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Dal disegno codicistico francese era valorizzata l’anima privatistica della famiglia
nei suoi profili prevalentemente patrimoniali, vi permaneva comunque la
‘sacramentalità’ del potere paterno e dell’autorità maritale.
L’apporto culturale italiano nella prima metà del Novecento, in linea con la
tradizione ottocentesca, fu ancora nel senso di una particolare attenzione alle
ragioni di una famiglia gerarchica e patriarcale.
Il lato ‘modernizzante’ e totalitarista del fascismo l’art. 147 del codice civile del
1942 ne è paradigmatico, in virtù dell’inciso con cui si impone ai genitori, e
segnatamente al padre/capo famiglia, di educare obbligatoriamente i figli sulla
base dei principi del fascismo, sotto pena della perdita della patria potestà. E
questo perché lo Stato fascista considera la protezione dell’infanzia e della
giovinezza come un’alta funzione pubblica, che esso assolve in più modi: a mezzo
di suoi organi e di appositi istituti, mediante l’intervento nell’attività educativa
familiare, con la protezione della filiazione illegittima e le varie forme di assistenza
tutelare dei minori abbandonati.
Sotto il profilo tecnico appare quasi scontato che, in un orizzonte di questo tipo, la
bussola della scienza del diritto di famiglia divenisse la Costituzione del 1948 e la
sua armonizzazione con la normativa vigente, i cui capisaldi erano stati partoriti in
tutt’altro clima e rispondevano a idealità assai distanti.
Per un deciso cambio di rotta nella cultura giuridica del legislatore, dei giudici e
degli stessi giuristi si dovette attendere circa un ventennio, il clima del 1968 e un
vasto ricambio generazionale. Di fatto, gli anni Sessanta e Settanta offrirono
all’intera Europa il clima culturale e politico favorevole a un sistematico piano di
riforme dello stato giuridico domestico, ampiamente sostenute dalla cultura
giuridica.
- l'art. 29 sancisce che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità
familiare".
- l'art. 30 dispone che "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed
educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei
genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai
figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti
dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca
della paternità".
- l'art. 31 stabilisce che "La Repubblica agevola con misure economiche e altre
provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con
particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la
gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo".
La gran parte delle norme del diritto di famiglia è raccolta in un ramo del diritto
civile che regolamenta i rapporti familiari, quali il matrimonio, i rapporti personali fra
i coniugi, i rapporti patrimoniali nella famiglia, la filiazione, i rapporti fra genitori e
figli, la separazione, il divorzio, le obbligazioni alimentari e gli obblighi di
mantenimento del coniuge più debole.
Il codice civile dedica alla famiglia il primo libro del codice intitolato "Delle persone
e della famiglia".
La concezione del diritto di famiglia è profondamente mutata dal 1942 (anno in cui
è entrato in vigore il codice civile). All’epoca, la famiglia era basata sulla
subordinazione della moglie al marito, sia nei rapporti personali sia in quelli
patrimoniali, sia nelle relazioni di coppia sia nei riguardi dei figli; e fondata sulla
discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio (figli naturali), che ricevevano un
trattamento giuridico deteriore rispetto ai figli legittimi.
Con la legge del 1975 venne riconosciuta la parità giuridica dei coniugi, venne
abrogato l'istituto della dote, venne riconosciuta ai figli naturali la stessa tutela
prevista per i figli legittimi, venne istituita la comunione dei beni come regime
patrimoniale legale della famiglia (in mancanza di diversa convenzione), la patria
potestà venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori.
Il diritto di famiglia nel corso degli anni è soggetto ad ulteriori modifiche, frutto sia
di elaborazioni Giurisprudenziali sia di importanti norme tra cui spiccano la legge
sul divorzio (legge n. 898/1970, modificata nel 1987 con legge n. 74/1987), e la
legge 54/2006, sull'affidamento condiviso che ha rivoluzionato la disciplina dei
rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile.
