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contemporanei": 1-10)
- 28/04 Il contesto altomedievale: mentalità, istituzioni culturali, intellettuali e pubblico nell'Alto Medioevo (pagine di
riferimento: 10-14)
- 8/04 Mentalità istituzioni culturali, intellettuali, pubblico nell'età comunale (p 21-24); Caratteristiche e generi della
letteratura europea in età medievale e cortese (pp 34-40)
- 22/04 La lirica provenzale: autori; temi e forme poetiche; l'eredità della lirica provenzale (pp 61-63); Arnaut Daniel,
"Arietta" (pp 66-68) + testi di Daniel su classroom (solo lettura) Sono stati caricati su classroom dei materiali di
approfondimento sul rapporto tra musica e poesia nel Medioevo.
- 3/05 Le origini della lirica italiana: policentrismo linguistico e politico, nascita della lirica italiana, scuola siciliana, Jacopo
da Lentini, "Io m'aggio posto in core a Dio servire" (p 96-100). Vengono caricati su classroom materiali di
approfondimento.
A livello politico l’Italia nell’XIII sec è segnata da profonde differenze tra il Centro-Nord
e il Sud:
- area settentrionale e centrale si affermano (già a partire dal secolo Xl) i Comuni,
= entità urbane che si reggono con ordinamenti di tipo repubblicano
- area centrale si consolida lo Stato della Chiesa, una particolare monarchia di tipo
teocratico
- area meridionale è stabilmente retta da forme monarchiche e il sistema feudale
rimane stabile.
I Comuni sono lacerati soprattutto dalle lotte tra i Guelfi e i Ghibellini all'interno
dei vari Comuni, essi rappresentano il grande conflitto che, su scala europea,
contrappone i fautori dell’impero (i ghibellini ) e quelli del Papato ( i guelfi).
Inoltre i primi si interessano agli interessi del ceto popolare (ricca borghesi
mercantile a e bancaria) e i secondi agli interessi dell’aristocrazia cittadina.
● Con la civiltà comunale il centro della vita economica e sociale si sposta nelle
città (ci si incontra, si fa politica, attività economica e si fa cultura).
Diversamente dal sistema feudale, nella società comunale l’attività fondamentale
è quella MERCANTILE : un’economia aperta fondata sullo scambio e rapida
circolazione.
→ la nuova figura sociale è quella del MERCANTE
→ nuova aristocrazia: proveniente da quella feudale e ha interessi economici
nelle a a attività mercantile e bancarie.
Anche i contadini che vogliono migliorare le loro condizioni si spostano in città:
le
dimensioni delle città aumenta e anche la popolazione.
● Rispetto all'Alto Medioevo la struttura sociale tipica delle città italiane risulta
caratterizzata da maggiori elementi di mobilità e viene a essere cosÌ composta:
1. i magnati: per lo più nobili e vivono delle loro rendite immobiliari
2. il popolo grasso: i mercanti e coloro che esercitano le proprie professioni,
sono organizzati in corporazioni o associazioni di mestieri: le ARTI.
3. il clero: è composto da coloro che appartengono alla gerarchia
ecclesiastica, la loro presenza è un elemento essenziale della vita cittadina,
dato il ruolo che la religione ha nel medioevo.
4. il popolo minuto: popolo dedito ai lavori meno remunerativi (bottegai,
impiegati, piccoli funzionari)
5. i lavoratori a giornata: svolgono i lavori più faticosi e sono esclusi dai
diritti politici e non possono organizzarsi in corporazioni.
6. i poveri: i nullatenenti, vivono di espedienti e di carità
● Gli ideali guerreschi, considerati dalla Chiesa crozzi e barbarici , della mentalità
cavalleresca vengono in seguito mitigati e ingentiliti, in modo da poter
indirizzare questo nuovo sistema di valori verso la difesa della fede cristiana e
delle persone più deboli (soprattutto le donne).
