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Said
Q.
Covering
IsIam
a:
I- Come i media
e gli esperti
determinano
la nostra visio
ne del resto
del mondo
collana differenze
Covering Islam. Come i media e gli esperti determinano la no
stra visione del resto del mondo costituisce l’ideale prosecuzione dei
libri che hanno reso celebre Edward W. Said: Orientalismo e La
questione palestinese. L’assunto di Said è presto detto: l’imperiali-
smo economico americano ed europeo necessita, per mantenere il
suo dominio, di una costruzione simbolica del nemico.
L’Islam, il “diverso”, l’Altro diventano l’oggetto artificiale su
cui riversare le inquietudini di un Occidente in preda al panico.
Said studia la cronaca giornaliera dei maggiori quotidiani, pesa
ciascuna parola proferita nei dibattiti televisivi, smonta con una
pratica critica impareggiabile le opinioni interessate degli esperti
di geopolitica: ne esce un quadro a tinte fosche delle distorsioni
ideologiche praticate dai media, in favore di una chiara strategia
militare e politica.
Le analisi di Said forniscono un utile e aggiornato corollario
alle tesi foucaultiane sulla costruzione dei discorsi di potere, at
traverso uno dei più precisi documenti critici sulle capacità del
dominio mediatico di plasmare i fatti e porsi a cavallo del potere
politico. La questione palestinese, qui sullo sfondo, resta tuttavia
il momento-chiave: negare cittadinanza a un popolo significa an
zitutto ritrarlo, all’opinione pubblica, come irrazionale, infido,
irrimediabilmente diverso. Una logica del capro espiatorio che
non sembra lasciare alcuno spazio alla contraddizione, ma che
sollecita la critica della cultura a impegnarsi nella pratica nobile
della demistificazione.
ISBN 978-887580194-6
EURO 1 9 ,9 0
9 788875 801946
«Ogniqualvolta romanzieri, reporter, stra
teghi-politici ed “esperti” trattano F“Islam”,
vale a dire l’Islam che è attualmente in vigore
in Iran e in altre parti del mondo musulma
no, pare che non vi possano essere distinzioni
tra il fervore religioso e la lotta per una giusta
causa, tra la normale debolezza umana e il
conflitto politico; il corso della storia fatta da
uomini, donne e società non è contemplato
come un umano divenire. L’“Islam” sembra
fagocitare i variegati aspetti del mondo mu
sulmano, tutti riconducibili in una speciale
entità malvagia, priva di ragione.»
COVERING ISLAM
COME I MEDIA E GLI ESPERTI DETERMINANO
LA NOSTRA VISIONE DEL RESTO DEL MONDO
TRANSEUROPA
D IFFE R E N Z E
TITOLO ORIGINALE:
Covering Islam : How the Media and the Experts Determine
How We See the Rest o f the World (ed. 1996)
© C O P Y R IG H T 1 9 8 1 , 1 9 9 7 , ED W A RD W . SA ID
A L L R IG H T S R ESER V ED
© 2012 P IE R V IT T O R IO E A S S O C IA T I, T R A N SE U R O P A , M A SSA
www.transeuropaedizioni.it
IS B N 9 7 8 8 8 7 5 8 0 1 9 4 6
C O P E R T IN A : ID E A , P R O G E T T O G R A F IC O E L E T T E R IN G D I F L O R IA N E P O U IL L O T
L ’E D IT O R E È A D IS P O S IZ IO N E D E G L I E V E N T U A L I D E T E N T O R I
D I D IR IT T I C H E N O N SIA STA T O P O S S IB IL E R IN TR A C C IA R E.
INDICE
I. L’Islam e l’Occidente 1
il. Comunità interpretative 37
IH. L’episodio della principessa e il suo contesto 72
I. La guerra santa 83
il La perdita dell’Iran 96
ili. Ipotesi nascoste e non verificate m
IV. Un altro paese 12.3
1. E d w ard W. Said , O rientalism o. Lim m agine europea dell’O riente [1978], M ilano,
Feltrinelli, 1999.
2. Id ., La questione palestinese [1979], Roma, Gamberetti, 1995.
X PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE (1981)
6. J . B. Kelly, Arabia, The Gulf, and the West: A Critical View of the Arabs and
Their Oil Policy, London, Weidenfeld & Nicolson, 1980, p. 504.
EDWARD W. SAID XV
E. W. S.
ottobre 1980
New York
EDWARD W. SAID XXI
Poscritto
che gli studenti dentro l’Ambasciata non fossero stati affatto teneri
con i prigionieri. Eppure, neanche i cinquantadue ostaggi erano
mai arrivati a dire di essere stati torturati o sistematicamente sotto
posti a brutalità: ciò emerge dalla trascrizione della loro conferenza
stampa a West Point (vedi il «New York Times» del 28 gennaio),
dove Elisabeth Swift dice in maniera esplicita che «Newsweek»
aveva travisato le sue parole, inventandosi storie di torture (molto
amplificate dai media) che non avevano avuto niente a che vedere
con la realtà.
Dopo il ritorno degli ostaggi si determinò nei media e nella cul
tura generale il salto da un’esperienza specifica - sgradevole, an
gosciosa e miserevolmente lunga - alle massicce generalizzazioni
su Iran e Islam. In altre parole, ancora una volta le dinamiche po
litiche di un’esperienza storica complessa vennero completamente
cancellate da un’incredibile amnesia. E si tornò al punto di prima.
Gli iraniani furono ridotti a «fondamentalisti pazzi» da Bob Ingle
nell’«Atlanta Constitution» del 23 gennaio; Claire Sterling nel «Wa
shington Post» del 23 gennaio argomentava che la vicenda dell’Iran
era una manifestazione «della Prima Decade del Terrore», la guer
ra dei terroristi contro la civiltà. Per Bill Green, sulla stessa pagina
del «Post», «l’oscenità iraniana» faceva nascere la possibilità che
«la libertà della stampa» nel pubblicare notizie riguardo all’Iran
potesse «trasformarsi in un’arma puntata dritto al cuore del na
zionalismo e dell’autostima americani» Una tale combinazione di
fiducia e di insicurezza viene in un certo senso sminuita dallo stesso
Green quando poco più avanti si domanda se la stampa «ci» abbia
aiutato a capire la «rivoluzione iraniana», domanda che trova facile
risposta da parte di Martin Kondracke sul «Wall Street Journal»
del 29 gennaio, quando scrisse che «la televisione americana (con
rare eccezioni) ha trattato la crisi iraniana o come un’esibizione
di mostri, inscenando autoflagellazioni e pugni levati, o come una
soap opera».
Tuttavia, ci sono stati alcuni giornalisti che hanno riflettuto se
riamente. H. D. S. Greenway riconobbe sul «Boston Globe» del
21 gennaio che «l’ossessione americana per la crisi degli ostag
gi ha causato danni agli interessi americani distogliendo da altre
XXIV PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE (1981)
alle regole per venire incontro allo shah) che nel 1979 si prepara
vano a ritirare i prestiti concessi nel 1977 con la scusa che l’Iran
non aveva pagato gli interessi in tempo debito; Eric Rouleau di
«Le Monde» riferì il 25-26 novembre 1979 che aveva avuto modo di
vedere le prove che l’Iran aveva pagato gli interessi in anticipo sulla
scadenza. Per forza che “il persiano” ha creduto di trovarsi davanti
a un avversario. E lui è un avversario, a quei tempi molto instabile:
Laingen lo dice tranquillamente.
Permettetemi di concludere che il problema non è l’equità, ma
la precisione. L’uomo degli Stati Uniti sul posto manda consigli a
Washington. Su cosa si basa? Su un pugno di cliché orientalisti che
avrebbero potuto essere presi parola per parola dalla descrizione
della mente orientale fatta da Sir Alfred Lyall, o dal resoconto di
Lord Cromer quando aveva a che fare con gli indigeni in Egitto.
Se, a sentire Laingen, Ibrahim Yadzi, al tempo ministro degli esteri
iraniano, faceva resistenza all’idea che «il comportamento iraniano
ha delle conseguenze sulla percezione dell’Iran negli Stati Uniti»,
quale decision-maker americano era pronto ad accettare in antici
po che il comportamento americano avesse conseguenze sulla per
cezione degli Stati Uniti in Iran? Perché allora si è permesso allo
shah di entrare nel paese? O anche noi, come i persiani, abbiamo
«ripugnanza ad accettare la responsabilità delle nostre azioni»? Il
dispaccio di Laingen è il prodotto di una potenza disinformata e
poco intelligente e di certo aggiunge poco alla comprensione di al
tre società. Come esempio del modo in cui ci possiamo confrontare
con il mondo, non ispira molta fiducia. Come non intenzionale au
toritratto americano, è francamente ingiurioso. Che uso dovremmo
farne, allora? Esso ci dice come i rappresentanti degli Stati Uniti, e
con essi buona parte dell’establishment orientalista, abbiano crea
to una realtà che non corrisponde né al nostro mondo né all’Iran.
Ma se ciò non riesce a dimostrare che sarebbe meglio buttar via
deformazioni di questo genere, gli americani andranno verso altri
problemi internazionali, e, ahimè, la loro innocenza verrà di nuovo
inutilmente offesa.
E certo che Stati Uniti e Iran si sono ingolfati in una rissosa
inimicizia, ed è altrettanto certo che il sequestro dell’ambascia-
EDWARD W. SAID XXXI
siano una sola cosa nell’Islam, e via elencando. La tesi di questo li
bro è che si tratti in massima parte di una generalizzazione inaccet
tabile e irresponsabile, tale da non poter essere applicata a nessun
altro gruppo religioso, culturale o demografico della terra. Ciò che
ci aspettiamo dallo studio profondo delle società occidentali, con
teorie complesse, analisi estremamente variegate delle strutture so
ciali, resoconti storici, formazioni culturali e sofisticati linguaggi
di analisi, dovremmo anche aspettarcelo nello studio delle società
islamiche da parte dell’Occidente.