L’idea di base è infatti che il riconoscimento deve essere precluso, non in base alla
condizione giuridica di irriconoscibilità del figlio, ma esclusivamente in base alla
considerazione del suo interesse, finanche a stabilire che un divieto non ha motivo
di esistere quando il riconoscimento è per il minore favorevole.
- principio per cui la filiazione fuori dal matrimonio produce effetti successori nei
confronti di tutti i parenti e non solo con i genitori;
Si porta a compimento la più grande modifica del diritto di famiglia successiva alla
legge 19 maggio 1975 dando attuazione alle modifiche, ai principi e ai criteri
direttivi dettati dalla legge 219/2012.
Con tale intervento si è colta l’occasione per uniformare la materia alle norme di
diritto europeo e sovranazionale: in particolare il riferimento va al Trattato di
Lisbona (2009) che ha attribuito un valore vincolante alla Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea ed ha vietato qualsiasi tipo di discriminazione
fondata sulla nascita; alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
umani e delle libertà fondamentali, i cui articoli 8 e 14 proteggono la vita familiare e
vietano qualsiasi discriminazione, al Regolamento dell’Unione europea n.
2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle
decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
Fra le novità anche la scelta del legislatore di far scegliere di “comune accordo” la
residenza abituale del fanciullo e quella di prevedere una nuova legittimazione
attiva dei “nonni” che, finalmente, potranno far valere una loro azione davanti al
Tribunale per i minorenni, quando sia loro impedito il diritto di mantenere rapporti
significativi con i nipoti minori di età.
L’articolo 336-bis c.c. “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età
inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal
giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati
provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del
minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento
dandone atto con provvedimento motivato. L’ascolto è condotto dal giudice,
anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti
processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore,
se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto
se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di
approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. Prima di procedere all’ascolto
il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto.
[…]”
A rafforzare tale diritto, è l’averlo esteso fino a comprendere non solo l’ambito dei
procedimenti che riguardano il minore, a parte il caso in cui il giudice lo ritenga in
contrasto con l’interesse del fanciullo oppure risulti manifestamente superfluo, ma
anche altre situazioni come per i procedimenti in cui si omologa o si prende atto di
un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli; quando il
giudice deve designare al minore un tutore e quando si debbano assumere dei
provvedimenti circa l’educazione e l’amministrazione per la cura del minore;
durante il procedimento di divorzio.
Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di
temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento
familiare.
Un punto centrale per l’applicazione di questi concetti era appunto lo ius
corrigendi: l’esercizio del diritto della violenza correzionale sulla moglie, nato nel
mondo romano, che permetteva all’uomo di arrivare ad un certo punto di violenza
perché la donna era debole, e quindi andava protetta e corretta anche con la forza.
Fino al 1968 l’adulterio era reato quando commesso da una donna. Gli uomini
erano impuniti, a meno che la relazione extraconiugale non fosse di dominio
pubblico, in tal caso si puniva perché offensiva alla famiglia e alla morale.
Fino al 1981 resta in vigore il delitto d’onore. L’uomo che uccideva la moglie (o
anche la figlia o la sorella) «nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore
suo e della sua famiglia» aveva diritto alle attenuanti e a una pena limitata da tre a
sette anni. Al contrario, la donna che uccideva il marito in circostanze analoghe,
era condannata all’ergastolo.
1996: La violenza sessuale non è più considerata reato contro la morale pubblica,
ma contro la persona.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave [c.p. 583], si applica la reclusione
da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette
a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.”
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due
terzi (7).
* atti persecutori (stalking): art. 612 bis cp “Salvo che il fatto costituisca più grave
reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte
reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave
stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità
propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione
affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della
querela è di sei mesi. Si procede tuttavia di ufficio se il fatto è commesso nei
confronti di un minore o di una persona con disabilità […], nonché quando il fatto è
connesso con altro delitto per il quale si deve procedere di ufficio.”
Viene riconosciuta la violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti
umani e di discriminazione di genere. La violenza sulle donne non è il risultato della
natura intrinsecamente violenta degli uomini: è un fenomeno sociale che ha le
radici nella relazione di potere asimmetrica fra uomini e donne. Per questo la si
può PREVENIRE intervenendo sui fattori che la determinano (educazione,
comunicazione, rete di aiuto, valutazione del rischio, rimozione delle
discriminazioni a partire da quelle sul lavoro e in famiglia).
Secondo pilastro: PROTEZIONE Alla donna che subisce violenza deve essere
garantita sicurezza Es. misure di allontanamento del partner violento, arresto in
flagranza di reato, rete di accoglienza, informazione, ecc. Protezione anche
durante il processo Es. testimonianza in modalità protetta, informazioni sullo stato
del processo, patrocinio gratuito.
È prevista l'irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori nei casi di
gravi minacce ripetute
Viene assicurata una costante informazione delle parti offese in ordine allo
svolgimento dei relativi processi penali
Art. 498 c. 4 c.p.p.: L’esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente
su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell’esame il presidente può
avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia
infantile. Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l’esame diretto del minore non
possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza che la deposizione
prosegua nelle forme ordinarie. L’ordinanza può essere revocata nel corso
dell’esame.
Questo giudice - molto diverso da quello attuale – vedeva il soggetto minore come
un essere potenzialmente pericoloso x la società, che andava controllato e
“condizionato” nel suo processo di sviluppo; nel migliore dei casi un persona
debole e imperfetta, da tutelare e preservare, piuttosto che un essere il cui
sviluppo di personalità andava promosso (senza deprimerne le capacità positive e
le peculiarità).
Le norme di riferimento
DPR n. 448/1988 modifica disposizioni relative al Processo penale a carico di
imputati minorenni
La filosofia di fondo
- Attenzione alla personalità del minore
- Atteggiamento responsabilizzante
art.1 c.p.p. min. (Principi generali del processo minorile) – 1. Nel processo a carico
di imputati minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per
quanto da esse non previste, quelle del c.p.p. Tali disposizioni sono applicate in
modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne.
I princìpi di fondo
- Adeguatezza
- De-stigmatizzazione
- Auto selettività
Attenzione alla personalità del minore: il processo deve essere adeguato alla
personalità del minore ed alle sue esigenze educative.
- Prescrizioni: (art. 20) con cui si impongono al minore alcune regole di condotta
“inerenti alle attività di studio, o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua
educazione” , possono prevedere anche limitazioni o divieti
- Collocamento in comunità: (art. 22) misura più restrittiva della libertà del minore
fra quelle cautelari non detentive. Anche qui possono essere imposte specifiche
prescrizioni inerenti studio e lavoro
- Custodia in carcere: (art. 23) misura più grave che può essere disposta “solo per
delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel
massimo a 9 anni” Può essere disposta solo qualora ogni altra misura risulti
inadeguata.
• Messa alla prova: il G., se ritiene di dover valutare l’evoluzione della personalità
del minore, sospende il processo e affida il minore ai servizi sociali per lo
svolgimento dell’opportuna attività di sostegno, osservazione e trattamento (28
d.p.m.). Se ha dato esito positivo, tenuto conto del comportamento del minore e
dell’evoluzione della sua personalità, il G. dichiara estinto il reato (art. 29 d.p.m.)
Compiti:
• Affidamento del minore imputato nel corso di ogni misura cautelare (art. 19) in
cui devono:
Compiti:
Affidamento del minore imputato in caso di sospensione del processo e messa alla
prova (art. 28) per attività di osservazione, trattamento e sostegno, da svolgersi
anche in collaborazione con i servizi locali. Si tratta di un tipo di affidamento più
complesso e più strutturato, dotato di maggiore autonomia anche all’interno del
processo perché ha