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SHAHRAM KHOSRAVI

“IO SONO CONFINE”

Prefazione.

Nella versione originale del libro, uscita nel 2010, si intitola “ Illegal travel. An auto-ethnography of
borders ”. Khosravi usa il termine traveller invece di migrante o profugo per contestare la gerarchia imposta
dall’odierno regime delle frontiere alla mobilità , che discrimina tra viaggiatori “qualificati” e “non
qualificati”.

L’industria delle frontiere è diventata un business gigantesco (Messico, Arabia Saudita e Iraq). Ciascuno di
questi muri è stato eretto da uno stato ricco contro una nazione povera. Ogni confine tra stati è anche in certa
misura un confine di classe.

Il regime delle frontiere punta a tenere le persone al loro posto all’interno della gerarchia di classe. Le
frontiere sono un problema per i poveri. Perché i ricchi possono sempre accedere a un mercato legale per
superarle.

Le persone sono costrette a un andirivieni infinito non solo tra paesi, legislazioni e istituzioni, ma anche tra
campi di accoglienza e campi di espulsioni. E’ una circolarità perpetua in cui si vive in uno stato di non
arrivo, o di radicale precarietà o per usare l’espressione di Fanon, di ritardo.

Le frontiere e i loro muri sono eretti in modo da apparire senza tempo, come se esistessero da sempre. I muri
di confine modificano il territorio sociale. Le frontiere producono nuove soggettività.

Ma non è solo il confine a generare nuove soggettività anche violarlo le genera. I corpi dei migranti
diventano una forza politica in grado di bloccare un regime di mobilità che li esclude.

Il movimento dei trasgressori di confine avevano generato una soggettività che attraverso un gesto
eminentemente politico sfidava il regime delle frontiere e l’ordine esistente delle cose. Il cammino percorso
insieme tramutava un viaggio individuale in un progetto comune: un movimento collettivo e sociale.

Le frontiere sono anche un’esperienza fisica. Esistono per essere percepite. Sono progettate per avere il
massimo della visibilità, sono progettate per causare sofferenza e ferire i corpi (filo spinato, muri,
aggressioni delle guardie, stupri , umiliazioni).

Le frontiere sono selettive e discriminatorie. Le frontiere sono una tecnica per calcolare il valore degli
stranieri. Un approccio alle frontiere intellettualmente onesto e politicamente responsabile deve infatti
basarsi su una storicizzazione radicale in grado di denaturalizzare e politicizzare ciò che l’odierno regime
delle frontiere ha naturalizzato e spolicizzato.

1987confine tra Iran e Afghanistan. La strada separava due stati, distinguendo gli esseri umani in due
categorie diverse. Non era strada ma un muro.

Introduzione.
I corpi sono stati spogliati dalla loro individualità, privati dei loro diritti politici. L’immagine documenta un
corpo depoliticizzato, homo sacer, per citare Giorgio Agamben che incarna la nuda vita.
Le frontiere hanno lo scopo di designare differenze. Non c’è soluzione di continuità tra confini. Vengono
tracciati in corrispondenza delle barriere naturali, come fiumi, le montagne e i deserti, così da apparire a loro
volta naturali. I confini sono il simbolo degli Stati sovrani. Uno stato-nazione è immaginabile solo attraverso
i suoi confini. Il sistema dello stato nazione si fonda sul nesso funzionale tra un luogo determinato
(territorio) e un ordine determinato (lo stato). Nel sistema dello stato nazione, la zoè, vita biologica, viene
immediatamente tramutata in bios, vita politica o cittadinanza.

Rumford i confini plasmano la nostra percezione del mondo.

I confini sono il punto di riferimento essenziale del nostro senso di comunanza, di identità. Spesso l’ordine
nazionale delle cose viene spacciato per naturale. Secondo Malkki, la naturalizzazione del regime delle
frontiere conduce a una visione del superamento dei confini come patologia. I trasgressori di confini
spezzano il legame tra natività e nazionalità, mettendo in crisi il sistema dello stato nazione. La violazione
del regime delle frontiere costituisce una violazione di norme etiche ed estetiche. Sono viste come una
minaccia politica e simbolica alla sovranità e purezza nazionali. In purezza e pericolo Mary Douglas
esamina la distinzione tra puro e impuro come meccanismo per preservare la struttura sociale e determinare
ciò che è moralmente accettabile. I clandestini che violano i confini sono contaminati e contaminanti. Sono
transnazionali.