Invece di accademici troviamo spesso soltanto giornalisti che
fanno affermazioni stravaganti, subito riprese e drammatizzate dai
media. Aleggia su questo lavoro il concetto scivoloso - cui alludo
no sempre - di fondamentalismo, parola che ha finito con l’essere
associata quasi automaticamente all’Islam, sebbene abbia fiorenti
rapporti, di solito elusi, con il cristianesimo, l’ebraismo e l’indui
smo. L’associazione creata ad arte tra Islam e fondamentalismo as
sicura che il lettore medio veda i due fenomeni come una cosa sola,
data la tendenza a ridurre l’Islam a un pugno di norme, stereotipi
e generalizzazioni circa la fede, il suo fondatore e la primitività,
la violenza, l’atavismo, la minaccia. E tutto questo senza nessuno
sforzo reale di definire il termine «fondamentalismo», né dare pre
ciso significato a «estremismo» o «radicalismo» né di contestualiz
zare questi fenomeni (dire per esempio che il 5 o il io o il 50% dei
musulmani è fondamentalista).
L’American Academy of Arts and Sciences ha pubblicato a par
tire dal 1991 i risultati di un imponente studio sul «fondamentali
smo» in cinque volumi svolto, sotto la sua egida, da un gruppo di
ricercatori. Ho il sospetto che il progetto sia partito proprio avendo
l’Islam in mente, sebbene siano stati presi in esame sia l’Ebraismo
che il Cristianesimo. Vi hanno partecipato numerosi accademici di
spicco coordinati da due curatori, Martin E. Marty e R. Scott Ap
pleby. Il risultato è un compendio di articoli spesso interessanti, ma
secondo l’analisi dell’opera completa fatta da Ian Lustick, senza
che ne emerga una qualche definizione operativa del fondamenta
lismo; al contrario, aggiunge Lustick, curatori e autori «finiscono
col suggerire quasi senza speranza che il “fondamentalismo” non
EDWARD W. SAID XXXIX
e porta invece in piena luce ciò che musulmani e arabi, con la loro
perversa natura, sono.
In quel che segue non citerò autori marginali o palesemente
fuori di testa né fonti irrilevanti che hanno scritto di Islam e Me
dio Oriente, ma esempi di giornalismo autorevole e riconosciuto
come quello del «New Republic» e di «The Atlantic», il primo di
proprietà di Martin Peretz e il secondo di Morton Zuckerman,
entrambi grandi sostenitori di Israele e di conseguenza pregiudi
zievoli verso l’Islam. In particolare Peretz. Nessuno come lui sui
media americani ha portato avanti per tanto tempo (almeno due
decenni) un disprezzo e un odio razziale così intenso nei confronti
della cultura e del popolo arabi. Parte del suo veleno proviene cer
to dall’instancabile tendenza a difendere Israele a tutti i costi, ma
quello che ha scritto negli anni va ben oltre una difesa razionale, e
i suoi articoli di pura, irrazionale e volgare diffamazione sono vera
mente inarrivabili. Nella sua testa Islam e arabi sono una sola cosa
e possono essere attaccati in modo intercambiabile. Ecco un pezzo
del 7 maggio 1984 in cui commenta uno spettacolo teatrale:
nei secoli (fatto che gli permette di citare giuristi arabi medioevali
per spiegare situazioni odierne), la sua analisi degli eventi correnti
è a dir poco disinformata» (« jp s » , inverno 1995). E il punto è pro
prio questo, visto che le procedure orientaliste di Lewis vengono
sciorinate davanti al lettore per dare il senso di ciò a cui oggi arriva
la «mente musulmana». Questo naturalmente spazza via i muta
menti storici o l’intervento umano o la possibilità che non tutti i
musulmani la pensino esattamente allo stesso modo fin dal settimo
secolo; e gli vieta anche di discutere concretamente del presente.
Ma l’intento di Lewis è persuadere i lettori che i musulmani sono
stati sempre ostinatamente tutti Islam e nient’altro, tautologia che
banalmente sfida l’umana comprensione. Lewis dà il peggio di sé
nel famigerato The Roots of Muslim Rage, apparso nel numero del
settembre 1990 di «The Atlantic». Chiunque abbia disegnato la co
pertina di quel numero della rivista ha interpretato Lewis fin trop
po bene: una testa con turbante, dallo sguardo di fuoco, ovviamen
te islamica, fissa il lettore con due bandiere americane nelle pupille
l’atteggiamento di chi promette rabbia e odio. Chiamare quel che
fa Lewis in questo assai influente saggio ricerca accademica o in
terpretazione sarebbe travisare il significato di questi due termini.
The Roots of Islamic Rage è una polemica violenta, priva di verità
storica, di argomentazioni razionali o umana conoscenza. Tenta di
caratterizzare i musulmani come una personalità collettiva terroriz
zante, piena di rabbia verso un mondo esterno che ha disturbato
la sua quiete quasi primordiale e le sue regole cristallizzate. Per
esempio:
co n tro i « n o n - e b r e i» , p ra tic h e s p e s s o d o ta te d i sa n z io n e ra b b in ic a
e v o lte alla d e p o r ta z io n e , a ll’a ssa ssin io , alla d e m o liz io n e di case,
alla c o n fisc a di terre e a d a n n e ssio n i se n z a alcu n d iritto , n o n ch é a
ciò ch e S a ra Roy, la p iù c re d ib ile a u to rità su G a z a , h a c h ia m a to il
c o n tro sv ilu p p o e c o n o m ic o siste m a tic o . L a M ille r d isse m in a q u a e
là alcu n i d i q u e sti fatti, m a n o n c o n fe risc e m ai lo ro un p e s o p o litic o
e sto ric o .
L ’altro su o tic è q u e llo d i in fo rm a re i le tto ri d e lla re lig io n e di
c ia sc u n o - q u e sto o q u e llo è cristian o , o m u su lm a n o su n n ita , o
m u su lm a n o sc iita e v ia d ic e n d o . P e r u n a p e r so n a c o sì p r e o c c u p a ta
di q u e sto a sp e tto p a r tic o la re d e lla vita, la m a n c a ta a c c u ra te z z a in
m ateria h a tin te d i co m icità. P a r la d i H ish a m S h a ra b i c o m e d i un
« a m ic o » m a lo sc a m b ia p e r c ristian o : è m u su lm a n o su n n ita. B a d r
el H a j vien e d efin ito m u su lm a n o , m e n tre è c ristia n o m aro n ita.
N o n s a r e b b e r o e rro ri g rav i se n on fo s s e r o l ’e sito d e llo sfo rz o di
im p re ssio n a re il le tto re co n il ra c c o n to d elle su e relaz io n i e d e lla
su a in tim ità. M a d a n o ta re è so p r a ttu tto il fa tto ch e la M iller, co n
e v id e n te m a la fe d e , ev ita di d efin ire il p r o p r io b a c k g ro u n d re lig io so
o le su e sim p a tie p o litic h e . P e r chi si o c c u p a d i u n a m a te ria c o sì
p e sa n te m e n te c a rica d i p a s sio n i id e o lo g ic h e e re lig io se , tro v o s tr a
n o ch e p o s s a p a rtire d a l p r e s u p p o s to ch e la su a re lig io n e (ch e n o n
p e n so sia l ’Islam o l ’in d u ism o ) sia p riv a d i rilev an za. V e rre b b e d a
c h ie d e rsi q u a n ta g e n te alla q u a le h a c a v a to in fo rm a z io n i s a p e sse
co n chi in realtà sta v a in te rlo q u e n d o , e q u a n ti a b b ia n o o g g i id e a di
q u e l ch e h a r a c c o n ta to d i lo ro .
L a M ille r a p p a r e ta lv o lta e sp lic ita n e ll’e ste rn a re le su e r e a z io
ni p a te tic h e v e rso p e r so n a g g i d el p o te re o p a rtic o la ri situ azio n i
co n tin g en ti. È « d is tr u tta d a ll’a n g o s c ia » q u a n d o al R e H u sse in di
G io r d a n ia v ien e d ia g n o stic a to un c a n c ro , m a se m b ra fa r p o c o c a so
al fa tto ch e sia a c a p o d i u n o sta to d i p o liz ia le cu i m o lte v ittim e
h a n n o su b ito to rtu re , d e te n z io n i illeg ittim e o u c c isio n i ta c iu te . I
su o i o c c h i so n o « p ie n i d i la c rim e d i r a b b ia » q u a n d o si tro v a di
fro n te alle p ro v e d e lla p r o fa n a z io n e d i u n a ch ie sa cristia n a lib a n e
se, m a n o n se m b r a d a r si p e n a d i m e n z io n a re altre p ro fa n a z io n i in
Isra e le , p e r e se m p io d i cim iteri islam ici o d e lle c e n tin aia d i v illa g g i
rasi al su o lo in S iria , L ib a n o e P a le stin a . I su o i v e ri se n tim e n ti di
LXII INTRO DUZIO NE ALLA SECON D A ED IZIO N E (1996)
Non avrebbe potuto avere ciò cui aspira una madre siriana
della classe media: un grandioso ricevimento di nozze con sua
figlia in abito bianco e tiara di diamanti, una foto in cornice
d’argento della coppia felice in abito scuro e gonna con lo stra
scico accanto al tavolo da caffè o al caminetto, le danzatrici del
ventre e champagne a fiumi. Forse anche gli amici di Nadine
hanno figli o figlie che li hanno ripudiati e che in segreto li
disprezzano per i compromessi che sono stati costretti ad ac
cettare per entrare nelle grazie del crudele e disumano regime
di Assad. Se una figlia di simili pilastri della borghesia dama
scena ha potuto soccombere al potere dell’Islam, chi ne sarà
immune?
E. W. S.
5/ ottobre 1996
New York
CAPITOLO PRIMO
L’ISLAM COME NOTIZIA
I. L’Islam e l’Occidente
I. [Ahmed Zaki Yamani è stato Ministro del Petrolio e delle risorse minerarie dal
1962 al 1986 in Arabia Saudita, NdT.]
2 L’ISLAM COM E NOTIZIA
mente Khalil Gibran (che tra l’altro non è musulmano). Gli esperti
accademici specializzati in Islam di solito avevano considerato la
religione, con le sue varie culture, entro uno schema ideologico
inventato o culturalmente determinato, irrazionale, pieno di pre
giudizi diffidenti e, talvolta, persino di repulsione; a causa di que
sto contesto, comprendere l’Islam era un compito molto arduo. A
giudicare dalle varie analisi dei media e dalle interviste sulla rivo
luzione iraniana condotte durante la primavera dal 1979, vi era una
forte propensione a considerare la rivoluzione soltanto come una
sconfitta per gli Stati Uniti (sebbene, effettivamente, fu proprio
così), oppure come il trionfo dell’oscurità sulla luce.