Le profonde trasformazioni sociali hanno delle conseguenze sulla mentalità e sulla concezione
del mondo. Viene infatti applicata una visione dinamica del mondo: l’economia diventa infatti
più aperta e anche la struttura sociale diventa più morbida e mobile. Nasce quindi una visione
più dinamica del mondo. Per esempio, grazie alla figura del mercante, nasce la fiducia che
l’uomo possa trasformare la realtà secondo le proprie idee e volontà, tramite intelligenza e
energia (atp😜).
Entra quindi in crisi l'atteggiamento ascetico*che aveva caratterizzato in gran parte l'Alto
Medioevo con il suo disprezzo per i beni materiali e per i piaceri mondani.
Nasce così anche la curiosità di esplorare e andare oltre i limiti di ciò che si conosce, anche
secondo i propri interessi (vedi Marco Polo, Cristoforo Colombo..).
I principi fondamentali della società medievale iniziano dunque a precipitare. Troviamo infatti
una rivalutazione della sfera mondana, cambia la percezione che l’uomo ha nei confronti della
propria società
Se precedentemente la virtù fondamentale era la LIBERALITA’ (basata sul disprezzo del denaro e
sulla generosità della persona), ora questa viene sostituita dalla MASSERIZIA (fondata su
un’amministrazione dei propri beni molto più approfondita e precisa). Questa visione della
realtà non “collabora” con la Chiesa. Un mercante, se cristiano, infatti non doveva essere
attaccato ai beni materiali, altrimenti veniva condannato dalla sua religione. Per far tacere i
sensi di colpa di chi invece mostrava questo attaccamento, la Chiesa chiedeva donazioni,
penitenze o beneficenza.
La figura più importante (anche i chierici continuano ad essere importanti) in questo periodo è
quella dell’intellettuale laico. Alla corte siciliana dell’imperatore Federico II, per esempio, si crea il
primo gruppo di intellettuali laici. Essi si dedicano alla letteratura per svago, non per professione
(≠trovatori e giullari).
La figura invece dell'intellettuale-cittadino, che partecipa attivamente alla vita politica del suo
Comune e spesso anche ai violenti conflitti che dividono i concittadini. Il loro scopo è di educare
la coscienza dei cittadini (divulgazione e ammaestramento sono molto presenti nella
letteratura). L’intellettuale dimostra anche un grande impegno civile, partecipando attivamente
alla vita politica.
Il pubblico dei lettori si allarga grazie alla diffusione delle scuole e all’alfabetizzazione. Nascono
anche vere e proprie botteghe di copisti, che producono libri a pagamento (prezzi alti perché il
costo dei materiali era molto alto) (libro come oggetto di lusso). Si formano così anche molte
biblioteche (nelle università o a casa dei più ricchi…).
La lingua per eccellenza degli intellettuali era il latino. Al contrario, quella quotidiana era detta
volgare. Questa differenza era visibile anche durante l’Impero, con la distinzione di latino
letterario e latino parlato (che subì modifiche dalle lingue di sostrato, ovvero le lingue parlate
nei luoghi conquistati).
Con il crollo dell’Impero vi segue una frammentazione territoriale e linguistica in cui i vari
dialetti si allontanano sempre più dal latino (anche per le invasioni, germaniche e arabe, con le
lingue dette di superstrato).
[prova del cambiamento fu il Concilio di Tours nel 813: chierici possono predicare in volgare]
- le nuove lingue si sviluppano in Italia, Francia (con parte Belgio e Svizzera), penisola
iberica e Romanìa (questa zona viene chiamata ROMÀNIA); queste lingue sono le
primitive lingue romanze (italiano, francese, provenzale, rumeno, spagnolo, catalano e
portoghese)
- volgari di ceppo germanico: in Germania, Svizzera, Austria, Inghilterra, Scandinavia e
Islanda
- lingue slave: penisola balcanica ed Europa orientale
-
Queste sono inizialmente di solo uso orale (lingua scritta resta ancora il latino). Con la loro
forma scritta nasce la letteratura moderna europea.
