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SESTO RIASSUNTO

L’incastellamento con la nascita dei comuni e il sistema feudale


Nei primi del IX secolo, si avviò un fenomeno nuovo: l’Europa già impoverita dal
contrarsi dei traffici e dal ruralizzarsi della vita, iniziarono continue incursioni di
gruppi numericamente non forti ma in compenso agguerriti, queste incursioni
provenivano sia dall’est (ungari, bulgari, avari) che dal nord (normanni) e dal sud
(saraceni). L’impero carolingio iniziò a vacillare a causa di questi attacchi.
L’incastellamento
I continui pericoli e la costante necessità di difesa, nel IX -X secolo, dettero luogo:
1) Vuoti di potere
2) Definirsi di nuovi organismi
3) Nascono nuovi centri del potere aristocratico
L’Europa andò così a riempirsi di castelli, insediamenti fortificati, dove all’interno vi
erano: la torre, il mastio, il cassero (dimora del signore con magazzini).
L’incastellamento fu la caratteristica del IX e X secolo. Le varie castellanie, cioè le
circoscrizioni con al centro un castello, erano allora volta parte di unità giuridiche
che si ordinavano in un sistema di dipendenza gerarchica che in teoria avevano al
suo vertice dei possessori duchi, marchesi, conti, che dipendevano dal sovrano.
La nascita dei comuni
Alla fine del XI secolo la nobiltà urbana di alcune delle città più ricche e
floride dell’Italia settentrionale cominciò ad associarsi in consorterie per
garantire ed ampliare i propri privilegi, arrogandosi progressivamente
prerogative regali come: riscuotere le imposte, garantire l’ordine pubblico,
arruolare milizie, battere moneta. Quando anche i mercanti più ricchi si unirono
ai nobili nell’esercizio di questi poteri pubblici nacquero i comuni, vere e
proprie istituzioni territoriali riconosciute da tutti gli abitanti della
città. I comuni che via via si costituivano, non si limitavano al governo della
città, ma sin dal XII secolo ampliarono l’area di gestione del potere ai territori
rurali limitrofi (il contado), soppiantando il sistema feudale. Nato nell’Italia
settentrionale, il sistema comunale si diffuse con esiti eterogenei in altre
zone d’Europa. In particolare, in Germania e nel nord della Francia nacquero
forme di autogoverno cittadino che ottennero il riconoscimento di
alcuni poteri pubblici. Nel complesso, però, queste esperienze di governo
comunale non riuscirono a soppiantare il sistema feudale nelle campagne e a
divenire delle realtà politiche completamente autonome dal potere centrale.
Discorso simile per le città dell’Italia meridionale, dove l’accentramento del
potere che caratterizzava il Regno normanno, non permise lo svilupparsi di
forme di governo autonomo. I primi ordinamenti comunali di cui abbiamo
notizia diedero vita al cosiddetto comune consolare. In queste città, gli
abitanti più ricchi e influenti si riunivano in delle assemblee non elettive,
chiamate “arenghi” (potere legislativo), che nominavano dei consoli (potere
esecutivo): magistrati che collegialmente (il numero di consoli poteva andare dal
un minimo di due a un massimo di 24) governavano la città per un periodo
limitato di tempo, generalmente un anno, per non avere modo di sviluppare un
potere personale. Questi consoli avevano il potere di riscuotere i tributi,
guidare l’esercito cittadino in caso di guerra, far applicare le leggi,
battere moneta, ma erano tenuti, quando salivano in carica, a prestare un
giuramento in cui si impegnavano ad amministrare la città per il bene di tutta la
cittadinanza. Inoltre, a fare da contrappeso al potere consolare, rimaneva
sempre l’assemblea cittadina. Nel comune consolare il potere rimaneva
principalmente nelle mani dell’aristocrazia cittadina che egemonizzava sia
l’assemblea che le cariche consolari. La forte conflittualità interna del ceto
nobiliare e l’emergere di un ceto popolare, composto da ricchi mercanti e
grandi artigiani, che con la crescita economica acquisivano un peso sempre
maggiore all’interno della città, portò a un cambiamento della forma di
governo. Per ottenere un governo maggiormente imparziale che garantisse gli
interessi anche dei ceti popolari e per porre fine alle lotte intestine al ceto
nobiliare, molti comuni italiani iniziarono alla fine del XII secolo a ricorrere
a una nuova figura di magistrato: il podestà, che governava da solo per un
periodo di tempo limitato che andava dai sei mesi ad un anno. Il podestà,
inizialmente scelto tra i cittadini, venne poi scelto preferibilmente da città
straniere, in modo che potesse assicurare un’imparzialità e un disinteresse
ancora maggiore. Il podestà era un vero e proprio professionista della
politica, esperto sia in ambito amministrativo che militare che spesso si
spostava da un comune all’altro portando con sé una squadra di governo
composta da notai, giuristi, giudici, segretari e uomini d’arme. Il periodo
podestarile rappresentò un momento di forte crescita economica e
politica delle città, in cui il ceto popolare riuscì a conquistare uno spazio
politico che prima gli era precluso. Non bisogna dimenticare, però, che quando si
parla di ceto popolare, si fa riferimento solo alla parte più ricca della borghesia
commerciale, e che i piccoli artigiani, così come i lavoratori salariati,
continuavano ad essere esclusi totalmente dalla partecipazione al governo della
città. Alla fine del XII secolo, in alcune città il ceto popolare per tutelare i
propri interessi e i propri diritti cominciò ad associarsi a delle Arti,
organizzazioni che riunivano tutti coloro che esercitavano un certo tipo di
mestiere o attività economica. Queste arti da associazioni private si
trasformarono progressivamente in organi del comune e contestualmente si
formarono delle milizie cittadine che si contrapponevano alle milizie nobiliari. In
questo modo durante il XIII secolo cominciarono a formarsi i cosiddetti
comuni di popolo, dove il potere del podestà veniva affiancato a dei
rappresentanti delle arti, chiamati “priori delle arti” o “anziani”.
All’interno dei comuni durante il XIII secolo si assiste a una complessa
stratificazione sociale, in cui si possono identificare tre classi:
 Un’aristocrazia inizialmente composta dalla piccola nobiltà feudale alla
quale sia andarono ad aggiungere i grandi feudatari.
 Un popolo grasso, composto dai grandi mercanti e dai banchieri che
avevano accumulato grandi ricchezze e prestigio sociale.
 Un popolo minuto, composto da artigiani e lavoratori salariati e
contadini che risiedevano all’interno delle mura cittadine.
Con l’allargarsi della partecipazione alla gestione del Comune, si rese necessario
l’istituzione di due consigli: Maggiore (potere deliberativo) e Minore, che affiancava
direttamente i consoli. Stretto rapporto tra Comune e contado (motivi politici ed
economici).
Le differenze tra i comuni italiani e quelli d’Oltralpe
Tra i comuni italiani e quelli d’Oltralpe ad esempio si riscontrarono numerose
differenze. Nei comuni del Centro e del Nord Europa l’autonomia delle città faticò ad
affermarsi e fu meno estesa che in Italia. Le città erano come delle piccole isole in un
“mare feudale”. Al di fuori delle loro mura il potere del feudatario restava
grandissimo e per questo il potere delle città non riuscì a estendersi sul territorio
circostante. Al contrario il comune italiano impose subito il proprio potere sulle
campagne circostanti, il “contado”, limitando molto l’autorità feudale. I comuni
italiani assunsero quindi ben presto la fisionomia di piccoli stati territoriali con una
forte propensione all’espansione. Ciò contribuì ad alimentare un forte senso di
appartenenza cittadina che caratterizzò la penisola italiana per secoli. I comuni
italiani potevano avvantaggiarsi infatti della debolezza del potere imperiale sul
territorio. Nel resto dell’Europa le città chiedevano al re o all’imperatore la libertà e i
previlegi per favorire i loro commerci; in Italia invece si arrivò anche allo scontro
diretto con l’impero per ottenere maggiore autonomia. Anche la composizione della
società urbana presentava delle differenze: nella città d’Oltralpe la borghesia era più
influente di quella italiana. Nei comuni italiani fu la piccola nobiltà residente in città
a costituire la classe dirigente, una nobiltà divisa e in lotta per il potere. L’élites
cittadine erano organizzate in fazioni politiche, consorterie, o associazioni di
mestiere in perenne contrasto tra loro. Infine in Italia il fenomeno comunale
caratterizzò soprattutto il Centro – nord della penisola, mentre le città meridionali,
sotto il forte Regno normanno, non ottennero mai una completa autonomia.
Il sistema vassallatico – beneficiario e la signoria feudale
Le origini del “feudo”
Il termine “feudo” deriva da una parola germanica indicante in origine gli animali da
allevamento, precipua ricchezza d’un mondo nomade. Ma quando, dopo le grandi
migrazioni del III – VI secolo, i germani divennero sedentari, tale termine finì con il
qualificare genericamente il concetto di “bene”, di “possesso”, di “ricchezza”. Gli
storici sono sostanzialmente concordi nel ritenere che l’avvio dell’istituto feudale
vada ricercato in quei beni (animali, armi, oggetti preziosi) che i prìncipi germanici
dell’età barbarica usavano offrire ai guerrieri del loro seguito, i membri di quello che
già Tacito chiamava comitatus. Con il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, i
vari signori presero a dotare i loro seguaci – dai quali si aspettavano anzitutto il
servizio di guerrieri – con aree più meno estese di terreno incolto (utile per la caccia
o allevamento) o anche coltivato. Di tale terreno, il beneficiario diveniva possessore,
non proprietario: il signore gliene accordava il possesso e lo sfruttamento, non però
la proprietà assoluta. Il che voleva dire che i feudi in origine non si potevano né
vendere, né alienare in alcun modo (neppure a titolo di dono) e neppure lasciare in
eredità ai discendenti. Naturalmente il feudo non era sempre costituito dalla terra: a
volte consisteva in somme di denaro, una sorta di salario. Il feudalesimo “classico” è
però quello caratterizzato dalla suddivisione di territori (che in origine potevano
anche essere costituiti dalle circoscrizioni pubbliche dell’età carolingia, cioè le
marche e le contee) in grandi o meno grandi signorie feudali.
Il vassallaggio
L’elemento personale, nel rapporto feudale, è il vassallaggio. Si poteva essere
vassalli del sovrano, di un gran signore, di un membro della piccola nobiltà, al limite
anche di un modestissimo proprietario terriero. Il rapporto di vassallaggio si
instaurava comunque a livello privato fra due persone, l’una delle quali (il vassus) si
dichiarava homo dell’altra. Tale rapporto si formalizzava mediante una cerimonia
detta appunto “omaggio”, nella quale il vassus poneva le sue mani giunte nelle
mani del senior e gli giurava fedeltà. In cambio senior offriva al vassus la sua
protezione e in certi casi lo forniva di un feudo mediante la cerimonia detta
“investitura”, durante la quale il bene offerto in feudo veniva simboleggiato da un
oggetto concreto (una zolla di terra o una bandiera).
Immunità e amministrazione della giustizia del sistema feudale
L’elemento propriamente giuridico del sistema feudale era costituito, come
schematicamente si è anticipato, dall’immunità e – nei feudi più grandi – dalla
concessione del diritto giurisdizionale. L’immunità consisteva nel diritto dei
detentori di signoria feudale di andare essenti, all’interno dei confini di essa, dai
controlli di qualunque autorità pubblica. Oltre a ciò, i feudatari maggiori ricevevano
in delega anche la giurisdizione, cioè il diritto di amministrare la giustizia pubblica e
di goderne parte dei proventi economici. Il feudo, divenne l’elemento giuridico –
politico caratterizzante i secoli X – XII.
Dal capitolare Quierzy alla Constitutio de feudis
I grandi feudatari quindi, già dalla seconda metà del IX secolo, cioè dalla crisi
dell’impero carolingio, si mossero per appropriarsi di fatto dei feudi loro assegnati e
anche delle relative giurisdizioni: e l’imperatore Carlo il Calvo, in un capitolare
emesso a Quierzy – sur – Oise nel 877, parlava favorevolmente della consuetudine
di non togliere i feudi ai figli di un feudatario assente perché in guerra o morto,
alludendo all’idea di un principio di ereditarietà. Ciò scatenò d’altra parte
l’emulazione dei feudatari minori: e infatti un secolo e mezzo dopo, nel 1037, un
altro imperatore, Corrado II, emanò una Constitutio de feudis che garantiva anche
ai feudatari minori sia l’irrevocabilità dei loro beneficia, sia la trasmissibilità agli
eredi. Oggi non si ritiene che questi due provvedimenti abbiano avuto un valore
decisivo, ma vanno considerati solo come il segno di una direzione che i poteri locali
andavano sempre più rivestendo rispetto a quelli centrali.
L’allodio
Non bisogna inoltre immaginar il mondo europeo fra IX e X secolo come
completamente inquadrato nell’ambito della rete vassallatico – beneficiaria. Un po’
dappertutto sopravviveva la vecchia proprietà privata, legata al libero esercizio della
coltivazione e anche all’obbligo di armarsi per esser pronti a difendere il territorio su
cui viveva, se questo fosse stato minacciato. Tale libera proprietà era l’allodio.
Tuttavia, il libero proprietario, l’allodiere, poteva per vari motivi essere a sua volta
indotto a fuggire dal suo stato di libertà che comportava anche molti rischi. E
sovente gli allodi venivano offerti in dono ai grandi domini laici o ecclesiastici, dopo
di che l’antico proprietario li riaveva indietro da parte di colui al quale li aveva
donati, ma a titolo di beneficium. In tal caso, si parlava di “feudo oblato” (cioè
offerto).
Un sistema nato per necessità politico – militari
La signoria feudale, esito giuridico e produttivo concreto del sistema vassallatico –
beneficiario, nacque non già per rispondere ad esigenze economiche, bensì per
risolvere altri, ben più immediati ed urgenti problemi politici e militari. Essa può
considerarsi la risposta alle necessità di un’Europa impoverita, incapace di esprimere
forti poteri politici e assillata dal bisogno di sicurezza. Tuttavia, essa ha anche
rivestito un ruolo promozionale nell’economia rispetto al vecchio sistema curtense.
Le due partes in cui si divideva la curtis, vale a dire la dominica gestita direttamente
dal dominus e la massaricia divisa in mansi e affidata alle famiglie dei coltivatori, non
ricevevano alcun incentivo a produrre più di quanto bastasse ai loro immediati
bisogni. Inoltre, i poteri centrali – finché poterono ordinariamente farlo, cioè fin
addentro il secolo IX – esigevano tasse, imponevano i servizi militari, distribuivano
prebende e benefici; insomma chiedevano ai ceti dirigenti fondiari di fare soltanto i
guerrieri pronti alla chiamata del sovrano e di godere, per il resto, delle loro rendite.
I ministeriales
Ma in assenza dei poteri centrali, durante parte del IX e nel X secolo, non bastava
più amministrare pigramente le proprie terre: occorreva che i guerrieri – agricoltori
si facessero anche “politici” e imprenditori, che si ponessero una serie di problemi
relativi alla gestione della signoria, alla sua difesa, alla sua vita quotidiana. I domini
avevano bisogno anzitutto di collaboratori fedeli: e li trovavano spesso, addirittura,
nel vecchio ceto servile, alcuni membri del quale vennero affrancati e fecero carriera
fino a divenire amministratori o in qualche caso anche vassalli armati. Si tratta dei
ministeriales, che – specialmente in Germania – sarebbero stati a lungo il motore
del sistema feudale.

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