L’incastellamento con la nascita dei comuni e il sistema feudale
Nei primi del IX secolo, si avviò un fenomeno nuovo: l’Europa già impoverita dal contrarsi dei traffici e dal ruralizzarsi della vita, iniziarono continue incursioni di gruppi numericamente non forti ma in compenso agguerriti, queste incursioni provenivano sia dall’est (ungari, bulgari, avari) che dal nord (normanni) e dal sud (saraceni). L’impero carolingio iniziò a vacillare a causa di questi attacchi. L’incastellamento I continui pericoli e la costante necessità di difesa, nel IX -X secolo, dettero luogo: 1) Vuoti di potere 2) Definirsi di nuovi organismi 3) Nascono nuovi centri del potere aristocratico L’Europa andò così a riempirsi di castelli, insediamenti fortificati, dove all’interno vi erano: la torre, il mastio, il cassero (dimora del signore con magazzini). L’incastellamento fu la caratteristica del IX e X secolo. Le varie castellanie, cioè le circoscrizioni con al centro un castello, erano allora volta parte di unità giuridiche che si ordinavano in un sistema di dipendenza gerarchica che in teoria avevano al suo vertice dei possessori duchi, marchesi, conti, che dipendevano dal sovrano. La nascita dei comuni Alla fine del XI secolo la nobiltà urbana di alcune delle città più ricche e floride dell’Italia settentrionale cominciò ad associarsi in consorterie per garantire ed ampliare i propri privilegi, arrogandosi progressivamente prerogative regali come: riscuotere le imposte, garantire l’ordine pubblico, arruolare milizie, battere moneta. Quando anche i mercanti più ricchi si unirono ai nobili nell’esercizio di questi poteri pubblici nacquero i comuni, vere e proprie istituzioni territoriali riconosciute da tutti gli abitanti della città. I comuni che via via si costituivano, non si limitavano al governo della città, ma sin dal XII secolo ampliarono l’area di gestione del potere ai territori rurali limitrofi (il contado), soppiantando il sistema feudale. Nato nell’Italia settentrionale, il sistema comunale si diffuse con esiti eterogenei in altre zone d’Europa. In particolare, in Germania e nel nord della Francia nacquero forme di autogoverno cittadino che ottennero il riconoscimento di alcuni poteri pubblici. Nel complesso, però, queste esperienze di governo comunale non riuscirono a soppiantare il sistema feudale nelle campagne e a divenire delle realtà politiche completamente autonome dal potere centrale. Discorso simile per le città dell’Italia meridionale, dove l’accentramento del potere che caratterizzava il Regno normanno, non permise lo svilupparsi di forme di governo autonomo. I primi ordinamenti comunali di cui abbiamo notizia diedero vita al cosiddetto comune consolare. In queste città, gli abitanti più ricchi e influenti si riunivano in delle assemblee non elettive, chiamate “arenghi” (potere legislativo), che nominavano dei consoli (potere esecutivo): magistrati che collegialmente (il numero di consoli poteva andare dal un minimo di due a un massimo di 24) governavano la città per un periodo limitato di tempo, generalmente un anno, per non avere modo di sviluppare un potere personale. Questi consoli avevano il potere di riscuotere i tributi, guidare l’esercito cittadino in caso di guerra, far applicare le leggi, battere moneta, ma erano tenuti, quando salivano in carica, a prestare un giuramento in cui si impegnavano ad amministrare la città per il bene di tutta la cittadinanza. Inoltre, a fare da contrappeso al potere consolare, rimaneva sempre l’assemblea cittadina. Nel comune consolare il potere rimaneva principalmente nelle mani dell’aristocrazia cittadina che egemonizzava sia l’assemblea che le cariche consolari. La forte conflittualità interna del ceto nobiliare e l’emergere di un ceto popolare, composto da ricchi mercanti e grandi artigiani, che con la crescita economica acquisivano un peso sempre maggiore all’interno della città, portò a un cambiamento della forma di governo. Per ottenere un governo maggiormente imparziale che garantisse gli interessi anche dei ceti popolari e per porre fine alle lotte intestine al ceto nobiliare, molti comuni italiani iniziarono alla fine del XII secolo a ricorrere a una nuova figura di magistrato: il podestà, che governava da solo per un periodo di tempo limitato che andava dai sei mesi ad un anno. Il podestà, inizialmente scelto tra i cittadini, venne poi scelto preferibilmente da città straniere, in modo che potesse assicurare un’imparzialità e un disinteresse ancora maggiore. Il podestà era un vero e proprio professionista della politica, esperto sia in ambito amministrativo che militare che spesso si spostava da un comune all’altro portando con sé una squadra di governo composta da notai, giuristi, giudici, segretari e uomini d’arme. Il periodo podestarile rappresentò un momento di forte crescita economica e politica delle città, in cui il ceto popolare riuscì a conquistare uno spazio politico che prima gli era precluso. Non bisogna dimenticare, però, che quando si parla di ceto popolare, si fa riferimento solo alla parte più ricca della borghesia commerciale, e che i piccoli artigiani, così come i lavoratori