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OMOSESSUALITÀ
&
SPERANZA
Terapia & guarigione
nell9esperienza di uno psicolog
«
a:
Titolo originale:
Homosexality andHope (Apsychologist talks about treat
ment and cflange), Servant Books, Ann Arbor (Michigan)
1985
© 1985 by Gerard van den Aardweg
© 1995 per la presente edizione aggiornata:
Edizioni Ares - Via A. Stradivari, 7 - 20131 Milano
Traduzione di Agostino Donà
INTRODUZIONE
di Paul C. Vitz
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rio. Comunque, finora non sono mai stati trattati con
vero impegno gli aspetti più importanti dall’omoses
sualità: le cause, le origini e la possibilità di cam
biamenti, sia del comportamento omosessuale, sia
dell’inclinazione omosessuale. Oggi, dopo parecchi
anni di aspre controversie, sembra che ci si voglia
finalmente porre tali quesiti di fondo. Ciò deriva
anche da un cambiamento generale di atteggiamen
to nei confronti del problema il movimento sessuale
radicale degli anni Sessanta e Settanta sta ora dan
do chiari segni di cedimento, e il grande pubblico,
che aveva imparato a considerare con attenzione il
tema dell’omosessualità, ha cominciato a recedere
da quella spiccata simpatia per il movimento che i
più nutrivano in passato.
Gli stessi omosessuali hanno incominciato ad
avere qualche ripensamento, hanno iniziato a riflet
tere seriamente sul modo di essere della loro vita. La
crisi causata dall’A ids ha dimostrato in termini evi
denti alcune delle conseguenze di uno stile di vita
alla «gay» totalmente disinibito e militante. Comun
que, l’A ids è solo una componente di una consape
volezza più diffusa, sia tra gli omosessuali che tra gli
altri, che il vivere a quel modo, indipendentemente
da qualsiasi conseguenza di carattere sanitario, è
stato per tante persone veramente.
In breve, ritengo che nella cultura americana e
occidentale sia giunto il momento in cui il tema
dell’omosessualità può essere affrontato con una
riflessione razionale, critica, ma anche piena di
umana comprensione: il libro di Gerard van den
Aardweg che qui presentiamo non avrebbe pertanto
potuto esser pubblicato in momento più opportuno.
L ’argomento può essere così riassunto. Da una
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parte abbiamo buone ragioni per nutrire umana
comprensione e per preoccuparci dell’omosessuale,
riconoscendo la realtà della sua situazione: egli non
può essere ignorato e non gli si può semplicemente
ordinare di modificare il proprio comportamento;
perciò noi accettiamo la problematica omosessuale
come reale e importante, una problematica che ri
chiede la nostra attenzione.
D ’altra parte, in questi ultimi decenni si sono
accumulati parecchi studi concernenti l’origine del
l’omosessualità. Alcuni forniscono la prova inconfu
tabile che l’omosessualità può venire modificata,
come in effetti si è potuto verificare. A suo tempo, i
risultati di ricerche che confortavano questa tesi
erano abbastanza noti e condivisi. Ma poi, sotto le
pressioni del movimento di militanza omosessuale,
negli ultimi dieci o quindici anni questo modo di
vedere è stato emarginato, e ora rappresenta la po
sizione di una minoranza nel mondo della psicolo
gia. Il dottor van denAardweg dimostra che questa
ricerca, suffragata dalle più recenti acquisizioni, è
estremamente importante e insiste perché vi ci dedi
chiamo. Questo, in sé stesso, è un suo pregio di
rilievo. Inoltre, egli condivide l ’idea che l ’omoses
sualità è un problema serio, ma descrive un metodo
psicologico per affrontarlo. Così facendo, il dottor
van denAardweg colloca l’omosessualità in un nuovo
contesto: il contesto della speranza di cambiamento.
Perché la speranza dovrebbe essere tanto impor
tante ?Dopo tutto, parecchi omosessuali sembra che
lottino per la completa accettazione del loro modo di
vivere come intrinsecamente valido. Ma proprio qui
penso che sia chiara l’evidenza: un gran numero di
omosessuali sono totalmente scontenti del loro mo
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do di vivere. Quando scoprono di essere omosessua
li, per la maggior parte essi restano sgomenti e
abbattuti. Il modo di vivere omosessuale produce un
enorme senso di colpa, non di colpa nevrotica (ben
ché vi sia certamente anche una componente del
genere), ma di vera colpa: senso di colpa per la
promiscuità sessuale, senso di colpa per la persist
ente menzogna circa relazioni amorose che si pre
tendono stabili e che si rompono invece dopo poche
settimane, a volte nel giro di giorni o di ore. Questo
senso di colpa, unito alle speranze infrante di poter
vivere una vita eterosessuale, grava pesantemente
su molti omosessuali. La speranza che qui viene
offerta è l'aspettativa di una liberazione da questi
comportamenti, pensieri ed emozioni estremamente
penosi.
Una teoria strutturata orientata al cambiamento
ci consente anche una visione straordinariamente
più razionale del problema della omosessualità e del
modo di affrontarlo. Negli anni più recenti abbiamo
imparato parecchio sui molti disturbi psicologici
debilitanti che colpiscono un grande numero di per
sone. Oggi noi siamo consapevoli che addirittura
milioni di persone soffrono o hanno sofferto di situa
zioni quali l'alcolismo, la passione compulsiva per
il gioco, l'abuso delle droghe, disturbi maniaco-de
pressivi, schizofrenia, anoressia, bulimia, stati an
siosi gravi, depressioni e fobie. Forse noi tutti, in
certa misura e a un certo momento della vita, sare
mo affetti da una di queste affezioni, così come noi
tutti, in un momento o in un altro, avremo dei proble
mi di salute fisica.
E molto importante il fatto che ci siamo abituati a
pensare alla guarigione da patologie psichiche allo
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stesso modo che avviene per le malattie fisiche. Tutti
conosciamo persone che lottano con successo con
tro le malattie cardiache e l’alta pressione arteriosa,
o che vivono per anni con un cancro. Un buon
numero fra noi conosce persone che sono guarite
dall’alcolismo o da problemi psichici (come una
grave depressione) e sono diventate per questo più
forti. Magari noi stessi abbiamo superato simili si
tuazioni.
Il dottor van den Aardweg spiega che l’omoses
sualità è una delle patologie alle quali tutti noi
potremmo andare soggetti. Essa trae origine dal
modo in cui si è stati educati e da diverse esperienze
della vita successiva. Come patologia la si può com
prendere e se ne può guarire. Egli sottrae l’omoses
sualità a una prospettiva squisitamente irrazionale e
la colloca in un contesto razionale e realistico.
L ’omosessualità non è una condanna definitiva,
per così dire, a un particolare stile di vita, sempre in
aperto contrasto con il modo di vivere eterosessuale
e con le istituzioni più importanti della nostra socie
tà. Gli omosessuali non sono condannati a un genere
di vita alienante, emarginante, gravemente restritti
vo della persona. Una volta che vediamo e compren
diamo l’omosessualità come qualcosa di analogo a
quegli altri problemi psicologici dai quali si può
guarire, la nostra visuale cambia sotto due aspetti.
A ll’omosessuale viene data la speranza di cambiare
e, allo stesso tempo, si realizza un tipo di accettazio
ne dell’omosessuale come parte della comune socie
tà umana e, come tutti gli altri, soggetta a patologie.
Ciò è particolarmente vero quando si vede l ’omo
sessualità come una condizione dalla quale si può
guarire e in questo processo, a Dio piacendo, diven
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tare una persona più forte per aver affrontato con
successo la sfida. Questo deve essere sottolineato. A
titolo di esempio dirò che conosco a New York City
un gruppo di omosessuali chiamato «Coraggio»; i
suoi membri vivono con molto impegno una vita
cristiana, e in particolare una vita sessualmente ca
sta. Il loro nome è ben adatto, poiché il lavorare
seriamente a un simile stile di vita richiede vero
coraggio. Nel processo di realizzazione di una rispo
sta cristiana alla propria omosessualità, questi uo
mini diventano anche modelli di forza e di coraggio
per parecchi altri, ivi compresi gli eterosessuali.
Infatti tanti eterosessuali soffrono anch’essi di mo
dalità di vita patologiche; mi riferisco in particolare
a vari tipi di comportamenti sessuali che sono comu
ni fra gli eterosessuali e che ora sono riconosciuti da
numerosi psicologi come dipendenze viziose, quali
la promiscuità sessuale, la masturbazione abituale e
il feticismo sessuale. Gli omosessuali che riescono a
superare la propria condizione servono di modello
di forza e di speranza per molti altri.
Per esempio, nel suo libro van den Aardweg addi
ta quale fatto centrale della psicologia dell’omoses
suale un’esperienza di autocompassione. Ed è im
portante notare che le conseguenze nevrotiche del-
Vautocompassione non sono affatto limitate all’o-
mosessualità. Intendo dire che Vautocompassione è
una condizione menomante per parecchia gente.
Uno dei maggiori meriti di van den Aardweg consi
ste nella descrizione della dinamica che dà origine
all’autocompassione e di alcuni procedimenti di psi
coterapia che possono ridurla. A questo proposito,
questo suo lavoro è prezioso per chi è interessato a
conoscere in qual modo l’autocompassione può af
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fliggere la vita della gente, eterosessuali compresi.
L ’uso che il dottor van den Aardweg fa dell’umo
rismo come terapia per la cura dell’autocommisera
zione nevrotica trova applicazione per i tipi più di
versi di persone. Qualsiasi persona sia affetta dal
problema dell’autocommiserazione è suscettibile di
essere curata con l ’umorismo. Di fatto, ritengo che
quella dell’umorismo sia una tecnica di possibile
uso ampiamente estensivo in psicoterapia, che meri
terebbe ben maggiore attenzione teoretica di quanta
gli psicologi non glien’abbiano fin qui accordata.
La tesi del dottor van den Aardweg riguarda un’a
rea decisiva della psicologia: l’educazione dei figli
e, in particolare, il rapporto tra l’educazione dei
figli e lo sviluppo morale ed etico. Infatti il fallimen
to nello sviluppo di una normale identità sessuale ha
conseguenze morali ed etiche. Il dottor van den
Aardweg descrive in modo molto penetrante e sinte
tico l’insieme di quegli atteggiamenti e di quei valori
che condannano all’insuccesso lo sviluppo dell’o
rientamento eterosessuale nel bambino. La sua in
terpretazione di come si forma l’omosessualità for
nisce una prospettiva di psicologia evolutiva, con
particolare riferimento alle caratteristiche morali
ed etiche del bambino. Invito caldamente i lettori
interessati a questo aspetto dello sviluppo del bam
bino a riservare una speciale attenzione alla dimo
strazione e alla tesi dell’autore.
Infine, la visuale del dottor van den Aardweg è
particolarmente significativa per la comunità cri
stiana. Anche se non applica alcuna concezione o
teoria esplicitamente cristiana nella sua interpreta
zione dell’omosessualità o nella sua attività clinica
in relazione a essa, il suo libro è un profondo contri
ta
buto alla risposta cristiana all’omosessualità.
Il pastore cristiano che aveva buoni motivi per
pensare che l’inclinazione omosessuale non presen
tasse possibilità di cambiamento, doveva affrontare
un dilemma morale molto serio. Egli poteva accetta
re la persona, ma — supposto che l ’orientamento
omosessuale non fosse stato modificabile — egli
avrebbe dovuto accettare anche il comportamento
omosessuale stesso. Per fare questo — sapendo che
il giudaismo, del quale Gesù era un fedele rappre
sentante, condannava senza ombra di dubbio l’omo
sessualità — egli avrebbe dovuto respingere la Scrit
tura e la Tradizione della Chiesa su questo argo
mento, con riferimento non solo ai duemila anni di
cristianesimo, ma anche ai precedenti tremila armi
di giudaismo.
L ’altra alternativa sembrava peraltro ugualmente
inaccettabile: cioè il rifiutare l ’omosessuale, il dirgli
che quello che faceva era sbagliato, ma senza offrir
gli un aiuto. Entrambe le alternative sembravano
anticristiane, né pareva che ce ne fossero altre.
Noi tutti conosciamo il famoso episodio di Gesù
davanti alla donna adultera, quando Egli rifiuta di
condannarla e trova il modo di mandar via coloro
che avrebbero voluto farlo. E poi, rimasti soli, Gesù
le dice senza mezzi termini: «Va’e non peccare più».
Si trova un aiuto effettivo nel presente libro, come
pure in altri scritti recenti di altri psicologi, cristiani
e non cristiani, che stanno incominciando ad affron
tare il problema dell’omosessualità. Essi, e con loro
il dottor van den Aardweg, danno importanti sugge
rimenti su come si possano aiutare ad andarsene
senza più peccare quei peccatori che lo vogliano
lealmente.
1. GLI ATTEGGIAMENTI SOCIALI
VERSO L’OMOSESSUALITÀ
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dei bambini dovrebbe pertanto venir modificata in
una direzione più favorevole all’omosessualità, per
esempio, trattando ragazzi e ragazze allo stesso mo
do.
Sotto questo profilo, il cosiddetto movimento di
liberazione omosessuale cammina mano nella mano
con il movimento femminista. Entrambi concordano
sulla prioritaria necessità di un cambiamento nei
ruoli maschile e femminile e nelle relazioni uomo-
donna. La parola d’ordine è che ci si deve sbarazzare
dei modelli di ruoli «predefiniti». E dicendo «prede
finiti» si suppone che finora saremmo stati costretti
dalla pressione della nostra cultura a forme tradizio
nali di maschilità e di femminilità, ad accettare mo
dalità arbitrarie e coercitive di rapporto con l’altro
sesso, e ad accogliere il matrimonio come il solo tipo
immaginabile di relazione sessuale.
Comunque — prosegue il ragionamento —, la
sessualità naturale è molto più ricca nelle sue «varia
zioni», e la scienza moderna ha dimostrato l’esisten
za di tipi completamente diversi, ma ugualmente
naturali, di sessualità, di amore sessuale e di relazio
ni sessuali. Tanto chiara è per costoro la strada da
percorrere, con il superamento di pregiudizi obsole
ti... Chiunque non accetti l’omosessualità come cosa
normale viene accusato di discriminazione a danno
di persone diversamente dotate, persone che sono
«sostanzialmente» diverse; forse — si dice — costui
discrimina perché egli stesso reprime la componente
omosessuale della propria vita emotiva o, peggio,
perché soffre di «omofobia», timore patologico del
l’omosessualità.
Queste idee, che ricevono eco costante alla radio e
alla televisione, nei giornali e nelle riviste e vengono
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diffuse da organizzazioni per la riforma sessuale
come pure da istituzioni costituite nel campo della
salute mentale, hanno lasciato ben poco spazio ad
altre opinioni.
E divenuto consueto insegnare agli studenti delle
università e delle scuole superiori che l’omosessua
lità è cosa normale; un insegnante che esprimesse
diversa opinione potrebbe finire lapidato dalla pub
blica indignazione. Autori di testi e di articoli in
àmbito medico e psicologico scrivono regolarmente
secondo questa mentalità. Se vengono pubblicizzate
opinioni sull’omosessualità diverse da quelle del
movimento di liberazione omosessuale, esse vengo
no commentate con degnazione e con mal dissimu
lata ironia.
Non c’è pertanto da meravigliarsi che questo non
sia il clima ideale per ulteriori ricerche imparziali
sulle cause dell’omosessualità, che le nostre istitu
zioni scientifiche ufficiali hanno lasciato al suo de
stino, destituendola di una terapia adeguata. Molti
editori esitano a lanciare pubblicazioni che non si
allineano all’ordinaria orchestrazione, per il timore
di critiche negative.
Uno tra i pochi che hanno deprecato la perdita di
libertà dovuta a questo clima sociale è A. D. De
Groot, professore olandese di psicologia della perso
nalità; in occasione di una discussione sull’ipotesi
che gli omosessuali siano più nevrotici degli etero
sessuali, egli scrisse:
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un disturbo emotivo che si manifesta nell’infanzia e
nell’adolescenza. Poi dimostrerò che in parecchi ca
si coloro che hanno questa inclinazione possono fare
un profondo cambiamento in meglio se si danno da
fare con pazienza, impegno e buona volontà.
Non è facile toccare il tasto giusto. Di regola, gli
omosessuali militanti sfuggono a una discussione
aperta; essi vogliono solamente sentirsi dire che so
no nel giusto. Sono sordi agli argomenti logici e ai
fatti. Attaccano, drammatizzano la propria situazio
ne e, a quanto pare, ci riescono con pieno successo.
La loro vera e propria militanza ci costringe a reagire
con fermezza alle loro pretese.
Ma forse avremmo fatto meglio a prestare più
attenzione a una parte significativa di omosessuali
che non fa tanto schiamazzo e spesso rimane dimen
ticata. Questi sono turbati dalla propria difficile si
tuazione e dalle sue implicazioni, quali l’isolamento
sociale, il fatto di non potersi sposare e di restare
soli. Spesso si sentono infelici e inferiori, persino
disperati. Avremmo dovuto prestare maggiore atten
zione a quanti conducono una vita omosessuale ma
non vi trovano pace, o a coloro che si sentono con
dannati a ripetere «non sarò mai normale». Non si
pensi che si tratti di un piccolo gruppo. Quando si
scava a fondo in una conversazione personale, si
scopre che la maggior parte delle persone che hanno
questa inclinazione ne sono insoddisfatte e vorreb
bero in qualche modo cambiare «se appena fosse
possibile»2. È vero che parecchi fanno resistenza a
vedere le proprie sensazioni come nevrotiche o a
impegnarsi in tentativi reali di cambiare. Dobbiamo
ammettere, comunque, che le loro esitazioni sono
almeno in parte aggravate dagli atteggiamenti sociali
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predominanti. In ogni caso essi— e la maggior parte
di coloro che cercano di mantenere le distanze dalle
proprie sensazioni omosessuali — hanno bisogno di
una comprensione realistica, non di una comprensio
ne superprotettiva o sentimentale. Hanno bisogno
d’incoraggiamento, ma anche di vedere con raziona
lità dentro sé stessi. Perciò questo libro è rivolto
particolarmente ad essi, ai loro coniugi, se sono spo
sati, e ai loro genitori i quali (se non sono confusi
dalla propaganda «gay lib») sono addolorati per il
corso che ha preso lo sviluppo dei loro figli. Esso
potrà inoltre essere utile a quanti, nel lavoro o nella
vita privata, si devono confrontare con i problemi di
colleghi o di amici che si sentono omosessuali.
Note
20
2. QUANDO UNA PERSONA
È OMOSESSUALE?
21
visione di sé stessi acquisita, di un’immagine di sé
appresa. La donna «virileggiante» con tendenze le
sbiche non è tale per disposizione naturale, ma per
abitudine e per uno specifico complesso d’inferiori
tà. Ci sono, d’altra parte, donne lesbiche spiccata-
mente femminili che pochi, a prima vista, potrebbe
ro sospettare che abbiano quelle tendenze.
Con le parole «complesso d’inferiorità» sto pre
correndo la mia spiegazione. In effetti, sosterrò che
le tendenze omosessuali scaturiscono da un partico
lare tipo di complesso d’inferiorità, poiché per costi
tuzione una tale persona non è omosessuale, bensì
eterosessuale. Ciò è vero indipendentemente da sen
sazioni consapevoli; un uomo o una donna può non
avere, o avere in forma molto attenuata, inclinazioni
eterosessuali, ma è essenzialmente eterosessuale. A
rigor di termini, perciò, non esistono «omosessuali»
od «omofili», neppure nel regno animale; esistono
solo persone con inclinazioni omosessuali. Per esse
re coerente, eviterò il termine «un omosessuale» e
userò la designazione più ingombrante di «persone
con inclinazioni omosessuali».
Sensazioni omosessuali
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siderate come uno stadio dello sviluppo psicosoma
tico inerente alla sessualità. Esse scompaiono senza
lasciare traccia quando, nella fase successiva, com
paiono le sensazioni eterosessuali. Come dirò in se
guito, la prepubertà e la pubertà sono i periodi più
importanti per il possibile instaurarsi di una «vera»
omosessualità: cioè di sensazioni omosessuali che
sopravvivono nel corso della vita.
