunisti.

La riforma agraria e l’emigrazione interna


Alla fine degli anni ‘40 nel Meridione i contadini occuparono le terre tenute a latifondo o
lasciate incolte.
Le proteste indussero la Dc, che nelle campagne aveva uno dei suoi principali bacini di
consenso, a varare una riforma agraria: circa 750 000 ettari di terra furono redistribuiti ai
contadini dietro il pagamento di appositi mutui agevolati; si formò così una nuova leva di
piccoli proprietari terrieri.
Tale provvedimento indebolì il latifondo nel Mezzogiorno ma coinvolse una percentuale
piuttosto bassa di contadini rispetto al totale. Le dimensioni contenute degli appezzamenti,
inoltre, non permettevano grandi margini di guadagno.
Fu così che dalle campagne, soprattutto del Sud ma anche del Veneto, si produsse una
migrazione di grandi dimensioni, che negli anni ‘50 si rivolse soprattutto verso l'estero
(Belgio, Germania, Svizzera, Francia), mentre nel decennio successivo fu diretto in massima
parte verso il «triangolo industriale» di Torino, Milano e Genova.
In sostanza, pur favorendo il rafforzamento e l'estensione di imprese moderne, la riforma
non riuscì a impedire un impoverimento delle campagne.
Inoltre essa creò degli enti statali per la rappresentanza e l'assistenza dell'agricoltura,
dominati dalla Coldiretti, l'associazione dei coltivatori diretti. Queste organizzazioni finirono
presto per operare come clienti come leva di consenso per la Dc, a scapito della loro
efficienza.

La Cassa per il Mezzogiorno e le “cattedrali nel deserto”


Nel 1950 fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno, un ente pubblico volto a finanziare la
creazione delle infrastrutture (strade, ferrovie, acquedotti ecc.) di cui le regioni meridionali
erano prive. Tale piano di opere pubbliche doveva da un lato aumentare le commesse per le
imprese del Nord, e dall'altro creare nuovi posti di lavoro al sud.
Gli imponenti investimenti della Cassa introdussero nell'economia delle regioni meridionali
cambiamenti importanti, ma non risolutivi.
Nel 1957 fu avviata la seconda fase dell'intervento straordinario dello Stato per il Meridione,
con la creazione di aree ad intenso sviluppo industriale: i «poli di sviluppo», come
quello siderurgico di Taranto o quello petrolchimico nell'area di Siracusa. La
disorganizzazione degli interventi e i criteri di selezione delle aree fecero sì che questi centri,
detti «cattedrali nel deserto», in molti casi non raggiungessero i risultati occupazionali
sperati.

Le elezioni del 1953 e la fine del governo De Gasperi


Le elezioni del 1953 furono tra le più combattute della storia italiana contemporanea, poiché
si svolsero con una nuova legge elettorale maggioritaria, voluta da De Gasperi per
stabilizzare il sistema parlamentare e frenare la quantità di voti della Dc verso destra. La
nuova legge garantiva alla coalizione di partiti che avesse superato il 50% dei voti il 65%
dei seggi in Parlamento. La sua approvazione provocò un duro scontro con le opposizioni,
che la definirono «legge truffa», ma destò preoccupazione anche in settori più moderati
dello schieramento politico, poiché la quota maggioritaria del 65% era vicina a quella dei due
terzi, quota necessaria per modificare la Costituzione: c'era per cui il rischio che la
maggioranza potesse modificare da sola le norme fondamentali dello Stato.
Il risultato elettorale registrò un record di schede nulle e contestate, e vide la maggioranza
centrista restare sotto il 50% (10 punti in meno del 1948). La Dc passò dal 48% al 40% dei
voti. Il premio di maggioranza non scattò e poco tempo dopo la legge fu ritirata. Questa
sconfitta segnò la fine politica di De Gasperi.

LA STAGIONE DEL CENTRO-SINISTRA (1958-1968)


La Dc di Fanfani
Alla guida della Dc subentrò Amintore Fanfani, vincitore nel congresso del partito del 1954
con la sua corrente, Iniziativa democratica. Fanfani cercò di rilanciare il partito come forza
di rinnovamento e modernizzazione della società italiana, puntando soprattutto sullo
sviluppo economico. Inoltre, cercò di rendere la Dc più autonoma rispetto alle forze sociali
come la Chiesa e la Confindustria, che l'avevano fortemente sostenuta ma anche
condizionata in senso conservatore.
Per fare ciò si servì degli enti e delle imprese di Stato al fine di promuovere investimenti
produttivi e iniziative di spesa pubblica in campo sociale (edilizia popolare). In tal modo i
consensi che si sarebbero persi tra gli imprenditori sarebbero stati ampiamente compensati
da quelli dei lavoratori degli enti di Stato e delle aziende a partecipazione statale.
La collaborazione tra la Dc e gli apparati dello Stato si fece più stretta, e nel tempo produsse
due effetti rilevanti: la politicizzazione dell'amministrazione pubblica e la diffusione di
pratiche clientelari, specialmente nel Mezzogiorno.

