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Ciclo Kate Clancy

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pensiero libero
Kate Clancy

Ciclo

Storia e cultura dell’ultimo tabù

Traduzione di Chiara Veltri

Prefazione di Emiliana De Blasio


Il libro è stato originariamente pubblicato nel 2023
negli Stati Uniti d’America con il titolo
Period. The Real History of the Menstruation
da Princeton University Press
© Princeton University Press

Per questa traduzione italiana


© 2023 Luiss University Press – LuissX srl
Tutti i diritti riservati
ISBN 979-12-5596-115-4

Luiss University Press – LuissX srl


Viale Romania 32,
00197 Roma
Tel. 06 85225481 – 5431
E-mail universitypress@luiss.it
www.luissuniversitypress.it

Traduzione di Chiara Veltri


Editing Tralerighe
Impaginazione Livia Pierini
Progetto grafico Maurizio Ceccato | IFIX

La traduzione dell’opera è stata realizzata grazie al contributo


del SEPS – Segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche

Via val d’Aposa 7 – 40123 Bologna


seps@seps.it – www.seps.it

Prima edizione marzo 2024


Indice

Prefazione di Emiliana De Blasio


Premessa
Introduzione
Dissipare l’aura di mistero che avvolge le mestruazioni
Misteri mestruali e controllo della fertilità
Tutto è eugenetica
Cosa significa scrivere un testo scientifico femminista sulle
mestruazioni
Ehi, il tuo sesso è nel mio genere!
Voglio solo occuparmi di scienza

Capitolo 1
C’è una ragione per tutto questo
Tabù mestruali
La visione delle mestruazioni nel medioevo e nella prima età
moderna
breve storia della scienza delle mestruazioni in occidente
e se le mestruazioni avessero uno scopo?

Capitolo 2
Il ciclo “normale” di Norma
prime mestruazioni: la fisiologia del menarca
i messaggeri e il meccanismo di feedback
il moto perpetuo delle ovaie
le ultime mestruazioni: la fisiologia della perimenopausa
il viaggio dell’eroina
il ciclo mestruale di norma

Capitolo 3
Lo stress dell’energia
la distribuzione dell’energia
energia che entra, energia che esce
soglie critiche
l’attività fisica è morta, lunga vita all’attività fisica
la scarsa alimentazione e la scarsa compensazione dell’attività
un’abbondanza di energia

Capitolo 4
Cicli infiammati
le differenze di genere nella funzione immunitaria
infiammazione e distribuzione delle risorse alle ovaie
la gestione dell’igiene mestruale
sfiducia nei medici, reazioni immunitarie e vaccini per il sars-cov-2

Capitolo 5
Piccoli grandi fattori di stress
“impercettibile” non equivale a “irrilevante”
hai per caso la sindrome premestruale?
parlami della tua infanzia
lo stigma del grasso fa più danni del grasso
speranza e guarigione

Capitolo 6
Il futuro delle mestruazioni
soppressioni e manipolazioni delle mestruazioni
in attesa di una cura
fare spazio alle mestruazioni
corpimente e narrativa speculativa

Epilogo
ringraziamenti
Bibliografia
Prefazione
DI EMILIANA DE BLASIO

“È sorprendente quanto sia difficile da descrivere nonostante lo


conosca così bene.” È con queste parole che si apre il terzo episodio
del podcast Twenty-eightish Days Later – una serie della Bbc che,
nel corso di ventinove puntate, segue giorno per giorno le diverse fasi
del ciclo mestruale. Ciò a cui fa riferimento la voce narrante in questo
caso sono i dolori che, in diverse gradazioni, compaiono in questa
fase. Per quanto la frase descriva una dimensione molto specifica e
circoscritta dell’esperienza a cui sono mensilmente sottoposti i corpi
mestruanti, mi è sembrata fin dal primo istante una concisa e al
contempo precisissima sintesi di due temi portanti di Ciclo. Storia e
cultura dell’ultimo tabù, saggio di Kate Clancy che viene presentato
ora in edizione italiana.
In primo luogo, infatti, rimarca quanto sia singolare e individuale,
e quindi sottoposta a infinite variazioni, l’esperienza del ciclo
mestruale – non solo per quanto concerne il dolore, ma per tutte le
numerose circostanze che vi si accompagnano. C’è chi, come la voce
narrante, conosce molto bene queste sensazioni ma ne fa
un’esperienza tale da renderle difficili da verbalizzare; chi invece vi
riconosce una sensazione precisa, quasi familiare e perfettamente
descrivibile mediante immagini visive; chi ancora invece non prova
alcun dolore e così via.
Sembrerà lapalissiano ricordarlo ma l’esperienza delle
mestruazioni è l’esperienza di un corpo – e dunque anche di una
mente – pertanto è soggetta a tutte le variabili e le esperienze che
quel corpo porta con sé; non solo fisiche ma anche affettive e sociali,
come avremo modo di vedere. Per buona parte della scienza medica
dominante invece, ancora oggi, queste variabili vengono considerate
anomalie, irregolarità, rumore in un preciso e artificiale sistema
dell’informazione.
E con questo veniamo al secondo elemento che, indirettamente,
suggerisce la citazione riportata. Elemento che forse più di altri ha
spinto l’autrice a dare vita a questo testo più che mai necessario. Se
alcune di noi conoscono molto bene determinate sensazioni eppure
faticano ancora a descriverle, la scienza medica dominante per secoli
sembra non aver conosciuto se non molto approssimativamente ciò
di cui parlava, dimostrando però una sorprendente capacità di
descriverlo. Se possiamo leggere, forse con un sorriso di
compatimento che riserveremmo alle assurdità di un bambino, le tesi
contenute nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, secondo cui
una donna mestruante avrebbe la capacità di far appannare gli
specchi, far morire le api negli alveari o far ossidare il bronzo, simili
teorie che vorremmo bollare come risibili arrivano fino al secolo
scorso.
Nel primo capitolo del testo, dedicato alla storia della scienza
dominante delle mestruazioni, Clancy ci ricorda come negli anni
Venti del Novecento, il noto medico Béla Schick condusse una serie
di esperimenti – discutibili tanto metodologicamente quanto
intellettualmente – volti a dimostrare la veridicità della teoria delle
menotossine: elementi patogeni secreti persino dalla pelle delle
persone mestruanti, in grado, fra le altre cose, di far appassire più
velocemente i fiori. O ancora più di recente, sottolinea il già citato
podcast della Bbc, veniva sconsigliato di recarsi nei boschi o
nell’oceano se soggetti a sanguinamenti mestruali perché il sangue
avrebbe attirato, rispettivamente, orsi e squali.
A elencarle così brevemente sembrano storie assurde, risibili per la
sola idea che qualcuno possa crederci, tuttavia sono storie che hanno
avuto enormi conseguenze sulla vita di moltissime persone. Nel caso
delle menotossine del dottor Schick, per esempio, si tratta di una
teoria che anche una volta caduta in disuso è servita a consolidare
l’idea secondo la quale le mestruazioni avrebbero una funzione di
“purificazione” dell’organismo, per cui sarebbero dunque un
processo fisiologico privo di valore intrinseco, i cui prodotti non sono
che prodotti di scarto, scorie.
Per cui non si tratta di semplici storie aneddotiche, esagerazioni
quasi comiche di una dottrina scientifica altrimenti impeccabile. Si
tratta di configurazioni specifiche di una narrazione scientifica che,
se da un lato esalta e descrive con estrema minuzia il complesso
funzionamento del corpo umano, dall’altro dimostra un’enorme
tendenza all’approssimazione quando si tratta dei corpi femminili. Il
che già superficialmente ne tradisce il portato tutt’altro che
scientifico, e semmai fortemente culturale. Se infatti la ginecologia in
particolare parte dall’analisi di corpi biologici, contribuisce anche,
mediante la loro narrazione, ad associarvi delle precise identità
culturali, su cui vengono proiettate determinate aspettative. Questa
approssimazione dunque tradisce la matrice paternalista e
patriarcale della scienza che da secoli regola il corpo biologico e
sociale delle donne. Se la scienza si narra come una dottrina neutra
che diffonde le sue scoperte osservando il mondo da “nessun luogo”,
questo “nessun luogo” produce in realtà dei luoghi ben precisi con
cui i corpi delle persone mestruanti devono fare i conti tutti i giorni:
ambulatori a cui è difficile accedere e in cui spesso ci si sente dare
prescrizioni imprecise; uffici e aule i cui locali igienici rendono la
semplice applicazione di un tampone una prova di contorsionismo;
spogliatoi inadatti alle necessità di una persona mestruante, farmacie
sfornite e molto altro ancora.
Quello che è degno di nota, e in cui risiede il principale punto di
forza di Ciclo, è che Clancy non vuole tanto elencare gli errori della
ginecologia, quanto invitarci a osservare da dove originino certe
pratiche e certe storie per poterne comprendere le storture
intrinseche. Non si tratta tanto degli effetti, come ci ricorda l’autrice,
quanto dei processi.
Processi che sono al contempo medici, sociali, antropologici e
politici, perché come ricorda Clancy fin dalle prime pagine, “Nella
scienza e soprattutto nelle strutture mediche, il sapere è potere”, un
potere che non norma e regola solo i corpi biologici ma che produce
anche “le forze culturali che agiscono sul corpo”.1 Da qui la necessità
dell’approccio femminista usato da Clancy che consiste non solo
nell’individuare le strutture di potere e i frame valoriali che regolano
la produzione del sapere, ma anche nell’acuta dissezione del
linguaggio che viene utilizzato e che ne perpetua gli effetti.
Come forse avrete notato, ho usato poche volte il termine “donne”
ma più spesso “persone mestruanti” – anche questa è una precisa
posizione metodologica di cui Clancy ci ricorda l’importanza. Non
basta osservare le storture e la disparità di potere, serve, forse
soprattutto, fermarsi a riflettere sul portato sociale dei termini che la
scienza dominante usa. Citando la psicologa sociale Suzanne Kessler,
l’autrice evidenzia come anche le distinzioni fra genere e sesso molto
spesso siano arbitrarie e molto meno biologiche di quanto venga
fatto credere: a partire dai casi di assegnazione coatta di sesso alla
nascita nelle persone intersessuali, fino alla relatività della
costruzione di genere all’interno di una cultura (il femminile come
passivo, fragile, naturalmente portato alla cura ecc.) e alla ancora più
arbitraria assegnazione di attributi e ruoli culturali in base al corpo
che una persona presenta; la mistificazione degli ormoni, a loro volta
suddivisi binariamente, e molto altro ancora. La stessa idea di una
“norma”, come vedremo, tradisce i pregiudizi e le richieste di una
scienza che pretende di essere neutra ma che in realtà costruisce
artificiosamente delle categorie in cui poi cerca, più o meno
direttamente, di inserire i nostri corpi e con loro le nostre vite.
Se è innegabile che negli ultimi anni ci siano stati enormi progressi
rispetto alla giustizia riproduttiva e, più in generale, a come parliamo
(per il solo fatto che ne parliamo, in effetti) delle mestruazioni –
dall’invenzione della pillola contraccettiva, alla possibilità, per una
parte del mondo, di accedere a pratiche abortive sicure, allo sviluppo
di app di period tracking, alla maggiore tranquillità con cui si osa
persino mostrare pubblicità di tamponi e assorbenti in prima serata
– buona parte di queste innovazioni o miglioramenti non è esente da
problematicità. Per esempio in termini ecologici, per quanto riguarda
la produzione e lo smaltimento di tamponi, coppette e altri strumenti
di Menstrual Hygiene Management; o i diversi effetti collaterali
legati all’assunzione di contraccettivi ormonali, dagli scompensi nella
produzione di cortisolo all’effettiva interferenza nelle diagnosi di
altre condizioni mediche, come evidenziato, tra gli altri, dalla
psicologa Sarah Hill nel suo saggio This Is Your Brain on Birth
Control. Certo, Clancy non intende screditare in blocco queste
“buone idee”, ma, in linea con la metodologia femminista da lei
proposta e adottata, capire da dove vengono per comprenderne le
storture e forse riuscire a immaginare delle soluzioni migliori.
Perché, per quanto Ciclo sia un testo rigoroso, estremamente
preciso nelle sue analisi scientifiche, è anche un testo per tutti, non
solo per l’enorme percentuale di persone mestruanti che abitano il
pianeta. Non è infatti un’astratta questione di critica al metodo
scientifico: si parla, in fondo, di un’esperienza che influisce
quotidianamente sulle vite di miliardi di persone. E non solo per i
dolori, i crampi, i sanguinamenti mancati o in ritardo, ma anche per
come ci sentiamo rispondere se lamentiamo una perdita eccessiva, il
malcelato fastidio che leggiamo sul volto di chi ci vede estrarre un
tampone, la minimizzazione delle nostre necessità – affettive,
emotive, sociali – con un semplice “hai le tue cose, sei ipersensibile”.
In breve per la cornice culturale nella quale le mestruazioni vengono
narrate.
Se è vero che c’è una maggiore possibilità di accesso a diverse
pratiche una volta impensabili, resta ancora forte, come suggerisce
Clancy, una certa stigmatizzazione verso i soggetti mestruanti e
anche una certa interferenza nelle loro scelte, che porta a una
situazione di agency condizionata. Spesso è difficile interrompere
l’utilizzo di un contraccettivo ormonale perché si incontrano
resistenze da parte degli stessi medici che dovrebbero premurarsi
delle nostre esigenze; spesso, soprattutto alla comparsa del menarca,
gli stessi soggetti mestruanti provano un certo imbarazzo a parlarne,
sentono in una certa misura che quella esperienza non appartiene a
loro – la percepiscono come una scocciatura proprio perché per
secoli così ci è stato insegnato a considerarla. O peggio ancora, come
un’anormalità, una fonte di imbarazzo.
La scienza medica dominante non produce solo diagnosi, farmaci e
macchinari, ma anche le narrazioni culturali sui soggetti a cui sono
rivolti – visto che per secoli è prevalsa l’idea che le mestruazioni
fossero un prodotto di scarto del corpo, un sanguinamento
“depurativo”, questo processo è sempre stato osservato con disgusto,
considerato manifestazione dell’“impurità” femminile. Il che ha
costruito il ciclo come tabù, sottoposto al silenzio. Ed è questo stesso
silenzio che contribuisce al proliferare di informazioni imprecise,
quando non direttamente sbagliate. Ci si vergogna e dunque non si
chiede, e se non si chiede non si può imparare. Come si legge nelle
prime pagine di Ciclo: “Spesso il tabù della comunicazione limita la
loro [delle ragazze] capacità di ottenere informazioni sulla pratica, la
gestione e l’esperienza del ciclo mestruale”.2
Tuttavia, seguendo anche una linea d’indagine antropologica,
Clancy evidenzia come questo silenzio sia accompagnato anche da un
silenziamento: per secoli la gestione delle pratiche riproduttive e la
cura dei soggetti mestruanti è stato appannaggio proprio di quegli
stessi soggetti a cui però, in virtù della supposta superiorità della
preparazione culturale dei medici occidentali, è stata sottratta.