Una volta terminata la Guerra fredda, anche nel corso degli anni
Novanta l’Iran ha continuato a destare preoccupazioni poiché è
giunto a rappresentare, oltre all’“Islam”, il principale nemico estero
degli Stati Uniti. È considerato uno stato terrorista perché supporta
nel sud del Libano gruppi come gli Hezbollah (organizzazione fon
data dopo l’invasione israeliana nel Libano meridionale), è ritenuto
promotore del fondamentalismo ed è specialmente temuto per la
sua fiera opposizione all’egemonia statunitense nel Medio Oriente,
in particolare nel Golfo Persico. Robin Wright, il principale esperto
di Islam del «Los Angeles Times», il 26 gennaio 1991 in un edito
riale ha affermato che gli Stati Uniti e i governi occidentali sono
ancora alla ricerca di una strategia per affrontare la «sfida islamica»,
riferendo che un anonimo “alto funzionario” dell’amministrazio
ne Bush aveva ammesso che «per fronteggiare l’Islam è necessaria
maggiore destrezza rispetto al contrasto del comuniSmo avviato 30
o 40 anni fa». Il rischio di semplificare una «miriade di paesi» era
stato, tuttavia, notato, e tra le cinque colonne di quell’articolo vi era
solamente l’immagine di Khomeini. L’Iran e il famigerato ayatollah
incarnavano tutto quel che era detestabile dell’Islam, dal terrorismo
all’avversione nei confronti dell’Occidente, fino a diventare «la sola
principale nazione monoteista che fornisce un insieme di regole con
cui governare la società, nonché un canone di norme spirituali».
Non veniva affatto menzionata né l’importante disputa che era in
corso in Iran su quali dovessero essere queste regole, perfino su
cosa fosse l’“Islam”, né l’acceso dibattito che contestava la legitti
6 L’ISLAM COM E NOTIZIA
sano essere distinzioni tra il fervore religioso e la lotta per una giusta
causa, tra la normale debolezza umana e il conflitto politico; il corso
della storia fatta da uomini, donne e società non è contemplato come
un umano divenire. L’“Islam” sembra fagocitare i variegati aspet
ti del mondo musulmano, tutti riconducibili in una speciale entità
malvagia, priva di ragione. Di conseguenza, tende a prevalere la più
cruda forma di scontro tra le parti, un antagonismo tra noi e loro,
a discapito di analisi e comprensione. Qualunque cosa gli iraniani
o i musulmani dicano sul loro senso di giustizia, sulla loro storia di
oppressione, sulla loro visione della loro società, sembra irrilevante;
quel che conta per gli Stati Uniti invece è lo svolgimento in atto della
“rivoluzione islamica” , come molte persone siano state giustiziate dai
Komitehs,5quanto siano strani i provvedimenti dell’ayatollah, utiliz
zati per portare ordine nel nome dell’Islam. Ovviamente nessuno
ha mai considerato il massacro di Jonestown, l’attentato di Oklaho
ma, terribilmente distruttivo, o la devastazione dell’Indocina, even
ti commessi dalla cristianità, oppure in senso lato dall’Occidente e
dalla cultura americana; una tale similitudine è valida solamente per
1’“ Islam”.
Perché 1’“Islam” è spesso riconducibile in modo pavloviano a
un’intera serie di eventi politici, culturali, sociali e perfino econo
mici? Cosa c’è nell’Islam che provoca una reazione così immediata
e irrefrenabile? Cosa rende differente 1’“Islam” e il mondo isla
mico dall’Occidente, anzi, dal resto del Terzo mondo e, durante
la Guerra fredda, anche dall’Unione Sovietica? Queste non sono
affatto domande banali, pertanto è necessario rispondere un poco
alla volta, con molte analisi e differenziazioni.
Le etichette che pretendono di definire realtà molto vaste e com
plesse sono notoriamente vaghe e, allo stesso tempo, inevitabili. Se
è vero che 1’“Islam” è un’etichetta imprecisa e carica di ideologie,
è anche vero che l’“Occidente” e la “cristianità” sono espressioni
altrettanto problematiche. Non vi è ancora nessun modo per evita
re semplicemente queste etichette, dal momento che i musulmani
parlano di Islam così come i cristiani di cristianità, gli occidentali
II . In p rim o luo go, vedi il pen etrante stu dio di Syed H u sse in A latas, The Myth of
the Lazy Native: A Study of the Image of the Malays, Filipinos, and Javanese from the
i6'hto the zo,hCentury and in the ideology of Colonial Capitalism, L o n d o n , F ran k C ass
& Co., 1977.
H L’ISLAM COM E NOTIZIA
12. Non che ciò abbia sempre significato scritture e studi di basso calibro: nel
la qualità di resoconto generale che risponde principalmente a esigenze politiche e
non alla necessità di un’effettiva conoscenza dell’Islam, vedi Martin Kramer, Politicai
Islam , Washington, D. C., Sage Publications, T980. Questo contributo fu scritto per
il “Center for Strategie and International Studies” della Georgetown University, e
quindi appartiene alla categoria della conoscenza politica, dunque non “oggettiva”,
Un altro esempio è nel numero speciale (voi. r, n. 453, gennaio 1980) su The M iddle
East, 1980 di «Current History».
13. «Atlantic Community Quarterly», 17, n. 3, autunno 1979, pp. 29^305, 377-378.
16 L’ISLAM COM E NOTIZIA
av v en iv a p r im a d e l d ic ia s se tte sim o s e c o lo , la v o ra v a n o in u n c a m
p o e sse n z ia lm e n te a n tiq u a to ; p e r d i p iù , c o m e gli s p e c ia listi d i
altri c a m p i, il lo r o la v o r o e ra su d d iv is o in ta n ti se tto ri. N o n h a n n o
n é v o lu to n é p r o v a to a in te re ssa r si se ria m e n te ai risv o lti m o d e r n i
d e lla sto r ia isla m ic a . In u n a c e rta m isu ra , i lo r o stu d i e r a n o le g a ti
a n o z io n i b a s a t e su un Isla m “ c la s s ic o ” , a m o d e lli d i v ita m u s u l
m a n a r e p u ta ti im m u ta b ili o p p u r e a d a rc a ic h e q u e stio n i filo lo g i
ch e. In o g n i c a s o n o n c ’e ra m o d o d i u tiliz z a rli p e r c o m p r e n d e r e
il m o n d o m u su lm a n o c o n te m p o r a n e o p o ic h é , a tu tti gli e ffe tti,
o g n i re g io n e si è sv ilu p p a ta s e g u e n d o p e r c o r s i m o lto d iv e rsi d a
q u e lli d e lin e a ti n e i p r im i se c o li d e ll’Isla m (v ale a d ire d a l se ttim o
al n o n o se c o lo ).
G li e sp e rti c o m p e te n ti su ll’Isla m c o n te m p o ra n e o o v v e ro , p e r
e sse re p iù p re c isi, q u e lli ch e si e ra n o sp e cia liz z a ti su lle so cie tà , p o
p o li e istitu z io n i in eren ti al m o n d o m u su lm a n o a p a rtire d a l d i
c io tte sim o se c o lo , la v o ra v a n o v in co lati a u n o sc h e m a p re d e fin ito ,
c o n d u c e n d o rice rch e in b a s e a n o zio n i e la b o ra te d e c isa m e n te non
n el m o n d o islam ic o . Q u e s to fa tto n on p u ò e sse re tra sc u ra to , p e r
tu tta la su a c o m p le ssità e varietà. E in n e g a b ile ch e un ric e rca to re
d i O x f o r d o d i B o sto n sc riv a so p r a ttu tto s e g u e n d o c an o n i, c o n v e n
zio n i e a sp e tta tiv e ch e so n o c o n d iz io n a ti d a i su o i c o lleg h i, n o n d ai
m u su lm a n i ch e sta stu d ia n d o . S i tra tta p ro b a b ilm e n te d i u n tru i
sm o , tu ttav ia b iso g n a c o m u n q u e so tto lin e a rlo . I m o d e rn i stu d i is la
m ici a c c a d e m ic i a p p a r te n g o n o g e n e ra lm e n te agli “ are a p r o g r a m s ” ,
v a le a d ire ag li stu d i se tto ria li s u ll’E u r o p a o c c id e n ta le , su ll’U n io n e
S o v ie tica , su l S u d -e st A sia tic o e c o sì via. S o n o stru ttu ra ti in b a se
alle e sig e n z e d e tta te d alla p o litic a n azio n ale , n o n so n o q u e stio n i
ch e il sin g o lo s tu d io so p u ò sce g lie re . S e a P rin ce to n q u a lc u n o ha
a p p r o fo n d ito le sc u o le re lig io se n e ll’A fg h a n ista n c o n te m p o ra n e o ,
è o v v io (sp e c ia lm e n te d i q u e sti te m p i) ch e un tale stu d io potrebbe
av ere “ im p lic a z io n i p o litic h e ” e ch e il ric e rca to re , lo v o g lia o n o ,
s a r e b b e in se rito n ei can ali g o v e rn ativ i, n elle relaz io n i az ie n d a li e
n elle a sso c ia z io n i le g a te alla p o litic a e ste ra ; u n tale im p e g n o in c i
d e r e b b e su i fin an ziam e n ti, su l tip o d i p e rso n e d a in co n tra re e, in
g e n e ra le , gli s a r e b b e r o o ffe rte r ic o m p e n se sic u re e u n c e rto g e n ere
d i le gam i. V o len te o n o le n te , lo stu d io so d iv e rre b b e u n “ e sp e rto
EDWARD W. SAID 19
d ’a r e a ” , a sc o lta to in u n silen z io rev e re n ziale, n el m o d o in cu i av v ie
ne n ei c o n fro n ti di g io rn a listi m e d io c ri e in c o m p e te n ti c o m e Ju d ith
M iller su Isra e le e p u b b lic isti c o m e M a rtin P eretz.