Il 1956: crisi del Pci e nuova linea del Psi


Nel 1956 il XX congresso del Partito comunista sovietico, il primo dopo la morte di Stalin,
fu segnato dalla denuncia dei gravi errori commessi dal dittatore. Nello stesso anno,
l'Armata rossa invase l'Ungheria e represse la rivolta che vi era scoppiata. Questi due
avvenimenti misero in grande difficoltà il gruppo dirigente del Pci e il suo segretario Togliatti,
che di Stalin era stato uno stretto collaboratore negli anni delle "purghe" (repressione voluta
da Stalin per epurare il partito da cospiratori).
Nell'VIII congresso del Pci (dicembre 1956) affiorarono segni di dissenso rispetto alla
fedeltà a Mosca; molti intellettuali lasciarono il partito per protesta: tra loro gli scrittori Elio
Vittorini e Italo Calvino. Togliatti colse l'occasione per rinnovare drasticamente i vertici del
partito e per rilanciare il suo progetto di una «via nazionale al socialismo».
La conseguenza politica più importante degli eventi del 1956 fu che il leader socialista
Nenni, che criticò l'intervento sovietico in Ungheria, ruppe l'alleanza con i comunisti e nel
congresso del 1957 rilanciò i valori della libertà e della democrazia. Tale mossa preparò il
terreno per un avvicinamento del Psi alla Dc favorito dalla prepotente crescita economica
del Paese.

La nascita del centro-sinistra


All'inizio degli anni ‘60 il quadro politico cambiò: con il pontificato di Giovanni XXIII la chiesa
assunse un atteggiamento meno autoritario e più sensibile ai problemi dei ceti popolari. In
campo internazionale invece si iniziò a registrare un tentativo di distensione delle relazioni
tra Usa e Urss, che fece abbassare i toni dello scontro ideologico.
Sul fronte interno i problemi irrisolti del mondo del lavoro furono portati alla ribalta da
un’ondata di mobilitazioni e proteste operaie. Tutto ciò fece avvertire ai dirigenti della Dc
l'urgenza di un mutamento di linea politica.
Le resistenze interne erano molte, ma nel 1960 il nuovo segretario della Dc, Aldo Moro,
decise un cambio di rotta: guardare a sinistra facendo entrare nella maggioranza i socialisti.
A sanzionare questa aperture fu il congresso di Napoli della Dc nel 1962.
Nel febbraio dello stesso anno di formò un nuovo governo Fanfani (il quarto), a cui
parteciparono socialdemocratici e repubblicani. Il Psi si astenne e garantì l'appoggio
esterno sulla base di precisi impegni programmatici, mentre i comunisti restarono
all'opposizione.

Il Pci negli anni Sessanti


I comunisti poterono trarre vantaggi in termini elettorali dall'essere rimasti l'unica grande
forza di sinistra all'opposizione, ma d'altra parte erano ora isolati e più lontani dalla
possibilità di governare.
Nell'estate del 1964 i militanti comunisti furono scossi dalla morte di Togliatti, che poco
tempo prima, in un documento scritto in Crimea e noto come Memoriale di Jalta, aveva
sostenuto la linea della relativa autonomia da Mosca. Tale linea fu portata avanti dal suo
successore alla guida del Pci, Luigi Longo. L'XI congresso del partito, nel 1966,
vide prevalere chi sosteneva la necessità di ricomporre la frattura col Psi.
Il centro-sinistra dal 1962 al 1964
Il governo di centro-sinistra presieduto da Fanfani fece approvare la riforma della scuola
media inferiore e soprattutto la nazionalizzazione dell'industria elettrica, che passò in
gestione a un'azienda di Stato, l'Enel (novembre 1962).
La spinta riformista del governo di centro-sinistra fu presto arrestata dai vertici della Dc,
intimoriti dalla forte opposizione di ampi settori del mondo imprenditoriale. Un segnale chiaro
in tal senso fu il calo di voti della Dc alle elezioni del 1963 (scese a poco più del 38%),
mentre i liberali raddoppiarono i loro consensi. Sul fronte delle opposizioni il Pci passò dal
22,7% al 25,3%.
Per la Dc non c'erano per ora alternative alla "formula" del centro-sinistra, che fu anzi
rafforzata, nel dicembre del 1963, con il nuovo governo presieduto da Moro.

