Sei sulla pagina 1di 24

Educazione in carcere

Storia della scuola e istituzioni educative


Università degli Studi di Catania (UNICT)
23 pag.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
L’EDUCAZIONE IN CARCERE:
PREFAZIONE:
La riforma penitenziaria l.354\1975, avrebbe dovuto trasformare il carcere da un luogo di mera custodia, in
istituzione x promuovere e riabilitare la persona, introducendo nuove figure professionali volte al recupero sociale
dei detenuti.

Quindi al centro della riforma penitenziaria del 1975, c’è l’intervento educativo, il cui fine è il reinserimento sociale.
Mentre l’obiettivo del vecchio carcere era la custodia e l’isolamento dal resto del contesto sociale; il nuovo carcere,
come istituzione sociale di recupero, racchiudeva una contraddizione: da un lato si presentava come un luogo di
privazione della libertà, di separazione dalla società, e dall’altro lato come un luogo di risocializzazione, per
ricongiungere il detenuto all’ambiente da cui era stato espulso. Tale contraddizione era esaltata dalla legge stessa, la
quale, dopo aver enunciato un esecuzione dalla pena nuova, non aveva toccato quasi nulla dalla vecchia istituzione:
il personale del carcere era rimasto tutto alle sue funzioni e alla nuova attività non corrispondeva personale dotato di
competenza professionale.

Inoltre, tra le figure c’era quella di educatore creata per escludere il personale di custodia dalla funzione di
rieducazione. Le figure di operatori (oltre agli educatori, assistenti sociali, professionisti dell’osservazione e del
trattamento)dovevano essere potenziato, sia dal punto di vista quantitativo che della professionalità.

Al personale direttivo la legge attribuiva funzioni di coordinamento e responsabilità, non meramente amministrative,
con finalità di osservazione dei detenuti al fine della risocializzazione. Le competenze cambiano completamente e
con esse le esigenze di preparazione e formazione.

Tuttavia, nonostante la riforma, durante gli anni successivi, ci fu una crescita della criminalità  sequestri di
persona, terrorismo, evasioni dal carcere.. quindi si diffonde un clima di riflusso rispetto all’ondata libertaria degli
anni 70.

Dal punto di vista metodologico, l’approccio alla devianza può essere diviso in 3 fasi:

 FASE DEL GRANDE INTERNAMENTO: il diverso era considerato colui che deviava dalle norme sociali, quindi
era da punire o da emarginare  carattere custodialistico – punitivo.
 FASE CURATIVA: il deviante era bisognoso di cure appropriate in condizioni di isolamento.
 3 FASE: le manifestazioni di devianza sono espressione di conflitti interni, individuali; si tende a prospettare
l’osservazione e il recupero del deviante sulla base di azioni mirate all’inserimento e all’integrazione
collocate, dove è possibile, in contesti esterni all’istituzione, per fornire al soggetto maggiori possibilità di
comunicazione interpersonale e sociale.

INTRODUZIONE:
Nel corso degli anni 60-70,la dimensione storica dell’educazione è stata investita da una rivoluzione metodologica,
ovvero da una progressiva apertura delle ricerche verso l’educazione informale, accompagnata da una nuova
prospettiva di lettura storiografica che ha dato origine alla storia sociale dell’educazione. Nasce una nuova storia
della pedagogia, arricchita dai contributi delle nascenti micro-aree disciplinari (storia dell’infanzia, della famiglia,
della scuola, ecc). Un’idea di educazione complessa, articolata su molti e differenti luoghi sociali: agenzie educative
(famiglia, gruppo di pari, associazioni extra-scolastiche) e altri luoghi della formazione, come la bottega artigiana,
l’accademia militare Solo attraverso l’educazione l’individuo può adeguare la cultura e le regole di convivenza ai suoi
bisogni e valori, e può contribuire al loro miglioramento.

E’ proprio sulla condivisione delle regole, sulla prevenzione della devianza, sulla risposta rieducativa per il
reinserimento sociale del deviante che si collocano i nostri interessi di ricerca.

Temi presenti nella letteratura pedagogica, ma non adeguatamente approfonditi dalla ricerca storico-educativa.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Originariamente il carcere era utilizzato per allontanare i soggetti pericolosi dalla società: nel corso dei secoli, la
detenzione diventa una forma di pena corporale, strumento di tortura, alternativo alla pena di morte. Nei momenti
di crisi poi, accadeva spesso che la pena venisse combinata con il lavoro forzato; il che- secondo il principio
retributivo- costituiva un modo per risarcire la società.

A partire dal 700, con l’illuminismo e la Rivoluzione dell’89, il diritto penale subisce delle trasformazioni:

 il superamento di una visione religiosa del diritto con la distinzione tra peccato e delitto, castigo ed
espiazione;
 l’affermazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza della pena e l’opposizione alla pena di morte;
 la funzione trasformativa della pena che doveva rispondere al criterio di educabilità e di recupero del reo.

Nell’800 il carcere era considerato come combinazione di punizione- retribuzionerieducazione/recupero sociale; con
pena regolabile; come luogo sicuro per allontanare il reo dalla società. L’affermazione del sistema penitenziario
segna l’avvio del dibattito tra le 2 grandi scuole di pensiero criminologiche: quella classica e quella positiva, che si
scontrano sul ruolo da assegnare alla pena e sulla funzione del carcere.

Nel 900, si instaura il principio del recupero sociale del detenuto attraverso il trattamento rieducativo.

1.LA PENA NELLE SOCIETA’ PRIMITIVE, ANTICHE E MEDIEVALI


La funzione punitiva nasce con il sorgere della civiltà come forma di controllo per il mantenimento dell’ordine, della
sicurezza e della coesione del gruppo sociale.

Il diritto antico considerava il delitto una responsabilità collettiva ed estendeva la punizione a tutti i membri della
famiglia del colpevole.

Le pene nel mondo antico erano:

 il bando  sorta di pena di morte, perchè esiliato dal gruppo, il colpevole poteva morire vittima della natura
o di chiunque altro. Quando l’ambiente divenne meno impervio però, questa pena perse di utilità.
 la vendetta di sangue
 la pena capitale  Forma maggiormente utilizzata, ed aveva lo scopo di risolvere immediatamente il motivo
di contrasto tra i membri del gruppo.

Con il passare del tempo la pena assunse carattere religioso: i reati erano considerati trasgressioni agli ordini degli
dei e le trasgressioni del singolo potevano scatenare la vendetta e l’ira divina sulla comunità intera. La
spettacolarizzazione del dolore diventa utile a lavare la colpa con il sangue e riconciliarsi con gli dei. La vendetta di
sangue ebbe così lo scopo di rendere inoffensivo il delinquente e evitare la vendetta divina.

Nel corso degli anni, la pena di morte o il bando, furono largamente usati con l’obiettivo di sopprimere direttamente
la causa del male. Quindi le leggi, costituirono nel complesso, delle sanzioni strettamente religiose.

Le forme primitive della prova di colpevolezza o di innocenza consistettero nelle ordalie, i giudizi di Dio, che
avrebbero potuto evincere l’esito della prova. Gli indagati potevano essere assolti giurando di fronte agli dei la
propria innocenza, perché comunque la pena degli dei altrimenti sarebbe stata più atroce nel caso della menzogna.

Con l’elaborazione del DIRITTO ROMANO furono introdotte l’emenda, ovvero, il castigo per il ravvedimento del reo;
e la retribuzione: ovvero il risarcimento.

Numerose infrazioni persero il carattere religioso per configurarsi come risarcimento, anche pecuniario, alla
comunità o all’offeso. Ne derivò una diminuzione dell’utilizzo della pena capitale e la concezione dell’esilio come
esercizio di diritto da parte dell’imputato.

-LA SOCIETA’ FEUDALE:

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
La società medievale era caratterizzata da rapporti gerarchici, basati sulla subordinazione del lavoratore della terra al
(suddito) signore, e ciò ebbe importanti riflessi sulla concezione della pena.

Il signore del feudo amministrava il potere giudiziario all’interno del proprio regno. All’interno del proprio feudo,
ogni signore stabiliva la propria legge, e faceva in modo che la popolazione contribuisse al mantenimento della pace
sociale.

In tale contesto amministrativo, la giustizia e il diritto penale assunsero un carattere privato.

Nell’Alto Medioevo (dalla caduta dell’impero romano nel 476 all’anno 1000) le pene furono di tipo pecuniario; nel
Basso Medioevo (dall’anno 1000 al 1492) si affermano crudeli punizioni corporali.

Dal punto di vista procedurale, nel primo periodo medievale prevalse il sistema accusatorio, fondato su specifici
mezzi di prova: posta l’accusa il delitto poteva dirsi provato: o per diretta confessione o in caso di pubblica notorietà
del fatto, per cui il giudice pronunciava la sentenza. Negli altri casi si ricorreva al giudizio di Dio, alle ordalie,
soprattutto all’inizio (come l’ordalia del pane e formaggio che obbligava il reo a mangiarli tra preghiere e scongiuri;
l’immersione del reo in acqua fredda: se galleggiava era colpevole); poi, con la progressiva civilizzazione si diffuse la
pratica dei duelli, del giuramento o delle testimonianze, determinando la scomparsa delle precedenti considerate
troppo rozze e infantili, e spettava all’autorità pubblica scegliere il mezzo della prova.

Il duello si può considerare come un ordalia , esso ricalcherebbe la concezione dei barbari di una prova di coraggio, di
forza, di vigore del cittadino virtuosa. Il vinto, persa la causa, veniva disarmato e considerato infame.

Nel primo periodo era diffusa la pratica della confessione dell’imputato, sostenuta da testimoni, per dimostrarne
l’innocenza. I testimoni in questo caso si caricavano di responsabilità personale riguardo a ciò che gli veniva
dichiarato. Il giuramento così assunse una grande efficacia probatoria.

Poteva capitare che durante il processo il querelante rinunciasse all’accusa d’origine, permettendo all’imputato di
scontare una pena minore. Ciò gli avrebbe permesso di conservare l’onore perso a causa del reato  la pena assume
un carattere sociale.

Un’altra forma di pena era il bando, inflitto solitamente nelle campagne. Il ricorso alla pena corporale fu piuttosto
raro, e in alcuni casi, commutabile con un risarcimento pecuniario. Altrettanto usate sono la gogna o berlina,
solitamente per azioni criminali di natura pubblica. Questa punizione consisteva nell’esposizione del colpevole agli
insulti ed al lancia di oggetti da parte di membri della comunità, mentre la popolazione informava delle infamie da lui
commesse.

Progressivamente il procedimento accusatorio venne affiancato e poi sostituito dal procedimento inquisitorio,
introdotto nel XII dalla Chiesa da Bonifacio 8°: mentre nel procedimento accusatorio (tipico dei sistemi monarchici)
un privato accusava un altro cittadino e la causa si svolgeva tra le 2 parti e mirava alla confessione del reo estorta
spesso con atroci torture; con il procedimento inquisitorio l’inquirente procedeva d’ufficio contro l’accusatore: non
c’era uno scontro tra le parti ma un metodo di indagine segreto, perché l’accusa era spesso frutto di una denuncia
anonima, di un sospetto.

Nel BASSO MEDIOEVO, con l’affermarsi della prima scienza penalistica, la pena fu considerata un rimedio per porre il
reo nelle condizioni di guarire (in senso eticoreligioso,). Per tale ragione emerse l’esigenza di codificare le pene,
distinguendo tra le pene ordinarie (riguardanti l’infrazione di una legge già determinata) e quelle straordinarie
(riguardanti reati non ancora codificati), decise queste ultime arbitrariamente dal giudice.

La prigione nel Basso Medioevo, ebbe la funzione di custodire il sospettato in attesa del processo, e venne
considerata come una vera e propria punizione corporale, un alternativa alle pene più cruenti.