R ig u a r d o ag li s tu d io si ch e h a n n o in te re ssi le g a ti d ire tta m e n te
alle q u e stio n i p o litic h e (so p r a ttu tto p o lito lo g i, m a a n ch e sto ric i
c o n te m p o ra n e i, e c o n o m isti, so c io lo g i e a n tr o p o lo g i), b is o g n a a f
fro n ta re q u e stio n i se n sib ili, p e r n on d ire p e r ic o lo s e . A d e se m p io ,
un r ic e r c a to re c o m e p u ò c o n c ilia re la s u a p r o fe s s io n e co n le e s i
g e n z e g o v e rn a tiv e ? L ’Ira n è u n c a so p e r fe tto p e r sp ie g a r e ta le a r g o
m en to . D u r a n te il re g im e la P a h le v i F o u n d a tio n e la rg iv a fo n d i ag li
ira n o lo g i e, n a tu ra lm e n te , a n ch e alle istitu z io n i am e ric a n e . Q u e sti
fin an ziam e n ti so ste n e v a n o stu d i ch e c o n sid e ra v a n o c o m e p u n to di
p a rte n z a lo sta tu s q u o (o ssia la p r e se n z a d e l r e g im e d ei P a h le v i, le
g a to m ilita rm e n te e d e c o n o m ic a m e n te ag li S ta ti U n iti) in m o d o d a
re n d e rlo , in un c e rto se n so , il p a r a d ig m a d i ric e rc a p e r gli stu d e n ti
del p a e se . L ’H o u s e P e r m a n e n t S e le c t C o m m itte e o n In te llig e n c e
d u ra n te la crisi a ffe r m ò ch e le v a lu ta z io n i s u ll’Ira n e la b o r a te fin o
ra d a g li S ta ti U n iti e r a n o in flu e n z a te d a lle ista n z e p o litic h e « n o n
d ire tta m e n te , a ttra v e r so il d e lib e r a to o s c u r a m e n to d e lle n o tiz ie
sg ra d ite , b e n sì in d ir e tta m e n te [ . . . ] n o n v e n iv a d o m a n d a to ag li
an alisti p o litic i se l ’a u to r ità d e llo sh ah sa r e b b e rim a sta s a ld a a lu n
g o ; la c o n d o tta si b a s a v a su q u e lla a s s u n z io n e » .16 D i c o n se g u e n z a ,
so la m e n te p o c h issim i s tu d i a v e v a n o v a lu ta to se ria m e n te il re g im e
d e llo sh ah , in d iv id u a n d o i p r e s u p p o s t i d i u n ’o p p o s iz io n e p o p o l a
re. C h e io s a p p ia , s o lo H a m id A lg ar, p r o fe s s o r e a B erk eley , g iu d i
c ò c o rre tta m e n te l ’e ffe ttiv a fo r z a p o litic a d e l se n tim e n to re lig io so
ira n ia n o , so lo A lg a r e b b e il c o r a g g io d i p r e v e d e r e ch e l ’ay ato llah
K h o m e in i p r o b a b ilm e n te a v r e b b e d e stitu ito il reg im e. S i d is c o s t a
v a n o d a lla v isio n e c o rre n te a n ch e altri ric e rc a to ri, tra cu i R ic h a rd
C o tta m e d E r v a n d A b ra h a m ia n , m a rim a n e v a n o se m p re u n a n etta
16. Cit. in Michael A. Ledeen e William H. Lewis, Carter and the Fall of the Shah:
The Inside History, in «Washington Quarterly», 3, n. 2, primavera 1980, pp. 11-12.
Ledeen e Lewis sono integrati (e supportati nelle loro argomentazioni) da William H.
Sullivan, Dateline Iran: The Road Not Taken, in «Foreign Policy», 40, autunno 1980,
pp. 175-186; Sullivan era l’ambasciatore in Iran prima e durante la rivoluzione. Vedi
anche le sei puntate di Scott Armstrong, The Fall of the Shah, in «Washington Post»,
25, 26, 27, 28, 29, 30 ottobre 1980.
20 L’ISLAM COM E NOTIZIA
minoranza.'7 (In tutta onestà bisogna notare che pure gli studiosi
europei, meno ottimisti sulla sopravvivenza dello shah, non rico
nobbero la matrice religiosa dell’opposizione iraniana.)'8
Oltre all’Iran, anche altrove sono stati commessi molti errori
intellettuali altrettanto considerevoli, tutti causati dalla dipenden
za acritica dalle politiche governative e dai canoni prestabiliti. A
questo punto, quel che è avvenuto in Libano e Palestina è esem
plare. Per anni il Libano è stato considerato un modello di società
pluralista, composta da un mosaico di culture. Gli schemi utilizzati
per lo studio del Libano erano ritenuti esatti e stabili a tal punto
che la ferocia e la violenza della guerra civile (durata perlomeno
dal 1975 al 1980) apparve imprevista. Le analisi degli esperti svolte
negli anni precedenti sembravano estremamente ammaliate dalle
immagini della “stabilità” libanese: gli studi infatti si erano limitati
ai leader tradizionali, alle élite, ai partiti, alle caratteristiche nazio
nali e al successo della modernizzazione.
Perfino quando l’ordinamento politico del Libano era reputato
instabile, oppure quando ne era evidenziata la sua scarsa “civiltà”,
i problemi nell’insieme di solito erano ritenuti gestibili, lungi dal
divenire estremamente distruttivi.'9 Durante gli anni Sessanta il Li-1789
17. H am id Algar, The O ppositional R ole o f the ’Ulam a in Twentieth Century Iran,
in N ik ki R. K e d d ie (a cu ra di), Scholars, Saints, and Sufis: M uslim R eligious Institutions
Since 1500, Berkeley, L o s A ngeles an d L o n d o n , U niversity o f C aliforn ia P ress, 1972,
p p . 231-255. V edi anche E rv an d A brah am ian , The Crowd in Iranian Politics, 1905-1953,
in «P a st an d P resen t», 41, dicem b re 1968, p p . 184-210; così p u re Id ., Factionalism in
Iran: Political Group in the 14th Parliam ent (1944-1946), in «M id d le E astern S tu d ie s»,
14, n. I , genn aio 1978, p p . 22-25; Id-. The Causes o f the C onstitutional Revolution in
Iran, in «In tern ation al Jo u rn a l o f M id d le E a st S tu d ie s», 10, n. 3, ago sto 1979, p p . 381-
414; Id ., Structural Causes o f the Iranian Revolution, in « m e r i p R e p o rts», 87, m aggio
1980, p p . 21-26. V edi anche R ich ard W. C ottam , N ationalism in Iran, P ittsbu rgh , Pa,
U niversity o f P ittsb u rgh P ress, 1979.
18. Ciò è ancor più valido per un libro come quello di Fred Halliday, Iran: Dicta
torship and Development, New York, Penguin Books, 1979, che, nonostante tutto, è
uno dei due o tre studi migliori sull’Iran prodotti dopo il secondo conflitto mondiale.
Maxime Rodinson, in Marxism and the Muslim Word, non dice quasi nulla sull’oppo
sizione religiosa musulmana. Solo Algar (vedi la nota 17, supra) sembra cogliere nel
segno su questo punto.
19. Questa è l’argomentazione portata avanti in Edward Shils, The Prospect of
Lebanese Civility, in Leonard Binder (a cura di), Politics in Lebanon, New York, John
Wiley & Sons, 1966, pp. 1-11.
EDWARD W. SAID 21
20. Malcom Kerr, Political Decision Making in a Confessional Democracy, in ivi, p. 209.
21. Cfr. il ricco materiale che si trova in Moshe Sharett, Personal Diary, Tel
Aviv, Ma’ariv, 1979; Livia Rokach, Israel’s Sacred Terrorism: A Study Based on Moshe
Sharett’s Personal Diary and Other Documents, con l’introduzione di Noam Chomsky,
Belmont, Mass., Association of Arab-American University Graduates [ a a z g ] , 1980.
Considera pure le rivelazioni sul ruolo della C IA in Libano messe in campo da uno
dei suoi vecchi consiglieri, Wilbur Cranel Eveland, nel suo Ropes of Sand: America’s
Failure in the Middle East, New York, W. W. Norton & Co., 1980.
22. Elie A dib Salem, Modernization Without Revolution: Lebanon’s Experience,
Bloomington and London, Indiana University Press, 1972, p. 144. Salem è anche autore
di Form and Substance: A Critical Examination ofthe Arabis Language, in «Middle East
Forum», 33, luglio 1958, pp. 17-19. Il titolo indica già di per sé l’approccio seguito.
23. Clifford Geertz, Interpretazione di culture [1973], Bologna, il Mulino, 1987, p. 295.
22 L’ISLAM COM E NOTIZIA
24. Per una descrizione interessante delle illusioni degli “esperti” sul Libano alla
vigilia della guerra civile, cfr. Paul and Susan Starr, Blindness in Lebanon, in «Human
Behavior», 6, gennaio 1977, pp. 56-61.
25. Ho discusso quest’argomento in La questione palestinese, cit., pp. 27-68 e passim.
EDWARD W. SAID *3
28. William O. Beeman, D evaluing Experts on Iran, in «New York Times», 11apri
le 1980; James A. Bill, Iran Experts: Proven Right But Not Consulted, in «Christian
Science Monitor», 6 maggio 1980.
29. In sen so contrastivo rispetto a quegli stu diosi che, du ran te la guerra in V iet
nam , p eroran o la cau sa delh autorappresen tazion e com e “ scienziati” volontariam ente
asserviti allo stato: sareb b e in d ispen sab ile sapere perché gli specialisti del Vietnam
furon o consultati (con non poch i risultati disastrosi), m entre gli esperti dell’Iran no.
Vedi N o am Chom sky, O biettività a cultura liberale, in Idem , I nuovi m andarini. G li
in tellettuali e il potere in Am erica [1969], M ilano, il Saggiatore, 2002, p p . 33-163.
EDWARD W. SAID 25
31. Sulla connessione tra sapere e politica nel mondo coloniale, vedi Le Mal de voir:
Ethnologie et orientalisme: politique et épistémologie, critique et autocritique, Cahiers
Jussieu n. 2, Paris, Collections 10/18,1976). Sul modo in cui i “campi” di studio coinci
dono con gli interessi nazionali, cfr. Special Supplement: Modem China Studies, in «Bul-
lettin of Concerned Asia Scholars», 3, nn. 3-4, estate autunno 1971, pp. 91-168.