Per secoli, il sapere sulle mestruazioni, la gravidanza, la nascita, la


contraccezione e l’aborto è stato elaborato e trasmesso tra chi aveva un
utero, perlopiù donne. In molte culture è ancora così. Man mano che la
ginecologia prendeva piede, tuttavia, è diventata dominante una prospettiva
paternalistica, ovvero che la conoscenza dell’utero (e di tutto il resto
ritenuto degno di studio scientifico) dovrebbe essere appannaggio di
persone che hanno un tipo particolare di istruzione formale e autorità.3

È importante specificare come il processo di “estromissione” da un


sapere orale e popolare circa le mestruazioni abbia storicamente
riguardato i soggetti a cui è stato culturalmente assegnato il genere
femminile alla nascita. Di fatti le norme culturali dominanti per
secoli hanno impedito a soggetti che si identificano nel genere
femminile o più in generale a corpi mestruanti “non conformi”
persino di manifestare la propria identificazione, escludendoli così
da questa forma di sapere tradizionale. La successiva
medicalizzazione del sapere ha fatto sì che tali soggetti potessero
approcciarsi alle mestruazioni solo attraverso il filtro di una
prospettiva maggiormente “biologica” istituita proprio dal processo
di silenziamento della cultura tradizionale per mano della scienza
medica dominante. Scienza che ha iniziato a poco a poco a costruire
una serie di preconcetti medici e culturali che hanno privato le
donne, e in un secondo momento i soggetti mestruanti in generale,
dell’autonomia sul proprio corpo, biologico e sociale. In primis, la
presunta naturalità quasi metafisica di una maggiore fragilità e
propensione alla cura delle donne, relegate così alla sfera domestica
(che come evidenziato dalla storica Alanna Nissen ha invece ragioni
estremamente materiali, nello specifico il passaggio dall’economia di
produzione domestica a un sistema capitalistico basato sul salario
nell’Alto Medioevo) e, in secundis, la creazione estremamente
artificiale di uno standard di normalità.
Tale normalità è in realtà quanto di più astratto si possa
immaginare ed è calibrata su soggetti di pura invenzione; tuttavia,
complice del silenzio e dello stigma, per anni è stata una categoria a
cui le donne hanno dovuto cercare di piegarsi, soffrendo di
conseguenza di preoccupazioni e stress dovuti all’irregolarità del
ciclo, a un menarca tardivo o anticipato e molto altro ancora. Mi ha
molto colpito un episodio riportato da Clancy che forse meglio di
tutti evidenzia questo standard di normalità controfattuale: negli
anni Quaranta il Museum of Natural History creò due statue,
Norman e Norma, che avrebbero dovuto raffigurare gli attributi tipici
dell’uomo e della donna americani “nella media statistica”. Venne poi
indetto un concorso per trovare una modella che presentasse gli
stessi attributi di Norma. Solo una fra le 386 partecipanti presentava
una certa vicinanza alla statua, pur non coprendo buona parte delle
categorie di punteggio stabilite per assegnare la maggiore
somiglianza. Gli stessi organizzatori poi furono costretti ad
ammettere che la media “è fin troppo rara”.
In questo senso, ed è questo uno dei maggiori punti di forza del
libro, Clancy ci ricorda che è fondamentale non ricadere nello stesso
principio, o meglio vizio, di astrazione artificiosa della scienza
dominante, e rendersi conto che il corpo mestruante e il processo
delle mestruazioni vanno considerati nella loro complessità – una
complessità che deriva dall’interrelazione fra la dimensione
biologica, sociale, culturale ed economica. In questo senso potrebbe
tornare utile estendere la portata del concetto di “tecnologie del
passing”, proposto dalla dottoressa Sharra Vostral e ripreso da
Clancy, ossia tecnologie il cui scopo è far passare qualcosa per
qualcosa che non è, come nel già citato caso della pillola che
mediante la pratica della settimana di sospensione vuole creare
l’illusione di un ciclo mestruale regolare che sembri quello prescritto
e normato dalle astrazioni della scienza dominante. Perché spesso,
sforzandosi sotto varie forme di pressione di sottostare a delle norme
imposte che non rispecchiano la realtà, si giunge a una sorta di
“doppio livello” di passing – cercando di conformarsi, di passare per
qualcos’altro si crea una profezia autoavverante. Per rientrare nelle
rigide norme che regolano il corpo mestruante si è sottoposte a
un’enorme quantità di stress (non dimostrarti dolorante, vai
comunque al lavoro, non ti serve una pausa, tieni per te il tuo
fastidio, nascondi al meglio le perdite e il fatto stesso di averle…) che
vengono visti come conferma empirica di una teoria artefatta, come
quella di una maggiore irritabilità o predisposizione alle oscillazioni
ormonali nella fase premestruale. Come osserva Clancy, rifacendosi a
numerosi studi che evidenziano l’imprecisione della stessa categoria
di premestruale: “Il concetto di ‘premestruale’ riguarda la nostra
esperienza del ciclo o l’esperienza che ne facciamo secondo gli altri”.4
In breve, Ciclo serve a ricordarci un’evidenza che troppo spesso ci
viene fatta dimenticare: il ciclo mestruale è un accadimento
complesso, che si articola in numerose fasi che coinvolgono il corpo
nella sua totalità e dipendono in larga misura anche dall’azione di
specifici ormoni, il cui rilascio è enormemente influenzato da fattori
ambientali socioculturali. Nel corso di un’accuratissima e solida
analisi vedremo per esempio come il rapporto con i genitori possa
influire sulla manifestazione del menarca; come le dinamiche
dell’ambiente scolastico o lavorativo possano alterare la durata o
l’entità delle perdite e molto altro ancora. In sostanza è fondamentale
tenere conto di tutto ciò che la scienza dominante, creando modelli
spesso controfattuali basati sull’idealizzazione di un corpo astratto e
irreale – molto spesso modellato su uno standard maschile –, ha
escluso. Il vissuto personale, le proprie condizioni psichiche, le
pressioni a cui si è sottoposte ogni giorno non sono varianti aleatorie
che interferiscono con una supposta regolarità: è la regolarità
imposta che interferisce con le nostre vite.
La creazione e la diffusione del tabù che riguarda le mestruazioni,
considerate prodotto di scarto, lede la comprensione del processo
non solo in termini culturali ma anche medici: il tabù infatti, come ci
ricorda Clancy da antropologa, non riguarda solo il divieto ma anche
la preservazione della sacralità. Numerosi studi moderni dimostrano
le potenzialità quasi meravigliose intrinseche al ciclo mestruale.

Una scoperta recentissima è che l’effluente mestruale contiene cellule


staminali mesenchimali, o Msc. Le […] Msc si trovano in numerosi tessuti e
si è scoperto che hanno proprietà leggermente diverse a seconda del tessuto
da cui provengono. In generale mostrano un comportamento simile alle
cellule progenitrici, ovvero possono trasformarsi in linee cellulari
differenziate e almeno una parte è in grado di rinnovarsi o riprodursi.5

O ancora il ruolo di selezione operata dagli ovuli nel corso della


fusione dei gameti, che sfata la teoria, quasi ricalcata da un modello
fiabesco, dello sperma attivo, quasi un principe, che conquista
l’ovulo, mero ricettore passivo.
Tutto questo dimostra una ciclicità nel rapporto fra la costruzione
sociale e la realtà biologica del corpo – l’una influisce costantemente
sull’altra. Restituire al corpo mestruante la sua autonomia richiede
che si comprenda appieno questa ciclicità. In questo senso trovo
significativa la scelta di fare riferimento a numerose opere di
fantascienza nel capitolo conclusivo del testo per dimostrare come
non si debba rifiutare in toto la costruzione medica e sociale del
corpo avvenuta finora, ma se ne debbano comprendere appieno le
storture perché queste non si ripetano.
La fantascienza, ci ricorda Clancy, è spesso focalizzata sull’idea di
un altrove – che sia spaziale o temporale – in cui tutto potrebbe
essere diverso. Questo però è lo stesso principio che sottostà ai bias
della scienza dominante occidentale che ha costruito il resto del
mondo e le diverse culture come un altrove razzializzato a cui
imporre forzosamente le proprie categorie e i propri valori.
Dobbiamo renderci conto che il “nessun luogo” da cui ci parla la
scienza è un luogo ben preciso e dobbiamo iniziare a renderlo nostro.
L’iniquità, le discriminazioni, lo stress e lo stigma – come
sottolinea Clancy e come molte vivono sulla propria pelle ogni giorno
– derivano in parte dal fatto che, in virtù dell’interrelazione fra
sapere e potere della scienza dominante, la nostra cultura tende a
considerare i soggetti dotati di utero come semplici dispositivi di
riproduzione, quindi ad appiattire questi corpi sulla mera capacità
riproduttiva, il che porta a considerare tutto ciò che all’apparenza
risulta accessorio a questo fine una variabile, un’irregolarità su cui
non ha troppa importanza dilungarsi. La funzione dell’utero è la
riproduzione, questo è quanto deve fare. Il suo ciclo deve durare
ventotto giorni – se dura di meno, di più o altro, si tratterà di
deviazioni dalla sua regolarità e dalla sua funzione principale a cui
dovrà, in un modo o nell’altro, essere ricondotto.
Tuttavia, il corpo stesso delle persone mestruanti ha una sua
specifica autonomia e capacità di scelta: dipende dall’ambiente
sociale, culturale e, non da meno, geografico in cui è calato. A
seconda della disponibilità di energia, di cibo, a seconda dei rapporti
parentali può operare degli aggiustamenti che sono ciò che è
veramente naturale: la variabilità. In natura la riproduzione non è la
finalità del corpo mestruante, è una delle sue infinite possibilità. La
stessa gestione degli standard relativi al grasso corporeo femminile
sottolineano, come ricorda Clancy, la stretta interrelazione fra
biologia e cultura, la costruzione artificiosa della norma da parte
delle scienze occidentali che vogliono differire dall’altro (l’ideale
della donna esile ed eterea prende piede nel momento in cui si sente
la necessità di rimarcare una differenza “biologica” rispetto alle
donne nere) e l’assurdità e quindi l’innaturalità delle richieste di
questa scienza: si richiede alle donne estrema magrezza, e al
contempo di soddisfare la loro “naturale” predisposizione alla
riproduzione. Tuttavia, come dimostrato da numerosi studi,
un’eccessiva carenza di grasso corporeo influisce molto
negativamente sui diversi processi biologici legati alla riproduzione.
La scienza medica, le aspettative culturali creano dei ruoli impossibili
che danneggiano fisicamente ed emotivamente le donne e tutti i
corpi mestruanti. La critica alla scienza, e forse l’obiettivo più
importante del testo di Clancy: non è la semplice correzione degli
errori della scienza ma anche la creazione di spazi che tengano conto
delle reali esigenze dei corpi mestruanti, del loro vissuto, che li
considerino nella loro totalità biologico-sociale per restituire loro
l’autonomia a cui hanno diritto.
1. Infra, Premessa.
2. Infra, Introduzione.
3. Infra, Introduzione.
4. Infra, Capitolo 5.
5. Infra, Capitolo 1.
Premessa