Questo sistema crea un essere umano politicizzato, ma anche un sotto-prodotto, un residuo politicamente
non identificabile. Il moderno stato nazione si è arrogato il diritto di presiedere alla distinzione tra vite
produttive e vite da scartare.

Queste vite di scarto sono l’homo sacer del presente. Agamben desume l’espressione homo sacer dal diritto
romano, usandola per descrivere un’esistenza e condizione che definisce nuda vita. L’homo sacer è stato
privato della sua appartenenza alla società. Il diritto romano non considerava omicidio l’uccisione degli
homines sacri. L’homo sacer viene ridotto a un semplice corpo biologico. Secondo Agamben il sistema
degli stati nazione distingue tra nuda vita, zoè, e una forma di vita politica, o bios.

In quanto homines sacri i migranti irregolari sono esposti non soltanto alla violenza dello stato, ma anche a
quella dei privati cittadini.

Il superamento illegale dei confini viola l’aspetto sacramentale dei rituali e dei simboli di frontiera. Il
sistema dei confini è governato dalla criminalizzazione. Il governo mediante criminalizzazione si auto-
giustifica sostenendo la necessità di proteggere i cittadini dalla minaccia degli anti-cittadini (intesi come
minaccia al benessere del corpo sociale).

Lo stato imprime il confine sui corpi stessi dei migranti.

Mentre una categoria ristretta di persone gode di diritti di mobilità assoluta, la stragrande maggioranza è
prigioniera dei confini. La selezione sociale dei viaggiatori comincia molto prima che arrivino alla frontiera.
Coloro che provengono da nazioni considerate sospette sono sottoposti a un alto grado di controllo.

Laddove esiste un confine ne esisterà anche il superamento, legale o illegale.

Questo libro è un’auto-etnografia ,cioè alterna il racconto di esperienze personali all’analisi etnografica. Non
è una autobiografia , ma un’etnografia dei confini. L’auto-etnografia richiama l’attenzione
sull’implementazione di politiche e leggi. Le storie di confine rivelano l’interazione tra intenzionalità e
struttura nelle esperienze migratorie. Le somiglianze tra le esperienze soggettive degli informatori e le sue
sfumano la distinzione tra antropologo e informatori. Questo libro scaturisce anche dal pensiero poetico. Nel
pensiero poetico non ci si concentra sulla propria soggettività o sull’oggettività del mondo, ma su ciò che
emerge dallo spazio tra le due. In questo caso si tratta di storie degli illegali, gli apolidi , i richiedenti asilo
respinti, gli irregolari, gli occulti, i clandestini. Questa auto-etnografia trae il suo potere narrativo dal
concetto di testimonianza. Ma non si tratta solamente di un memoriale del passato, è anche un avvertimento
per il futuro.

Capitolo primo.

1986 convocazione dall’esercito. Iran e Iraq stavano combattendo una guerra fin dal 1980.
Lo stato usò tutti i mezzi a sua disposizione per promuovere la predisposizione al martirio, vi
era una vera e propria propaganda. La simbologia del martirio era onnipervasiva nella società
iraniana. ( cinema della santa difesa, ethos egemonico del lutto)

Il rapporto dialettico tra l’esperienza di uccidere e l’accesso al mondo maschile è comune a


molte società.

La famiglia era bakhtiari di khan di medio livello e abitavano a Esfahan nel quartiere
ebraico. I bakhtiari subivano continue vessazioni per i loro abiti tradizionali.  questo causa
nell’autore un senso di estraneità verso l’Iran urbano.

Negli studi sulle migrazioni è invalsa la tendenza a classificare i migranti in base a un


continuum decisionale, con la libera scelta (migrazione volontaria) a un estremo e la
costrizione (migrazione forzata) all’altro. I migranti forzati sono vittime delle strutture
sociopolitiche e costretti a trasferirsi per mancanza di alternative. Richmond distingue tra
migrazione reattiva (forzata) e proattiva (volontaria). Turton fa notare che gran parte delle
situazioni migratorie reattive/forzate ammette una maggiore libertà di scelta e più elementi
attivi di quanto riconosciuto dalla teoria. Anche nel tipo più costrittivo di migrazione resta
comunque un margine di scelta.