28 L’ISLAM COM E NOTIZIA
P e rfin o q u e lle p e r so n e ch e p e r la v o ro d e v o n o ra c c o n ta re il m o n
d o isla m ic o c o n o sc o n o p o c h issim i d e tta g li r ig u a r d o a ll’u m a n ità e
alla c u ltu ra d e lla v ita a ra b a -m u su lm a n a . A b b ia m o a d isp o siz io n e
so lo u n a p ic c o la se rie d i c a ric a tu re d el m o n d o isla m ic o , g re z z e e
rid u ttiv e, talaltro p r e se n ta te p e r re n d e re q u e lla realtà v u ln e ra b ile
a u n ’a g g r e ssio n e m ilita re.32 R ite n g o ch e n egli an n i S e tta n ta n o n sia
sta to un c a so ch e le d isc u ssio n i su ll’in te rv e n to m ilitare d e g li S ta ti
U n iti n el G o lf o A r a b ic o , i d ib a ttiti su lla d o ttrin a C arter, su lla R a p id
D e p lo y m e n t F o r c e s e su l “ c o n te n im e n to ” m ilita re ed e c o n o m ic o
d e ll’ “ Isla m p o litic o ” , n e ll’a ffa sc in a n te m e d iu m telev isiv o fo sse r o
s p e s s o p r e c e d u te d a u n a ra z io n a le p re se n ta z io n e d e ll’ “ I s la m ” , g r a
zie a ll’ “ o g g e ttiv a ” an alisi o rie n ta lista (ch e p a r a d o ssa lm e n te h a un
e ffe tto stra n ia n te c o m e la telev isio n e, p e r la su a “ n on p e r tin e n z a ”
alla c o n te m p o r a n e ità o p e r la su a v a rie tà “ o g g e ttiv a ” tip ic a d ella
p ro p a g a n d a ). In b a s e a m o lti a sp e tti la n o stra situ a z io n e a ttu a le
so m ig lia a q u e lla d e lla G r a n B r e ta g n a e d e lla F ra n c ia nel d ic ia n n o
v e sim o se c o lo sp ie g a ta p r e c e d e n te m e n te .
S o n o p re se n ti in o ltre m o tiv i p o litici e c u ltu rali. D o p o la S e c o n
d a g u e r r a m o n d ia le , q u a n d o gli S ta ti U n iti c o n q u ista ro n o il r u o
lo im p e ria le ch e p rim a e ra d e te n u to d a F ra n c ia e G r a n B re ta g n a ,
fu e sc o g ita to un in sie m e d i p o litic h e p e r a ffr o n ta re il m o n d o , u n a
stra te g ia ch e si p o te s s e a d a tta r e alle p e c u lia rità e ai p r o b le m i d e l
le v a rie reg io n i ch e in c id e v a n o su g li in te re ssi d e g li S ta ti U n iti (o
ch e e ra n o d a q u e sti in flu en zate). F u sta b ilito ch e l ’E u r o p a d o v e v a
m ig lio ra re n el d o p o g u e r r a , e p e r ta n to fu id e a to il p ia n o M a rsh a ll.
L ’U n io n e S o v ie tic a o v v ia m e n te e m e rse c o m e l ’a n ta g o n ista p iù te
m ib ile d e g li S ta ti U n iti e, in u tile d irlo , la G u e r r a fr e d d a p r o d u s s e
p o litic h e , stu d i, p e rfin o u n a m e n ta lità ch e a n c o ra d o m in a le re la
zion i tra u n a su p e r p o te n z a e u n ’altra. D o p o la fine d e lla G u e r r a
fr e d d a è rim a sto il c o sid d e tto T e rzo m o n d o , u n c a m p o d i b a tta g lia
tra gli S ta ti U n iti e i v a ri p o te ri lo c a li ch e so lo d i re ce n te h a n n o
o tte n u to l ’in d ip e n d e n z a d a i c o lo n iz z a to ri e u ro p e i.
32. Cfr. Edmund Ghareeb (a cura di), Split Vision: Arab Portrayal in the American
Media, Washington, D. C., Institute of Middle Eastern and North African Affairs, 1977.
Per la controparte britannica, vedi Sari Nasir, The Arabs and the English, London, Long
mans, Green & Co., 1979, pp. 140-172.
30 L’ISLAM COM E NOTIZIA
che l ’e n o rm e m a g g io ra n z a d ella p o p o la z io n e g iu d ic a v a q u ei go v e rn i
stran ie ri e o p p re ssiv i, p e rfin o q u a n d o le g u e rre c o m b a ttu te sen za
su c c e sso in n o m e d i q u e i regim i d e v a sta v a n o l ’in tera re g io n e , c o
sta n d o la p re sid e n z a a L y n d o n Jo h n so n . N e g li S ta ti U n iti le n u m e
ro se o p in io n i su ll’im p o rta n z a d i m o d e rn iz z a re le so c ie tà tra d izio n ali
si d iffu se ro n ella so cie tà e n ella cu ltu ra in m a n ie ra q u a si in d isc u s
sa. A llo ste sso te m p o p e rò , n elle d iv erse p a rti d el T e rzo m o n d o , la
“ m o d e rn iz z a z io n e ” n el se n so c o m u n e e ra a sso c ia ta alle sp e se folle
p e r gli arm am en ti, ai g o v e rn an ti co rro tti e ai b ru ta li in terv en ti d eg li
S tati U n iti n egli affari d i p a e si p ic c o li e d e b o li.
T ra le m o lte illu sio n i p e rsiste n ti n ella te o ria d e lla m o d e rn iz z a
zio n e, u n a se m b r a v a sp e c ia lm e n te p e rtin e n te al m o n d o isla m ic o
p o ic h é so ste n e v a ch e, p rim a d e ll’arriv o d e g li S ta ti U n iti, l ’Isla m si
tro v a v a in u n a so rta d i g io v in e z z a se n z a te m p o , lo n ta n o d a u n v e ro
sv ilu p p o , co n su p e rstiz io n i arc aic h e , b lo c c a to d a i su o i stra n i p re ti e
scriv an i sb a lz a ti d a l M e d io e v o n el m o n d o m o d e rn o . A q u e sto p u n
to l ’o rie n ta lism o e la te o ria d e lla m o d e rn iz z a z io n e si c o m b in a n o
a rm o n io sa m e n te . S e , c o m e tra d iz io n a lm e n te ci in se g n a n o g li stu d i
o rie n talisti, i m u su lm a n i n o n so n o n ie n t’altro ch e d ei b a m b in i f a
n atici ch e si o p p o n g o n o a ll’O c c id e n te e al p r o g r e sso , o p p r e s s i d a l
la lo r o m e n ta lità, d a i lo ro ulema e d a i lo r o c a p i p o c o lu n g im iran ti,
e b b e n e , i m ig lio ri a n alisti p o litic i, a n tr o p o lo g i e so c io lo g i a llo ra s a
re b b e r o in g r a d o d i m o str a r e c o m e , p o s te le g iu ste co n d iz io n i, sia
p o ssib ile in tro d u rre n e ll’Isla m u n a so rta d i stile d i v ita a m e ric a n o ,
m e d ia n te c o n su m o d e lle m e rc i e “ b u o n i” le a d e r ? In o g n i m o d o ,
la p rin c ip a le d iffic o ltà co n l ’Isla m , d iv e rsa m e n te d a ll’In d ia e d a lla
C in a , e ra il su o n o n e sse re m ai sta to d e l tu tto p a c ific a to o sc o n fitto .
P e r rag io n i ch e se m b r a n o se m p re sfu g g ir e alla c o n o sc e n z a d e g li
stu d io si, l’Isla m (o q u a lc h e v e rsio n e d i e sso ) h a c o n tin u a to a in
flu e n z are i su o i fe d e li, i q u a li, c o m e v ien e re g o la rm e n te so ste n u to ,
n on so n o d is p o s ti a d a c c e tta re la realtà, o m e g lio q u e lla p a r te d i
e ss a ch e so stie n e la su p e r io rità d e ll’O c c id e n te .
G li sfo rz i p e r la m o d e rn iz z a z io n e so n o p e rsistiti d u ra n te i d u e
d e c e n n i su c c e ssiv i alla S e c o n d a g u e rra m o n d ia le e, in effetti, l ’Iran
e ra c o n sid e ra to u n c a so p ie n a m e n te riu sc ito , co n il su o so v ra n o che
se m b r a v a il le a d e r “ m o d e r n iz z a to ” per eccellenza. P o ic h é la strate-
32 L’ISLAM COME NOTIZIA
35. C’è stata una straordinaria riluttanza da parte della stampa nel dire qualcosa
a proposito dell’esplicita formulazione religiosa delle posizioni politiche in Israele,
specialmente quando quest’ultime erano dirette ai non-ebrei. Sarebbe interessante
accedere a materiale relativo a Gush Emunim o alle dichiarazioni delle varie autorità
rabbiniche, e via dicendo.
34 L’ISLAM COM E NOTIZIA
39. Fritz Stern, The End of the Postwar Era, in «Commentary», aprile 1974, pp.
2 7 ‘ 35 -
40. Daniel P. Moynihan, The United States in Opposition, in «Commentary»,
marzo 1975, p. 44.
EDWARD W. SAID 39
disparità tra “noi” e “loro”, un proposito che rischia di comportare
una pericolosa “interdipendenza”, pertanto, secondo l’opinione di
Tucker, sarebbe meglio se noi fossimo pronti a resistere - invaden
doli, se necessario.41
L’insieme di strategie esposte in questi due articoli meritano di
essere illustrate. In primo luogo, i produttori di petrolio secondo
Tucker e le nazioni del nuovo Terzo mondo secondo Moynihan non
hanno identità, storie e aspirazioni nazionali loro propri. Questi
paesi sono semplicemente menzionati, definiti rapidamente entro
un ambito collettivo, e poi tralasciati. Le ex colonie sono ex colo
nie; i produttori di petrolio sono produttori di petrolio. Al di là di
tali definizioni, sono solo delle entità anonime, strane, minacciose
e ostinate. La loro stessa esistenza è qualcosa che a “noi” comporta
pericoli. In secondo luogo, questi paesi sono astrazioni, congetture
contro cui sono schierati i potenti del mondo. «Improvvisamente»
afferma Tucker in un successivo saggio dedicato al petrolio e al po
tere, «noi siamo stati messi di fronte alla prospettiva di un società
internazionale che non garantisce più una distribuzione ordinata
del cosiddetto “prodotto mondiale”, questo perché gli stati svilup
pati e capitalistici, ossia coloro che sostanzialmente detengono il
comando, non sono più i soli a creare e generare ordine.»4* In terzo
luogo, questi paesi disturbano perché “loro” sono, o possono esse
re, un gruppo a “noi” uguale e antagonista.
Le opinioni di Tucker e Moynihan seguono in parte la tipica lo
gica del richiamo all’ethos occidentale assediato, che emerge e pe
riodicamente riappare nella storia contemporanea dell’Occidente.
