INTRODUZIONE
Largomento favorito di coloro che non vorrebbero si permettesse alla donna altro campo di azione fuori di quello in cui si agita la minuta vita domestica e la cura della prole e del marito, quello in nome del quale sostengono che stata fatta per attendere alle cure domestiche, e che il toglierla a queste sarebbe un menomarne la dignit e falsarne la missione. Qual' la forza superiore che ha creata la donna a questunico scopo? 0 sono gli stessi difensori della dignit muliebre, n el loro egoismo mascolino, che vogliono ridurre le loro mogli non a compagne della loro vita, ma a schiave dei loro piccoli comodi ed a strumenti dei loro piaceri?... La donna, nella storia della civilt occidentale, sempre stata subordinata all'uomo: le differenze tra i due sessi hanno portato il maschio a prevalere e ad occupare un posto privilegiato nella societ. La donna fin dall'antichit, sempre stata considerata un essere inferiore e si evoluta in una societ sostanzialmente misogina, oppressa dalle convenzioni sociali. Molte credenze e molti pregiudizi sussistono ancora oggi nell'immaginario collettivo. Nel Medioevo la vita e l'immagine della donna fu fortemente influenzata e determinata dalla Chiesa, dalla letteratura rappresentata come un essere angelico, provvidenziale, bellissimo e candido. La figura femminile nelle arti ha sempre avuto un ruolo di principale importanza, ma non mai stato permesso alla donna come individuo di esprimersi liberamente nel campo dell'arte e della cultura; solamente all'inizio dell Ottocento la sua condizione comincia a cambiare e si pu parlare di donne in movimento: nascono organizzazioni ed associazioni femminili che si uniscono per combattere assieme contro tutte le discriminazioni della societ misogina che da secoli le opprimeva. Tra il 1860 ed il 1930 donne di diverse classi sociali e di diversa istruzione si riunirono attorno al comune obiettivo del diritto di voto, fondarono il movimento delle suffragette: un primo piccolo passo verso luguaglianza; seguirono mobilitazioni di massa, incontri e scontri durissimi che portarono la Nuova Zelanda nel 1893 ad estendere il diritto di voto a favore della donna mentre nelle altre nazioni del mondo si dovr aspettare dopo la prima guerra mondiale; la donna vot in Italia il 2 giugno 1946, data che segn linizio di un cambiamento, a cui non mancarono dei seguiti. Oggi il ruolo della donna non pi relegato al focolare, ai lavori domestici o alla cura dei figli, oggi le donne hanno tutti quei diritti pensando che risultano loro assolutamente scontati ed inalienabili, spesso ignorando che dietro a tutto quello che si d per scontato c qualcuno che ha fatto la storia.
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La donna doggi veste i panni dei mestieri che fino a ieri erano visti come prettamente masch ili, siamo lontani dallepoca in cui il ruolo della donna era visto ai soli fini riproduttivi; assistiamo, dunque, allascesa delle donne, le troviamo a fianco degli uomini in politica, a capo delle imprese ed anche in uno di quei campi che i pi scettici pensano ancora debba essere una prerogativa esclusivamente maschile: il campo militare. Le rivoluzioni di ieri hanno fatto s che la donna oggi trovi una strada non del tutto in salita, anche se doveroso ricordare che non tutte le donne sono libere, alcune sono legate dai loro uomini, altre da loro stesse, altre ancora non sono libere a causa della cultura dominante nella societ: assistiamo infatti alla stereotipizzazione dellimmagine e del corpo della donna, favorita dai potenti mezzi di comunicazione di massa quali sono la televisione, il giornale, la rivista, ecc. Ed proprio su questo punto che si sviluppa la seconda parte del testo: affiancato al percorso storico di emancipazione ed autoaffermazione della figura femminile mi parso doveroso denunciare quale sia il rovescio della medaglia, il motivo che fa s che le donne siano ancoroggi non del tutto libere da quelle catene che la societ e le sue convenzioni hanno creato. Per spiegare il processo che ha portato a questa crescente standardizzazione della figura femminile mi sono appunto servita dei mass media, utilizzandoli come espedienti per supportare lidea che si sia creato un immaginario collettivo del tutto distorto, irreale e canonizzato del concetto di donna e di quello che deve essere il suo corpo, relegando ancora una volta questultima a schiava dello stereotipo di genere.
Prima di iniziare il percorso, per, mi sembra utile fare una premessa: questo testo estremamente polarizzato, di parte; insomma, la mia posizione ed il mio femminismo traspaiono spudoratamente lungo tutto il cammino. Inizialmente, forse un po per tendenza personale, ho scritto non pensando a mantenere una certa asetticit ed un certo distaccamento. La palese presa di posizione mi stata fatta notare successivamente, da una persona a cui ho chiesto parere sul mio operato; tutta la mia idilliaca felicit dovuta alla ritenzione che il mio fosse un lavoro di buona qualit si sgonfiata, lasciando spazio ad una sorta di attonito panico: come ho fatto a non accorgermene? Passato il panico ho realizzato che in realt quello che ho fatto naturalmente insito nella natura umana, lobiettivit non esiste. Si decanta tanto il mito dellessere obiettivi, imparziali, credendo che sia il modo pi giusto per descrivere e/o giudicare fatti, azioni, persone, ma quello che in realt bisognerebbe comprendere che tutto questo non altro che uno specchietto per le allodole che, in buona fede, seguono i dettami della societ senza porsi con occhio critico rispetto a queste massime, questi imperativi categorici che fin da piccoli siamo addomesticati a fagocitare. In realt, come i veristi e molti studiosi come Weber ci hanno dimostrato, lobiettivit e rester solo un ideale. Weber diceva infatti che Non c nessuna analisi scientifica puramente oggettiva della vita
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culturale o [] dei fenomeni sociali, e questo perch il punto di osservazione dello scienziato ineliminabile; lungi da me considerarmi una scienziata o una studiosa, ma la sostanza del discorso non cambia, lobiettivit non esiste e, del resto, un certo tipo di ideologia di fondo fa s che questo testo sia il mio testo.
2. STORIA DELLEMANCIPAZIONE
La condizione femminile si riferisce al complesso di norme, costumi e visioni del mondo che riguardano il ruolo della donna nella societ. Numerose e diverse culture hanno riconosciuto alla donna capacit e ruoli limitati alla procreazione e alla cura della prole e della famiglia. L'emancipazione femminile ha rappresentato, negli ultimi secoli, la ricerca di una uguaglianza formale e sostanziale tra la donna e l'uomo.
2.1.
I PRIMI EPISODI
Il primo episodio di rivendicazione di tali diritti si ebbe nel corso della rivoluzione francese, durante la quale le donne reclamarono il riconoscimento della loro parit; nel 1791 Olympe de Gonges scrisse La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in cui affermava che anche la donna deve partecipare alla formazione delle leggi mediante lelezione di rappresentanti. In quegli stessi anni, nel 1792, l'inglese Mary Wollstonecraft scriveva nella sua A Vindication of the Rights of Woman (Rivendicazione dei diritti della donna) che ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle donne - ora di restituirle la dignit perduta - e di far s che esse, in quanto parte della specie umana, operino riformando se stesse per riformare il mondo.