Durante l’adolescenza ho imparato alcune cose fondamentali sul


ciclo mestruale. In quinta elementare, nell’ora di educazione alla
salute, ho imparato che le mestruazioni segnalavano un ciclo
mestruale infruttuoso, in cui non era stato concepito un bambino.
Dalla mia ostetrica, la dottoressa Debbie, ho imparato che il ciclo
mestruale provoca carenza di ferro. Dal mondo che mi circonda,
infine, ho imparato che dovevo nascondere tutti i segni del ciclo
mestruale oppure avrei vissuto una vergogna profonda e
schiacciante. Grazie a quest’ultima lezione ho acquisito la capacità di
stamparmi un sorriso in faccia mentre perdevo un coagulo e ho
sviluppato l’abitudine ossessiva di controllare che sul mio corpo non
ci fosse sangue mestruale visibile.
Anche l’avvertimento della dottoressa Debbie mi si è impresso
nella mente, al punto che da giovane mi sono infilata nella tana del
coniglio e ho letto quanto più potevo sul rapporto tra ferro e
mestruazioni. Mi ha persino spinta a realizzare un piccolo progetto
all’interno della mia tesi di laurea. Usando dei campioni raccolti
durante il mio lavoro sul campo nella Polonia rurale, ho effettuato
un’analisi confrontando lo spessore dell’endometrio delle
partecipanti alla mia ricerca (una misurazione ecografica
dell’endometrio, il rivestimento dell’utero) con i loro livelli di globuli
rossi ed emoglobina (due indicatori del livello di ferro). Quello che
ho scoperto era il contrario di quanto sosteneva la medicina: più
spesso era l’endometrio, più alti erano i livelli di ferro.1
Questo è stato il primo di tanti momenti in cui ho capito che gli
assunti riguardo alle mestruazioni si smontavano completamente
anche con il pungolo più impercettibile. Inoltre non ho potuto fare a
meno di notare che alla base di questi assunti c’era un’idea precisa di
quali persone, organi o processi possedessero un rilievo scientifico,
soprattutto nella mia disciplina, l’antropologia. Tra le storie
dell’origine del mio campo d’indagine figurano narrazioni vincenti
come “I bianchi sono il vertice della razza umana” e “Gli uomini
erano cacciatori e il loro comportamento è stato il motore di tutta
l’evoluzione umana”. C’erano degli antropologi che contestavano
queste narrazioni già quando io frequentavo il college e l’università,
ma persino le critiche più ponderate erano oggetto del disprezzo di
tanti che incontravo nella letteratura e alle conferenze. Avevo un
professore che nell’unica settimana “femminista” del semestre ci
assegnava in lettura soltanto antropologhe, ma dovevamo leggere
queste opere accanto a critiche sprezzanti. Nel tema che mi ha
assegnato quella settimana, ho scritto che mi sembrava avesse scelto
queste autrici per deriderle. Il professore ha letto i miei commenti ad
alta voce davanti alla classe ed è scoppiato a ridere. Quel momento
ha creato il mio progetto personale di ripicca, ovvero dimostrare che
un tipo diverso di scienza è possibile, che qualcuno come me, che
poneva le domande che avevo posto io, poteva diventare docente.
Dopo aver conseguito il dottorato e aver insegnato per un periodo
composizione al college, sono diventata professoressa grazie a una
miscela di fortuna e privilegio. Da allora, a intermittenza, mi sono
dedicata allo studio del ciclo mestruale.
Quando ho deciso di scrivere questo libro, ero immersa da anni in
un progetto diverso intrapreso sempre per ripicca e che era cresciuto
fino a raggiungere dimensioni epiche: qualcuno aveva osato dirmi
che portare alla luce le discriminazioni nel settore scientifico era una
“caccia alle streghe”. All’inizio si trattava di una collaborazione a una
ricerca sulle molestie sessuali nelle scienze sul campo, a cui si erano
aggiunti altri progetti relativi all’astronomia e alla scienza dei pianeti,
poi alla fisica e infine una grande inchiesta sul consenso, che avevo
presentato davanti al Congresso e portato per un anno in tutto il
Paese per diffondere i risultati della ricerca.2
Poiché ero sopravvissuta a diversi traumi sessuali, il lavoro a cui ho
preso parte presentava molte sfide. Mi stimolava, ma allo stesso
tempo lo detestavo. Ho subito traumi indiretti da tutte le storie di
aggressione, molestie e discriminazione assorbite nel mio ruolo di
ricercatrice e portavoce e che sono filtrate e si sono mescolate nelle
mie esperienze. Ho cominciato a compartimentalizzare la mia vita
lavorativa e quella domestica. Ci sono state tante vittorie ma anche
tante sconfitte: la più frustrante è stata rendermi conto che i
cambiamenti che le istituzioni avrebbero dovuto imporre non erano
quelli che volevano sentirsi dire. Loro volevano sponsorizzare
qualche conferenza, promuovere corsi di formazione online. Io
volevo che rovesciassero le strutture di incentivi attraverso le quali si
diffondono i cattivi comportamenti e smettessero di pensare
esclusivamente a breve termine alla gestione del rischio.
Dopo la nascita della mia seconda figlia, facevo fatica a considerare
benevolo il contatto fisico (tranne, ma a malapena, quello con la
bambina). Gli uomini incombevano minacciosi su di me, anche il mio
compagno. La psicoterapia mi ha aiutato abbastanza da farmi capire
che dovevo liberarmi dalla ricerca sulle molestie e dal lavoro di difesa
delle donne, almeno per un periodo. Io volevo soltanto ritrovare la
ragione per cui ero diventata antropologa e studiare ancora il ciclo
mestruale.
La tempistica della stesura di questo libro e l’anno sabbatico che ho
preso dopo la nascita della mia seconda figlia mi hanno salvato la
vita. Volevo essere di nuovo una nerd. Volevo studiare le arterie a
spirale. Volevo esaminare ecografie. Come tante sopravvissute alle
molestie sessuali che ho intervistato nel corso degli anni, volevo
soltanto tornare alla mia scienza. Questo progetto mi ha permesso di
tornare a essere l’accademica che non vede l’ora di mostrare come
funziona il rimodellamento tissutale dell’utero ad amici, parenti ed
estranei. Ho lanciato un podcast come scusa per intervistare ospiti da
sogno di tutti i tipi, che potevano insegnarmi ancora di più.
Allo stesso tempo, tornando alla scienza delle mestruazioni ho
scoperto anche che non potevo scrivere un testo propriamente
scientifico. Era impossibile, non solo perché occupandomi di
mestruazioni avevo capito di non potermi sottrarre né alla storia
eugenetica dell’antropologia e della ginecologia, né al modo in cui
essa riverbera e influisce sulla giustizia riproduttiva nel presente. La
ragione è che ci sono domande molto più interessanti da porre, cose
sorprendenti, curiose e bizzarre da esplorare, quando riusciamo ad
allontanarci dall’impostazione storica dello studio delle mestruazioni
e del ciclo mestruale che ha determinato il nostro sapere. Ci sono
ondate di competizione tra i follicoli ovarici.3 Ci sono contrazioni
muscolari che si fanno su e giù nell’utero.4 Ci sono cripte nella
cervice che conservano lo sperma per il momento in cui l’utero
decide di usarlo.5 Ci sono sostanze chimiche nel flusso mestruale che
contribuiscono a riparare i tessuti.6
La mestruazione è un processo tempestoso che dovrebbe
affascinare e dilettare. Ci dà un’infinità di lezioni sulla lettura
dell’autonomia del corpo, della selezione sessuale e persino
dell’organizzazione dei tessuti. Quindi è strano che non sia tanto
fondamentale nella formazione scientifica quanto i piselli di Mendel,
le ossa di dinosauro o i pianeti del nostro sistema solare, e che invece
nel migliore dei casi sia appena accennata di passaggio nell’ora di
educazione alla salute. Invece sono successe due cose, che dipendono
dal modo in cui storicamente il sapere viene prodotto, diffuso e usato
nella cultura dominante. Nella scienza e soprattutto nelle strutture
mediche, il sapere è potere, e di conseguenza spesso non viene
condiviso; nelle strutture politiche è raro che la correttezza del
sapere conti. Il controllo della fertilità è una priorità della ginecologia
e della politica da decenni, se non da secoli. Quindi sappiamo poco
delle mestruazioni e, peggio ancora, spesso quello che sappiamo è
sbagliato.
Da un lato, la ragione per cui quello che sappiamo delle
mestruazioni è sbagliato – per cui le definiamo un peso o qualcosa di
disgustoso – è l’origine colonialista, razzista e sessista che pervade la
scienza, come illustrerò a breve. Forse al termine di questo libro vi
sentirete un po’ meno disgustati e un po’ più rispettosi verso le
mestruazioni. Dall’altro, ciò non significa che l’obiettivo di questo
libro sia mostrare le storie e le soggettività della scienza delle
mestruazioni allo scopo di prendere decisioni differenti sul proprio
corpo. Con questo libro il mio intento è spingervi a sollevare lo
sguardo verso i sistemi che continuano a porre limiti a una
comprensione, a una cura e a terapie migliori dei corpi mestruanti.
Leggerete di prodigi e di critiche taglienti. Non ci saranno istruzioni
per rimuovere la spirale intrauterina.
1. Clancy, K. B. H., I. Nenko, e G. Jasienska, Menstruation does not cause anemia:
Endometrial thickness correlates positively with erythrocyte count and hemoglobin
concentration in premenopausal women, American Journal of Human Biology, 2006,
18(5), pp. 710-13.
2. Clancy, K. B. H., et al., Survey of Academic Field Experiences (SAFE): Trainees report
harassment and assault, PLoS ONE, 2014, 9(7), pp. 1-9; Clancy, K. B. H., et al., Double
jeopardy in astronomy and planetary science: Women of color face greater risks of
gendered and racial harassment, JGR Planets, 2017, 122(7), pp. 1610-23; Nelson, R., et al.,
Signaling safety: Characterizing fieldwork experiences and their implications for career
trajectories, American Anthropologist, 2017, 119(4), pp. 710-22; Aycock, L., et al., Sexual
harassment reported by undergraduate female physicists, Physical Review Physics
Education Research, 2019, 15, 010121; Richey, C. R., et al., Gender and sexual minorities in
astronomy and planetary science face increased risks of harassment and assault, Bulletin
of the American Astronomical Society, 2019, 51(4),
https://doi.org/10.3847/25c2cfeb.c985281e; Clancy, K. B. H., L. M. Cortina, e A. R.
Kirkland, Opinion: Use science to stop sexual harassment in higher education, Atti della
National Academy of Sciences, 2020, 117(37), pp. 22614-18; Johnson, P., S. E. Widnall, e F.
F. Benya, a cura di, Sexual Harassment of Women: Climate, Culture, and Consequences in
Academic Sciences, Engineering, and Medicine, 2018, National Academies Press.
3. Baerwald, A. R., G. P. Adams, e R. A. Pierson, Characterization of ovarian follicular
wave dynamics in women, Biology of Reproduction, 2003, 69(3), pp. 1023-31.
4. IJland, M. M., et al., Endometrial wavelike movements during the menstrual cycle,
Fertility and Sterility, 1996, 65(4), pp. 746-49.
5. Insler, V., et al., Sperm storage in the human cervix: A quantitative study, Fertility and
Sterility, 1980, 33(3), pp. 288-93.
6. Evans, J., et al., Menstrual fluid factors facilitate tissue repair: Identification and
functional action in endometrial and skin repair, FASEB Journal, 2019, 33(1), pp. 582-605.
Introduzione
Dissipare l’aura di mistero che avvolge le mestruazioni

Mentre scrivevo questo libro, ho dovuto fronteggiare molte reazioni


disgustate. Non fraintendetemi: tante persone hanno capito e mi
hanno incoraggiata. Ma ne ho comunque incontrate diverse che non
comprendevano il motivo per cui volessi scrivere delle mestruazioni.
Eppure occuparsi del predominio culturale del disgusto, dello stigma
e della rimozione delle mestruazioni è importante per comprendere
perché siano poco studiate e spesso fraintese.
L’esempio di questo fenomeno che mi piace di più/di meno
proviene da una ricerca della dottoressa Tomi-Ann Roberts, docente
di psicologia al Colorado College.1 Roberts ha invitato delle attrici a
fingere di partecipare a uno studio sulla “produttività di gruppo”.
L’attrice raggiungeva un partecipante vero in una stanza, e i due si
sedevano a riempire dei questionari insieme. Mentre la ricercatrice
usciva per andare a prendere il secondo blocco di attività, l’attrice
fingeva di rovistare nella borsa per cercare un burro di cacao. In un
caso, faceva cadere un tampone a terra davanti al partecipante,
nell’altro un fermaglio per capelli. Poi rimetteva il tampone o il
fermaglio nella borsa, tirava fuori il burro di cacao, lo usava e lo
riponeva. La ricercatrice tornava, faceva riempire al partecipante e
all’attrice un secondo blocco di questionari che contenevano
domande necessarie alla ricerca e poi li conduceva in una sala
d’attesa. L’attrice si sedeva all’estremità di una fila di sedie per
lasciare al partecipante una vasta scelta di posti, vicini o lontani da
lei.
Con questo secondo blocco di questionari, Roberts e i suoi colleghi
hanno scoperto che i partecipanti che avevano visto l’attrice lasciare
cadere il tampone la consideravano meno competente e la
apprezzavano di meno. Queste conclusioni erano vere a prescindere
dal genere del partecipante alla ricerca. I partecipanti esposti alla
caduta del tampone erano anche più inclini a oggettivare le donne
rispetto a quelli esposti alla caduta del fermaglio per capelli.
L’esperimento nella sala d’attesa, poi, in cui il partecipante alla
ricerca poteva scegliere se sedersi vicino o lontano dall’attrice, ha
mostrato che il cinquantatré per cento di coloro che avevano visto il
tampone si sedeva lontano, in confronto al trentadue per cento di chi
aveva visto cadere il fermaglio, indice di una reazione di disgusto tra
i partecipanti esposti al tampone.
Gli atteggiamenti negativi nei confronti delle mestruazioni sono
pervasivi, e una delle conseguenze principali è il silenzio. Negli Stati
Uniti, per esempio, questi atteggiamenti si possono suddividere in
tre categorie: quella dell’occultamento, quella dell’attività fisica e
quella della comunicazione. Le ragazze americane imparano dai
genitori, dagli insegnanti e dalla società in generale a nascondere
quando hanno le mestruazioni e a ridurre l’attività fisica. Spesso il
tabù della comunicazione limita la loro capacità di ottenere
informazioni sulla pratica, la gestione e l’esperienza del ciclo
mestruale.2
Una ricerca con un focus group di ragazze britanniche ha rilevato
che ritengono le mestruazioni una cosa per cui provare vergogna, da
nascondere, nonché una forma di malattia.3 Nei sondaggi la maggior
parte delle persone mestruanti esprime disappunto perché alle
bambine non viene insegnato come si sentiranno durante il ciclo e
cosa dovranno fare quando cominceranno ad averlo.4 In una cultura
che considera ancora le mestruazioni intrinsecamente vergognose e
sporche, non ci si occupa direttamente della gestione mestruale, delle
perdite e del sangue mestruali, che aiuterebbero le bambine a capire
come funziona il ciclo e come gestirlo nella quotidianità.
Le opinioni dannose non si limitano alle persone mestruanti. Uno
studio condotto a Taiwan ha rilevato che, nonostante i programmi
scolastici di educazione sulle mestruazioni, i ragazzi del campione
avevano un atteggiamento significativamente peggiore verso le
mestruazioni rispetto alle ragazze.5 Secondo una ricerca più vecchia
condotta negli Stati Uniti, gli uomini pensavano che gran parte dei
sintomi comparissero durante la fase mestruale, mentre le donne
riferivano che si concentravano nella fase premestruale. Inoltre gli
uomini tendevano a ritenere più delle donne che il ciclo fosse
emotivamente debilitante ma non fisicamente gravoso.6 Le
convinzioni ostili sulle mestruazioni possono anche portare alla
minaccia dello stereotipo: dare alle donne un questionario sui disagi
provocati dalle mestruazioni prima di svolgere altri compiti cognitivi
indebolisce la loro prestazione negli stessi compiti.7 Queste opinioni
sono ben radicate.
Anche io le alimento. Sono rimasta sorpresa accorgendomi che,
quando la mia primogenita8 ha voluto usare per la prima volta un
tampone, mi sono dovuta costringere a rallentare, a spiegare tutto in
modo esaustivo e a restare con lei in bagno per guidarla in questa
esperienza. All’inizio volevo soltanto darle un tampone, spiegarle
rapidamente come si usa e basta. Soltanto perché mia figlia è stata
sufficientemente intelligente e coraggiosa da continuare a farmi
domande – ma qual è la parte che deve entrare? Devo inserirlo tutto?
Cosa devo usare per spingere l’applicatore del tampone nella vagina?
Come faccio a sapere se l’ho fatto bene? – ho capito il mio
comportamento ostile e mi sono corretta.
Malgrado la pervasività dello stigma mestruale, i cicli mestruali
sono oggetto di studio nel mio campo, l’antropologia, perché sono
rilevanti per la riproduzione e quindi per la selezione naturale e
l’evoluzione (dato che si occupa di quanto è efficiente un organismo a
trasmettere i propri geni alla generazione successiva). Molto di ciò
che studiamo riguarda la variazione: come variano la tempistica della
prima e dell’ultima mestruazione, la concentrazione di ormoni e lo
spessore dell’endometrio a seconda dello stile di vita e dell’ambiente.
In questo libro ritorno ripetutamente sul fatto che la fisiologia
dell’utero dipende dalla sua flessibilità di fronte ai fattori di stress
ambientali. A volte gli ormoni ovarici si azzerano o addirittura i cicli
mestruali si interrompono perché l’organismo reagisce in questo
modo per adattarsi a condizioni peggiori. Non si tratta di libero
arbitrio o di scelta. Ma ha a che vedere con un aspetto importante
dell’evoluzione umana, ovvero che gli esseri umani hanno sempre
compiuto delle scelte sulla riproduzione. L’autonomia dell’utero e
l’autonomia della persona che possiede l’utero agiscono di concerto
da centinaia di migliaia di anni.
Quella autonomia è minacciata. La pratica razzista del controllo
della fertilità, o la “pianificazione razionale delle popolazioni future”
per impedire la “degenerazione”, fa parte del nostro clima politico da
quasi duecento anni.9 Il desiderio irragionevole e antiscientifico di
controllare gli uteri ha fatto sì che in alcuni degli Stati Uniti venisse
dichiarato illegale l’aborto nelle gravidanze ectopiche, una
condizione patologica in cui l’impianto dell’embrione avviene nella
tuba di Falloppio o all’esterno dell’utero e porta alla morte della
madre e del feto.10 Esistono persone che preferirebbero davvero far
esplodere una tuba e far morire per un’emorragia interna una
persona incinta piuttosto che permettere che abortisca per salvarsi la
vita. Leggi di altri stati hanno frainteso in modo talmente radicale
l’aborto spontaneo che tecnicamente richiedono una sepoltura
ufficiale per il sangue mestruale.11
La Destra si esprime da una posizione di fallacia naturalistica,
secondo la quale ciò che accade in natura è un bene (forse usa
espressioni come “la volontà di Dio”, ma il significato è lo stesso), e
quindi qualsiasi gravidanza, che sia desiderata o meno e che minacci
la vita o meno, dovrebbe proseguire per forza. La sua posizione
sull’utero lede l’autonomia del corpo di chi possiede un utero. Il
modo in cui questi politici, sovvenzionati da gruppi d’interesse,
agiscono come schiacciasassi approvando decreti omnibus
sull’aborto, trigger laws (leggi antiaborto entrate immediatamente
in vigore dopo il ribaltamento di Roe vs. Wade) e altro, ha ucciso
delle persone. Continuerà a uccidere delle persone. Si tratta di una
decisione intenzionale.
Se vogliamo capire l’utero, dobbiamo ricorrere a due principi
scientifici fondamentali: che varia in risposta ai fattori di stress e che
agisce soltanto di concerto con la capacità d’azione della persona che
ospita l’utero. I nostri corpi sono costruiti per scegliere, e le persone
senza utero li invidiano e vogliono sottometterli al loro potere da
un’infinità di tempo. Molti sono disgustati dalle mestruazioni perché
così è stato insegnato loro, dato che il disgusto conduce al silenzio, e
più tutti tacciono riguardo alla meraviglia, allo spettacolo, al potere
generativo di questo organo, più le persone che possiedono un utero
cedono la propria agency.
Le mestruazioni sono una cosa che accade a mezzo mondo per una
settimana alla volta, per mesi e anni di fila. Eppure vengono
stigmatizzate, pressoché cancellate dalla vita pubblica. Nelle pagine
che seguono mostrerò come il sapere è stato sottratto e negato alle
donne per promuovere il prestigio di professionisti maschi che
volevano legittimare il nuovo campo della ginecologia, come le basi
culturali e storiche dello studio delle mestruazioni provengono dal
razzismo scientifico, e come sia necessario un orientamento
femminista nella scienza delle mestruazioni per rivelare queste storie
e affrontarle. Spero di approfondire la vostra idea del ciclo e di
rendere evidente il posto legittimo che occupano, quello di uno dei
processi biologici più sorprendenti e affascinanti del corpo umano.

misteri mestruali e controllo della fertilità

Quando ho completato quel progetto sui rapporti tra il ciclo e il ferro,


non sapevo che era la prima di numerose occasioni in cui avrei
scoperto che un assunto si basa più su una millanteria che sull’analisi
scientifica. Non mi aspettavo che le mestruazioni fossero tanto
misteriose. Non sono imperscrutabili o enigmatiche perché sono
magiche, anche se nelle pagine che seguono scopriremo che molte
culture le considerano sacre, e a ragione. Il motivo attiene sia alla
storia della ginecologia sia a ciò che la gente ricca decide di
finanziare, ovvero a chi controlla lo studio scientifico e le cure
mediche dell’utero.
Per secoli, il sapere sulle mestruazioni, la gravidanza, la nascita, la
contraccezione e l’aborto è stato elaborato e trasmesso tra chi aveva
un utero, perlopiù donne. In molte culture è ancora così. Man mano
che la ginecologia prendeva piede, tuttavia, è diventata dominante
una prospettiva paternalistica, ovvero che la conoscenza dell’utero (e
di tutto il resto ritenuto degno di studio scientifico) dovrebbe essere
appannaggio di persone che hanno un tipo particolare di istruzione
formale e autorità. Come ha mostrato la storica Deirdre Cooper
Owens, per oltre un secolo la ginecologia è stata dominata da uomini
bianchi che hanno tentato di acquisire credibilità e professionalità
operando schiave nere senza anestesia, lavorando con loro e
imparando da loro senza mai riconoscerne il sapere, ed emarginando
le ostetriche che svolgevano dall’inizio questo lavoro, spesso donne
nere e di colore.12 Ci sono esempi di persone coraggiose che hanno
tentato di rovesciare i tentativi di criminalizzare l’ostetricia di
professione, ma con il passare del tempo l’accumulo di sapere da
parte dei ginecologi di professione si è rivelato riuscito. La pratica di
scoraggiare e persino di proibire la trasmissione di saperi, la
creazione di comunità e la cura reciproca tra persone che
possedevano un utero è stata formalizzata in diversi modi dalle
prime società mediche e dai primi ospedali (anche da quelli
contemporanei) per controllare chi potesse praticare la medicina.13
Un lungo filo rosso attraversa la storia della scienza dominante,
praticata da uomini qualificati appartenenti alle classi più alte,
possidenti e poi professionisti, e prosegue fino alla modernità. Ormai
già da tempo, nella vita pubblica e privata, gli uteri sono controllati
da persone che tendenzialmente non ne possiedono uno.
Persino i medici che lavorano in prima linea con le bambine –
bambine a cui servirebbe un po’ di sostegno quando hanno le
mestruazioni per la prima volta – sono impreparati e inadeguati, in
modo quasi imbarazzante. Un recente sondaggio ha valutato la
conoscenza e la pratica clinica dei pediatri rispetto alle mestruazioni,
prendendo in considerazione anche se questi medici parlassero delle
mestruazioni, delle pratiche mestruali o della salute mestruale con le
loro pazienti.14
Meno di metà dei partecipanti sapeva quando avviene il menarca
(ovvero il primo ciclo mestruale) durante la pubertà, quanto durano
le mestruazioni, e addirittura per quanto tempo si può portare un
assorbente interno. Quasi il 15 per cento delle pediatre e il 34 per
cento dei pediatri a cui è stato somministrato il sondaggio ha dato
una risposta errata alla domanda “Le ragazze/donne possono fare il
bagno con un tampone?”. (La risposta corretta è sì. Sì, possono
farlo.)
I misteri che avvolgono le mestruazioni, quindi, sono tali perché da
tempo le persone che detengono un potere di ruolo, economico o
culturale, nella scienza e nella medicina pongono una serie limitata
di domande e impiegano una serie limitata di metodologie, che
interessano soltanto a loro in virtù del desiderio di mantenere la
propria posizione e il controllo sulla fertilità. A un primo sguardo le
mestruazioni non rientrano nella nostra idea della fertilità e della
riproduzione perché la cornice in cui abbiamo collocato la riflessione
sui motivi delle mestruazioni considera da tempo la biologia delle
persone con un utero un insieme di bizzarre anomalie.
Quando ho esaminato la letteratura sulle mestruazioni durante il
college e l’università, ho scoperto che l’ipotesi più diffusa per
spiegare l’evoluzione delle mestruazioni sostiene in realtà che non si
sono evolute.15 Il motivo per cui gli esseri umani hanno le
mestruazioni avrebbe a che vedere con un fenomeno fisiologico
elementare per cui quando le cellule assumono la propria forma
finale e specifica comincia un conto alla rovescia fino alla loro morte.
Le cellule endometriali lo fanno per prepararsi a una possibile
gravidanza. Quindi secondo questa ipotesi e i suoi sostenitori il
tessuto mestruale è semplicemente un tessuto che ha raggiunto la
data di scadenza. Mestruiamo perché abbiamo bisogno di liberarci di
questo tessuto per cominciare un nuovo ciclo e riprovarci (questa
ipotesi, quindi, non è poi troppo distante dalla storia del
“concepimento non andato a buon fine” che mi hanno raccontato
durante l’adolescenza). All’incirca nello stesso periodo in cui fu
avanzata l’ipotesi che “le mestruazioni sono inutili”, due donne
proposero la propria idea secondo cui le mestruazioni hanno dei
significati: uno sarebbe quello di liberare il corpo dai patogeni, l’altro
di conservare energia.16 Perché le ipotesi avanzate dalle donne non
avevano preso piede quanto quell’altra?
Sospetto che il motivo per cui è stato così facile accettare l’ipotesi
dell’“inutilità” e respingere quella della funzionalità delle
mestruazioni abbia a che vedere con il ritornello che si ripete
continuamente sulla storia dell’antropologia: i corpi e il
comportamento femminili sono noiosi. I primati maschi (uomini
compresi) sono dinamici perché sono violenti e competitivi.17 Le
femmine? Be’, non sappiamo granché di cosa fanno. Si prendono
cura dei neonati, immagino. Sono occorsi decenni perché gli
antropologi si concentrassero sull’aspetto fondamentale di
riconoscere il valore delle amicizie femminili, del lavoro domestico e
di quello di cura.18
È quello che succede quando ci si basa solo su fondamenta
scientifiche che in passato consideravano le donne una versione
secondaria degli uomini e le vagine dei peni alla rovescia.19
In questo libro analizzeremo quelle fondamenta. Per la maggior
parte delle pagine che seguono, le faremo saltare in aria e
ricominceremo da capo, perché è difficilissimo costruire un sapere
valido basandosi su conoscenze fallaci. Il ciclo mestruale normale,
sano, che tanto spesso viene descritto nei manuali di medicina e nei
corsi di educazione alla salute viene rappresentato come un
fenomeno statico che dura ventotto giorni: la realtà è che è
malleabile, reattivo, dinamico. Il ciclo mestruale, e quindi la funzione
ovarica e uterina, deve essere variabile e reattivo per determinare se
le condizioni sono sufficientemente buone (o no) per la riproduzione.
L’investimento in nove mesi di gestazione e diversi anni di
allattamento, per non parlare della sovrapposizione di una prole
dipendente, non è uno scherzo. E se le condizioni non supportano un
investimento del genere? Meglio aspettare. Sono molti i punti in cui
il corpo può decidere che le condizioni non sono adeguate:
nell’ovulazione, nella fusione dei gameti, quando il trofoblasto si
interfaccia con l’endometrio o quando inizia a scavare avvicinandosi
alla riserva di sangue della madre. In ciascuno di questi punti, il
processo della riproduzione può finire, e finisce quando deve.
Si tratta di decisioni autonome basate su segnali ambientali che il
corpo riceve e interpreta, anche se non sempre sono scelte che
vorremmo fare (cioè, a volte rimaniamo incinte quando non
vogliamo, o a volte una gravidanza desiderata non si concretizza). La
fisiologia e il comportamento evolvono insieme: magari il nostro
corpo è in grado capire se abbiamo le risorse per riprodurci, ma la
nostra mente aggiunge altri input e una strategia che riguarda le
tempistiche e il ritmo degli eventi principali della vita. In tal modo il
corpo e la mente non sono separabili ma formano una squadra.
Essenziale nella nostra comprensione dell’evoluzione è la parola
chiave “selezione”. La selezione naturale e la selezione sessuale non
sono solo processi di adattamento ma riguardano quel che fa un
individuo per determinare la propria vita all’interno di
quell’ambiente, dalla tattica che adopera alle relazioni che nutre. La
scelta è fondamentale per l’evoluzione: persone di culture diverse
decidono di non praticare sesso per concepire per un periodo di
tempo dopo la nascita di un bambino per evitare che la differenza
d’età tra i figli sia troppo ravvicinata e usano metodi anticoncezionali
o abortivi per impedire o terminare una gravidanza.20 Il nostro corpo
e la nostra mente assorbono di continuo segnali diversi per trarre
insieme delle conclusioni sulla desiderabilità della riproduzione.
La variabilità e i modi in cui le ovaie e l’utero reagiscono
all’ambiente costituiscono il fulcro di questo libro, perché questa
variabilità contraddice la prospettiva medica comune di un unico
ciclo mestruale normativo. Questo concetto di normatività proviene
direttamente dall’eugenetica, e l’idea che chi è nella media sia sano e
chi è ai margini sia difettoso è una convinzione sbagliata. Più che
rappresentare una piccola nicchia dell’antropologia, a me pare chiaro
che l’eugenetica occupi tutta questa disciplina.

tutto è eugenetica

Sono un’antropologa e amo l’antropologia. Ma il mio campo non è


sgombro da problemi, poiché affonda le radici nel razzismo
scientifico. L’antropologia è stata (è ancora?) profondamente legata
alle attività dei viaggiatori europei del Diciassettesimo e Diciottesimo
secolo, che usarono le loro osservazioni del mondo per affinare le
proprie teorie sulla natura umana.21 Molte delle idee sulla razza più
persistenti e gravide di conseguenze riguardavano anche il genere, e
viceversa: un’idea particolarmente tenace è stata quella secondo cui
le differenze di genere sono maggiormente pronunciate tra gli
europei rispetto agli africani, e la civilizzazione e l’appartenenza a
una razza superiore sono alla base di uomini virili e donne femminili.
La femminilità bianca, pertanto, viene additata come modello al
quale le donne di altre etnie dovrebbero conformarsi per
sopravvivere all’interno delle forze civilizzatrici del colonialismo.
Un avanzamento di queste idee arrivò nel Diciannovesimo secolo
dall’eugenetica, il concetto elaborato dal cugino di Charles Darwin,
Francis Galton, che era interessato alla coltivazione della razza
inglese e di altre “razze elevate”. Galton voleva usare la scienza per
promuovere la riproduzione selettiva e un accurato miglioramento
della popolazione di discendenza europea per mantenerne il dominio
del mondo.22 Come Darwin sulla Beagle, gli albori della storia
naturale replicavano e rafforzavano le gerarchie coloniali: i bianchi
scrivevano osservazioni dei popoli e luoghi che avevano visitato per
trovare un centro delle loro prospettive e scoperte (e talvolta le
scrivevano senza aver fatto vere osservazioni). Secondo questa idea
lo studio dell’altro era uno studio oggettivo, e ovviamente gli europei
erano gli unici a dover sfruttare, scoprire e aprire la strada in territori
già abitati da popoli che avevano una propria scienza e un proprio
sapere. Questa visione così chiara scaturiva dalla loro appartenenza a
una società civilizzata e civilizzatrice e a una gerarchia al cui vertice
permanevano gli europei e i coloni di discendenza europea.
Naturalmente, soprattutto quando parliamo di suprematismo
bianco, la gerarchia del potere prevede che i bianchi siano gli unici a
determinare i valori culturali, e quindi la femminilità bianca è il tipo
giusto di femminilità, i corpi bianchi valgono più di quelli neri, di
colore o indigeni, e le strutture sociali bianche sono il coronamento
dell’umanità. Per secoli, queste idee hanno dettato il modo in cui
pensiamo all’evoluzione, alla selezione naturale, alla selezione
sessuale e alla riproduzione. È importante porre in evidenza i legami
tra antropologia ed eugenetica, e tra ginecologia ed eugenetica,
perché i valori alla base degli interrogativi delle ricerche che hanno
determinato l’interpretazione contemporanea dell’utero hanno
occultato quello che fa in realtà questo organo meraviglioso.
Quando la femminilità bianca viene posta al centro e considerata il
tipo di femminilità migliore, alcune idee di genere diventano parte
integrante della scienza. La femminilità normativa bianca è spesso
passiva e al servizio della mascolinità bianca, pertanto nascono
paragoni tra ovuli e principesse rinchiuse in una torre, e lo sperma
diventa un principe che le salva.23 La femminilità normativa bianca è
magra, e la grassezza danneggia la riproduzione.24 La femminilità
normativa bianca agisce in netto contrasto rispetto alla mascolinità
bianca, quindi una persona mestruante butch, non binaria o trans è
inconcepibile e riceve cure inadeguate o in ritardo.25 La verità è che a
essere dominanti sono gli ovuli (in realtà, tutto l’apparato
riproduttivo partecipa alla selezione dello sperma), mangiare troppo
poco è il danno maggiore per la riproduzione e un sacco di persone di
ogni genere continua ad avere le mestruazioni e persino a desiderare
gravidanze in percentuali pari alle persone cisgender.26
Avrete notato che ho messo sullo stesso livello “normativo” e
“migliore”. I sostenitori dell’eugenetica hanno ricoperto un ruolo
diretto nel collegare questi concetti, influendo non soltanto sulle
questioni di genere (e di etnia, classe e sessualità) ma anche sulla
salute. All’inizio dell’Ottocento, gran parte della medicina
dell’Europa occidentale considerava i problemi di ciascun paziente
come unici e il lavoro dei medici più un’arte che una scienza.27 Lo
scopo era diminuire l’obbligo di rispondere delle proprie scelte: se un
paziente non sopravvive a una cura, non può trattarsi di un errore
medico perché non sappiamo quante persone di solito sopravvivono
a una malattia. Considerare la medicina semplicemente alla stregua
di un’arte significava che non c’era una standardizzazione delle cure,
e questo consentiva ai medici di vendere le proprie. Ma presto il
modello individualistico e autoritario della medicina cedette alla
standardizzazione, al calcolo delle medie e delle probabilità per
determinare le migliori prassi.28 Non è una cosa del tutto negativa.
Il passaggio dall’arte alla standardizzazione, tuttavia, fu anche il
momento in cui il settore medico cominciò a far coincidere
determinati calcoli statistici, come la normalità, con la salute. Alla
fine si è arrivati a correlare la normalità con la distribuzione
normale, in particolare con i dati che si raggruppano nel mezzo,
ovvero il valore atteso. Questa definizione di normalità incide sul
modo in cui interpretiamo i cicli mestruali e la loro variabilità. Molti
fattori importanti per il ciclo mestruale, indovinate un po’, non
hanno una distribuzione normale. Non c’è un raggruppamento nel
mezzo, pertanto qualsiasi calcolo del valore atteso non è un calcolo
reale di ciò che è normale. Quindi se in medicina tendiamo a
calcolare che chi rientra nella normalità è sano, un ciclo mestruale
sano è per definizione difficile da avere. L’idea che possa esistere un
ciclo mestruale normativo contraddice il ciclo mestruale contestuale
che si verifica in natura, e questa equazione tra normalità e salute è
una delle ragioni per cui tante di noi che abbiamo un utero finiamo
per pensare di essere in qualche modo anormali. Il tentativo di
rimediare a questo equivoco su cosa è normale costituisce una delle
motivazioni più forti della ricerca del mio laboratorio.
L’ultimo aspetto dell’eugenetica fondamentale per questo libro è
che essa ha portato alla formazione di una specie di paternalismo
medico, un sistema retto e rafforzato da coloro che ne traggono
beneficio. Da una parte, la medicina ha molto a cuore la
preservazione della fertilità, soprattutto quella delle donne bianche.
Dall’altra, la medicina è in grado di manipolare chi esprime
preoccupazioni pelviche, soprattutto se riguardano il dolore o un
sanguinamento eccessivo, soprattutto se quelle pazienti non
rientrano nella femminilità normativa bianca. Questa svalutazione
della vita di chi ha a che fare con malattie, disabilità e/o disforie di
genere è il fulcro del tradimento medico subito da tante persone con
l’utero che cercano di curarsi. L’obiettivo è sempre stato la
preservazione della fertilità bianca: i primi attacchi contro l’aborto
negli Stati Uniti risalgono alla metà dell’Ottocento, e all’epoca i
medici spiegarono chiaramente che il loro timore riguardava le
donne bianche. Sostenevano che “le donne anglosassoni sposate del
ceto medio erano quelle che ricorrevano all’aborto, e che il loro
ricorso all’aborto per interrompere le gravidanze minacciava la razza
anglosassone”.29
Il controllo della fertilità è un principio fondante dell’eugenetica.
Le storiche Susanne Klausen e Alison Bashford hanno mostrato
come il femminismo e l’eugenetica si sono alleati e separati più volte,
poiché entrambi hanno favorito la realizzazione di tecnologie
contraccettive. Tuttavia, come osservano Klausen e Bashford,
“proprio mentre il femminismo cominciava a promuovere la
maternità desiderata, l’eugenetica sosteneva che la capacità
riproduttiva delle donne fosse troppo importante per la
razza/nazione per rimanere sotto il controllo delle donne”.30 Oggi il
controllo dell’utero è evidente in gran parte dell’attivismo moderno a
favore delle cure mediche e contro l’aborto, proprio come allora: le
pazienti nere hanno più probabilità di quelle bianche di essere
incoraggiate a usare metodi contraccettivi a lungo termine (come i
dispositivi intrauterini, o Iud) anche se programmare la rimozione
degli Iud può essere difficile e può persino incontrare le resistenze
del proprio medico.31 Le pazienti nere e quelle disabili hanno dovuto
subire l’ipocrita sostegno degli attivisti antiabortisti (tra cui giudici
della Corte Suprema), mentre questi attori incapaci erodono i diritti
riproduttivi per mezzo di leggi sulla selezione dei tratti (per esempio
vietando l’aborto in base all’etnia, al sesso o all’abilità).32
Questo modello paternalistico di controllo riproduttivo limita in
determinate condizioni l’accesso alle tecnologie di riproduzione
assistita, alla contraccezione e all’aborto a chi possiede un utero.
Il nostro clima culturale influisce sulla mia quotidianità e sulla mia
attività scientifica. Eppure un approccio femminista a una condotta
responsabile della ricerca prevede fare i conti con la nostra storia e
con le condizioni contemporanee, nonché con la responsabilità che
noi scienziati spesso abbiamo in quanto autorità. Molte antropologhe
moderne, soprattutto studiose nere, indigene e di origine latino-
americana, si sono adoperate per costruire un futuro della loro
disciplina che problematizzi la scienza coloniale e razziale anziché
promuoverla.33 Queste antropologhe non ignorano la nostra storia
ma la usano per comprendere perché la competenza venga data per
scontata in chi detiene il potere, perché questo porti la gente a
pensare che un individuo possa essere l’esperto dell’esperienza
vissuta di un’altra persona. Si interrogano non soltanto sulle prove
quantitative ma anche sulle reazioni affettive. Queste studiose sono
la ragione per cui oggi posso scrivere un libro come quello che state
leggendo, con la speranza di stravolgere il razzismo scientifico che
quasi sin dall’inizio è stato la base dello studio dell’utero. Voglio
mostrare la realtà del funzionamento di questo organo, e per farlo
bene la scienza delle mestruazioni richiede un approccio femminista.
L’approccio femminista deve prendere atto delle storie e del potere,
posizionale e non solo, nonché prestare attenzione al linguaggio che
si usa. Dato il potere che detengo – sono bianca e cisgender (il mio
genere è in linea con quello che mi è stato assegnato alla nascita);
insegno agli studenti, e quindi tengo sotto controllo il loro successo
accademico; sono di ruolo, e quindi esprimo il mio voto
sull’assunzione di membri della facoltà di grado inferiore al mio; sto
scrivendo il mio libro; e molto altro –, è importante che spieghi con
chiarezza i miei metodi e il mio linguaggio, perché questa specificità
può contribuire a rendere inclusiva la scienza delle mestruazioni, ad
accorgersi delle disuguaglianze e a indirizzarsi verso una forma di
giustizia. Ecco perché sono grata di essere una scienziata e
un’antropologa femminista.

cosa significa scrivere un testo scientifico femminista sulle


mestruazioni

Negli ultimi quindici anni, ho diretto un laboratorio di scienza


femminista in cui studiamo i fattori di stress ambientali che possono
influire sul ciclo mestruale. Abbiamo esaminato come l’infanzia,
l’attività fisica, l’alimentazione, i problemi immunitari,
l’infiammazione e altro influiscono sugli ormoni ovarici e come
questi a loro volta influiscono sull’utero. Il ciclo mestruale, e le
mestruazioni in particolare, sono un fenomeno biologico
fondamentale che riguarda metà della popolazione mondiale e da cui
dipende la prosecuzione della nostra specie.
Definisco femminista l’approccio con cui studiamo il ciclo
mestruale nel mio laboratorio in virtù delle prassi e degli esiti. La
metodologia femminista è ingannevolmente semplice: rivelare la
storia, concentrarsi su chi detiene il potere e mettere alla prova gli
assunti alla base di tutto questo. La metodologia femminista nelle
scienze richiede conversazioni con sociologi, storici e studiosi di
scienze e tecnologie al fine di risalire alle origini di un’idea e di
ascoltare le storie dei popoli e delle idee dominanti dell’epoca, oltre
alle opinioni di chi si è espresso contro il pensiero dominante. La
metodologia femminista in biologia, soprattutto la biologia umana,
necessita di un’attenzione particolare a finanziatori, ricercatori e
oggetti della ricerca, a chi detiene il sapere più prezioso, a quali
obiettivi di ricerca vengono proposti, a quali risultati finiscono nella
letteratura soggetta a peer review, e a quali idee ed esperienze
persistono anche quando la scienza, in teoria rigorosa, le ha escluse.
Essere antropologa, poi, mi è d’aiuto. Grazie alle colleghe
femministe venute prima di me mi è stato insegnato a prestare
attenzione all’esperienza vissuta, e io cerco di trattenere il mio
giudizio o la mia opinione d’esperta su un argomento finché non ho
ascoltato abbastanza a lungo. Nel nostro laboratorio tentiamo di
realizzare quella che l’antropologa Anna Tsing chiama l’“arte di
osservare”.34 Tsing ricorre alla metafora della musica polifonica, in
cui si intrecciano diverse melodie indipendenti, per aiutarci a
comprendere che per osservare dobbiamo essere disposti a
rinunciare all’idea che esista una melodia dominante e ad “ascoltare i
momenti di armonia e di dissonanza che creavano tra loro” le diverse
melodie.35 Nel libro Against Purity: Living Ethically in
Compromised Times, la filosofa Alexis Shotwell partecipa a questa
conversazione sull’osservazione e aggiunge che “accorgersi del
mondo [è] una pratica di responsabilità”.36 Osservare ci permette di
vedere il potere e di seguire filoni diversi senza che uno metta in
ombra gli altri. Osservare ci permette di vedere la variabilità, la
sovversione e la resistenza.
Ho citato le pratiche femministe, ma vorrei dire qualcosa anche dei
risultati femministi. Un risultato femminista nella scienza ripara i
danni e chiede giustizia. Questo significa che non sono obiettiva? In
un certo senso sì, cavolo! Grazie alle forme femministe e riparatrici
della scienza, so che quando vivo un momento di forte stress e mi fa
male la pancia si tratta di una reazione psicosomatica, cosa che non
rende i miei sintomi immaginari ma riconosce i legami tra l’intestino
e il cervello. So che quando ho le doglie, determinate procedure che il
medico mi ha detto di seguire spesso danno origine ad altre
procedure e mi portano pressoché inevitabilmente a un parto cesareo
(non sto svalutando il parto cesareo ma semplicemente mettendo in
evidenza come determinati sistemi producano determinati esiti).
Non so se qualcuna delle persone che hanno lavorato per ottenere
questo sapere si consideri una scienziata femminista, ma so che il
risultato di questo lavoro mi ha dato potere in quanto persona che
desidera conoscenza, rispetto e autonomia.
A causa della mia formazione antropologica e delle metodologie
femministe, il mio approccio alla scienza delle mestruazioni è molto
diverso da quello di un clinico o di un epidemiologo. Per esempio,
penso che ci affidiamo troppo all’idea che gli studi controllati e
randomizzati siano una specie di metodologia incantata che verifica
la verità di un’affermazione medica. Non mi interessa reclutare serie
omogenee di dati per controllare la variazione perché se lo facessi mi
chiederei chi rappresentano le nostre scoperte. I miei questionari
non sono orientati a uno stato patologico particolare. Piuttosto, sono
curiosa nei confronti di tutto quello che significa essere una persona
che ha perdite di sangue. E mi piace imparare direttamente dalle
persone che vivono le esperienze verso cui sono curiosa e sapere cosa
succede secondo loro.
La mia curiosità e la mia apertura hanno portato a conversazioni
con amiche che subito si sono fatte intime, a messaggi sui social con
tanto di screenshot di dati estratti dalle app di tracciamento del ciclo,
a lunghi papiri via email da medici e genitori preoccupati, e in un
caso a un’estranea che mi ha mandato foto dei suoi coaguli di sangue
attaccati a un assorbente interno. Come molte altre scienziate
femministe, sono fedele all’idea che siano le persone che vivono
un’esperienza a essere le esperte di queste esperienze... anche se a
volte può significare un allegato a sorpresa con una foto scattata da
un iPhone.
Mentre scrivevo questo libro, ho continuato a scontrarmi con i miei
assunti non dimostrati, con le mie false credenze logiche, e con le
volte in cui gli scienziati hanno deluso le persone mestruanti, al
punto che ho dovuto immergermi nella storia e nel contesto culturale
di un argomento per comprenderne la ragione. Amo la scienza e il
metodo scientifico, sono lo strumento con cui il mondo naturale
assume per me senso e significato. Eppure per me amare davvero la
scienza significa esaminare tanto i danni che ha procurato quanto le
sue rivelazioni. Significa ritenere gli scienziati e più in generale la
comunità scientifica responsabili, in modo da poter svolgere il nostro
lavoro nel miglior modo possibile. Spero di dissipare il mistero delle
mestruazioni senza disperderne la magia.
ehi, il tuo sesso è nel mio genere!

Pur sperando che sia chiaro che molte persone che non sono donne
hanno le mestruazioni, e che molte che sono donne non le hanno,
spesso la ricerca sulle mestruazioni sembra ignorare questo fatto.
Oltre alle bambine, agli uomini trans e alle persone non binarie che
hanno le mestruazioni, ci sono donne e persone post-menopausa che
non le hanno (e ovviamente un sacco di persone che occupano
simultaneamente diverse di queste categorie, come il mio
adolescente transmascolino). Pertanto nel libro ho cercato di essere
molto chiara sul significato che hanno i termini che uso.
Quando esamino studi su bambine o donne, uso termini come
“bambine” o “donne”: questi termini si riferiscono a chiunque sia una
bambina o una donna, a prescindere dal genere o dal sesso
assegnato. Quando spiego le scoperte di uno studio e dico che si
applicano a tutte le persone mestruanti, uso espressioni come
“persone mestruanti”. È importante essere specifici, perché alcune
ricerche sono pertinenti per le persone con l’utero, che abbiano o
meno le mestruazioni in questo momento, e ovviamente ci sono
persone il cui utero è quiescente perché sono in menopausa ma che
nella vita hanno avuto centinaia di cicli mestruali. Quindi leggerete la
parola “donne”, laddove è pertinente, accanto a espressioni quali
persone con l’utero, persone mestruanti, persone che in passato
avevano le mestruazioni, persone in post-menopausa e altro, a
seconda di quello di cui parlo. Spesso descriverò semplicemente la
parte del corpo, l’organo, il meccanismo o la funzione pertinente,
senza avvertire la necessità di spiegare l’essere umano che questa
parte abita. Le mestruazioni contengono moltitudini!
Questo non significa che le mestruazioni non hanno genere, visto
quanto ho scritto sopra sul legame tra riproduzione sana e
femminilità normativa bianca. Il genere e altre categorie sociali
influenzano le esperienze e il sapere legati alle mestruazioni, e
pertanto vale la pena fermarci un momento per chiarire cosa siano il
sesso e il genere rispetto alla nostra interpretazione delle
mestruazioni.
Se appartenete alla Generazione X o siete nati ancora prima, forse
ricorderete il vecchio spot delle barrette al burro d’arachidi della
Reese, in cui un tizio passeggia per strada assaporando una
gigantesca barretta di cioccolato e si scontra con una donna che sta
assaporando un gigantesco tubetto di burro d’arachidi (possiamo,
per favore, normalizzare l’atto di portarsi in giro il burro d’arachidi e
mangiarlo direttamente dal tubetto?). I due esclamano
simultaneamente: “Ehi, il tuo cioccolato è finito nel mio burro
d’arachidi!” ed “Ehi, il tuo burro d’arachidi è finito nel mio
cioccolato!”. Il sesso e il genere funzionano più o meno allo stesso
modo: una combinazione deliziosa e inestricabile di tratti,
esperienze, assunti e resistenze. Il sesso è una designazione che
spesso ha a che vedere con le gonadi, i genitali e/o i cromosomi
sessuali di una persona, mentre il genere si riferisce alle esperienze o
all’identità culturali condivise.37 Tuttavia nessuno dei due è
esclusivamente biologico o esclusivamente culturale, e sarebbe
scientificamente inesatto tentare di creare categorie binarie per il
sesso o per il genere.
La psicologa sociale Suzanne Kessler mostra come possano essere
arbitrarie e non biologiche le designazioni sessuali nelle sue
interviste condotte negli anni Ottanta del secolo scorso con chirurghi
che effettuavano interventi ai genitali di neonati intersessuali (oggi
per fortuna questi interventi su neonati che non possono dare il
proprio consenso sono rari). Gli urologi a cui “piace creare maschi”
vedono un neonato che ha bisogno di un pene; allo stesso tempo un
intervento di assegnazione di genere per un neonato con un pene
piccolo può essere deciso in base a “se va ‘abbastanza bene’ da
rimanere tale”.38 L’assegnazione di genere nei neonati è una miscela
di pregiudizi e arte, non scienza, proprio come quei medici
dell’Ottocento che non volevano che la statistica si immischiasse
nella loro professione. Le gonadi o i genitali esterni non
“corrispondono” ai propri cromosomi come siamo indotti a credere,
a causa della cancellazione dell’intersessualità: alcune ricerche
indicano che addirittura il 2 per cento dei neonati nasce con tratti
intersessuali.39
La consapevolezza dei limiti biologici dell’assegnazione del sesso
prenatale o infantile è una delle ragioni per cui molti scienziati si
stanno spostando verso espressioni come “genere/sesso” per
descrivere un fenomeno di espressione, biologia, cultura ed
esperienza vissuta impossibile da districare.40
Anche se userò “genere/sesso” quando è pertinente, adopererò
anche il termine “genere” riferendomi specificamente alle forze
culturali che agiscono sul corpo. Come ho accennato, il genere è
fortemente influenzato dall’etnia. Vale a dire che spesso negli Stati
Uniti e in molti altri Paesi le forme idealizzate dei ruoli e dei
comportamenti di genere derivano da quello che vogliamo e che ci
aspettiamo, come cultura, che le donne bianche facciano, e in parte
sono pensate per distinguere le donne bianche dalle donne di altre
categorie etniche.41
In sostanza, mentre il genere può avere alla base tratti biologici
perché è correlato in parte ai cromosomi, alle gonadi e ai genitali, la
disuguaglianza di genere consiste in una serie di pratiche sociali
scollegate dalla biologia che hanno però conseguenze biologiche. Ciò
significa che la presentazione di genere, le opinioni di genere e le
esperienze di genere di una persona mestruante influiscono
sull’esperienza di una cosa che presenta molte connotazioni di
genere, le mestruazioni, e sul modo in cui la persona interagisce con
il mondo. Nel caso dei bagni pubblici o di altri modi in cui le persone
esperiscono le mestruazioni in pubblico, le conseguenze possono
essere pericoli fisici reali.
Oltre alle questioni di genere/sesso, ci sono alcuni termini vaghi
che sento la necessità di chiarire. Mi riferisco alla propensione da
parte degli antropologi a parlare delle culture occidentali come se
fossero normative e a nascondere dentro la parola molti altri
concetti.42 Quando uso la parola “occidentale” in questo libro, mi
riferisco alla storia, alla cultura e/o alla scienza che derivano
dall’Europa occidentale. La storia dell’Occidente (oltre al modo in cui
talvolta immaginiamo quella storia, vera o meno) riveste un ruolo
importante in gran parte della scienza occidentale. Tuttavia,
nell’antropologia può succedere anche che nel termine “occidentale”
infiliamo anche un pizzico di razzismo scientifico: cioè, quando
diciamo “occidentale”, intendiamo anche “bianco”. Non riguarda
soltanto l’idea di occidentalità, ma anche la formazione e la pratica
della scienza occidentale: la maggior parte della scienza occidentale
viene praticata dai bianchi, e la maggior parte della scienza
occidentale pensata per instaurare valori universali o normativi viene
praticata sui bianchi. Come per il genere/sesso, la specificità è
cruciale. Tuttavia, a differenza del genere/sesso, dobbiamo lavorare
per separare questi termini e rendere visibile l’influsso dell’etnia.
Quando dico “bianco” mi riferisco alla frequenza con cui la pelle
bianca viene collocata ai vertici della gerarchia razziale, cosa che
ovviamente si intreccia con la storia, la cultura e la scienza
occidentali. Ma bisogna estrarla da questo groviglio e nominarla
specificamente più volte, non solo per comprendere come il razzismo
agisca su una data idea ma per impedire che cancelli tutte le persone
nere, di colore e indigene che contribuiscono alla cultura occidentale,
la trasformano e vi oppongono resistenza. Infine, quando parliamo di
“occidentale”, avviene un’altra fusione significativa e cioè che spesso
intendiamo anche un ambiente industriale o postindustriale: la vita
in città o nelle periferie, lavori impiegatizi, determinate idee e
aspettative sull’istruzione formale, l’alimentazione e l’attività fisica.
Ma le attività di sussistenza di una popolazione sono più eterogenee,
come lo è il loro impatto sul corpo a seconda del genere, dell’etnia e
della classe. Quindi nel caso in cui sarà pertinente, sì, parlerò di
ambienti postindustriali e di ambienti industriali, ma anche di
agricoltura, caccia e via discorrendo. Nessuna di queste attività o
pratiche culturali più in generale, però, è occidentale, in
contrapposizione con qualcosa di non occidentale.
Infine vorrei rimarcare il mio grande apprezzamento per il
concetto di scienza dominante proposto da Max Liboiron nel libro
Pollution is Colonialism,43 ovvero una scienza che “diventa
dominante al punto che altri modi di conoscere, fare ed essere
vengono considerati illegittimi o vengono cancellati”. Anche se gran
parte della scienza occidentale è dominante, fondere le due cose
nasconde il fatto che esistono alcune scienze occidentali che non
sono dominanti, alcune che sono state soppiantate da altre scienze
occidentali e altre il cui ruolo dominante viene messo in discussione
dagli scienziati occidentali.
L’espressione “scienza dominante” è utile perché ci consente di
accorgerci che una melodia sovrasta le altre e ci invita a chiederci
quali modi di sapere potremmo scoprire se ascoltiamo con
attenzione.

voglio solo occuparmi di scienza

Se sembra che questa introduzione abbia un intento politico, è


perché lo ha. La scienza viene praticata da esseri umani che vivono
nella società.44 La medicina viene praticata da esseri umani che
hanno la propria storia. Non voglio parlare di questo: voglio fare la
nerd e dilungarmi sui meccanismi della riparazione mestruale. Non
voglio cercare su Google quali Stati hanno approvato trigger laws,
voglio esaminare le curve di estradiolo. Giuro che questo libro è
pieno di scienza. È anche pieno della storia e dei sistemi che
complicano la capacità delle persone mestruanti di ottenere
informazioni corrette sul proprio corpo, rivolgere domande e
detenere il controllo degli obiettivi della ricerca. Si tratta di un
terreno scivoloso, perché oltre al fatto che le informazioni vengono
trattenute in ambito medico, in quello politico vediamo persone che
potrebbero usare informazioni accurate sull’utero per influenzare le
decisioni politiche e scelgono invece di non farlo, e questo è un fatto
determinante.
Nei primi capitoli affronterò il come e il perché delle mestruazioni.
Dedicherò spazio al concetto di tabù mestruale, a come culture
differenti hanno teorizzato le mestruazioni e a come nell’insieme
questi aspetti hanno determinato la nostra idea novecentesca, ovvero
che le mestruazioni sono inutili... e a come la resa dei conti del
Ventunesimo secolo ha modernizzato la nostra interpretazione.
Esaminerò la storia della normalità nella scienza e nella medicina e
dimostrerò che il desiderio di immaginare persone normali e sane ha
influito sulla nostra interpretazione del ciclo mestruale. Mi occuperò
di ormoni ovarici, di cicli di retroazione e dell’endometrio, ma
prometto che sarò un’ottima guida. Condividerò con voi gli studi di
laboratorio più recenti, che rivelano come il “ciclo mestruale
normale” non rappresenta la maggioranza degli individui, e cosa
stiamo facendo per indurre la medicina a descrivere meglio le
variazioni.
Seguono tre capitoli che analizzano i fattori ambientali alla base
della maggior parte delle variazioni nei cicli mestruali. Il capitolo 3
parte dalla storia della teoria dell’energia limitata, l’ipotesi avanzata
verso la fine del Diciannovesimo secolo secondo cui troppa attività
ridurrebbe la capacità riproduttiva della donna bianca (soprattutto
l’attività mentale, come il volgare desiderio di frequentare il college o
di votare). Prenderò in esame anche l’energetica: quanto mangiamo e
quanto ci muoviamo, oltre ai significativi fraintendimenti causati da
alcune idee errate riguardo all’alimentazione e la corporatura sui cicli
mestruali e su alcune patologie correlate, come la sindrome
dell’ovaio policistico.
Il capitolo 4 si occupa dei problemi immunitari. Analizzo il modo
in cui l’infiammazione può interferire con i meccanismi di
segnalazione dell’utero e la sua rilevanza per i cicli mestruali.
Dedicherò molto tempo a due fenomeni che mi stanno molto a cuore.
Il primo è il concetto di menstrual hygiene management (Mhm,
gestione dell’igiene mestruale), un intervento di sanità pubblica che
si occupa dei problemi di povertà mestruale tra le persone
mestruanti del Sud globale. Uno dei fondamenti della MH è che
molti dei metodi che le persone mestruanti sono costrette a usare per
rendere invisibili le perdite ematiche aumentano il rischio di
infezioni. Ma in questo caso è il sangue mestruale (e i panni di lino,
di carta paglia o di giornale) a essere sporco? Passo poi a esaminare
un progetto recente che si è impossessato della nostra vita. Il nostro
progetto, che si occupava delle forti perdite intermestruali che molte
hanno avuto dopo aver ricevuto il vaccino per il Sars-CoV-2, ha finito
per occuparsi anche di esitazione nei confronti dei vaccini e sfiducia
nella medicina... e di come le sperimentazioni sui vaccini non sono
state pensate tenendo conto delle mestruazioni.
Il capitolo 5 è dedicato all’ultima categoria importante, i fattori
ambientali che possono influire sui cicli mestruali. I fattori di stress
psicosociali occupano un posto interessante nella storia della
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"Good morning, Olivier! Good morning!" as a young girl came towards
him with outstretched hands. She was tall and lithe, of a fair, rosy
complexion, and wore a peasant's dress from which the colour had long
since faded. She advanced rapidly, now and then replacing with a quick,
graceful movement the rebel locks of fair hair that caressed her cheeks, all
in disorder from the air and exercise.

"You bad boy! Auntie and I have been quite anxious about you; but
where do you come from?"

For only answer the young man kissed her upturned forehead, and
allowed her to take the stick at the end of which his coat still hung.

"And where is mamma?" he asked, continuing to walk on.

"Why, here, of course!" called another voice, a woman's also, gay and
joyous as the other, but more mellow in tone, and Clarisse's head appeared
above the tall grass.

Instantly the young man was in his mother's arms, and seated by her
side on the trunk of a fallen chestnut lying parallel with the stream, which in
his haste he had cleared at a bound, discarding the assistance of the little
bridge of trees of which the young girl was more prudently taking
advantage.

"Ah! my poor Olivier! What anxiety you have caused us! Why are you
so late? And after being out all night, too?"

"Did you not know that I should not be back?" the young man asked,
looking at his mother.

"Yes, but we expected you earlier this morning."

"It does certainly seem as if it had happened on purpose," he said, as he


explained to them why he was so late, and he went on to tell them how he
had been kept at the last moment by his employer for some pressing work at
Saint-Prix, a little village then in full gala, and distant about a league from
the forest. The Democratic Society of the district had joined for this
occasion with the Montmorency Society, and there were of course masts to
put up, a stand to erect, or rather to improvise, for everything was
behindhand. Olivier had been told off to fix iron supports to the steps raised
for the convenience of the populace. They had worked, he said, till late in
the night by candle light, and in the morning, when he was preparing to
come home, he had to go to l'Ermitage to open a bookcase, just to oblige
the gardener who was such a good fellow, though the tenant...

"Who is he?" interrupted Clarisse, always fearful and uneasy at the


thought of her son going to a stranger's house.

"I don't know at all," replied Olivier. "I only know that he didn't even
disturb himself to thank me. They have pretty manners, these Republicans;
the old aristocracy were at least polite."

But his mother stopped him.

"Oh, hush! Do not speak like that; suppose you were heard!"

And, putting her arms round his neck, as if to shield him from some
possible danger, she asked him what news he brought from the workshop.

"Nothing but the same string of horrors at Paris, and it was even said
that the number of victims had sensibly increased."

Carried away by his subject, he detailed to the two women scraps of


conversation overheard that night at the village of Saint-Prix. As he spoke,
Marie Thérèse, now seated near him on the grass, with his coat spread
before her, silently smoothed out the creases, and his mother drank in every
word with breathless attention.

Nothing was left of the Clarisse of sixteen but the velvet softness of the
blue eyes, and the sweet charm of their expression, with all the pristine
freshness of a pure soul still mirrored in their depth. The thin, colourless
face seemed modelled in deep furrows, and the fair hair was already shot
with silver. Though poorly clad in the dress of a peasant, she also might
have betrayed her better birth to a practised observer by her white hands,
with tapered fingers and delicate wrists, and by the supple grace of her
bearing. But who could regard as an aristocrat this poor woman, almost old,
sheltering under her maternal wing the stout young workman, with his
resolute air and hands blackened at the forge?

She now went under the name of Durand, as did her son and her niece,
Marie Thérèse, who passed as the child of her brother-in-law. The young
girl was, in reality, the daughter of her own brother, the young student of the
College of Navarre, who had been killed the preceding year in Vendée,
fighting in the ranks of the Chouans, in the Royalist cause. Clarisse's
husband also met his fate at one of these sanguinary combats, for he was so
dangerously wounded that a few days after he had been secretly conveyed
to London he died in great agony.

For Clarisse had been married, and was now a widow.

And her past: it could be written in a page—a little page; yet in writing
it her hand would have trembled at every line. Deserted by her betrayer,
receiving no reply to her letters, she realised, when too late, his cold egoism
and ambition. She had been separated from her child, who was born in the
retirement of a little village of Dauphiné, whither her father had taken her,
and had been immediately confided to the care of peasants, where she was
allowed to visit him once a fortnight, subject to a thousand precautions
imposed by Monsieur de Pontivy.

And yet, with all this weight of sadness, Clarisse retained her native
grace. Misfortune had but added charm to her delicate and melancholy
beauty.

It sometimes happened, though very seldom, that she was obliged to


accompany her father into society. On one of these rare occasions she
attracted the notice of a young captain of the Queen's Guards, Monsieur de
Mauluçon, who sought her society assiduously, fell in love with her, and
asked Monsieur de Pontivy for her hand.

"Your offer does us much honour," the Councillor had replied, "but I
should wish you to see Mademoiselle de Pontivy herself, before renewing
your request to me."
And Monsieur de Pontivy notified the fact to Clarisse the same evening
with characteristic formality:

"Monsieur de Mauluçon," he said, "whose affection, it appears, you


have won, has done me the honour of asking for your hand. I gave him to
understand that you alone would dispose of it. He will be here to-morrow
afternoon to confer with you. I do not know if he pleases you, but this I
know, that if you wish to accept his offer you must lay before him the story
of your past. And I need not tell you that if, after this, he persists in making
you his wife, you can rely on my consent."

"It shall be as you wish, father," Clarisse answered.

That open nature, which was her most touching trait, made her father's
attitude seem quite natural. She did not wait to think that Monsieur de
Pontivy could have spared her the shame of this avowal by making it
himself, for the fault of another is more easily confessed than our own.
Clarisse only felt that, having inflicted a wrong on her father, she was in
duty bound to expiate it. And, in truth, it did not cost her so much to make
the confession to Monsieur de Mauluçon as it would to have broken it to
any other, for he had from the first inspired her with unbounded confidence.
She had read a manly generosity in the kindly expression of his frank, open
face. She would never have dreamt of becoming his wife, but since he had
offered himself why not accept the proffered support of so strong an arm?
She well knew in her lonely existence that her father would never be the
loving friend and protector that, in the utter weakness of her betrayed and
blighted womanhood, she had yearned for through so many long days!

But her child, her little Olivier, would he be an obstacle? At the thought
her eyes filled with tears. What did it matter? She would only love him the
more, the angel, and suffering would but bind them closer together!
However, it was now to be decided, and both their destinies would be
sealed, for she well knew that if Monsieur de Mauluçon drew back after her
confession, all prospects of marriage would be over, for never again could
she so humiliate herself, though she could bring herself to it now, for she
had read a deep and tender sympathy in her lover's eyes. And, after all, what
mattered it if she were not his wife? She would at least remain worthy of his
pity, for he could not despise her. Her confession would create a tie between
them which he would perhaps remember later on, when her little Olivier
engaged in the battle of life.

When Monsieur de Mauluçon came again to her, innocent of all


suspicion, he found her grave and deeply moved. In a few brief words she
laid bare to him the history of her past, and he was too high-souled, too
strong and generous, to feel anything but an immense pity for a heart of
exquisite sensibility, wrecked by its own confiding impulses,
misunderstood, misled, and then forsaken.

He took both her hands in his and pressed them to his lips respectfully.

"And the child," he said; "whose name does he bear?"

"Luc-Olivier. Olivier is my father's Christian name."

"But he must have a name! We will give him ours. Mauluçon is as good
as Pontivy."

"How can that be?" Clarisse answered, thinking she must be dreaming.
"Do you mean you will adopt my child? ... Oh! Monsieur! ... Monsieur!..."
and she stammered incoherent words of gratitude, struggling with an
emotion which seemed to strangle her.

"I also have a Christian name"—and he bent low, whispering softly in


her ear—"my name is Maurice."

She turned towards him with a wan smile, and as he stooped to kiss his
affianced bride she melted into tears.

The child was just two years old. The young couple took him with them
in their travels. They then established themselves at Pontivy, near the
grandfather, who had softened towards his daughter since her marriage,
partly won by the baby charm of his grandchild. Their visits to Paris
became less frequent, for Monsieur de Mauluçon, in order better to enjoy
his home life, obtained an unlimited leave of absence. He now devoted
himself to Olivier's education, who was growing up a bright, frank, and
affectionate boy. Except Monsieur de Pontivy and Clarisse's brother
Jacques, no one but themselves knew the story of his birth. Jacques de
Pontivy, recently married, had kept it even from his wife, who died,
however, some months after giving birth to a baby girl, whom Clarisse now
loved as much as her own Olivier.

Life seemed to smile at last upon the poor woman, when the Revolution
broke out. Jacques de Pontivy, who had intended to succeed his father in
Parliament, seeing the Royal Family menaced, entered the army, which
Monsieur de Mauluçon had also rejoined. Both endeavoured several times
to give open proof of their loyal sentiments. They covered the flight of
Louis XVI. and Marie Antoinette, and were nearly taken at the arrest of the
King and Queen on their way to Varennes, and the next year they were
obliged to fly from France, and both sought refuge in England, resolved to
serve the Royalist cause with all their energy and devotion to the last.

Clarisse, who had remained at Paris with her husband during those
stormy times, now rejoined her father at the Château de Pontivy, with
Olivier and little Marie Thérèse.

Monsieur de Pontivy, whose health was fast failing, was struck to the
heart by the rapid march of events and the sudden collapse of all his most
cherished surroundings.

"There is nothing left but to die," he would say sometimes, looking on


with indifference at the vain attempts of his son and son-in-law, whose firm
faith and enthusiasm he no longer understood, tired and disgusted as he was
with everything.

Another tie which bound Clarisse to France was the charge of the two
children. Almost grown up now, they were still too young to be exposed to
the danger of travelling in such uncertain times, when the frontiers were
scarcely guarded, and France was committed to a course which had
estranged her from the nations of Europe.

But when Clarisse heard that Monsieur de Mauluçon and her brother
were on the eve of leaving London for Southampton to rejoin the royal
army in Vendée, she hesitated no longer.
Confiding the children to their grandfather's care, she left Pontivy, and
arrived in London, to find her husband and brother at the house of a mutual
friend, Benjamin Vaughan, whose acquaintance they had made at the
American Embassy in Paris, at a reception on the anniversary of the United
States Independence, and with whom they had become intimate.

But Clarisse had hardly rejoined her husband, when a letter reached her
from Pontivy telling her that if she wished to hear her father's last words she
must come at once. She returned to France almost beside herself with grief,
giving her whole soul to her husband in a parting kiss.

It was to be their last.

Misfortune followed misfortune with astounding rapidity. Monsieur de


Mauluçon and Jacques de Pontivy soon landed at Saint-Paire, and joined
the Vendean army. At the first encounter Jacques was killed by a
Republican bullet, and Monsieur de Mauluçon mortally wounded. He was
secretly conveyed to London with other wounded royalists, and in spite of
the fraternal welcome and care he found under the roof of the faithful friend
who had always received them with open arms, he died there of his wounds.
Clarisse learnt her double bereavement at the time when her father was
breathing his last.

Thus she became a widow and an orphan in that brief space of time.

Prostrated by this double blow, she was for some time at death's door.
When she came to herself after a delirium which lasted nearly a week, she
saw her children—for Marie Thérèse, now doubly orphaned, was more her
child than ever—seated at her bedside awaiting in unspeakable anxiety her
return to consciousness. She drew them to her, and covered them with
kisses.

"Console yourselves," she said, "I shall live, since you are here."

At this moment a man advanced smilingly towards her, his eyes


glistening with tears of joy.

"Leonard!" she said, "you here?"


It was an old servant of Monsieur de Pontivy, who had come in all haste
from Montmorency, where he lived, to attend the funeral of his late master.

"Ah!" he cried, "Madame can rest assured Leonard will not leave her till
she is herself again."

"Then I shall remain ill as long as possible," she replied laughing, and
she held out her hands to him.

Her convalescence was short, and as soon as she was on her feet again
she began to think of the future. But Leonard had already thought of this.
"You cannot remain here," he said. "Your name, your connections, your
fortune—everything denounces you, and exposes you to the ill-treatment of
so-called patriots. You must leave Pontivy."

"Go? But where?" asked Clarisse, "Abroad? I have already thought of


that, but how can I reach the frontier with my young people without
passport, and without guide?"

"The surest way to find shelter and safety is to remain in France,"


Leonard answered. "Listen to my plans. I have a cottage hidden among the
trees in a little hollow of the forest of Montmorency. The place is lonely and
little frequented. You can take it in a borrowed name as my tenant. An
honest couple, well known to me, a gardener and his wife, will assist in the
house, and in the cultivation of the little plot of ground. To avert suspicion,
you can place your son with me as apprentice. I am one of the most
influential members of the Democratic Society of Montmorency. My
patronage is therefore a guarantee of your Republican principles. Olivier
will learn a trade, and remain under your care, for he can return home every
night to dinner, and thus, dear lady, we will await better times."

Clarisse consented joyfully, and in eight days the little family were
installed in the cottage of the forest, secure and safe, in a narrow valley
thickly planted with trees, whose bushy branches formed a second roof over
their humble dwelling. Fourteen months Clarisse lived there unnoticed,
hearing only of the events happening at Paris from the harrowing accounts
of the guillotine and noyades which her son brought from the workshop,
peopling the sleep of the two women with fearful dreams.
When! oh, when! would they emerge from that obscurity? When would
the trumpet-call of deliverance sound for France! Clarisse dared not think.
She trembled every instant for her own and her children's safety; for Olivier
above all, who already took a too lively interest in the conversations of the
workshop, and in popular manifestations. Clarisse did not acknowledge it
that morning when she met her son, but she had not slept all night, although
she had been aware that he would not return. So when the household duties
were over she had come long before the time fixed, to wait for him, as she
often did, in that green glade which opened on to the path he was wont to
take. When she saw him in the distance she used to beckon to him,
anticipating the joy of reunion; all a mother's tenderness smiling in her eyes
and on her lips.

Clarisse now hoped that, having been out all night, Olivier would not
assist at the fête. But she was mistaken, for he took his coat from Marie
Thérèse and prepared to go. "What! you are not going to spend the day with
us?"

"Now!" replied Olivier coaxingly. "You don't really mean it. And what
about the fête? You know well my absence would be noticed. All the youth
of Montmorency will be there. But I promise you to return for supper. At all
events, I have an hour before me. Let us have a crust and some wine."

Clarisse rose from her seat, and Marie Thérèse helped the lad on with
his coat; then all three went in the direction of the little bridge, but Olivier
retraced his steps directly. He had forgotten his stick. Stooping to pick it up,
he heard some one near him softly asking the way, and looking up, he found
himself in the presence of a stranger, who pointed to a signpost knocked
down by the wind, and from which the writing was defaced.

"Which of these cross-roads leads to La Chèvre?" he asked.

"This one," Olivier answered.

The stranger thanked him, but at the sound of his voice, Clarisse, who
had been listening, turned, and as she came nearer she gave a cry of joy.
"Is it possible! You here, Vaughan!" and she came towards him with
outstretched hands.

The man's face lighted up with joy as he turned to greet her:

"Madame de Mauluçon!"

"Hush!" she said, then lowering her voice, she introduced the two young
people, who, surprised at first, smiled and shook hands with this friend of
their family, whose name they had so often heard at Pontivy and Paris. In a
few words Clarisse explained to the newcomer their circumstances,
pointing out the peasant's cottage hidden among the trees, where they lived
away from the outside world. As she spoke her voice trembled, and she
could with difficulty restrain her tears, for the man before her had held her
dying husband in his arms. It was he who had heard his last words, closed
his eyes, and sent Clarisse the terrible news. She longed to question him,
but was restrained by the presence of the children. So when Marie Thérèse,
who with a woman's instinct felt they had sad and serious things to say to
each other, asked if they might leave them, Clarisse thanked her with an
eloquent look.

"That is right, children," she said, "go on; we will rejoin you presently."

Alone with Vaughan, her eyes filled with tears; she overwhelmed him
with questions, which he answered with exquisite delicacy, softening every
painful detail. Clothing his words considerately in a mist of generalities, he
guided the conversation with infinite tact, avoiding some points, putting
others in his turn, and finally he spoke of the agreeable impression that
Olivier and Marie Thérèse had produced on him.

"What a pretty couple they would make!" he said; "but I suppose you
have already destined them for each other!"

Now she could smile. He continued—

"Oh! I saw that at once. I congratulate you. And when is the wedding-
day?"
Alas, how could she know? Under this abominable Government,
marriage in the church had been abolished, and were they even to satisfy
themselves with a civil contract the mayor would demand their birth
certificates. These were no longer in her possession, even had she wished to
produce them. And where were they?

"I have them," replied Vaughan.

She looked at him in astonishment.

He then explained to her how he had found them among a bundle of


papers which her husband had been sorting, in order to burn the most
compromising, when death overtook him. He—Vaughan, the confidant of
his last moments—had completed this task. Among the letters, acts, and
accounts, relating chiefly to politics and the different movements of the
Chouans and the emigrants, he had found several family documents, some
insignificant, others of more importance. These he had laid aside for
Clarisse's perusal.

"I will now make a confession," he continued, "which must be made


sooner or later."

He stopped embarrassed, and then, as if suddenly resolved, added—

"The work of classification has put me in possession of a family secret.


Among the papers which I have to return to you are the birth and baptismal
certificates of Olivier."

Clarisse looked at him anxiously. He continued after a pause—

"In glancing over these I perceived that both were dated 1775, that is,
two years before your marriage."

Again he paused as if fearing to have said too much.

"And what conclusion did you draw from this?" she asked, resolved to
hear the worst.
"That by your marriage with Monsieur de Mauluçon Olivier was then
made legitimate."

She recoiled, pale and terrified. Never had such a possibility crossed her
mind: her husband, the soul of loyalty and honour, he to be suspected!

"You are mistaken," she said, and added, now quite calm and self-
possessed—

"Olivier bears the name of Monsieur de Mauluçon, but he is not his son
... he is mine."

Vaughan made a gesture as if to prevent her continuing. He knew too


much now. Deeply affected and embarrassed, he murmured a confused
apology, overcome with admiration before this woman, who so frankly
confessed her shame rather than let suspicion rest for a moment on a
husband whose memory she revered. She led her companion to the trunk on
which she had been sitting with her son, and asking him to listen to her
story, she told of her youthful folly, her isolated life, her fall, and the
cowardly desertion of the young secretary, whose name, however, she
concealed; then of the noble generosity of Monsieur de Mauluçon, who had
effaced the past by adopting as his own her son.

"Olivier knows nothing, of course?" asked Vaughan.

"Absolutely nothing. He thinks he is Monsieur de Mauluçon's son."

Vaughan took both her hands in his.

"You have suffered much," he said. "May the rest of your years be years
of joy and happiness!"

"God grant it!" she answered. "But it is hardly to be hoped in such


fearful times of trouble and uncertainty."

He did not reply at once, but seemed preoccupied. Then he said


suddenly, as if continuing his thoughts aloud—

"Why don't you come with me to England?"


"Are you returning, then?"

"Yes, in a few days."

She gave a little cry of joy, then added regretfully—

"It is useless to think of it. There is always that question of passport in


the way."

Vaughan reassured her.

"I can arrange all that for you," he said.

She looked at him in astonishment, wondering how such a thing could


be possible to him, a foreigner. Then suddenly struck by the recollection
that she had selfishly kept him occupied with her affairs all the time, she
hastened to ask him what had brought him to France. Perhaps she was
detaining him? And she begged him to forgive her want of thought.

"You need not make any excuse," he said, smiling; "it would not have
interested you, for my presence here is due to politics. It must astonish you
that I should come to France when our countries are at war; but, be assured,
I am well protected."

And Vaughan explained to her how he had been sent by an influential


member of the House of Commons to confer with the man who was looked
upon as the most powerful, the master, in fact, of the Republic—
Robespierre.

At the mention of this name Clarisse drew back terrified.

Vaughan evinced no particular surprise, for that name produced the


same effect on every woman. Was not Robespierre, indeed, the
personification of that bloodthirsty Government in whose iron grip France
was then writhing in agony?

He traced a striking portrait of the Incorruptible, from the intricacies of


his subtle politics to the fierce and stubborn ambition capable of anything to
attain its end. Clarisse listened, spell-bound and trembling.
Vaughan, judging the man from a political standpoint, estimated him at
his true value. His character, mediocre at the best, was exaggerated in
England. The Whig party had commissioned Vaughan to propose to
Robespierre an arrangement which, if accepted, would most likely change
the face of things. But would he accept? Vaughan doubted it, for the
arrangement, though in one way flattering to the self-love and pride of the
Incorruptible, would at the same time diminish his importance, and set a
curb on his ambition, which, as Vaughan well knew, with all the pretensions
of the man to simplicity and republican austerity, was all-absorbing and
unbounded.

Seeing Clarisse so attentive, Vaughan continued to paint Robespierre at


home in the patriarchal circle of the Duplay family in the Rue Saint Honoré,
where he occupied a modest apartment between that of the old couple and
their younger son, as whose tutor he was acting until the time came for his
marriage with Cornelia, Duplay's youngest daughter, to whom, as it seemed,
he was devotedly attached.

Clarisse, her eyes fixed on Vaughan, drank in every word. The


Englishman went on, giving a precise and detailed account of Duplay's
home—a home guarded by the wife, who watched the door in real bull-dog
fashion, for it was the centre of mistrust and suspicion. Yes, Robespierre
was well guarded. He, Vaughan, even with an introduction as Pitt's agent,
had not been able to see him. He had only succeeded after many difficulties
in obtaining an interview in the forest, where he was to confer with him in
secret, until joined by the Duplay family. Constantly beset by the fear of the
Committee of Public Safety, who watched his every movement, he had
arranged for a picnic in the glades, to avert suspicion from this forest
interview.

Clarisse, pale and trembling, made a great effort to steady her voice, and
asked—

"Is he coming here?"

"Why, yes!" replied Vaughan; "he will be here directly. I am a little


early."
Although accustomed to the effect which the name of Robespierre
always produced, Vaughan would have been surprised to see Clarisse's
emotion had he watched her face, but being preoccupied, he looked at her
without taking notice, and continued—

"Yes, the chance is opportune. It will enable me to ask for your passport.
He cannot refuse."

Clarisse looked at him, petrified with horror.

"And is it to him that you will go for our passports?" she said.

"Yes," replied Vaughan; "and I am quite sure of obtaining them."

"Impossible!" exclaimed Clarisse. "It cannot be!"

"Why, dear friend?" asked Vaughan, beginning to show signs of


astonishment.

"He would want to know my name."

"Well! and I should tell him."

"Oh no; anything but that!" she gasped, bounding forward as if to seal
his lips with her hands; then she commenced to walk madly to and fro, no
longer able to control her emotion.

Vaughan, more and more mystified, looked at her in amazement. "I


cannot understand you," he said.

She gazed at him for a moment, silent and hesitating, then, as if


suddenly resolved, she went up to him.

"A word will explain everything. Since you are already possessed of
half the secret of my life, it is perhaps better that you should know all."

She paused, and then continued—

"Olivier's father——"
"Well!" interposed Vaughan, now aghast in his turn, scarcely daring to
understand her.

"He is Olivier's father!"

And as if broken with the effort, she sank down by the fallen tree-trunk,
and sobbed aloud.

"Oh, my poor, poor friend!" exclaimed Vaughan as he bent over her. "I
who thought your sufferings were at an end, and in my ignorance added to
them by telling you so brutally what I thought of that man!"

"You did not tell me more than I have thought myself," she said. "For a
long time, to my contempt for him has been added an absolute abhorrence."

Vaughan here interrupted her with a gesture, intimating silence, his eyes
fixed on the distance.

"Is it he?" she said in a trembling whisper.

Vaughan continued to look. He could make out the dim outline of a


man's form advancing through the trees.

Clarisse turned to escape, whispering as she went: "Will you come on


afterwards to the house?"

"No; to-morrow I will, not to-day. He is sure to have me followed,"


replied Vaughan, his eyes still fixed on the advancing figure.

Clarisse was about to reply, but Vaughan had recognised Robespierre.

"It is he!" he exclaimed. "Go quickly, he is coming this way," pointing


to the path by which Olivier had come.

Clarisse had already crossed the stream and was standing behind a
curtain of reeds. She parted them gently and asked, with shaking voice—

"Where is he?"
Even in her fear she remained a woman, divided between a horror of the
man and the desire to see him again.

"Ah! I see him... Adieu, till to-morrow...."

The reeds fell back into their places, and Vaughan, left alone, seated
himself on the tree-trunk. Robespierre soon came up, walking leisurely, a
bunch of blue periwinkles in his hand, his eyes on the grass, seeking others.
He stooped here and there to gather and arrange them daintily as a bouquet.
He was elegantly dressed, with top-boots, chamois knee-breeches, a tight-
fitting redingote of grey stuff, and a waistcoat with revers. A red-haired dog
of Danish breed gambolled before him, without fraternising unduly, as if his
master's faultless attire somewhat overawed him. At a few steps from the
stream Robespierre perceived Vaughan, and came to an abrupt halt. At the
same time two men appeared, wearing carmagnole jackets and two-horned
hats, and carrying stout cudgels. Vaughan rose to meet the Incorruptible.
The dog began to bark.

"Advance no further!" cried Robespierre. "Who are you?"

He made a sign to the two men, who evidently had been acting as
scouts, and sent them towards Vaughan, who, though aware of his ways,
was still a little taken back at these strange preliminaries. Vaughan gave the
two men his note of introduction.

Robespierre took the paper, and drew out of his pocket a gold case, from
which he took a pair of blue, silver-rimmed spectacles, which he carefully
wiped and put on.

"It's all right," he said, after reading the note; and addressing himself to
the two men, he added, "Leave me now, but do not go far, and, above all,
keep watch round about."

And Robespierre crossed the bridge, and advanced towards Vaughan,


followed by his dog.
CHAPTER IV

THE ARREST

The two men measured each other from head to foot with rapid glances;
the one with curiosity, the other with mistrust; and, as if the letter of
introduction had not sufficed, Robespierre requested the Englishman to give
his name. Vaughan complied, thinking it unadvisible to bandy words with
such a personage. He it was, he explained, who on his arrival from London
had written to Robespierre the day before, asking the favour of an interview.
He had been in Paris two days, and was staying at the American Consulate,
under the name of Martin, but his real name was Vaughan—Benjamin
Vaughan, one of the Whig members of the Opposition in the House of
Commons. He then unfolded to Robespierre the object of his mission,
telling him how he had been sent by the illustrious Fox, the fierce opponent
of Pitt's anti-republican policy...

"Yes, I know," Robespierre interposed. "I know Mr. Fox is the champion
of democracy. He is a grand character, and richly gifted. I had his speeches
translated, and read them with intense interest. I followed every word of his
fine oratorical contest with Burke, and was deeply moved at the solemn
rupture of their friendship of twenty years' standing! Ah! There is
something grand, heroic, thus to sunder the closest tie in defence of one's
principles. It is worthy of another age. They are Romans, your leaders! And
what are Mr. Fox's wishes, may I ask?"

The Englishman was about to explain the principal points, when


Robespierre again interrupted him by a gesture. Did he not hear a noise
among the leaves, though Blount, the watch-dog, who prowled round about
like a vigilant sentinel, had not barked? Robespierre begged Vaughan to
continue, but was still on the qui-vive, listening with divided attention,
nervous and uneasy, as if fearing to be surprised in this conference with a
stranger.
And the interview was, to say the least, compromising. Fox and his
influential friends of the Whig party proposed a secret agreement which
would perhaps induce England and the Powers allied against France to put
down their arms, thus giving satisfaction to the Royalists, without in any
way interfering with the legitimate claims of the Revolutionists.
Robespierre looked at the Englishman in surprise, still unable to grasp his
meaning.

Vaughan then explained more concisely that the Whig party dreamt of
establishing a Constitutional monarchy in France, on the same principles as
in England, with the little son of Louis XVI., now a prisoner in the Temple,
as King ...

"But think a moment!" interrupted Robespierre.

"With a Regency, of course, and an absolute guardianship," continued


Vaughan.

"The French nation would never hear of it."

"But why not, since the Regency would be confided to you?"

Robespierre started back.

"What, to me! I, the Regent, the tutor of that boy? You are joking!"

The "Incorruptible" did not think fit to tell him that five years
previously he had vainly solicited the position of tutor to the royal infant at
Versailles. He now walked excitedly to and fro, asserting positively his
refusal, in short, broken phrases; all the while on the alert for the slightest
sound, and stopping now and then to ask, "Did you hear anything? I thought
I heard steps? Are you there, Blount? Hoop la! Good dog! Keep a good
watch!"

Carried away by his vanity, Robespierre laid his soul bare before the
Englishman, who listened with the greatest curiosity and interest. "Restore
Royalty? Ah! it was too ludicrous! Had he worked, then, to re-establish a
kingdom for the son of the man he had sent to the scaffold? No! he had
worked first for France, whom he had purged of her internal evils, of the
whole corrupt and infamous crowd that had so long polluted her! And then
for himself; oh no! not from motives of personal ambition, but because he
felt himself called to regenerate his country, to breathe into her a new soul,
cleansed in the pure waters of virtue and justice and equality.

"Regent, indeed? Fox could not mean it! Dictator, perhaps; Protector, as
was Cromwell; Lord-Protector of his country, now degraded by centuries of
tyranny and corruption. Ah! they would soon see her arise, pure and radiant,
cleansed of all stain, regenerated by a baptism of blood! A few more heads,
and then from the soil soaked with the blood of aristocrats, those butchers
of the old regime, would spring the tree of liberty, the tree of life and
justice, of joy and love, which would bring forth marvellous fruits, and to
whose branches France would cling for support and nourishment, as to a
mother's breast!"

Vaughan gazed at him in bewilderment. For through this ambition, this


bloodthirsty hypocrisy, he descried the madman; and the Englishman said
within himself that the man was absolutely dangerous. He only interrupted
Robespierre as a matter of form, knowing well there was absolutely nothing
in the way of common sense to be looked for in such a fanatic.

"So you refuse?" said Vaughan, in conclusion.

"Decidedly!"

"Then I have only to retire, with your permission."

But Robespierre turned round abruptly. Blount had started barking, and
a man was crossing their path.

"Who is that?" said Robespierre, in a frightened voice.

"The man looks like a beggar," said Vaughan, his eyes bent on the
approaching figure.

"Do you think so?" he answered, only half convinced. "A spy, perhaps?
For I am surrounded with spies, monsieur! Ah, my life is awful! And if I

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