Inoltre, dovremmo sempre tener presente che la
parola «omosessualità» sta a indicare una grande
varietà di forme e tipi. Per esempio, alcuni uomini
subiscono di fatto un eccitamento sessuale per ogni
uomo che incontrano, e altri sono solamente interes
sati a certi tipi di maschi. Per alcuni, la sensazione
omosessuale è continuamente presente nella loro
immaginazione, come un’ossessione, mentre in altri
compare piuttosto in modo irregolare. Alcuni sono
esclusivamente orientati verso compagni all’incirca
della stessa età, altri verso più anziani, altri ancora
verso giovani, adolescenti o bambini (omosessuali
pedofili). Alcuni di essi si diversificano per la loro
preferenza per un certo tipo di compagno. Ci sono
poi delle diversità nei ruoli che essi assumono in
rapporto ai loro compagni, poiché alcuni svolgono
prevalentemente il ruolo attivo, altri quello passivo,
benché molti — la maggior parte — non abbiano un
modello di ruolo stabilito. Alcune persone con ten
denze omosessuali possono a volte percepire sensa
zioni chiaramente eterosessuali, comunque di ridotta
intensità; questi vengono chiamati bisessuali. Alcu
ni, poi, hanno solo sporadici impulsi eterosessuali, o
ne sono quasi del tutto privi: sono i cosiddetti omo
sessuali esclusivi. (Dico «quasi» in quanto Freud
giustamente affermava che in un’analisi accurata
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delle fantasie e dei sogni dell’intero corso della vita
di una persona con fòrti tendenze omosessuali si
possono sempre trovare tracce di una normale dispo
sizione eterosessuale, anche se profondamente na
scosta).
Ancora un’ulteriore distinzione: alcuni accarezza
no il desiderio di un compagno per una relazione
durevole; altri non potrebbero neppure desiderare
una cosa simile. Comunque, fra il desiderio e la sua
realizzazione i primi trovano un grande divario; una
relazione realmente durevole e leale è estremamente
rara, se mai possa aver luogo. Per esemplificare: in
uno studio effettuato, oltre il 70% dei settanta uomi
ni e donne con inclinazioni omosessuali che affer
mavano di aver accettato le proprie sensazioni come
normali e vivevano alla maniera omosessuale, desi
derava una relazione durevole; ma, stando alle loro
stesse dichiarazioni, solo quattro uomini e sette don
ne fra di essi avevano avuto solamente un compagno
nel corso dei due anni precedenti*. Non ha importan
za in quale Paese o con quali campioni di persone
inclini all’omosessualità siano state condotte ricer
che del genere: i risultati sono invariabilmente gli
stessi. Peraltro è possibile distinguere tra coloro che
cercano dei contatti transitori (i tipi «crociera») e
coloro che hanno a che fare con un solo partner per
un lungo periodo di tempo, anche se non è poi tanto
lungo.
Incidenza
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tratta di mera propaganda. Pare che qualcuno pensi
che un’alta incidenza sulla popolazione renderebbe
quella condizione più normale, ma naturalmente non
v’è nessuna logica in questo. I reumatismi, non basta
che ne soffra un’alta percentuale della popolazione
perché cessino di essere una malattia. Se quella sup
posizione fosse vera, qualche decina di milioni di
Americani sarebbero omosessuali; questi numeri
non trovano riscontro in nessuna ricerca. I pochi
studi validi — condotti, per di più, su gruppi selezio
nati — indicavano il due o tre per cento della popo
lazione, come massimo; una delle ricerche non rag
giunse nemmeno l’uno per cento2. Censimenti re
centi, più vasti e affidabili, hanno confermato que-
st’ultima percentuale; per gli Usa è l’l% 3 e per la
Gran Bretagna circa l’l,5%4. Inoltre, occorre tener
presente che molto probabilmente sono meno donne
che uomini ad avere sentimenti omosessuali (e la
maggior parte delle stime sono estrapolazioni sulla
base dei campioni maschili); il 30 o 40% di coloro
che sono inclini all’omosessualità sono bisessuali e
possono così essere conteggiati altrettanto corretta-
mente con la parte di popolazione non omosessuale;
i bambini e gli adolescenti dovrebbero essere esclusi
dal numero totale degli omosessuali di una popola
zione, poiché il loro sviluppo non è ancora termina
to. Pertanto, si arriva a numeri e percentuali ancora
più basse.
Può sembrare che l’omosessualità sia rapidamente
aumentata in questi ultimi anni. Dubito molto di
questa drastica ascesa; può essere solamente che sia
salito il numero di coloro che attualmente trasforma
no le proprie sensazioni in comportamento omoses
suale. L’eccessiva attenzione polarizzata sull’argo
mento (non si può aprire una rivista popolare senza
trovarvi dei commenti sugli omosessuali e sui loro
problemi) contribuisce senza dubbio all’impressione
di onnipresenza dell’omosessualità. Questa è pro
prio l’impressione voluta dai sostenitori della nor
malità del fenomeno «gay». Essere a favore dell’o
mosessualità è diventato un segno distintivo di una
visione progressista della società.
Autoidentificazione
26
superiori al comune genere umano, ma, nonostante
gli sforzi di sembrare perfettamente contenti della
propria «inclinazione», dentro di sé essi si rendono
conto che il loro «essere diversi» consiste in una
forma inferiore di sessualità. Può essere di sollievo
l’appartenere a una ben definitta minoranza e sentir
si a casa propria fra gente di analoga inclinazione,
liberi dalle difficoltà inerenti all’affrontare il mondo
eterosessuale. Lo scotto per questo, comunque, è il
fatalismo deprimente implicito nell’identità di nuo
va acquisizione: «sono proprio così». Il giovane non
pensa: «E vero che ho sentimenti occasionali o rego
lari di omosessualità, ma sostanzialmente devo esser
nato come tutti gli altri». No: egli ha la sensazione di
essere una creatura diversa e inferiore, che porta con
sé una condanna: vede sé stesso in una luce tragica.
Questa tragica autoetichettatura si collega a un
sentimento di inferiorità che egli ha già nutrito per
qualche tempo in precedenza, cioè la sensazione di
essere un pietoso brocco. L’idea «io non sono pro
prio come gli altri» è ora definitivamente fissata
nella sua mente dall’autoidentificazione: «Sono un
omosessuale». Ci ritorneremo in seguito. La sensa
zione di non essere come gli altri, di non far parte del
gruppo, con la conseguenza di mantenere una pro
fonda riserva verso gli altri, di tenersi in disparte, è
tipica della maggior parte delle persone che hanno
questo problema.
Che non sia l’effetto della discriminazione socia
le? No. E vero che quanti hanno tendenze omoses
suali non vengono considerati normali dagli altri; ma
la causa principale del sentirsi tragicamente diversi
sta dentro di loro. Queste persone conservano questa
sensazione anche quando vivono in un ambiente che
27
le accetta. Fa parte della loro nevrosi.
Poiché a tutt’oggi parecchi credono che l’omoses
suale sia nato con una tendenza innata che farà bene
ad accettare, l’autoetichettatura fatalistica è più che
mai favorita dal mondo esterno dell’adolescente.
Spesso i giovani che esprimono le loro possibili e
non ancora definite sensazioni o fantasie omoeroti
che vengono informati dagli «esperti» che essi sono
omosessuali. Ciò può rappresentare un duro colpo e
infrangere qualunque speranza ci fosse. Suggerisco
che ai giovani che svelano le loro segrete sensazioni
si dica preferibilmente qualcosa di questo genere:
«Tu puoi certamente provare interesse per il tuo
stesso sesso, ma è solo una questione di immaturità.
Per natura, tu non sei così. La tua natura eterosessua
le non è ancora sveglia. Quello che dobbiamo discu
tere è un problema della personalità: il tuo comples
so d’inferiorità».
Le tensioni sessuali possono essere molto forti e
ciò fa sì che una persona giovane che abbia sensazio
ni omosessuali possa facilmente credere che l’impe
gnarsi in una relazione omosessuale sia la soluzione
di tutti i problemi, ivi compresa la solitudine. Presto
o tardi, comunque, egli giungerà alla conclusione di
essere finito in un genere di vita completamente
disordinato, in realtà di natura nevrotica. Il suo stato
profondo assomiglia sotto parecchi aspetti a una tos
sicomania.
Lo stile di vita omosessuale viene presentato dai
mezzi di comunicazione sociale in modo tendenzio
so e roseo: lo si può intendere come propaganda, ma
se si ascoltano le storie della vita trascorsa, in diversi
anni, da omosessuali praticanti si vede chiaro che in
quel genere di vita la felicità non la si trova. Irrequie
28
tezza nei contatti, solitudine, gelosia, depressioni
nevrotiche e, proporzionalmente, un elevato numero
di suicidi (senza parlare delle malattie veneree e di
altre malattie somatiche) rappresentano l’altra faccia
della medaglia, che non viene mostrata dai mass
media. Esempio ne sia il caso di un famoso sessuo
logo tedesco, che spesso aveva intessuto pubblica
mente gli elogi di durevoli e fedeli relazioni omoses
suali, ma che mise fine alla propria vita dopo la
rottura di un’amicizia, ultima di molte. La sua tragi
ca morte fu appena accennata dalla stampa, il che
potrebbe far sorgere in qualcuno dei naturalissimi
dubbi.
W. Aaron, che era stato omosessuale, riassume
così la sua mole di osservazioni sul comportamento
omosessuale: nonostante le apparenze esterne, fini
sce nella disperazione5.
Il giornalista americano Doris Hanson ha intervi
stato alcune persone che vivevano come omosessua
li:
29
3. L’OMOSESSUALITÀ È INNATA?
34
vedremo in seguito. Tanto la convinzione di chi cre
de in una causa ereditaria quanto quella di chi crede
in altre cause fisiche operanti dopo la nascita, porta
no a una visione pessimistica circa la possibilità di
cambiamento. Le persone con tendenze omosessuali
che vogliono rimanere su quella strada danno molta
importanza a una presunta «base biologica». Per
esempio, secondo i membri di una «gay church»
americana, l’omosessualità è una forma di amore
creata da Dio: può essere illecito vivere secondo i
princìpi del Creatore?
La teoria dell’ereditarietà sopravvive grazie agli
sforzi dei circoli degli omofili militanti e dei loro
sostenitori libertari, nonostante la crescente eviden
za del contrario. Di quando in quando viene pubbli
cizzato il risultato di una singola ricerca che dovreb
be offrire sostegno all’idea di normalità. Perciò gli
studi sulla omosessualità devono essere accolti con
sano senso critico, specialmente se provenienti da
ambienti favoreli all’omosessualità. Ne è un esem
pio il rapporto di Bell e collaboratori3, che sostiene
altamente probabile una base biologica dell’omoses
sualità; e fra le conclusioni gli autori traggono la
morale che i genitori dovrebbero educare i propri
figli «secondo natura». Ciò significa che i bambini
che hanno tendenze omosessuali hanno bisogno di
un trattamento tutto speciale (naturalmente, favore
vole all’omofilia), come se la loro presunta preferen
za fosse un fatto compiuto fin dall’inizio e chiara
mente riconoscibile da parte dei genitori. Il loro
lavoro è una manipolazione dell’opinione pubblica:
uno degli autori è infatti noto per la sua posizione a
favore dell’omosessualità. Le statistiche raccolte dai
ricercatori non hanno nulla a che vedere con la bio
35
logia, ma con l’infanzia, il comportamento sociale e
altri aspetti del comportamento di omosessuali prati
canti. Dal loro materiale appare che questi individui
si sentivano isolati dai loro compagni di giochi, il
che in sé stesso rappresenta un’accettabile prova,
che però non c’entra con la biologia.
Negli anni Settanta era invalsa l’abitudine, tra gli
omosessuali europei più sofisticati, di presentare lo
studio di Schofield4come prova dell’esistenza di una
variante normale (e presumibilmente innata) di
omosessualità. Il suo studio non verteva su normali
tà o anormalità, ma suE’adattamento sociale e, più
specificamente, professionale. Egli aveva identifica
to un sottogruppo di uomini omosessuali ben adatta
ti, il che non giustifica alcuna conclusione circa
normalità o anormalità. In un altro caso, uno studio
so del problema non trova differenze tra gli omoses
suali e gli eterosessuali nei dati di alcuni test sulla
personalità; com’era prevedibile, questo fatto è stato
interpretato da alcuni come evidenza della normalità
di quella condizione. Se però controlliamo che cosa
effettivamente quel test misura — ha la pretesa di
misurare — troviamo che esso dimostra che questo
fattore non è in diretto rapporto con la normalità
psichica, o con il fatto che questa forma di sessualità
possa essere definita una normale «variante».
Ormoni
36
l’omosessualità non possa essere normale da un pun
to di vista logico e biologico è quanto discuteremo in
seguito; ma dobbiamo anzitutto confrontarci col
quesito delle possibili cause fisiche, ereditarie o non
ereditarie.
«Si tratta forse di ormoni?», si domanda molta
gente. No, secondo un esperto del campo quale il
Perloff, che già nel lontano 1965 scriveva: «È un
fenomeno meramente psichico... e non lo si può
modificare mediante sostanze endocrine (ormoni)»5.
Questa affermazione è ancora valida. E vero che a
volte è stata riscontrata una bassa concentrazione di
ormone sessuale maschile (testosterone) nel sangue
di uomini con tendenze omosessuali in paragone a
uomini eterosessuali6, come pure anomale quantità
di grassi e di prodotti metabolici degli ormoni adre-
nergici7. Ma simili risultati non devono essere inter
pretati affrettatamente — come è stato fatto — a
sostegno della teoria che fa derivare l’omosessualità
da peculiarità ormoniche. Perché mai? Perché que
sto tipo di differenze di concentrazioni ormoniche
tra uomini con tendenze omosessuali e uomini con
tendenze eterosessuali non sono state riscontrate da
altri ricercatori. Nel periodo 1972-1976 si possono
contare almeno sei studi che non hanno riscontrato
valori ormonici anomali nei gruppi omosessuali8. Le
differenze che a volte vengono rilevate sono presu
mibilmente collegate alle caratteristiche specifiche
dei gruppi allo studio, e perciò non sono universal
mente valide. Esse possono essere semplicemente
attribuite a fattori molto semplici, quali differenze
specifiche tra i gruppi a differenti orientamenti ses
suali per quanto concerne le abitudini alimentari, le
abitudini di vita e di lavoro, il fatto di essere o no
sposati, le attività professionali o l’esercizio musco
lare; inoltre, da altri fattori quali l’uso di droghe o di
medicinali, o la differenza di età.
In un gruppo di uomini a tendenze omosessuali,
Evans ha trovato valori anomali per i prodotti del
metabolismo degli ormoni adrenergici, per i grassi, e
una sostanza metabolita associata allo sviluppo mu
scolare; inoltre, valori anomali di peso corporeo e di
forza muscolare, ma non per gli ormoni sessuali9.
Egli gioca con l’idea che un fattore che chiama
«ridotto sviluppo muscolare» abbia contribuito al
crescere di una propensione omosessuale. Questo
studio è uno dei pochi che abbia dato luogo a qual
cosa che somiglia a un fattore fisico anomalo che sia
specifico per gli uomini omosessuali. Per questa
ragione lo esamineremo più da vicino per vedere
come devono essere valutati risultati di questo tipo.
Come per tutte le ricerche scientifiche, lo studio di
Evans non è così interessante finché i risultati non
trovino conferma nella riproducibilità su altri grup
pi. Un rapporto tra quel fattore e la tendenza omoses
suale non può essere stabilito prima che si ottenga
tutta una serie di dati comparabili su diversi campio
ni. Supponiamo, per il momento, che il futuro ci
porti una serie di risultati analoghi che si confermino
l’un l’altro; ciò però non è affatto verosimile e,
anche se lo fosse, non costituirebbe un argomento
apodittico a favore di una causa fisica. La possibile
correlazione fra omosessualità e «debolezza musco
lare» potrebbe significare, per esempio, che i ragazzi
con deficiente accrescimento muscolare corrono un
rischio più elevato di diventare sessualmente deviati
a motivo del loro senso d’inferiorità a questo propo
sito. Sarebbe un esempio del fenomeno di «inferio
38
rità organica» descritto dal noto psichiatra Alfred
Adler. Un ragazzo può sviluppare in sé sentimenti
d’inferiorità a motivo di qualunque menomazione o
ritardo fisico e, come vedremo, è proprio il senso
d’inferiorità giovanile dovuto all’aspetto fisico, alla
struttura corporea e simili, che può motivare uno
sviluppo a orientamento omosessuale. Ma forse la
nostra spiegazione di questo caso teorico sarebbe
troppo artificiosa anche in questa forma. Forse il
fenomeno vuol solo significare che gli uomini con
tendenze omosessuali sono meno inclini ai movi
menti del corpo di un certo tipo, praticano meno certi
sport, mangiano di più o consumano più grasso di
altri uomini. Una spiegazione del genere non sareb
be affatto sorprendente, in quanto sarebbe in linea
con i modi di vivere che abbiamo rilevato in parec
chi di coloro che hanno tendenze omosessuali.
Che la causa dell’omosessualità non debba essere
ricercata in anomalie ormoniche sessuali è inoltre
dimostrato dal fatto che soggetti con deviazioni or
moniche per disturbi funzionali delle gonadi non
sviluppano necessariamente anomalie sessuali. Per
esempio, gli ermafroditi (persone che hanno le carat
teristiche fisiche di entrambi i sessi, causate da defi
cienze genetiche) che sono biologicamente (vale a
dire geneticamente) femmine, hanno fui dallo stadio
embrionale un eccesso dell’ormone sessuale ma
schile (testosterone) che peraltro non le predispone a
essere lesbiche10. Tutto quindi sembra indicare che
gli ormoni sessuali siano fuori causa. Poiché alla
produzione degli ormoni sovrintendono i cromoso
mi, gli ormoni sessuali delle persone tendenti al
l’omosessualità denotano perciò il normale funzio
namento dei cromosomi sessuali.
39
Ereditarietà
40
una conseguenza dello specifico sistema di campio
natura di Kallmann. Dopo di lui, è stata data notizia
di tutta una serie di gemelli uniovulari esaminati a
fondo; uno di essi aveva tendenze omosessuali, l’al
tro invece eterosessuali13. Inoltre, vi è una crescente
consapevolezza del fatto che questo tipo di ricerche
su gemelli, benché affascinanti in sé stesse, non
possono essere decisive per verificare se una pro
prietà o una variabile della personalità sia ereditaria
mente determinata. Dati come quelli di Kallmann
possono trovare spiegazione anche nell’educazione
e in altri fattori ambientali, o in fattori psicologici,
quale l’alto grado di reciproca identificazione che è
così sorprendente nei gemelli. Che si debba cercare
una spiegazione in quella direzione è reso evidente
dalla piuttosto elevata concordanza nell’omosessua
lità trovata da Kallmann nei suoi dizigoti (12 per
cento). La somiglianza qui è infatti più marcata che
la concordanza nell’omosessualità fra coloro che
hanno tendenze omosessuali e i loro fratelli non
gemelli. I gemelli dizigoti differiscono l’uno dall’al
tro nella loro struttura genetica come qualunque cop
pia di fratelli non gemelli. In altre parole, la maggio
re somiglianza per quanto concerne l’omosessualità
nei dizigoti ha delle cause di carattere non genetico.
Anche per loro, la spiegazione potrebbe essere la
relativamente più intensa identificazione reciproca a
paragone dei fratelli non gemelli, vale a dire, la loro
sensazione di essere Valter ego l’uno dell’altro, e il
fatto che vengono trattati e considerati dall’ambiente
circostante in modo identico.
Nello studio di Kallmann ci sono alcuni punti
deboli che non è il caso di esaminare qui: se ne può
trovare altrove una dettagliata disamina14. Qui vo
41
glio precisare che i dati di Kallmann non possono
essere usati come piattaforma per una teoria del-
F omosessualità su base genetica. Inoltre, essi non
forniscono neppure solidi indizi di fattori predispo
nenti.
Pertanto, non sono stati reperiti fattori genetici —
di tipo sessuale o altro — che possano distinguere le
persone con tendenze omosessuali dalle altre. Alcuni
ricercatori lasciano aperta la possibilità teorica del
l’esistenza di un fattore ancora ignoto, di ordine
genetico od ormonale, almeno per un sottogruppo di
persone a tendenze omosessuali. Suppongo che essi
abbiano in mente alcuni uomini omosessuali che
colpiscono da tanto sono effeminati e donne lesbiche
dal comportamento sorprendentemente maschile.
Ma nemmeno loro attribuiscono un influsso decisivo
a quel fattore teorico, dato che affermano allo stesso
tempo che le cause principali non stanno negli ormo
ni o nei geni. Masters e Johnson assumono questa
posizione15. Questi ricercatori di formazione socio
logica provenienti dalla scuola di Kinsey, anche se
manifestano chiaramente l’opinione che il compor
tamento omosessuale sia normale e pienamente ac
cettabile, scrivono parole emblematiche:
42
pure la preferenza eterosessuale è data su base gene
tica: un’affermazione acritica che può facilmente
essere confutata. Il loro ammaestramento a «tutti i
professionisti nel campo della salute mentale» sulla
omosessualità come «comportamento acquisito»
non deve comunque essere dimenticato, anche se
respingiamo la loro gaffe grossolanamente progres
sista sulla eterosessualità.