Mary Wollstonecraft
Questi progetti segnarono linizio del femminismo. Nella seconda met dellOttocento si ebbe la spinta decisiva del movimento di emancipazione femminile; una novit importante fu lingresso delle donne in fabbrica e il fatto che esse cominciarono a percepire un salario autonomamente: grazie ai nuovi ruoli che essa ricopre iniziano a venir sfatati i miti della donna come unicamente moglie e madre. Questa lotta per la piena parit delle donne in ambito politico, sociale, economico e familiare era quindi inizialmente centrata sui temi del lavoro e del diritto di voto. Molte organizzazioni femminili, soprattutto nella liberale Inghilterra e nei Paesi nordici, cominciarono a richiedere anche per le donne il riconoscimento del pi elementare dei diritti politici; la lotta di queste donne fu intrinsecamente legata ai movimenti operai e socialisti: il progresso delle donne e del proletariato andarono di pari passo anche se, ad un certo punto, gli operai uomini cominciarono a vedere nelle donne delle possibili avversarie, e reagirono corporativamente per opporsi
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allavvento di queste ultime in posti direzionali. Gli strumenti di lotta e protesta utilizzati dai movimenti femministi, in un primo momento, furono molto simili a quelli adoperati dagli operai: giornali di parte, militanti che si occupavano di diffondere le nuove idee, sit-in e manifestazioni; quello che mancava era lo sciopero, ma le donne non erano impiegate in massa e quindi lo scioperare avrebbe avuto una rilevanza pressoch nulla. Ad opporsi al suffragio femminile non furono solo i circoli conservatori e legati alla restaurazione post-napoleonica, ma anche molti illuministi come, ad esempio, Voltaire: essi ritenevano infatti che la partecipazione delle donne alle elezioni avrebbe avvantaggiato i candidati con le idee pi retrograde e conservatrici in quanto le donne erano viste come pi facilmente influenzabili e controllabili dalle strutture conservatrici dominanti, in primis dalla Chiesa e dalla monarchia. A capire che le donne dovevano essere politicamente educate furono per primi i movimenti politici socialisti, che agirono in
Due suffragette in protesta
tutta Europa fin dalla seconda met del XIX secolo. Nel 1867 si diffuse sia in Inghilterra che in Francia il movimento delle suffragette (dalla parola "suffragio" che significa "dichiarazione della propria volont in procedimenti elettivi o deliberativi; voto"), grazie anche al testo dell'inglese John Stuart Mill, "The Subjection of Woman" del 1869.
di cui abbiamo esperienza non la natura della donna ma la femminilit quale si manifestata nelle condizioni di subordinazione sessuale. E mentre i maschi coltivano le scienze e le arti per acquisire i mezzi, prestigio e potere, le donne lo fanno per diletto, con poche ambizioni, dovendo dedicare le loro migliori qualit a coltivare le belle maniere, e le loro energie al governo della casa e
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all'educazione dei figli. Secondo Mill proprio la famiglia il luogo in cui pi si tramanda e consuma l'oppressione femminile, e il principale mezzo di asservimento l'educazione. Tutte le donne vengono infatti allevate sin dai primi anni nella convinzione che il loro ideale di personalit sia esattamente l'opposto di quello degli degli uomini: non la volont autonoma, bens il cedimento alla volont altrui. Il quotidiano rapporto con il dominio maschile ha indotto la donna a mitigare il rapporto di servit pi che a liberarsene e a vedersi compiuta come persona esclusivamente nel marito e nei figli. La subordinazione della donna, secondo Mill, ha conseguenze gravissime, e non solo per le donne, innanzi tutto frena il progresso perch reprime parte delle risorse intellettuali di met del genere umano e inoltre ostacola l'incivilimento poich insegna a regolare i rapporti interpersonali sulla base della soggezione e della forza e non nell'uguaglianza e libert reciproche. Al contrario l'emancipazione femminile arricchirebbe l'intera umanit: la parit tra i sessi, infatti, sostituirebbe all'etica dell'obbedienza e della generosit quella della giustizia e della simpatia. Inoltre le pari opportunit accrescerebbero le potenzialit intellettuali e morali dell'intera umanit, e una formazione polivalente riuscirebbero a correggere i limiti di ciascun sesso e sviluppare i pregi del sesso opposto; in tal modo il modo di pensare femminile dar concretezza a quello maschile, contribuendo a darle ampiezza ed estensione. Per finire una vita coniugale pi ricca favorirebbe la felicit individuale, caratteri e inclinazioni, virt e capacit di ciascun coniuge si trasmetterebbero all'altro, cementandone l'unione e valorizzando le differenze individuali. Per rendere effettiva la parit nei diritti civili, nell'educazione e nelle opportunit professionali e di vita, necessaria, secondo Mill, l'ammissione delle donne al suffragio elettorale attivo e passivo, e un nuovo diritto di famiglia fondato sulluguaglianza giuridica dei coniugi, la separazione dei beni e la possibilit di divorzio. Il pensatore inoltre convinto che solo l'iniziativa delle donne stesse pu promuovere l'emancipazione, in quanto un decreto sarebbe insufficiente a cancellare una subordinazione che affonda nella mentalit e nei comportamenti della vita quotidiana.
2.2.
Allinizio del novecento, in Italia, le prime battaglie del movimento femministe riguardavano il diritto al voto ed al mantenimento del posto di lavoro. Gi nel 1906 Anna Maria Mozzoni e Maria Montessori presentarono una petizione al Parlamento per il voto femminile. Anche Anna Kuliscioff si era impegnata a favore del voto alle donne con la rivista Critica sociale. Nel 1915 la donna italiana vive ancora nei limiti imposti dalla regola; la societ patriarcale (il dominio assoluto del maschio) resiste con tenacia ai mutamenti dei rapporti sociali ed umani che germogliano fra le
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ciminiere della rivoluzione industriale. Una resistenza che non soltanto del mondo contadino (il quale attaccato alla sua organizzazione poich essa funzionale ai modi e ai tipi di produzione): tenace difensore delle sue prerogative patriarcali anche l'operaio, pur essendo egli protagonista di un momento evolutivo politico-economico-sociale nel futuro del quale la donna ha (non soltanto per ragioni etiche ma anche per necessit produttiva) un ruolo non pi passivo ma decisionale e creativo. La causa di questa posizione chiara, anche se nascosta nell'inconscio di massa: schiacciato, frustrato dal feroce ritmo della fabbrica, costretto a un rapporto di rigida e disumanizzata dipendenza con la nuova gerarchia industriale, l'operaio rifiuta di perdere quel ruolo di padrone della famiglia che gli permette di compensare l'avvilimento giornaliero derivato dalla totale subordinazione e spersonalizzazione imposta dalle macchine e dai vari kap. La miccia che far scoppiare la prima guerra mondiale gi arde, le donne italiane sono pronte a fronteggiare gli immani sacrifici che la Patria, il Governo, la classe dirigente sta per chiedere loro. Ma l'apartheid continua. Sono ai margini della societ, un esercito di soldati usi a ubbidir tacendo. Non possono esprimere la loro opinione quando ci sono le consultazioni elettorali. Nel 1912 Giolitti riuscito a imporre il suffragio universale ma dalla legge ha escluso le donne, possono votare soltanto gli uomini dai trent'anni in su (anche se sono analfabeti). Giolitti ha espresso l'atteggiamento del Paese: una donna, pur se diplomata o laureata, non pu capire le cose della politica. Quando cominciano a tuonare i cannoni e in centinaia di migliaia di case restano soltanto vecchi e madri con nidiate di figli, la macchina propagandista degli interventisti di tutte le categorie martella sulle truppe femminili per galvanizzarle al massimo. Ma si sta bene attenti a non danneggiare il vecchio rapporto gregario. Si arriva anche al ridicolo, come in questa arringa di una esagitata militante futurista: Si lasci daccanto il femminismo. Il femminismo un errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscer. Non bisogna dare alle donne nessuno dei diritti reclamati dal femminismo. La donna deve abbandonarsi all'istinto, stimolare gli uomini alla guerra, alla lotta violenta col gusto sadico della crudelt, per farsi stuprare dai vincitori e procreare cos degli eroi. All'umanit voi dovete degli eroi. Dateglieli!. Le donne dell'alta borghesia sono entusiaste della guerra: primo perch la loro classe vede nell'esito del conflitto forti vantaggi economici derivanti dall'apertura di nuovi mercati; secondo perch, nella maggioranza dei casi, i loro mariti alla guerra non ci vanno in quanto necessari al fronte interno nella loro veste di tecnici, dirigenti industriali, nobili di grande influenza politica, padroni delle ferriere. I loro abiti eleganti e infiocchettati spiccano ovunque ci sia qualche adunata di militari infagottati nelle divise grigioverdi appena uscite dai magazzini. Organizzano anche spettacoli di beneficenza, fiere, lotterie e pesche reali vendendo un bacio, sempre patriottico, a cento lire. I giornali incitano le ragazze che non hanno fidanzato a scegliersi un figlioccio e a fargli da madrina di guerra. Naturalmente i giornali dell'epoca sono
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interventisti (Corriere della Sera, Giornale d'Italia, Resto del Carlino, appartengono a gruppi di industriali e finanzieri) e fanno il possibile per diffondere entusiasmo bellico anche fra le donne dei ceti inferiori, le casalinghe mogli di operai, le contadine, le mondine che raccolgono riso e reumatismi nelle grandi risaie del nord; ma fra queste donne non si riesce a far scattare il "gusto della guerra" perch sono donne normali, equilibrate, rese adulte dalla lotta quotidiana per sopravvivere in una realt fatta di scarso pane, di case umide e miserabili, di lavoro sfiancante. Sanno che la guerra non , come dicono i futuristi in preda alla loro isteria di gruppo, la grande festa della giovinezza, della virilit, dell'energia fisica, il bagno di sangue che rigenera la stirpe, ma soltanto un orrido macello che si lascia dietro fosse comuni o geometrici boschi di croci, mutilati abbandonati alla carit e alla piet pubblica, orfani, vedove, miseria che si somma a quella gi presente. Le donne del popolo rifiutano la guerra e lo dicono da sempre, o lo ridicono ora con i loro vecchi canti di protesta, come questo, proveniente dall'Appennino tosco romagnolo, datato 1905; Vittorio che comandi il re dei regni/ oh quanta gente mandi a macellar!/ Se vuoi soldati fatteli di legno/ ma quel biondino lasciamelo star. La paura della guerra esce anche da un altro canto toscano, pressappoco della stessa epoca: E anche al mi' marito tocca andar/ a fa' barriera contro l'invasore/ ma se va a fa' la guerra e po' ci more/ rimango sola con quattro creature. Ma queste stesse donne, proprio perch abituate a lottare, proprio perch sono profondamente, atavicamente comprese nel ruolo di custodi della sicurezza e della sopravvivenza familiare, si buttano con coraggio a risolvere le enormi difficolt che la guerra crea sul fronte interno, nei campi, nelle fabbriche, nel settore dei servizi. Il trasferimento al fronte di centinaia di migliaia di uomini ha lasciato grandi vuoti che minacciano di bloccare, o per lo meno di rallentare fortemente, la vita del Paese: tuttavia la macchina produttiva continua a
Donne che lavorano in fabbrica, IG.M.