Esistenze di una cultura della migrazione. Si intende una cultura che comprende idee,
pratiche e artefatti che avvalorano la celebrazione della migrazione e dei migranti. La
migrazione all’estero non è stata un fatto comune fino agli anni ottanta. La migrazione di
massa cominciò solo dopo la rivoluzione islamica del 1979.

La fase successiva del processo è la preparazione al viaggio. La disponibilità di fondi è


cruciale. Le risorse economiche determinano il grado di pericolo.  nel caso dell’autore i
fondi c’erano ma mancavano le informazioni.

Capitolo secondo.
1986 l’intermediario lo accompagnò a Iranshahr vicino al confine con il Pakistan (viene
arrestato)

Il confine tra Afghanistan e Iran è il quinto corridoio migratorio più trafficato del mondo.
Dall’inizio degli anni Ottanta, l’Iran è diventato la principale destinazione per i due-tre
milioni di profughi e migranti afghani. Quelli fuggiti in Iran si sono insediati da subito nelle
grandi città e rappresentano una quota considerevole della forza lavoro nel comparto edilizio
e agricolo.

L’attuale sistema basato sulle frontiere favorisce di fatto il contrabbando, instaurando un


rapporto dialettico tra traffico di esseri umani e confini.

La sua criminalizzazione è il fulcro delle politiche con cui si governa la migrazione. Una
volta stabilito che un certo comportamento costituisce reato, la sua punizione diventa
legittima. Questa visione non distingue tra la tratta vera e propria e il passaggio illegale di
migranti. Quest’ultimo è un mercato ben più sfaccettato e complesso, che offre servizi
estremamente diversificati e coinvolge attori di ogni tipo impegnati in operazioni sequenziali
a vari livelli. I contrabbandieri di persone non costituiscono un gruppo omogeneo. Oltre alle
bande criminali ci sono anche le popolazioni locali (nomadi delle regioni di frontiera) che si
offrono spesso come guide per i migranti illegali.

Il viaggiatore illegale si muove in uno spazio esterno alla legge e dunque fuori dalla sua
protezione. La loro vulnerabilità è manifesta nella loro animalizzazione. Il lessico migratorio
è zeppo di nomi di animali usati per indicare i trafficanti e i loro clienti (coyote e pollos,
shetou e renshe) deumanizzati e rappresentati come galline o pecore i trasgressori di confini
sono le creature immolate nel rituale della frontiera. I loro corpi sono ridotti a merce. Di loro
resta soltanto il corpo, valutato in termini di forza lavoro spendibile.

Oggi i confini tra il mondo ricco e quello povero sono diventati un luogo di morte. 
necropolitica dei confini

Inda le pratiche di confine non puntano a uccidere i migranti , ma sono disposte a


tollerarne la morte, mettono in conto la possibilità che ci siano vittime. Il sacrificio è un atto
religioso primario, e il sacrificio di chi viola i confini è parte integrante della religione
professata dallo stato nazione, è una manifestazione della sua sovranità.

Arrivo a Quetta città principale del Pakistan

Dal lal trafficante mosafer migrante senza documenti

Fuggire da una guerra non era considerato un motivo sufficiente per ricevere lo status d
profugo, gli unici ad avere qualche chance erano i siyasi, i rifugiati politici.

<secondo la convenzione sui rifugiati del 1951, ha diritto allo status di rifugiato solo chi nel
suo paese di origine abbia il giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, la sua
religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue
opinioni politiche>

Per ottenere il riconoscimento di profugo era infatti necessario tradurre la sua storia della
propria vita in un linguaggio giuridico eurocentrico e saper interpretare la parte.
La condizione di illegalità priva i migranti di ogni protezione. Espulsi dal sistema legale, il
migrante irregolare diventa un oggetto della necropolitica, ovvero può essere esposto alla
morte.

Amitav Ghosh viaggiatori verso ovest

La loro decisione di migrare può essere indotta anche dal desiderio di accedere allo stile di
vita proprio del mondo industrializzato. Il risultato è un immaginario potente capace di
creare mondi e stili di vita alternativi.