La storia della teoria della natura omosessuale
come condizione innata — cioè «connaturata» — è
una lunga storia. Questa teoria si è lentamente sgre
tolata e ora non ne resta praticamente nulla. Nel suo
libro Changing Homosexuality in thè Male («Il cam
biamento della omosessualità nel maschio») lo psi
chiatra L. J. Hatterer lo dice schiettamente:
43
l’esistenza di un’omosessualità trasmessa ereditaria
mente, o causata da disfunzioni ormoniche prima o
dopo la nascita; non ne sono responsabili deviazioni
nella crescita corporea, nella costruzione di organi,
del cervello, del sistema nervoso o delle ghiandole.
Sarebbe troppo lungo fare qui la completa enumera
zione dei resoconti di ricerche scientifiche di rilievo:
bastino le conclusioni generali. Finché non si dimo
stri in modo convincente che la persona con tenden
ze omosessuali possieda qualche peculiarità fisica,
ereditaria o meno, che non sia effetto della sua con
dizione, possiamo ritenere per certo che essa sia
perfettamente normale sotto il profilo biologico.
Man mano che passa il tempo, comunque, sembra
sempre più improbabile che possa accadere una cosa
simile.
«Anche mio nonno era omosessuale». «Anche
due figli di mia zia sono “così”». A volte sentiamo
spiegazioni come queste in bocca a qualcuno che ha
questo problema emotivo. Ciò non significa che nel
le loro famiglie sia stata operante una causa eredita
ria, non più di quanto potremmo attribuire ai geni la
responsabilità del fatto che il nonno o il cugino di
qualcuno sia cattolico o socialista. Se in certe fami
glie la tendenza omosessuale si presenta con una
certa frequenza, spesso vediamo in quelle famiglie
degli squilibri nei modelli di ruolo dei due sessi: i
figli vengono allevati secondo modelli insufficienti
dei ruoli sessuali ed essi a loro volta ripetono questa
cattiva prassi educativa con i loro figli. In tali fami
glie, le donne possono comportarsi in una certa ma
niera poco femminile ed educare le proprie figlie in
modo poco femminile, facilitando così l’instaurarsi
di complessi d’inferiorità di tipo omosessuale. Esse
44
possono avere difficoltà ad accettare il ruolo sessua
le in generale ed essere quindi incapaci di educare —
e di riconoscere — un ragazzo come ragazzo e una
ragazza come ragazza. Per i padri valgono osserva
zioni analoghe. Del resto, il rapporto tra la famiglia
e l’omosessualità è per lo più molto scarso20.
Normalità
45
viduo prende dipenderebbe dai metodi educativi
usati in famiglia e, più in generale, dalle influenze di
tutto l’ambiente sociale nell’infanzia. Questa opi
nione è espressa da Masters e Johnson21, ed era
l’opinione niente di meno che di Sigmund Freud.
Tuttavia, l’idea di una bisessualità universale non è
sostenibile. Per quanto riguarda Freud, egli sostenne
la propria teoria con nozioni di fisiologia oggi obso
lete; inoltre, la sua concezione non era totalmente
scevra da equivoci, problema sul quale per ora so
prassediamo.
Se fosse solamente una questione di abiti educati
vi dei bambini o di costumanze culturali a determi
nare se una persona giovane si orienti verso l’omo
sessualità o l’eterosessualità, o magari con un’opzio
ne al 50 per cento, Dio (o la natura, se si vuole)
avrebbe appeso la sopravvivenza del genere umano
a un tenue filo. Sarebbe bastata l’esistenza di una
certa tendenza culturale in qualche società primitiva
a preferire l’omosessualità o a educare i figli in
questa direzione per portare il genere umano a rasen
tare l’estinzione; e quale tendenza è realmente im
possibile? Mentre in nessun caso in natura vediamo
che la propagazione della specie sia stata messa a
rischio in tal modo, che la sopravvivenza delle spe
cie sia regolata con tanta noncuranza.
Nel mondo animale, la vera omosessualità come
sopra definita non ha luogo. Gli animali si possono
comportare in maniera omosessuale, ma solo nel
caso di assenza di un partner eterosessuale o per
effetto di quello che si potrebbe chiamare un errore
di percezione e di valutazione. Infatti, gli animali
possono reagire sessualmente a certe specifiche pro
prietà di animali della stessa specie: forme, colori,
46
movimenti. In linea di massima, queste proprietà
sono attribuite al sesso opposto, ma esse possono
anche provocare una risposta se un animale le perce
pisce in un individuo del suo medesimo sesso, spe
cialmente in assenza di un partner eterosessuale.
Questa non è comunque omosessualità in senso
stretto22. La vera omosessualità implica una mancata
risposta agli stimoli del sesso opposto. Ripetiamo: è
come se la natura (o il suo Creatore) fosse stata così
sciatta nei confronti dell’uomo — che è molto più
complicato e raffinato di ogni altro animale ed è
ovviamente il suo più splendido prodotto — da la
sciare, fra tutti i meccanismi, proprio quello che
sovrintende alla sopravvivenza della sua specie alla
mercé del caso. Che la natura si sia dimenticata di
fare per l’uomo quello che in realtà ha fatto con gli
animali: istituire cioè un indirizzo eterosessuale sta
bile e duraturo nel tempo?
La domanda è già una risposta.
D’altra parte, la teoria della bisessualità è contrad
detta dai fatti. A. Karlen, uno storico della sessualità,
nella sua rassegna dell’incidenza dell’omosessualità
in altri tempi e in altre culture rispetto alla nostra,
scrive che tutto quello che si può dire è che l’omo
sessualità viene trattata nelle varie culture con diffe
renti livelli di tolleranza, ma che non è mai stata un
fine desiderabile in sé stesso23. L’uomo non ha mai
sentito l’inclinazione a educare i propri figli nella
direzione dell’omosessualità: la stragrande maggio
ranza in tutte le culture e in tutti i tempi è stata
eterosessuale. Per natura l’essere umano è attratto
dal sesso opposto. Se così non fosse, fra i numerosi
popoli che sono vissuti nei vari tempi ci sarebbero
state delle eccezioni, o almeno una, alla regola che la
47
maggioranza è eterosessuale.
E gli antichi Greci? Sembra che la nostra immagi
nazione su questo punto abbia bisogno di qualche
rettifica. Gli storici rilevano che la cultura greca è
sempre stata essenzialmente eterosessuale24. Il com
portamento omosessuale — o, meglio, la cosiddetta
pederastia o amore per i giovanetti e gli adolescenti
— era di moda in un certo periodo e in certi circoli,
ma certamente non era l’espressione sessuale prefe
rita o desiderabile per la maggioranza. Inoltre, do
vremmo piuttosto prendere con un granello di sale le
immagini delle abitudini sessuali dei Greci presenta
te da pochi autori del tempo. È dubbio che sia legit
timo da parte nostra generalizzare quello che dicono
i lirici greci, così come non potremmo avere un’idea
affidabile delle abitudini sessuali del nostro tempo
studiando la letteratura moderna. Tutto quello che è
eccentrico e deviante riceve nella letteratura e nel
l’arte un’immagine più marcata di quanto gli spette
rebbe se ci si basasse su ciò che realmente avviene
nella società.
L’affermazione che l’essere umano diventerebbe
eterosessuale per mezzo dei metodi educativi, repri
mendo la sua egualmente forte componente omoses
suale, colpisce per la sua artificiosità, specialmente
se ci rendiamo conto del modo in cui abitualmente
avviene la scelta dell’oggetto eterosessuale. Sembra
molto più esatto dire che lo sviluppo verso l’etero-
sessualità procede in modo automatico e istintivo. A
un certo momento, di solito durante l’adolescenza,
l’attrazione verso il sesso opposto viene sentita co
me irresistibile anche dai giovani educati in un clima
sessualmente restrittivo o senza alcuna educazione
sessuale. È pure indicativo della base ereditaria del
48
l’eterosessualità il fatto che non si vedono mai dei
giovani liberi da tensioni emotive, da complessi
d’inferiorità e da frustrazioni interne — in altre pa
role, dei giovani equilibrati e ben costituiti — che si
sentano intimamente spinti all’omosessualità. I gio
vani non nevrotici sono invariabilmente eterosessua
li.
La conclusione inevitabile è che l’eterosessualità
è geneticamente determinata. I cervelli dell’uomo e
della donna differiscono come conseguenza di pro
cessi embrionali di natura ormonica25 e probabil
mente alcune di queste strutture cerebrali costitui
scono la base biologica delle profonde differenze
psicologiche nel campo della sessualità26. Alcune
interessanti argomentazioni a favore dell’esistenza
di una eterosessualità innata possono inoltre essere
dedotte da ricerche concernenti lo sviluppo sessuale
di certi tipi di ermafroditi, cioè pazienti con difetti
dei cromosomi sessuali27.
49
con lo svegliarsi delle sensazioni erotiche, peraltro
ancora indefinite: bambini e persone adulte, ma an
che situazioni inanimate e situazioni emotivamente
eccitanti. La sessualità di un adolescente in questo
stadio dello sviluppo può essere chiamata bisessua
le, anche se ci sarebbero buoni motivi per chiamarla
«multisessuale». Negli omosessuali, lo sviluppo ses
suale, insieme a buona parte dello sviluppo soprat
tutto emotivo, si è fermato a questo stadio.
Ciò non significa che ogni adolescente debba
chiaramente — e neppure confusamente — speri
mentare i vari possibili tipi di attrazione erotica in
questa fase di vita. Forse non più del 30% degli
adolescenti hanno a un certo momento quelle che si
potrebbero considerare sensazioni omoerotiche. Gli
interessi erotici a questo stadio sono in stretta dipen
denza dall’insieme della personalità e dell’emotività
dell’adolescente, dalle sue relazioni con gli altri,
dalla sua posizione sociale e dalla sua immagine di
sé stesso. Se si sviluppano fantasie, interessi o prati
che omoerotiche, esse sono, malgrado tutto, solita
mente superficiali e tendono a svanire rapidamente
non appena l’attrazione fisica del sesso opposto si
impone all’attenzione del giovane che, in molti casi,
vive questa scoperta con un atteggiamento del tipo:
«Ecco, è proprio questo che andavo cercando!».
Gli impulsi omoerotici possono coesistere, nello
stadio di sessualità ancora indeterminata, con l’ini
zio di interessi eterosessuali. In altri casi, gli inizi di
interessi eterosessuali possono essere bloccati dal-
l’emergere di sensazioni omofile, specialmente se
l’adolescente si sente frustrato nella sua prima occa
sione di amore eterosessuale.
Quando le potenzialità del sesso opposto sono
50
state pienamente scoperte, lo sviluppo è irre
versibile. Gli «oggetti» di un tempo diventano sem
plicemente privi di interesse, e questo senza un pro
cesso di apprendimento imposto dal mondo esterno,
ma come conseguenza dello stesso istinto sessuale
indirizzato e rivolto al proprio fine.
No te
51
9 R. B. E v a n s , Physical and Biochemical Charac-
teristics of Homosexual Men, cit.
10J. M o n e y - A. A. E h r h a r d t , Man and Woman, Boy
and Girl: The Differentiation and Dimorphism of Gender
Identity from Conception to Maturity, Johns Hopkins
University Press, Baltimore 1972.
11D . J. WEST, Homosexuality, Penguin Books, London
1960.
12 F. I. KALLMANN, Comparative Twin Studies on thè
Genetic Aspects of Male Homosexuality, in «Journal of
Nervous and Mental Disease», 115 (1952), pp. 283-298.
13 I. D . R a in e r e altri, Homosexuality and Hetero-
sexuality in Identical Twins, in «Psychosomatic Medici
ne», 22 (1960), pp. 251-259; R. C. F r ie d m a n e altri,
Psychological Development and Blood Level of Sex Ste-
roids in Male Identical Twins ofDivergent Sexual Orien-
tation, in «Jourmnal of Nervous and Mental Disease»,
163 (1974), pp. 282-288.
14G. J. M. v a n d e n A a r d w e g - J. B o n d a , Een netelig
vraagstuk: Homofilie, gellofen psychologie, cit.
15W. H. M a st e r s - V. E. Jo h n s o n , Homosexuality in
Perspective, Little, Brown and Company, Boston 1979.
16 L. J. HATTERER, Changing Homosexuality in thè
Male, McGraw-Hill, New York 1970.
17 S. L evay , A Difference in Hypothalamic Strucìure
Between Heterosexual and Homosexual Men, in «Scien
ce», 253 (1991), pp. 1034-1037.
18 D. H. H a m e r e altri, A Linkage Between DNA Mar-
kers on theX Chromosome and Male Sexual Orientation,
in «Science», 261 (1993), pp. 321-327.
19W. B y n e - J. Pa r s o n s , Human Sexual Orientation,
in «Archieves of General Psychiatry», 50 (1993), pp.
228-239; W. B y n e , The Biologica! Evidence Challenged,
in «Scientific American», 270 (1994), pp. 26-31.
52
20 G. J. M. v a n d e n A a r d w e g , Homofilie, neurose en
dwangzelfbeklag, Polak & Van Gennep, Amsterdam
1967.
21 W. H. M a s t e r s - V. E. J o h n s o n , Homosexuality in
Perspective, cit.
221. E ib l E ib e s f e l d , Liebe und Hass, Piper, Munich
1970.
23 A. K a r l e n , Sexuality and Homosexuality, Norton,
New York 1971.
24 R. F la c er i ÈRE, Amour en Grèce, Hachette, Paris
1960.
25 R. W. Goy - B. S. M cEwen , Sexual Differentiation
ofthe Brain, Mitt Press, Cambridge, Mass., 1980.
26 R. M a y , Sex and Fantasy: Patterns of Male and
Female Development, Norton, New York 1980.
27G. J. M. v a n d e n A a r d w e g - J. B o n d a , Een netelig
vraagstuk: Homofilie, geloofen psychologie, cit.; J. M o
n e y - A. A. E h r h a r d t , Man and Woman, Boy and Girl:
The Differentiation and Dimorphism of Gender Identity
from Conception to Maturity, cit.
53
4. L’OMOSESSUALITÀ
COME DISTURBO PSICHICO
55
disturbo in gran parte psichico, probabilmente soste
nuto da fattori biologici ancora sconosciuti (egli pro
pose l’ereditarietà). Uno dei primi a non credere
all’importanza di un fattore ereditario — e forse
addirittura il primo — fu un discepolo di Freud,
Alfred Adler. Questo «scopritore» del complesso
d’inferiorità descrisse l’omosessualità come conse
guenza di questo complesso fin dal 19171. Le sue
osservazioni gli insegnarono che le persóne con sen
timenti omosessuali hanno invariabilmente dei sen
timenti d’inferiorità per quanto concerne la propria
mascolinità o femminilità.
Un altro discepolo di Freud, che radunò un’im
pressionante esperienza clinica con gente affetta da
problemi psicosessuali e che descrisse alcune osser
vazioni originali sui propri pazienti con tendenze
omosessuali, fu Wilhelm Stekel2. Egli teorizzò che
l’omosessualità fosse la conseguenza della paura del
sesso opposto. Confermando le idee di Freud con
cernenti l’origine psicodinamica dell’omosessualità
nell’infanzia, Stekel minimizzò l’importanza della
supposta predisposizione ereditaria molto più di
quanto fece Freud e fu forse il primo a classificarla
ima nevrosi. Inoltre, egli non fu d’accordo con Freud
sul ruolo causale del famoso «complesso di Edipo»,
e indicò invece un certo numero di errori nell’educa
zione dei bambini che avrebbero potuto portare alla
nevrosi omosessuale. Egli sottolineò il ruolo del pa
dre nel causare l’omosessualità del maschio, ritenen
dolo spesso più importante del ruolo della madre.
Puntò sul carattere infantile della vita interiore di
questi pazienti — egli vide l’omosessualità come un
«infantilismo psichico»3— e mise in evidenza che la
motivazione omosessuale era intrinsecamente legata
56
a sensazioni di infelicità. Più di Freud, egli credette
alla possibilità di un cambiamento radicale dell’in
clinazione omosessuale, benché pensasse anch’egli
che fosse un’evenienza relativamente rara. Le sue
varie osservazioni influenzarono profondamente il
pensiero dei suoi allievi.
La seconda e la terza generazione di psicanalisti
costruirono sulle fondamenta preparate dai loro pre
decessori. Un elemento originale fu introdotto dallo
psichiatra austriaco E. Bergler. Egli osservò il cosid
detto masochismo psichico di chi soffre di questo
complesso4. L’impulso omosessuale contiene, se
condo lui, una specie di auto tormento, una necessità
inconscia di sentirsi respinto e, in generale, di «col
lezionare ingiustizie», situazioni sgradevoli ed espe
rienze che danno l’occasione di soffrire (come si
dice di alcune persone che «vanno in cerca di proble
mi»).
I. Bieber, psichiatra americano, e i suoi collabora
tori hanno notevolmente stimolato le successive ri
cerche psicologiche sulla omosessualità con la loro
estesa ricerca statistica sulla personalità e sui fattori
infantili nei maschi omosessuali5. Ho già rilevato la
scarsità di dati nei campi fisiologico e biologico.
D’altra parte Bieber, come pure i suoi successori,
hanno riferito con cronometrica regolarità su un cer
to numero di fattori infantili più o meno specifici in
uomini con tendenze omosessuali. Questi fattori so
no intrecciati e formano un modello riconoscibile,
che dev’essere messo in stretta relazione con il pro
cesso causale. Questo modello è costituito da rela
zioni interpersonali con i genitori, i fratelli e il cosid
detto gruppo dei pari, come pure da altri dati dello
sviluppo psichico che non è difficile ricollegare al
57
pensiero dei teorici della moderna psicologia6. Le
statistiche di Bieber e dei suoi seguaci possono an
che essere utilizzate come piattaforma per la teoria
dell’omosessualità che io presenterò. Esse sono le
più accettabili, essendo state raccolte su vari sotto
gruppi di persone inclini all’omosessualità e in varie
nazioni.
La presente teoria non è sorta all’improvviso, ma
è il risultato di un’evoluzione graduale degli appro
fondimenti relativi alle nevrosi e all’omosessualità,
acquisiti da psicoterapeuti psicanaliticamente alle
nati. Colui che l’ha formulata, lo psichiatra olandese
Johan Léonard Arndt (1892-1965), ha integrato
un’ampia varietà di osservazioni e di approfondi
menti di teorici precedenti, in particolare quelle di
Adler e del proprio maestro, Stekel. Arndt confermò
ed elaborò un certo numero di osservazioni di Ste
kel, quali: «Egli [l’omosessuale] è infelice, senten
dosi condannato dalla propria sorte alla sofferenza»;
«Non ho mai visto un omosessuale sano o felice»;
«[egli è] un eterno bambino... che lotta con l’adul
to»7. Introducendo il principio dell’autocommisera
zione, Arndt non ha affatto cancellato le osservazio
ni dei suoi predecessori, ma le ha completate in una
sintesi che tiene anche conto di altri rilevanti ele
menti di osservazione, raccolti da autori contempo
ranei dai più svariati orientamenti teoretici. L’omo
sessuale, egli diceva, al pari di altri pazienti nevroti
ci, può essere posseduto da una struttura interiore
che si comporta autonomamente come l’io infantile,
un bambino che è costretto a indulgere all’autocom
miserazione. Avendo scoperto questo meccanismo
dapprima in molti casi di nevrosi dalle manifestazio
ni non chiaramente sessuali8, egli si convinse gra
58
dualmente del suo ricorrere in persone nevrotiche di
ogni genere, e alla fine lo riconobbe anche negli
omosessuali9.
Arndt fu impressionato dal cronico lamento infan
tile nella persona nevrotica adulta, dalla sua persi
stenza e resistenza al cambiamento, egli impiegò la
nozione freudiana corrente di «repressione» per
spiegare la fissazione di reazioni di afflizione e di
autocommiserazione dell’infanzia, come pure il loro
carattere autonomo e ripetitivo. Per Freud, l’impor
tante concetto di repressione era intimamente legato
a un’altra nozione essenziale: quella di inconscio10.
Già nella sua prima pubblicazione sull’isterismo,
scritta in collaborazione con Joseph Breuer11, Freud
ha ipotizzato che le intense emozioni che possono
aver luogo come reazione alle frustrazioni, a volte
non vengono elaborate, ma soppresse a viva forza, in
modo che vengono allontanate dalla coscienza con
sapevole; però esse conservano la loro piena intensi
tà emotiva nell’inconscio. Breuer e Freud si riferiva
no soprattutto alle emozioni di afflizione, con le loro
collaterali manifestazioni di lacrime, sospiri e stizza.