marciare sotto la spinta di reggimenti di donne che, lasciata la cucina, vanno nei campi ad arare, seminare, raccogliere; nelle fabbriche a manovrare i marchingegni creati dalla tecnica moderna; migliaia e migliaia di donne prendono il posto dei campanari, dei tassisti, dei medici, dei cancellieri di tribunale, dei telegrafisti, dei cantonieri, dei maestri e degli infermieri. Qualche dato su questo fenomeno che cambia profondamente la dimensione donna: l'indice della manodopera femminile presente nei campi sale a 6 milioni di unit; per effetto delle massicce commesse militari che impegnano anche l'industria tessile la percentuale delle operaie aumenta del 60%; negli uffici su 100 impiegati 50 sono donne; le 651.000 donne che gi nell'aprile del 1916 lavoravano nel settore
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dell'industria aumentano, nell'ottobre dello stesso anno, a 972.000, nel gennaio del 1917 salgono a 1.072.000 e superano largamente il 1.240.000 tre mesi dopo; nel delicatissimo settore della produzione bellica la presenza femminile passa da 23.000 unit iniziali alle 200.000. I codini di vario tipo, i moralisti e sessuofobi di questa o quella confessione assistono a questa rivoluzione con profondo orrore. La donna-spazzino va anche bene, per costoro, perch il ramazzare un'incombenza congeniale alla femmina, ma la donna-postino, la donna-tramviere non sono viste di buon occhio: la prima ti legge la posta, la seconda ti porta a sicura morte e se fa il bigliettaio certamente una donna di facili costumi che sparge il microbo della lussuria fra i passeggeri timorati. Tuttavia la gente timorata non si scandalizza di fronte alle notizie, confermate dai militari in licenza, dalle quali si apprende che vengono avviati al fronte anche numerosi plotoni di prostitute incaricate di tener alto il morale dei combattenti. Fra gli osanna dei fanatici, le polemiche dei pacifisti, le querimonie dei pensosi della morale pubblica, le profezie degli strateghi da caff, malapianta di tutti i tempi, che si elevano dalle varie categorie di parassiti, le donne portano il peso di una situazione che, dopo gli ottimismi iniziali, si presenta sempre pi pesante. Una situazione nella quale l'angelo del focolare deve nello stesso tempo assumersi tutte le responsabilit del paterfamilias, oltre quella di accudire ai figli e alla casa, il che vuol dire fare tutto quello che necessario alla sopravvivenza della sua piccola collettivit. La moglie del soldato si trova quindi in una posizione socialmente conflittuale: il sussidio che passa lo Stato non sufficiente per mangiare, coprirsi, pagare l'affitto, mandare a scuola i bambini e di conseguenza deve lavorare fuori casa, ma lavorare in fabbrica, in campagna o in ufficio significa non riuscire a coprire il ruolo di angelo del focolare. Per far fronte a queste due responsabilit la maggioranza delle donne italiane impegnate sul fronte produttivo si sottopongono a sacrifici che, a parte il rischio della vita, non sono minori di quelli dei soldati. D'altronde il momento non lascia altre soluzioni, sussidi e salari aumentano con grande lentezza rispetto al lievitare del costo della vita. Le casalinghe che hanno la possibilit di evitare il lavoro esterno riescono a scoprire sempre nuovi sistemi per mettere qualcosa in tavola che non incida troppo sul bilancio familiare, dalle erbe che si trovano nei prati alle bucce di piselli cotte in modo da renderle appetitose. Ma le operaie che fanno otto-dieci ore di fabbrica, o le contadine o le impiegate, hanno i minuti contati e non possono certamente andare a caccia di viveri. Cominciano cos le prime grandi proteste. Nell'agosto del 1915 le donne fermano le macchine e incrociano le braccia nelle fabbriche tessili dell'alto Milanese, nel novembre successivo succede la stessa cosa nel Novarese. Numerose le astensioni dal lavoro delle risaiole e delle operaie delle manifatture tabacchi. Gli anni di questa guerra che il popolo italiano non ha voluto, come la storia ha definitivamente dimostrato, portano alla ribalta le donne non soltanto per la capacit di dare forza-lavoro ma anche per la dimostrazione di coscienza critica, di capacit di reazione contro uno
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Stato incapace di dare giustizia sociale, di proteggere imparzialmente gli interessi di tutte le categorie di cittadini. Le donne che si riversano sotto le finestre dei Municipi a reclamare gli aumenti dei miseri sussidi, che dovrebbero sostituire il salario guadagnato dal marito prima di essere richiamato alle armi, sono le stesse che fanno affollati e aggressivi cortei lungo le strade delle citt italiane per protestare contro gli incredibili aumenti dei prezzi, sono le stesse che impongono agli operai delle fabbriche militarizzate di uscire dai reparti per sabotare un lavoro nel quale esse identificava la causa della continuazione del conflitto; sono le contadine, le operaie, le impiegate, quelle donne che si trovano addosso la doppia responsabilit di far sopravvivere la famiglia e di assicurare al Paese rifornimenti alimentari, prodotti industriali, civili e militari di tutti i generi, e tutti quei servizi indispensabili al funzionamento della macchina nazionale. Sono anni durissimi che le donne italiane superano con una forza morale e una coscienza civile di dimensione tale da poter essere definita eroica senza timore di fare dell'enfasi. Di questo eroismo silenzioso, privo di spettacolarit ma che ha contribuito alla vittoria e alla maturazione civile del Paese, la letteratura postbellica (che ha prodotto fiumi di retorica, creato eroi dal nulla, ha glorificato, giustamente, senza dubbio, le crocerossine di guerra) ha raccontato molto poco ed ha lasciato nella storia un buco nero
Crocerossine che assistono un soldato, IG.M.