Ad esempio, lo vediamo in La Défense de l’Occident (1927) di Henri
Massis e, più recentemente, nell’articolo di Anthony Hartey The
Barbarian Connection: On the “Destructive Element” in Civilized
History.43 Per Tucker e Moynihan, comunque, ciò che si oppone
all’Occidente non è qualcosa che “noi” conosciamo, ossia qualcosa
di diverso dal modo in cui un imperialista europeo potrebbe par
48. C . W right M ills, The Cultural Apparatus, in Id., Power, Politics and People:
EDWARD W. SAID 49
54. Cfr. in part. Sacvan B ercovitch, The Rites of Assent: Rhetoric, Myth, Popular
Culture, and the American Ideology, A lb u qu erqu e, U niversity o f N ew M exico P ress,
1980, p p . 3-40.
55. Ben descritto in Raymond Williams, Struttura e sovrastruttura nella teoria cul
turale marxista, in Idem, Materialismo e Cultura, Napoli, Pironti, 1980, pp. 1-25.
56 L’ISLAM COM E NOTIZIA
56. Una serie di studi recenti sulle esperienze americane con gli indiani, con vari
altri gruppi stranieri e porzioni di territorio “vuote”, rendono questo aspetto merite
vole di attenzione: cfr. Michael Paul Rogin, Andrew ]ackson and the Subjugation ofthe
American Indian, New York, Alfred A. Knopf, 1975; Ronald T. Takaki, Iron Cages, cit.;
Richar Drinnon, Facing West: The Metaphysics oflndian-Hating and Empire-Building,
Minneapolis, University of Minnesota Press, 1980; Frederick Turner, Beyond Geogra
phy: The Western Spirit Against the Wilderness, New York, Viking Press, 1980.
57. Cfr. il reseconto di questa dissimulazione in Noam Chomsky e Edward S.
Herman, Dopo il cataclisma, cit.
EDWARD W. SAID 57
63. Come esempio degno di nota, cfr. il recente lavoro di Mohammad Arkoun,
Contribution è l’étude de l’humanisme arabe au IV/Xesiècle: Miskawayh, philosophe et
historien, Paris, J. Vrin, 1970; Idem, Essais sur la pensée islamique, Paris, Maisonneuve
& Larose, 1973; e La pensée e La vie, in Idem e Louis Gardet, L’Islam: Hier. Demain,
Paris, Buchet/Castel, 1978, pp. 120-247.
EDWARD W. SAID 63
d im e n ta le p e r d istin g u e re il m o n d o m u su lm a n o d a ll’E u r o p a o d a l
G ia p p o n e . G li stu d io si m u su lm a n i e o c c id e n ta li n on so n o n e an c h e
d ’a c c o r d o se l ’Isla m a b b ia m e sso ra d ic i in ce rte lo c a lità g e o g ra fic h e
p e r m o tiv i d o v u ti a ll’e c o lo g ia o p p u r e alla stru ttu ra so c io e c o n o m ic a
0 al p a r tic o la re r a p p o r to tra il m o d e llo se d e n ta rio e n o m a d e . Q u a n
to ai p e r io d i d e lla sto ria isla m ic a , a n ch e q u e sti so n o c o sì c o m p le ssi
d a re n d e re a r d u a u n a se m p lic e c a ra tte riz z a z io n e “ is la m ic a ” . Q u a li
so n o i p u n ti d i so m ig lia n z a tra alaw iti, o tto m a n i, sa fa v id i, u zb e k i,
stati m o n g o li (o v v ero le g r a n d i o rg a n iz z a z io n i sta ta li d e lla sto ria
islam ica, fino al v e n te sim o se c o lo , in In d ia , T u rc h ia e n el V icin o e
M e d io O rie n te ) e i m o d e rn i stati n az io n a li isla m ic i? N e lle re g io
ni m u su lm a n e , c o m e si sp ie g a la d iffe re n z a (e an ch e l ’o rig in e ) tra
1 te rrito ri c o sid d e tti tu rco -iran ian i e tu rc o -a ra b i? D u n q u e , co m e
m o stra c h iaram e n te A lb e rt H o u r a n i, i p r o b le m i d i d efin izio n e , in
te rp re ta z io n e e c a ra tte riz z a z io n e n e ll’a m b ito d e llT sla m ste sso so n o
c o sì e n o rm i d a fa r riflettere gli stu d io si o c c id e n ta li (p e r n o n p a rla re
d e g li altri o c c id e n ta li n o n e sp e rti):
66. Un buon rilievo di questa attività per l’Iran è fornito da Michael M. G. Fi
scher, Iran: From Religious Dispute to Revolution, Cambridge, Harvard University
Press, 1980. Ma vedi pure Marshall Hodgson, The Venture of Islam, cit.
67. Il documento ideologico-chiave è Bernard Lewis, The Return of Islam, in
«Commentary», gennaio 1976, pp. 39-49; vedi la mia discussione in merito: Orien
talism, cit., pp. 339-344. In paragone a Elie Kedourie, Lewis è davvero un modera
to: cfr. lo straordinario tentativo di Kedourie di mostrare che la ripresa dell’Islam è
principalmente una variante del “marxismo-leninismo” nel suo Islamic Revolution,
Salisbury Papers n. 6, London, Salisbury Group, 1979.
68 L’ISLAM COM E NOTIZIA
68. William Montgomery Watt, What Is Islam ?, London and New York, Long
mans, Green & Co., 1979’, pp. 9-21.
69. Una descrizione cogente si trova in Albert Hourani, Arabie Thought in the
Liberal Age, 1798-1939 [1962], London and Oxford, Oxford University Press, 1970.
EDWARD W. SAID 69
72. Marshall Hodgson, The Venture o f Islam, cit., voi. i, pp. 56 sgg.
73. Ali Shariati, Anthropology: The Creation o f Man and the Contradiction o f God
and Iblis, or Spirt and Clay, in On the Sociology o f Islam: Lectures hy A li Shariati, Ber
keley, Calif., Mizan Press, 1979, p. 93.
74. Idem, The Philosophy o f History: Cain and Abel, in ivi, pp. 97-110.
72 L’ISLAM COM E NOTIZIA
rese inefficace ogni sorta di critica al film. Per entrambi i casi si po
trebbe affermare che la realtà non è affatto così, oppure che questa
è la situazione, ovviamente purché vi sia una qualche maniera per
spiegare tale questione con efficacia e una sede dove poterla affer
mare. Per i portavoce ufficiali sauditi non ci fu nessuna occasione
e nessun posto in cui esprimerla, provarono solo a evitare che il
film fosse mostrato pubblicamente: un metodo, a conti fatti, cul
turalmente insostenibile. I funzionari sauditi senza entusiasmo si
sforzarono un poco di indicare i “buoni” aspetti dell’Islam, ma ciò
non ebbe alcun effetto nel dibattito. Peggio, nessun americano tra
i partecipanti sembrò abbastanza competente sul terreno culturale
da far notare che il film, sia dal punto di vista artistico che politico,
era troppo incongruente per comunicare qualcosa di importante.
Purtroppo per coloro che si opponevano al film, negli Stati Uniti
e in Inghilterra, non c’era nulla di peggiore che l’essere mostrati
come dei lacchè degli interessi finanziari sauditi (come fu insinuato
con palese disprezzo da J. B. Kelly su «New Republic» il 17 maggio
1980). In conclusione, chi disapprovava il contenuto non disponeva
del controllo di nessun apparato di diffusione mediante cui poter
sfidare il film criticamente. Apparve subito evidente quanto fosse
banale la polemica quando fu paragonata al dibattito su The Me
mory o f Justice di Marcel Ophiils e su Holocaust,77 oppure quando
furono ricordati i vari film di Leni Riefenstahl.
La messa in onda di Death o f a Princess ci ha fatto notare altri
aspetti al di là del fatto in sé. Sia i media americani sia gli ambienti
intellettuali e culturali affini, ben prima che fosse conosciuto il film
Princess, erano letteralmente pieni di evidenti denigrazioni anti-
islamiche e anti-arabe. Già in almeno due occasioni il sindaco di
New York aveva direttamente insultato un re dell’Arabia Saudita,
quando si era rifiutato di salutarlo e di rivolgergli anche le più co
muni forme di cortesia. Una ricerca sul lungo periodo ha dimostra
to che difficilmente vi è uno spettacolo televisivo in prima serata
che non raffiguri gli islamici con qualche caricatura palesemente
razzista o denigratoria, tutte tendenti a rappresentarli in termini
77. [Holocaust è una serie televisiva, composta di quattro episodi, che fu trasmes
sa nel 1978, NdT.]
EDWARD W. SAID 77
78. Fino a poco tempo fa la situazione non era diversa nella rappresentazione
degli altri gruppi “orientali”: vedi Tom Engelhardt, Ambush at Kamikaze Pass, in
«Bulletin of Concerned Asia Scholars 3», n. x, inverno-primavera 1971, pp. 65-84.
79. Eric Floffer, Islam and Modernization: Muhammad, Messenger of Plod, in
«American Spectator 13», n. 6, giugno 1980, pp. 11-12.
78 L’ISLAM COM E NOTIZIA
I. La guerra santa
durante il periodo più intenso della crisi; l’altro lato della storia
dev’essere subordinato a questo proposito.
Come ho detto nel primo capitolo, molte delle più drammati
che, e di solito cattive, notizie dell’ultimo decennio, includendo
non solo l’Iran ma il conflitto arabo-israeliano, il petrolio e l’Af
ghanistan, sono state notizie sull’“Islam”. In nessun’altra occasione
ciò è stato più evidente che nel periodo della lunga crisi iraniana,
durante la quale i consumatori americani di notizie hanno subito
dosi massicce di informazione intorno a un popolo, a una cultura,
a una religione - in verità niente più che un’astrazione vacua e ille
gittima - sempre, nel caso specifico dell’Iran, rappresentate come
militanti, pericolose e anti-americane.