Arndt identificò il nocciolo della reazione di affli
zione come autocommiserazione. Egli ipotizzò che
questa emozione fosse stata rinchiusa nell’incon
scio, costringendo poi il nevrotico a sottostare conti
nuamente agli impulsi di autocommiserazione, sen
za poterli riconoscere come tali. La terapia di questa
condizione dovrebbe logicamente consistere nel ren
dere conscia l’autocommiserazione inconscia di
quel «bambino che sta dentro e si lamenta». In que
sto modo essa perderebbe il suo potere compulsivo
sulla mente.
Io all’inizio ho aderito alla teoria di Arndt12, ma i
59
miei dubbi su di essa crescevano col passare degli
anni, finché l’ho rifiutata. Innegabilmente, la «re
pressione» può render ragione di parecchi fenomeni
che abitualmente incontriamo in psicoterapia; per
esempio, vediamo il ben noto fenomeno della resi
stenza ad ammettere la propria autocommiserazione
proprio al momento in cui essa è in atto. Perciò
possiamo dire che qualcosa si oppone al riconosci
mento consapevole dell’autocommiserazione. Co
munque, penso che questo «qualcosa» sia ampia
mente equivalente a un certo «orgoglio ferito». Inol
tre, il processo di superamento di una nevrosi, nella
fattispecie di una nevrosi omosessuale, viene meglio
descritto come una combinazione della conquista
della propria autocoscienza e della lotta su ampio
fronte contro il proprio infantilismo, una volta rico
nosciuto. Non è tanto lo sblocco delle repressioni
che è responsabile del cambiamento, quanto il gra
duale allentarsi di abiti emotivi di tipo infantile pro
fondamente radicati, quali l’autocommiserazione e
le reazioni a essa associate. La caratteristica più
impressionante della personalità nevrotica è il suo
essere incentrata in sé stessa, e la sua autocommise
razione ne è forse l’aspetto più saliente. La conquista
di una maturità emotiva equivale ampiamente a una
diminuzione dell’egocentrismo.
Sono perciò convinto che la ripetitività nevrotica e
la resistenza al cambiamento si comprendono me
glio come effetti della formazione di un abito o come
una certa «dipendenza» dall’autocompassione e da
tendenze intrinsecamente collegate all’autocommi
serazione. Senza uno sforzo deliberato da parte della
persona nevrotica, inteso ad acquisire la conoscenza
di sé e a combattere la propria autocommiserazione,
60
quest’ultima tende a trovare la propria soddisfazione
e in tal modo a rafforzarsi. Superare una nevrosi
significa rompere i legami che ci legano all’auto
commiserazione. La concezione freudiana di repres
sione nell’inconscio e lo stesso concetto di inconscio
mi sembrano troppo romantici. Concordo con quanti
non credono all’esistenza dell’inconscio freudiano:
la sua esistenza non è stata empiricamente provata13.
Negli scorsi decenni, parecchi altri eminenti psi
coterapeuti hanno studiato l’omosessualità da un
punto di vista psicodinamico; le loro osservazioni e
parecchie delle loro concezioni teoretiche costitui
scono un contributo altamente qualificato, che non
viene confutato dalla presente teoria. Alcuni nomi
preminenti sono quelli di Karen Horney14, H. S.
Sullivan15, dello psichiatra e neurologo francese
Marcel Eck16 e degli psichiatri newyorkesi Charles
Socarides17 e Lawrence Hatterer18. Il libro di Hatte-
rer merita una speciale menzione. Egli non vi co
struisce una teoria generale, ma descrive piuttosto
una procedura pragmatica per la cura degli omoses
suali di sesso maschile. Egli descrive parecchi esem
pi verificati in suoi pazienti di reazioni comporta
mentali ed emotive, quali sensazioni d’inferiorità,
idolizzazione del partner omosessuale e tendenza a
sentirsi vittima. Queste e altre osservazioni di feno
meni incontrati nel corso della terapia sono di note
vole valore e si inquadrano perfettamente nella teo
ria dell’autocommiserazione.
I sostenitori della teoria che ipotizza la normalità
della omosessualità oppongono che chiunque conti
nui a credere che si tratti di una condizione perturba
ta, più specificatamente di una nevrosi, cioè di un
tipo di disturbo emotivo, è irreparabilmente arretra
61
to. L’idea che questo disturbo possa essere superato
sarebbe un’ancor più grave espressione di concezio
ne obsoleta. Quei sostenitori sembrano ignorare che
proprio la loro alternativa è stata superata dai tempi.
In effetti, essi si rifanno sempre, implicitamente o
esplicitamente, a qualche teoria della «inerenza»:
esattamente il punto di vista del secolo XIX. Gli
approfondimenti delle peculiarità emotive delle per
sone che hanno questo problema e la sua identifica
zione come nevrosi sono recenti, come pure lo sono
alcuni metodi di cura.
Benché il concetto di nevrosi sia indispensabile
nella pratica clinica e vi sia un ragionevole consenso
sulla diagnosi di una nevrosi nei singoli casi, non è
stato possibile individuare uno strumento diagnosti
co oggettivo per la sua misurazione. I tentativi fatti
con test «oggettivi» di carattere fisiologico e psico
logico per distinguere i nevrotici dai non-nevrotici
sono stati finora privi di successo19. I ricercatori
devono perciò fidarsi della sola prova «soggettiva»
che abbia successo: il questionario, che, con le paro
le di uno dei ricercatori più quotati, «può essere
affidabile per dare una chiara distinzione tra i sog
getti normali e i nevrotici»20. Comunque, con i più
svariati test e nei più diversi Paesi e gruppi socio-
economici, i ricercatori hanno trovato gli stessi risul
tati: i gruppi di omosessuali figurano a un punto
decisamente più alto delle scale che misurano la
nevrosi rispetto ai controlli21. Questa correlazione
fornisce una buona evidenza scientifica a favore del
carattere nevrotico della omosessualità. Questi studi
comprendevano gruppi in situazioni cliniche — co
loro che avevano già cercato qualche forma di psico-
terapia — e persone che erano altrimenti integrate
62
nella vita della società22.
È mia convinzione che chiunque cerchi di affron
tare con apertura mentale le pubblicazioni di ricerca
fisiologica e psicologica esistenti deve ammettere
che la più adeguata interpretazione dell’omosessua
lità deve essere l’idea di una variante di nevrosi. Il
fatto che oggi sembra che relativamente pochi socio
logi e cultori di altre scienze umane accettino questa
conclusione, che viene quasi del tutto ignorata dal
l’opinione pubblica, è da imputare alle predominanti
tendenze libertarie favorevoli all’omosessualità, che
censurano ogni idea non gradita. Questo è spiacevo
le e paradossale allo stesso tempo, poiché è proprio
durante gli ultimi decenni che un atteggiamento fa
talistico sulla modificabilità dell’omosessualità è di
ventato più che mai ingiustificato.
Ho scritto questo libro dopo più di vent’anni di
studi sulla omosessualità e dopo aver trattato più di
225 uomini omosessuali e una trentina di donne
lesbiche alla luce della teoria dell’autocommisera
zione. A parer mio, la teoria secondo la quale l’omo
sessualità è una forma di autocommiserazione ne
vrotica è molto più che una nuova sintesi elaborata
su materiale vecchio: è un effettivo progresso rispet
to alle concezioni precedenti. La corretta compren
sione della natura di questo male è ben più di un
esercizio accademico: rappresenta la speranza che
quanti sono imprigionati dall’assioma prevalente
che l’omosessualità sia innata e immutabile possano
essere aiutati a diventare emotivamente più maturi.
63
Note
64
sexualiteit, in «Geneeskundige Bladen», 3 (1961), pp.
65-105.
10 P. M a d is o n , Freud’s Concept of Repression and
Defense, University of Minnesota Press, Minneapolis
1961.
11J. B r e u e r - S. F r e u d , Studien tiber Hysferie, D eu tic-
k e, V ienna 1895.
12 G. I. M. v a n d e n A a r d w e g , A Grief Theory of
Homosexuality, in «American Journal of Psychiterapy»,
26 (1972), pp. 52-68.
13 D . S. H o l m e s , Investigations of Repression, in «Psy
chological Bulletin», 81 (1974), pp. 632-653.
14 K a r e n H o r n e y , Ourlnner Conflicts, Norton, New
York 1975.
15 H a r r y S t a c k SULLIVAN, The Interpersonal Theory
of Psychiatry, Norton, New York 1953.
16M. E c k , Sodome: Essai sur l’homosexualité, Anthè-
me Fayard, Paris 1966.
17 C h a r l e s W. S o c a r id e s , The Overt Homosexual,
Gmne and Stratton, New York 1968; Id e m , Homosexua
lity, Aronson, New York 1978.
18 L. J. H a tter er , Changing Homosexuality and thè
Male, McGraw-Hill, New York 1970.
19Per quanto concerne i tentativi di stabilire un test del
genere, vedi: H. J. EYSENCK, The Scientific Study ofPer-
sonality, Routledge & Kegan Paul, London 1952; Id e m ,
The Dinamycs of Anxiety and Hysteria, Routledge &
Kegan Paul, London 1957; Id e m , Experiments in Perso-
nality, 2 voli., Routledge & Kegan Paul, London 1960; H.
J. E y s e n c k - G. W. G r a n g e r - J. C. B r e n g e l m a n n ,
Perceptual Processes and Mental Illness, Chapman and
Hall, London 1957; R. B. C a tt ell , Personality and Mo-
tivation Structure<and Measurement, World Book Com
pany, New York 1957; R. B. C a t t e l l - 1. H. S c h eier , The
65
Meaning and Measurement of Neuroticism and Anxiety,
Ronald Press, New York 1961. Un esempio di un simile
questionario, in H. J. E y s e n c k , Dimensions in Persona
lity (Routledge & Kegan Paul, London 1947), si è dimo
strato non efficace, secondo quanto verifica G. Clarid -
GE, The Excitation-Inhibition Balance in Neurotics, in
Experiments in Personality, a cura di H . J. E y s e n c k , 2
voli., Routledge & Kegan Paul, London 1960.
20 H . J. E y s e n c k , The Scientific Study of Personality,
cit.
21Esistono molti questionari di questo tipo, chiamati di
solito questionari «di nevrosi»: numerosi test graduati o
sottoquestionari del Minnesota Multiple Personality In
ventory (mmpi): W. G. B a h l s t r o m - G. S. W e l s h , An
m m pi Handbook, North Publishing Company, St. Paul
1960; il m as: J. A. T a y l o r , A Personality Scale ofMani-
fest Anxiety, in «Journal of Abnormal and Social Psycho
logy», 48 (1953), pp. 285-290; il Comell Medicai Index:
K. B r o d m a n - A. J. E r d m a n - 1. L o r g e - C. P. G e r h e n -
SON - H. G. W o l f f , The Cornei Medicai Index Health
Questionnaire III: The Evaluation of Emotional Distur
barne, in «Journal of Clinical Psychology», 8 (1952), pp.
119-124; numerosi test graduati del Sixteen Personality
Factor Test (16 p f): R. B. C a t t e l - G. F. SnCE, Handbook
ofthe Sixteen Personality Factor Questionnaire, Institute
for Personality and Ability Testing, Champaign (Illinois)
1957; del Maudsley Personality Inventory (MPl): H. J.
E y s e n c k , Manual ofthe Mausdley Personality Invento
ry, University of London Press, London 1959; dell’Ey-
senck Personality Inventory (epi): H. J. E y s e n c k - S. B.
G. E y s e n c k , Marnai ofthe Eysenck Personality Invento
ry, University of London Press, London 1964. Sono stati
chiamati con vari nomi, ma gli studi analitici dei singoli
fattori hanno dimostrato che sono tutti così strettamente
66
correlati che possono essere correttamente considerati più
o meno identici, dato che misurano il medesimo fattore
generale di nevrosi o di emotività nevrotica. A. W. B e n -
DIG, Factor Analyses of «Anxiety» and «Neuroticism»
Inventories, in «Journal of Consulting Psychology», 24
(1960), pp. 161-168; H. J. E y s e n c k - S. B. G. E y s e n c k ,
Personality Structure and Measurement, Routledge &
Kegan Paul, London 1969; J. P. G u il f o r d , Factors and
Factors of Personality, in «Psychological Bulletin», 82
(1975), pp. 802-814.
221 test che confermano questo risultato hanno impie
gato I’mmpi, il 16 p f, Empi, P ep i, il «Neuroticism Scale
Questionnaire» ( n s q ) e il «Maudsley Medicai Question-
naire» (m m q). Fra gli studi che concernono gruppi clinici
di omosessuali (quelli già in corso di trattamento) cito: G.
J. M . v a n d e n A a r d w e g , Homofilie, neurose en
dwangzelfbeklag, Polak & Van Gennep, Amsterdam 1967
(Olanda, mmpi e mpi); W. A. O l i v e r - D. L. M o s h e r ,
Psychopathology and Guilt in Heterosexaul and
Subgruops of Homosexual Reformatory Inmates, in
«Journal of Abnormal Psychology», 73 (1968), pp. 323-
329 (Usa, mmpi); R. B. C a t t e l l - J. H. M o r o n y , The
Use of 16 PF in Distinguishing Homosexuals, Normals,
and General Criminals, in «Journal of Consulting Psy
chology», 26 (1952), pp. 531-540 (Australia, 16 PF); A.
W. V e r m e u l- v a n M u l l e m , Het voorkomen van de zoge-
naamde homosexuele signs in de Rorschachtest, rapporto
di ricerca non pubblicato, Gemeente Universiteit, Depart
ment of Psychology, Amsterdam 1960 (Olanda, mmq);
M. P. F e ld m a n - M. J. M a c C u l l o c h , Homosexual Be-
haviour, Therapy and Assessment, Pergamon Press, Ox
ford 1971 (Gran Bretagna, 16 PF e EPl). Gli studi che si
riferiscono a gruppi non-clinici di omosessuali sono: R.
B. C a t i e l l - J. H. M o r o n y , The Use of 16 p f in Distin-
67
guishing Homosexuals, Normals, and General Criminals,
cit.; W. T. D o id g e - W. H. H o lt z m a n , Implications of
Homosexuality among Air Force Trainees, in «Journal of
Consulting Psychology, 24 (1960), pp. 9-13 (Usa, MMPl);
R. B . D e a n - H. R ic h a r d s o n , Analysis of m m p i Profiles
of Forty College-educated Overt Male Homosexuals, in
«Journal of Consulting Psychology», 28 (1964), pp. 483-
486 (Usa, mmpi); L. J. B r a a t e n - C. D. D a r l i n g , Overt
and Covert Homosexual Problems among Male College
Students, in «Genetic Psychology Monographs», 71
(1965), pp. 269-310 (Usa, MMPl); M. M a n o s e v it z , Early
Sexual Behavior in Adult Homosexual and Heterosexual
Males, in «Journal of Abnormal Psychology», 76 (1970),
pp. 396-402 (Usa, mmpi); Id em , Education and m m p i -m f
Scores in Homosexual and Heterosexual Males, in «Jour
nal of Consulting and Clinical Psychology», 36 (1971),
pp. 395-399 (Usa, mmpi); R. B. E v a n s , Sixteen Persona-
lity Factor Questionnaire Scores of Homosexual Men, in
«Journal of Consulting and Clinical Psychology», 34
(1970), pp. 212-215 (Usa, 16 p f); M. SlEGELMAN, Ad
justment of Male Homosexuals and Heterosexuals, in
«Archives of Sexual Behavior», 2 (1972), pp. 9-25 (Usa,
NSQ); Idem , Psychological Adjustment of Homosexual
and Heterosexual Men: A Cross-national Replication, in
«Archives os Sexual Behavior», 7 (1978), pp. 1-11 (Gran
Bretagna, NSQ); H. P. LlONG A KONG, Neurotische labili-
teit en homofilie bij mannen, rapporto di ricerca non
pubblicato, Vrije Universiteit, Department of Psychology,
Amsterdam 1965 (Olanda, mpi); E. S b a r d e li n i - E. T.
S b a r d e lin i, Homossexualismo masculino e homos-
sexualismofeminino: Neuroticismo efatores psicológicos
na infància, rapporto di ricerca non pubblicato, Universi-
dade Católica, Department of Psychology, Campinas, Sào
Paulo 1977.
68
5. IL COMPLESSO D’INFERIORITÀ
DELL’OMOSESSUALE
69
privilegiato a paragone di altri o, in ogni caso, tratta
to almeno come loro, dagli uomini e dalla sorte.
Comunque, come ho rilevato, il bambino ha una
forte inclinazione a vedere sé stesso come meno
privilegiato, meno amato, collocato in una posizione
meno favorevole.
Proprio perché è tanto desideroso di apprezza
mento, egli rimane profondamente deluso da ogni
mancanza di affetto o di apprezzamento, reale o
immaginaria che sia. In tal caso ha la sensazione che
il proprio valore come persona decada; tende allora
a vedersi come di minor valore a paragone di altri,
magari come privo di valore.
L’innata importanza dell’io nel bambino gli fa
sopravvalutare certe esperienze accidentali in cui
avverte di essere meno apprezzato e gli fa anche
sopravvalutare il significato di «essere» meno valido
in certi particolari aspetti della sua personalità. Il
fatto di essere «da meno» in qualche aspetto secon
dario della sua personalità o delle condizioni genera
li di vita, lo fa ben presto diventare ai propri occhi un
essere globalmente inferiore. Per lui, l’idea o la pro
pria immagine, per esempio, di «essere grasso», «es
sere meno apprezzato di mio fratello», «essere bal
buziente», «essere figlio di un padre di umile condi
zione sociale» o di «essere una frana a scuola» coin
volge l’intera persona. Allora egli può sentirsi infe
riore sotto tutti gli aspetti, come se l’inferiorità par
ziale si fosse espansa sull’intera sua personalità. È
questa la ragione per cui, di regola, l’essere apprez
zato in un aspetto della personalità non esclude
un’inferiore immagine di sé in qualche altro aspetto.
Il sentirsi inferiore implica pensare che gli altri
non ti possano amare a causa della tua mancanza di
70
valore; che non ti accettino veramente, così che tu
non appartieni veramente a loro. Reazioni emotive
che ne conseguono sono, tra le altre: vergogna, soli
tudine, autodisprezzo e, naturalmente, tristezza o
rabbia.
Il senso d’inferiorità può derivare dal paragone
con gli altri (lo stesso bambino è, per così dire, il
primo a costruirseli) e anche dalle critiche prove
nienti dagli altri, in special modo dai genitori e dai
membri della famiglia, in secondo luogo dai compa
gni di giochi e da altre persone significative al di
fuori dell’àmbito familiare, come gli insegnanti. Col
passare del tempo, quando un senso d’inferiorità
viene rafforzato dal ripetersi di esperienze esterne o
interne percepite dal bambino (o dall’adolescente
per quanto concerne il nostro tema) come analoghe
a quelle originarie, può diventare cronico. Esso di
venta una convinzione profondamente radicata sulla
propria identità (il proprio «io»), come un assoluto,
un’immagine negativa di sé che incomincia a vivere
una vita per conto suo. Una volta avviato, esso di
venta resistente a nuove esperienze modificatrici e a
nuovi apprendimenti. Esso è rigido e autonomo; tut
to l’affetto e l’apprezzamento del mondo non sem
bra capace di averne ragione. È per questo che viene
chiamato complesso d'inferiorità. Per meglio com
prendere la peculiarità di questo fenomeno dobbia
mo soffermarci alquanto su un’importante reazione
emotiva che si sviluppa di fronte a un complesso
d’inferiorità e che di fatto ne è parte essenziale; si
tratta della reazione emotiva primitiva all’io offeso
di un bambino o di un adolescente: la compassione
di sé stesso.
Se un bambino o un adolescente, arrivato a sentirsi
71
inferiore e a vedersi non apprezzato o escluso, potes
se accettare la propria condizione, la propria suppo
sta minore importanza, egli sicuramente proverebbe
dispiacere per la privazione di amore, per il disprez
zo, per le deficienze che ha notato in sé stesso, ma
mediante la sua accettazione la pena diminuirebbe in
breve tempo; ricupererebbe il proprio equilibrio in
teriore e il gusto per la vita. È difficile peraltro
immaginare un simile tipo di reazione in bambini o
in adolescenti, a motivo del loro innato senso d’im
portanza del proprio io. La relativizzazione di sé non
è tra gli attributi della mente di un bambino.