Le frontiere non sono soltanto luoghi di pregiudizio razziale ma anche e soprattutto di


discriminazione sessuale e di genere. Un aspetto rilevante dei confini è lo stupro dei migranti
che li attraversano. Sui confini lo stupro è una prassi sistematica. E’ diventato un
meccanismo di controllo. Lo stupro alle frontiere è diverso da quello perpetrato in guerra o in
carcere. Non è infatti una strategia deterrente o punitiva, ma un pedaggio, chi cerca di
attraversare il confine paga il diritto di accesso con il proprio corpo. Lo stupro come
lasciapassare è un rito di passaggio.

L’impunità dei violentatori e l’indifferenza delle autorità rivelano il modus operandi


patriarcale proprio dello stato nazione, che combina questa mascolinità militarizzata coni l
cosiddetto approccio securitario interno.

Di fatto , lo stupro di frontiera non ha lo scopo di tenere fuori le migranti ma di rimetterle al


loro posto in termini di gerarchia razziale e di genere.

Luibheid  la violenza sessuale non è una strategia dissuasiva della migrazione, ma un


metodo per riprodurre rapporti sociali gerarchici, e se le donne titolari di cittadinanza sono
pure, quelle che violano i confini sono invece stuprabili. Lo stupro rispristina i confini. Le
politiche migratorie discriminano inoltre gli omosessuali.

Amir Heidari dal lal più famoso in medio oriente

Abbas dal lal dell’autore. Si dirige a New Delhi

Capitolo terzo.
Le zone di frontiera sono aree di tolleranza per i comportamenti considerati immorali.

La migrazione concede la libertà di inventare nuovi stili di vita e una diversa


rappresentazione di sé.

Gli studiosi concordano sul fatto che le reti sociali basate sulla parentela, l’amicizia e i
legami comunitari sono un elemento cruciale dei sistemi migratori. Il ciclo così si
autoalimenta, creando nel tempo le cosiddette catene migratorie.
Il traffico di essere umani si distingue dalla tratta per il cosiddetto controllo sui trasferimenti
, intendendo con questo che il cliente ha la possibilità di scegliere la propria destinazione.

I passaporti sono lo strumento usato dallo stato per governare gli spostamenti della
popolazione. Inoltre mettono in relazione i singoli con la politica estera, che li classifica
come viaggiatori affidabili o pericolosi, desiderabili o indesiderabili. Infine definiscono i
limiti della nostra libertà nello spazio geografico, riconoscendo ad alcuni una mobilità
privilegiata.

In quanto simbolo dello stato nazione , il passaporto è uno strumento potente che contiene
informazioni dettagliate sul viaggiatore, compresi i dati biometrici, la nazionalità, il luogo di
nascita e di residenza. Siamo noi ad appartenere al passaporto e non viceversa. Le frontiere
sono zone di produzione culturale, spazi di creazione e violazione dei significati. Il
superamento di un confine consolida o smentisce il nostro status sociale e politico e
comporta rituali propri. Poiché accade in una zona liminale l’intera esperienza corrisponde
in senso antropologico ad un rituale.

Per i viaggiatori illegali non c’è luogo migliore delle sale d’attesa. Indubbiamente questi
nonluoghi sono avulsi dalla storia , dall’identità e dalla cultura locali , sono privi di
interazione sociale, di cultura e di storia, ovvero sono spazi funzionali alla giustapposizione
di solitudini.

(Mehran Karimi visse per diciotto anni nel terminal 1 dell’aeroporto di Parigi)

Gli aeroporti sono luoghi emblematici della mobilità umana nell’era del tardo capitalismo,
contraddistinti dall’approccio consumista , dalla divisione in classi e da una sorveglianza
selettiva di tipo razziale per distinguere tra mobilità desiderabile e mobilità indesiderabile.

Le esperienze di confine riproducono le divisioni di classe e di genere e rispecchiano nella


posizione del singolo la gerarchia esistente tra le nazioni e le etnie. Il superamento di un
confine può essere motivo di vanto o di vergogna. Viviamo in un’era di apartheid globale in
cui sono i confini a differenziare le persone.

Nel mondo globalizzato l’accesso o il divieto alla mobilità legittima hanno portato ad una
nuova forma di classificazione sociale. Il risultato è l’extraterritorialità delle nuove elite
globali e la territorialità obbligata per tutti gli altri, una suddivisione che ha prodotto una
sottoclasse globale costretta all’immobilità.