Quel che fa della crisi iraniana una buona occasione per esami
nare la performance mediatica è esattamente il motivo per cui essa
appare comprensibilmente angosciosa per gran parte degli ameri
cani: la sua durata e il fatto che l’Iran rappresenti simbolicamente
le relazioni americane con il mondo musulmano. Nonostante ciò,
ritengo si debba guardare con molta attenzione a quel che appa
rentemente sono divenute, subito dopo il periodo iniziale di due o
tre mesi, le attitudini dei media, specie nel loro modo di perseve
rare in certi atteggiamenti, a dispetto delle novità in campo, delle
svolte senza precedenti e delle crisi con cui l’Occidente si è trovato
a fare i conti. Col tempo, comunque, sono avvenuti cambiamenti
nelle modalità di trasmissione delle notizie, ed essi ci parlano di
una storia leggermente più incoraggiante di quella iniziale.
della sicurezza nazionale, tutti questi elementi gli danno una forza
e una serietà uniche. In altre parole, il «Times» può scrivere con
autorevolezza su qualsiasi soggetto, rendendolo pertinente agli oc
chi della nazione; e lo fa in modo deliberato, e con successo. Per
ciò Harrison Salisbury può ricordare che nella primavera del 1961
il presidente Kennedy disse a Turner Catledge del «Times» che
se la carta stampata fosse stata più prodiga di dettagli sull’immi
nente invasione della Baia dei Porci (che il «Times» aveva comun
que raccolto), «ci avrebbe salvato da un errore colossale».1Dopo
quell’episodio, scrive Salisbury, né il «Times» né tutto il resto del
mondo avevano compreso che le notizie allestite da Tad Szulc non
erano certo eccezionali e che allo stesso modo il giornale non si
era speso a dovere. Fu semplicemente un problema di routine. Il
«Times», negli anni, è diventata una vera e propria istituzione, un
potere al servizio della nazione.
1. Harrison Salisbury, Without Fear or Favor: The «New York Times» and Its
«Times», New York, Times Books, 1979, p. 158.
2. Ivi, p. 163.
92 LA STORIA D ELL’IRAN
il La perdita dell’Iran
Non esiste dunque una storia o una società iraniane di cui parla
re che non siano traducibili nei termini antropomorfici di un Iran
malato che del tutto gratuitamente dileggia la buona America? So
prattutto, è possibile che la stampa fosse interessata solo a diffon
dere notizie sulla rappresentazione che il governo americano dava
di un’America “unita” dietro la richiesta incondizionata di rilascio
degli ostaggi, una richiesta - astutamente valutata da Roger Fisher,
accademico di Harvard, sul «Today Show» del 3 dicembre - essa
stessa subordinata alla priorità reale, non certo quella del rilascio
ma della rappresentazione di un’«America forte»?
Per paradosso, il governo e i media apparvero talvolta in reci
proco antagonismo. Da qui l’eccitazione causata dall’attacco del
governo, allestito su NBC, per l’utilizzo dell’intervista di Gallegos.8
O il ritornello frequente balzato fuori da ambienti prossimi o meno
al governo secondo il quale, al modo in cui George Ball lo ha messo
in rilievo durante il «MacNeil/Lehrer Report» del 12 dicembre, «i
grossi network nel mondo si sono schierati realmente dalla parte del
cosiddetto governo in Iran». E in aggiunta a questo refrain, ci fu un
perdurante tentativo di falsare testimonianze, giudizi, dichiarazioni,
diffuse e rappresentate dai media, sia nel caso che al tal dei tali fosse
stato fatto il lavaggio del cervello nel parlare della situazione in Iran,
sia nel caso che gli iraniani X e Y fossero nemici fanatici o propagan
distici. Nel riportare alcune notizie per il «Chicago Tribune» il 22
novembre, James Coates disse che «gli ostaggi presi nell’ambasciata
statunitense in Teheran sono andati incontro a pressioni psicologi
che simili a quelle subite dai militari americani durante la guerra in
Corea e Vietnam, secondo quanto riferito dai funzionari ammini
strativi». I funzionari ammisero più tardi che «si riferivano ad alcune
testimonianze che gli ostaggi avevano prodotto al momento del loro
rilascio». Lois Timnick, sul «Los Angeles Times» del 26 novembre,
riportava la notizia che, secondo un esperto in materia, «il mondo
può aspettarsi di vedere o sentire alcune interviste registrate in cui
ostaggi individuali “confessano” ogni sorta di misfatto ed emettono
giudizi deleteri sia a loro stessi che agli Stati Uniti d’America».
8. Cfr. Robert Friedman, The Gallegos A ffair, in «Media People», marzo 1980,
PP- 33-34-
EDWARD W. SAID 107
10. Fazlur Rahman, Islam, Chicago, Chicago University Press, 1979, p. 37.
116 LA STORIA D ELL’IRAN
il. K erm it R oosevelt, Contercoup: The Struggle fo r the Control o f Iran, N ew York,
M cG raw -H ill B o o k C o ., 1979.
EDWARD W. SAID 117
sant’uomini musulmani e ha presieduto alla rivoluzione indu
striale che ha inteso sradicare gli iraniani dal loro tradizionale
stile di vita rurale.
L’“America-Satana” è vista come il nemico numero uno
non solo in Iran, ma anche altrove, perché per 25 anni gli Stati
Uniti hanno rappresentato il potere, e dunque è vista pratica-
mente come il simbolo di una forza esterna che ha imposto
cambiamenti non voluti.
12. Hamid Algar, The Oppositional Role o f the 'Ulama in Twentieth-Century Iran,
in Nikki R. Keddie (a cura di), Scholars, Saints, and Sufis: Muslim Religious Institu
tions Since 1500, Berkeley, Los Angeles and London, University of California Press,
1972, pp. 231-255.
EDWARD W. SAID I 2I
che sia, a contare è il modo in cui «Le Monde» cerca, senza dubbio
con coscienza, di restituire una rappresentazione del mondo. Men
tre il «New York Times» sembra essere guidato dalla novità delle
notizie, «Le Monde» cerca di registrare una pluralità di fenomeni.
L’opinione e il fatto non sono così rigorosamente separati come
sembrano (specie a livello di forma) esserlo nel «Times»: l’esito,
quando si tratta di storie o questioni di complessità inusuale, è una
maggiore flessibilità sia in termini di lunghezza che di dettaglio,
di complessità della notizia. «Le Monde» suggerisce un’idea di
mondanità,17 il «Times» un’austera selettività. Si consideri ora l’ar
ticolo di Rouleau pubblicato il 2 e 3 dicembre 1979.
Rouleau inizia col ricordare che per i precedenti tre mesi si è
accordata una straordinaria attenzione alla discussione sull’Assem
blea costituzionale; si sono tenuti centinaia di incontri pubblici,
molti di loro ripresi in televisione; la stampa e i giornali di parte
hanno analizzato la discussione e molti di loro si sono adoperati a
denunciare gli elementi “antidemocratici” presenti nel testo pro
posto. (In ogni caso, molto poco di tutto ciò fu riportato dai media
americani.) In seguito, Rouleau fa un commento sulla frattura pa
radossale tra Khomeini e la maggior parte della classe politica del
Paese, procedendo poi con abbondanza di dettagli a mostrare in
che modo il leader riuscisse, nonostante tutto, a imporre le proprie
volontà politiche mirando ad anticipare gli eventi, piuttosto che a
produrre ritardi strutturali. Senz’altro per questo motivo, Rouleau
si sente in dovere di analizzare il dibattito costituzionale (le cate
gorie politiche, le fazioni e lo stile comunicativo) e le forze coin
volte, chiarendo i termini della scissione tra potere e costituzione.
Nel finale dell’articolo, i sostenitori “islamici” di Khomeini sono
rappresentati come un gruppo eterogeneo, coeso ma nello stesso
tempo dispersosi durante le politiche interne, anche in virtù della ri
marchevole consapevolezza di Khomeini dello stato in cui si svolge
una “rivoluzione permanente”, che solo lui, in qualità di “legalitario
fastidioso” per natura, è stato in grado, senza grandi paradossi, di
17. [Il termine “mondanità” ha, in Said, un’ascendenza vichiana: sta a indicare il
carattere umano, secolare, laico dell’esperienza umana, colta in tutta la sua moltepli
cità materiale, NdT.]
EDWARD W. SAID 129
zione alle tesi governative, le quali insistevano solo sul motivo del
“non cedere al ricatto” o sulla liberazione o meno degli ostaggi. Le
conclusioni erano avventate; una situazione politica in corso veniva
irrigidita, col risultato che le specifiche continuità e discontinuità
della rivoluzione iraniana non emergevano mai. Inoltre, si paventa
va l’assunto in virtù del quale se gli Stati Uniti avessero perdonato
lo shah precedente e l’avessero dichiarato come un caso di bene-
ficienza, non sarebbe stata importante la reazione degli iraniani (o
della storia iraniana nel suo complesso). In questo contesto, I. F.
Stone ebbe il coraggio di sostenere la necessità, per gli Stati Uniti,
di scusarsi con l’Iran perché «la restaurazione dello shah da noi
promossa nel 1953 [...] non è storia antica per gli iraniani, e non
può esserlo neppure per noi» («Village Voice», 25 febbraio 1980).
Durante tutto il 1979, i media si produssero in un antagonismo
così feroce nei confronti dell’Iran e dell’Islam che si può sospet
tare che, proprio in ragione di ciò, fu perso un certo numero di
opportunità per risolvere la crisi in ambasciata; e per gli stessi mo
tivi, il governo iraniano suggerì, nel 1980, che solo pochi reporter
avrebbero potuto calmare le tensioni e proporre una risoluzione
pacifica. Quel che va evidenziato seriamente in merito al fallimento
dei media - ed è quel che non bisogna augurare al nostro futuro - è
che, per quanto si occupassero di questioni internazionali di una
certa gravità, non siano stati in grado di assicurarsi una propria
indipendenza e una propria verità di metodo. Sono sembrati così
poco consapevoli del fatto che la nuova era iniziata tra gli anni Ot
tanta e Novanta non potesse essere rappresentata attraverso sterili
dicotomie - “noi” contro “loro”, gli Stati Uniti contro l’Unione
Sovietica, Occidente contro Islam, i media sempre schierati con il
polo “buono” - non meno di quanto potessero credere che una tra
le due superpotenze avrebbe distrutto il mondo.
E ancora, la chiarezza ci impone di considerare i cambiamenti
intervenuti nella stampa con l’inasprimento della presa dell’am
basciata. Ci furono non poche inchieste sul ruolo degli Stati Uniti
in Iran: la CBS, per esempio, dedicò gran parte di due puntate del
programma «Sixty Minutes» alle torture effettuate dal regime del
lo shah e ai complotti di Henry Kissinger a favore di quest’ultimo.
