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cl. 5A
6/05/2023
approndimentodi religione
Cos’è l’EUTANASIA?
EUTANASIA IN ITALIA
Attualmente in Italia tale pratica costituisce reato e rientra
nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del
consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al
suicidio) del Codice Penale. Grazie alla sentenza 242/2019
della Corte costituzionale, in Italia è invece possibile
richiedere il suicidio medicalmente assistito, ossia l’aiuto
indiretto a morire da parte di un medico. Le condizioni
richieste sono quattro: la persona che ne fa richiesta deve
essere pienamente capace di intendere e volere, deve avere
una patologia irreversibile portatrice di gravi sofferenze
fisiche o psichiche, e deve sopravvivere grazie a trattamenti
di sostegno vitale.
EUTANASIA: DOVE È LEGALE?
TIPI DI EUTANASIA
Dopo i casi di Marco Cappato e Mina Welby, si è ottenuta nel 2017 la Legge
che riconosce il valore del Testamento Biologico.
Oggi in Italia possono porre fine alle loro sofferenze solo i pazienti per cui
risulti sufficiente l’interruzione delle terapie, come previsto dalla Legge
219/2017.
La Corte costituzionale ha chiarito che
l’aiuto al suicidio non è punibile nel caso in cui la persona che lo richiede sia
tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.
Le altre persone con patologie irreversibili che procurano dolori intollerabili,
e i pazienti impossibilitati ad assumere autonomamente un farmaco (a causa
di SLA, di una tetraplegia...) nel nostro Paese non hanno la possibilità di
scegliere, e di chiedere aiuto medico attivo per la morte volontaria, perché il
nostro codice penale vieta l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p).
LA CHIESA CATTOLICA È CONTRO L’EUTANASIA
BUDDHISMO
Tra i buddisti ci sono diverse visioni del problema dell'eutanasia In generale vi è una posizione
di netto rifiuto delle pratiche eutanasiche, ma non mancano le correnti di pensiero volte ad
accettare possibili eccezioni in alcuni casi particolari.
Il 9 febbraio 2009 il Dalai Lama, in visita a Roma per ricevere la cittadinanza onoraria e
intervistato sul concomitante caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 17 anni, ha ribadito
le sue convinzioni sull'argomento:
- L'eutanasia "dovremmo evitarla, ma in casi particolari si potrebbero fare delle eccezioni". Su
Eluana: "Se veramente non c'è alcuna possibilità di guarigione, mantenere quello status è
molto costoso e le famiglie soffrono, allora si potrebbe agire. In generale se pure una persona
non cammina più, ma il suo corpo e il suo cervello sono ancora presenti, allora è meglio tenere
una persona in vita, ma si possono fare eccezioni".
CASI DELL’EUTANASIA
PIERGIORGIO WELBY
Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare – malattia neuromuscolare
degenerativa che causa l’atrofia progressiva della muscolatura scheletrica -, è
stato il pioniere della battaglia per l’eutanasia legale e per il diritto al rifiuto
dell’accanimento terapeutico in Italia. Nel luglio del 1997, la moglie Mina chiamò
i soccorsi in seguito ad una crisi respiratoria. Da quel momento Piergiorgio
resterà attaccato ad un respiratore artificiale benché l’avesse rifiutato e, uscito
dal coma, con il suo permesso fu sottoposto ad una tracheotomia. Muore il 20
dicembre 2006 per insufficienza respiratoria sopravvenuta a seguito del
distacco del respiratore a opera del medico anestesista Mario Riccio che si è poi
autodenunciato.
ELUANA ENGLARO
Eluana Englaro, vive in stato vegetativo per 17 anni fino alla morte naturale per
disidratazione sopraggiunta a seguito dell'interruzione della nutrizione
artificiale.
A 21 anni ha un incidente stradale, dove riporta un grave trauma cranico e
cervicale con conseguente tetraplegia che la costringono in uno stato
vegetativo permanente. La famiglia chiede l’interruzione dei trattamenti medici,
in virtù del fatto che aveva più volte espresso la propria contrarietà
all'accanimento terapeutico. Dal 1999 la famiglia inizia una battaglia giudiziaria
per ottenere lo stop dell’alimentazione forzata in quanto "trattamento invasivo
della sfera personale, perpetrato contro la dignità umana". Le vicende
giudiziarie si concludono nel 2009.
ELUANA ENGLARO
Dopo 11 anni di processi, 16 sentenze, l'opposizione del governo in carica,
numerose proteste, manifestazioni e appelli di numerose associazioni la
Cassazione, si pronuncia a favore della sospensione della nutrizione e
idratazione artificiale. La Cassazione, partendo dal presupposto che ogni
persona capace possa decidere a quali trattamenti sottoporsi, in armonia con il
proprio concetto di vita degna, fa un passo ulteriore. Il giudice può autorizzare
la disattivazione di un presidio salvavita quando sia stata verificata la presenza
di due presupposti: che il paziente si trovi in uno stato vegetativo irreversibile e
che l’istanza di interruzione sia espressiva, con elementi di prova chiari, univoci
e convincenti, della voce del paziente stesso, "tratta dalle sue precedenti
dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi
convincimenti".
MARCO CAPPATO
L’11 marzo 2017, Marco Cappato viene indagato dopo essersi auto denunciato ai
carabinieri mantenendo la promessa fatta in Svizzera.
Viene chiesta e poi respinta l’archiviazione perché secondo i pm, le pratiche di
suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita se sono
connesse a situazioni di malattia terminale ritenuta intollerabile o indegna dal
malato stesso. Viene disposta l’imputazione per Marco Cappato, che chiede di
andare immediatamente a processo senza ulteriori udienze o fasi preliminari.
MARCO CAPPATO
Nell’udienza nel gennaio del 2018, la Procura di Milano chiede l’assoluzione
dell’imputato perché il fatto non sussiste: “Marco Cappato non ha avuto alcun
ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito di Fabiano Antoniani e non ha
nemmeno rafforzato la sua volontà di morire”.
C’è un evidente vuoto legislativo e la Corte Costituzionale chiede al governo di
legiferare in merito: in caso contrario, secondo la Corte, non si sarebbero i
requisiti legislativi per condannare Cappato con l’accusa di aiuto al suicidio. Nel
dicembre 2019 la corte d’Assise di Milano assolve definitivamente Marco
Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non sussiste.
ARTICOLO 32 COSTITUZIONE