che pu essere spiegato soltanto andando a frugare nelle inconsce paure dello scrittore maschio dell'epoca, ancora impastoiato dai tab della societ patriarcale; ma, a dispetto della letteratura e del codice civile, alla fine della guerra qualcosa cambiato nella cultura contadina della vecchia Italia, nell'arcaico costume si vede qualche scucitura. Se dopo la grande battaglia molte donne hanno ripreso il ruolo di gregario senza diritti, molte si sono rese conto che "donna uguale a uomo", dal momento che hanno dimostrato di essere capaci di amministrare e di garantire la vita della famiglia da sole, di guidare tanto un tram quanto una grande protesta popolare. Da questo momento, da questa presa di coscienza, inizia, sia pur con grande lentezza e non senza dure reazioni, la decadenza della societ patriarcale italiana. Ne prende atto Vittorio Emanuele Orlando, liberale, conservatore non sospetto di simpatie femministe. Nella riunione del Consiglio dei Ministri del quale presidente, il 2 aprile 1918 sostiene che, almeno in linea di principio, bisogna riconoscere alle donne il diritto di partecipare alle elezioni. Per quanto riguarda il voto - egli dice - ero contrario nel mio libro giovanile, ora sono venuto mutando opinione. Non tanto mutata opinione, quanto sono mutati i tempi. La donna di tipo patriarcale, figura incapsulata nella famiglia, non aveva bisogno del voto elettorale; il suo voto, se madre, si confondeva con quello del figlio; se
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figlia con quello del padre; se moglie con quello del marito, Ma ora che, sotto la pressione di una evoluzione sociale sempre pi incalzante, abbiamo il fenomeno sociale del lavoro femminile, ora che alle falangi dei lavoratori si aggiungono falangi di lavoratrici, ora dico di aver cambiato opinione. Qualche anno dopo le parole di Orlando saranno soltanto un ricordo di pochi democratici irriducibili.
2.3.
IL SOFFOCAMENTO FASCISTA
Insomma, anche le donne italiane sembrava avessero iniziato a spiccare il volo; ma ben presto le ali furono loro tarpate: il pur iniziato e affermato movimento di emancipazione femminile fu soffocato dall'avvento del fascismo che, regime autoritario e maschilista, tratt le donne nella maniera tradizionalmente reazionaria di considerarle l'anello debole (e incapace) della societ. Una volta al potere Mussolini, duce del fascismo, decider di assegnare ad essa il ruolo di fabbricante dei legionari che dovranno costruire il nuovo impero romano. E il processo evolutivo della societ femminile entrer in una fase di stallo. Da un lato le donne venivano considerate come gli angeli del focolare, dallaltro il regime cercava di coinvolgerle per ottenere anche il loro consenso. La donna doveva ricoprire i ruoli di madre, moglie e massaia, fino a farsi portavoce della missione patriottica. In altre parole, una
Donne impegnate nel saluto fascista
lO.M.N.I. (Opera Nazionale per la protezione della Maternit e dellInfanzia); la donna venne istruita nelleconomia domestica, nelleducazione allinfanzia e nellassistenza sociale, furono anche introdotti leducazione fisica e lo sport femminile. Nel 1942, nel Codice Civile, si defin la famiglia come un istituzione sociale e politica; il diritto di famiglia precludeva alla donna qualsiasi tipo di decisione che avesse natura giuridica o commerciale, se non previa autorizzazione del marito o del padre, la stessa tutela dei figli era considerata una prerogativa esclusivamente maschile. Allinterno della politica di incremento demografico, stabilita da Mussolini, lo slogan Madri nuove per i figli nuovi esaltava per la
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funzione sociale della donna in ogni occasione: da sempre ignorata dal potere, la donna fu particolarmente sensibile allappello del Duce, nonostante la sua nota visione molto gerarchica del rapporto fra i sessi (il fascismo esaltava infatti il culto della virilit). In poche parole, lideologia fascista dava alla donna lillusione di sostenere le sue aspirazioni ma, di fatto, la relegava nei suoi ruoli tradizionali, varando misure contrarie al lavoro femminile. Con la guerra di Etiopia del 1935, il nazionalismo antifemminista si fece ancora pi accentuato: furono sciolte le associazioni femminili pi importanti e soppresse alcune riviste che avevano queste ultime come lettrici; vennero cos eliminate tutte le attivit che potevano in qualche modo allontanare la donna da quello che il fascismo vedeva come suo unico scopo: sposarsi e mettere al mondo il maggior numero di figli possibile. Le donne del regime dovevano loro malgrado accettare di vivere secondo lo slogan del Duce: per obbedire, badare alla casa, mettere al mondo figli e portare le corna.
2.4.
Con la seconda Guerra Mondiale si ebbe un miglioramento della vita delle donne; venne approvato un disegno di legge per sostituire nel lavoro il personale maschile con quello femminile. Un caso per tutti pu essere quello della Gran Bretagna dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, sui muri di tutte le citt compariva un manifesto con sopra disegnata una corpulenta operaia avvolta nell'Union Jack, la bandiera britannica, che invitava tutte le donne ad andare a lavorare nelle fabbriche di Sua Maest al posto degli uomini partiti per la guerra. In mancanza degli uomini, le donne italiane divennero capofamiglia e parteciparono attivamente alla resistenza: i venti mesi di guerra partigiana furono caratterizzati da molte eroiche staffette partigiane che, politicamente consce del grande lavoro che stavano svolgendo, e consce dei rischi che correvano, svolsero un indispensabile ruolo di collegamento tra i vari comandi militari della Resistenza. Milioni di donne in tutti i paesi belligeranti furono assunte per svolgere attivit definite di concetto: telefoniste, telegrafiste, segretarie, infermiere, ecc. Una volta finita la
Immagine che incoraggia le donne a sosotituire i mariti che sono in guerra
guerra e tornata la pace fu impossibile da parte degli uomini non riconoscere il ruolo svolto dalle donne e le loro finalmente riconosciute capacit; cos, lentamente, ma in maniera costante e progressiva, cominciarono a inserirsi nel mondo del lavoro a fianco dei colleghi maschi dimostrando tutto il loro valore e le loro attitudini. Le due guerre mondiali, insomma, erano state la
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grande occasione per le donne che, chiamate a sostituire gli uomini impegnati nella guerra, ebbero libero accesso alle professioni operaie e entrarono in massa in quelle intellettuali. Ci che rimaneva da sancire definitivamente era una reale uguaglianza che fosse confermata e riconosciuta tanto nella legislazione degli stati (prima ancora della fine della Guerra, nel 1945, venne riconosciuto in Italia il diritto al voto alle donne), tanto nella mentalit comune.
2.5.
Un reale e significativo punto di svolta lo si avuto poi con il '68: la contestazione studentesca quasi planetaria, il cui appoggio dato dal mondo femminile non fu solo marginale. Infatti, essa combaciava con quell'urgenza di una gran trasformazione del rapporto fra individui e societ; quella femminile inizia proprio quest'anno a dare battaglia; esce dal carcere dei pregiudizi in cui avviluppata e punta decisa alla liberazione. Infatti, non si tratta dell'antica battaglia per l' emancipazione della donna e per la conquista della parit dei sessi con l'uomo, ma di messaggi assai pi rivoluzionari e totali. Lo slogan quello della liberazione della donna e il contenuto la rivolta contro i valori sui quali da millenni si costruita la societ maschilista, sia dentro quella civile sia in quella religiosa. La Costituzione si rivel essere solo un pezzo di carta in mano al vecchio e onnipresente potere del vecchio Stato-Chiesa, che non era per
Studentessa che protesta, 1968
nulla cessato, e veniva comodo a quei partiti che spesso ipocritamente legavano i loro simboli, la loro bandiera e gli ideali ai
valori cristiani. I movimenti in Italia si allargano a donne d'ogni et e l'impegno si consolida in vista della scadenza istituzionale attraverso l'impegno per il referendum sul divorzio. Inoltre ha gi raccolto le firme per la depenalizzazione dell'aborto, e vari progetti di legge sono stati presentati per l'introduzione del nuovo diritto di famiglia tra la quale la parit giuridica tra i coniugi, uguali diritti e responsabilit, comunione dei beni, patria potest ad entrambi i coniugi, eliminazione dell'arcaica dote, il diritto di conservare il proprio cognome, la separazione per colpa, e nessuna distinzione tra figli legittimi e figli naturali. Oltre a rivendicazioni di carattere sociale come asili, maternit, posto di lavoro, parit di salario a parit di mansioni e altro.