salariati, continuavano ad essere esclusi totalmente dalla partecipazione al governo della città. Alla fine del XII secolo, in alcune città il ceto popolare per tutelare i propri interessi e i propri diritti cominciò ad associarsi a delle Arti, organizzazioni che riunivano tutti coloro che esercitavano un certo tipo di mestiere o attività economica. Queste arti da associazioni private si trasformarono progressivamente in organi del comune e contestualmente si formarono delle milizie cittadine che si contrapponevano alle milizie nobiliari. In questo modo durante il XIII secolo cominciarono a formarsi i cosiddetti comuni di popolo, dove il potere del podestà veniva affiancato a dei rappresentanti delle arti, chiamati “priori delle arti” o “anziani”. All’interno dei comuni durante il XIII secolo si assiste a una complessa stratificazione sociale, in cui si possono identificare tre classi: Un’aristocrazia inizialmente composta dalla piccola nobiltà feudale alla quale sia andarono ad aggiungere i grandi feudatari. Un popolo grasso, composto dai grandi mercanti e dai banchieri che avevano accumulato grandi ricchezze e prestigio sociale. Un popolo minuto, composto da artigiani e lavoratori salariati e contadini che risiedevano all’interno delle mura cittadine. Con l’allargarsi della partecipazione alla gestione del Comune, si rese necessario l’istituzione di due consigli: Maggiore (potere deliberativo) e Minore, che affiancava direttamente i consoli. Stretto rapporto tra Comune e contado (motivi politici ed economici). Le differenze tra i comuni italiani e quelli d’Oltralpe Tra i comuni italiani e quelli d’Oltralpe ad esempio si riscontrarono numerose differenze. Nei comuni del Centro e del Nord Europa l’autonomia delle città faticò ad affermarsi e fu meno estesa che in Italia. Le città erano come delle piccole isole in un “mare feudale”. Al di fuori delle loro mura il potere del feudatario restava grandissimo e per questo il potere delle città non riuscì a estendersi sul territorio circostante. Al contrario il comune italiano impose subito il proprio potere sulle campagne circostanti, il “contado”, limitando molto l’autorità feudale. I comuni italiani assunsero quindi ben presto la fisionomia di piccoli stati territoriali con una forte propensione all’espansione. Ciò contribuì ad alimentare un forte senso di appartenenza cittadina che caratterizzò la penisola italiana per secoli. I comuni italiani potevano avvantaggiarsi infatti della debolezza del potere imperiale sul territorio. Nel resto dell’Europa le città chiedevano al re o all’imperatore la libertà e i previlegi per favorire i loro commerci; in Italia invece si arrivò anche allo scontro diretto con l’impero per ottenere maggiore autonomia. Anche la composizione della società urbana presentava delle differenze: nella città d’Oltralpe la borghesia era più influente di quella italiana. Nei comuni italiani fu la piccola nobiltà residente in città a costituire la classe dirigente, una nobiltà divisa e in lotta per il potere. L’élites cittadine erano organizzate in fazioni politiche, consorterie, o associazioni di mestiere in perenne contrasto tra loro. Infine in Italia il fenomeno comunale caratterizzò soprattutto il Centro – nord della penisola, mentre le città meridionali, sotto il forte Regno normanno, non ottennero mai una completa autonomia. Il sistema vassallatico – beneficiario e la signoria feudale Le origini del “feudo” Il termine “feudo” deriva da una parola germanica indicante in origine gli animali da allevamento, precipua ricchezza d’un mondo nomade. Ma quando, dopo le grandi migrazioni del III – VI secolo, i germani divennero sedentari, tale termine finì con il qualificare genericamente il concetto di “bene”, di “possesso”, di “ricchezza”. Gli storici sono sostanzialmente concordi nel ritenere che l’avvio dell’istituto feudale vada ricercato in quei beni (animali, armi, oggetti preziosi) che i prìncipi germanici dell’età barbarica usavano offrire ai guerrieri del loro seguito, i membri di quello che già Tacito chiamava comitatus. Con il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, i vari signori presero a dotare i loro seguaci – dai quali si aspettavano anzitutto il servizio di guerrieri – con aree più meno estese di terreno incolto (utile per la caccia o allevamento) o anche coltivato. Di tale terreno, il beneficiario diveniva possessore, non proprietario: il signore gliene accordava il possesso e lo sfruttamento, non però la proprietà assoluta. Il che voleva dire che i feudi in origine non si potevano né vendere, né alienare in alcun modo (neppure a titolo di dono) e neppure lasciare in eredità ai discendenti. Naturalmente il feudo non era sempre costituito dalla terra: a volte consisteva in somme di denaro, una sorta di salario. Il feudalesimo “classico” è però quello caratterizzato dalla suddivisione di territori (che in origine potevano anche essere costituiti dalle circoscrizioni pubbliche dell’età carolingia, cioè le marche e le contee) in grandi o meno grandi signorie feudali. Il vassallaggio L’elemento personale, nel rapporto feudale, è il vassallaggio. Si poteva essere vassalli del sovrano, di un gran signore, di un membro della piccola nobiltà, al limite anche di un modestissimo proprietario terriero. Il rapporto di vassallaggio si instaurava comunque a livello privato fra due persone, l’una delle quali (il vassus) si dichiarava homo dell’altra. Tale rapporto si formalizzava mediante una cerimonia detta appunto “omaggio”, nella quale il vassus poneva le sue mani giunte nelle mani del senior e gli giurava fedeltà. In cambio senior offriva al vassus la sua protezione e in certi casi lo forniva di un feudo mediante la cerimonia detta “investitura”, durante la quale il bene offerto in feudo veniva simboleggiato da un oggetto concreto (una zolla di terra o una bandiera). Immunità e amministrazione della giustizia del sistema feudale L’elemento propriamente giuridico del sistema feudale era costituito, come schematicamente si è anticipato, dall’immunità e – nei feudi più grandi – dalla concessione del diritto giurisdizionale. L’immunità consisteva nel diritto dei detentori di signoria feudale di andare essenti, all’interno dei confini di essa, dai controlli di qualunque autorità pubblica. Oltre a ciò, i feudatari maggiori ricevevano in delega anche la giurisdizione, cioè il diritto di amministrare la giustizia pubblica e di goderne parte dei proventi economici. Il feudo, divenne l’elemento giuridico – politico caratterizzante i secoli X – XII. Dal capitolare Quierzy alla Constitutio de feudis I grandi feudatari quindi, già dalla seconda metà del IX secolo, cioè dalla crisi dell’impero carolingio, si mossero per appropriarsi di fatto dei feudi loro assegnati e anche delle relative giurisdizioni: e l’imperatore Carlo il Calvo, in un capitolare emesso a Quierzy – sur – Oise nel 877, parlava favorevolmente della consuetudine di non togliere i feudi ai figli di un feudatario assente perché in guerra o morto, alludendo all’idea di un principio di ereditarietà. Ciò scatenò d’altra parte l’emulazione dei feudatari minori: e infatti un secolo e mezzo dopo, nel 1037, un altro imperatore, Corrado II, emanò una Constitutio de feudis che garantiva anche ai feudatari minori sia l’irrevocabilità dei loro beneficia, sia la trasmissibilità agli eredi. Oggi non si ritiene che questi due provvedimenti abbiano avuto un valore decisivo, ma vanno considerati solo come il segno di una direzione che i poteri locali andavano sempre più rivestendo rispetto a quelli centrali. L’allodio Non bisogna inoltre immaginar il mondo europeo fra IX e X secolo come completamente inquadrato nell’ambito della rete vassallatico – beneficiaria. Un po’ dappertutto sopravviveva la vecchia proprietà privata, legata al libero esercizio della coltivazione e anche all’obbligo di armarsi per esser pronti a difendere il territorio su cui viveva, se questo fosse stato minacciato. Tale libera proprietà era l’allodio. Tuttavia, il libero proprietario, l’allodiere, poteva per vari motivi essere a sua volta indotto a fuggire dal suo stato di libertà che comportava anche molti rischi. E sovente gli allodi venivano offerti in dono ai grandi domini laici o ecclesiastici, dopo di che l’antico proprietario li riaveva indietro da parte di colui al quale li aveva donati, ma a titolo di beneficium. In tal caso, si parlava di “feudo oblato” (cioè offerto). Un sistema nato per necessità politico – militari La signoria feudale, esito giuridico e produttivo concreto del sistema vassallatico – beneficiario, nacque non già per rispondere ad esigenze economiche, bensì per risolvere altri, ben più immediati ed urgenti problemi politici e militari. Essa può considerarsi la risposta alle necessità di un’Europa impoverita, incapace di esprimere forti poteri politici e assillata dal bisogno di sicurezza. Tuttavia, essa ha anche rivestito un ruolo promozionale nell’economia rispetto al vecchio sistema curtense. Le due partes in cui si divideva la curtis, vale a dire la dominica gestita direttamente dal dominus e la massaricia divisa in mansi e affidata alle famiglie dei coltivatori, non ricevevano alcun incentivo a produrre più di quanto bastasse ai loro immediati bisogni. Inoltre, i poteri centrali – finché poterono ordinariamente farlo, cioè fin addentro il secolo IX – esigevano tasse, imponevano i servizi militari, distribuivano prebende e benefici; insomma chiedevano ai ceti dirigenti fondiari di fare soltanto i guerrieri pronti alla chiamata del sovrano e di godere, per il resto, delle loro rendite. I ministeriales Ma in assenza dei poteri centrali, durante parte del IX e nel X secolo, non bastava più amministrare pigramente le proprie terre: occorreva che i guerrieri – agricoltori si facessero anche “politici” e imprenditori, che si ponessero una serie di problemi relativi alla gestione della signoria, alla sua difesa, alla sua vita quotidiana. I domini avevano bisogno anzitutto di collaboratori fedeli: e li trovavano spesso, addirittura, nel vecchio ceto servile, alcuni membri del quale vennero affrancati e fecero carriera fino a divenire amministratori o in qualche caso anche vassalli armati. Si tratta dei ministeriales, che – specialmente in Germania – sarebbero stati a lungo il motore del sistema feudale.