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«Dunque ,la madre assassina, lei, ebbe figli obbedienti con gli occhi azzurri pieni di tanto disperato amore,
mentre io, madre affettuosa, ho questo figlio che non è né obbediente, né disobbediente»
-Porcile, Pier Paolo Pasolini-
Il conflitto nel primo periodo post parto fra la donna e la nuova condizione di madre della stessa, sembra
sempre essere stato un ambito d’indagine di minore interesse rispetto ai drammatici esiti che talvolta ha
assunto. L’infanticidio, ad esempio, può provarcelo. Da crimine capitale, a comprensibile misfatto, sempre il
giudizio mirava accusare la donna entro i limiti del peccato della sua natura, non nella sua complessità.
Gli studi dai Lumi in poi, hanno ausiliato l’apertura verso nuovi ambiti d’indagine, concorrendo ad ampliare lo
spettro d’indagine. Sebbene oggi certe teorie si possano ritenere superate, ancora il fenomeno può rivelarsi
argomento di dibattito e confronto. Le complicanze psicologiche post parto ci richiedono di interrogarci ancora
molto sul tema, dalle cause endogene ad esogene, restituendo risposte, forse, più facili dei quesiti
Il dizionario etimologico riporta come origine del lemma “Madre” la radice sanscrita ma la
quale indica misurare. Madre quindi è colei che misura, prepara, dispone.1 Ed in effetti la
maternità, attesa, esercitata, negata… è una disposizione d’animo, un sentimento prima d’essere
condizione fisica. L’evento della nascita è solitamente accolto socialmente con gioia, ma
affermare che sia sempre così potrebbe condurci in errore.
L’infanticidio è per definizione il reato della donna, neo madre, ed ha fatto parte della storia
umana sin dai suoi esordi. Si tratta di un fenomeno complesso che muove le proprie fondamenta
da un profondo turbamento psico-fisico, il quale inserito in un contesto di disagio sociale assume
alti dati nella casistica.
Non verrà fatta menzione di quelle forme di infanticio rituale, o come metodo di controllo delle
nascite, poiché il soggetto primario dell’approfondimento è la condizione della neo madre, e la
ricerca delle cause che, soprattutto nelle forme di società occidentali, creano le condizioni di tale
atto.
Conscia degli inevitabili limiti che il tema stesso comporta, è chiaro che il fenomeno analizzato
non ha l’intenzione di restituire un quadro oggettivo dell’infanticidio in Italia, anche perché i
numeri riportati non restituiscono un’immagine ravvisabile ad emergenza sociale, e i dati non
sono aggiornati ad anni recenti. Casi sporadici, che creano sempre un certo scalpore nelle
cronache giornalistiche, nascondono in realtà sintomi di problematiche che riguardano la neo
1
Dizionario etimologico ("madre"), su etimo.it.
1
madre conosciute da tempo.
Eseguendo un breve excursus storico della definizione e modifiche del reato di infanticidio,
commesso dalla madre del neonato possiamo comprendere come via via, il fatto prenda
coscienza della sua gravità nel corpus legislativo, delegittimandolo dai meri caratteri di una
follia, sempre meno corrisposto nei suoi termini organico-biologici, ma attento ai fattori sociali,
come infatti riportato da Giovanna Fiume nel passo del capitolo «Madri Snaturate» a proposito
degli studi di Esquirol e la scuola alienista:
«Avevano ragione quando l’attribuivano allo sconvolgimento delle facoltà morali delle
donne, prodotte dalle condizioni sociali in cui la gravidanza si collocava. È una psicosi da
contesto quella descritta da questi medici che conoscevano le donne entro gli ospedali
psichiatrici»2.
«La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del
2
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 114
2
feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale
connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono
nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia,
se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a
due terzi.»3
«Il contesto in cui questa svolta si colloca è quello ereditato dai Lumi, di un generale processo
della disciplina che abbandona l'astrazione e la tradizione per dedicarsi all'osservazione dei
sintomi. Le teorie umorali cedono via via il passo al solidismo, e i sintomi sono analizzati con
esattezza, l'anatomia patologica getta i suoi primi passi»5.
3
Codice penale italiano, Libro II, Titolo XII, Capo I
4
Gaglione Emanuela, MADRI CHE UCCIDONO I FIGLI: aspetti giuridici e psicopatologici, 5°Corso di formazione
In psicologia giuridica, psicopatologia e psicodiagnostica forense. Teoria e tecnica della perizia e della consulenza
tecnica in ambito civile, penale adulti e minorile. Pg. 12
5
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 87
3
Sebbene proprio da questo momento una nuova attenzione abbia messo in luce il fenomeno,
delineandone le singolarità, ancora bisognerà attendere prima che la compassione del giudice
affiancasse una riconosciuta analisi scientifico-clinica delle cause endogene di tali
comportamenti. La criminologia ha comunque per lungo tempo, parallelamente alla società di
contesto, continuato a dare un peso inferiore alla donna come soggetto “deviante” in materia
criminosa, e il dato biologico-ormonale come spiegazione della disfunzione ha sostenuto molte
sentenze di assoluzione. Da considerare anche lo storico disequilibrio fra la criminalità maschile
e quella femminile, la quale a minor incidenza di casi, dà maggior risalto qualitativamente alle
azioni criminali della donna.
Oggi la follia puerperale viene espressa con molteplici espressioni, ognuno qualificante stadi
di durata e sintomatologia definiti: baby blues, depressione post-partum, maternity blues, sino
alla condizione psichiatrica della psicosi puerperale. Nel capitolo “Madri Snaturate” viene così
descritta:
6
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 112
7
Portale Ministero della salute:
https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?area=Salute%20donna&id=4496&menu
=patologie Dati aggiornati al 21 aprile 2020.
8
Portale American Psychological Association:
Postpartum depression: Causes, symptoms, risk factors, and treatment options:
https://www.apa.org/pi/women/resources/reports/postpartum-depression
4
pubblicava un articolo sull’infanticidio sul American Journal of Psychiatry, distinguendo cinque
classi di cause basate sui motivi apparenti, e di fatto delineando alcuni degli aspetti a noi già noti:
• Figlicidio altruistico
• Figlicidio a elevata componente psicotica
• Figlicidio di bambino indesiderato
• Figlicidio accidentale
• Figlicidio per vendetta sul coniuge
Le ricerche di Resnick prendono in esame 131 casi particolari di figlicidi avvenuti negli Stati
Uniti dal 1951 al 1967, di cui 88 commessi da madri e 43 dai padri delle vittime, non si basano
sulle diagnosi psichiatriche, bensì sulle testimonianze dirette delle imputate. A partire
dall’esordio del suo studio ci informa che nell’anno 1966 gli Stati Uniti avevano registrato un
numero di casi di infanticidi pari a 10.9209. In seguito egli elabora una tabella dove prende in
studio le percentuali d’incidenza delle classi descritte sui casi in esame divise fra padri e madri10:
9
Philip J. Resnick, Child Murder by Parents: A Psychiatric Review of Filicide, American Journal of Psychiatry
1969/09 Vol. 126; Iss. 3, pg 324
10
Ibidem, pg 329
5
Effettuando una lettura più approfondita della tabella, il confronto con i casi commessi dagli
uomini è utile a tracciare una linea volta ad evidenziare il conflitto femminile con la condizione
materna, a partire dai casi studiati, i cui dati che vedono contemplate attenzioni dirette al bambino
(nella fattispecie le voci: figlicidio altruistico e figlicidio di un bambino indesiderato) non solo
rappresentano le voci con la quota maggiore rispetto agli altri, ma anche raffrontate con quelle
della colonna maschile ricoprono un livello maggiore. La formula “figlicidio altruistico” designa
una particolare condizione per la quale l’omicida causa la morte dell’infante al fine di
proteggerlo dai pericoli del mondo, per sottrarlo dai mali che la vita gli causerà, molto spesso
dopo la morte del bambino segue il suicidio dell’uccisore, nella tabella è stato effettuato un
distinguo. È stato notato come episodi di tale dinamica avvengano in situazioni di particolare
indigenza economica, in contesti di solitudine e abbandono.
Utili sono anche i dati che delineano un profilo della vittima, dagli studi effettuati sugli omicidi
con vittime minorenni nella giurisdizione territoriale della Procura di Milano e Monza tra il 1993
e il 2017, dalla Società Italiana di Criminologia, pubblicati nella Rassegna Italiana di
Criminologia, guardano con attenzione al fenomeno:
Tutti i dati relativi alle morti di Infanti e Bambini riferiscono provenienza italiana, del 20%
relativo agli omicidi infantili il 57% è rappresentato da vittime di sesso femminile, lo studio
rileva che nel 85% dei casi la colpevole è la madre. In questa fascia le cause di morte avvengono
per il 64% per asfissia e accoltellamento. Il luogo del delitto è nel 72% dei casi presi in esame
un luogo domestico.