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Le teste di legno governanti ma sottoposte proseguirono cos fino al '68, ma erano nel frattempo passati dieci anni e la societ era cambiata, perfino dentro i partiti cattolici ci fu la mutazione, la fine del collateralismo, il rifiuto dei tradizionali vincoli alla gerarchia ecclesiastica, infine, come letto negli anni precedenti, i numerosi scismi, e l'aperto e traumatico dissenso. Il primo seme messo in quelle barricate dalle prime coraggiose donne aveva cominciato a dare i primi frutti di quella che d'ora in avanti sar una liberazione femminile dirompente; il 19 dicembre del 1968 assistiamo alla prima vera conquista femminile: l'adulterio della donna non considerato pi reato (prima se sorpresa finiva in carcere) e nel frattempo gli riconosciuto il diritto della separazione se adultero ora il marito. Ma la legge monca perch i coniugi si possono separare ma non possono risposarsi, neppure civilmente. Manca il divorzio che in Italia non esiste e che delle ha arriver donne nel al 1970. La
partecipazione studentesco
movimento
fornito
all'emancipazione
femminile aperture dirompenti, travolgendo molti tab, infrangendo una morale bigotta. Nelle occupazioni, nelle manifestazioni, nei cortei, la
Manifestazione femminile per la liberazione della donna
presenza femminile fu altissima e coinvolgente, intensa e passionale, spesso pagata anche di persona. Era la prima volta che quest'evento avveniva (quello di comportarsi come i loro compagni), le donne riuscirono ad accettare veramente l'impopolarit delle contestazioni, i disagi, i pettegolezzi e anche tutti i rischi. Non fu come potrebbe sembrare una partecipazione passiva, marginale, e nemmeno costrittiva anzi i maschi alle prime occupazioni delle Universit non vollero nemmeno le ragazze. Il diritto alla protesta e a parteciparvi fu una conquista autonoma, con tanta determinazione voluta dalla donna, e part proprio da Milano. Antonella Nappi alla prima occupazione nel marzo del '68 alla Statale, prima d'ogni altra, cap l'importanza storica del momento e fece fagotto, salut i familiari a casa e si trasfer a dormire la notte sui pavimenti dell'Universit occupata, pronta ad affrontare gli eventi, a fare la sua parte, a fare le veglie e anche a scontrarsi con la polizia al pari dei suoi compagni. La Nappi divent cos la leader indiscussa del movimento femminile. Le ragazze diventarono 10, poi 100, poi 1000, e fra i 488 studenti denunciati in quell'occasione, basti ricordare che 165 erano donne. Il che significa che le ragazze erano accanto ai loro compagni a lottare fino in fondo anche se nessun giornale (maschilista) lo riportava in cronaca. In questa gestazione di libert, uscendo dalle carceri di tanti pregiudizi e follie che circondavano la donna, rientrava ed era molto importante la lotta della liberazione sessuale. Ora che i pericoli della gravidanza erano venuti meno con la libera diffusione degli anticoncezionali che la Corte
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costituzionale aveva dichiarato legittimi, indubbiamente nelle relazioni si era certamente affermata una certa disinvoltura; ma libert non voleva certo dire che ora la donna, spazzate via la subordinazione maschilista, i veli moralistici, i pregiudizi, i desideri sessuali frustrati da duemila anni e i tab della verginit, doveva darsi al primo bullo che passava. La pillola port con s una gran rivoluzione sessuale e raggiunse lo scopo di liberare una met della razza umana (l'altra met del cielo) dalla sua immemorabile subordinazione (il ventre ora mio! potevano finalmente gridare). La pillola ha, infatti, portato in primo piano il problema del libero rapporto sessuale della donna, al pari del maschio, svincolato dalla procreazione. Le permette insomma il diritto d'avere rapporti intimi prematrimoniali senza dover provare l'angoscia di una gravidanza indesiderata, da sempre considerata immorale, e non solo dal mondo maschilista (si era riusciti ad omologare quest'idea anche dentro quel mondo femminile plasmato fin dall'infanzia con questa bigotta educazione). Il movimento femminista quindi si muove ora su questo terreno che tutto suo, privato, intimo. La donna sa d'essere sola, e vuole affrontare da sola il suo problema con una tematica radicale e dove non teme di imboccare la strada pi impopolare, quella che va contro la bimillenaria morale della Chiesa, prima con divorzio, poi con la pillola e infine con quello che gi la stessa Chiesa ha iniziato a chiamare il macigno delle coscienze: l'aborto (1978). Molte donne, in realt, sia al divorzio che all'aborto non hanno mai ricorso; ma non impedirono, con i loro voti, che altre donne, affidandosi alla loro libera coscienza, vi ricorressero quando era necessario per evitare drammatiche situazioni o quando era messa in discussione la loro dignit di persona (come lo stupro di un triviale soggetto).
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Le condizioni lavorative per la donna, come visto, rimasero sfavorevoli per parecchio tempo. Soltanto con una legge del 1977 intitolata Parit di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro venne riconosciuto a livello legislativo il principio generale di parit di diritti, con la predisposizione di strumenti idonei a contrastare le discriminazioni sul lavoro. Oggi i diritti e i doveri della donna si stanno avvicinando sempre di pi a quelli delluomo ma la strada che la donna ha percorso per raggiungere lattuale traguardo di parit (o quasi parit) stata lunga e tortuosa. Purtroppo per, per arrivare ad una parit totale ed effettiva tra gli individui di sesso differente, restano ancora passi da fare. Infatti non basta che la parit sia voluta dalla legge: per realizzarsi deve essere accettata e vissuta spontaneamente da tutti. L'articolo 37 della Costituzione descrive i termini di una difficile convivenza: quella fra tutela e parit nel lavoro femminile. Da una parte, infatti, statuisce il principio paritario, secondo cui la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parit di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, mentre dall'altra ribadisce la necessit dell'intervento protettivo, affermando che le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione. La donna lavoratrice ha ricevuto una particolare tutela dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903 o legge sulla parit di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Questa legge contempla disposizioni che in parte risultano completamente nuove e inedite e in parte modificano nel senso che migliorano o dovrebbero migliorare - altri precedenti provvedimenti a favore della donna, cercando, comunque, in ogni caso, di dare una pi precisa e pi concreta attuazione ai principi stabiliti dalla nostra Costituzione.
3.1.
L'art. 1 della legge n. 903 del 9/12/1977 vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro in qualunque settore o ramo di attivit. L'imprenditore non potr in
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alcun modo fare riferimento al sesso sia direttamente che indirettamente a mezzo stampa o con altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. In applicazione di questa legge, un datore di lavoro non potr pi richiedere di assumere un uomo invece di una donna o viceversa, a eccezione dei settori moda, arte e spettacolo, quando cio l'appartenenza a un determinato sesso sia essenziale alla natura del lavoro. Quindi tutti i lavori sono aperti alle donne. Se, tuttavia, sono particolarmente pesanti, sono consentite, dalla stessa legge, delle eventuali deroghe, cio delle eccezioni, a mezzo dei contratti collettivi (onde evitare abusi). Ci si domanda comunque: quando la donna avr, concretamente, la possibilit di individuare, di motivare e quindi di denunciare eventuali discriminazioni del sesso che indubbiamente si presenteranno mascherate e in numero rilevante? L'art. 2 afferma: la lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste sono uguali o di pari valore. In questo modo viene ribadito il principio della parit salariale sancito dalla Costituzione. Occorre sottolineare che, qualora questo principio venga violato, la lavoratrice potr ricorrere al pretore del lavoro (art.15). E' pure vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni, e la progressione nella carriera. Pertanto alla donna no devono pi essere attribuite qualifiche o mansioni che fino a ieri erano riservate a lei sola, e per tutto l'arco della sua attivit lavorativa non le devono essere riservati piani di carriera o possibilit di avanzamento professionale diversi (e pi limitati) di quelli riservati fino ad oggi agli uomini. In particolare per evitare che la funzione materna punisca la sua carriera di lavoratrice, la legge stabilisce che le assenze obbligatorie per la maternit vengono considerate come attivit lavorativa ai fini della carriera (oltre che ai fini dell'attivit di servizio).
3.2.
La legge 9 gennaio 1963, n. 7 ha introdotto il principio del divieto di licenziamento a causa di matrimonio per tutte le imprese private, con esclusione, di quelle addette ai servizi familiari e domestici. Sono quindi nulli i licenziamenti intimati a causa del matrimonio, se attuati nel periodo intercorrente dalla richiesta di pubblicazione matrimoniale sino ad un anno dopo la celebrazione delle nozze, a meno che il licenziamento non avvenga per giusta causa, per cessazione dell'attivit dell'azienda, per scadenza del termine del contratto a tempo determinato o durante il periodo di prova. Infatti, il licenziamento a causa di matrimonio contrario ai principi delle nostre leggi e, in particolare, della nostra Costituzione che assicura a tutti i cittadini il diritto alla formazione della
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famiglia e della donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione di madre (artt. 2, 29 e 31). Inoltre la libert di contrarre matrimonio costituisce un diritto inviolabile della persona umana; qualora il licenziamento avvenga nonostante il divieto della legge questo viene considerato nullo e, pertanto, la lavoratrice ha diritto alla retribuzione sino al momento della sua riassunzione. Le dimissioni per matrimonio della lavoratrice devono essere approvate, entro un mese, dall'ufficio del lavoro. Il ruolo di capo-famiglia, alla stessa stregua del marito, emerge dalla legge che estende alla donna lavoratrice il diritto di chiedere, al posto del marito, l'assegno per il nucleo familiare.
3.3.
L'art.2110 c.c., le leggi 26 agosto 1950, n. 860, 9 gennaio 1963, n.7, la l. 30 dicembre 1971, n. 1204 e la l. 9 dicembre 1977, n. 903, hanno cercato di conciliare le esigenze della donna madre con quelle della donna lavoratrice (art. 37 Cost.). Si noti che la funzione familiare deve essere preminente a quella lavorativa. La legge, pertanto, detta norme a tutela della donna durante il particolare periodo della gravidanza(che va dal momento della fecondazione a quello del parto), del puerperio (periodo successivo al parto, durante il quale la donna recupera le energie necessarie e assiste il neonato nelle prime settimane di vita) e considera anche l'ipotesi dell'aborto, inteso come interruzione della gravidanza, d diritto all'assistenza sanitaria ed economica nonch alla conservazione del posto (non d, invece, diritto all'astensione dal lavoro, sia obbligatoria che facoltativa, prevista per la gravidanza e per il puerperio). Le disposizioni pi importanti, a tutela delle lavoratrici gestanti e puerpere, sono quelle qui di seguito elencate: divieto assoluto di adibirle a lavori pesanti, pericolosi e insalubri; a sollevamento pesi senza alcun limite e anche in presenza di mezzi meccanici (durante il periodo della gestazione e sino a 7 mesi dopo il parto); concessione di un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, onde evitare danni all'organismo della madre e del nascituro. Questo periodo , normalmente, di due mesi precedenti la data presunta del parto e di tre mesi dopo il parto. Tale periodo pu essere ulteriormente anticipato, durante la gestazione, per i lavori gravosi o pregiudizievoli, per concessione dell'ispettorato del lavoro in casi particolari (ad esempio, gravi complicazioni della gestazione, documentate da certificato medico ecc.);
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concessione di una periodo di astensione facoltativa dal lavoro. La lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, ha il diritto di assentarsi dal lavoro per un periodo di 6 mesi, anche non continuativi, entro il primo anno di vita del bambino. Durante questo periodo le sar conservato il posto. La lavoratrice ha diritto, altres, ad assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di et inferiore ai 3 anni, previa presentazione di certificato medico;
per quanto concerne il trattamento economico, la lavoratrice ha diritto a un'indennit giornaliera di maternit pari all'80% della retribuzione, per tutto il periodo di astensione obbligatoria. A partire dal 1 gennaio 1973, la lavoratrice ha diritto, altres, a una indennit giornaliera pari al 30% della retribuzione, per tutto il periodo di assenza facoltativa. Queste indennit decorrono dall'inizio del periodo di assenza (secondo certificato medico di gravidanza) e sono anticipate dal datore di lavoro e rimborsate dall'Inps.
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I movimenti femministi hanno messo in crisi il modello di femminilit imposto dalla cultura maschile mentre l'uomo che cerca, nella fantasia di possesso della donna, di soddisfare il proprio bisogno di potere frustato dalla societ, vede nella ribellione della donna una minaccia all'equilibrio del proprio io. Alle immagini rassicuranti della donna-fiore, donna-bambina, donna-angelo si oppone quello della donna fatale, la donna inquietante e perversa, la donna-vampiro. La sessualit della donna fa paura: concepita in alternativa all'istinto materno avvertito come istinto di
4.1.
IL CONTRIBUTO VERISTA
Il Verismo d un contributo essenziale al mutamento della raffigurazione femminile e dell'erotismo, accentuando la scissione fra spiritualit romantica e fisicit del desiderio; infatti l'immagine femminile dominante nei romanzi verghiani quella della donna fatale, della dominatrice che emana un fascino distruttivo. Il corpo femminile non viene pi sublimato e non appare pi simbolo dell'armonia della natura. Il suo fascino deriva dall' artificio, dal mascheramento estetico: sono i profumi, i trucchi, i gioielli a trasformare la donna in fiore delicato, fata, maga, ballerina, farfalla. Tuttavia, proprio sotto il mascheramento, si rivela la vera realt della donna in tutta la sua miseria e da farfalla diventa bruco che suscita repulsione. La donna, quindi, non pi il tramite attraverso il quale l'uomo pu mettersi in comunicazione con l'assoluto, ma lo strumento per raggiungere il successo e integrarsi nella societ mondana o nel mondo dell'arte. E, in un secolo dominato dalla logica del successo economico e sociale, l'uomo si rivela incapace di vivere con pienezza il sentimento amoroso. Nella novella la Lupa, Verga ci propone la figura di una donna che trasgredisce ogni regola sociale e che per la determinazione con cui segue i propri appetititi sessuali
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viene appunto definita Lupa. L'amore della Lupa avidit di possesso che emana dallo sguardo, da due labbra fresche e rosse che sembrano dire voglio te, voglio te. La sensualit aggressiva della protagonista rivela l'ottica nuova con cui l'uomo dell' Ottocento guarda la donna, avvertita come minaccia della propria integrit fisica e morale.
4.2.
I media (i giornali, le riviste, la televisione, la pubblicit) oggi rivestono una parte importante tra i fattori che danno forma all'idea di identit maschile e femminile. Ad ogni ora del giorno e della notte, siamo esposti ai numerosi e diversi modelli di ruolo sia maschili che femminili che i mass media propongono. Per quanto ad un primo e rapido sguardo la popolazione femminile dei media ci sembri diversificata, attraverso unosservazione pi scrupolosa ed attenta constateremo, invece, ch e le donne che ci sono mostrate non sono che per la maggior parte varianti di un unico stereotipo. Nonostante i ruoli femminili nel mondo occidentale siano, come stato sin qui descritto, andati soggetti a cambiamenti notevoli negli ultimi anni, continuiamo a vedere che la rappresentazione della donna nei media rimasta sostanzialmente la stessa. Il modo in cui le donne sono rappresentate risponde decisamente ad uno stereotipo di genere: solitamente giovani, belle e poco vestite, sono proposte come oggetto di desiderio sessuale o come euforiche consumatrici. Quando lavorano poi, sono mostrate in ambienti amichevoli e rassicuranti o in situazioni pi improbabili. Nonostante poi la popolazione femminile sia il 55% del totale, le donne sono sempre sottorappresentate rispetto agli uomini e non solo in tv, ma anche nella stampa. Proprio in tale mezzo di comunicazione di massa infatti, gli uomini sono rappresentati in posizioni sociali prestigiose mentre le donne soprattutto in relazione al proprio aspetto fisico; esse occupano si il maggior spazio visivo, ma prevalentemente come protagoniste della pubblicit e della moda, e quasi mai dellinformazione. Inoltre, mentre gli uomini che appaiono nelle riviste solitamente lavorano e vengono descritti come
pragmatici e concreti, le donne sono soprattutto belle e spensierate e non rivestono un ruolo definito. Esse paiono come sospese al fragile filo della bellezza, dalla quale sembra dipendere tutta la loro sicurezza. Lunico compito affidato loro quello di valorizzare i diversi prodotti attuando una doppia seduzione: verso gli uomini, convincendoli ad acquistare un determinato oggetto
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paragonato ad un corpo femminile (tutti ricordiamo ad esempio una vecchia campagna di una birra associata ad una bella bionda) e verso le donne, per incentivarle allacquisto del prodotto grazie al quale saranno in grado di conquistare il proprio uomo. La novit pi eclatante la quasi totale scomparse della figura madre-moglie-casalinga dalle riviste, immagine che continua per ad essere ancora molto presente nella pubblicit televisiva. Questo continuo oscillare tra vecchio e nuovo, tra conservazione ed innovazione, evidenzia la contraddittoriet con cui i media si stanno adattando ai cambiamenti avvenuti nella vita delle donne, in ogni modo dovuta ad un esigenza commerciale di vendere prodotti; limmagine della donna-sexy infatti, apparentemente protagonista ma in realt donna-oggetto, non potr di certo scomparire rapidamente visto che risulta ad oggi ancora commercialmente efficace. Come gi accenato in precedenza, una
sottorappresentazione numerica evidente anche nel mondo televisivo, che risulta essere addirittura pi sessista della societ stessa. Diverse ricerche condotte in merito, hanno dimostrato quanto la partecipazione femminile sia scarsa nei programmi televisivi, soprattutto di carattere informativoculturale e politico. Vi invece una pi considerevole, ma comunque non paritetica, presenza femminile nella fiction che vede le donne abbastanza presenti, forse anche perch sono le stesse donne le pi assidue spettatrici di tale genere televisivo. Qui addirittura la donna assume ruoli che nella vita quotidiana sono ricoperti prevalentemente da uomini, come il maresciallo dei carabinieri o il commissario di polizia. Le differenze maggiori tra uomo e donna nella fiction sono riscontrabili nellaspetto esteriore, nei valori, nei tratti di personalit e nella condizione lavorativa; una ricerca promossa dal CNEL ( Consiglio Nazionale dellEconomia e del Lavoro) sullargomento ha messo in evidenza tali caratteristiche della fiction italiana. Per quanto concerne i valori, si tende a mettere in evidenza la sfera affettivo-relazionale e familiare della donna mentre per luomo si punta di pi alla sfera dellaffermazione, del potere e del successo. Inoltre, per quanto riguarda i tratti di personalit, c una oscillazione tra lasse fragile, che pi vicina alla figura femminile, e quella solida, pi vicina a quella maschile; la donna, infatti, viene spesso rappresentata con carattere debole passivo rispetto alluomo, solitamente dinamico e dominante. Infine, nellambito lavorativo si possono notare differenze nei livelli di occupazione, solitamente inferiori per le donne, e nei tipi di professioni svolte, pi remunerative e di prestigio per gli uomini. Nonostante quindi limmagine femminile si sia andata evolvendo da quella che era la donna-oggetto a quella pi attuale della donna libera da certi stereotipi, ancora oggi non vi una rappresentazione della figura femminile che non sia del tutto succube della propria bellezza e del proprio genere di appartenenza. Modelli conservativi e modelli progressivi di femminilit coesisterebbero quindi nella programmazione
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televisiva, ma dislocati in generi diversi e destinati a differenti utenze: di massa per la fiction, selezionata e quindi pi ristretta per linformazione.
Da diverse ricerche di analisi del contenuto della pubblicit, emerge la misura di come si sia usata la donna come oggetto per vendere. Sposa e nutrice, felice di essere amata dal marito in cambio di una buona cucina e di camicie ben stirate, ecco la donna della pubblicit italiana degli anni 70 -80; adora la conversazione con lamica, la cugina o la mamma, purch si parli di detergenti, di smacchiatori o di detersivi per il bucato. Ma si tratta ogni volta di dialoghi sterili ed insidiosi che lasciano trapelare un velo di angosciosa competizione. Questa la donna con la fede al dito. Poi c laltra senza fede e spesso senza veli: la donna dei sogni maschili ed extraconiugali, maggiormente rappresentata intorno agli anni 90. Esuberante, sexy e sempre in forma smagliante non poi cosi diversa dallaltra se non nella forma: condividono infatti la condizione di subalternit, cos come sembra ancora pretendere il maschio nostrano. Questa limmagine di donna che frequentemente mostrata negli spot pubblicitari. Incorniciata nelle pi tipiche situazioni familiari, sempre alle prese con prodotti per la pulizia della casa, per ligiene e la cura della persona o con quanto altro il mercato le mette a disposizione per riuscire sempre meglio in quello che, secondo tradizione, pi le compete. La figura della mamma, ad esempio, uno degli stereotipi pi ricorrenti della pubblicit: non solo la mamma amica che mentre cucina pronta a dare consigli al figlio preadolescente che ha problemi
Spot pubblicitario di un preparato per torte
damore, ma anche la mamma infaticabile che dopo ore di lavoro torna a casa ed inserisce la segreteria telefonica per non essere
disturbata mentre cucina un ottima torta al cioccolato. C poi la donna sofisticata che, bella e piacente, si occupa in maniera maniacale della propria bellezza e del proprio abbigliamento. Tante e diverse sono quindi le donne che ci offre il mondo della pubblicit, ma tutte con un unico denominatore comune: quello di essere oggetto. Le rappresentazioni che se ne ricavano infatti
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sono quelle di unapparente emancipazione che per non mette in discussione lo status quo di un mondo sempre profondamente sessista, con i maschi impegnati quasi esclusivamente nellambito lavorativo e con le donne che si sobbarcano quasi tutte le fatiche del loro lavoro fuori e dentro casa. Le immagini femminili che ci vengono mostrate sono quelle o di donne felici di essere esclusivamente mogli e madri o di donne che, se vogliono realizzarsi fuori dallambiente familiare, devono diventare a immagine del maschio. Diverse ricerche in merito alla figura femminil e nel campo pubblicitario hanno fatto notare quanto sia settoriale la rappresentazione che se ne usa dare; vi infatti una forte tendenza a classificare i diversi tipi di donna in base alle caratteristiche fisiche, agli atteggiamenti e allabbigliamento; ma qualsiasi tipo di donna la pubblicit voglia rappresentare, che sia sexy, narcisista, raffinata, acqua e sapone, casalinga o mamma, sempre unimmagine che caratterizza la donna in quanto tale: con un volto ed un corpo oggetto di espressione. La donna colei che fa le maggiori spese della pubblicit in due sensi: come soggetto, in quanto lei la persona che il sistema consumistico prende di mira e vuol convincere, e come oggetto, in quanto sempre lei che lo stesso sistema tenta di vendere simbolicamente con imbonimenti di parole e di immagini. Ma qual limmagine della donna che viene venduta alla consumatrice con il prodotto? E sicuramente limmagine corrispondente ai desideri maschili, alle fantasie erotiche delluomo che rimandano alla donna unimmagine di s distorta, come riflessa in uno specchio deformante. E questa la donna-oggetto della pubblicit dei cosmetici, colei che viene dissezionata in una serie di particolari (occhi, bocca, gambe, glutei) preferiti dalluomo e maggiormente messi in evidenza negli spot pubblicitari. Non importante quindi chiedersi quale limmagine che la donna ha di s, ma quale invece limmagine alla quale la donna tenta di somigliare. E su questa rappresentazione che la pubblicit vuol far leva per poter vendere il prodotto sponsorizzato rispetto ad un altro che ha le medesime caratteristiche. E sul bisogno di sicurezza come su quello di stima, molto deboli nella donna rappresentata nella pubblicit italiana, che vanno a mirare gli spot dei cosmetici, facendo uso di claim molto incisivi o di immagini corporee di ragazze dal fisico marmoreo alle quali bisogn a
