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19 maggio 1975 – La riforma del diritto di famiglia

La legge n.151 del 19 maggio 1975 risponde a un progetto di revisione completa della disciplina del Codice Civile in materia di
famiglia. E non solo. Quella legge rispondeva a un bisogno di revisione dell’intera società, del suo ordinamento, delle sue
regole.Con una larghissima maggioranza e con la sola astensione del Movimento Sociale, il Parlamento italiano approvava nel
1975, dopo anni di lavori, la legge n.151 per la riforma del diritto di famiglia.Era infatti più che mai necessario in quel momento,
dopo quasi trent’anni, adattare la realtà alla tanto attesa e conquistata Costituzione, che parlava di uguaglianza tra uomo e
donna, tra coniugi e tra figli. Fino ad allora infatti le norme che regolavano le relazioni tra i coniugi si basavano sul Codice Civile
del 1942, ispirato al modello autoritario fascista, che concepiva la famiglia come nucleo fondato e diretto dall’uomo, il pater
familias, cui la donna restava inesorabilmente subordinata.

La famiglia doveva invece diventare una “società naturale” fondata sull’eguaglianza, ma anche sull’autonomia, sul rispetto e
sulla solidarietà.Le innovazioni più importanti che, hanno permesso di mettere in pratica alcuni principi costituzionali, sono
legate quindi alla tutela della libertà matrimoniale, all’introduzione del rapporto paritario tra coniugi nella direzione della
famiglia, del regime di comunione legale dei beni, ma ancora, del riconoscimento dei figli adulterini o del diritto del minore di
vivere nella propria famiglia.La legge del 1975 si inserisce pertanto in una prospettiva di ampia revisione della realtà sociale,
legata in quegli anni anche alla legge sul divorzio e sull’aborto, al fine di estendere alla moglie i diritti che erano stati
strettamente riconosciuti solo al marito.Era una riforma davvero storica. Tutti i giornali in quel mese non a caso ne parlarono.
La Stampa del 23 aprile 1975, ad esempio, commentando l’approvazione di quella che sarebbe stata la legge n. 151, portava il
titolo “Storica riforma del diritto di famiglia: diventa assoluta la parità tra coniugi”.Altri articoli invece parlavano di “rivoluzione
in famiglia” o di “liberazione”. Alcuni dicevano che la moglie era finalmente diventata maggiorenne. Altri ancora al contrario
criticavano la riforma, propugnando fino alla fine la non uguaglianza tra coniugi.Quel che tutti i giornali commentavano però,
al di là delle singole previsioni di legge, era la caduta della figura del padre, da molti definito l’“oppressore dal quale vengono
limitati i diritti e i poteri”, “finora capo famiglia assoluto”.

1° dicembre 1970

La legge sul divorzio in Italia, approvata il 1° dicembre 1970, fu molto contrastata per varie ragioni: religiose, morali,
politiche.Nel 1974 fu infatti indetto un referendum che chiedeva agli italiani se erano favorevoli o contrari alla legge
sul divorzio. Circa il 60% degli italiani si dichiarò favorevole e perciò la legge fu mantenuta.Lo scioglimento del
matrimonio può verificarsi quando:

• i coniugi non hanno avuto rapporti sessuali durante il periodo matrimoniale;

• un coniuge sia condannato – anche per fatti commessi prima del matrimonio – all’ergastolo o a qualsiasi
pena detentiva per reati di particolare gravità (ad esempio, violenza carnale, costrizione o sfruttamento
della prostituzione, omicidio volontario di un figlio o tentato omicidio del coniuge);

• uno dei coniugi, cittadino straniero, abbia ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del
matrimonio o abbia contratto all’estero nuovo matrimonio;

• in caso di separazione legale (su accordo dei coniugi o stabilita dal giudice) e ininterrotta per tre anni.
Dopo il divorzio, il padre e la madre conservano il diritto e il dovere di vigilare sui figli e di provvedere alla loro
educazione e al loro mantenimento.La legge stabilisce anche a quale dei due coniugi debbono essere affidati i figli e il
modo con cui gli ex coniugi contribuiscano al loro mantenimento.

La sentenza di divorzio inoltre:

• determina l’abbandono da parte della moglie del cognome del marito;

• può stabilire le modalità di somministrazione di un assegno di mantenimento e di altre disposizioni


previdenziali, sanitarie e di successione per uno degli ex coniugi, che decadono in caso di nuove nozze.
194 del 1978
Articolo1
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana
dal suo inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari,
nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

Nel secondo articolo la legge affida ai consultori familiari il compito di sostenere attivamente la donna che si trovi in difficoltà a causa del
suo stato di gravidanza allo scopo di limitare le cause che potrebbero indurre una donna a decidere per l'IVG. Si dice anche che le
strutture sanitarie possono prescrivere, se necessario, sistemi anticoncezionali a ragazze minorenni.
Ecco il testo del secondo articolo:

Articolo2
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla
stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi
sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro
a tutela della gestante;
c) attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle strutture sociali operanti
nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i
quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I consultori
sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria
di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile
dopo la nascita.
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi
necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è
consentita anche ai minori.

Se, malgrado l'aiuto offerto, una donna decide comunque di ricorrere all'IVG, lo può fare entro i primi 90 giorni di gestazione.
Passato tale limite si può ricorrere all'interruzione di gravidanza solo in alcuni casi:

-Quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
- Quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che
determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Per quanto riguarda le ragazze minorenni o donne che siano sotto tutela e affidate ad un tutore (ad esempio nel caso di
gravi deficit cognitivi), l'IVG è consentita, ma solo con il consenso dei genitori o del tutore legale.
Se però questi ultimi non esprimono un parere o, ad esempio, i due genitori esprimono un parere opposto senza trovare un
accordo, è possibile ricorrere ad un giudice che "sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della
relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza."

La legge 194 prevede anche l'obiezione di coscienza per il personale sanitario. Cioè se un medico o un infermiere è
assolutamente contrario all'aborto per motivi etici o religiosi, può rifiutarsi di eseguirlo anche se lavora in una struttura
sanitaria pubblica. L'obiezione di coscienza non è ammessa quando l'intervento sia "indispensabile per salvare la vita della
donna in imminente pericolo"

La legge riconosce inoltre alla donna il diritto a lasciare il bambino in affido all'ospedale per una successiva adozione, e
a restare anonima.
69 del 2019
La legge deve il suo nome alla misura che prevede l'introduzione di una corsia veloce e preferenziale per le denunce e le indagini
riguardanti casi di violenza contro donne o minori, come avviene nei pronto soccorso per i pazienti che necessitano di un intervento
immediato.
Dal punto di vista procedurale viene previsto che la polizia giudiziaria, una volta acquisita la notizia di reato, riferisca immediatamente al
pubblico ministero, anche in forma orale. Il pubblico ministero, nei casi di delitti di violenza domestica o di genere, entro tre giorni
dall'iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Il termine di
tre giorni può essere prorogato solamente in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini,
pure nell'interesse della persona offesa. Il provvedimento introduce diversi inasprimenti di pena per reati di natura violenta contro donne
o minori.
Per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, da un intervallo compreso tra un minimo di 2 e un massimo di 6 anni, passa a
un minimo di 3 e un massimo di 7. La pena per il reato di stalking passa da un minimo di 6 mesi e un massimo di 5 anni a un minimo di
un anno e un massimo di 6 anni e 6 mesi. La violenza sessuale passa da 6 a 12 anni, mentre prima andava dal minimo di 5 e il massimo
di 10. La violenza sessuale di gruppo passa a un minimo di 8 e un massimo di 14, prima era punita col minimo di 6 e il massimo di 12.
Altra novità introdotta è l'allungamento dei tempi per sporgere denuncia: la vittima ha 12 mesi per farlo e non più 6 come in passato.
La legge apporta ulteriori modifiche al codice penale introducendo alcune nuove fattispecie:

• Il reato di sfregio del volto, punito con la reclusione da 8 a 14 anni. Quando, per effetto del delitto in questione, si provoca
la morte della vittima, la pena è l'ergastolo.
• Il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate
(cd. revenge porn), sanzionato con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5000 a 15 000 euro: la pena si applica anche
a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta per provocare un danno agli
interessati. Il reato è commesso da chi diffonde, senza il consenso delle persone interessate, immagini o video
sessualmente espliciti, che dovevano rimanere privati. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell'ambito di
una relazione affettiva, anche cessata, o attraverso l'uso di strumenti informatici.
• Il reato di costrizione o induzione al matrimonio, punito con la reclusione da 1 a 5 anni. La fattispecie è aggravata quando
il reato è commesso a danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all'estero da o in danno di un
cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia.
• Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati
dalla persona offesa, sanzionato con la detenzione da 6 mesi a 3 anni.
Tra le modifiche apportate dal "Codice Rosso" vi è anche quella relativa alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa, in modo da permettere al giudice di garantire il rispetto della misura coercitiva attraverso procedure di
controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico).
La legge prevede, inoltre, specifici obblighi formativi per il personale delle forze dell'ordine che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di
polizia giudiziaria, sia sul fronte della prevenzione sia su quello del perseguimento dei reati.

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