Capitolo quarto.
L’esistenza di un migrante illegale è improntata alla precarietà, all’imprevedibilità e
all’erranza. I profughi rappresentano un’anomalia nel sistema dello stato nazione.
L’antropologo francese Michel Agier ha osservato che i campi profughi sono esterni sia in
senso spaziale sia in senso temporale, sono cioè posti all’esterno del mondo ordinario e
prevedibile . Sono spazi ma non luoghi.

I campi occupano uno spazio, ma non godono di alcun riconoscimento ufficiale. Il tempo
passa ma i campi restano innominati e indefiniti. Poiché hanno contaminato la purezza della
nazione , i profughi sono visti come un pericolo. Il campo non è un residuo storico del
passato ma la matrice occulta e il nomos dello spazio politico in cui viviamo a tutt’oggi.

Impongono alle persone lo status di profugo non come categoria giuridica ma come modo di
essere, come identità. E’ il campo stesso a produrre il profugo attraverso una burocrazia
patologizzante. Il processo di profughizzazione inizia appena si mette piede in un campo. In
quello artico l’autore è stato addestrato a diventare una vittima.

Utas mostra come la vittimizzazione fosse una forma di auto-rappresentazione largamente


adottata dai rifugiati liberiani per orientarsi nella navigazione sociale imposta dalla loro
dislocazione.

Tradire il minimo indizio di autodeterminazione equivale mettere in dubbio la propria


autenticità di profugo. La profughizzazione comporta di adeguare il proprio modo di vivere
alle aspettative convenzionali. Lo stereotipo del profugo e del suo aspetto è plasmato dalla
pletora di immagini che circolano sulla stampa, in televisione e ultimamente anche nei libri
fotografici. Secondo Wright il modello di queste immagini è l’iconografia cristiana , con la
sua lunga tradizione di raffigurazioni della migrazione forzata. I rifugiati e i richiedenti asilo
vengono associati alle antiche tradizioni bibliche delle città rifugio e dei santuari.

Alcune immagini sono diventate il simbolo della condizione di rifugiato. Un profugo


autentico deve quindi apparire travagliato, dimesso, sofferente, serio e triste.

La dimensione spaziale dell’esistenza diasporica è alienante, umiliante e dolorosa. L’esule


vive la sua estraniazione a livello fisico. Un altro tipo di confine è quello nella mente delle
persone. E’ una linea intangibile ed elusiva e tuttavia potente e radicata. Questa frontiera
invisibile presente in quello che possiamo chiamare lo sguardo di confine impedisce di
provare un senso di appartenenza nei confronti del nuovo paese. Gli immigrati indesiderabili
sono inclusi nella comunità senza diventarne membri. Il confine invisibile condanna gli
immigrati a un’estraneità che dura per generazioni. Il campo visivo non è neutro . Lo
sguardo è un intreccio gerarchicamente complesso di genere, razza e classe.

Franz Fanon in “pelle nera, maschera bianca” colloca la tesi sartriana sull’alterità del
contesto coloniale, dimostrando come lo sguardo coloniale reifichi l’uomo e la donna neri,
inchiodandoli a un’identità razziale e sessuale imposta dall’esterno.

Lo sguardo non consiste nell’atto semplice e neutrale del guardare: è un’episteme che
determina chi e che cosa è visibile o invisibile. Una delle sue modalità più devastanti è quella
razziale. Oltre a riprodurre le categorie razziali, lo sguardo di confine riproduce anche quelle
di genere.

Butler il campo visivo non è neutrale rispetto alla questione di razza , è di per sé un
inquadramento razziale, un’episteme egemone e potente. Quello sguardo sposta il fuoco
della responsabilità dall’aggressore alla vittima.

I migranti sono il sacrificio umano offerto ai rituali di rinegoziazione delle frontiere.

Capitolo quinto.
L’esilio l’ha reso alieno in Svezia e in Iran. E’ la difficile condizione della doppia assenza,
del non avere più un proprio posto in nessuna delle due comunità.

La condizione di illegalità impone una sottomissione incondizionata. Quando si è illegali


perfino il tempo assume un significato diverso (tempo morto, mortorio )

Si tende a dimenticare che l’idea di vedere l’ immigrato come un ospite è solo una metafora.
Gli immigrati e persino i figli nati nel nuovo paese continuano a essere visti come gente di
passaggio. Sono percepiti come una presenza temporanea. Rapporto di potere asimmetrico
esistente tra chi ospita e chi viene ospitato. Quest’ultimo è un rapporto violento , che si esige
gratuitamente.