Non accadde la stessa cosa per il diritto canonico. La Chiesa utilizzava la pena detentiva per punire i chierici che non
assolvevano i loro doveri; e l’internamento- considerato penitenza- per la purificazione delle anime. Sta qui la
differenza principale: l’obiettivo della giustizia penale ordinaria era eliminare i soggetti + pericolosi; i procedimenti
canonici invece avevano l’obiettivo di salvare le anime dei peccatori.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Ricordiamo che La violenza di alcuni abati spinse Carlo Magno ad emanare nel 794 il divieto di eseguire questo tipo
di supplizio. La centralizzazione della gestione del potere giudiziario nelle mani degli Stati e il carattere inquisitorio
dei processi, trasformarono la giustizia in uno strumento di potere e dal 16° secolo, la pena capitale e le mutilazioni
divennero un mezzo per eliminare gli elementi pericolosi della comunità.

LA PENA IN ETA’ MODERNA


Nel XV secolo, si avviò il declino del modello economico e politico del sistema feudale, e la politica economica del
mercantilismo.

L’incremento demografico avvenuto dopo la “Peste Nera”, la grande pandemia che uccise circa un quarto della
popolazione, insieme al fenomeno delle recensioni, che determinavano un peggioramento delle condizioni di vita
delle classi più indigenti. Migliaia di cittadini, espropriati dalle loro terre perché non più al servizio dei feudatari,
diedero origine a una grande massa di mendicanti e vagabondi. Questa moltitudine di disoccupati e nomadi si riversò
nelle città, riunendosi spesso in bande che provocavano disordini sociali. Le strade cittadine divennero pericolose già
dopo l’ora del tramonto e quindi l’accesso fu ridotto.

Il diritto penale fu molto severo, specialmente contro le classi più povere, e si concentrò non sul tipo di reato
commesso, ma sull’autore del reato.

Dal 15° al 16° secolo in Europa fu avviata una severa regolamentazione contro il vagabondaggio considerato una
forma di delinquenza volontaria.

Fu eliminato l’esilio perchè permetteva di commettere reati e poi rifugiarsi in un’altra comunità: chiunque si fosse
sottratto al giudizio dell’autorità legale fu definito d’ora in poi, bandito o brigante. La pena capitale e le mutilazioni
divennero lo strumento per eliminare elementi pericolosi per la tranquillità dei cittadini e non per punire chi
commetteva crimini gravi.

Nel corso del 16° secolo il problema del rapporto tra lavoro e povertà, assunse una rilevante importanza, al punto di
generare la distinzione tra poveri non meritevoli e poveri meritevoli: mentre quest’ultimi erano impossibilitati al
lavoro, e quindi costretti ad elemosinare, i primi non erano ben visti, in quanto il lavoro costituiva,secondo la
dottrina tomistica medievale, un dovere da assolvere, qualcosa di necessario alla sopravvivenza.

Assieme al vagabondaggio, anche la mendicità diventa un reato molto grave. Il principio di assistenza ai mendicanti
venne a decadere quando furono istituite le case di correzione.

L’importante crescita demografica della seconda metà del 16° secolo a causa della scarsità di uomini, dunque i
condannati, gli ex-condannati o i fannulloni vennero impiegati nell’esercito. La mancanza di manodopera ebbe dei
riflessi persino su alcune forme di pena, come il bando che fu applicato con minore frequenza, fino al suo graduale
abbandono. Vennero anche abbandonate le punizioni corporali e la pena capitale a favore dello sfruttamento dei
lavori forzati.

Tra il 15° e il 18° secolo le trasformazioni economiche e le guerre per mare, determinarono una nuova punizione: i
prigionieri erano costretti al lavoro forzato sulle galere; venivano così riunite in una sola punizione la funzione
retributiva, rieducativa e preventiva, attraverso la perdita delle libertà.

A partire dal 1600 la giustizia penale non era più di tipo locale: i piccoli criminali vennero condotti presso le case di
correzione, le case lavoro e le prigioni. Queste istituzioni costituiscono in Europa un primo passo verso i moderni
sistemi di giustizia penale.

LA NASCITA DELL’AUTORITA’ STATALE:

Nel 17° secolo con la nascita dell’autorità statale, l’azione criminale non è più una questione privata ma diventa una
aggressione contro la società in generale. La pena assume un carattere pubblico, funzionale a mantenere il controllo
sociale, ma anche classista: le pene pecuniarie erano destinate ai ricchi e quelle corporali ai poveri.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Le differenze di casta si riflettevano sull’intero processo penale (dal giudizio all’applicazione della pena).

Man mano che emerse l’assolutismo venne giustificato l’uso della tortura, dello spionaggio, degli interrogatori
segreti per controllare le masse povere--> aumentano i “crimina lesae maiestatis” puniti con la pena capitale.
L’autorità statale, legittimata dal potere divino, si rappresentava nel macabro rito dell’esecuzione della pena.

L’esecuzione generalmente venne scandita da tre momenti distinti:

 il corteo dal luogo della detenzione a quello dell’esecuzione


 l’esecuzione vera
 l’esposizione del corpo

La procedura di morte, una volta pianificata, veniva applicata alla lettera.

Le istituzioni civili erano rappresentate dal boia e una figura religiosa confortava il condannato.

Un corteo accompagnava il reo dal luogo di detenzione a quello di esecuzione; poi c’era l’esecuzione e infine
l’esposizione del corpo, con funzione deterrente e serviva a ristabilire il principio di forza da parte del potere.

Il comportamento del condannato poteva essere di accettazione o di rifiuto rispetto alla condanna. L’atteggiamento
di rifiuto poteva essere anche condiviso dal pubblico, così poteva accadere che il corteo non si svolgesse in modo
ordinato, o che il popolo elogiasse il condannato.

La punizione corporale rappresentò fino a metà 700 sia un modo per estorcere la confessione, mentre l’esecuzione
pubblica servì a ristabilire il principio di forza da parte del potere nei confronti dei sudditi.

Le leggi non contemplavano qualsiasi tipo di reato. La maggior parte dei delitti venivano puniti con gravi mutilazioni e
con la morte, inflitta in vari modi: condanne al rogo per eresia, impiccagioni, squartamenti e la ruota. Il principio
stabilito dai giuristi romani, per cui nel caso di incertezza di colpevolezza si preferiva non giustiziare, ora si sostituisce
alla necessità di mantenere l’ordine per cui era preferibile condannare anche qualche innocente spingendolo alla
confessione con la tortura.

A partire dal 18° secolo la natura degli atti criminali mutò per l’aggravarsi della povertà, determinata dall’incremento
demografico e dall’aumento della tassazione per sovvenzionare le guerre. All’incremento del pauperismo in un
primo momento si cercò di rispondere con interventi di assistenza pubblica, poi con interventi repressivi-
sanzionatori.

In particolare in Inghilterra, nel 1770 furono istituite le “derrent workhouses”, le case del lavoro terroristiche, che
sostituirono ogni forma di assistenza pubblica ed obbligarono gli internati ad attività di lavoro forzato non
produttivo, ovvero attività di lavoro inutile.

E tuttavia, uno degli aspetti più importanti del sistema giudiziario, che caratterizzò il periodo tra la fine del XVIII
secolo e l’inizio del XIX, fu il passaggio dalla pena come spettacolo, all’atto procedurale e amministrativo.

CAPITOLO 3: LE RIFORME E IL CARCERE MODERNO


L’avvio del fenomeno dell’industrializzazione portò a compimento il processo di laicizzazione dello Stato, e si avviò
una sempre maggiore emancipazione dei popoli e degli Stati dai poteri sovranazionali, dalle condizioni di vita e di
produzione legate all’ambito locale.

Il metodo scientifico sostituì ogni spiegazione magica e religiosa degli eventi, sostenuto dalla nascita e dalla
diffusione del libro e dell’alfabetizzazione. Si determina una nuova immagine dello Stato e dell’economia, realizzando
per la prima volta una società moderna in senso proprio: ossia borghese, dinamica, strutturata intorno a molti centri,
ispirata ai valori della libertà.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Abbiamo diversi riferimenti a ciò, per esempio Hobbes nel “Leviatano” espose la propria teoria della natura umana,
della società e dello Stato, e teorizzò la necessità di un ordine statale per contenere e regolare i comportamenti
individuali, orientati verso fini personali e utilitari dell’uomo. Inoltre, la sopravvivenza dell’uomo è legata alla
necessità di costituire delle società, determinando un contratto sociale, che Hobbes denominò come Patto di
Unione, composto dal Patto di società (sanciva la nascita della civiltà) e dal patto di Soggezione (ogni individuo
doveva rinunciare al proprio diritto originale su tutto e su tutti, per cederlo al Sovrano). Locke abbracciò la teoria di
Hobbes nei “due trattati sul governo”, pubblicati nel 1690, ed affermò che il miglior modo per soddisfare i bisogni
umani, fosse quello di assicurare l’ordine sociale.

Le idee di questi autori coincidono con quelle di Cesare Beccaria, sostenitore di una riforma in senso umanistico del
sistema legale e della giustizia penale. Nell’opera “dei delitti e delle pene”, egli era orientato verso un ideale di uomo
portatore di dignità e di ragione, e delineò i caratteri di quello che sarebbe stato il carcere moderno, schierandosi
contro le pene di sangue e teorizzando per primo la funzione riabilitativa e recuperatrice della struttura carceraria. In
questa visione, le leggi rappresentavano un mezzo per regolamentare le attività necessarie alla sopravvivenza della
società, e quindi non un semplice elenco di divieti; e la procedura penale si fondava sul principio dell’innocenza
dell’imputato fino a prova contraria.

La moderna impostazione prevedeva che nella formulazione del grado di colpevolezza non si considerassero
elementi di ordine morale o personale, ma ci si affidasse a precisi criteri, valutabili oggettivamente. E i sostenitori
della riforma penale criticarono particolarmente l’abuso della tortura; nel senso che non doveva essere usata per
scopi personali del sovrano, come vendetta per una qualche offesa.

Fu così che nel secolo dei Lumi- 18° sec- il diritto penale subì delle modifiche:

 l’abbandono della dimensione religiosa nella valutazione del crimine (già Hobbes aveva teorizzato la
separazione del diritto dalla morale)
 la graduale umanizzazione del sistema sanzionatorio, con l’affermazione dei principi di proporzionalità ed
adeguatezza della pena e il contrasto alla pena di morte
 lo scopo della pena, non + ancorata al principio retributivo ma a quello della prevenzione e dell’emenda,l’
interesse verso i giovani, per i quali la punizione doveva essere accompagnata da un senso di vergogna e
colpa.

Venne condotta una battaglia contro gli abusi della giustizia: le leggi dovevano essere poche e chiare; i reati
codificati; e i poteri discrezionali dei giudici ridotti al minimo.

Nel sistema giudiziario si introducevano 3 importanti concetti:

 la determinazione del reato


 la corrispondenza con una specifica infrazione della legge
 la necessità dell’azione giudiziaria per la verifica dell’accusa.

L’ideologia giudiziaria affermatasi nel Settecento, sulla scorta dell’opera rivoluzionaria di Montesquieu nello “Spirito
delle leggi” si articolò seguendo i principi basilari: se l’infrazione delle leggi fosse avvenuta per procurarsi dei
vantaggi, l’idea di ottenere uno svantaggio superiore a quanto guadagnato avrebbe costituito un valido deterrente al
crimine. L’efficacia della pena doveva risiedere dunque nello svantaggio atteso a seguito dell’infrazione commessa 
dunque occorreva associare l’idea di ogni castigo per ogni particolare infrazione.

Nella nuova procedura penale, il giudice non aveva funzione arbitraria ma doveva valutare gli elementi oggettivi del
reato attraverso la consultazione di un apposito codice, avrebbe dovuto valutare e misurare gli elementi oggettivi del
reato e quindi infliggere la pena più opportuna.

Oltre al principio di retribuzione e alla durata della pena, fu la funzione trasformativa della pena ad essere al centro
delle teorie penali del settecento: essa doveva rispondere al criterio di educabilità e recupero del reo. Qualora fosse
stata decretata l’incorreggibilità del colpevole, occorreva provvedere alla sua eliminazione.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
LA NASCITA DEL CARCERE MODERNO

Con la fine del 700, l’Europa si avviò verso la riforma carceraria, anche a sostegno dei poveri.

Tra i sostenitori della riforma carceraria vi furono quaccheri ed evangelici. Questa nuova concezione della criminalità
vedeva il soggetto delinquente privo di un educazione religiosa ed abituato, sin dalla nascita, a una vita criminale. Ad
uno stato di deprivazione venne associata una condizione di degrado, per cui si era costretti ad intraprendere la
strada della criminalità. Quindi la criminalità fu affrontata in termini politici.

La detenzione fu resa quanto più solitaria possibile, scomoda e odiosa. Fu vietato ogni tipo di lettura, considerata
una forma di distrazione, rispetto al tempo che il detenuto avrebbe dovuto dedicare alla riflessione sulle proprie
colpe.

Inoltre, un importante tentativo di ristrutturazione del sistema carcerario inglese si ebbe dal 1779: quando venne
predisposta una rete di case per il lavoro forzato, attraverso il recupero e la conversione di edifici già esistenti. Le
attività dei detenuti vennero regolate minuziosamente, ovvero vennero programmate le ore del risveglio, delle
attività del lavoro in appositi spazi comuni, con la lettura giornaliera di un capitolo della Bibbia. I carcerati furono
dotati di un uniforme, poterono godere anche di una modesta dieta, e l’uso delle catene fu quasi del tutto abolito.

La configurazione del carcere giunse ad una svolta decisiva con l’avvio della progettazione di nuove strutture. Una
delle proposte più importanti fu il “Panopticon”, un progetto di prigione moderna che doveva combinare la funzione
punitiva con quella produttiva. Esso si basava sull’isolamento assoluto dei detenuti .

Particolarmente critica fu la situazione delle carceri a seguito della depressione economica europea del 1815,
soprattutto a seguito della disoccupazione che assunse dimensioni preoccupanti. Questi fattori incisero sull’aumento
della criminalità e sul numero degli individui processati e condannati, con un riflesso negativo sulle condizioni delle
carceri, soprattutto nel periodo che va dal 1810 al 1819.

La situazione delle carceri si aggravò progressivamente, al punto che il sovraffollamento determinò l’abbandono
totale dei carcerati. Nel 1835 venne istituito un ispettorato, che ebbe il compito di evitare la disparità di trattamento
nelle prigioni dei diversi paesi. L’ispettorato creò le condizioni affinchè si avviasse la professionalizzazione delle figure
incaricate del trattamento dei detenuti.

La direzione e la gestione del carcere seguì il modello di amministrazione militare. Negli anni 40 vennero rafforzate e
rese più severe le misure disciplinari in carcere, dirette soprattutto alla repressione della criminalità x reati minori, o
per quelli legati al mondo del lavoro. Fu introdotta la dieta del “pane e acqua” e la ruota a pedali.

Inoltre, ben presto, magistrati e politici si resero cono del rapporto di dipendenza che intercorreva tra il fenomeno
dell’industrializzazione e la delinquenza.

Nel 1842 venne inaugurato il carcere di Pentoville, nella zona di Londra, dove i prigionieri lavoravano di giorno, in
modo tale da permettere ai guardiani di ritirare i lavori finiti, consegnarne di nuovi o istruire i detenuti. Accanto alle
guardie, vi erano i sorveglianti, in genere detenuti, che agivano da spie. La posizione del carcere era posizionata in
modo tale da garantire l’isolamento assoluto. Al loro ingresso i detenuti venivano privati di ogni effetto personale,
venivano rasati e ricevevano un numero di matricola. Scontato il periodo di carcerazione, venivano poi imbarcati e
deportati verso le colonie inglesi.

A partire dal 1848, la detenzione fu applicata anche per i crimini maggiori. L’abbandono definitivo delle deportazioni
e l’utilizzo definitivo della pena detentiva per i crimini più gravi avvenne intorno agli anni 50, quando le carceri
dovettero riorganizzarsi per ospitare per lunghi periodi i detenuti.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Nel corso, quindi, dell’800 il carcere divenne la pena per eccellenza: in quanto costituiva la perfetta combinazione di
punizione e lavoro; assolveva la funzione retributiva e punitiva; garantiva un’adeguata protezione della società. Le
esecuzioni pubbliche vennero abbandonate per essere eseguite all’interno della mura carcerarie. Ad eccezione della
Francia che mantenne l’uso dell’esecuzione pubblica fino alla vigilia della 2° guerra mondiale.

La riforma carceraria, con la nascita del carcere moderno, determinò un cambiamento nella concezione della pena:
aveva come obiettivo la rieducazione e il reinserimento sociale del delinquente.

Intorno alla seconda metà del 19° secolo si scontrarono 2 scuole criminologiche: quella classica, basata sulle teorie
illuministe, di un uomo dotato di libero arbitrio capace di scegliere tra il bene e il male, si rifaceva al principio di
retribuzione della pena; e quella positiva, il comportamento umano è il risultato di fattori sociali, psicologici e
biologici che riducono la forza del libero arbitrio, assegnano alla pena un ruolo di prevenzione, da infliggere per la
pericolosità del criminale e non per la gravità del reato commesso.

Nel 900 la concezione della pena sarà influenzata dalla filosofia positivista. Seguendo la legge dei 3 stadi di Auguste
Comte: lo stadio teologico, lo stadio metafisico e lo stadio positivo. Con la nascita della sociologia, i contributi della
medicina, della psicologia, della criminologia  il discorso sulla pena si arricchiva e l’interesse degli studiosi si
concentrava sull’approfondimento del fenomeno della devianza e sulla possibilità di recuperare il deviante
attraverso la funzione rieducativa della pena.

PARTE II: DEVIANZA, CONTROLLO SOCIALE E PROCESSI FORMATIVI. LE


TEORIZZAZIONI SULLA DEVIANZA IN EUROPA E IN AMERICA.

La scuola classica e la scuola positivista.


Secondo il paradigma consensualista gli individui definiscono ciò che è giusto/male, e la legge è il risultato di tale
accordo. Entro questo discorso si inserisce la teoria della “scuola classica del diritto penale” che ha dominato fino alla
fine dell’800, per cui il crimine è un atto irrazionale e la sua repressione è invece un atto razionale mirata a realizzare
fini morali. La legge penale è violata da un numero ristretto di persone che sono incapaci di seguire la propria
razionalità e di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

La scuola classica nacque come reazione alla concezione della giustizia punitiva, amministrata arbitrariamente e con
ogni mezzo, dalla tortura alle pene più feroci. Al giurista aspettava il compito di costruire un sistema scientifico del
diritto penale. Inoltre, si sosteneva, che dato che l’uomo era dotato di libero arbitrio, il delinquente doveva essere
punito in maniera proporzionale alla gravità del reato commesso.

Il maggior esponente della scuola classica fu Francesco Carrara che (nel suo Programma del corso di diritto criminale
del 1870) facendo riferimento al libero arbitrio considerò la punizione un contenuto necessario del diritto, per cui
l’uomo per sua natura è moralmente libero e responsabile delle sue azioni. Nella concezione di Carrara, il fine
primario della pena doveva essere la tutela giuridica dell’ordine violato, e il ristabilimento dell’ordine esterno nella
società.

La pena doveva essere esemplare ed essere sentita moralmente dagli altri cittadini. La mancata considerazione dei
condizionamenti sociali e dei fattori extravolontari nell’agire umano, il principio secondo cui la pena era l’unica
soluzione alla difesa sociale, escludevano ogni possibilità di prevenire il reato e recuperare il reo, ciò rappresentava il
limite della scuola classica.

Una seconda linea di pensiero emerse nell’800 sotto l’influenza del positivismo. La scuola positivista demolì il
presupposto principale del diritto penale classico e postulò il principio di causalità, secondo il quale il delitto era il
prodotto di un triplice ordine di cause: antropologiche, fisiche e sociali. La pena dunque era strumento di difesa
sociale nei confronti dei delinquenti pericolosi, ma doveva avere come fine il recupero sociale del reo; pertanto,
doveva tenere conto della natura del reato, delle condizioni e delle caratteristiche del delinquente.

Esponenti principali furono Enrico Ferri (nella sua opera Principi di diritto criminale del ’28, studiò le caratteristiche
personali, fisiologiche e psicologiche del delinquente) e Cesare Lombroso (che classificò i delinquenti secondo criteri

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
biologici; ricercò tra le cause del delitto le anomalie fisiche e psichiche). La popolarità delle teorie biologiche scese a
partire dagli anni 20, ad eccezione degli studi di William Sheldon (1940) che attribuì alla struttura del corpo
determinati modelli di comportamento potenzialmente devianti.

L’elaborazione del concetto di devianza avvenne intorno agli anni ’30 negli USA per la necessità di definire in modo
unitario tutti quei fenomeni intesi come “problemi sociali”.

LE INTERPRETAZIONI DEL COMPORTAMENTO DEVIANTE IN CHIAVE PSICOLOGICA, SOCIOLOGICA E


CRIMINOLOGICA:

I primi studiosi che cercarono di dare spiegazioni di tipo psicologico della devianza individuarono connessioni tra la
presenza di difetti mentali e il comportamento criminale.

Freud elaborò il concetto di criminale con senso di colpa, cioè un individuo che per allentare il senso di colpa vuole
essere colto sul fatto e punito. Altre ricerche psicologiche riguardarono la devianza sessuale, con studi sul feticismo,
sull’esibizionismo, in genere correlati ad un complesso di castrazione mai risolto.

Ben presto però fu chiaro che l’approccio psicologico era inefficiente per spiegare la devianza, perché personalità e
motivazione hanno un ruolo importante nella verifica di una risposta deviante, ma si combinano con altre variabili di
natura sociale.

Furono le teorizzazioni SOCIOLOGICHE ad avere particolare successo nella classificazione del comportamento
deviante, in quanto si concentrarono su fattori sociali e culturali. Esse hanno influenzato la riforma del sistema
penitenziario almeno fino agli anni ’70. In particolare facciamo riferimento agli studi di Emilie Durkheim (1858-1917)
con la sua teoria dell’anomia intendendo per anomia la “mancanza di regolazione”: i comportamenti devianti sono
riconducibili ai disturbi di ordine collettivo generati dai cambiamenti della società nei momenti di depressione o
prosperità economica :quando le esperienze esistenziali degli individui non corrispondono agli ideali rappresentati
dalle norme può sorgere una sensazione di confusione e di disorientamento sociale, causa dell’anomia.

La Scuola di Chicago e Shaw e McKay consideravano alla base della devianza un fenomeno di disgregazione sociale,
ovvero una condizione della società in cui norme, valori e rapporti sociali sono deboli o assenti. Se questa situazione
di disgregazione diventa stabile, potrebbe esserci la tendenza a trasmettere alle generazioni future la propria sub-
cultura (teoria della trasmissione culturale).

Per quanto riguarda le teorie culturali, Sellin evidenziò che la devianza ha origine da conflitti tra norme culturali
differenti: è il caso di un gruppo sociale che non ha interesse a conformarsi alle norme della maggioranza. Miller,
sulla stessa scia, dimostra l’esistenza di una subcultura autonoma delle classi subalterne (ad esempio le bande dei
delinquenti) che persegue valori diversi.

Il concetto di devianza fu definito meglio dal Dibattito sociologico anni ’50: secondo la corrente struttural-
funzionalista, i cui maggiori rappresentanti sono Parsons e Merton, leggi, regole del costume, tradizioni vengono
interiorizzate diventando parte integrante della personalità degli individui; l’individuo risulterebbe così orientato a
comportarsi in conformità alle norme della cultura dominante.

La società è vista come un organico sistema di regole e modelli di comportamento, dove ogni diversità assume la
connotazione di comportamento deviante. Ogni società propone dunque il proprio modello culturale, con mete
sociali ambite e mezzi legittimi per raggiungerle; quando un obiettivo condiviso dalla società non è raggiungibile con i
mezzi socialmente appropriati, l’individuo frustrato adotta comportamenti devianti

La teoria dell’anomia di Merton, modificò il concetto della teoria di Durkheim. Per egli la stratificazione sociale, cioè
la presenza di forti contraddizioni sociali/culturali, sarebbe la principale causa della devianza.

Inoltre, all’interno del FUNZIONALISMO, troviamo Cloward e Ohlin,ritennero che la disorganizzazione sociale e la
frustrazione non sono condizioni sufficienti per l’insorgere della devianza. Ma attribuirono un ruolo fondamentale
alla presenza di una struttura criminale stabile nell’area urbana e alle maggiori occasioni di prendere parte ad azioni
devianti, specialmente se ricompensate.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Un contributo importante per lo studio della devianza giovanile si deve a S. Cohen che sostenne come le tensioni
prodotte dalla disgregazione sociale provocano un disagio psicologico comune a molti ragazzi dei ceti subalterni,
portandoli ad elaborare propri valori e status sociali accessibili a tutti. Cohen sostenne inoltre che le frequenti
interazioni con una subcultura deviante vera e propria possono determinare il passaggio alla classe delinquenziale.

Becker, rifiutò gran parte delle spiegazioni psicologiche e sociologiche, e con la teoria dell’ETICHETTAMENTO
considerò la devianza come effetto/reazione provocato dalla capacità di certi gruppi sociali di imporre le proprie
regole agli altri.

E infine ricordiamo le TEORIE DEL CONFLITTO: sostenute dai Criminologi radicali (Turk, Tailor, Young) che
consideravano la devianza come il risultato della ribellione alle norme del capitalismo. La criminologia radicale
dunque considerò dunque i devianti non come coloro che violano le leggi ma come dei ribelli che reagiscono ad un
sistema capitalistico che utilizza alcune istituzioni (ospedali psichiatrici, prigioni, riformatori), per identificare alcune
persone come individui pericolosi, e dunque da controllare.

Quindi, in generale:

 la devianza si riferisce alle aspettative connesse ad un orientamento normativo;


 il comportamento deviante viene individuato come tale da un gruppo e dipende dalla situazione
 diversi tipi di devianza sono collegati ad un tipo di personalità a determinati ruoli sociali;
 il comportamento sociale può assumere intensità e direzioni diverse.

Il concetto di devianza fu successivamente utilizzato per delineare non solo i crimini ma anche tutti quei
comportamenti diversi come l’omosessualità, l’uso di droghe, costumi sessuali meno conformisti. Per tale ragione è
utile riferirsi alla devianza quale fenomeno sociale, per individuare le modalità di controllo e di reazione poste in
essere dalla società per il riequilibrio necessario.

DEVIANZA, CONTROLLO SOCIALE E PROCESSI FORMATIVI

-DALLA DEVIANZA AL CONTROLLO SOCIALE:

Di recente si è fatta la distinzione tra “fenomenologia criminale” e “forme di devianza sociale”. Prima di tale
distinzione, la tendenza generale era quella di considerare come comportamento criminale qualsiasi comportamento
che mettesse in discussione le norme sociali e morali. In questo senso anche la malattia mentale veniva
criminalizzata; considerando una condizione di diversità come una patologia sociale.

Questa distinzione permette di effettuare un ulteriore distinzione tra devianza e criminalità. In particolare il concetto
di devianza comprende il comportamento criminale, in quanto viene considerato un comportamento difforme.

Diversi studiosi si sono occupati di definire il concetto di devianza, ma altri si sono occupati di spiegare i motivi che
portano all’insorgere di tale comportamento di non osservanza delle regole e violazione, ricercando nelle
caratteristiche psicologiche e fisiche, o nelle motivazioni personali e sociali, la comparsa dei comportamenti
devianti.

Dal punto di vista sociologico non esiste un’azione che possa definirsi di per sé deviante, ma esiste una definizione
sociale di ciò che è conforme o difforme/deviante, rispetto ad un sistema culturale e normativo, tale per cui il
concetto stesso di devianza viene modificato continuamente. Tuttavia, quasi tutte le definizioni intendono il concetto
di devianza come il risultato o effetto dell’incapacità o del rifiuto di attenersi ai valori o alle norme morali del
contesto sociale di appartenenza. Definita in questo modo la devianza presuppone uno spazio all’interno della quale
si colloca una normalità sociale, che delimita i confini entro i quali le azioni sociali sono considerate normali o
anormali. Da ciò deriva l’impossibilità di dare un'unica definizione del concetto di devianza.

La condivisione di un sistema di regole genera delle aspettative relativamente ai comportamenti (l’ideale modalità di
risposta); ovvero la norma sociale crea un’aspettativa istituzionalizzata.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
La disattenzione verso il sistema di aspettative condiviso può generare differenti reazioni: riprovazione, isolamento,
trattamento correttivo/punitivo, ma anche la più ampia tolleranza.

La violazione delle regole sociali, condivise formalmente o informalmente, determina una risposta sanzionatoria che
può essere o di carattere formale e istituzionalmente codificata (nel caso della violazione di un diritto scritto, di un
reato), o di carattere informale, con la reazione del gruppo di appartenenza che può andare dalla semplice censura
alla stigmatizzazione.

Tuttavia anche la definizione dei livelli di accettabilità del comportamento deviante non è stabile nel tempo, ma è
soggetta ai mutamenti della società.

Si possono individuare 3 componenti relative alla dinamica del comportamento deviante:

 l’individuo che si comporta in un certo modo;


 l’aspettativa o la norma utilizzata come termine di paragone per giudicare la difformità del comportamento;
 l’altro individuo o gruppo che reagisce al comportamento in questione.

L’esistenza di un sistema di regole condivise presuppone un meccanismo che abbia lo scopo di mantenere e
riconoscere come valide le regole che possono essere o sono state violate, chiamato controllo sociale.

Per CONTROLLO SOCIALE si intende l’insieme delle reazioni formali/informali, coercitive/persuasive che sono
previste e messe in atto nei confronti del comportamento ritenuto deviante, dirette a mantenere l’ordine sociale.
Oggi, l’istituzionalizzazione rappresenta la forma più estrema di controllo sociale; ad eccezione della pena capitale
ancora vigente in alcuni Stati.

-DEVIANZA E FORMAZIONE: L’APPROCCIO DELLA PEDAGOGIA CRITICA:

[Quindi risulta essere necessario definire il rapporto che intercorre tra organizzazione sociale, modelli culturali e
processi formativi, per poter definire il significato dell’educazione e del rapporto formazione-devianza. ]

La devianza è dunque un comportamento che si discosta da uno specifico sistema culturale e normativo, il quale
delimita i confini entro cui le azioni sociali possono essere considerate normali o anormali.

La cultura, riprendendo la definizione di Taylor, è il complesso organizzato di significati (cioè valori, norme,
credenze..) propri di una collettività; è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, il
costume, il diritto, le usanze e ogni altra capacità acquisiti dall’uomo in quanto membro della società. Quindi si ci
pone il problema di definire i meccanismi attraverso la quale essa si mantiene, si trasmette e si modifica.

Affinché venga garantito il rispetto delle norme e mantenuto l’ordine, la società possiede strumenti di controllo e
manifestazioni di potere che reprimono le devianze: si tratta del CONTROLLO SOCIALE, esercitato da tutte le agenzie
di potere che reprimono ogni espressione di particolarismo, e sono orientate a governare ogni possibile devianza,
che potrebbe compromettere l’equilibrio, la stabilità del sistema.

Si tratta del meccanismo che ha lo scopo di mantenere il consenso verso i valori comuni, e quindi non può basarsi
solo sul timore delle sanzioni, così come avveniva nelle società dispotiche, ma presuppone un’adesione volontaria e
libera, di modalità non coercitive che permettano di avere presa sull’individuo.

È attraverso il proprio sistema formativo che ogni società prepara i propri membri a riprodurre il sistema sociale: essi
devono conformarsi ai valori, alla morale, alle norme, agli obiettivi..

I meccanismi principali attraverso cui la cultura viene trasmessa, per riprodurre il sistema societario, sono la
socializzazione e l’educazione. Grazie alla SOCIALIZZAZIONE l’individuo riesce ad integrarsi nella società, e ciò
avviene nella misura in cui egli riesce ad assumere meglio i ruoli, che riflettono l’insieme dei valori comuni condivisi
da tutti i membri della società

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Parsons, con il riferimento alla “teoria dell’integrazione”, individua nella famiglia l’agenzia di SOCIALIZZAZIONE
PRIMARIA. La scuola, il gruppo dei pari, rappresentano invece la SOCIALIZZAZIONE SECONDARIA. Attraverso la
socializzazione la società produce uomini in grado di mantenere l’ordine esistente. Essi trasmettono i valori imposti
dal sistema o contesto culturale in cui sono inseriti, delimitando uno spazio di normalità sociale che richiede
comportamenti conformi e non difformi, integrati e non conflittuali, perfettamente uniformati ai modelli culturali,
valoriali di un determinato contesto storico.

Diversamente, l’EDUCAZIONE, viene a configurarsi come un processo storico attraverso cui si trasmette la cultura, la
cui importanza risiede nella capacità non solo di riprodurre quanto ereditato ma anche di proseguire, modificare e
trasmettere i risultati del proprio produrre.

L’educazione, dedica particolare attenzione alla dimensione del processo di formazione complessiva ed assegna un
ruolo attivo all’individuo, rendendolo capace di reagire al condizionamento sociale e partecipe della costruzione di
nuovi valori e norme; promuove l’impegno critico: le influenze diventano reciproche, delle condizioni sull’individuo e
viceversa La FORMAZIONE dell’individuo rappresenta dunque il risultato di processi SOCIALIZZANTI ed EDUCATIVI
che si esercitano sugli individui in modo formale e informale, intenzionale e non, per la realizzazione di un
determinato modello sociale.

Successivamente, dopo aver definito i meccanismi attraverso la quale un individuo si integra nel sistema sociale,
vengono individuate le cause dei fenomeni sociali di non integrazione e non educazione, di devianza.  “ogni
società democratica è caratterizzata da regole, modelli di comportamento, che i suoi membri devono
necessariamente rispettare per il mantenimento dell’ordine sociale. Ogni deroga si traduce in disordine, diversità,
devianza.”

Parsons individua l’origine della devianza e di ogni trasgressione in fattori collegati a patologie della personalità, tali
per cui l’individuo non riconoscendo il valore delle norme se ne allontana e devia; o anche ad anomalie dei propri
processi di integrazione.

A tale impostazione si oppone quella di Merton, che inveceattribuisce la genesi del comportamento deviante a
fattori di tipo SOCIALE (in particolare al fenomeno della stratificazione sociale). Secondo Merton esistono 2 tipi di
cultura, che producono processi di socializzazione differenti:

 la cultura dominante propria del gruppo di potere


 la sub-cultura, che oppone resistenze alla cultura ufficiale.

Gli individui svantaggiati nella gerarchia sociale, che non godono dei mezzi per raggiungere gli obiettivi che la società
pone, possono provare un senso di estraneità rispetto ai valori condivisi, tale per cui l’utilizzo di mezzi illeciti
costituisce una possibilità di pervenire alle mete sociali. Dunque, non tutte le funzioni e le strutture sociali sono
orientate verso l’integrazione, anzi, queste possono manifestarsi in modo disfunzionale, perseguendo funzioni
divergenti, negative, o addirittura nessuna funzione.

Per raggiungere l’adesione ai valori/regole proposti dalla società, non basta la socializzazione di essi, ma occorre che
l’individuo partecipi alla costruzione degli obiettivi sociali condivisi.

Il comportamento deviante deve fondarsi sulla definizione di una teoria pedagogica critica, in grado di intervenire
per modificare gli orientamenti, la direzione di senso, i modelli.. Educazione quindi che si configura come l’ideale
mezzo per produrre condizioni di partecipazione attiva degli individui.

La strada della legalità, i meccanismi di comportamento conforme, devono essere perseguiti all’interno della
famiglia, della scuola, della città o delle chiese, strutture che ricoprono un ruolo importante all’interno della società.
Si tratta di un educazione costante, sistematica, critica: critica con il significato di distinzione, giudizio, scelta.

La scelta e l’opzione definiscono la capacità di auto-orientarsi adeguando mezzi (legali) ai fini (etici). Sollecitando un
tipo di formazione che insista sulla dimensione della criticità, della razionalità, della consapevolezza, può essere
raggiunto l’obiettivo di un’etica sociale come risultato di un percorso democratico alla legalità in quanto scelta
responsabile. L’educazione assume così una funzione preventiva rispetto al fenomeno della devianza.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
PARTE III: CARCERE E TRATTAMENTO PENITENZIARIO IN
ITALIA
Vediamo che, riguarda all’utilità del carcere, si registrano opinioni differenti: c’è chi lo considera un occasione di
meditazione morale per la riabilitazione del reo, o viceversa uno strumento repressivo; c’è chi ritiene la carcerazione
come uno strumento per allontanare coloro che si sono dimostrati pericolosi per gli altri membri del gruppo, o altri
ancora che vedono il carcere come un occasione per aiutare il deviante al suo successivo reinserimento sociale.

Ma sul versante opposto, ci sono coloro che invece vedono il carcere come una fabbrica di devianza, che riduce
l’identità del detenuto a semplice autore di reato. Secondo questa prospettiva, il periodo che il reo passa in carcere
non fa altro che desocializzarlo rispetto ai modelli di comportamento della società generale, favorendo invece la
risocializzazione ai modelli e ai ruoli che invece sono presenti nella realtà carceraria.

Ma le concezioni di colpevolezza e di punizione sono variate nel corso della storia sociale, legandosi alla cultura del
tempo, e tale variazione è causata da diversi fattori: l’ideologia dominante, il sistema di potere prevalente, la visione
legale dei diritti e dei doveri.. Tra i fattori dominanti è da porre anche l’educazione, come processo storico
attraverso il quale si prosegue l’opera di trasmissione della cultura, dei saperi e delle conoscenze.

Quindi vediamo che il tema della devianza e della legalità si connette alla dimensione pedagogica. Con il passaggio
dai regimi dispotici (fondati sulla coercizione) ai regimi liberal-democratici (fondati sul consenso) si è avvertita
l’esigenza di istruire gli uomini ad essere buoni cittadini e ad esercitare correttamente diritti e doveri. Nelle società
democratiche, il carcere diventa un modo per ricostruire l’umanità danneggiata, recuperando alla società una risorsa
essenziale per ogni democrazia: il cittadino. Il contributo della pedagogia alla dimensione penitenziaria trova la
propria cornice nello sviluppo dottrinale del classicismo giuridico del 700 (promotore del percorso di umanizzazione
delle pene) e del positivismo criminologico ottocentesco (sostenitore del metodo scientifico nello studio dell’uomo
criminale).

LA MATURAZIONE DELL’IDEA DI RECUPERO SOCIALE DEL DETENUTO. LA VIA ITALIANA DELL’ISTITUTO


DI PENA.

L’idea del recupero sociale del detenuto, in ambito giuridico, si afferma in Italia verso la fine dell’800, grazie a
Beltrami Scalia, il quale, già in occasione di un congresso internazionale del 1870 riuscì ad inserire alcuni principi
penitenziari come la cura degli alienati e lo scopo riabilitativo dell’esecuzione penale.

Tra il 1872-1930, attraverso una serie di congressi internazionali, si pose l’attenzione verso i problemi del carcere: in
particolare, il “Congresso internazionale penitenziario” svoltosi a Roma nel 1885, segna l’inizio di un nuovo
orientamento nel sistema penale, fondato sul continuo perfezionamento delle tecniche correzionali e di
trattamento, e sulla gradualità/flessibilità delle pene.

Beltrami Scalia ispirò il “Regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi del 1891”,
che fece seguito al Codice penale Zanardelli del 1889, 1° documento fondamentale delle istituzioni penitenziarie
dell’Italia post-unitaria. Il regolamento operò una prima innovativa distinzione tra “stabilimenti carcerari” e
“stabilimenti riformatori”; e delineò un sistema dettagliato di punizioni e permessi, funzionali alla disciplina e
mantenne immutato il carattere repressivo-disciplinare del carcere.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Alessandro Doria, successore di Scalia alla carica di direttore generale delle carceri nel 1902, si pose l’obiettivo di
aumentare il numero degli istituti detentivi per i minorenni, sia per il costante aumento di minori colpiti da
provvedimenti disciplinari ma anche per poter ridurre il ricorso a quelli privati.

L’interesse di Doria per la funzione educativa e correttiva dei Riformatori per minorenni si evince da 2 importanti
provvedimenti: ovvero il r.d.(regio decreto) 716/190, Regolamento organico per il personale di sorveglianza dei
riformatori governativi, per rispondere alla carenza di preparazione pedagogica del personale; e il r.d.606/ 1907
Regolamento per i Riformatori governativi, attraverso il quale venne attuato un completo riordino dei riformatori
governativi per minorenni e istituito un corpo di educatori per minori.

Tra le riforme di cui Doria si fece promotore vanno sottolineate alcune riguardanti la separazione amministrativa tra i
riformatori e i carceri, l’istituzione delle figure professionale di censore, che determinavano una particolare
attenzione verso la preparazione scientifica di queste nuove professione. Al tal proposito, per accedere al ruolo di
istitutore furono previsti gli insegnamenti di nozioni di “pedagogia applicata all’educazione” e di “principi elementari
di antropologia”. L’interesse pedagogico era rivolto soprattutto ai detenuti nella fascia minorile, infatti nel 195
nacque l’”istituto pedagogico forense di Milano”, e nel 1909 una commissione di studio sulla delinquenza minorile,
con gli obiettivi di individuare le cause del fenomeno e di istituire un codice speciale.

La gestione delle carceri per adulti, al contrario, non subì importanti cambiamenti. Un Nuovo Regolamento per gli
istituti di prevenzione e pena venne approvato nel 1931, a seguito del “Codice Rocco”; esso attribuì alla punizione un
carattere emendativo e afflittivo/intimidatorio: ossia, gli unici mezzi per rieducare sono il lavoro, l’istruzione e la
religione. In questo contesto, il carcere, luogo isolato dalla società, mantenne i reclusi in una situazione di totale
emarginazione.

Nella seconda metà del 900 si ebbe un maggiore interesse per il recupero sociale degli adulti, determinato dai
principi di umanizzazione delle pene e della loro finalità rieducativa, sanciti nella Costituzione repubblicana, dai
principi espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, caratterizzato dall’affermazione di una nozione
di esecuzione flessibile della pena con l’obiettivo di rieducazione del reo.

La Riforma penitenziaria del ’75 fece propri i principi della rieducazione e del reinserimento sociale, in cui vi è una
particolare attenzione ai diritti e alla dimensione umana del detenuto: già nel primo articolo della l.354/75 si
specifica che il trattamento rieducativo deve tendere al reinserimento sociale attraverso contatti con l’esterno. Tra
gli elementi importanti del trattamento rieducativo la legge individua: l’attività scolastica o formativa professionale;
le attività culturali, ricreative e sportive; le relazioni con la famiglia e l’attività lavorativa svolte all’interno delle
colonie agricole, nelle case lavoro o nelle case di cura.

Inoltre, per lo svolgimento delle attività del trattamento penitenziario, vennero introdotti nuovi operatori
penitenziari specializzati e tra questi gli educatori per adulti. Venne anche accordata la possibilità di avvalersi di
esperti esterni in psicologia, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica per le attività di osservazione e trattamento.

Novità principale della Riforma Penitenziaria del ’75 fu il considerare di pervenire alla rieducazione e al
reinserimento sociale anche attraverso misure alternative alla detenzione: affidamento in prova al servizio sociale, la
semilibertà, la liberazione anticipata, la liberazione condizionale. Si stabilì che la finalità del reinserimento deve
essere perseguita anche sollecitando la partecipazione di privati o di associazioni pubbliche all’associazione
rieducativa. Il recupero sociale del condannato dovrebbe dunque prevedere interventi riabilitativi fondati
sull’integrazione del modello di giustizia rieducativo con il modello ripartivo.

Dal punto di vista rieducativo il trattamento intramurario veniva a configurarsi come un processo in grado di favorire
la rivisitazione e l’assunzione di un diverso atteggiamento nei confronti dell’atto deviante. L’aspetto riparativo pone
in risalto la riabilitazione in una prospettiva esterna di recupero. La legge 354/75 si propose, in teoria, la creazione di
un ordinamento penitenziario MINORILE oggi inattuato. Inoltre,L’ordinamento penitenziario subì alcune modifiche:

 Con la legge Gozzini n.663/89, del 10 ottobre 1986, in materia si Modifiche alla legge sull’ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, e si afferma la prevalenza
della funzione rieducativa della pena, disponendo di misure alternative al carcere come la concessione di
permessi premio, l’affidamento al servizio sociale, la detenzione domiciliare, ecc.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
 la legge Simeone-Saraceni n.165/98 , in materia di esecuzione delle pene detentive, garantisce l’accesso alle
misure alternative a tutti i condannati meritevoli introducendo l’obbligo di comunicare al condannato la
possibilità di presentare istanza di richiesta di tale beneficio. Questo provvedimento mise le condizioni per
una graduale reinserimento del soggetto nella società, al contrario dell’esperienza carceraria, considerata
fortemente deviante piuttosto che rieducativa.
 Infine, il - d.p.r.(decreto presidente repubblica) n.230/2000: ossia il regolamento recante norme
sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà: esso rivide l’ordinamento
dedicando particolare attenzione ad alcuni elementi del trattamento penitenziario : si occupò dell’istruzione,
regolamentò il lavoro interno e esterno, favorì il miglioramento dei rapporti con la famiglia.

IL TRATTAMENTO RIEDUCATIVO NEL CARCERE PER ADULTI: DAL PROGETTO PEDAGOGICO AL


PROGETTO D’ISTITUTO:

Una prima riorganizzazione degli istituti di pena si ebbe, nella realtà carceraria degli adulti, con la circolare del 7
febbraio 1992, “istituti penitenziari e centri di servizi sociale. Costituzione e funzionamento delle aree”, che istituì tra
le diverse aree quella educativa o del trattamento. Ma la mancata istituzione di tale area, spinse il DAP (Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria) ad emanare la CIRCOLARE del 2001 n. 3554/6004 con l’obiettivo di rilanciare le
aree educative negli istituti. Le circolari però non furono del tutto applicate,infatti venne emanata la CIRCOLARE del
2003 n. 3593/6043, Le aree educative negli istituti (che ha rivoluzionato le pratiche di trattamento) nella quale il
Dipartimento propose per la 1° volta lo strumento del PROGETTO PEDAGOGICO D’ISTITUTO.

Le criticità rilevate dal Dipartimento riguardavano la costante e progressiva burocratizzazione delle aree educative; le
attività trattamentali che erano spesso semplici attività di puro intrattenimento, utili a distrarre il detenuto ,
raggiungendo anche una possibile ricaduta positiva sul detenuto- ma non l’obiettivo dell’individualizzazione del
trattamento; mancava la fase della valutazione; ci sono pochi educatori.
Per tali ragioni, il Dipartimento avvertì la necessità di ridefinire le fasi del trattamento penitenziario, distinguendo 3
livelli per la gestione delle aree educative negli Istituti, attraverso i quali sviluppare le fasi di PROGETTAZIONE-
ATTUAZIONE-VERIFICA del Progetto Pedagogico:
1. Il livello della pianificazione a cura della Direzione;
2. Il livello dell’organizzazione, della gestione e coordinamento operativo, a cura dell’Area Educativa;
3. Il livello operativo del trattamento individualizzato, a cura dell’Educatore - del gruppo di Osservazione e
Trattamento (GOT) -e dell’equipe.
In sintesi, i Direttori furono chiamati annualmente a definire un Progetto pedagogico, contenete le indicazioni delle
attività trattamentali da sviluppare e le risorse necessarie.
L’area Educativa, supportata da una Segreteria (per la gestione di adempimenti burocratici-amministrativi) aveva il
compito di collaborare col Dirigente nelle attività di progettazione-definizione e realizzazione degli obiettivi del
trattamento  per questo ancora oggi la definizione dell’ipotesi del Progetto è affidata al Responsabile dell’Area
Educativa: un EDUCATORE C3 con laurea magistrale o specialistica, chiamato a sottoporla entro il mese di Novembre
al dirigente, il quale, verificati gli accordi con il direttore del Centro di Servizio Sociale per Adulti, è tenuto a
convocare, entro il mese successivo, una conferenza di servizio per condividere i contenuti del progetto con tutti i
membri responsabili delle aree dell’istituto, verificarne e assicurarne la fattibilità.
L’Educatore, in quanto responsabile della conduzione del singolo caso, ha il compito di instaurare un rapporto
dialogico con ogni detenuto, al fine di sollecitare l’adesione al progetto e il processo di risocializzazione.

Tuttavia, se per un verso la titolarità della gestione del singolo caso è affidata all’Educatore, per un altro viene
rilanciato il mantenimento di collegamenti operativi tra i membri del GOT, nell’ambito del quale l’educatore assume
la competenza di segretario tecnico.
Indicazioni dettagliate per la formulazione del progetto pedagogico sono state fornite successivamente nella
CIRCOLARE del 2004 n. GDAP-0423599, emanata dal Dipartimento per rispondere alla diversificazione dei progetti
pedagogici inviati dagli istituti a partire dal 2004, per lo + consistenti in una mera elencazione delle attività poste nei
penitenziari, e per ribadire che l’area educativa deve assumere un ruolo di coordinamento delle risorse che
collaborano alle attività di osservazione e trattamento; individuando, rispetto al fine della rieducazione dei
condannati : obiettivi, priorità, livelli di coordinamento e metodologie di intervento.

Al fine di uniformare le modalità di definizione del progetto pedagogico, la Direzione ha indicato alcuni punti
essenziali che essi devono contenere:

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
1. Valutazione dei risultati del progetto pedagogico dell’anno precedente, delineata dall’analisi del contesto,
della struttura dell’istituto, degli spazi disponibili, delle caratteristiche della popolazione detenuta.. ;
2. l’individuazione dei bisogni dei detenuti e la definizione delle priorità;
3. l’analisi delle risorse umane che collaborano alle attività di osservazione e trattamento;
4. Analisi delle risorse economiche, quantificate in relazione ai bisogni per la realizzazione di tutte le attività
comprese nel progetto pedagogico.
Infine, la CIRCOLARE 2011 n. GDAP-00224103, “Progetto di Istituto: evoluzione del Progetto Pedagogico”,
rappresenta l’ultimo atto normativo emanato dalla direzione, che propone di fornire linee di indirizzo per la
realizzazione del Progetto a partire dal 2011. Per quanto riguarda le CRITICITÀ rilevate in questa circolare: vediamo
che rispetto alla circolare del 2003, nella circolare del 2011,c’è un arretramento/sottovalutazione della dimensione
pedagogica/educativa. Essa punta a coinvolgere direttamente nella programmazione delle attività di trattamento le
diverse aree presenti in istituto. In breve la direzione generale sottolinea che la progettazione pedagogica diventa il
nucleo portante della + ampia progettazione che coinvolge l’intera struttura, alla cui elaborazione concorrono tutte
le aree. Quindi fa confluire tutte le ipotesi progettuali, superando le tradizionali divisioni tra settori (amministrativo-
contabile, sicurezza, area sanitaria), mantenendo l’istanza di trattamento centrale.

Tutti i progetti devono contenere: analisi dei bisogni, budget, priorità di intervento a breve-medio e lungo termine,
condivisione del progetto, valutazione finale. Il fine rieducativo deve concretizzarsi nell’offerta di opportunità,
affinchè il ristretto utilizzi il tempo del carcere per ricostruire la propria identità in vista del reinserimento sociale. A
questo proposito si richiama la necessità di creare le condizioni affinchè si costruisca una comunità nella quale il
detenuto possa sentirsi accolto, trascorrendo il suo tempo impegnato in attività, occasioni per coltivare affetti
familiari, nuovi interessi culturali, attività lavorative..

Tutti gli operatori sono chiamati a partecipare alla realizzazione del Progetto pedagogico, a differenti livelli; livelli
tuttavia che sembrano confondersi: ad esempio l’apporto di conoscenze sul detenuto fornito dalla polizia
penitenziaria, risorsa certamente fondamentale nella cura dei rapporti coi detenuti, ma la cui professionalità non è
certo in grado di apprezzare ogni aspetto della sua personalità ed evoluzione, in quanto rivolta + agli ambiti di
sicurezza che alle dinamiche pedagogiche, sociologiche e psicologiche del detenuto.

Inoltre, mentre nella circolare del 2003, si sottolinea l’importanza dell’adesione consapevole, responsabile e
dichiarata del condannato al patto tratta mentale, come manifestazione concreta della volontà di ricostruire il patto
di cittadinanza, in quella del 2011 si legge che il cambiamento potrebbe anche avvenire nel corso della naturale e
spontanea evoluzione della personalità dell’individuo. E quindi potrebbe verificarsi anche senza nessun intervento
rieducativo. Dunque il tempo della detenzione può rappresentare un alleato alla rieducazione.

A tal proposito,si ritiene che la conversione pedagogica che “ogni ristretto(reo) deve sviluppare attraverso il
trattamento penitenziario” così come era stato sottolineato nella precedente circolare del 2003, deve essere
supportata in ogni momento dall’equipe nel suo complesso e dall’educatore/pedagogista in particolare, e che questa
anacronistica, ambigua proposizione, (cioè il cambiamento potrebbe anche avvenire nel corso della naturale e
spontanea evoluzione della personalità) va rigettata a favore di una corretta concezione pedagogico-riabilitativa del
reo.
Viene creata la figura del FUNZIONARIO che può essere svolta anche dalla guardia carceraria, introdotto dalla
Circolare del 2010. Il funzionario dell’organizzazione e delle relazioni, è reclutato tra i laureati in GIURISPRUDENZA e
SCIENZE POLITICHE che di fatto sostituirà la figura dell’educatore.)

LA FIGURA DELL’EDUCATORE PENITENZIARIO: COMPENTEZE, LIVELLI, FUNZIONI E


DISFUNZIONI

La Riforma penitenziaria del 1975 n.354, aveva attribuito all’EDUCATORE il compitoprevisto dalla Costituzione(art. 27
co. 2 qui dice che ci vogliono gli Educatori all’interno del carcere) di programmare e gestire percorsi ri-educativi e
di reinserimento sociale. In particolare, l’art.80 aveva sancito l’inserimento in ambito penitenziario di 2 nuove figure:
 gli educatori degli adulti
 gli assistenti sociali.

Nell’art. 82 della stessa legge, si delineava che gli educatori devono partecipare alle attività di gruppo per
l’osservazione scientifica della personalità dei detenuti e internati *(per internati s'intendono coloro che sono

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
sottoposti all'esecuzione delle misure di sicurezza detentive: colonia agricola, casa di lavoro, casa di cura e custodia,
ospedale psichiatrico giudiziario) in relazione al trattamento rieducativo individuale o di gruppo, e coordinare la loro
azione con tutto il personale addetto alle attività di rieducazione.
Agli educatori, inoltre, venne affidato anche il compito di svolgere attività educative nei confronti degli imputati, e di
collaborare alla tenuta della biblioteca, alla distribuzione dei libri, delle riviste e dei giornali.

Per questo motivo negli anni si è fatta pressante l’esigenza di una loro adeguata formazione, che avrebbe loro
consentito di formulare validi progetti e di stabilire validi rapporti interpersonali, anche attraverso l’interazione con
vari istituti e servizi sul territorio.

Alla luce della legge Gozzini del ‘86, l’educatore,in quanto specialista del comportamento, ha assunto un ruolo
centrale nei processi di risocializzazione del detenuto, soprattutto in seguito all’introduzione dei permessi-premio,
semilibertà, del lavoro esterno; che hanno trasformato il carcere da luogo di isolamento a luogo aperto. L’educatore
in tal senso collabora affinchè i detenuti fossero proiettati in situazioni risocializzanti e di recupero all’esterno del
carcere.

Considerata la centralità dell’educatore, numerosi Circolari sono state fatte per regolamentarne tale figura:
particolarmente rilevante la CIRCOLARE del 9 ottobre 2003, che stabilisce le specifiche competenze professionali
relative al RESPONSABILE DELL’AREA EDUCATIVA. Il responsabile dell’area è un Educatore C3 che dirige e coordina
settori e strutture di livello non dirigenziale, ma assume funzioni dirigenziali in assenza del dirigente.
Gli educatori collaborano direttamente col dirigente d’Istituto per la progettazione e realizzazione degli obiettivi del
trattamento. In assenza di un Educatore C3, ricopre l’incarico un Educatore C2.
Difatti, si sottolinea l’importanza della presenza di un congruo numero di Educatori C3-C2-C1 negli istituti, necessità
disattesa a causa della dichiarata impossibilità economica di reclutare nuove risorse.

Inoltre,si legge ancora nella Circolare, che l’area educativa viene supportata dalla Segreteria per la gestione degli
adempimenti burocratici-amministrativi, e si struttura su 2 linee di sviluppo:
1. la prima linea di sviluppo riguarda la definizione-gestione- coordinamento - verifica del Progetto Pedagogico
di Istituto;
2. la seconda riguarda l’organizzazione e il coordinamento operativo delle attività di osservazione e
trattamento individualizzato, sotto il diretto coordinamento e la diretta responsabilità del direttore.
Il Responsabile dell’Area educativa svolge insomma compiti di organizzazione e coordinamento su delega del
dirigente.

La Circolare afferma che il trattamento deve essere finalizzato alla rieducazione e reintegrazione sociale e deve
fondarsi sull’adesione consapevole e responsabile del condannato, il quale sottoscriverà un patto trattamentale,
sulla cui base dovrà essere valutata ogni ipotesi progettuale da inserire nel Progetto Pedagogico d’Istituto. Il piano di
trattamento definisce quindi impegni e obiettivi precisi, consapevolmente assunti dal reo, rispetto ai quali sarà
possibile effettuare una valutazione sul comportamento del reo, sulla sua capacità di adesione al patto, e apportare
eventuali modifiche.
L’Educatore, in qualità di responsabile, ha il compito di instaurare un rapporto dialogico col detenuto al fine di
motivarlo ad aderire al progetto trattamentale, e sollecitarlo ad un processo di risocializzazione. Se per un verso la
gestione del caso è affidato all’educatore, per un altro viene rilanciato il mantenimento dei collegamenti operativi
con il Gruppo di Osservazione e Trattamento(GOT).
Il GOT è un gruppo allargato, coordinato dall’educatore (che riveste il ruolo di segretario tecnico), e composto da
tutti gli operatori che interagiscono con il detenuto o che collaborano al trattamento dello stesso (polizia
penitenziaria, assistente sociale, l’esperto, l’insegnante del corso scolastico, il medico, ecc).

L’educatore come segretario tecnico del GOT ha varie responsabilità: aprire e aggiornare il fascicolo relativo
all’osservazione del detenuto e segnalarlo agli altri operatori; favorire gli scambi tra tutti gli operatori afferenti
all’Area, coinvolgere attivamente gli operatori esterni all’amministrazione, pianificare gli interventi o la tipologia di
approccio migliore nel trattamento della singola persona detenuta, promuovere gli incontri preliminari ...

Queste e altre sono le mansioni attribuitegli per legge, ma di fatto – come messo in luce dal Convegno in Senigallia
nel ’97 (L’operatività dell’educatore professionale in carcere..a 20 anni dalla riforma del 1975), molte sono le criticità
riscontrate dagli educatori relativamente alla loro reale possibilità di operare utilizzando le proprie competenze:

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
1. A fronte della complessità del suo ruolo riconosciuto all’educatore penitenziario, che interviene
direttamente sullo stato di disagio del detenuto, l’educatore dispone solo del colloquio, quale unica
modalità di conoscenza del detenuto. Ciò appiattisce la sua possibilità di intervento all’interno del progetto
di trattamento individualizzato.
2. Non gli viene riconosciuta la titolarità dell’intervento educativo e ciò si ripercuote sulla ottimizzazione degli
interventi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi istituzionali, quindi impedisce il coordinamento e la
supervisione delle figure esterne ed interne che intervengono nel processo rieducativo.
3. Il personale attualmente in servizio proviene da esperienze di formazione estremamente disomogenee, e ciò
incide negativamente sull’intervento pedagogico.
4. Il corso di specializzazione della durata di 3 mesi organizzato dall’amministrazione penitenziaria a seguito del
concorso non è sufficiente a professionalizzare gli educatori.
5. Fra gli operatori dei diversi istituti manca una rete per lo scambio e il confronto sulle metodologie operative.
6. Gli educatori vivono una situazione di svantaggio strutturale, ovvero in pochi casi dispongono di un ufficio e
dell’aiuto di personale specializzato negli adempimenti di carattere burocratico.

In questo contesto va sottolineato che i percorsi di rieducazione, risocializzazione, riabilitazione del condannato,
debbono essere caratterizzati da un “dinamismo processuale”, cioè debbono essere costantemente monitorati e
sollecitati per la continua riproposizione di contenuti e obiettivi; questa dinamicità deve essere costruita con
l’efficacia dell’intervento degli operatori.

Tuttavia,gli operatori si muovono in una situazione di mancanza di risorse economiche e logistiche e culturali. Appare
quindi urgente l’esigenza di apprestare quelle risorse che ne facilitano l’attuazione, e vi è anche la necessità di
costruire e potenziare la rete sociale fra i vari servizi e gli organismi pubblici e privati.

Inoltre, nell’ambito del nuovo riordinamento professionale la figura dell’educatore penitenziario è stata snaturata
dalla sua sostituzione con un generico FUNZIONARIO della professionalità giuridico-pedagogica, introdotto dalla
Circolare del 2010.
Tra l’altro, a seguito della riorganizzazione professionale, è stata introdotta la figura del funzionario
dell’organizzazione e delle relazioni, che aggrega le figure professionali (ex C1-2-3) di bibliotecario, collaboratore,
direttore e statistico, formatore ed esperto nella comunicazione, reclutata tra i laureati in GIURISPRUDENZA,
SCIENZE POLITICHE o equipollenti.
Questa nuova figura di funzionario, non pertinente con quanto dichiarato dalla legge 354/75 e successive modifiche,
SOSTITUISCE LA FIGURA DELL’EDUCATORE (cui spettava anche la gestione della biblioteca) e che nella nuova
riorganizzazione si occuperà delle esigenze formative all’interno degli istituti, della progettazione-organizzazione-
gestione e coordinamento degli interventi di formazione.

IL PROGETTO PEDAGOGICO NEGLI ISTITUTI PENALI PER MINORENNI

Gli istituti penale per minorenni (I.P.M) sono deputati all’esecuzione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria nei
confronti dei minorenni autori di reato.
L’utenza degli IPM è costituita da minorenni in custodia cautelare, minorenni in esecuzione di pena, ultradiciottenni
che, per reati compiuti prima dei 18 anni, rimangono in carico alla giustizia minorile fino al compimento dei 21 anni,
dopo il quale è previsto il passaggio ad un istituto per adulti.

All’interno dell’IPM vengono garantiti i diritti soggettivi dei minori (diritto alla SALUTE, FORMAZIONE
PROFESSIONALE, ANMAZIONE CULTURALE, SPORTIVA, psicologica, il diritto a rimanere in contatto con le figure
parentali più significative..) al fine di stimolare lo sviluppo,la maturazione, la crescita e la responsabilizzazione dei
minori detenuti.

L’assetto organizzativo degli IPMè regolamentato da 2 circolari:


 LA LETTERA CIRCOLARE del 95 n.60080 (organizzazione e gestione tecnica degli istituti penali per minorenni)
che delinea le finalità istituzionali, l’organizzazione, le procedure, le metodologie d’intervento;
 e la CIRCOLARE del 2006 che ne aggiorna alcune disposizioni.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
In sintesi, la CIRCOLARE DEL ‘95 regolamentò la presenza sul territorio nazionale degli IPM, strutturò 3 aree
funzionali (tecnico-pedagogica, sicurezza, amministrativo-contabile) e ne definì gli aspetti organizzativi (orari, attività,
suddivisione in gruppi dei minori detenuti..).

Si stabilirono alcune indicazioni riguardanti la fase di accoglienza, i colloqui, le perquisizioni, i pasti, le attività, il
numero di minori assegnati agli educatori, le prassi per l’accompagnamento ed il sostegno dei minori in udienza...

Nell’ultima parte della Circolare furono definiti i PIANI di TRATTAMENTO e i compiti da attribuire agli educatori e
all’equipe tecnica.
Particolarmente importante fu l’introduzione di una scheda tecnica, allegata alla Circolare, per la raccolta dei dati,
che costituisce ancora oggi un valido strumento per tutti gli operatori coinvolti nell’intervento dedicato al minore.

L’aggiornamento compiuto dalla CIRCOLARE DEL 17 febbraio 2006 apporta modifiche riferite alla dimensione
normativa, operativa, formativa, organizzativa e valutativa. Le modifiche relative alla dimensione norma hanno
adeguato gli interventi alla normativa emanata da Organismi Europei, dalla CONVENZIONE DI NEW YORK sui diritti
del fanciullo dell’89(resa esecutiva in Italia con la legge del 91), dalla recente giurisprudenza italiana. Per questo
motivo, la Circolare, a differenza della precedente, contiene una sezione denominata “diritti soggettivi”, nella quale
si evidenzia l’assoluta preminenza per i minori della funzione rieducativa della pena, la necessità di differenziare il
trattamento penitenziario da quello degli adulti e di finalizzare tutti i trattamenti ad una rapida e definitiva
fuoriuscita dal circuito penale.  dunque principalmente è presente la tutela dei diritti soggettivi dei minorenni.

Riguardo la dimensione formativa, la Direzione si impegna a promuovere spazi di confronto tra gli operatori per
favorire la comprensione delle dinamiche relazionali e prevenire la sindrome del burn-out (esaurimento fisico e
psicologico, causato dallo stress e dalla demotivazione nel posto di lavoro, che porta a un disinteresse totale per la
propria attività).

Tra le modifiche relative alla dimensione organizzativa è stata prestata particolare attenzione al sistema e agli
strumenti di comunicazione tra le aree funzionali, per la definizione, realizzazione, valutazione e verifica del progetto
di istituto.

E nella sezione dedicata alla dimensione operativa, le modifiche riguardano la possibilità di dotarsi di propri criteri
nella suddivisione dell’utenza in gruppi; di intervenire per superare la scissione tra gli interventi di sicurezza e quelli
educativi, sottolineando che anche i provvedimenti disciplinari possono avere valenza educativa se iscritti entro un
patto-progetto educativo elaborato dall’equipe e sottoscritto dal minore. Qui si fa riferimento qui per la prima volta
al PROGETTO D’ISTITUTO: tale pratica a differenza dell’esperienza negli istituti per adulti, è stata attivata solo di
recente a causa delle limitate indicazioni per la realizzazione del progetto. Le indicazioni per la realizzazione del
progetto si limitano ai seguenti punti:
1. necessità di definire il progetto come elaborazione di un documento condiviso dai responsabili e operatori di
tutte le aree, dall’autorità giudiziaria minorile;
2. Il progetto deve avere finalità educative;
3. Deve essere verificato annualmente;
4. Integrazione delle varie figure professionali nel perseguimento degli obiettivi istituzionali;
5. Articolazione del trattamento secondo un percorso rieducativo suddiviso in 3 fasi: accoglienza, orientamento
e dimissioni;
6. Costruzione del progetto con il raccordo degli altri servizi minorili presenti sul territorio.

A differenza della vecchia sezione chiamata “piani di trattamento”, nella Circolare del 2006 si introduce quella del
PROGETTO EDUCATIVO individualizzato. In questa sezione si specifica che per tutti i detenuti dovrà essere definito
un progetto-patto educativo individualizzato contenente gli obiettivi da raggiungere, gli strumenti educativi prescelti,
comprendendo la partecipazione delle diverse aree in previsione del reinserimento sociale del detenuto.

Nell’elaborazione, valutazione ed attuazione di tutti i progetti educativi dovranno essere coinvolti sia l’equipe tecnica
che gli operatori di Polizia Penitenziaria, il cui intervento assume, nel contesto minorile, funzioni di trattamento e
accompagnamento educativo.
È auspicata la condivisione dei percorsi trattamentali con il restante personale (insegnanti, operatori dei servizi
territoriali, animatori, mediatori..).

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Un altro aspetto importante della circolare, riguarda l’introduzione di alcuni punti dedicati alla DIMENSIONE
VALUTATIVA DELL’INTERVENTO, sia in termini di progetto di istituto che di progetto educativo individualizzato sul
minore.
Gli INDICATORI valutativi proposti nella circolare, suddivisi in EFFICACIA e di EFFICIENZA costituiscono validi spunti
per l’impostazione di un piano di valutazione e verifica delle attività svolte, ma rappresenterebbe solo un primo
tentativo di introdurre un sistema valutativo negli IPM. Ciò lo si capisce dalla sua generica impostazione: non si
prevedono infatti i tempi, modalità di rilevazione e di controllo, non si specificano gli strumenti attraverso cui
applicare la misurazione degli indicatori, ecc.

Una problematica importante è il passaggio dal carcere minorile a quello degli adulti al compimento dei 21 anni. La
continuità trattamentale nel passaggio è disciplinata da questa circolare nella quale si specifica la necessaria
continuità dell’intervento educativo, attraverso un graduale passaggio delle competenze.
I servizi minorili dovranno predisporre nel periodo antecedente i 21 anni, un percorso pedagogico per favorire tale
passaggio. In conclusione, nonostante le esiguità delle indicazioni relative alla realizzazione del progetto, nella
CIRCOLARE del 2006 si ritrovano continui richiami all’integrazione degli interventi.

Il Progetto Pedagogico d’Istituto, superando le tradizionali divisioni di settori e mantenendo centrale l’istanza di
trattamento, costituisce uno strumento utile per una rapida uscita dal circuito penitenziale e il reinserimento sociale.

LA REALTA’ CARCERARIA IN ITALIA:

LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA E LA STRUTTURA DEL TERRITORIO

L’amministrazione penitenziaria in Italia è composta dagli ISTITUTI PENITENZIARI, dai PROVVEDITORATI REGIONALI e
dagli UFFICI DI ESECUZIONE PENALE ESTERNA (UEPE).

Gli ISTITUTI penitenziari per gli adulti, ai sensi della L.354/75, al fine di separare i condannati dagli imputati e
salvaguardare così la presunzione di non colpevolezza, si distinguono in:

 istituti di custodia cautelare:  in passato erano divisi in case circondariali e mandamentali, cioè a
disposizione del pretore (dal 98 è soppressa la figura del pretore), sono destinati alla custodia degli imputati
a disposizione dell’autorità giudiziaria, delle persone fermate o arrestate e dei detenuti in transito.
 istituti per l’esecuzione delle pene detentive sono le case di arresto destinate all’espiazione della pena
dell’arresto, e le case di reclusione, per l’espiazione della pena di reclusione. In realtà queste strutture non
sono mai state istituite, a causa di alcune difficoltà di ordine organizzativo.
 istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive e centri di osservazione: sono le colonie agricole,
le case di lavoro (destinate i detenuti con sentenza definitiva) le case di cura e custodia, gli ospedali
psichiatrici giudiziari, che ospitano anche gli imputati le cui misure di sicurezza sono in via provvisoria, i
deputati sottoposti a perizia psichiatrica, e gli imputati o i condannati cui sia sopravvenuta una patologia
psichiatrica, che impedisce loro di affrontare consapevolmente il processo o l’esecuzione della pena.
Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono stati chiusi; a questi erano assegnati gli imputati sottoposti a perizia
psichiatrica, o coloro che non possono affrontare consapevolmente il processo o l’esecuzione della pena.

I centri di osservazione furono creati nel 1961 con una circolare che previde l’avvio della sperimentazione
dell’osservazione scientifica della personalità dei detenuti, finalizzata al recupero sociale dei condannati.
Tale sperimentazione fu però avviata solo nel Rebibbia di Roma e poi fu adibito ad altre funzioni.

Per quanto riguarda invece le funzioni dei PROVVEDITORATI REGIONALI, essi esercitano l competenze relative ad
affari di rilevanza circoscrizionale, secondo i programmi, gli indirizzi e le direttive disposte dal dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria, al fine di assicurare l’uniformità dell’azione penitenziaria sul territorio nazionale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
I provveditorati sono articolati in 6 aree:
1. la segreteria ed affari generali: gestisce l’uso dei mezzi di servizio dell’amministrazione penitenziaria; cura i
rapporti con le organizzazioni sindacali; vigila sugli archivi, ecc.
2. l’area del personale e della formazione: individua le esigenze del personale e ne assicura la sicurezza;
definisce i procedimenti disciplinari; coordina e verifica le attività amministrative del personale sanitario;
organizza le attività di formazione e aggiornamento in ambito regionale.
3. l’area della sicurezza e delle traduzioni: coordina e verifica l’attuazione dei programmi, degli indirizzi e delle
direttive del dipartimento; coordina i piani di sicurezza; esprime pareri per la costituzione/
trasformazione/soppressione degli istituti penitenziari.
4. L’area del trattamento intramurale: progetta,programma e raccorda le iniziative nel campo del trattamento
intramurario e gestisce le misure alternative alla detenzione; coordina le varie attività (scolastiche,
formative, ricreative..)
5. L’area dell’esecuzione penale esterna: individua/controlla/coordina i modelli di trattamento dei soggetti in
esecuzione penale esterna
6. L’area amministrativo-contabile: coordina la programmazione finanziaria e il bilancio degli istituti; stipula
contratti per il mantenimento dei detenuti; esprime pareri per l’acquisto e locazione di immobili; controlla
l’esecuzione delle direttive in materia di acquisto di prodotti farmaceutici; istruisce l’assegnazione
dell’armamento individuale e di reparto e delle apparecchiature di sicurezza, ecc.

Gli UFFICI DI ESECUZIONE PENALE ESTERNA (UEPE) provvedono ad eseguire , su richiesta del magistrato di
sorveglianza, le inchieste sociali utili a fornire dati per l’applicazione,modifica,proroga e la revoca delle misure di
sicurezza o per il trattamento dei condannati.
Assicurano il reinserimento dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive. Inoltre, prestano su richiesta, opere di
consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario.

Gli assistenti sociali che qui lavorano svolgono compiti di sorveglianza e assistenza dei soggetti ammessi alle misure
alternative di detenzione,nonché compiti di sostegno e assistenza a coloro che sono sottoposti alla libertà vigilata.

Infine, Il DIPARTIMENTO dell’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, istituito dalla l. 395/90 si occupa dell’attuazione


della politica dell’ordine e della sicurezza negli istituti e dei condannati e internati ammessi a fruire delle misure
alternative alla detenzione; del coordinamento tecnico operativo, direzione ed amministrazione del personale e dei
collaboratori esterni dell’amministrazione; della direzione e gestione dei supporti tecnici.
La riforma dell’assetto organizzativo del DIPARTIMENTO prevista dal decreto legislativo 300/99 è stata
progressivamente attuata con il dgl del 2000, dai decreti ministeriali del 2002 e del 2007.

Sul versante minorile, gli ISTITUTI PENALI MINORILI assicurano l’esecuzione dei provvedimenti dell’autorità
giudiziaria (custodia cautelare/ espiazione /pena) nei confronti dei minori. Attualmente sono 17; di cui 4 sezioni
femminili, disciplinati dalla Circolare del 2006 n. 5391.

Sovraffollamento suicidi:

Sono gravi le condizioni in cui versa la situazione degli istituti penitenziari. La relazione del ministro della giustizia
dell’anno 2012 descrive condizione di precarietà di fantascienza degli istituti per lo più adibiti alle vetustà degli edifici
risalenti per il 20% al periodo che va dal 1200 1500, per il 60% dal 1600 al 1800 e per il restante 20% dal 1900 al
2000, inoltre carenza di fondi.
Si evidenzia inoltre che negli ultimi vent’anni sono intervenute disposizioni legislative che hanno imposto
adeguamento delle strutture, in realtà sono infatti realizzato a causa degli elevati costi da sostenere ciò si aggiunge il
trend di continua crescita della popolazione detenuta.
Le politiche penitenziaria degli ultimi anni sono state pertanto orientata al reperimento di nuovi posti detentive.

Sul versante lavorativo nella stessa relazione si legge che solo un quinto dei detenuti svolge, a rotazione, un’attività
lavorativa, mentre l’ordinamento penitenziario ne prevede l’obbligo per i condannati, che sono intrepidi della
popolazione ristretta. Ciò determinerebbe conseguenze negative sulla disciplina degli istituti.
Per rapporti dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione ha denunciato la brevissima situazione in cui versavano
gli istituti penitenziari, definendo, intollerabile la condizione di vita delle persone detenute, è costretto a subire gli
effetti di un sovraffollamento mai visto nella storia d’Italia.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
I detenuti hanno raggiunto il numero record di circa 64.000, ben 20.000 in più rispetto alla capienza regolamentare
detta capienza tollerabile. Ci sono regioni dove il numero di detenuti quasi il doppio di quello consentito ad esempio
l’Emilia-Romagna presenta un tasso di affollamento del 193%.
Nonostante il costo medio giornaliero di un detenuto si è di € 157 poco più di tre euro sono destinati ai tre pasti
giornalieri e cinque alla salute. Tutto il resto e spese fisse: manutenzione dei fabbricati, personale gestione ordinaria.
Si segnala altresì l’intollerabilità dell’insostenibilità del carico di lavoro attribuito al personale penitenziario, sono
circa 16.000 gli agenti della polizia penitenziaria, con evidenza carenza di organico, più presente al nord. I dirigenti in
servizio effettivo sono invece 512 ossia uno ogni 123 detenuti.
Gli educatori sono 777 di cui più o meno 400 lavorano effettivamente nelle carceri uno ogni 157 detenuti. Gli
assistenti sociali sono 1140 di cui circa 900 lavorano negli uffici per l’esecuzione penale esterna. Nel 2009 il dossier
morire di carcere denunciato lo stato di difficoltà di abbandono in cui si trovava la sanità penitenziaria forniva dati
allarmanti per quanto riguarda l’aumento dei suicidi in carcere. In 10 anni sono morti più di 1500 detenuti, di cui
oltre un terzo per suicidio.

Il rapporto dell’associazione Antigone definisce la situazione delle carceri italiane al 2011: numero degli istituti 206,
detenuti presenti circa 67.000, donne presenti circa 3000, stranieri presenti circa 24.000.

In tutti gli istituti nei quali si è registrato più di un suicidio nell’anno 2011 il tasso di sovraffollamento risulta essere
superiore alla media nazionale in carcere si suicida circa un detenuto ogni 1000, fuori dal carcere circa una persona
ogni 20.000. Oltre alle condizioni di sovraffollamento segnala altre criticità: blocco degli incentivi alle assunzioni dei
detenuti, la dimensione del budget per la regolazione dei detenuti lavoratori, la presenza di circa 40.000 unità nella
pianta organica della polizia penitenziaria su un fabbisogno di 45.000.

Le spese per i servizi provviste di ogni genere inerente al mantenimento dei detenuti e degli internati negli istituti di
prevenzione e di pena, spese per la pulizia dei locali degli istituti di pena nelle caserme generano un quadro generale
allarmante. La sezione carceraria lascia intravedere infine una condizione disperata dal punto di vista del rispetto dei
diritti umani. Si segnalano lacune normative che si sono stratificate negli anni come la non attuazione della sentenza
del 99 della corte costituzionale che dichiarò l’illegittimità costituzionale degli articoli 35 69 che sostanzialmente
denuncia la non attuazione contro la tortura che prevede l’istituzione di organismi indipendenti di controllo e
monitoraggio di tutti i luoghi di privazione della libertà.

CONSIDERAZIONI CRITICHE FINALI:

In seguito alla rivoluzione civili e culturali che hanno caratterizzato il secolo dei lumi, la punizione verso il proprio
carattere di spettacolarizzazione, l’istituzione carceraria ha assunto dalla prima volta una funzione riabilitativa e
recuperatrice. Una lettura possibile di questa evoluzione è quella che vede il passaggio dalle pene che gravitano
sull’economia politica dei corpi, quelle che investono sull’economia politica dello spirito: la lettura storica offerta da
Foucault con l’umanizzazione dei castighi.

Un’altra possibile lettura del processo evolutivo è quella più radicale che per lo sviluppo della pena la necessità, per
la società civile, di produrre un ordine sociale fondato sulla censura, e dunque sull’azione delle leggi repressive. Il
mutamento sociale avviato con l’opera riformatrice del Settecento con l’avvento dell’industrializzazione la nascita
del capitalismo, ha posto al centro dell’emergenza politica il problema pedagogico, mettendo in risalto il legame
intercorrente individuo, l’educazione, cultura e la struttura sociale. L’ordine sociale non poteva essere raggiunto
solamente attraverso l’azione delle leggi repressive e per mantenere il controllo, la società dovette ricorrere a mezzi
ausiliari indiretti per influire sull’inclinazione dei membri.

Helvetius affermava la necessità dell’esistenza di una legge che sancisse un codice etico di condotta, obbligatorio per
tutti, alla centralità dell’educazione allo sviluppo di un sentimento indirizzato verso la morale stabilito dal legislatore.
Egli mette in evidenza soprattutto l’importanza dell’educazione come sostegno primario di ogni mutamento culturale
e sociale. Il passaggio dal vecchio al nuovo ordine sociale determinava l’esigenza di addestrare gli uomini ad essere
dei buoni cittadini, nell’esercizio dei propri diritti dei propri doveri, e la pena diveniva un modo per costruire e
ricostruire l’umanità danneggiata attraverso il reato, recuperando una risorsa essenziale della democrazia: il
cittadino. Per tale ragione il carcere sostituiva e si configurava come un luogo per salvaguardare i diritti umani, sociali
e di cittadinanza dei detenuti, in vista del loro pieno reinserimento sociale.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)
Questi principi hanno tentato il legislatore nella legge realizzazione della riforma penitenziaria del 1975, ispirano
ancora oggi le più recenti circolari citate pongono al centro del trattamento penitenziario intervento educativo.
Lamberto borghi sottolineava “prima di essere strutturata adesso istituti, una determinata società esiste nel costume
nelle disposizioni degli animi dei suoi membri……

Educare all’autonomia del giudizio vuol dire…… Preparare le basi genuine di una società di uomini liberi”. Il tema
politico della legalità si connette dunque la dimensione pedagogica, perché l’affermazione di diversi gradi di
democrazia nella storia delle società si fonda sulla necessaria capacità di concertazione condivisione delle regole
stabilite nel contratto sociale della convivenza civile.

La stessa forma politica del governo democratico assume una funzione costruttiva della società in quanto configura
la formazione dei valori la definizione delle priorità. L’utilizzo del carcere come Extrema ratio, come luogo di giuste e
severe pene, ma tendente al recupero della persona è stata sepolta da fiumi di parole che la politica dei differenti
posizioni culturali hanno fatto scorrere, a dispetto delle conquiste registrate sul piano dei diritti umani. Lo si è usato
invece come strumento sostitutivo di risposte sociale che non sia in grado di dare. Non si volevano dare. Una sorta di
discarica sociale che accoglie elevate quote di persone svantaggiate o provenienti dall’area del disagio e della
marginalità. Il presidente della camera dei deputati ha sottolineato come il livello di civiltà di un paese si misuri dalla
praticità del suo sistema penitenziario di recuperare chi ha violato le regole fondamentali della convivenza civile. Si
riscontra l’impossibilità dell’istituzione totale di raggiungere gli obiettivi per seguire sul capo. Il carcere è quasi
sempre un luogo di non diritto. Appare nostro avviso necessario intervenire con opportuni investimenti economici e
culturali affinché trattamento penitenziario, sempre più orientato verso logico di de carceri, possa formarsi
concretamente sul principio della conversione pedagogica finalizzata reinserimento civile fortemente auspicata dalla
riforma penitenziaria del 1975, ma troppo spesso considerata irraggiungibile.

Document shared on https://www.docsity.com/it/educazione-in-carcere-4/8088598/


Downloaded by: fabianabordoni97 (fabianabordoni97@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche