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Sofia Dogati IIIP

CASO WELBY

«Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che
mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive
delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio … è lì, squadernato davanti a medici,
assistenti, parenti»

- lettera al presidente della repubblica, settembre 2006

biografia
Piergiorgio Welby fu un attivista, giornalista, poeta, pittore, e politico italiano che si è, infatti,
dedicato alla scrittura e alla pittura fino a quando la malattia, negli anni Ottanta, non lo ha
costretto a letto immobile.
Nacque a Roma il 26 dicembre del 1945 e a soli 16 anni nel 1961 fu colpito da un gravissimo
stato morboso degenerativo clinicamente diagnosticato come “distrofia facio- scapolo-
omerale”, una distrofia muscolare caratterizzata da debolezza muscolare progressiva che si
associa al coinvolgimento focale della faccia, delle spalle e dei muscoli delle braccia.

I trattamenti sanitari praticati su Welby non erano in grado di arrestare in alcun modo
l’andamento della malattia; nel luglio del 1997, vicino al compimento dei suoi 52 anni, la
moglie Mina Welby chiamò i soccorsi in seguito ad una crisi respiratoria. Da quel momento
Piergiorgio resterà attaccato ad un respiratore artificiale benché l’avesse rifiutato, infatti, egli
in considerazione del suo grave e sofferto stato di malattia in fase irreversibilmente
terminale, chiese più volte che si procedesse al distacco dell’apparecchio di
ventilazione, sotto sedazione, ma la sua richiesta non fu accolta in quanto pareva
contrastante con le leggi in vigore.

Welby è sempre rimasto lucido e si è impegnato nelle battaglie per il riconoscimento del
diritto all’eutanasia e contro l’accanimento terapeutico cioè l’esecuzione di trattamenti di
documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio
elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un'ulteriore sofferenza.
Inoltre, sempre per far conoscere la propria situazione, nel 2002 aprì un dibattito
sull’eutanasia su un forum di Radicali Italiani e un blog personale.

Il 22 settembre del 2006, Welby si è rivolto al presidente della repubblica Giorgio Napolitano
nella speranza che gli venisse riconosciuto il diritto a sospendere le cure. Giorgio Napolitano
rispose auspicando un confronto politico sul tema: ha avuto così inizio un intenso confronto
politico che ha coinvolto e interessato gran parte dell’opinione pubblica pur non conducendo
ad alcun tipo di accordo riguardo il diritto all’autodeterminazione.
Il I dicembre, i legali di Welby avevano depositato presso il tribunale di Roma un ricorso
d’urgenza per ottenere l’autorizzazione al distacco del respiratore.
Il 5 dicembre il ministro per i diritti e le pari opportunità Barbara Pollastrini, chiese “rispetto,
comprensione e pietà” nei confronti di Welby.
Il 6 dicembre anche il ministro della salute Livia Turco auspicò un intervento del Consiglio
superiore di Sanità che chiarisse se nel trattamento medico a cui era sottoposto Welby fosse
riconoscibile accanimento terapeutico; il consiglio diede parre negativo.
L’8 dicembre, in una lettera inviata al tg3, Welby paragonò la sua condizione a quella vissuta
da Aldo Moro durante la prigionia. In quei giorni la Repubblica commissionò un sondaggio che
mostrò come il 64% degli intervistati si dichiaravano favorevoli all’interruzione delle cure
mediche per Welby, contro il 20% dei contrari,
Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respinse la richiesata dei legali di Welby
dichiarandola “ inammissibile” per via del vuoto legislativo su questa materia.
Nella stessa giornata si svolsero in 50 città delle veglie a sostegno delle volontà di Welby.

Pochi giorni dopo, il 20 dicembre 2006, verso le ore 23.00, Piergiorgio Welby si congedò dai
parenti ed amici riuniti al suo capezzale, chiese di ascoltare musica di Bob Dylan e, secondo la
sua volontà, fu sedato e successivamente fu staccato il respiratore. Verso le ore 23.45 quindi
morì. Il dottor Mario Riccio, anestesista, confermò durante una conferenza stampa, tenutasi il
giorno successivo, di averlo aiutato a morire contro la decisione dei giudici alla presenza della
moglie Mina, della sorella Carla e dei compagni radicali dell’Associazione Luca Coscioni.

È proprio dopo la morte di Welby che si apre la fase cruciale relativa al riconoscimento del
diritto in questione. Attesa la legislazione esaminata e il parere contrario della magistratura,
tutto faceva ritenere che il dott. Riccio sarebbe stato condannato.

Procedimento contro il medico


Il I febbraio 2007 il primo procedimento che si apre sulla condotta del medico è quello
dell’Ordine dei medici di Cremona a cui Riccio appartiene, gli elementi presi in considerazione
sono due, da un lato la volontà “chiara, decisa e non equivocabile” del paziente “perfettamente
in grado di intendere e volere e di esprimersi” e “pienamente consapevole della conseguenza
del sopraggiungere della morte”; dall’altro il fatto che l’anestesista “non ha somministrato
farmaci o altre sostanze atte a determinare la morte” e che la sedazione terminale è risultata
“per posologia di farmaci, modalità e tempi di somministrazione, in linea con i normali
protocolli”. Per questi motivi la Commissione disciplinare dell’ordine dei medici di Cremona
dispone l’archiviazione del caso.

L'8 giugno 2007 il giudice per le indagini preliminari ha comunque imposto al pubblico
ministero l’incriminazione del medico per omicidio del consenziente, respingendo la
richiesta di archiviazione del caso.

Tuttavia, il 23 luglio 2007 il GUP (giudice udienza preliminare) di Roma, Zaira Secchi, lo ha
definitivamente prosciolto ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce
reato.
Il giudice riconosce, quindi, che il comportamento del dott. Riccio rientra nella norma che
punisce l’omicidio del consenziente (art. 579 del codice penale), ma osserva che la condotta
del medico si è realizzata nel contesto di una relazione terapeutica e, quindi, sotto la
copertura costituzionale del diritto del paziente di rifiutare trattamenti sanitari non voluti.
Per tali motivazioni, infatti, il dott. Riccio risulta non perseguibile, secondo la sentenza,
perché ha adempiuto ad un dovere e, in quanto tale, rientrava nella causa di non
punibilità, così come stabilisce l’articolo 51 del codice penale.

Oggi
Subito dopo la morte di Piergiorgio il testimone della sua battaglia è passato a Mina Welby
che da quel giorno ha iniziato a girare l’Italia per partecipare a convegni, incontri, conferenze
proseguendo così l’impegno di Piergiorgio per la libertà di scelta sul fine vita.
Commento personale
La scelta è un fondamentale principio democratico. L’idea che il cittadino sia libero nelle sue
opinioni e nel suo voto presuppone che egli abbia il pieno di diritto di controllare la propria
vita; di conseguenza ogni essere umano dovrebbe poter decidere anche per la propria morte
se lo ritiene opportuno.

Una vita di qualità è una vita che vale la pena di vivere: il dolore e le atroci sofferenze che
impone una malattia terminale e alcuni trattamenti sintomatici per questa, indeboliscono il
tenore dell'esistenza.
Inoltre la sofferenza che una persona sperimenta durante una malattia può risultare
incomprensibile ad una persona che non c’è passata attraverso. La decisione, pertanto, non
può spettare a nessun altro.
La società non dovrebbe forzare a sopportare questi dolori fisici e psicologici, essi
indeboliscono il tenore dell'esistenza e rendono immorale la mancata concessione legale
dell'eutanasia.

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