Anche per quanto riguarda la fascia d’età corrispondente al bambino il luogo dell’omicidio
rimane in prevalenza la casa d’abitazione (75%), ma solo il 25% è vittima della propria madre.
Lo studio contempla anche i casi di omicidio-suicidio che ricoprono il 14% dell’intero
(contemplando quindi anche gli adolescenti). Rispetto al campione analizzato le madri risultano
essere per quasi la metà dei casi analizzati il primo soggetto omicida (42%), seguito dal padre
della vittima; viene poi il soggetto conoscente ed infine sconosciuto. Anche questo studio osserva
e mette in luce una tendenza relativa al profilo della madre infanticida a noi già nota:
« Ourfindings align with the international literature, that further-more showed how mothers’
risk of perpetration was associated with economic stress, unemployment, younger age, social
isolation, lack of social support. […] We can consider unwanted pregnancy, lack of social
support, marital or relationship conflict the main reasons why parents kill their baby in our area
sample, especially referring to the infants (0-1 y-o) age range. Moreover, pregnancy negation
6
and/or conscious concealment of it (Karakasi, Markopoulou &Tentes, 2017) frequently occurred
before the killing of the newborn by the mother»11
11
AA.VV., Minors victims of homicide in Milan (Italy): 1997-2017, Rassegna Italiana di Criminologia - 1/2020
Volume XIV, numero 1, anno 2020, pg 44-45
12
Vincenzo Mastronardi , Luana De Vita, Federica Umani Ronchi, Alcune ricerche italiane sul fenomeno del
figlicidio, Il Pensiero Scientifico Editore, Supplemento alla Rivista di psichiatria, 2012, 47, 4, pg 14
7
immaginate. Nelle società generalmente, il momento della maternità ha determinato per la donna
un importante evento marcante e forse l’unico, dopo il ruolo di moglie ad indicare un vero e
proprio status, l’unico che al soggetto donna conferiva davvero valore.
Non a caso a chiusura del capitolo «Madri Snaturate», Giovanna Fiume osserva:
«la vana ricerca della medicina di una causa organica della follia puerperale e con la
considerazione diffusa dell’infanticidio a metà tra «atto maldestro o semicriminale», con la
necessità di offrire scappatoie ad un modello sociale di madre troppo normativo, di dare una
spiegazione al rifiuto della maternità e all’aggressività femminile in termini non solo
repressivi»13
Fig.114
Fig.215
13
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, cap: «Madri snaturate. La mania puerperale nella letteratura
medica e nella pratica clinica dell’ottocento» Marsilio 1995, pg. 117
14
AA.VV, Membri dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Relazione sulla condizione
dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012-2015, Temi e prospettive dai lavori dell’Osservatorio nazionale per
l’infanzia e l’adolescenza. Pg. 19
15
Report: Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione centrale della Polizia Criminale, Donne e criminalità:
Analisi dei reati commessi dalle donne e della detenzione femminile, pg. 25
8
Con la codifica delle strutture detentive, le donne infanticide trovavano spesso destinazione nei
manicomi, successivamente rinominati O.P.G. con la legge n. 354/1975, cui vengono inclusi
trattamenti afferenti alla cura e alla rieducazione, entro la competenza di un’organizzazione
statale e assistenziale, Basaglia a proposito nota: « a tutti i livelli economici, i problemi fisici, e
psicologici e sociali dell'individuo sono usciti dalla sfera privata, e, sotto la responsabilità di
professionisti e di istituzioni, vengono trattati con procedure burocratiche e da catena di
montaggio»16. La detenzione psichiatrica giudiziaria, se da un lato ha saputo monitorare e isolare
i soggetti, sebbene con criticità che se approfondite risulterebbero occultare lo scopo ultimo di
questa relazione, dall’altro ha steso un “velo di Maya” su un disagio che ha perso un’occasione
di ricerca. La stessa si presenterà alla fine degli anni 90, grazie ad uno studio inglese, pioniere
nel settore, effettuato in conseguenza all'allarme sociale riscontrato nell'alto numero di suicidi
materni. Emerge infatti che nei paesi economicamente sviluppati il suicidio è la seconda causa
di morte nelle madri, e segue solo il dato delle complicazioni emorragiche del parto. Dalla
gravidanza al parto emergono già i primi segnali depressivi, specie in quelle donne che ne hanno
sofferto in passato, un’ondata di acutizzazione dei sintomi segue la nascita.