Il documento più antico arrivato a noi in volgare italiano è l’Indovinello veronese (fine VIII s)
(sul libro c’è testo, incomprensibile, e parafrasi, pag 30)
Altra fonte più recente è il Placito capuano del 960 (placito=verbale di un processo). A Capua
un giudice decide sulla causa di un abate e di un tale che ha ingiustamente occupato terre. Il
giudice trascrive la testimonianza in volgare (come era stata detta).
Mentre in Francia l'introduzione del volgare è dovuta al pubblico laico delle corti, in Italia il
volgare si diffonde grazie all’ascesa della borghesia-mercantile, nuova classe sociale che
acquista coscienza della propria individualità e ha bisogno di cultura per esprimere le proprie
idee. Tuttavia non tutta questa classe era di letterati, perciò per espandere le conoscenze a tutti si
adotta il volgare scritto.
Diversamente da come avveniva nelle altre zone europee e italiane, in Sicilia il volgare era la
lingua dell'élite, chiusa e raffinata, della corte di Federico II (1220-1250). I poeti si ispirano ai
trovatori provenzali e elaborano una nuova lingua raffinatissima ed estremamente selezionata
chiamata siciliano illustre. Tuttavia ci sono giunti pochi documenti in quanto molti sono stati
trascritti da copisti toscani, che mischiarono la loro parlata al sicialiano.
Mentre in Sicilia la promozione della lingua volgare a lingua letteraria avviene in un contesto
cortese, nel resto d’Italia il contesto prevede i Comuni (centri di vita associata) e il policentrismo
politico-linguistico che nasceva. QUindi ogni centro si esprime con il proprio volgare.
[policentrismo=coesistenza di più politiche o lingue; ogni comune con il suo dialetto]
Su tutte si impone il volgare toscano, che venne poi consacrata lingua letteraria da Dante,
Petrarca e Boccaccio nel secolo successivo.
L’unificazione linguistica con la preponderanza del fiorentino avviene solo nel campo letterario.
Nel campo orale, la mancata unificazione è correlata all’assenza di una politica comune.
L’espandersi dell’importanza del volgare non cancella però il latino. Molti testi (teologia, filosofia,
diritto, medicina e testi universitari) continuano ad essere scritti con la lingua dotta: il latino.
Ovviamente il volgare si modella sul latino, esso acquisisce infatti molti termini latinizzati. Ad
influenzare il volgare, se non anche a sostituirlo in alcune opere, sono il francese d’oïl (prestigio
letterario, considerata lingua moderna e di cultura) e il provenzale degli imitatori settentrionali
dei trovatori (influenza da Sicilia a Toscana).
(sul libro fa degli esempi di parole derivate da queste, ma evito di mettere la lista)
La letteratura religiosa (amore divino) è soprattutto diffusa nel centro Italia, tra Umbria e
Toscana. Troviamo per esempio Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi (entrambi umbri) che
considerano i beni terreni e il corpo umano come una realtà corrotta e spregevole (bisogna
essere fedeli solo ed esclusivamente a Dio). Nasce quindi l’amore mistico (incondizionato)
per Dio-> lettere di santa Caterina e predicatori come san Bernardino, Domenico Cavalca e
Iacopo Passavanti
La lirica raggiunge una grande maturazione (primo momento significativo nella scuola
siciliana alla corte di Federico II). Per questo motivo si spiega la presenza di tematiche
politico-civili nei poeti come Guittone d’Arezzo (dolce stil novo (movimento politico)->
lirica amorosa si fonde con la consapevolezza critica e elaborazione formale).
(altri autori stilnovisti come Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante e Cino da Pistoia).
Si crea anche la poesia comica-parodica. Il più noto esponente è Cecco Angiolieri, ma ci sono
anche autori come Rustico di Filippo e Folgore da San Gimignano.
Cielo d’Alcamo viene collocato invece nel filone più popolare e giullaresco. Esistono inoltre i
cantàri, poemi in ottave che riprendono le leggende carolingie e che venivano recitate nelle
piazze e nelle fiere.