Avere una patria significa appartenere ma anche erigere confini, escludere gli altri. La patria
è principalmente luogo di esclusione e non di inclusione , è un concetto che alimenta il
razzismo e la xenofobia.

La combinazione romantica tra cosmopolitismo e sentirsi a casa è soltanto un’illusione. I due


concetti non sono compatibili, perché il secondo nega il fondamento stesso del primo, cioè
l’ospitalità incondizionata.

Capitolo sesto.
Rumford i confini sono selettivi e mirati

“ero indistinguibile dal confine. Io ero il confine. Sono un semicittadino i cui diritti si
possono sospendere in caso di emergenza. Sono incluso ed escluso allo stesso tempo”

Agamben “esclusione inclusiva” colloca gli indesiderabili sulla soglia tra il dentro e il
fuori.

Balibar alcuni confini non sono più situati al confine nel senso geografico o politico del
termine. Sono diventati invisibili, sono ovunque e in nessun luogo. Pertanto gli indesiderabili
non sono più espulsi dal confine, sono costretti ad essere il confine.
L’aspetto brutale del confinamento dei richiedenti asilo è che la loro reclusione non è la
conseguenza di un reato ma della loro stessa situazione di perseguitati.

Le categorie designate come criminose vengono presentate come un rischio per il benessere
del corpo sociale . Prendendo di mira gli stranieri considerati indesiderabili, la governance
mediante criminalizzazione , inasprisce i controlli sui confini esterni ed interni ,
l’internamento e la deportazione forzata.

La prigione moderna ha il compito di amministrare le vite dei detenuti allo scopo di creare
corpi docili e utili. Si basa su una prassi di presa in carica e riforma che disciplina i reclusi
per tramutarli in bravi cittadini ed elementi produttivi nell’economia di mercato. Al
contrario, il centro di detenzione per gli immigrati è una prigione premoderna, nient’altro che
un luogo di punizione per l’eliminazione permanente dei corpi di scarto. Il sistema garantisce
la purezza nazionale confinando e deportando i non cittadini indesiderabili, visti come
economicamente marginali e politicamente pericolosi. Mentre la prigione punta a
disciplinare e normalizzare, il centro di detenzione espone i non cittadini all’abbandono e
persino alla morte.

Una conseguenza prevedibile dell’inasprimento dei controlli ai confini è stata l’aumento dei
rischi e dei costi del traffico di esseri umani.

Questa correlazione diretta tra l’inasprimento dei controlli e aumento dei decessi tra i
migranti è lampante e innegabile. I confini operano una selezione naturale.

L’inasprimento dei controlli di confine ha anche determinato l’aumento di prezzo dei viaggi
clandestini, tramutando il traffico di esseri umani in un affare molto più lucroso che in
passato.

La legge umana non contempla confini. Le frontiere sono il prodotto di menti disumane.

Sempre di più i richiedenti asilo vengono rappresentati non come persone che hanno un
problema, ma come persone che sono un problema.

Accanto alla tendenza a criminalizzare la migrazione, è emersa anche una cultura dello
scetticismo che ha pervaso l’intero sistema dell’asilo.

Un’interpretazione restrittiva del concetto di profugo politico ne qualifica la gran parte,


bollandoli come falsi profughi o migranti economici. Quest’ultima espressione viene
utilizzata per coloro che vorrebbero accedere allo status di rifugiati nonostante il loro vero
scopo sarebbe quello di ottenere un vantaggio economico. E’ possibile distinguere tra
economia e politica?

A determinare i flussi migratori non è la povertà ma la corruzione, la disuguaglianza, le


distinzioni di classe e la distribuzione iniqua delle risorse.
Gli stati sono sempre responsabili delle crisi migratorie , o direttamente con la violazione dei
diritti umani , o indirettamente, per l’incapacità di tutelare i propri cittadini. La sofferenza
umana è sempre un problema politico. La cultura dello scetticismo si fonda sul criterio del
merito . Per meritare l’asilo bisogna aver sofferto. Si presume che la sofferenza umana si
manifesti nei corpi. Il corpo funge da testo.

Da una prospettiva foucaultiana la produzione di criminalità è un modo per creare la norma.