L’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS) ne ha studiato le criticità, proprio a partire dalla
segnalazione inglese. Il quadro europeo che emerge (fig.3), ci fa guardare senza grandi
preoccupazioni alla situazione italiana (che si attesta con una quota inferiore alla media europea),
ma certamente il fenomeno va tenuto sotto sorveglianza, perché esso rappresenta una causa di
morte indubbiamente evitabile, previa diagnosi e corretto intervento precoce. Il disturbo
depressivo nella donna gravida compromette anche il corretto sviluppo del feto, può creare
situazioni di nascita prematura e sottopeso, perciò andrebbe garantita un’osservazione per tutto
il periodo della maternità non solo medica ma anche psicologica, poiché i sintomi possono
insorgere sia durante la gravidanza ma anche ad una distanza di sei mesi dalla nascita. Riflettendo
sul numero delle visite mediche durante la gravidanza, e pediatriche successivamente, non è
impossibile dedurre che la neo madre abbia un numero sufficiente di contatti con strutture
sanitarie e personale medico che potrebbero accorgersi di un disagio psichico, e deviarlo verso
una presa in carico e una cura. Talvolta però, proprio perché il fenomeno è noto ma non tocca
quote emergenziali non consente di stabilire da subito un’indagine sul disagio psichico della
donna.
16
Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, La Maggioranza deviante, l’ideologia del controllo sociale totale,
Baldini&Castoldi 2013 pg. 88
9
Fig. 317
Fig.418
Fig. 5
17
Primo Rapporto ItOSS Sorveglianza della Mortalità Materna Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS) A cura
di Stefania Dell’Oro, Alice Maraschini , Ilaria Lega, Paola D'Aloja , Silvia Andreozzi e Serena Donati, Cap: Suicidio
materno e disagio psichico perinatale, pg. 49
18
Ibidem, pg.22 (Per cause indirette si intendono quelle cause non direttamente legate al momento del parto)
10
Il grafico della figura 5 illustra l’incidenza regionale del fenomeno ogni 100.000 nati vivi del
citato studio. Il dato che muove una profonda riflessione è la tempistica con cui i suicidi
accadono, la maggior part infatti avviene dopo i 42 giorni successivi al parto ed entro il primo
anno del bambino, con maggior incidenza nelle regioni del nord Italia.
L’evento della maternità certamente identifica un momento di gioia per le famiglie ma è anche
un periodo della vita della donna nel quale è molto più vulnerabile. Non serve insistere con il
dato di una maternità non voluta, reiterata dalle cronache ottocentesche che consentiva in sede
giudiziaria un ammorbidimento del giudice. Non per forza illegittima deve essere la maternità
sgradita, e scontati sarebbero i giudizi che riguarderebbero una generalizzazione del dato
suicidario stabilito solo dalla predisposizione alla malattia mentale di quelle donne che lo
commettono, poiché tocca anche fenomeni come l’interruzione volontaria di gravidanza o
l’aborto spontaneo. Dai dati dello studio sulla Sorveglianza della Mortalità Materna dell’ ItOSS,
i grafici proposti hanno lo scopo di illustrare l’ampiezza e la complessità del fenomeno. Anche
nelle modalità, poiché lo studio effettuato fra il 2006 e 2012 riferisce che più della metà (63%)
delle madri suicide ha utilizzato un metodo di morte violento: per il 37% l’impiccagione e per il
21% il salto nel vuoto.
Fig. 619
Fig. 720
19
Ilaria Lega, Alice Maraschini, Monica Vichi, Marzia Loghi, Paola D’Aloja, Silvia Andreozzi, Camilla Lupi, Luca
Merlino, Serena Donati e il gruppo di lavoro ISS-Regioni, Il suicidio materno in Italia attraverso i dati dell’Italian
Obstetric Surveillance System (ItOSS) XLIII Convegno AIE – 2019, pg. 10
20
Ilaria Lega, Alice Maraschini, Monica Vichi, Marzia Loghi, Paola D’Aloja, Silvia Andreozzi, Camilla Lupi, Luca
Merlino, Serena Donati e il gruppo di lavoro ISS-Regioni, Il suicidio materno in Italia attraverso i dati dell’Italian
Obstetric Surveillance System (ItOSS) XLIII Convegno AIE – 2019, pg. 9
11
La tabella proposta (Fig. 7) ha lo scopo di delineare un generale profilo della vittima media di
suicidio legato alla gravidanza per tipologia di situazione. Alte sono le cifre di donne italiane,
rispetto ad altre nazionalità, spesso tutte alla prima gravidanza. La fascia d’età 25-39 anni è la
più vulnerabile per quanto riguarda le Interruzioni volontarie, mentre per i casi di aborto
spontaneo è la fascia sopra i quarant’anni.