Le veline
almeno provare a somigliare; una continua corsa contro il tempo e contro tutti i cambiamenti che questo apporta non solo sul corpo ma
anche sul volto. Proprio una vecchia pubblicit di una crema contro le rughe, si presentava con un head-line che diceva: Ritornate al viso giovane che piaceva a lui e poi di seguito venivano esposti, con una body copy a dir poco ridondante, tutta una serie di benefits per cui era
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indispensabile comprare tale prodotto. Come pu non far pensare questa pubblicit alla donnaoggetto che deve esser ben conservato per non rischiare di essere sostituito con uno pi nuovo? La poca sicurezza, il bisogno di essere ammirate, il benessere fisico e larmonia interiore sono infatti i punti cardine sui quali si muove la pubblicit di cosmesi femminile. Certo bisogna constatare che il tema della donna-oggetto andato diminuendo lasciando anche spazio a figure femminili pi forti e dinamiche e questo non solo nel campo della cosmesi. La maggiore libert di espressione e di movimento acquisita dalla donna negli anni 90, ha infatti consentito di utilizzare negli spot anche donne che ostentano una certa sicurezza e che svolgono attivit poco femminili, ma daltro canto ancora forte la preoccupazione per il proprio aspetto fisico. Nonostante la donna utilizzata nelle pubblicit di cosmetici di oggi sia una donna sicura di s e della propria bellezza, tanto da ostentarla con una certa sensualit e sfacciataggine, rimane infatti ancora forte una componente di apprensione per il proprio aspetto esteriore che la rende quindi pi attenta agli aspetti meno concreti e importanti del vivere quotidiano. Il ruolo di donna-tigre, dominatrice ma sempre comunque preda, il massimo che la pubblicit sappia offrire; tributando continui omaggi allautodeterminazione della donna, indicandole il cosmetico come strumento di rivalsa, limita di fatto la sua possibilit di scelta allopzione per luna o laltra linea di trucco, e riduce la sua possibilit daffermazione allimpegno di fare di se stessa un oggetto decorativo. Abituata a pensarsi proprio come un oggetto decorativo e a valorizzarsi in termini di pelle liscia, tonica e luminosa, la spettatrice, persuasa grazie allausilio della cosiddetta via periferica, destinata a cadere nello sconforto pi totale al primo segnale di cedimento della propria cute. Sebbene siano sporadici i servizi che tentano di mostrare che si pu essere belle ed affascinanti anche dopo gli anta, let matura in genere confinata a rari spot pubblicitari, a dimostrazione del fatto che leterna giovinezza ad essere sinonimo di bellezza e quindi di seduzione femminile. Questo perch la bellezza equivale alla seduzione delluomo, e la cosmesi il mezzo per protrarre questo potere nel tempo. E abbastanza evidente come tale messaggio venga recepito in particolare dalla spettatrice che sperimenta, fondamentalmente, una certa insicurezza, cercando in una linea antirughe il segreto di una bellezza in crisi. Il continuo ricorso ad immagini di modelle, ritoccate graficamente grazie alluso del computer, crea nella donna comune linsopportabile sensazione di sentirsi brutta e inadeguata rispetto agli standard. Le diete, il make-up ed i pi innovativi trattamenti per il corpo, sono divenuti le armi segrete di
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molte donne, che pur di avvicinarsi a queste immagini patinate si sottopongono a delle situazioni per lo pi stressanti. Si visto quindi come il corpo sia uno dei luoghi privilegiati per esprimere il discorso sociale e attraverso cui le pulsazioni della vita pubblica possono essere colte e registrate. Nello specifico, la rappresentazione del corpo della donna, offre una prospettiva importante per conoscere i ruoli e le relazioni ad essa attribuiti nella societ. Nella storia del pensiero occidentale si venuta a creare una gerarchia che ha privilegiato la razionalit sulla corporeit, attribuendo la razionalit al genere maschile e la corporeit a quello femminile, e favorendo quindi la supremazia del primo sul secondo. Limmagine della donna, infatti, spesso riferita a quella del suo corpo, riducendola quindi ad un soggetto che si esprime meglio nella sua tangibile oggettivit piuttosto che nelle sue caratteristiche interiori. Nonostante la figura femminile rivesta nel mondo dei media, e pi in particolare in quello della televisione, dei ruoli marginali rispetto alluomo, la stessa cosa non si pu dire per la presentazione del corpo femminile. La donna, infatti, riesce, mediante la sua fisicit, ad avere su di s la necessaria attenzione per non rimanere nellangolo; ma tale attenzione al corpo femminile comunque di natura strumentale, essendo esso mero accessorio e facile espediente per richiamare linteresse. Oggi il corpo si trova ad essere investito di una funzione promozionale, caricato di un valore narcisistico mirante non solo alla
culturalizzazione ma anche ad una pi facile mercificazione di s e degli oggetti stessi che laccompagnano. Lerotismo e la sensualit che la corporeit femminile emana, svuotano cos di significato sia il corpo sia tutto ci che ad esso collegato, per estetizzarlo e renderlo funzionale al fine di sedurre. Nella ricerca promossa dal CNEL citata in precedenza, si potuta evidenziare appunto tale tendenza. Lo spazio di libert espressiva del corpo, rappresentato nelle trasmissioni televisive analizzate dal gruppo di ricerca, sembra soccombere ad un criterio di femminilit prestabilito. I modelli enfatizzati di corporeit femminile sono limitati ad un ventaglio di possibilit ristretto, rimandando spesso ad una concezione del tutto tradizionale dei rapporti tra i sessi. Il corpo viene rappresentato secondo modalit specifiche che sembrano rapportarlo alle diverse soluzioni strategiche di cui i media si avvalgono per ottenere degli effetti, tenendo sempre conto
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che, essendo immagini di corpi di donna, sono appunto rappresentative prevalentemente di richiami erotici e seduttivi. Il corpo esibito come oggetto decorativo quello privo didentit, oggettivato, e pronto a mettersi in moto su comando. E la figura femminile bella, con il sorriso stampato sul volto, o limmagine corporea statica, priva di movimento, che viene solitamente utilizzata in posa negli annunci pubblicitari. E limmagine di una femminilit inoffensiva e passiva. Il corpo sponsor invece, di cui le veline sono il palese esempio, quello utilizzato come oggetto-merce ai fini delle dinamiche della promozione commerciale. Un altro tipo di corpo poi quello misurabile, quello tipico delle donne che rinunciano alla loro unicit e differenza corporea per uniformarsi ad uno standard di misure e canoni specifici: il corpo dei parametri 90/60/90 delle aspiranti miss o fotomodelle che sottopongono il proprio fisico a delle vere e proprie pratiche sacrificali per poterlo far rientrare in tali misure, rinunciando cos alla propria espressivit e soggettivit. Molto simile ad esso, ed anche il pi gettonato nella pubblicit a mezzo stampa dei giorni nostri, quello trasformato; come esprime gi il termine stesso, si tratta di un corpo che, come il precedente, rinuncia alla differenza per potersi confondere con quelli che sono gli altri corpi artificiali, adeguandosi ai canoni estetici dominanti. Quello che risulta spontaneo chiedersi come le donne, dopo tutte le battaglie di emancipazione e di autoaffermazione di cui diffusamente parlato prima, si siano, chi pi e chi meno, lasciate schiavizzare e svuotare da questi modelli e stereotipi proposti dagli uomini ma da esse stesse, pi o meno consapevolmente, accettati e condivisi, facendo s che, accostata ad una libert formale e razionale, si sia creata una sorta di schiavit ufficiosa ed irrazionale legata alla loro immagine.
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