La criminalizzazione dei non cittadini indesiderati è soprattutto un modo di costruire la
cittadinanza. Al cittadino ideale si contrappongono le masse non identificate e quindi
ingestibili di stranieri.

Le tecnologie di cittadinanza costituiscono un progetto di moralizzazione e


responsabilizzazione che punta a trasformare i cittadini in soggetti etici e responsabili,
contrapposti ai soggetti irresponsabili e immorali.

Accettano impieghi mal retribuiti, indeboliscono le contrattazioni collettive, mettono in


pericolo l’esistenza stessa del sistema welfare.

L’anti-cittadino è colui che viola la purezza dello stato sociale , colui che la metta a rischio.
Perfino la fertilità delle donne immigrate viene vista come una minaccia per la nazione.

Il corpo di una migrante incinta non appartiene più a lei ma è una questione di interesse
nazionale . La riproduzione non è più un fatto naturale, una scelta biologica privata, ma un
problema politico.

Capitolo settimo.
Arendt i diritti dell’uomo sono destinati a chi non può accedervi. E’ stata la prima a
sottolineare il dilemma insito nella condizione apolide. Arendt rivelava che l’apolide non è
soltanto costretto all’immobilità ma è trascurato e ignorato dalle stesse convenzioni e
dichiarazioni promulgate in suo favore. Per lei esiste un unico diritto umano, il diritto di
avere diritti, in altre parole il diritto di rivendicarli. Poiché i diritti umani si basano su quelli
civili , cioè i diritti riconosciuti al cittadino, i primi si possono conseguire solo attraverso lo
stato nazione.

Fuori dal sistema non c’è spazio per l’umanità. Non esiste spazio per l’essere umano in sé e
per sé fuori dal suo status legale e politico. Uno stato permanente di apolide è incompatibile
con la logica dell’ordine naturale delle cose. La perdita della cittadinanza è detta
denaturalizzazione. La sua perdita snatura il concetto di cittadinanza è diventato sinonimo di
natura umana. Se si è apolidi si diventa deumanizzati , ovvero ci si espone alla necropolitica,
alla violenza alla morte.

Arendt scrisse “Noi profughi” uno dei testi più illuminanti su cosa voglia dire essere gli
altri.
Bauman si chiede in che misura i campi profughi non siano laboratori in cui il nuovo
modello liquidomoderno, permanentemente transitorio, di vita venga messo alla prova e
reiterato.

Walter Benjamin  offre una visione alternativa della storia. Rifiutando il mito, afferma
che la storia è scritta da chi ha vinto nel passato ed esercita il potere nel presente, e dunque
caratterizza la propria ascesa come progresso. Per gli sconfitti quel progresso ha significato
catastrofi, olocausto, campi profughi, migrazione forzata, apolidia e schiavitù.

Scrivere di confini significa parlare di dicotomie: assimilazione/espulsione,


accoglienza/rifiuto, asilo/respingimento. Eì un discorso sull’ospitalità e sull’ostilità.

La dialettica respingimento/accoglienza dimostra che l’ospitalità è regolamentata dai confini.


L’ospitalità condizionata viene estesa soltanto a chi viene giudicato meritevole. Ammettere i
profughi meritevoli, respingendo quelli indegni è un atto sovrano di riconferma dei confini.
La politica dell’ospitalità è dunque un esercizio di potere.

L’etimologia stessa dimostra che hospis e hostes hanno una comune radice latina. Per
Derrida ospitalità e ostilità si intrecciano.

Derrida la tolleranza è l’opposto dell’ospitalità e una tolleranza scarsa o inesistente è un


modo per conservare il potere ed esercitare il controllo a casa propria.

Levi-Strauss società antropofagiche/ società antropoemiche. Le prime mangiano lo


straniero, ne eliminano l’alterità. Le seconde vomitano lo straniero , cioè espellono gli
individui indesiderati.

Nella guerra dichiarata alla migrazione irregolare, l’ospitalità stessa è diventata un reato.

L’ospitalità è reale solo quando viene estesa a una persona radicalmente diversa, e per essere
incondizionata deve riconoscere il suo diritto ad avere diritti, il diritto fondamentale degli
esseri umani.

Benhabib le democrazie vanno giudicate non per come trattano i propri membri ma per
come trattano gli estranei.

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