Questo studio potrebbe aiutare il personale sanitario ad orientare le attenzioni per un precoce
intervento di prevenzione, senza mai ignorare che ottimale sarebbe la creazione di una rete di
contatti coordinati fra le sedi del territorio in materia di cura al bambino e sostegno psicologico
alla madre.
Nella presente ricerca, in più di un passo sono state dichiarate, quali cause del malessere
materno elementi esogeni, correlati al contesto sociale. Possiamo affermare che le dinamiche,
trasversalmente ai secoli hanno, da una parte forse troppo insistito nel dato di “femmina
genitrice”, ovvero donna che afferma sé stessa mediante la capacità di “dare alla luce un
bambino” e, dall’altra iper responsabilizzato la madre nelle cure e nei processi educativi dei figli,
insistendo con una certa ostinazione nell’immagine di “buona madre”. Poche volte si è operata
una distinzione per quanto riguarda i ruoli di donna e madre, tant’è che innumerevoli sono gli
esempi di donne ripudiate poiché impossibilitate ad avere figli. Sicuramente le ricerche in ambito
medico hanno creato i presupposti di ricerca per scandagliare le cause biologico-organiche
dovute ad un incremento di rilascio ormonale post parto, il quale indubbiamente riversa sul tono
dell’umore creando disequilibrio.
Dalle ricerche prese in esame per la stesura dell’elaborato sono emersi due fondamentali
momenti che hanno concorso a diminuire i casi di infanticidio anche se non riguardano nello
specifico le conseguenze psicologiche che una donna attraversa dopo il parto, sebbene non
abbiano concorso a contribuire in maniera così impattante sul fenomeno. La prima, sicuramente
riguarda la legge 194 del 22 maggio 1978, sull’interruzione volontaria di gravidanza, poi
riconfermata tramite referendum popolare tre anni dopo, presupponibile è una diminuzione dei
casi di omicidio di neonati da parte delle madri, ma una comparazione di dati non è al momento
possibile. In seguito l’introduzione dell’articolo 30 del 3 Novembre 2000 n. 396, in forma di
Decreto del Presidente della Repubblica, l’allora Carlo Azelio Ciampi, che assicura e tutela la
madre che intende partorire in anonimato, consentendole di lasciare il bambino al sicuro in
ospedale. Anche percorrendo ipotesi in questa direzione, è possibile vagheggiare su di un
andamento in discesa per il totale degli infanticidi, senza pur raffrontali a dati certi. Nondimeno
si riscontra un tasso di clandestinità per questo genere di delitti, i numeri, quindi, non sono mai
specchio di una realtà chiara, ma un utile ausilio di andamento del fenomeno, e approfondimento
12
delle cause.
Avendo facilitato l’allontanamento del bambino dalla madre, però, non si è concluso il
processo di comprensione dei modelli che la società (soprattutto) occidentale applica creando
una tensione fra la il soggetto donna e il ruolo che le viene richiesto di assumere. Volgendo lo
sguardo ad altri modelli sociali, potremmo forse comprendere al meglio come un dislocamento,
soprattutto rispetto al dato educativo- domestico, consenta alla madre un relativo rapido rientro
alle mansioni che ella svolgeva prima del parto, riassorbendo anche le tensioni che,
inevitabilmente, la solitudine della maternità comporta. Questo modello è stato descritto dallo
psicanalista austriaco Bruno Bettelheim, quando nel 1964 trascorse due settimane in Israele al
fine di studiare le comunità collettive dei Kibbutz. Sebbene la sua ricerca fosse focalizzata su di
un modello educativo che non contemplasse la predominante presenza dei genitori, viene
comunque proposto uno spunto per una riflessione acuta sul ruolo della donna, la quale nella
cultura ebrea assume particolare rilevanza poiché è l’unico soggetto delle comunità a dare,
tradizionalmente, continuità al popolo ebraico:
«E, contemporaneamente, (le donne) osarono anche prendere coscienza di certe ansie comuni,
agendo su di esse con una libertà che donne più convenzionali non avrebbero mai avuto. Mi
riferisco, in particolare, al timore di non poter essere delle buone madri. […] organizzando la
cura del bambino, la donna del kibbutz rifiutò quello che […] era considerato il trattamento
“materno”.
[…] Alla donna della generazione dei fondatori la vita di sua madre offriva un esempio così
totale di dedizione ai figli, che non poteva pensare di identificarsi con una parte di essa. […] Il
sistema educativo del kibbutz protegge il bambino dagli effetti negativi di una cattiva madre, e
questo da genitori o educatori i quali sostenevano che la madre, perfino nel kibbutz, è molto
importante nella vita del bambino. […] se le donne non desideravano dedicarsi tanto
esclusivamente ai figli quanto le loro madri, dovevano chiedere assai meno in cambio. […]
affidando i figli alle metapelet (balia o educatrice che segue la vita e l’educazione dei bambini
nel kibbutz), che avrebbero dato loro di meno, ma avrebbero anche chiesto pochissimo. Queste
metapelet non avrebbero annullato, divorato il bambino, come faceva la madre del ghetto»21
Sebbene non privo di criticità, che il libro nella sua interezza rivela, fra le dinamiche madre-
figlio e metapelet-figlio, rimane certo che tale sistema ha generato figli meno attaccati alle madri,
più autonomi e senza che venisse a crearsi conflitto per primeggiare sugli altri membri del
21
Bruno Bettelheim, I figli del Sogno, Oscar Saggi Mondadori, febbraio 1977 , pg 39, 41
13
kibbutz.
Il lavoro, la produzione, scopo di queste comunità mette in secondo piano i rapporti singoli fra
famigliari per promuovere il nucleo intero della collettività. Inversamente al modello
preponderante che viviamo, nel quale la madre è percepita quasi più responsabile del padre
nell’educazione dei figli, certamente lasciata impreparata a svolgere tutte le mansioni che le
vengono richieste, celando forse, nella fragilità della follia, madri vulnerabili e donne sole.
14
Bibliografia:
Giovanna Fiume, Madri, storia di un ruolo sociale, Marsilio 1995
AA.VV., Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012-2015,
Temi e prospettive dai lavori dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.
Report: Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione centrale della Polizia Criminale,
Donne e criminalità: Analisi dei reati commessi dalle donne e della detenzione femminile
AA.VV., Minors victims of homicide in Milan (Italy): 1997-2017, Rassegna Italiana di
Criminologia - 1/2020 Volume XIV, numero 1, anno 2020, pg 44-45
Vincenzo Mastronardi , Luana De Vita, Federica Umani Ronchi, Alcune ricerche italiane sul
fenomeno del figlicidio, Il Pensiero Scientifico Editore, Supplemento alla Rivista di psichiatria,
2012
Philip J. Resnick, Child Murder by Parents: A Psychiatric Review of Filicide, American
Journal of Psychiatry 1969/09 Vol. 126
Gaglione Emanuela, Madri che uccidono i figli: aspetti giuridici e psicopatologici, 5°Corso di
formazione In psicologia giuridica, psicopatologia e psicodiagnostica forense. Teoria e tecnica
della perizia e della consulenza tecnica in ambito civile, penale adulti e minorile.
Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, La Maggioranza deviante, l’ideologia del controllo
sociale totale, Baldini&Castoldi, 2013
Primo Rapporto ItOSS Sorveglianza della Mortalità Materna, A cura di Stefania Dell’Oro,
Alice Maraschini , Ilaria Lega, Paola D'Aloja , Silvia Andreozzi e Serena Donati
XLIII Convegno AIE – 2019, Ilaria Lega, Alice Maraschini, Monica Vichi, Marzia Loghi,
Paola D’Aloja, Silvia Andreozzi, Camilla Lupi, Luca Merlino, Serena Donati e il gruppo di
lavoro ISS-Regioni, Il suicidio materno in Italia attraverso i dati dell’Italian Obstetric
Surveillance System (ItOSS)
Bruno Bettelheim, I figli del Sogno, Oscar Saggi Mondadori, febbraio 1977
15