L’io del giovane deve perciò necessariamente rea
gire con una emozione incentrata su sé stesso e viene
ossessionato dall’autocompassione: «Come faccio
pietà! Non mi amano, non mi stimano, ridono di me,
non mi vogliono accettare», e via di questo passo. E
pensando a sé stesso, cioè vedendo sé stesso nella
propria mente come una povera creatura, egli co
mincia ad avere un’intensa pietà per quell’essere
sofferente. Egli sente pietà di sé allo stesso modo in
cui sentirebbe pietà per altre persone che vede soffri
re e meritare pietà. Le affermazioni «sono odioso,
malvisto, debole, buono a nulla, rifiutato, svantag
giato rispetto a mio fratello o a mia sorella» implica
no un «povero me!».
L’autocompassione è la compassione rivolta verso
sé stessi. Forse non c’è esperienza o percezione tanto
efficace nel suscitare l’autocompassione di un'bam
bino quanto l’idea che «io sono solo, sono meno
apprezzato». L’autocompassione richiama più che
mai l’attenzione della persona, le sue energie menta
li, verso sé stessa. L’io vuole confortare sé stesso con
la propria autocommiserazione, che è essenzialmen
7?
te un tipo di amore: un tipo di amore di sé. L’io del
bambino vuole trattare sé stesso come un povero
caro, come tratterebbe un altro che vedesse merite
vole di compassione.
Mediante l’autocommiserazione egli fornisce a sé
stesso il calore, si compiange, vuole proteggere e
vezzeggiare sé stesso e si sente in diritto di ottenere
compensazioni confortanti. L’autocompassione si
esprime a parole (compassionandosi) e in lamenti
interiori, lacrime e sospiri; appare evidente dal tono
lamentoso della voce, dalle espressioni del viso e
dagli atteggiamenti del corpo. Quasi sempre l’auto
commiserazione genera emozioni di protesta, sia
sotto forma di collera, di ostilità, di ribellione o di
amarezza, in quanto il bambino si sente trattato in
giustamente.
A un più attento esame, appare chiaro che quello
che comunemente viene designato come complesso
d’inferiorità (seguendo la descrizione di Adler) è
esattamente l’autocompassione cronica di chi si sen
te inferiore. Rendo merito allo psicanalista olandese
Johan Arndt di avere dimostrato come opera quel
l’emozione universale, e vorrei dire tanto umana,
che è l’autocommiserazione.
Ogni caso di complesso d’inferiorità è anche un
caso di autocommiserazione cronica1. Senza questa
autocommiserazione, le sensazioni di inferiorità non
avrebbero così dannose conseguenze. Arndt chiamò
l’autocommiserazione dei bambini e degli adole
scenti «autodrammatizzazione», perché il bambino
sente e vede sé stesso come una persona importante
degna di compassione: «La mia sofferenza è unica».
La consapevolezza di sé diventa consapevolezza del
«povero me».
Il bambino autocommiserante nell’adulto
74
vero me» dell’infanzia (o dell’adolescenza) della
persona sopravvive nella stessa forma; l’intera per
sonalità infantile è ancora in quella persona.
Ci sono quindi tre concetti che per la maggior
parte si sovrappongono: complesso d’inferiorità,
bambino nell’adulto e abitudine all’autocommisera
zione (chiamata anche «malattia lamentosa»). Sono
ampiamente descritte le evenienze a cui va soggetta
la mente di un nevrotico in generale, cioè di chi è
affetto da svariate esitazioni, emozioni ossessive,
immotivate sensazioni di insicurezza e conflitti inte
riori.
I lineamenti più importanti della personalità ne
vrotica derivano dalle formulazioni di cui sopra. In
primo luogo, vediamo il protrarsi di modelli com
portamentali infantili e puerili. In qualche modo,
uno può rimanere, sotto il profilo psicologico, il
bambino o l’adolescente che era; questo comprende
gli specifici desideri, sensazioni, lotte e modi di
pensare del bambino. Comunque non tutto del bam
bino viene conservato nell’adulto con il complesso.
La maturazione della personalità è seriamente com
promessa solamente in quelle zone in cui le frustra
zioni infantili hanno operato, in altre parole, là dove
hanno avuto origine l’autocommiserazione e il senso
d’inferiorità. In altri campi la persona può essere
psicologicamente maturata. Nei casi in cui il «bam
bino lamentoso» prevale —, la lamentosità spinge in
modo prepotente — l’intera personalità risulta im
matura, «infantile».
L’omosessualità è appunto un tipo di nevrosi. La
persona che soffre di questo complesso ospita in sé
uno specifico «bambino che si commisera». Per que
sto Bergler ha potuto osservare: «A cinquant’anni,
75
egli [l’uomo con inclinazioni omosessuali] si trova
emotivamente negli anni dell’adolescenza»2.
Un secondo lineamento nevrotico è la tendenza
alla propria commiserazione — abitualmente mani
festa, ma in alcune persone piuttosto occulta — così
acutamente descritta da Arndt. Il nevrotico grave
manifesta in modo molto evidente la necessità di
commiserarsi; egli sembra continuamente alla ricer
ca — e le trova — di ragioni di autocompassione e
di autocommiserazione; magari sentendosi cronica
mente oggetto di ingiustizia, o sempre frustrato o
sempre sofferente per qualcosa. Le sue lamentele
possono consistere in qualsiasi cosa negativa: sensa
zioni di delusione, di essere lasciato solo, di essere
incompreso, di mancanza di stima, di carenza di
amore, di disagio fisico, di dolori, e così via. Sembra
che la mente del nevrotico non possa fare a meno
della sensazione di autocompassione, di autodram
matizzazione; perciò, tutto questo lo si può vedere
come una «dipendenza» oppure, il che è lo stesso,
come una compulsione alla commiserazione. Il ri
sultato è che, nel nevrotico, la normale fiducia in sé
stesso, la sicurezza e la gioia di vivere sono seria
mente compromessi.
Un’altra frequente caratteristica del nevrotico è un
infantile desiderio di attenzione, di approvazione e
di simpatia, oltre che una frequente spinta all’autoaf
fermazione. L’aspettativa di stima e di calore del
bambino che sta dentro di lui è inesauribile ed è
imperniata su sé stesso come quella di un bambino
vero e proprio. In molti modi questo io infantile può
cercare di essere importante, interessante, attraente
per gli altri, al centro dell’attenzione sia nella vita
reale sia nella propria immaginazione.
76
Un ultimo aspetto da rilevare è l’atteggiamento
mentale egocentrico. Una gran parte della coscienza
psichica può essere occupata o imperniata sull’in
fantile «povero me!». Per usare un paragone: il
«bambino commiserante nell’adulto» vezzeggia e ha
cura di sé stesso come una bambina pietosa maneg
gerebbe una bambola che vede come una povera
cosa. Ogni sentimento di amore per le altre persone,
basato su un genuino interesse per loro, viene bloc
cato da un nevrotico atteggiamento compulsivo in
centrato su sé stesso, cresciuto più o meno sponta
neamente.
78
soffrono per questo senso di inferiorità che li rode.
Spesso essi non ammettono questa sofferenza senza
vergogna davanti a sé stessi, poiché il riconoscimen
to consapevole delle proprie inferiorità può essere
un’esperienza penosa, che urta il proprio io, l’amor
proprio o l’importanza dell’io infantile.
Il senso d’inferiorità di un bambino o di un adole
scente può distoreere l’immagine che ha delle altre
persone, alcune delle quali possono sembrare supe
riori a lui. Nel caso del ragazzo, altri ragazzi e giova
notti gli possono sembrare più mascolini o più forti.
Nel caso della ragazza, altre ragazze e certe donne le
sembrano più femminili, più belle, più aggraziate,
più vicine all’ideale femminile. In questo modo di
vedere, possono prevalere le caratteristiche fisiche
degli altri; in altri casi, invece, i loro atteggiamenti e
comportamenti. In questo modo, i membri dello
stesso sesso, e più specificamente alcuni di essi,
vengono idealizzati e persino idolatrati.
Una certa misura di idealizzazione di persone del
lo stesso sesso è normale durante la preadolescenza
e l’adolescenza. I ragazzi di quell’età sono ammira
tori di sportivi, eroi, avventurieri, pionieri: uomini
pieni di coraggio, di forza e di successo sociale. Si
sentono attratti da esempi di uomini dominatori: vi
gore mascolino e audacia riscuotono una forte con
siderazione presso di loro. Perciò può accadere che
essi ammirino ragazzi un po’ più grandi, che sono
già «più uomini» di quanto non lo siano loro, e li
vogliano imitare. Da parte loro, le ragazze nutrono
un particolare interesse per gli attributi di grazia e di
femminilità di altre ragazze e di donne che sono già
più mature di loro: ne ammirano la facile socievolez
za, la grazia femminile.
79
Mascolinità e femminilità: stereotipi culturali?
80
sto dato di fatto è l’ereditarietà. Ragazzi e uomini
sono ereditariamente più equipaggiati, rispetto alle
ragazze e alle donne, di un orientamento al «dominio
sociale», a esercitare l’autorità nella vita sociale3;
essi sono i «lottatori» nei diversi significati della
parola; e sono anche più orientati all’oggetto nel loro
modo di pensare. Le donne invece sono più orientate
alle persone, reagiscono più fortemente agli stimoli
emotivi e sono emotivamente più espressive. Non è
una mera questione di apprendimento di stereotipi
tradizionali il fatto che esse siano più premurose e
provino una maggiore «empatia» emotiva. Chi vo
lesse approfondire questo argomento controverso
può leggere la sintesi di May delle ricerche su queste
differenze tra i sessi, effettuate su bambini di diverse
culture, compresa la nostra, su adulti e su alcuni
primati più altamente sviluppati che apparentemente
presentano le stesse diversità maschio-femmina4.
Perciò, i tradizionali ruoli ideali, oggi tanto vitu
perati, dei ragazzi come «saldi» e «forti» e «domina
tori», i «conquistatori del mondo», e delle ragazze
come soprattutto «premurose» e «affettuose» contie
ne molto più che un granello di verità. Ciò non
significa che si debbano esagerare quelle differenze
psicologiche e neppure che si possano derivare da
esse rigide e assolute regole di comportamento con
cernenti, per esempio, le concrete occupazioni e pro
fessioni che siano più adatte alla natura innata di
uomini e donne. Ma vuol significare che è innaturale
assegnare gli stessi ruoli sociali e alterati ruoli com
portamentali a ragazzi e ragazze (uomini e donne)
affinché li adempiano. E vuol dire che è innaturale
comportarsi come se differenti percentuali di uomini
e donne in un certo numero di professioni e di fun
81
zioni fosse indice di «discriminazione» e di ingiusti
zia sociale. Vuol dire inoltre che nell’educazione si
dovrebbe fare una chiara distinzione fra i ruoli asse
gnati a ragazzi e ragazze. Non può essere cosa sag
gia, né utile all’intera società, trascurare le evidenti
preferenze e doti per certe occupazioni e moli legati
al sesso e il non utilizzare capacità e doni collegati al
sesso.
La psiche umana è profondamente maschile o
femminile. Lo si può osservare in bambini educati
senza alcuna pressione in direzione dei moli corri
spondenti al loro genere naturale. Per esempio, bam
bini cresciuti piuttosto come bambine da una onni
presente madre femminilizzante, con la quale essi si
identificavano o che imitavano, oppure bambini cre
sciuti da genitori anziani in una situazione ambienta
le che non incoraggiava un comportamento da ra
gazzo: eppure essi amano in cuor loro le cose da
ragazzi, anche se il loro comportamento non è pro
prio da ragazzi. Sovente essi ammirano gli altri ra
gazzi che essi vedono come tipi maschili. Una ragaz
za cresciuta con certi atteggiamenti sprezzanti nei
confronti delle cose da donne e del molo femminile
(«cucire e tutta quella roba da ragazze non fa per
me!») tuttavia può essere impressionata da altre ra
gazze e donne che irradiano femminilità, ammiran
dole dentro di sé. Più di una volta ho osservato che
donne che si scagliano contro il «ruolo femminile
oppressivo» in realtà si sentono inferiori nei con
fronti di quello stesso ruolo. Esse invero ammirano
le donne che abbracciano liberamente la propria
femminilità.
Possiamo vedere tutto questo da un altro punto di
vista. Giovani uomini e giovani donne che sono
82
sereni, felici e liberi da conflitti interiori, non sembra
che abbiano mai dei problemi di ruolo. Essi sentono
un certo orientamento maschile o femminile nei di
versi campi della vita come qualcosa di immediata
evidenza; e non hanno mai problemi con la «tradi
zionale» relazione uomo-donna.
Tutto considerato, il più sano atteggiamento psi
cologico consiste nel prendere le fondamentali diffe
renze di comportamento dei sessi come punto di
partenza per costruire le reciproche relazioni tra uo
mo e donna, dentro e fuori del matrimonio. In fun
zione dei tempi e delle circostanze, le espressioni
concrete di queste relazioni possono in parte mutare,
senza mai abbandonare il modello stabilito dalla
natura. I ruoli dei due sessi sono complementari, in
conformità con la natura complementare dei doni
legati al sesso. L’abolizione forzata dei normali mo
delli di comportamento legati al sesso, quando è
ispirata da frustrazioni nevrotiche o da un’errata
impostazione egualitaria, porrebbe in essere sola
mente delle ipoteche improduttive sulle relazioni fra
i due sessi e non servirebbe alla realizzazione psico
logica di alcuno.
83
mascolinità o femminilità, rispettivamente.
Come abbiamo visto, un senso permanente d’infe
riorità produce l’autocompassione e l’autodramma
tizzazione. La penosa consapevolezza di essere di
verso — in senso negativo — produce il desiderio di
essere riconosciuti e apprezzati da quegli altri che
sono stati idealizzati, per essere uno di loro. A volte
questo desiderio assume caratteri di bramosia. Ciò è
comprensibile in quanto si basa su una commisera
zione di intensità infantile: «Povero me! Vorrei esse
re come loro»; oppure: «Se solo uno di loro mi
notasse, si prendesse cura di me!». L’adolescente
triste che si compassiona cerca soprattutto un contat
to: comprensione, conforto, compassione, affetto. A
questo si aggiunga che si sente solo e spesso non ha
facilità di rapporto con gli altri e sarà facile capire
che il desiderio di un amico ammirato può raggiun
gere grande intensità. Ciò avviene in primo luogo
nell’immaginazione dell’adolescente. Egli può «in
namorarsi» (in questo modo peculiare) di qualche
compagno della sua età, spesso di un giovane un po’
più grande. È di solito un amore a distanza. L’intima
tendenza emotiva è, in ogni caso: «Non si avvererà
mai! Non riuscirò mai a conquistare la sua attenzio
ne e il suo amore». È un desiderio di calore e di stima
messo in moto dall’autocompassione, proprio nel
l’età in cui si sta svegliando l’orientamento sessuale
finora indifferenziato. Una patetica necessità di ca
lore può allora condurre a fantasie erotiche di intimi
tà con qualche amico ammirato. In altri casi, l’incli
nazione al contatto fisico e alla vicinanza fisica non
è completamente chiara all’adolescente stesso, ben
ché egli possa in seguito rendersi conto che fosse
latente. Il guardare gli altri ragazzi e i giovani per
84
strada in modo intenzionale è forse il segno più
comune dello svegliarsi di interessi omoerotici. Egli
vuol toccare e accarezzare gli oggetti della sua am
mirazione ed essere da loro accarezzato, stare vicino
a loro, intimizzare con loro, sentire la loro attenzione
per lui e il loro calore. «Oh se mi amasse!», anela il
ragazzo. L’estensione naturale di questa necessità di
calore e di amore è una bramosia erotica. Questo non
è strano come potrebbe apparire. In quel particolare
momento dello sviluppo psicologico che corrispon
de alla preadolescenza e all’inizio dell’adolescenza,
l’istinto sessuale si trova nello stadio iniziale del suo
sbocciare, non essendo ancora arrivato alla sua meta
finale: il sesso opposto. Genericamente, è possibile
che un ragazzo, durante questa fase di graduale ma
turazione delle emozioni sessuali, sviluppi senti
menti e sensazioni erotiche orientate verso un mem
bro del proprio sesso. Questo può accadere più facil
mente nel caso di ragazzi o di ragazze che si sentono
già esclusi dalla compagnia degli altri o si sentono
soli e inferiori, desiderosi di calore. Allora il loro
ammirato interesse per le sembianze fisiche o le
caratteristiche della personalità di altri appartenenti
al loro stesso sesso assume una dimensione erotica.
I sogni erotici a occhi aperti o le fantasie della ma
sturbazione sono allora imperniate intorno alle fig
ure degli adorati appartenenti al proprio sesso e
compare il desiderio omosessuale.
Normalmente, un interesse temporaneo per mem
bri del proprio sesso, a tinte più o meno erotiche,
passa quando il ragazzo o la ragazza, crescendo,
scopre gli aspetti sessuali molto più attraenti dell’al
tro sesso. Comunque, questo interesse acquista una
speciale profondità nel caso del ragazzo che si auto-
85
commisera, che è sopraffatto da commiserazioni
d’inferiorità concernenti appunto la propria identità
sessuale. Per un tale bambino o adolescente, un con
tatto fisico con qualcuno degli altri adorati diventa il
compimento dell’appassionata brama di amore e di
accettazione, il sommo della felicità. Un simile con
tatto rimuoverebbe, nella mente del patetico adole
scente, ogni interiore miseria, inferiorità e solitudi
ne. In questo modo, durante l’adolescenza, può
crearsi un addentellato fra il desiderio di contatto di
un bambino che si sente meritevole di compassione
e l’erotismo.
La brama di una persona dello stesso sesso è pas
siva, una ricerca di essere trattato con affetto. Non è
un’esperienza felice e gioiosa come quella dell’inna
moramento normale: vi sottostà una sensazione di
disperazione, una sorta di pena. Questa richiesta di
amore è, in modo evidente, orientata interamente al
proprio io. L’amore omoerotico è incentrato su sé
stesso, è «narcisistico».
Le sensazioni omoerotiche, che compaiono più o
meno secondo le linee dello schema descritto sopra,
possono essere deboli alla comparsa, ma diventano
sempre più intense. Il rafforzamento è spesso causa
to dalle accresciute sensazioni di solitudine. Il raf
forzamento di fantasie erotiche nella masturbazione
può accrescerle considerevolmente. A un certo pun
to, questo «bambino che si compassiona», imploran
te sul piano erotico, diventa un’entità indipendente
nella vita emotiva, cioè quello che si chiama un
«complesso». È come se la mente avesse acquisito
una dipendenza da questa mescolanza di autocom
passione e di brama erotica.
Molte persone con tendenze omosessuali percepi
86
scono il proprio orientamento sessuale come un’os
sessione, cronica o temporanea. Le loro sensazioni
sessuali assorbono spesso gran parte della loro atten
zione, occupano la maggior parte dei loro pensieri,
più che negli eterosessuali. Gli impulsi omosessuali
hanno un effetto realmente compulsivo su di loro,
per cui somigliano ad altri disturbi nevrotici, quali le
fobie, le ansie ossessive e le nevrosi ossessivo-com-
pulsive. Essi rendono il paziente irrequieto. La forza
trainante di questa situazione compulsiva è l’insod
disfazione inerente alla lamentata inferiorità. Ciò
rende il desiderio insaziabile, perché la stessa la
gnanza ricorre in modo persistente.
Un rapporto o una relazione omosessuale non può
soddisfare o dare una certa felicità alFinfuori di una
soddisfazione emotiva di breve durata. Il donatore
ideale di calore esiste solamente nell’insaziabile fan
tasia di chi soffre di questo complesso e pertanto non
lo si trova mai. Il sociologo tedesco Dannecker, che
si autodefinisce omosessuale, è incorso nelle ire del
movimento omosessuale quando ha esplicitamente
dichiarato che è un mito la «fedele amicizia omoses
suale». Il mito, soggiunse egli cinicamente, può ave
re una certa utilità per abituare la società al fenome
no dell’omosessualità — l’altisonante «durevole
amicizia» si vende meglio —, ma ormai dovremmo
accettare il fenomeno nella sua effettiva realtà e
ottenere che le masse lo accettino. Questa realtà, egli
ammette, è che noi cerchiamo parecchi partners in
forza della nostra «inclinazione». Dannecker conva
lida la propria affermazione con dati statistici sul
numero di partners di coloro che hanno tendenze
omosessuali in paragone con gli eterosessuali5.
Quanto egli afferma non è cosa nuova. Egli non fa
87
che confermare il carattere compulsivo dell’omoses
sualità, la sua frenesia. L’omosessualità non è «gay»,
cioè gaia, gioiosa: è una psico-dipendenza.