Nel nord Italia si afferma anche il filone di poesia didattica in cui vengono affrontati temi
legati alla vita civile. Gli esponenti più noti sono:
a) Giacomino da Verona: De Jerusalem caelesti e De Babilonia civitate infernali -> gioie
dei beati e le pene dei dannati
b) Bonvesin de la Riva: Libro delle tre scritture, De magnalibus urbis Mediolani -> elogio
della città, De quinquaginta curialitatibus ad mensam -> manuale di buone maniere,
Contrasto della rosa con la viola -> viola= rappresenta le virtù borghesi e il rosa= la
superbia dei nobili
Troviamo anche il Tesoretto di Brunetto Latini -> tratta di storia, scienze, retorica e politica.
Il Fiore in volgare fiorentino con 232 sonetti -> volgarizzamento del Roman de la rose
L’affermarsi della prosa è dovuto soprattutto a esigenze pratiche dei Comuni, questo porta
allo sviluppo della retorica (l’arte di scrivere e parlare). Gli autori si ispiravano alle artes
dictandi (cioè le atri retoriche) del latino medievale ( ornatus: l’eleganza del periodo scandito
da figure retoriche e il cursus: clausole e cadenze ritmiche).
Bruno Latino fu l’autore dell’opera più significativa riguardo a questo argomento, “la
Rettorica”: volgarizzamento con commento del “de inventione” di Cicerone.
La divulgazione scientifico-enciclopedica si adegua alla mentalità dell’epoca e al nuovo
pubblico che si forma culturalmente. Scrive Bruno Latini “Tresor”, frate Ristoro d’Arezzo
“Composizione del mondo” (fonti Aristotele e pensiero arabo).
I libri di viaggio, figli degli elementi di modernità, sono molto innovativi. E’ una forma tipica
dell’epoca dei Comuni in quanto è caratteristico lo spirito commerciale e il dinamismo. Un
esempio è il “Mille” di Marco Polo (racconta il suo viaggio in Cina tramite osservazione
diretta).
Anche le cronache, legandosi alla politica dei Comuni, cambiano: la storia diventa umana e
non più provvidenziale e non si racconta più la storia delle città con le origini mitiche. A
Firenze il cambiamento è più evidente. Dino Compagni “Cronica” pur partendo dalle origini
della città utilizza molti dati concreti socio-economici.
Nel ‘300 e ‘400 questi aspetti socio-economici saranno traslati nei libri dei mercanti, libri
che tengono nota di tutte le azioni commerciali, politiche, insegnamenti e annotazioni.
In questo periodo sono talmente comuni le traduzioni e i rifacimenti delle opere che le
leggende carolinge e bretoni finiscono per mescolarsi e la letteratura delle origini è circolata
in tutta Europa.
Nel Nord-Est Italia nasce la letteratura franco-veneta (mescolamento di volgare e lingua
d’oil) che affianca i cantari popolareggianti.
Nasce inoltre il genere della novella che ha argomenti vari. La prima raccolta anonima
“Novellino” è ancora poco evoluta, sono racconti molto corti e semplici o abbozzi di
enciclopedia del narrabile. Il più alto livello è invece raggiunto da Giovanni Boccaccio
“Decameron”. Dopo Boccaccio si torna a uno stile più semplice con le “Trecentonovelle” di
Franco Sacchetti. Il secondo autore più grande è l’inglese Geoffrey Chaucer “Racconti di
Canterbury” (raccolta incompiuta in versi che narra di un pellegrinaggio. E’ importante la
descrizione dei caratteri dei personaggi)
LA LIRICA PROVENZALE
(p. 61-63)
In Provenza nacque L’IDEALE CORTESE, una poesia che veniva cantata dai TROVATORI in
lingua d’oc ed era accompagnata da musica. I trovatori sono autori-compositori, mentre
coloro che si occupavano solo della recitazione erano i giullari. Il pubblico si trovava alla
corte feudale, luogo dove i trovatori cantavano le poesie. Successivamente, la trasmissione
(VIII secolo) venne affidata anche alla scrittura e alla lettura. Gli autori iniziano anche a
firmarsi, segno che sentivano il bisogno di tramandare il proprio nome insieme all’opera. Il
primo trovatore fu Guglielmo IX d’Aquitania (ricco signore amante della guerra e dei piaceri
1071-1126). Altri trovatori importanti furono Bertran de Born (guerra), Jaufré Rudel (amore
lontano), Bernart de Ventadorn (forma musicale più alta), Arnaut Daniel,...
Ovviamente, (grazie Scagliotti) il tema principale è l’amore cortese (uomo a servizio della
donna senza richiedere nulla in cambio). L’amore provato dal trovatore nei confronti della
donna è un amore buono e puro, infatti il poeta si sente influenzato in meglio dalla
presenza della sua amata, ma essendo adulterino è impossibile. L’amore può essere
ricollegato ai rapporti che c’erano nella corte feudale dell’epoca: la donna il signore e il
poeta il vassallo.
Per proteggere la donna dalle indiscrezioni di corte il poeta utilizza dei senhal per la donna
(nomi di animali/piante/ altre persone).
Esistono più generi (sirventese, il compianto, la sestina, la tenzone, la pastorella, l’alba, il
plazer, l’eneug) ma il più importante è la canzone.
Esistono due stili principali: il trobar clus, uno stile molto elaborato (Arnaut Daniel) e il
trobar leu, più limpido, dolce ( Bernart de Ventadorn).
All’inizio dell’ VIII secolo a causa di una guerra (scatenata da papa Innocenzo III che non
essendo molto innocente, con il pretesto di una crociata contro gli albigesi fece scoppiare un
conflitto) il potere dei signori si affievolisce e i poeti migrano presso altre corti europee. Nel
nord della Francia si sviluppa il romanzo cavalleresco (lingua d’oil, trovieri) mentre in Italia
nasce la scuola siciliana. I trovatori si sparpagliano in Spagna e in Italia (Raimbaut de
Vaqueiras in lingua d’oc e Uc di Saint Circ).
In Italia la poesia in volgare diventa raffinata e formale (appartiene al genere lirico, in cui il
soggetto esprime se stesso). La lirica italiana si ispira alla poesia cortese provenzale, poiché i
trovatori scappati diffondono questo genere e i suoi temi. Anche la corte siciliana di
Federico II viene influenzata dalla lirica provenzale.
LA SCUOLA SICILIANA
(P. 97)
Nella corte di Federico II facevano parte anche imitatori della poesia trobadorica che
usavano il volgare locale. Quindi i poeti siciliani crearono la prima forma di poesia d’arte in
volgare italiano. A noi sono pervenute solo delle copie di copisti toscani che ne cambiarono
in parte la lingua.
la poesia siciliana si ispira molto a quella provenzale. I poeti siciliani più famosi che spesso
svolgevano lavori da funzionari sono Iacopo da Lentini (notaio), Pier della Vigna (esperto di
lavori inerenti alla cancelleria) e Guido delle Colonne (giudice) e trattano solo temi come
l’amore. Questa scelta si può comprendere analizzando il teatro socio-politico in cui è nata
la poesia siciliana: vi è un potere monarchico assoluto, non ci sono contrasti a differenza del
Nord d’Italia (Guelfi vs Ghibellini ecc…). Quindi per loro la poesia non era altro che un
mezzo per evadere dalla realtà e l’amore è visto come un gioco aristocratico.
Quindi nella poesia siciliana ritroviamo gli stessi temi della poesia cortese: l’amore per la
propria dama, le lodi verso di ella, il riserbo dei propri sentimenti (non si vuole che
qualcuno li venga a sapere), il dolore della lontananza. Le poesie non presentano uno sfondo
temporale o di luogo, il tutto è molto vago e astratto.
PROMESSI SPOSI
ANALISI STORIA DI FRA CRISTOFORO: Fra Cristoforo, nome di battesimo Lodovico, è un padre
cappuccino di Pescarenico e l’aiutante più saggio dei protagonisti. Manzoni lo considera un
buon ecclesisastico.
Lodovico, figlio di un ricco mercante, vive da nobile. La nobiltà però non lo accetta e le azioni,
spesso poco oneste, dei nobili nei confronti del popolo portarono a delle tensioni. Queste tensioni
sfociano in una tragedia che cambia la vita di Lodovico.
Lodovico camminando con i suoi bravi incontra un nobile che viene dal lato opposto. Entrambi
pensano che l’altro debba spostarsi per farlo passare, Lodovico secondo il costume dell’epoca che
chi si trovava sul lato destro del muro avesse la precedenza, mentre il nobile, in quanto nobile,
riteneva di avere la precedenza. Ritrovatosi faccia a faccia inizia un litigio che finisce nella
violenza. Durante il combattimento uno dei bravi di Lodovico, nonché il suo amico Cristoforo,
viene ucciso dal nobile poiché si sacrifica per salvare Lodovico. Il giovane preso dalla rabbia
ferisce mortalmente il nobile e sotto consiglio della folla va a rifugiarsi nel convento dei monaci
cappuccini. Riceve il perdono del nobile in punto di morte.
Qui inizia il momento di tormento di Lodovico, si pente, riconosce i suoi sbagli e riconosce nella
fede la sua unica ancora di salvezza. Capisce che vuole dedicarsi a Dio. La decisione sincera del
frate è quello che Manzoni ammira; a differenza di don Abbondio fra Cristoforo non utilizza la
fede come metodo di copertura dalle difficoltà della vita, ma per lui la fede rappresenta un
nuovo inizio.
L’EVOLUZIONE DELL’INNOMINATO
Circondato da un alone di mistero sulla sua identità, l’Innominato è sicuramente un personaggio
centrale in tutta la vicenda raccontata da Alessandro Manzoni nel romanzo “I Promessi Sposi”,
senza dubbio una delle figure più interessanti create dallo scrittore per rendere la storia più
accattivante e ricca di colpi di scena. L’Innominato vive nel suo castello nei pressi di Lecco,
messo al bando dallo stato e dedito ad attività illecite.
E’ a lui che don Rodrigo si rivolge per chiedere aiuto nel rapimento di Lucia, in quanto nutre per
questo uomo potente e malvagio grande rispetto e devozione. Dal punto di vista fisico, il
Manzoni descrive l’Innominato come un uomo di mezz’età, sulla sessantina, di carnagione scura,
con pochi capelli bianchi ancora sulla testa. Ciò che colpisce della descrizione dell’Innominato è
il “lampeggiar sinistro ma vivo degli occhi” che denota la sua grande forza sia nel corpo che
nello spirito, forse pari o maggiore a quella di una persona giovane.
Dal punto di vista psicologico, l’Innominato appare subito avvolto nel mistero, un personaggio
malvagio e influente, che si circonda di uomini di fiducia che lo aiutano a realizzare i suoi atti
illeciti. Pur incarnando l’eroe negativo, in realtà l’Innominato si converte a metà dell’opera: il
rapimento di Lucia, su richiesta di don Rodrigo, è l’ultimo atto malvagio che lui compie prima di
decidere di cambiare vita.
L’incontro con Lucia gli suscita sentimenti di pietà, e si rende conto di aver inseguito soltanto il
male nella sua vita, senza mai fermarsi a provare pietà per le persone che lo circondano. Il
Manzoni è molto bravo nel descrivere “la notte dell’Innominato”, i tormenti interiori che l’uomo
prova e che lo portano a pensare all’esistenza di Dio e del perdono divino.
Sarà poi il colloquio con il Cardinale Borromeo a suscitare in lui la ferma volontà di cambiare
vita ed utilizzare il suo potere e le ricchezze accumulate per aiutare le persone povere e
bisognose. Il cambiamento dell’Innominato lo rende un personaggio in divenire: appena il lettore
si arrende e lo considera un nemico, un essere spregevole, ecco che il barlume della conversione
lo trasforma. Attraverso il personaggio dell’Innominato il Manzoni riesce a trasmettere un
messaggio ai lettori: il confine tra il bene e il male non è mai così netto come sembra.