Il centro-sinistra dal 1964 al 1968


Nel Psi la linea del centro-sinistra ebbe come prima conseguenza una scissione: all'inizio del
1964 l'ala sinistra del partito uscì per fondare il Psiup (Partito socialista di unità proletaria).
Moro fu primo ministro fino al 1968 in tre diversi governi di centro-sinistra, nessuno dei
quali riuscì a varare riforme incisive.
A ostacolare il cammino delle riforme fu soprattutto il rallentamento della crescita
economica, in parte legato all'andamento internazionale e in parte dovuto a una restrizione
dei crediti bancari. D'altra parte, alcuni importanti settori della politica italiana erano decisi a
impedire il corso delle riforme, giudicate troppo di sinistra (il progetto di riforma urbanistica,
ad esempio, prevedeva il ricorso all'esproprio). Per impedirne l'approvazione, nell'estate del
1964 il comandante dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, con l'appoggio del presidente
della Repubblica Antonio Segni, elaborò un piano per un colpo di Stato, il cosiddetto
«Piano Solo», che prevedeva il sequestro di 700 personalità politiche e sindacali e
l'instaurazione di un regime autoritario transitorio. Moro seppe resistere alle intimidazioni, e
poco dopo Segni dovette dimettersi per motivi di salute (l'esistenza del piano fu svelata solo
nel 1967). Tuttavia, il governo non ebbe la forza per superare il proprio immobilismo e
attuare quella maggiore democrazia e redistribuzione della ricchezza che venivano richieste.

TRASFORMAZIONI E PROBLEMI SOCIALI NELL’ITALIA DEL BOOM ECONOMICO

Il “miracolo economico italiano”


Tra il 1955 e il 1963 l'economia italiana conobbe una crescita a ritmi molto sostenuti, senza
precedenti e mai più ripetuta in seguito. Il tasso di aumento del reddito nazionale fu
altissimo, con una media del 6,6% ogni anno tra il 1958 e il 1963.
Le cause principali di tale espansione furono:
● la favorevole unione dell'economia internazionale;
● una vasta riserva di manodopera pronta a lavorare anche con salari bassi, dovuta
all'alto numero di disoccupati, che permise alle imprese italiane di esportare le merci
a prezzi competitivi;
● la qualità media dei prodotti destinati all'esportazione;
● la possibilità per le aziende di usufruire di energia e di materie prime a prezzi
contenuti (grazie al ruolo svolto da Eni e Iri);
● la crescente integrazione dell'economia italiana con quella del Vecchio Continente,
grazie alla nascita del Mercato comune europeo e all'assenza di dazi doganali, e
con quella internazionale, che le regole stabilite a Bretton Woods avevano reso più
stabile.
Il potente sviluppo produttivo trasformò l’Italia da Paese soprattutto agricolo a Paese
prevalentemente industriale. Il numero degli addetti nel settore secondario (l'industria)
passò da 5,8 milioni nel 1951 a quasi 8 milioni nel 1963, avanzando per la prima volta
quello dei lavoratori nel settore primario, che nello stesso periodo scese da oltre 8 milioni a
poco più di 5, a seguito della meccanizzazione. Più lenta ma inarrestabile fu la crescita del
settore terziario dei servizi.

Boom economico e consumismo


Tra la metà degli anni ‘50 e la metà degli anni ‘60 in Italia il reddito pro capite raddoppiò,
permettendo ad una quota rilevante della popolazione di superare il livello di pura
sussistenza e di acquistare merci in precedenza riservate a una ristretta élite.
Sempre più italiani familiarizzarono con gli oggetti d'uso quotidiano della produzione
capitalistica di serie, cominciando così a parlare di consumismo. Nelle case arrivarono
elettrodomestici come il frigorifero, la lavatrice, lo scaldabagno, e un oggetto più piccolo
ma che in breve tempo avrebbe rivoluzionato le abitudini e la cultura di massa degli italiani:
la televisione.
Con il boom economico gli italiani ebbero più tempo libero e qualche soldo in più da
spendere per consumi di vario genere, dall'intrattenimento culturale ai viaggi, resi possibili
dall'accesso all'automobile, fino a quel momento un bene di lusso e ora alla portata di molti,
anche grazie al pagamento a rate.
Le industrie automobilistiche, in primo luogo la Fiat, ma anche l'Alfa Romeo, la Lancia e
alcune altre, erano tra le principali realtà industriali del Paese. Il trasporto su automobili
modellò il paesaggio italiano e costituì il principale strumento dell'economia nel campo delle
vie di comunicazione.

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