132 LA STORIA D ELL’IRAN
19. Il “Middle East Research and Information Project” (merip) ha tentato, quasi
da solo, di analizzare le questioni elencate: vedi « merip Reports», n. 88, giugno 1980,
Iran’s Revolution: The First Year, pp. 3-31, o lo studio sull’Afghanistan nel n. 89, luglio-
agosto 1980, pp. 3-26.
CAPITOLO TERZO
SAPERE E POTERE
Pochi anni dopo, Ernest Renan, nelle pagine prefatorie alla sua
dissertazione su Maometto e le origini dell’islamismo, promosse
una serie di osservazioni sulla possibilità di aprire la strada a quella
che definiva «la scienza critica». Geologi, storici e linguisti, diceva
Renan, possono giungere ai «primitivi» - nel senso di essenziali e
originari - oggetti naturali sulla base di un esame paziente e minu
zioso delle loro sopravvivenze; l’Islam rappresenta un fenomeno
particolarmente rilevante dal momento che la sua nascita è relati
vamente recente e la sua natura non è dunque originale. Di conse
guenza, concludeva, studiare l’Islam è studiare qualcosa su cui si
può acquisire sia una conoscenza certa che scientifica.3
Forse, proprio grazie a questa felice disposizione mentale, la
storia dell’orientalismo islamico è relativamente libera da correnti
scettiche e, quasi fino ai giorni nostri, è stata completamente im
mune dall’autocoscienza metodologica. La maggior parte degli
2. Cit. in Raymond Schwab, La Reinassance orientale, Paris, Payot, 1950, p. 327.
3. Ernest Renan, Mahomet et les origines de L islamisme, in Idem, Etudes d’histoire
religieuse, Paris, Calmann-Lévy, 1880, p. 220.
EDWARD W. SAID 137
studiosi occidentali dell’Islam non ha mai dubitato del fatto che,
nonostante le limitazioni loro poste in termini di tempo e spazio,
fosse conseguibile una conoscenza oggettiva e vera dell’Islam, o
almeno di alcuni aspetti della vita islamica.
D ’altro canto, ben pochi studiosi moderni si spingerebbero a
essere così esplicitamente arroganti quanto Renan nella loro visio
ne di ciò che è l’Islam: nessuno studioso professionista, per esem
pio, direbbe candidamente come Renan che l’Islam è conoscibile
nella misura in cui rappresenta un esempio capitale di arresto dello
sviluppo umano. E tuttavia, fino a oggi, non mi è riuscito di trovare
alcun esempio di studioso contemporaneo dell’Islam in grado di
guardare con sospetto a una simile affermazione. In parte, riten
go, la tradizionale gilda degli studi islamici, che è stata tramandata
genealogicamente per quasi due secoli, ha protetto e rassicurato
i singoli studiosi, senza dar peso alle insidie metodologiche e alle
innovazioni del campo umanistico.
Un esempio rappresentativo di quello che intendo è il recente
saggio The State of Middle Eastern Studies, pubblicato nell’estate
del 1979 all’interno del volume deH’«American Scholar» da un ben
noto islamista britannico, ora residente e attivo negli Stati Uniti.
Nel suo insieme, il saggio è il prodotto di una riflessione che si
attarda pigramente su questioni di routine e prive di interesse. Tut
tavia, ciò che colpisce i lettori non specialisti, a prescindere dalla
sorprendente indifferenza di questo autore verso temi estesamente
intellettuali, è l’ipotetico pedigree culturale defl’orientalismo. Me
rita una citazione per esteso.Il
di nota che, come nel caso della conferenza sulla schiavitù, nes
sun membro della maggioritaria comunità sunnita fosse invitato a
parlare. Che questo seminario, che toccava un tema così sensibile,
fosse condotto negli Stati Uniti in un anno così particolare (il 1978)
e che avessero partecipato così tanti membri delle minoranze etni
che e religiose essenzialmente ostili a ciò che era designato come la
legge islamica (e inoltre potenzialmente utile ai pianificatori delle
politiche statunitensi), può essere difficilmente assimilato a un in
teresse scientifico. Non fu infatti un caso che il principale relatore
fosse lo stesso studioso a cui ho già fatto riferimento, proprio la
stessa persona che aveva elogiato la curiosità intellettuale occiden
tale e deriso quegli accademici e tutti color che, da non europei,
avevano suggerito la presenza di un interesse politico alla base del
le sue pagine.
Il primo seminario fu condotto applicando tecniche di analisi
psicoanalitica e comportamentale alla comprensione delle moder
ne società mediorientali. In seguito, venne pubblicato il volume
degli atti.15 In generale, il seminario era come ci poteva aspetta
re. C ’era enfasi sulla centralità degli studi sul carattere nazionale
(sebbene con una rigorosa e perspicace critica di Ali Banuazizi
dei cosiddetti studi sul carattere iraniano, attraverso la quale egli
connetteva molto correttamente gli scopi manipolativi del potere
imperiale con i piani sull’Iran).16Il risultato era tristemente preve
dibile. Nel libro ci viene detto molte volte che il musulmano vive
in un mondo immaginario, all’interno del quale la famiglia è re
pressiva, la maggior parte dei leader sono psicopatologici, la socie
tà immatura e via dicendo. Tutto ciò non è presentato dal punto di
15. L. Cari Browon e Norman Istkowitz (a cura di), Psychological Dimensions o f
Near Eastern Studies, Princeton, n j , Darwin Press, 1977.
16. Ali Banuazizi, Iranian “N ational C h aracterA Critique o f Some Western Per
spectives, in L. Carl Browon e Norman Istkowitz (a cura di), Psychological Dimensions
o f Near Eastern Studies, cit., pp. 210-239. P er lavori simili su oggetti d’analisi prossimi,
vedi gli importanti saggi di Benjamin Beit-Hallahmi, National Character and National
Behavior in the Middle East: The Case o f the Arab Personality, in «International Jour
nal of Group Tensions 2», n. 3, 1972, pp. 19-28; e Fouad Moghrabi, The Arab Basic
Personality, in «International Journal of Middle East Studies 9», 1978, pp. 99-112; e
pure Idem, A Political Technology o f the Soul, in «Arab Studies Quarterly 3», n. 1,
inverno 1981.
EDWARD W. SAID 149
18. Dwight Macdonald, Howtoism, in Idem, Against the American Grain , New
York, Vintage Books, 1962, pp. 360-392.
19. C h istoph er L asch , The New Radicalism in America, 1889-1963; The Intellectual
as Social Type, N ew Y ork, V intage B o o k s, 1965, p. 316.
152 SA PE R E E PO T E R E
sante che non ci sia mai stato da parte degli studiosi occidentali di
Islam alcun tentativo sistematico di affrontare metodologicamente
gli scritti islamici sull’Islam. E ricerca, questa? Sono semplicemen
te dati? Nessuno dei due?
Eppure, nonostante l’arido stato di cose, o forse proprio a cau
sa di esso, una qualche conoscenza di valore sull’Islam viene pur
prodotta, e menti indipendenti cercano di attraversare il deserto.
In ogni caso, la generale marginalità, la generale incoerenza intel
lettuale (contrapposta al consenso di casta), la generale bancarotta
interpretativa - sebbene assolutamente non di tutti - degli scritti
sull’Islam può essere ricondotta alla combriccola di vecchie amici
zie corporazioni-governo-università che domina l’intera faccenda.
Guardate come i medesimi personaggi anti-musulmani continuino
ad alternarsi su «MacNeil/Lehrer Report», «Nightline» o «Charlie
Rose». Cosa che, in conclusione, determina il modo in cui gli Stati
Uniti guardano al mondo islamico. Per quale altra ragione potreb
be infatti svilupparsi e prosperare una così peculiare struttura di
conoscenza sull’Islam, così interconnessa, ben solida e indisturbata
da un fallimento dopo l’altro?
Il modo più efficace di comprendere la specifica qualità di que
sta visione, che ha la forza di una fede indiscussa, è ancora una vol
ta quello di paragonarla alla situazione che troviamo in Gran Bre
tagna e in Francia, i due predecessori degli Stati Uniti nel mondo
islamico. In entrambi i paesi c’è sempre stata, naturalmente, una
schiera di esperti islamici con ruolo consultivo nella formulazione
- e spesso anche nell’applicazione - di politiche sia governative
che commerciali. Ma in entrambe le situazioni c’era un compito
immediato da eseguire: l’amministrazione delle colonie. Tale era
la situazione fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Il mon
do islamico era concepito come una serie discreta di problemi da
risolvere, e la conoscenza di tali problemi era nell’insieme positivi
stica e partecipata in modo diretto. Teorie e astrazioni riguardanti
la mentalità islamica, in Francia relative alla mission civilisatrice,
in Gran Bretagna all’autogoverno dei popoli soggetti, interveni
vano qua e là nella politica amministrativa, ma soltanto dopo la
loro messa in atto sul terreno della politica. Il discorso sullTslam
E D W A R D W. S A ID ISS
e ho anche detto che si deve far propria l’idea che ogni sapere è
interpretazione e che l’interpretazione deve essere autocosciente
nel metodo e negli scopi se vuole essere attenta e umana e se vuole
arrivare alla conoscenza. Ma al di sotto di ogni interpretazione di
altre culture - specialmente dell’Islam - esiste una scelta di fronte
alla quale il singolo studioso o l’intellettuale si trova: se mettere
l’intelletto al servizio del potere o al servizio della critica, della co
munità, del dialogo e del senso morale. Questa scelta deve essere il
primo atto interpretativo oggi, e deve oggettivarsi in una presa di
posizione e non semplicemente in un rinvio. Se la storia della co
noscenza dell’Islam in Occidente è stata troppo strettamente legata
alla conquista e al dominio, è giunto il momento in cui questi lega
mi vengano recisi del tutto. Non si enfatizza mai abbastanza un si
mile fatto. Perché, altrimenti, non solo dovremmo fronteggiare una
tensione protratta e forse anche una guerra, ma prospetteremmo al
mondo musulmano e alle sue diverse società un futuro di conflitti,
di sofferenze inimmaginabili, di sollevazioni disastrose, non ultima
conseguenza delle quali sarebbe la vittoria di un “Islam” pronto
a giocare il ruolo per lui preparato dalla reazione, dall’ortodossia
e dalla disperazione. Anche per gli standard più sanguinosi non è
una possibilità piacevole.
NOTE SULL’EDIZIONE
VOLUMI PUBBLICATI: