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Maternità Infrante

«Dunque ,la madre assassina, lei, ebbe figli obbedienti con gli occhi azzurri pieni di tanto disperato amore,
mentre io, madre affettuosa, ho questo figlio che non è né obbediente, né disobbediente»
-Porcile, Pier Paolo Pasolini-

Il conflitto nel primo periodo post parto fra la donna e la nuova condizione di madre della stessa, sembra
sempre essere stato un ambito d’indagine di minore interesse rispetto ai drammatici esiti che talvolta ha
assunto. L’infanticidio, ad esempio, può provarcelo. Da crimine capitale, a comprensibile misfatto, sempre il
giudizio mirava accusare la donna entro i limiti del peccato della sua natura, non nella sua complessità.
Gli studi dai Lumi in poi, hanno ausiliato l’apertura verso nuovi ambiti d’indagine, concorrendo ad ampliare lo
spettro d’indagine. Sebbene oggi certe teorie si possano ritenere superate, ancora il fenomeno può rivelarsi
argomento di dibattito e confronto. Le complicanze psicologiche post parto ci richiedono di interrogarci ancora
molto sul tema, dalle cause endogene ad esogene, restituendo risposte, forse, più facili dei quesiti

Il dizionario etimologico riporta come origine del lemma “Madre” la radice sanscrita ma la
quale indica misurare. Madre quindi è colei che misura, prepara, dispone.1 Ed in effetti la
maternità, attesa, esercitata, negata… è una disposizione d’animo, un sentimento prima d’essere
condizione fisica. L’evento della nascita è solitamente accolto socialmente con gioia, ma
affermare che sia sempre così potrebbe condurci in errore.
L’infanticidio è per definizione il reato della donna, neo madre, ed ha fatto parte della storia
umana sin dai suoi esordi. Si tratta di un fenomeno complesso che muove le proprie fondamenta
da un profondo turbamento psico-fisico, il quale inserito in un contesto di disagio sociale assume
alti dati nella casistica.
Non verrà fatta menzione di quelle forme di infanticio rituale, o come metodo di controllo delle
nascite, poiché il soggetto primario dell’approfondimento è la condizione della neo madre, e la
ricerca delle cause che, soprattutto nelle forme di società occidentali, creano le condizioni di tale
atto.
Conscia degli inevitabili limiti che il tema stesso comporta, è chiaro che il fenomeno analizzato
non ha l’intenzione di restituire un quadro oggettivo dell’infanticidio in Italia, anche perché i
numeri riportati non restituiscono un’immagine ravvisabile ad emergenza sociale, e i dati non
sono aggiornati ad anni recenti. Casi sporadici, che creano sempre un certo scalpore nelle
cronache giornalistiche, nascondono in realtà sintomi di problematiche che riguardano la neo

1
Dizionario etimologico ("madre"), su etimo.it.
1
madre conosciute da tempo.
Eseguendo un breve excursus storico della definizione e modifiche del reato di infanticidio,
commesso dalla madre del neonato possiamo comprendere come via via, il fatto prenda
coscienza della sua gravità nel corpus legislativo, delegittimandolo dai meri caratteri di una
follia, sempre meno corrisposto nei suoi termini organico-biologici, ma attento ai fattori sociali,
come infatti riportato da Giovanna Fiume nel passo del capitolo «Madri Snaturate» a proposito
degli studi di Esquirol e la scuola alienista:

«Avevano ragione quando l’attribuivano allo sconvolgimento delle facoltà morali delle
donne, prodotte dalle condizioni sociali in cui la gravidanza si collocava. È una psicosi da
contesto quella descritta da questi medici che conoscevano le donne entro gli ospedali
psichiatrici»2.

Oggetto di depenalizzazione, nella letteratura giuridica fra Ottocento e Novecento era


l’ambiguità della maternità illegittima come causa dell’omicidio del bambino nei primi momenti
successivi alla nascita, spesso oggetto di attenzioni che la identificavano come “patologia
sociale”. All’attenzione del fenomeno vi erano sì le cause d’illegittimità, ma anche della follia
puerperale, l’allarme per l’alto numero degli abbandoni o scomparse infantili che costellavano
le cronache ottocentesche.
A partire dalla natura stessa dell’infanticidio, è chiaramente percepita una netta disparità, tale
per cui è impossibile raffrontarla con l’omicidio. Ancora non chiari sono i limiti che nella
giurisdizione romana assumeva lo ius vitae ac necis, anche per la contemplazione del padre come
soggetto unico attivo nell’applicazione della norma di decidere per la vita o la morte dei propri
figli. Ma a partire proprio dalla delegittimazione del reato, è percepibile un atteggiamento di
accondiscendenza e comprensione per quelle madri che innanzi al banco degli imputati dovevano
rispondere di tale accusa: i casi di donne sole con figli illegittimi trovavano quasi sempre
assoluzione. E a partire dagli esempi tratti dalla Fiume, ne traiamo che proprio la condizione
sociale è il perno per la ridefinizione del reato. Nello stesso articolo del codice penale italiano
art. 578 si richiamano al primo comma le «condizioni di abbandono morale o materiale connesse
al parto»:

«La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del

2
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 114
2
feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale
connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono
nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia,
se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a
due terzi.»3

Inoltre, la giurisdizione italiana opera una differenziazione fra i termini “infanticidio” e


“figlicidio”, nel primo caso la vittima ha da un giorno ad un anno di età, nel secondo dall’anno
in poi. Per l’infanticidio viene applicato l’articolo 578, poiché il fatto in essere non deve
comprendere elementi di premeditazione (le note “condizioni di abbandono materiale e morale”).
Dal Medioevo era punito con la pena capitale, e addirittura le pene si inasprirono
successivamente la diffusione del Cristianesimo:

« In questo periodo si inizia a ricollegare l’infanticidio con la maternità illegittima, come si


nota nel regolamento gregoriano (artt. 276, 280). Questo, per la severa morale sessuale,
costituiva un motivo di valutazione aggravata dell’infanticidio, se si considera che la donna era
colpevole doppiamente, per l’uccisione del figlio e per la violazione dei tabù sessuali.»4.

Bisognerà attendere l’Illuminismo per sganciare l’aggravante dell’illegittimità dal reato di


infanticidio per renderla un’attenuante. Ed infatti i casi riportati dalla Fiume fanno soprattutto
riferimento a processi ottocenteschi, i quali culminavano con l’assoluzione della imputata
proprio perché i termini che nella legislazione medioevale costituivano aggravanti, decadevano,
a favore delle attenuanti afferenti -anche- alla condizione d’instabilità psicologica dovuta ai
periodi immediatamente successivi al parto:

«Il contesto in cui questa svolta si colloca è quello ereditato dai Lumi, di un generale processo
della disciplina che abbandona l'astrazione e la tradizione per dedicarsi all'osservazione dei
sintomi. Le teorie umorali cedono via via il passo al solidismo, e i sintomi sono analizzati con
esattezza, l'anatomia patologica getta i suoi primi passi»5.

3
Codice penale italiano, Libro II, Titolo XII, Capo I
4
Gaglione Emanuela, MADRI CHE UCCIDONO I FIGLI: aspetti giuridici e psicopatologici, 5°Corso di formazione
In psicologia giuridica, psicopatologia e psicodiagnostica forense. Teoria e tecnica della perizia e della consulenza
tecnica in ambito civile, penale adulti e minorile. Pg. 12
5
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 87
3
Sebbene proprio da questo momento una nuova attenzione abbia messo in luce il fenomeno,
delineandone le singolarità, ancora bisognerà attendere prima che la compassione del giudice
affiancasse una riconosciuta analisi scientifico-clinica delle cause endogene di tali
comportamenti. La criminologia ha comunque per lungo tempo, parallelamente alla società di
contesto, continuato a dare un peso inferiore alla donna come soggetto “deviante” in materia
criminosa, e il dato biologico-ormonale come spiegazione della disfunzione ha sostenuto molte
sentenze di assoluzione. Da considerare anche lo storico disequilibrio fra la criminalità maschile
e quella femminile, la quale a minor incidenza di casi, dà maggior risalto qualitativamente alle
azioni criminali della donna.
Oggi la follia puerperale viene espressa con molteplici espressioni, ognuno qualificante stadi
di durata e sintomatologia definiti: baby blues, depressione post-partum, maternity blues, sino
alla condizione psichiatrica della psicosi puerperale. Nel capitolo “Madri Snaturate” viene così
descritta:

«La depressione puerperale, infine, e è caratterizzata da stanchezza, irritabilità, ansietà che


può produrre sintomi fobici. La vulnerabilità delle neo-madri e causata dallo stress del parto,
dalla mancanza di sonno, e dalla fatica del child care, dalla loro giovane età, dalle povere le
relazioni affettive con il marito ed in generale con l'assenza di rapporti sociali»6.

Alla comune sintomatologia della depressione si innestano problematiche legate al bambino,


la cui presenza può generare fonte di stress e frustrazione generando la paura di fargli del male,
o di non sentirsi all’altezza.
Secondo il sito del Ministero della Salute riporta un incidenza dal 7 al 12%, le prime
manifestazioni si hanno fra la 6° e la 12° settimana dopo il parto 7. Altri dati indicativi del
fenomeno sono stati rilevati dall'American Psychological Association che sottolineano come sia
più frequente nelle giovani madri, alla loro prima gravidanza, o nelle madri più anziane, per la
metà di esse si tratta del primo episodio depressivo8.
Phillip J. Resnick, psichiatra e docente presso l’ University Hospitals of Cleveland, nel 1969

6
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 112
7
Portale Ministero della salute:
https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?area=Salute%20donna&id=4496&menu
=patologie Dati aggiornati al 21 aprile 2020.
8
Portale American Psychological Association:
Postpartum depression: Causes, symptoms, risk factors, and treatment options:
https://www.apa.org/pi/women/resources/reports/postpartum-depression
4
pubblicava un articolo sull’infanticidio sul American Journal of Psychiatry, distinguendo cinque
classi di cause basate sui motivi apparenti, e di fatto delineando alcuni degli aspetti a noi già noti:

• Figlicidio altruistico
• Figlicidio a elevata componente psicotica
• Figlicidio di bambino indesiderato
• Figlicidio accidentale
• Figlicidio per vendetta sul coniuge

Le ricerche di Resnick prendono in esame 131 casi particolari di figlicidi avvenuti negli Stati
Uniti dal 1951 al 1967, di cui 88 commessi da madri e 43 dai padri delle vittime, non si basano
sulle diagnosi psichiatriche, bensì sulle testimonianze dirette delle imputate. A partire
dall’esordio del suo studio ci informa che nell’anno 1966 gli Stati Uniti avevano registrato un
numero di casi di infanticidi pari a 10.9209. In seguito egli elabora una tabella dove prende in
studio le percentuali d’incidenza delle classi descritte sui casi in esame divise fra padri e madri10:

9
Philip J. Resnick, Child Murder by Parents: A Psychiatric Review of Filicide, American Journal of Psychiatry
1969/09 Vol. 126; Iss. 3, pg 324
10
Ibidem, pg 329
5
Effettuando una lettura più approfondita della tabella, il confronto con i casi commessi dagli
uomini è utile a tracciare una linea volta ad evidenziare il conflitto femminile con la condizione
materna, a partire dai casi studiati, i cui dati che vedono contemplate attenzioni dirette al bambino
(nella fattispecie le voci: figlicidio altruistico e figlicidio di un bambino indesiderato) non solo
rappresentano le voci con la quota maggiore rispetto agli altri, ma anche raffrontate con quelle
della colonna maschile ricoprono un livello maggiore. La formula “figlicidio altruistico” designa
una particolare condizione per la quale l’omicida causa la morte dell’infante al fine di
proteggerlo dai pericoli del mondo, per sottrarlo dai mali che la vita gli causerà, molto spesso
dopo la morte del bambino segue il suicidio dell’uccisore, nella tabella è stato effettuato un
distinguo. È stato notato come episodi di tale dinamica avvengano in situazioni di particolare
indigenza economica, in contesti di solitudine e abbandono.
Utili sono anche i dati che delineano un profilo della vittima, dagli studi effettuati sugli omicidi
con vittime minorenni nella giurisdizione territoriale della Procura di Milano e Monza tra il 1993
e il 2017, dalla Società Italiana di Criminologia, pubblicati nella Rassegna Italiana di
Criminologia, guardano con attenzione al fenomeno:

Tutti i dati relativi alle morti di Infanti e Bambini riferiscono provenienza italiana, del 20%
relativo agli omicidi infantili il 57% è rappresentato da vittime di sesso femminile, lo studio
rileva che nel 85% dei casi la colpevole è la madre. In questa fascia le cause di morte avvengono
per il 64% per asfissia e accoltellamento. Il luogo del delitto è nel 72% dei casi presi in esame
un luogo domestico.
Anche per quanto riguarda la fascia d’età corrispondente al bambino il luogo dell’omicidio
rimane in prevalenza la casa d’abitazione (75%), ma solo il 25% è vittima della propria madre.
Lo studio contempla anche i casi di omicidio-suicidio che ricoprono il 14% dell’intero
(contemplando quindi anche gli adolescenti). Rispetto al campione analizzato le madri risultano
essere per quasi la metà dei casi analizzati il primo soggetto omicida (42%), seguito dal padre
della vittima; viene poi il soggetto conoscente ed infine sconosciuto. Anche questo studio osserva
e mette in luce una tendenza relativa al profilo della madre infanticida a noi già nota:

« Ourfindings align with the international literature, that further-more showed how mothers’
risk of perpetration was associated with economic stress, unemployment, younger age, social
isolation, lack of social support. […] We can consider unwanted pregnancy, lack of social
support, marital or relationship conflict the main reasons why parents kill their baby in our area
sample, especially referring to the infants (0-1 y-o) age range. Moreover, pregnancy negation
6
and/or conscious concealment of it (Karakasi, Markopoulou &Tentes, 2017) frequently occurred
before the killing of the newborn by the mother»11

Un'ulteriore approfondimento nelle categorizzazioni, focalizzate sui comportamenti delle


madri più nello specifico sono state operate dallo psichiatra e Presidente della Società Nazionale
di Psichiatria Forense Giancarlo Nivoli, distinguendo il “figlicidio causato da un agire omissivo
di madri passive e negligenti”, nel quale «la morte del bambino […] non è infatti determinata
da gesti concreti, è semmai causata da comportamenti passivi e omissivi: alimentazione
insufficiente, mancato ricorso a cure mediche in seguito a una malattia, accudimento superficiale
e sbadato»12, dalle “Madri che uccidono i figli trasformati in capri espiatori di tutte le loro
frustrazioni” altra categorizzazione, le quali soffrono di manie, deliri e si riscontra la presenza
malattie mentali. È importante notare che l’uccisione del bambino non è sempre il risultato di un
processo di malattia mentale patologico, è necessario rilevare lo stato in sede d’indagine,
mediante perizia psichiatrica che riveli la mancanza di intendere e volere, unica “cartine di
tornasole” per una definizione delle attenuanti.
Era stata rilevata da un’indagine dall’ISTAT il numero di denunce per reati a danni dei minori
durante il periodo 2008-2014, riscontrando una, già anticipata, poca incidenza del fenomeno la
quale, sebbene presente, possiamo presupporre sia certamente poco praticata, ma probabilmente
anche poco denunciata, rispetto ad altre violazioni a danno di minorenni. (fig.1)
I recenti studi dello stesso Istituto focalizzati sull’incidenza dei crimini in Italia nel biennio
2019-2020 rileva che l’infanticidio è l’ultima delle cause di detenzione femminile, i cui reati
rispetto al totale, vedono un’incidenza generale minore di atti violenti contro le persone. (fig2)
È, comunque, noto sin dai primi studi ottocenteschi in materia criminale che la donna è, rispetto
all’uomo, meno incline alla devianza criminale, anche per quanto riguarda i reati minori e
sebbene le ragioni siano individuabili nel ruolo di ordine sociale che ella ricopriva, più marginale
data la collocazione domestica della maggior parte delle attività quotidiane, la preminente lettura
maschilista ne spiega le ragioni alla base come di una generale “inferiorità”, che restituisce a
spiegazione dell’atto criminale femminile o una intrinseca “malignità dell’animo”, o in maniera
più spicciola di follia, isteria. Negligente serietà giudiziaria applicata ad esordienti studi in
materia organico-clinica in ambito medico, hanno fatto in modo che per molto tempo le
“condizioni di abbandono materiale e morale” espresse nell’articolo 578 non potessero essere

11
AA.VV., Minors victims of homicide in Milan (Italy): 1997-2017, Rassegna Italiana di Criminologia - 1/2020
Volume XIV, numero 1, anno 2020, pg 44-45
12
Vincenzo Mastronardi , Luana De Vita, Federica Umani Ronchi, Alcune ricerche italiane sul fenomeno del
figlicidio, Il Pensiero Scientifico Editore, Supplemento alla Rivista di psichiatria, 2012, 47, 4, pg 14
7
immaginate. Nelle società generalmente, il momento della maternità ha determinato per la donna
un importante evento marcante e forse l’unico, dopo il ruolo di moglie ad indicare un vero e
proprio status, l’unico che al soggetto donna conferiva davvero valore.
Non a caso a chiusura del capitolo «Madri Snaturate», Giovanna Fiume osserva:

«la vana ricerca della medicina di una causa organica della follia puerperale e con la
considerazione diffusa dell’infanticidio a metà tra «atto maldestro o semicriminale», con la
necessità di offrire scappatoie ad un modello sociale di madre troppo normativo, di dare una
spiegazione al rifiuto della maternità e all’aggressività femminile in termini non solo
repressivi»13

Fig.114

Fig.215

13
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 117
14
AA.VV, Membri dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Relazione sulla condizione
dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012-2015, Temi e prospettive dai lavori dell’Osservatorio nazionale per
l’infanzia e l’adolescenza. Pg. 19
15
Report: Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione centrale della Polizia Criminale, Donne e criminalità:
Analisi dei reati commessi dalle donne e della detenzione femminile, pg. 25
8
Con la codifica delle strutture detentive, le donne infanticide trovavano spesso destinazione nei
manicomi, successivamente rinominati O.P.G. con la legge n. 354/1975, cui vengono inclusi
trattamenti afferenti alla cura e alla rieducazione, entro la competenza di un’organizzazione
statale e assistenziale, Basaglia a proposito nota: « a tutti i livelli economici, i problemi fisici, e
psicologici e sociali dell'individuo sono usciti dalla sfera privata, e, sotto la responsabilità di
professionisti e di istituzioni, vengono trattati con procedure burocratiche e da catena di
montaggio»16. La detenzione psichiatrica giudiziaria, se da un lato ha saputo monitorare e isolare
i soggetti, sebbene con criticità che se approfondite risulterebbero occultare lo scopo ultimo di
questa relazione, dall’altro ha steso un “velo di Maya” su un disagio che ha perso un’occasione
di ricerca. La stessa si presenterà alla fine degli anni 90, grazie ad uno studio inglese, pioniere
nel settore, effettuato in conseguenza all'allarme sociale riscontrato nell'alto numero di suicidi
materni. Emerge infatti che nei paesi economicamente sviluppati il suicidio è la seconda causa
di morte nelle madri, e segue solo il dato delle complicazioni emorragiche del parto. Dalla
gravidanza al parto emergono già i primi segnali depressivi, specie in quelle donne che ne hanno
sofferto in passato, un’ondata di acutizzazione dei sintomi segue la nascita.

L’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS) ne ha studiato le criticità, proprio a partire dalla
segnalazione inglese. Il quadro europeo che emerge (fig.3), ci fa guardare senza grandi
preoccupazioni alla situazione italiana (che si attesta con una quota inferiore alla media europea),
ma certamente il fenomeno va tenuto sotto sorveglianza, perché esso rappresenta una causa di
morte indubbiamente evitabile, previa diagnosi e corretto intervento precoce. Il disturbo
depressivo nella donna gravida compromette anche il corretto sviluppo del feto, può creare
situazioni di nascita prematura e sottopeso, perciò andrebbe garantita un’osservazione per tutto
il periodo della maternità non solo medica ma anche psicologica, poiché i sintomi possono
insorgere sia durante la gravidanza ma anche ad una distanza di sei mesi dalla nascita. Riflettendo
sul numero delle visite mediche durante la gravidanza, e pediatriche successivamente, non è
impossibile dedurre che la neo madre abbia un numero sufficiente di contatti con strutture
sanitarie e personale medico che potrebbero accorgersi di un disagio psichico, e deviarlo verso
una presa in carico e una cura. Talvolta però, proprio perché il fenomeno è noto ma non tocca
quote emergenziali non consente di stabilire da subito un’indagine sul disagio psichico della
donna.

16
Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, La Maggioranza deviante, l’ideologia del controllo sociale totale,
Baldini&Castoldi 2013 pg. 88
9
Fig. 317

Fig.418

Fig. 5

17
Primo Rapporto ItOSS Sorveglianza della Mortalità Materna Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS) A cura
di Stefania Dell’Oro, Alice Maraschini , Ilaria Lega, Paola D'Aloja , Silvia Andreozzi e Serena Donati, Cap: Suicidio
materno e disagio psichico perinatale, pg. 49
18
Ibidem, pg.22 (Per cause indirette si intendono quelle cause non direttamente legate al momento del parto)
10
Il grafico della figura 5 illustra l’incidenza regionale del fenomeno ogni 100.000 nati vivi del
citato studio. Il dato che muove una profonda riflessione è la tempistica con cui i suicidi
accadono, la maggior part infatti avviene dopo i 42 giorni successivi al parto ed entro il primo
anno del bambino, con maggior incidenza nelle regioni del nord Italia.
L’evento della maternità certamente identifica un momento di gioia per le famiglie ma è anche
un periodo della vita della donna nel quale è molto più vulnerabile. Non serve insistere con il
dato di una maternità non voluta, reiterata dalle cronache ottocentesche che consentiva in sede
giudiziaria un ammorbidimento del giudice. Non per forza illegittima deve essere la maternità
sgradita, e scontati sarebbero i giudizi che riguarderebbero una generalizzazione del dato
suicidario stabilito solo dalla predisposizione alla malattia mentale di quelle donne che lo
commettono, poiché tocca anche fenomeni come l’interruzione volontaria di gravidanza o
l’aborto spontaneo. Dai dati dello studio sulla Sorveglianza della Mortalità Materna dell’ ItOSS,
i grafici proposti hanno lo scopo di illustrare l’ampiezza e la complessità del fenomeno. Anche
nelle modalità, poiché lo studio effettuato fra il 2006 e 2012 riferisce che più della metà (63%)
delle madri suicide ha utilizzato un metodo di morte violento: per il 37% l’impiccagione e per il
21% il salto nel vuoto.

Fig. 619

Fig. 720

19
Ilaria Lega, Alice Maraschini, Monica Vichi, Marzia Loghi, Paola D’Aloja, Silvia Andreozzi, Camilla Lupi, Luca
Merlino, Serena Donati e il gruppo di lavoro ISS-Regioni, Il suicidio materno in Italia attraverso i dati dell’Italian
Obstetric Surveillance System (ItOSS) XLIII Convegno AIE – 2019, pg. 10
20
Ilaria Lega, Alice Maraschini, Monica Vichi, Marzia Loghi, Paola D’Aloja, Silvia Andreozzi, Camilla Lupi, Luca
Merlino, Serena Donati e il gruppo di lavoro ISS-Regioni, Il suicidio materno in Italia attraverso i dati dell’Italian
Obstetric Surveillance System (ItOSS) XLIII Convegno AIE – 2019, pg. 9
11
La tabella proposta (Fig. 7) ha lo scopo di delineare un generale profilo della vittima media di
suicidio legato alla gravidanza per tipologia di situazione. Alte sono le cifre di donne italiane,
rispetto ad altre nazionalità, spesso tutte alla prima gravidanza. La fascia d’età 25-39 anni è la
più vulnerabile per quanto riguarda le Interruzioni volontarie, mentre per i casi di aborto
spontaneo è la fascia sopra i quarant’anni.
Questo studio potrebbe aiutare il personale sanitario ad orientare le attenzioni per un precoce
intervento di prevenzione, senza mai ignorare che ottimale sarebbe la creazione di una rete di
contatti coordinati fra le sedi del territorio in materia di cura al bambino e sostegno psicologico
alla madre.
Nella presente ricerca, in più di un passo sono state dichiarate, quali cause del malessere
materno elementi esogeni, correlati al contesto sociale. Possiamo affermare che le dinamiche,
trasversalmente ai secoli hanno, da una parte forse troppo insistito nel dato di “femmina
genitrice”, ovvero donna che afferma sé stessa mediante la capacità di “dare alla luce un
bambino” e, dall’altra iper responsabilizzato la madre nelle cure e nei processi educativi dei figli,
insistendo con una certa ostinazione nell’immagine di “buona madre”. Poche volte si è operata
una distinzione per quanto riguarda i ruoli di donna e madre, tant’è che innumerevoli sono gli
esempi di donne ripudiate poiché impossibilitate ad avere figli. Sicuramente le ricerche in ambito
medico hanno creato i presupposti di ricerca per scandagliare le cause biologico-organiche
dovute ad un incremento di rilascio ormonale post parto, il quale indubbiamente riversa sul tono
dell’umore creando disequilibrio.
Dalle ricerche prese in esame per la stesura dell’elaborato sono emersi due fondamentali
momenti che hanno concorso a diminuire i casi di infanticidio anche se non riguardano nello
specifico le conseguenze psicologiche che una donna attraversa dopo il parto, sebbene non
abbiano concorso a contribuire in maniera così impattante sul fenomeno. La prima, sicuramente
riguarda la legge 194 del 22 maggio 1978, sull’interruzione volontaria di gravidanza, poi
riconfermata tramite referendum popolare tre anni dopo, presupponibile è una diminuzione dei
casi di omicidio di neonati da parte delle madri, ma una comparazione di dati non è al momento
possibile. In seguito l’introduzione dell’articolo 30 del 3 Novembre 2000 n. 396, in forma di
Decreto del Presidente della Repubblica, l’allora Carlo Azelio Ciampi, che assicura e tutela la
madre che intende partorire in anonimato, consentendole di lasciare il bambino al sicuro in
ospedale. Anche percorrendo ipotesi in questa direzione, è possibile vagheggiare su di un
andamento in discesa per il totale degli infanticidi, senza pur raffrontali a dati certi. Nondimeno
si riscontra un tasso di clandestinità per questo genere di delitti, i numeri, quindi, non sono mai
specchio di una realtà chiara, ma un utile ausilio di andamento del fenomeno, e approfondimento

12
delle cause.
Avendo facilitato l’allontanamento del bambino dalla madre, però, non si è concluso il
processo di comprensione dei modelli che la società (soprattutto) occidentale applica creando
una tensione fra la il soggetto donna e il ruolo che le viene richiesto di assumere. Volgendo lo
sguardo ad altri modelli sociali, potremmo forse comprendere al meglio come un dislocamento,
soprattutto rispetto al dato educativo- domestico, consenta alla madre un relativo rapido rientro
alle mansioni che ella svolgeva prima del parto, riassorbendo anche le tensioni che,
inevitabilmente, la solitudine della maternità comporta. Questo modello è stato descritto dallo
psicanalista austriaco Bruno Bettelheim, quando nel 1964 trascorse due settimane in Israele al
fine di studiare le comunità collettive dei Kibbutz. Sebbene la sua ricerca fosse focalizzata su di
un modello educativo che non contemplasse la predominante presenza dei genitori, viene
comunque proposto uno spunto per una riflessione acuta sul ruolo della donna, la quale nella
cultura ebrea assume particolare rilevanza poiché è l’unico soggetto delle comunità a dare,
tradizionalmente, continuità al popolo ebraico:

«E, contemporaneamente, (le donne) osarono anche prendere coscienza di certe ansie comuni,
agendo su di esse con una libertà che donne più convenzionali non avrebbero mai avuto. Mi
riferisco, in particolare, al timore di non poter essere delle buone madri. […] organizzando la
cura del bambino, la donna del kibbutz rifiutò quello che […] era considerato il trattamento
“materno”.
[…] Alla donna della generazione dei fondatori la vita di sua madre offriva un esempio così
totale di dedizione ai figli, che non poteva pensare di identificarsi con una parte di essa. […] Il
sistema educativo del kibbutz protegge il bambino dagli effetti negativi di una cattiva madre, e
questo da genitori o educatori i quali sostenevano che la madre, perfino nel kibbutz, è molto
importante nella vita del bambino. […] se le donne non desideravano dedicarsi tanto
esclusivamente ai figli quanto le loro madri, dovevano chiedere assai meno in cambio. […]
affidando i figli alle metapelet (balia o educatrice che segue la vita e l’educazione dei bambini
nel kibbutz), che avrebbero dato loro di meno, ma avrebbero anche chiesto pochissimo. Queste
metapelet non avrebbero annullato, divorato il bambino, come faceva la madre del ghetto»21

Sebbene non privo di criticità, che il libro nella sua interezza rivela, fra le dinamiche madre-
figlio e metapelet-figlio, rimane certo che tale sistema ha generato figli meno attaccati alle madri,
più autonomi e senza che venisse a crearsi conflitto per primeggiare sugli altri membri del

21
Bruno Bettelheim, I figli del Sogno, Oscar Saggi Mondadori, febbraio 1977 , pg 39, 41
13
kibbutz.
Il lavoro, la produzione, scopo di queste comunità mette in secondo piano i rapporti singoli fra
famigliari per promuovere il nucleo intero della collettività. Inversamente al modello
preponderante che viviamo, nel quale la madre è percepita quasi più responsabile del padre
nell’educazione dei figli, certamente lasciata impreparata a svolgere tutte le mansioni che le
vengono richieste, celando forse, nella fragilità della follia, madri vulnerabili e donne sole.

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Bibliografia:
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AA.VV., Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012-2015,
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Alice Maraschini , Ilaria Lega, Paola D'Aloja , Silvia Andreozzi e Serena Donati
XLIII Convegno AIE – 2019, Ilaria Lega, Alice Maraschini, Monica Vichi, Marzia Loghi,
Paola D’Aloja, Silvia Andreozzi, Camilla Lupi, Luca Merlino, Serena Donati e il gruppo di
lavoro ISS-Regioni, Il suicidio materno in Italia attraverso i dati dell’Italian Obstetric
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Bruno Bettelheim, I figli del Sogno, Oscar Saggi Mondadori, febbraio 1977

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