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Con l'entrata in vigore della Costituzione, art.

32 "La Repubblica tutela la salute come


fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli
indigenti" ha introdotto la salute come oggetto di tutela da parte della Repubblica,
sottolineando che la "tutela della salute" è compito della Repubblica e della potestà
legislativa.
Così, lo Stato Italiano tutela i propri cittadini. In particolare, il diritto alla salute è stato
concepito sotto diversi profili, sia come diritto individuale, che come diritto collettivo. L’OMS
– Organizzazione Mondiale della Sanità è stata tra le prime Istituzioni a pronunciarsi in
termini di diritto alla salute. L’OMS afferma che la salute è uno “stato di completo benessere
fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità”. Secondo l’OMS, il
diritto alla salute è un diritto fondamentale ed universale. I diritti umani sono i diritti universali
che acquistiamo al momento della nascita. Sono definiti universali perché appartengono a
tutti, indipendentemente dalla nazionalità, dal sesso, dalle convinzioni personali, dalla
religione e dal colore della pelle.
Il punto più importante e più discusso di questo articolo è il comma 2, all'interno del quale
viene sottolineato come nessun individuo possa essere obbligato a sottoporsi a trattamenti
sanitari (cure, terapie, interventi, ecc.) se non lo desidera, a meno che non si tratti di cose
per legge obbligatorie.
Su questo principio si basa l'intero rapporto instaurato tra medico e paziente, un rapporto in
cui il professionista è tenuto a rispettare precisi obblighi di legge.
L'integrità fisica riguarda la possibilità offerta ad ogni essere umano di godere del proprio
corpo "interamente", ovvero di vivere una vita dignitosa in uno stato di salute ottimale, sia
dal punto di vista fisico che psicologico.
Si tratta, quindi, di un diritto grazie al quale ci è possibile tutelare la nostra stessa salute.
La legge, tuttavia, stabilisce espressamente alcune eccezioni al principio: è infatti ammessa,
a determinate condizioni, la possibilità di donare un rene (l. 26 giugno 1967, n. 458), parte
del fegato (l. 16 dicembre 1999, n. 483), sangue, placenta ed emocomponenti (l. 21 ottobre
2005, n. 219). È, invece, sempre nullo ogni atto di disposizione a titolo oneroso.
Il diritto all'integrità fisica si estingue con la morte. In particolare, la l. 1 aprile 1999, n. 91, nel
tentativo di risolvere il problema della carenza di organi da trapiantare a persone viventi,
dispone che tutti i cittadini ai quali sia stato notificato l'invito a manifestare la propria volontà
in ordine alla donazione di organi che non abbiano espresso una dichiarazione negativa,
debbano essere considerati donatori di organi.

Il diritto ad essere curati come un diritto fondamentale e inalienabile appartenente a


ciascun membro della famiglia umana» e chiedono una sanità basata sull’eguaglianza, sulla
qualità e sulla responsabilità sociale: Ogni essere umano ha diritto a essere curato, senza
discriminazioni, con le migliori cure possibili; I sistemi sanitari devono essere di alta qualità,
basati sui bisogni di tutti ed essere adeguati ai progressi della scienza; I governi devono
considerare come prioritari la salute e il benessere dei propri cittadini e le cure devono
essere gratuite e accessibili per chiunque ne abbia bisogno.

il diritto a non curarsi


L’analisi di alcuni casi clinici (Welby, Englaro, Dj fabo) mette a confronto due modelli etici sul
diritto di autodeterminazione del malato. Ogni persona ha il diritto di rinunciare o rifiutare
quelle cure che rappresentano un sostegno vitale per il malato, affermato dall’articolo 1,
comma 5, della Legge n. 219 del 2017.
Secondo la definizione elaborata dal Comitato Nazionale di Bioetica, con il testamento
biologico si vuole far riferimento a quel ‘documento con il quale una persona, dotata di piena
capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere
sottoposto nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non
fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato”.
La volontà sulla sorte della persona passa ai congiunti di primo grado o ai rappresentanti
legali qualora la persona stessa non sia più in grado di intendere e di volere per motivi
biologici.
Comma 6. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il
trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da
responsabilità civile o penale. Il paziente ha il diritto di rifiutare in tutto o in parte qualsiasi
accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia,
nonché il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la
revoca comporti l’interruzione del trattamento.

Caso welby

Piergiorgio Welby era affetto da un gravissimo stato morboso degenerativo, clinicamente


diagnosticato quale “distrofia fascioscapolomerale”.
La sua sopravvivenza era assicurata esclusivamente per mezzo del respiratore automatico
al quale era stato collegato sin dall’anno 1997.
Welby, in considerazione del suo grave e sofferto stato di malattia, in fase irreversibilmente
terminale, dopo essere stato debitamente informato dai propri medici in ordine ai vari stadi di
evoluzione della sua patologia, nonché in merito ai trattamenti sanitari che gli venivano
somministrati, chiedeva al medico dal quale era professionalmente assistito, di non essere
ulteriormente sottoposto alle terapie di sostentamento che erano in atto e di ricevere
assistenza solamente per lenire le sofferenze fisiche.
In particolare, Welby chiedeva che si procedesse al distacco dell’apparecchio di
ventilazione, sotto sedazione.
Tuttavia, il medico opponeva un rifiuto alla richiesta di Welby, assumendo di non poter dar
seguito alla volontà espressa dal paziente, in considerazione degli obblighi ai quali si
riteneva.
Nel ricorso i legali di Welby basavano la richiesta sul rifiuto delle cure, fondato sull’articolo
32 della Costituzione italiana e sul diritto di autodeterminazione dell’individuo pure
riconosciuto dall’art. 13 della Carta Costituzionale.

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