Un esempio dell’inevitabile corso degli eventi sta
nella testimonianza di un uomo a inclinazione omo
sessuale, che aveva pensato di avere finalmente tro
vato, dopo anni di rapporti alla ventura, un amico
veramente amante per la vita: «Dapprima ho imma
ginato di avere veramente trovato me stesso in sua
compagnia. Ero sicuro che l’irrequietezza che avevo
sempre avuto era determinata dalla necessità di un
amico fisso. Comunque, la cosa strana è che la stessa
irrequietezza è ritornata, e piuttosto presto. Ancora
una volta ho visto me stesso di fronte alla necessità
di indulgere a rapporti furtivi, nonostante la mia
buona relazione col mio amico (per un paio di
mesi)». La conclusione di quell’uomo è stata che
l’omofilia deve proprio essere una compulsione ne
vrotica (peraltro non aveva deciso se volesse sbaraz
zarsene).
Per ricapitolare: quello di cui inconsciamente
l’omosessuale va alla ricerca non è di trovare e di
godere, ma di dolere e soffrire per alimentare la
necessità di autodrammatizzazione.
Note
88
3S. G o l d b e r g , The Inevitability ofPatriarchy, Tempie
Smith, London 1977.
4 R. M a y , Sex and Fantasy: Patterns of Male and
Female Development, Norton, New York 1980.
5 M. D a n n ec k e r , Der Homosexuelle und die Homo-
sexualitàt, Syndikat, Frankfurt 1978.
89
6. ORIGINE E M ECCANISM I
DEL COM PLESSO OM OSESSUALE
Origine nell’uomo
91
quando il padre ha avuto troppo poca importanza
nella sua educazione1. Nella maggior parte dei casi
la combinazione di questi due stili di educazione
materna e paterna ha creato la predisposizione allo
sviluppo del complesso omosessuale. Prima di pro
seguire, dobbiamo fare una pausa per una breve
osservazione sulla questione della colpevolezza2.
Nel valutare le mancanze e deficienze di carattere
dei genitori in relazione ai loro figli può sembrare
che puntiamo il dito contro di loro; invece non è così.
In primo luogo e soprattutto, il nostro compito è di
natura psicologica e non morale, il che significa che
non facciamo altro che indicare certe relazioni osser
vate tra genitori e figli, fra il comportamento dei
genitori e il comportamento dei loro figli che ne
consegue. In secondo luogo, le deficienze e debolez
ze della personalità osservate in una certa parte dei
genitori di persone orientate all’omosessualità non
possono semplicisticamente essere loro imputate co
me una colpa. Questi genitori spesso agiscono in
base a modelli dei quali difficilmente sono consape
voli e non vedono con chiarezza come alcuni dei
loro modi di trattare un figlio possa danneggiarlo.
Inoltre, anch’essi sono in parte il prodotto della pro
pria infanzia. Non giudico la loro libera volontà, e
quindi la loro responsabilità morale. Una certa misu
ra di colpevolezza c’è, poiché nessuno può afferma
re di essere stato completamente programmato dalla
propria educazione e dalle circostanze della propria
giovinezza. La dimensione della colpevolezza dei
genitori non può essere valutata, comunque, in misu
ra diversa dalla dimensione della colpevolezza di
qualsiasi genitore in relazione ai suoi errori nell’edu-
care i figli. La natura delle nostre deficienze come
92
genitori può essere differente, ma tutti noi abbiamo
le nostre abitudini egocentriche e altre debolezze,
che ne siamo consapevoli oppure no. Perciò, benché
i genitori delle persone con inclinazione omosessua
le possano avere la loro parte di colpa, essa sarà nella
media rispetto agli altri genitori.
Le persone con tendenze nevrotiche alla lamentela
hanno talvolta un atteggiamento di rimprovero per
quanto i propri genitori hanno inflitto loro. Ci si deve
render conto che questo può essere anch’esso un
altro tipo di lamentela. Per di più, quelle prolungate
lamentele a carico dei genitori — dei quali il sogget
to che si lamenta si vede vittima — sono quasi
sempre basate su una visione non realistica dei geni
tori. La visuale del bambino che si lamenta dei geni
tori è per definizione una visuale infantile, condizio
nata perciò da sensazioni incentrate sul proprio io.
Essa richiede una correzione se la persona deve
essere emotivamente più matura. I nevrotici omoses
suali che si lamentano possono continuare così a
sentire e ad esprimere le loro lamentele nei confronti
degli atteggiamenti sbagliati dei loro genitori. Di
fatto questo serve ad alimentarne l’atteggiamento da
«bambino lamentoso» e quindi i legami infantili irri
solti che essi possono avere con le loro madri e
padri, legami di attaccamento morboso come pure di
avversione.
Per i cristiani esiste un motivo in più per desistere
da una persistente lamentela sugli errori dei propri
genitori; essi comprendono di dover perdonare. Al
cuni casi di pazienti a tendenze omosessuali dimo
strano appunto che il progresso terapeutico può esse
re bloccato dall’incapacità o dalla mancata volontà
di perdonare un genitore.
93
Un altro effetto dell’alimentare le lamentele infan
tili sui genitori è che esso impedisce di assumere le
proprie responsabilità. In altre parole, il «bambino
lamentoso» che sta nel nevrotico e che proclama
«non posso farci nulla» non accetta la responsabilità
del proprio comportamento e inclinazioni.
Così siamo arrivati alla colpevolezza del nevroti
co omosessuale. È responsabile della sua situazione?
Oppure è del tutto vittima della sua infermità, un
malato? La risposta deve evitare i due estremi. Il
nevrotico omosessuale è come qualsiasi altra perso
na nevrotica, e nella fattispecie come ogni altro esse
re umano: non completamente innocente. Tutte le
debolezze umane e gli abiti emotivi di un essere
umano medio — categoria alla quale appartiene chi
ha inclinazioni omosessuali — in parte si sono for
mati perché gli si è dato corda. Questo vale anche
per l’autocompassione e l’autocommiserazione, abi
ti di infantile autoaffermazione destinati a provare la
propria importanza, a richiamare l’attenzione, e così
via. Un certo grado di colpevolezza deve essere
presente se una persona incline all’omosessualità
asseconda troppo facilmente i propri impulsi, me
diante la masturbazione o cercando dei rapporti; an
cor più se giustifica il proprio comportamento e lo
caldeggia. Ma è tutto quanto possiamo dire sull’ar
gomento. Vi è indubbiamente una buona parte di
automatismo in un complesso nevrotico, del quale la
persona non può essere ritenuta responsabile che in
parte e non totalmente. Questo è vero per tutte le
deficienze di carattere e della personalità (non pren
diamo qui in considerazione le persone che sono
affette da vere malattie mentali, come gli schizofre
nici).
94
I rapporti con i genitori
95
amichevole, ma pur sempre s’impone.
Per quanti tentativi di minimizzare vengano fatti
sulla difensiva da omosessuali militanti, nonché da
riformatori del sesso dall’atteggiamento liberistico,
è un fatto indiscutibile che le madri hanno occupato
un posto eccessivamente centrale nell’educazione
della vita emotiva di numerosi uomini omofili. Di
conseguenza, il ragazzo è diventato troppo dipen
dente da lei e conserva immutato questo atteggia
mento verso la madre nel suo intimo «bambino che
si compiange». Questo «bambino» tenderà a vivere
tale atteggiamento anche con altre donne quali im
magini della madre. È così che alcuni sono rimasti «i
cari pupi della mamma», mentre altri continuano a
comportarsi verso di lei come «il bambinetto obbe
diente e timoroso», il «ragazzo dipendente» e, qual
che volta, come «il ragazzo represso e tiranneggia
to». Questi legami con la madre sono malsani, rap
presentano una grande inibizione a diventare uomo
adulto.
Dopo aver avuto un gran numero di colloqui, nel
corso della sua vita professionale, con uomini afflitti
da tendenze omosessuali, il ricercatore e terapeuta I.
Bieber scrive che neppure in un solo caso vi era stato
un normale rapporto padre-figlio3. Per lo più il padre
era rimasto «distaccato», non coinvolto nella vita di
ogni giorno e negli interessi del figlio. La mia espe
rienza è esattamente identica. Un’analisi più appro
fondita di una serie di fattori psicologici infantili in
un sottogruppo di 120 miei pazienti maschi con que
sto problema, ha evidenziato due o al massimo tre
casi in cui il rapporto padre-figlio si potesse conside
rare buono. Ma anche in questi casi il rapporto col
padre era a distanza. Il padre di uno degli uomini con
96
tendenze omosessuali era già vecchio quando lui era
un ragazzo, e in un altro caso il legame affettivo
padre-figlio mi è sembrato piuttosto superficiale.
Perciò siamo nel giusto se affermiamo che raramen
te il rapporto padre-figlio è positivo: un uomo che
sviluppa un complesso d’inferiorità omosessuale ha
generalmente trovato in suo padre una immagine di
padre non sufficiente.
Il rapporto deficitario con il padre può aver avuto
diverse cause. Un padre psicologicamente distante a
volte trascura un figlio tra i più giovani in una fami
glia piuttosto numerosa: l’interesse del padre può
essersi concentrato sui figli più grandi. In alcuni
casi, il padre considerava il ragazzo come un impe
gno della moglie: l’esistenza di un legame esclusivo
madre-figlio può aver condizionato questo atteggia
mento del padre.
Un esempio eloquente di una situazione simile è
quello del romanziere olandese Louis Couperus, vis
suto agli inizi di questo secolo. Egli sviluppò un
complesso d’inferiorità per cui credeva di «essere un
inetto». Questa immagine di sé prendeva origine dal
fatto che si sentiva ferito dalla mancanza di stima da
parte di suo padre. Il padre aveva lasciato Louis, il
figlio più giovane, alle cure della madre e delle
sorelle maggiori e non lo aveva accettato nel proprio
mondo, che condivideva con i fratelli maggiori del
ragazzo4.
Alcuni padri erano troppo occupati per passare un
tempo sufficiente con la propria famiglia, e in parti
colare con dei ragazzi. Un altro gruppo di padri era
formato dalle classiche «deboli personalità», essi
stessi non abbastanza mascolini, troppo dipendenti,
timorosi, a volte eccessivamente appoggiati sulle
97
loro mogli. Essi erano deboli come modelli di virili
tà, così che i loro figli ebbero un modello deficitario
col quale identificarsi. Genitori relativamente vecchi
mancavano del dinamismo giovanile necessario allo
sviluppo dei propri figli. Essi non giocavano con
loro e non incoraggiavano le attività da ragazzi. Il
risultato fu che il comportamento dei loro figli di
venne artificioso, simile a quello di un «piccolo
vecchietto».
In circa un quarto della mia casistica e di quella di
altri ricercatori, il figlio aveva del proprio padre un
concetto decisamente negativo. Il padre lo criticava,
non lo incoraggiava, così che questo figlio si sentiva
respinto dall’uomo più importante del proprio mon
do. Il ragazzo può anche sentirsi urtato dal fatto che
suo padre lo paragoni continuamente ai fratelli e
sorelle. In una certa percentuale dei casi— probabil
mente intorno al 20% — l’esperienza della ripulsa
da parte del proprio padre sembra essere stato il
fattore cruciale del trauma psichico, che fece sì che
il ragazzo si sentisse escluso dal mondo degli uomi
ni.
Per un ragazzo, il proprio padre è il prototipo di
uomo. Il sentirsi apprezzato dal padre è essenziale
per la sua fiducia in sé stesso come uomo. La stessa
cosa vale per la ragazza nei confronti della madre.
Altre influenze
98
trambi i fattori. Come regola, l’omosessualità ma
schile è il risultato della combinazione delle defi
cienze dei due genitori.
In relazione a questo, dobbiamo notare che in un
buon numero dei nostri casi esistevano dei problemi
profondi fra i genitori. Detti problemi erano general
mente di questo tipo: a volte la madre era evidente
mente la personalità più «forte», dominante fra i due,
che costringeva il marito ad appartarsi. A volte la
madre soffriva di essere trascurata dal marito e la sua
insoddisfazione la conduceva a essere più vicina a
uno dei propri figli. In genere, una donna ha la
tendenza naturale a fare di un uomo del suo ambien
te il «suo uomo»; se non ha un legame emotivo col
proprio marito, essa può cercarne uno sostitutivo nel
legame con un figlio.
Naturalmente, possono aver luogo diversi tipi di
tensioni nella coppia. Essi hanno la loro origine in
svariate abitudini egocentriche e nelle modalità an
cora infantili di agire e reagire che ciascuno di noi
porta nella vita matrimoniale. L’incidenza di relazio
ni matrimoniali soddisfacenti è, comunque, statisti
camente più bassa fra i genitori di persone inclini
all’omosessualità che non fra i genitori di figli che
non abbiano sviluppato questo complesso. Questo ci
aiuta a comprendere ancora una volta che l’omoses
sualità non è un fenomeno limitato a chi ne è affetto,
ma è anche sintomo di uno squilibrio nella famiglia
e non raramente di discordia fra i genitori.
Viceversa, le personalità dei genitori, le loro rela
zioni reciproche e con i figli, nonché la prassi attuata
nell’educazione dei figli stessi, non sono i soli fattori
predisponenti all’omosessualità. All’interno della
famiglia, alcuni dei seguenti altri fattori possono
99
contribuire a uno sviluppo del genere: posizione nel
la serie dei figli, proporzione fra ragazzi e ragazze,
rivalità tra i figli o problemi esasperanti. Per esem
pio, secondo certi studi, gli uomini con inclinazioni
omosessuali erano, più di frequente che gli eteroses
suali, i figli più giovani di famiglia numerosa. Que
sto suggerisce una maggiore iperprotezione da parte
della madre e forse un padre più anziano e più di
stante. Alcuni uomini con questo complesso prove
nivano da famiglie in cui prevalevano i maschi, si
tuazione che può aver provocato nella madre la ten
denza a trattare uno dei propri figli più come una
figlia. Un ragazzo potrebbe inoltre essere incorag
giato a sviluppare questo complesso dal vedere sé
stesso come il più debole, il meno virile dei suoi
fratelli, come risultato del suo paragonarsi a loro, o
del loro modo di tormentarlo o di metterlo in ridico
lo. Il fattore «essere tormentato» è stato estrema-
mente importante per un certo numero di persone
che ho visto affette da questo complesso d’inferiori
tà. Il paragone con un certo fratello che veniva con
siderato come più risoluto e più vigoroso sembra
essere stato, in altri casi, il fattore che ha fatto pen
dere la bilancia nella direzione sbagliata.
Infine, dobbiamo mettere in rilievo l’influenza di
fattori predisponenti, quali l’immagine di sé stesso
come di essere brutto e fisicamente debole. Un ra
gazzo può aver sofferto per un certo tempo per l’idea
di essere flaccido, malaticcio, asmatico, troppo bas
so, troppo magro o troppo grasso. Queste immagini
di sé venivano percepite come varianti di un essere
«non-uomo», non forte e attraente come un maschio.
Il risultato del fattore parentale di cui sopra e di
altri fattori può essere una perdita di mascolinità nel
100
comportamento e negli interessi, e in particolare la
perdita della capacità di osare e della fiducia in sé
stessi nelle attività giovanili, come il lottare. Il ra
gazzo rifugge da quelle attività dicendo: «Non sono
per me». Per esempio, le ricerche rivelano che la
maggior parte degli uomini con questo complesso
hanno avuto una dichiarata avversione infantile per
il gioco del calcio e altri giochi di gruppo. Detti
giochi sono più o meno l’incarnazione dell’attività
dei ragazzi nella nostra cultura; essi richiedono di
affrontare di buon grado la competizione con altri
ragazzi e un certo spirito di lotta, e sono indice della
capacità di adattamento al gruppo di coetanei5.
Il passo successivo nello sviluppo del complesso
omosessuale è decisivo. Si tratta del paragone che fa
il ragazzo fra sé stesso e i coetanei dello stesso
sesso. Se un ragazzo che ha alle spalle le influenze
familiari negative che abbiamo descritto riuscisse
tuttavia a oltrepassare la soglia delle attività dei ra
gazzi e a entrare così nel loro mondo — magari con
l’incoraggiamento di altri, per esempio — il pericolo
di un’evoluzione omosessuale sarebbe scongiurato.
Ma le cose spesso non prendono questa strada posi
tiva e, invece di conquistarsi una posizione fra gli
altri ragazzi, il ragazzo scoraggiato si ritira, oppresso
dalla sensazione di insufficienza e dall’autocompas
sione. Se riesce a farsi un amico, si tratta di uno
spostato come lui; si sente solo ed emarginato. Non
di rado un ragazzo simile viene messo in burletta per
la sua mancanza di audacia, perché è «una ragazzi
na», perché è «una zitella», e cose simili.
Parecchi sono passati attraverso un periodo di pre
adolescenza o di adolescenza fatto di solitudine e di
depressione. Allora comincia il terzo passo nel pro
ib ì
cesso che evolve. Il ragazzo sogna di essere come gli
altri e di avere un amico che sia simile a loro. Il
desiderio omoerotico di compassione e di conforto si
associa all’esordio delFautodrammatizzazione.
Sotto il profilo statistico, l’omosessualità è più
strettamente collegata a questi fattori di «adattamen
to sociale», o «fattori di parità», piuttosto che ai
fattori concernenti i genitori o le situazioni familia
ri6. Il dramma interiore di questi uomini quando
erano bambini o adolescenti era che non potevano
effettivamente sentire di far parte della comunità dei
ragazzi.
102
ta»; «È stata ricoverata parecchie volte in un ospeda
le psichiatrico»; «Ha abbandonato la famiglia
quand’ero ancora bambina»; e così via.
A volte la ragazza ha dovuto assumere lei stessa il
ruolo materno per il resto della famiglia essendo la
sorella maggiore, per esempio, o in casi in cui la
madre non funzionava a dovere come madre e que
sto le ha fatto sentire la privazione del calore di una
madre che la comprendesse.
La madre può essersi sentita inibita nella sua rea
lizzazione come donna o non essersi sentita a pro
prio agio nel ruolo femminile. Questo ha ispirato un
atteggiamento critico, per esempio, verso quello che
essa vedeva come ruolo femminile e ha trasferito
quell’atteggiamento alla propria figlia. La ragazza
ha quindi sviluppato un atteggiamento di rifiuto ver
so il proprio lato femminile. Alcune donne lesbiche
avevano l’idea che la loro madre avrebbe preferito
un maschio al posto loro e perciò hanno imitato
comportamenti e realizzazioni da ragazzo al posto di
quelli propri di una ragazza.
Alla fiducia di una ragazza in sé stessa come
donna contribuisce in primo luogo la madre. Quando
una madre riesce a far sì che sua figlia si senta
apprezzata come donna, la ragazza si sentirà a pro
prio agio nel mondo femminile e fra le sue coetanee.
Nelle donne a tendenza omosessuale, molto spesso
la relazione con la propria madre non era personale
e confidenziale; non vi era partecipazione a interessi
femminili, nessuna attività svolta insieme nella sfera
femminile. Di conseguenza, la ragazza non si senti
va valutata come una ragazza: vale a dire, diversa da
un ragazzo, ma altrettanto degna di valutazione.
Sembra anche che abbiano luogo considerevoli
103
variazioni nel modello delle relazioni padre-figlia.
Alcune donne a tendenze lesbiche erano eccessiva
mente attaccate al padre come a un «amico specia
le». A volte questo attaccamento era per loro più o
meno una forzatura in quanto il padre le voleva in un
ruolo specifico, così che la relazione non era natura
le e scevra da coazione. A volte il padre avrebbe
preferito che quella figlia fosse un figlio, un compa
gno, e stimolava in lei certi ruoli, interessi e realizza
zioni da maschio. Egli dava un’importanza spropor
zionata, per esempio, ai suoi risultati professionali a
scuola o alle sue prestazioni sportive o alle sue rea
lizzazioni in importanti ruoli sociali. Comprensibil
mente, la ragazza nel suo intimo si sentiva incom
presa e non realisticamente accettata come la perso
na che di fatto essa era.
In altri casi, il padre vedeva nella figlia l’appoggio
e il conforto di una figura materna. Egli aveva un
atteggiamento di lode nei suoi confronti e la metteva
in una posizione privilegiata, ma in realtà con questo
comportamento si comprava la sua dedizione a sé. Si
sono avuti anche padri dalla personalità debole, che
si appoggiavano eccessivamente alla propria mo
glie. In tutti questi casi, i legami emotivi con il padre
rimangono fissati nell’«intima bambina del passato»
della donna lesbica adulta.
Invece altre donne con questo problema non erano
la «ragazza di papà», ma erano piuttosto, o tali si
vedevano, la figlia non desiderata e non accettata.
Essa era spesso da lui criticata, ne sentiva il disprez
zo o almeno la mancanza d’interesse per lei. Com
portamenti e interessi mascolini ipercompensativi,
in alcune di queste donne possono essere ascritti a
reazione verso questo atteggiamento di non accetta
104
zione da parte del padre. Di conseguenza, la ragazza
ha imparato a vedere il ruolo maschile come supe
riore e ha cercato di rivestirlo. Di nuovo, le sensazio
ni negative verso il padre come pure gli sforzi ma
scolinizzanti ipercompensativi, fatti allo scopo di
vivere al suo livello e di conquistarsi così il suo
apprezzamento, confluiranno nel complesso nevro
tico.
Per concludere, una buona e normale relazione
padre-figlia è statisticamente meno frequente nelle
donne a tendenza omosessuale che in quelle a ten
denza eterosessuale.
Altre influenze
105
co-agiscono e si rafforzano reciprocamente, sia nelle
ragazze sia nei ragazzi.
Una parte delle ragazze che successivamente ha
sviluppato un complesso lesbico si comportava ap
punto in un certo modo meno da ragazza o meno da
donna rispetto alle coetanee; questo produceva in
esse un senso di insicurezza in fatto di femminilità,
con possibili reazioni ipercompensative, quali l’as
sumere atteggiamenti di trascuratezza e indifferen
za, di capeggiare e dominare, cercando di superare i
ragazzi in mascolinità, osando tutto, comportandosi
in modo aggressivo, essendo rustiche e dure. Esse
possono aver sviluppato un manifesto disamore per
i comportamenti, gli abiti e le attività domestiche
femminili. Questa autoaffermazione maschilista
ipercompensativa è comunque contrassegnata dalla
perdita della naturale dolcezza. È imo strafare: si può
percepire la sottesa tensione emotiva.
Con questo non si vuol dire che tutte le donne con
questo complesso tendano a comportarsi in modo
«maschile»; e neppure che le donne che assumono
quegli atteggiamenti debbano necessariamente ave
re inclinazioni lesbiche; ma esiste una correlazione
fra questi due lineamenti. Comunque, un comporta
mento eccessivamente maschile nelle donne è quasi
sempre segno di un complesso d’inferiorità.
Il fattore principale dello svilupparsi di un’incli
nazione lesbica è il paragone che una ragazza fa con
le coetanee del medesimo sesso o con certe donne
«ideali» più mature. Come nel caso dei ragazzi, il
fattore cruciale è soggettivo, vale a dire, la percezio
ne che la bambina ha di sé stessa. Per questa ragione,
talvolta, anche se non sovente, una ragazza il cui
comportamento sia oggettivamente del tutto femmi
106
nile può sviluppare un simile complesso.
Nell’adolescenza, una ragazza vuole avere delle
amiche ed essere una di loro. La sua solitudine e il
suo senso di emarginazione produce la smania di
essere come le amiche ammirate o come alcune
figure di donna ideale. Se una ragazza si sente priva
ta dell’affetto e della comprensione di sua madre, si
può volgere a un tipo ideale di donna che possiede ai
suoi occhi le caratteristiche materne desiderate: per
esempio, un’insegnate affezionata e accomodante o
una ragazza più grande che si presenta con atteggia
menti materni. La ragazza che si autocommisera
vuole l’attenzione esclusiva del proprio idolo e le si
aggrappa: «Se solo volesse darmi il suo amore!»
«La lamentela di molte donne lesbiche era che ben
poche di esse avevano potuto trovare delle effettive
amicizie nella loro adolescenza», scrivono gli psico
logi americani Gundlach e Riess nel loro resoconto
di una ricerca effettuata su oltre 200 donne social
mente bene adattate che soffrivano di questo com
plesso8. L’intima «bambina lamentosa» continua ad
alimentarsi degli stessi sentimenti che aveva in gio
vinezza: inferiorità, solitudine, autocompassione e
un’insaziabile bramosia.
Note
107
«Journal of Consulting and Clinical Psychology», 33
(1969), pp. 129-135; J. R. S n o r t u m e altri, Family Dyna
mics and Homosexuality, in «Psychological Reports», 24
(1969), pp. 763-770; N. L. THOMPSON e altri, Parent-
Child Relationships and Sexual Identity in Male and Fe-
male Homosexuals and Heterosexuals, in «Journal of
Consulting and Clinical Psychology», 41 (1975), pp. 120-
127; G. W. STEPHAN, Parenthal Relationships and Earìy
Social Experiences of Activist Male Homosexuals and
Male Heterosexuals, in «Journal of Abnormal Psycholo
gy», 82 (1973), pp. 506-513; M. S ie g e l m a n , Parental
Backgrounds ofMale Homosexuals and Heterosexuals, in
«Archives of Sexual Behavior», 3 (1974), pp. 3-18; G. J.
M. VAN DEN AARDWEG, De faktor «klaagziekte», neurose
en homofilie, in «Psychologica Belgica», 13 (1973), pp.
295-311.
2L’autore ha trattato più ampiamente tale questione in
G. J. M. VAN d e n A a r d w e g , Parents of Homosexuals:
Not Guilty?, in «American Jourmal of Psychotherapy»,
38 (1984), pp. 180-189.
3 1. B ieber - T. B ie b e r , Male Homosexuality, in «Ca-
nadian Journal of Psychiatry», 24 (1979), pp. 409-422.
4G. J. M. v a n d e n A a r d w e g , De neurose van Coupe-
rus, in «Nederlands Tijdschrift voor de Psychologie», 20
(1965), pp. 293-307.
5 I. B ie b e r e altri, Homosexuality: A Psychoanalytic
Study, cit.; R. B. E v a n s, Childhood Parental Relations
hips of Homosexual Men, cit.; N. L. THOMPSON e altri,
Parent-Child Relationships and Sexual Identity in Male
and Female Homosexuals and Heterosexuals, cit.; G. W.
STEPHAN, Parenthal Relationships and Early Social Ex
periences ofActivist Male Homosexuals and Male Hete
rosexuals, cit.; E. S b a r d e li n i - E. T. S b a r d e li n i , H o -
mossexualismo masculino e hossexualismo feminino:
108
Neuropeismo efatores psicológicos na infància, rapporto
di ricerca non pubblicato, Universidade Católica, Depart
ment of Psychology, Campinas, Sào Paulo 1977.
6 È stato obiettato che deficienze del tipo di quelle
descritte nelle relazioni genitori-figli di persone a tenden
ze omosessuali hanno luogo solamente in coloro che fan
no ricorso allo psicanalista o allo psichiatra. Questo non è
vero. Come nel caso dei test sulla personalità (si vedano
più sopra le note al capitolo 4, nn. 19-22), le statistiche e
le osservazioni a questo proposito sono state realizzate su
gruppi di ogni tipo, ivi compresi campioni di omosessuali
socialmente bene adattati e che svolgono una normale
attività.
7 Fra gli studi sull’argomento cito: E. B e n e , On thè
Genesis of Female Homosexuality, in «British Journal of
Psychiatry», 111 (1965), pp. 815-821; E. K a y e e altri,
Homosexuality in Women, in «Archives of General Psy
chiatry», 17 (1967), pp. 626-634; F. E. K e n y o n , Studies
in Female Homosexuality: Psychological Test Results, in
«Journal of Consulting and Clinical Psychology», 32
(1968), pp. 510-513; M. W. K r e m e r - A. H. R if k in ,
Early Development of Homosexuality: A Study ofAdole-
scentLesbians, in «American Journal of Psychiatry», 126
(1969), pp. 91-96; R . H. G u n d l a c h - B. F. R ie s s , Self
and Sexual Identity in thè Female: A Study of Female
Homosexuals, in New Directions in Mental Health, a cura
di B. F. Riess, Grane & Stratton, New York 1968; D. W.
SWANSON e altri, Clinical Features of thè Female Homo
sexual Patient: A Comparison with thè Heterosexual Pa
tient, in «Journal of Nervous and Mental Disease», 155
(1972), pp. 119-124.
8 R. H . G u n d l a c h - B. F. R ie s s , Self and Sexual
Identity in thè Female: A Study of Female Homosexuals,
cit.
109
7. COME AGISCE IL COMPLESSO
OM OSESSUALE
111
relazioni di maggior durata che gli uomini a tenden
za omosessuale, in nessun caso le loro relazioni
durano più di qualche anno. La dipendenza nevroti
ca dalle sensazioni di brame insoddisfatte — in altre
parole, la lamentela nevrotica — li tiene nei suoi
artigli e li costringe a correre dietro a sempre nuove
illusioni.
2. Il desiderio omosessuale è transitorio e superfi
ciale. I desideri omosessuali e i desideri di calore e
di compassione a essi associati possono venire per
cepiti come la cosa più bella e più profonda nella vita
di una persona. Già questo è un autoinganno. I sen
timenti omosessuali, a volte esaltati come «puro
amore» e come amore più profondo di quello tra
marito e moglie, in realtà non hanno nulla a che
vedere con il vero amore. Si tratta di amori incentrati
su sé stessi. Questo «amore» è un chiedere, persino
un supplicare amore e attenzione. È un fatto eviden
ziato dal modo in cui abitualmente finiscono le rela
zioni omosessuali. Il partner serve a soddisfare le
necessità di un io infantile, ma non è realmente
amato nel suo essere. Come risultato, si può vivere
aggrappati al partner e allo stesso tempo provare in
realtà una profonda indifferenza per lui. È significa
tivo che queste persone possano parlare delle loro
passate relazioni senza alcuna emozione, come bam
bini che hanno buttato via un giocattolo al quale non
sono più interessati.
3. Le persone con inclinazione omosessuale, così
come altri nevrotici, soffrono di autocompassione
compulsiva. Non tutte esprimono la propria auto
compassione e la tendenza all’autocommiserazione
con parole drammatiche e lamenti verbali. Quando
però si arriva a conoscerle un po’ meglio, diventa
112
quasi sempre chiaramente percepibile un sottofondo
di autocompassione. Tendono a pensare in termini di
problemi e timori; alcune sono evidentemente ipere-
motive; altre sono più del tipo lamentoso e piagnu
coloso; altre sono ipercritiche nei confronti di sé
stesse e degli altri; alcune si lagnano regolarmente di
malesseri fisici (che drammatizzano), altre soffrono
di depressioni, passano con cadenze regolari attra
verso «crisi nervose» o si lamentano della solitudine,
della propria apatia, delle proprie difficoltà nei rap
porti umani, ecc. La vera allegria e l’autentica gioia
sono esattamente l’opposto di questa dolente infer
mità. E vero che alcuni omosessuali recitano la parte
del burlone, del faceto, ma a un più attento esame
dietro questa recitazione si può riconoscere il bam
bino depresso e che si compiange. Quello può essere
un modo puerile di attirare l’attenzione e l’ammira
zione sull’io infantile. Vi è sempre una soggiacente
agitazione.
4. Le persone a inclinazione omosessuale hanno
una sorta di fame di attenzione, che si può incanala
re in diversi modi. Possono aggrapparsi agli altri per
assorbire la loro attenzione. Possono presentarsi in
consapevolmente come vittime e fare appello ai sen
timenti di compassione degli altri per averne aiuto e
protezione. Alcune possono imporsi al proprio am
biente; altre tiranneggiano l’ambiente come talvolta
fanno appunto i bambini. Anzitutto esse cercano
l’attenzione di un certo partner desiderato, ma que
sta richiesta di attenzione può generalizzarsi come
un modo prevalente di mettersi in relazione con gli
altri.
5. Un'altra caratteristica universale del nevrotico
è l'essere incentrato su sé stesso. Ciò implica che
113
sentimenti e pensieri girino in gran parte attorno
all’io, e si diventa incapaci di un vero interesse e di
un vero amore per gli altri. «Mio marito consuma gli
altri del suo ambiente», mi ha detto una volta la
moglie di un uomo sposato omosessuale, «ma è
incapace di dare amore: non sa che cosa sia». Quan
to più il complesso omosessuale è predominante
nella vita emotiva di una persona, tanto più questa
descrizione le si adatta.
6. Il «bambino che si commisera» nell’adulto
mantiene la vita emotiva di questi a un livello di
immaturità anche in altri settori, oltre a quello ses
suale. L’infantilismo emotivo delle persone che han
no un complesso omosessuale fanno sì che esse si
comportino e pensino come bambini, e in particolare
che reprimano la normale crescita emotiva, in una
misura che dipende dalla forza del complesso.
7. Il fatto di essere in parte rimasto bambino ri
guarda anche il rapporto con i genitori. Perciò gli
uomini con questo complesso hanno più spesso un
certo «legame con la madre» o serbano un atteggia
mento di rimprovero e ostilità verso il padre a moti
vo di un «legame negativo con il padre». Inversa
mente avviene per la donna lesbica. Il legame stabi
litosi con i genitori può contenere elementi ambiva
lenti: qualcuna può avere un rapporto di dipendenza
dalla madre e allo stesso tempo tendere ad attaccar
briga con lei per scaricare la propria irritazione nei
suoi confronti.
8. U «intimo bambino di un tempo» conserva at
teggiamenti e sentimenti infantili nei confronti
dell’altro sesso. L’uomo omosessuale può continua
re a detestare le donne allo stesso modo che l’adole
scente in passato le vedeva come intruse nella pro
114
pria vita o come rivali che gli volessero carpire i
compagni, o semplicemente come «quelle stupide
ragazze» saccheggiatrici del mondo dei ragazzi. Egli
può sentirsi ancora inferiore e timoroso di fronte a
loro, vergognandosi della propria scarsa virilità. Può
anche continuare a vedere certe donne come figure
protettrici, materne, premurose, e non come femmi
ne adulte di esseri umani con le quali poter entrare in
relazione come uomo adulto. In modo analogo, la
«ragazzina che persiste nella donna lesbica» può
continuare a vedere gli uomini attraverso lenti defor
manti per avversione, invidia, timore o fastidio.
9. Le persone con inclinazione omosessuale han
no difficoltà ad accettare pienamente la propria
identità sessuale, la cosiddetta «identità di genere».
L’uomo sente le cose maschili come non pertinenti a
sé stesso; la donna lesbica si trova a disagio nelle
cose femminili. È tuttavia sbagliato pensare che, nel
proprio intimo, questi uomini si sentano donne o le
donne lesbiche si sentano uomini.
10. Infine, non è superfluo rilevare che un com
plesso omosessuale è solo una parte della persona
lità totale di una persona. Una persona come un
tutto è qualcosa di più della sua personalità infantile,
anche se è vero che alcune persone a tendenza omo
sessuale possono impressionare proprio per la loro
immaturità. Se guardiamo più attentamente, scopria
mo che ogni uomo o donna afflitto da omosessualità
ha parecchie qualità e tendenze da adulto. Per il fatto
che il nostro studio concerne la parte infantile della
loro personalità, possiamo dare l’erronea impressio
ne che si tratti di persone totalmente malate. In real
tà, lo psicoterapeuta tratta proprio con la parte adulta
della personalità omosessuale e ad essa in gran parte
115
fa riferimento; ed è proprio da questa parte che ci si
può aspettare una realistica visione di sé, la buona
volontà e altre energie terapeutiche. La parte adulta
della personalità è anche la più interessante delle
due: essa è viva, mentre l’aspetto infantile dell’io è
più simile a un meccanismo rigido e stereotipato.
Nella vita di tutti i giorni noi vediamo per lo più una
mescolanza degli aspetti maturi e di quelli infantili
della personalità.
La bisessualità deriva da questa struttura a doppia
personalità: l’inclinazione sessuale che deriva dalla
parte più adulta, quando essa si è sviluppata, si dirige
all’oggetto maturo della sessualità, cioè il sesso op
posto. Il «bambino che si commisera», d’altra parte,
spinge la sessualità verso i suoi oggetti immaturi.
Poiché una parte della personalità bisessuale elide
l’altra, è evidente che l’eterosessualità di queste per
sone non è completamente sviluppata.
116
8. LA VIA CHE PORTA
A L CAM BIAM ENTO
118
spesso raggiunto, ma forse spesso non lo è, almeno
non entro un periodo di tempo anche piuttosto lungo.
Dovremmo sempre ricordare che il desiderio di spo
sarsi di certe persone a tendenze omosessuali spesso
è motivato da lamentele infantili, come quella di non
essere come gli altri; pertanto il matrimonio è desi
derato non in sé stesso, ma come una soluzione
infantile per mettersi alla pari con «loro». La lamen
tela infantile sulla propria solitudine può essere
un’altra delle principali motivazioni del desiderio di
sposarsi. Per cominciare, l’attaccamento nevrotico
alla lamentela «io non sono sposato» deve essere
smantellato. La persona deve accettare totalmente la
propria situazione: sia la situazione interiore sia
quella sociale.
Il primo tratto della strada che porta al cambia
mento consiste nell’uscir fuori dall’inclinazione
omosessuale. Ciò richiede di solito alcuni anni. Con
quanto esposto sopra sull’omosessualità, dovrebbe
essere chiaro che la compulsività del comportamen
to omosessuale è solo parte di una complessa strut
tura di tendenze comportamentali infantili. Ne con
segue che la diminuzione dell’interesse omosessuale
va in parallelo con il calo graduale dei sentimenti
d’inferiorità e di autocommiserazione egocentrica.
Uno psicoterapeuta che abbia in cura qualcuno per
una nevrosi omosessuale dovrebbe cominciare
esplorando il passato del paziente, il suo modo di
vedere sé stesso, i propri genitori, i fratelli e i com
pagni di giochi, nell’infanzia e nell’adolescenza, co
me pure la sua storia omosessuale. Queste interviste
procurano allo psicoterapeuta un’idea globale della
nevrosi del paziente e quasi sempre un buon filo
conduttore sui suoi sentimenti infantili di sofferenza
119
più o meno compulsivi, come se venissero dall’e
sterno del proprio io («Mi ha colto...», «Sono stato
assalito da...», ecc.). Ogni paziente impara a ricono
scere il proprio «bambino autocommiserante» dalle
sue peculiarità individuali. La tematica principale
della commiserazione è specifica per ogni singolo
caso e ci sono sempre delle varianti individuali sul
tema principale di lamentela. Le lamentele principali
vengono ripetute nella mente dell’adulto.
Parecchie persone in cura per una nevrosi omoses
suale arrivano a comprendere che nelle loro emozio
ni trova attuazione una tendenza cronica all’auto
commiserazione. Questa è chiaramente osservabile,
oppure possono vederla come un sottofondo emoti
vo di segno negativo, che spesso svuota le sensazio
ni e le esperienze positive. Queste persone si rendo
no progressivamente conto che le loro sensazioni di
infelicità non traggono origine dai problemi della
loro vita, da situazioni esterne, o da altre persone,
bensì dalla forza negativa che sta dentro di loro.
Naturalmente, il paziente deve essere onesto con
sé stesso se vuole trarre vantaggio dal nostro metodo
di autosservazione e di autoanalisi. Non è lusinghie
ro per l’io infantile di una persona dover continua-
mente ammettere che sentiva, pensava e agiva come
un bambino e, ancor più, che indulgeva all’autocom
miserazione. Ammettere pienamente significa non
cercare scuse o spiegazioni, nessun «sì, ma», ed
evitare di accusare altre persone o «le circostanze».
Per superare la resistenza al pieno riconoscimento
delle sensazioni di «povero me!» il paziente deve
dare un’opportuna scrollata alla puerile importanza
che dà al proprio io. In questo modo, un passo dopo
l’altro, l’atteggiamento infantile di commiserazione
122
egocentrica assume evidenza e cala di tono come
costruzione teoretica.
Quando una persona ha acquisito introspezione,
inizia un periodo di lavoro e di sforzo. La parte
adulta della persona, la sua volontà, cerca in un
modo o nell’altro di arrestare le tendenze infantili
riconosciute, usando i metodi che sembrano appro
priati. La forza del complesso diminuisce perché gli
abiti egocentrici di pensiero e di azione non vengono
più «alimentati» e, in particolare, perché viene com
battuta l’autocompassione infantile.
Inevitabilmente, una benintenzionata persona a
tendenze omofile troverà sulla propria strada l’osta
colo della dipendenza dal piacere. La tendenza omo
sessuale è stata decisamente rafforzata in parecchie
di queste persone dal fatto che esse l’hanno soddi
sfatta con un partner o nella loro immaginazione
(masturbazione). Per rompere l’abitudine di ricadér
vi ci vuole non solo l’accertamento — pur sempre
necessario — del suo carattere infantile, ma anche
forza di volontà e pazienza. Il ricadere in questo
abito infantile di autoconsolazione può essere spe
cialmente facile in certe occasioni, quali momenti di
affaticamento, di umiliazione, di senso d’inferiorità
o senso di solitudine.
Come abbiamo visto, la fantasia omosessuale era
nata come soluzione illusoria di un dramma interiore
e il piacere della sua soddisfazione spesso significa
molto di più che una semplice gratificazione sessua
le. Come è abbastanza comprensibile, lo sforzo di
abbandonare queste puerili gratificazioni sessuali
(nella fantasia o nella pratica omosessuale) di solito
incontra notevole resistenza.
Se una persona vuole cambiare in profondità, cioè
123
crescere al di là del proprio infantilismo o «puerili
smo», le si richiede un continuo sforzo di volontà. A
volte ciò significa semplicemente dire di no a ten
denze riconosciute come puerili. Altre volte vuol
dire che devono essere fatte certe cose che costano
una buona dose di sforzo e un certo coraggio. Come
psicoterapeuta dedito in modo particolare a scoprire
espressioni di autocommiserazione, spesso alleno i
miei pazienti ad applicare alcune tecniche di umori
smo, intese a neutralizzare le svariate manifestazioni
di questa fondamentale emozione nevrotica. Sorri
dere e ridere dei propri infantili atteggiamenti di
«povero me!» e delle proprie infantili lamentele può
essere molto efficace nel minarne la virulenza. L’esi
to di tali tecniche quale la «iperdrammatizzazione»
dell’autocompassione del bambino interiore dipen
de comunque dalla volontà del paziente di usarle
nella vita quotidiana.
La lotta interna che dev’essere intrapresa sulla
parte nevrotica della mente implica contemporanea
mente parecchie cose. Per esempio, si deve tagliare
con la ricerca di attenzioiier>smettere l’abitudine e
rifuggire con timore da una serie di situazioni e
comportamenti, smontare l’eccessiva indulgenza
verso sé stessi e l’autovezzeggiamento, correggere
le visuali distorte di sé e degli altri (passando da
quelle infantili a quelle più mature), guarire la dipen
denza dall’intima commiserazione. Le lamentele di
minore intensità devono essere dominate con l’ac
corgimento di interromperle di punto in bianco dopo
averle coscientemente riconosciute come lamentele
infantili. Tale accorgimento è efficace in parecchie
situazioni in cui la persona si rende conto di un
intimo atteggiamento negativo, piagnucoloso o sen
124
timentale. Altre lamentele richiedono tecniche più
sofisticate. L’interesse per gli altri deve essere ap
preso o rafforzato; dev’essere sviluppata la capacità
di amare e di donare. Un atteggiamento ironico nei
confronti di sé stessi può facilitare tutto questo. Chi
impara a trattare il proprio io infantile con sana
ironia, sminuisce in sé la seriosa sensazione della
propria importanza. Quanto meno questo io si sente
importante o degno di compassione, tanto più può
avere il sopravvento la personalità adulta e tanto più
il malcontento infantile cederà il posto a sentimenti
più fiduciosi e più lieti. La persona perde gradual
mente la sensazione di essere un debole e si fa più
stabile, più ottimista, più serena.
Iperdrammatizzazione
125
zioni infantili — scopo dell ’autosservazione e del
l’autoanalisi — non riescono a liberare chi soffre di
forme nevrotiche. Occorre il supporto di forze emo
tive che possano controbattere le forti emozioni in
fantili di autocommiserazione: la ricerca di attenzio
ne, il desiderio di essere importante, ecc. L’emozio
ne suscitata dal sorriso e dal riso ha la capacità di
raggiungere l’io infantile.
Il paziente che è capace di riconoscere il funziona
mento del proprio «bambino interiore» nella vita di
ogni giorno può trarre vantaggio dalle tecniche del-
l’autoumorismo. Egli viene allenato ad applicarle
immediatamente, non appena abbia riconosciuto
un’espressione di commiserazione infantile. A que
sto punto egli immagina il proprio «bambinetto»
stare di fronte a sé in carne e ossa, oppure nella sua
immaginazione vede sé stesso come il «bambino»
che era nel passato. Incomincia a parlare con questo
«bambino» allo stesso modo di chi compassiona un
altro in modo caricaturale. Dice al «bambino» quale
enorme compassione egli susciti; accumulando una
serie di ragioni fantasiose per le sue lamentele, fa
scorrere davanti agli occhi di questo «bambino» un
dramma amplificato (iperdramma) imperniato sulle
lamentele. Farò un rapido esempio per fornire i tratti
salienti di questa tecnica.
Un paziente omosessuale si è sentito oltraggiato
dal proprio capo, che gli aveva preferito un’altra
persona per rappresentarlo a un incontro di lavoro.
La sensazione di autocompassione verbalizzata era
la seguente: «Il mio capo mi ritiene privo di valore e
non mi considera affatto». Questa lamentela aveva
una ramificazione: un senso di gelosia per il proprio
collega. Dopo essersi reso conto che questo era il suo
126
«bambinetto» in azione, l’uomo iperdrammatizzò
come segue: «Poverino, hai dannatamente ragione
nel piangere a calde lacrime per questo torto. È stato
veramente un caso d’inaudita violenza contro un
bambino innocente. Tu, che lavori sempre instanca
bilmente senza alcuna gratificazione, sei stato chia
mato dal tuo capo con un urlo, come se stesse chia
mando il suo cane. Tutto tremante, ti sei presentato
davanti a lui alla presenza dei tuoi colleghi, che
erano tutti seduti su comode poltrone. Uno, il Colle
ga Preferito, era seduto su un seggio decorato in
modo tutto speciale, con un grosso e costoso sigaro
in bocca (un regalo del capo), e sorrideva con aria di
sufficienza mentre ti avvicinavi. A questo punto il
capo tirò fuori solennemente una pergamena, ne rup
pe il sigillo e cominciò a leggere ad alta voce: “Con
la presente io sottoscritto dichiaro questo miserabile
disadattato (tu!) completamente inadatto a rappre
sentarmi. Esprimo i sentimenti del più profondo di
sgusto nei suoi confronti. Fortunatamente, però, c’è
da queste parti un Uomo di straordinaria superiorità
che compensa questo mucchio di stracci: il Collega
Y”. Allora tutti si complimentano con il Collega Y,
gli gettano fiori e stappano in suo onore delle botti
glie di champagne, mentre deridono te e ti gettano
uova marce. Tu sei stato là, con la camicia inzuppata
di lacrime. Infine sei caduto sulle ginocchia e ti sei
trascinato fuori dalla stanza nel freddo della via,
dove piangi e le tue lacrime si confondono con la
pioggia battente...». Se necessario, l’uomo può con
tinuare con la visione drammatica del trionfo del
proprio collega. Per esempio, si può figurare che
quel collega gli passi accanto in una Rolls Royce con
autista. Il commiserante, nei suoi abiti consunti e
127
logori, dovrà subire l’umiliazione che il collega apra
il finestrino e lasci cadere la cenere del proprio siga
ro sulla sua testa.
Il paziente potè rendersi conto di quanto fosse
comprensibile che la sua sensazione di essere stato
oltraggiato fosse seguita dal desiderio omosessuale
come reazione autogratificante. Una possibile iper-
drammatizzazione per questo desiderio secondario,
frutto compulsivo dell’autocommiserazione, avreb
be potuto essere la seguente: «Sì, ora hai realmente
bisogno di una cosa: che qualcuno ti dimostri con i
fatti un vero e caldo amore. Un caldo braccio intorno
alle tue spalle, due occhi maschili ma mossi da pro
fondo sentimento che ti guardino con profonda com
miserazione, un amico che bisbigli al tuo orecchio
che ti puoi sedere per sempre sulle sue ginocchia, il
tuo braccìno magro intorno al suo collo, mentre la
sua grande mano, pelosa e muscolosa, accarezza la
tua faccia di bambinetto malaticcio, ecc.». Il pazien
te impara a costruirsi il proprio repertorio di storie e
scene iperdrammatiche e a usarle quando si rende
conto di una lamentela infantile.
Nella fantasia è possibile ogni cosa: può inventare
le situazioni più assurde assecondando il proprio
senso umoristico, purché esse si riferiscano diretta-
mente alla lamentela percepita. Egli impara anche a
formulare delle varianti e delle forme abbreviate di
questa tecnica. Per esempio, egli tratta il proprio
«bambino» interiore come «il mio povero ragazzo!»,
dicendo: «Quel rilievo critico che hanno fatto sul tuo
conto era una cosa schifosa! Ora il Presidente della
Repubblica proclamerà una giornata di Lutto Nazio
nale a tuo favore!». Oppure, più semplicemente,
«Povero ragazzo! Questa sarà la tua morte!». Quan
128
to più vivida egli vede davanti ai propri occhi la
scena immaginaria, quanto più egli vede caricatural
mente degno di compassione il proprio «bambino»
all’atto della commiserazione, tanto maggiore è la
traccia che lascia tutto questo. Un’iperdrammatizza-
zione efficace fa sì che una lagnanza svapori, rapida
mente o gradualmente. È consigliabile qualunque
procedimento possa suscitare il sorriso o il riso su
una lagnanza. Il metodo è applicabile persino con
manifestazioni di orgoglio infantile ipercompensa-
torio. Per esempio: «Sei proprio meraviglioso! La
tua azione (o rilievo, o relazione, ecc.) era da mozza
fiato. Posso già vedere la statua che erigeranno qui,
proprio in questo posto: tu su un alto cavallo, come
Napoleone, con la mano abbandonata con noncuran
za sul panciotto...». Per quanto possa sembrare faci
le, mettere in pratica P autoumorismo richiede una
forte determinazione. Sorridere sul proprio io auto
compassionevole è l’ultima cosa che si vorrebbe fare
nel momento in cui si è impastoiati da una lagnanza
infantile.
La guarigione
129
persona non prende più troppo sul serio questo
aspetto dell’io. L’interesse omosessuale presenta a
lungo alti e bassi, ma viene sentito sempre meno
incombente. Svanisce in maniera poco appariscente,
in funzione della progressiva crescita di un’emotivi
tà sempre più positiva e matura.
Il cambiamento nei confronti della sessualità de
v’essere visto come parte del riorientamento emoti
vo totale. Gli omosessuali che vogliono esser «cura
ti» hanno spesso una visuale comprensibilmente ri
stretta di che cosa dev’essere cambiato e tendono a
prestare attenzione quasi esclusivamente ai cambia
menti nelle loro sensazioni sessuali. È vero che un
reale e profondo cambiamento sessuale rispecchia
anche il cambiamento in altri settori mentali, ma
l’effetto di una terapia o di un’autoterapia (quale è in
gran parte il nostro procedimento) non lo si deve
misurare anzitutto in termini strettamente erotici. I
cambiamenti nei sentimenti sessuali sono più o me
no dei «sottoprodotti» e compariranno sicuramente
quando e a misura che il «bambino lamentoso» del
paziente sarà stato fatto morire di fame. Non è per-
tantoconsigliabile che lo psicoterapeuta e il paziente
fissino l’attenzione e facciano ruotare le conversa
zioni sulla sessualità. Le misure decisive del cambia
mento sono il livello di lamentela del paziente e del
suo generale infantilismo emotivo. Naturalmente,
ogni cambiamento in questi fattori esercita un’in
fluenza nell’àmbito erotico, ma il rapporto ha un
carattere gerarchico: quanto più profondamente il
paziente cambia nelle dimensioni fondamentali del
l’infantilismo e dell’autocommiserazione, tanto più
radicale sarà il suo riorientamento sessuale.
Si può dire che, forse nella maggior parte dei casi,
130
la persona passa attraverso uno stadio intermedio in
cui l’inclinazione omosessuale è ormai quasi inesi
stente, ma l’eterosessualità non è ancora risvegliata.
Questo periodo intermedio può durare, in alcuni ca
si, anche anni. La persona «scopre» l’altro sesso
gradualmente oppure all’improvviso, dopo il pro
cesso di maturazione di quegli anni intermedi. Alcu
ni si innamorano una o due volte e concludono con
il matrimonio; per altri occorre parecchio tempo pri
ma che siano capaci di sostenere una relazione ete
rosessuale durevole. Quindi l’intero processo è una
specie di autorieducazione. Generalmente passa per
alti e bassi, con ricadute occasionali. Possono esserci
dei momenti, e persino dei lunghi periodi, di perdita
di speranza. Il decorso del processo varia ampia
mente nei particolari da un individuo all’altro.
Le persone a tendenza omosessuale, persino se
sono in via di principio volenterose di cambiare,
all’inizio hanno seri dubbi di avere realistiche possi
bilità di un profondo miglioramento. Si tratta di
dubbi che si ripresentano periodicamente, nonostan
te che i progressi siano chiaramente percepibili; essi
cessano solamente quando il cambiamento nei senti
menti diventa del tutto evidente. I dubbi affiorano
ogni volta che queste persone ascoltano o leggono le
panzane correnti sull’omosessualità, come: «se sei
omosessuale, omosessuale resti». A un più attento
esame vedremo che questi dubbi sono esattamente
un’altra variante della lamentela nevrotica: «Non
sarò mai normale, è il mio destino: povero me!».
Perciò, la fede e la speranza sono eccellenti barriere
per questi dannosi pensieri, che sottraggono alla per
sona entusiasmo ed energie. Anche un atteggiamen
to realistico è un buon rimedio per questi dubbi
131
paralizzanti: «In ogni caso vedo che devo combatte
re tutto quello che ho riconosciuto come infantile,
come sbagliato, e se persisto nel fare così ho fiducia
che ci saranno dei progressi, anche se questi non
rappresentano altro che un modesto cambiamento».
Tante e tante volte abbiamo avuto la prova che chi
fa lo sforzo acquista felicità. Non deve ossessionarsi
con il dubbio se raggiungerà o no un risultato pieno,
ma si rallegri di ogni passo che fa. Questo è, dopo
tutto, l’atteggiamento mentale che risulta più utile
per portare il paziente più vicino al suo scopo.
Il lavorare su sé stessi, per non dire poi della lotta
contro le proprie abitudini egocentriche e gli attacca
menti indesiderabili, non è un’occupazione che goda
popolarità in questi tempi impregnati di permissivi
smo e lassismo. Certamente molto si è scritto sulle
terapie psicologiche e sono state ideate svariate teo
rie e tecniche terapeutiche. Ma solo una piccola
parte di esse incoraggia a lottare veramente contro i
propri errori e fragilità, per superarli. Raramente la
psicoterapia è poco più che un invito al paziente ad
abbandonarsi al proprio egoismo puerile e persino
all’immoralità. La speciosa esortazione «accetta te
stesso» diventa allora un invito ad arrendersi all’im
maturità, da una parte, e alla repressione della «parte
migliore di sé», dall’altra. (Questa «parte migliore di
sé», o io adulto, può avere la salutare aspirazione a
un’esistenza più matura e può avere normali sensa
zioni di fastidio di fronte all’io infantile, e persino
normali sensazioni di colpevolezza). Piaccia o no, la
realtà psicologica umana è che si deve fare una
scelta fra opposte tendenze. La difesa dell’«accetta-
zione di sé stessi» è spesso un pretesto a favore
dell’infantilismo. L’alternativa di lavorare su sé stes-
132
si è più ardua, ma è l’unico modo per acquistare la
felicità interiore e la pace dello spirito.
Le relativamente poche persone che cercano di
lavorare su sé stesse per liberarsi dalla tendenza
omosessuale non trovano molta gente disposta a
capirle e ad approvarle. Al contrario, esse si imbatto
no in tutti gli scoraggiamenti possibili. Spero che
queste pagine possano aiutarle a rifiutare il falso
slogan «non puoi farci niente».
133
9. IL CAM BIAM ENTO
SENZA PSICOTERAPIA
135
rietà. Era perfettamente credibile». Il caso è ancor
più significativo in quanto viene riferito come effet
tiva guarigione da un uomo che è assolutamente
scettico sulla possibilità di rimediare all’omosessua
lità. «Benché il suo articolo non offra molte speran
ze, io invece, a trentasette anni, sono guarita. Lei può
immaginare la mia felicità: non è comparabile con
qualunque altra cosa. Trentasette anni d’infelicità,
miseria, ricerca di aiuto, preghiera, speranza, ecc.,
durante i quali non vedevo altro nel mondo che la
mia miseria, che mi urtava profondamente. E oltre
tutto con la ferma convinzione che, dopo tanti anni,
avrei dovuto trascinarla con me fino alla morte»:
queste le sue parole. Oltre all’appello alla fede e alla
speranza, questo passo contiene una breve frase
molto istruttiva, sulla quale non vorremmo sorvola
re: «Non vedevo altro nel mondo che la mia miseria,
che mi urtava profondamente». È un bell’epitaffio
per la sua vita nevrotica di prima, che ne sintetizza
gli elementi essenziali: l’eccessivo egocentrismo
delle sensazioni di autocommiserazione. Essa vede
va il proprio atteggiamento di prima con una oppor
tuna ironia, che sembra irridere al suo drammatico
«povera me!» del passato.
Come è avvenuto tutto questo? Essa era infermie
ra e spesso s’innamorava di donne più vecchie di lei
(«questo mi occupava completamente, era come una
nube intorno a me») e una volta tentò il suicidio
dopo che una di quelle relazioni finì nel nulla (non
ha mai avuto rapporti omosessuali). La donna si
sentì completamente perduta e voleva disperatamen
te liberarsi delle proprie ossessioni. Forse è proprio
una depressione così penosa che predispone uno al
cambiamento, giacché peggio di così non si può. In
136
questo stato mentale, essa incontrò un sacerdote,
comprensivo ma in pari tempo realista, il quale,
dopo averne ascoltato con partecipazione le lamen
tele, fece alcune osservazioni pungenti che le diede
ro una scossa. «Ogni volta che lo lasciavo, sentivo
che ero stata rivoltata sottosopra, che mi aveva lava
to il cervello. Ma una volta egli disse una cosa che
non dimenticherò mai: “Ragazza mia, lei non è affat
to matura: lei ha solamente sedici anni”. Quella stes
sa sera, alle 21.30, nella mia stanza, aH’improwiso
ho visto tutto chiaramente». Essa collocava lucida
mente il proprio «cambiamento» a quel preciso mo
mento di autoanalisi curativa. Era una bambina, dai
comportamenti e sentimenti di una bambina. Quel
l’uomo le aveva aperto gli occhi facendole vedere la
sua «bambina interiore» e, dal momento in cui l’ave
va riconosciuta, era sulla strada della guarigione.
Dopo aver visto la propria personalità infantile, si
era messa vigorosamente d’impegno a superarne i
diversi aspetti. Chiamava tutto ciò il suo «adatta
mento», il «cambiare binario» verso «una società
reale, mentre prima vivevo in una società quale la
vedevo io». Dovette scoprire la realtà, mentre prima
era vissuta in un mondo troppo soggettivo, di carat
tere emotivo. «Prima, io venivo vissuta». Ciò espri
me con chiarezza la sua ossessione nevrotica, domi
nata da un’emotività che confondeva la realtà. Il
nevrotico vive nell’atmosfera di emozioni modellate
sulla lamentela e, quindi, in una realtà distorta. «La
gente deve aver pensato di me: che persona inge
nua!», ed era in realtà una bambina che giudicava
l’ambiente circostante dal punto di vista e con i
sentimenti di una bambina. L’«adattamento» che ha
avuto luogo dopo il suo riconoscimento di essere una
bambina «durò forse un anno»: un periodo che giu
dico molto breve.
Questa donna, non solo descrive il proprio cam
biamento come abbandono della propria infanzia,
ma anche come scomparsa di un complesso d’infe
riorità. «Avevo un grave complesso d’inferiorità»,
dice. «Prima, ogni cosa e ogni persona era sempre
superiore a me». Inoltre, essa riferisce il cambia
mento avvenuto nella propria sensazione di vergo
gna: prima si vergognava di cose delle quali non
aveva motivo di vergognarsi; erano sensazioni d’in
feriorità. Il senso d’inferiorità si manifestava anche
sotto forma di esagerata sottomissione. «Una volta
facevo ogni cosa per chiunque. Ancora oggi faccio
delle cose per la gente, ma c’è sempre un “ma”.
Forse anche questo è insensato, che prima non pen
sassi a me stessa». Il suo senso d’inferiorità aveva
assunto questa forma: «Non sono affatto buona. De
vo servire chiunque perché sono l’ultima di loro».
La donna ricorda la sua gelosia di prima, la sua
antica mancanza di reali sentimenti di simpatia per la
gente che soffre, nonostante il suo atteggiamento di
aiuto (egocentricità), il suo diverso atteggiamento
verso Dio (un tempo, figura punitiva che le incuteva
paura; ora, invece, la riempiva di gratitudine e di
rispetto); i movimenti nervosi della bocca che prima
aveva, il suo camminare ansioso vicino ai muri delle
case invece che in mezzo al marciapiede. «Nulla è
rimasto immutato». Qui troviamo la comune espe
rienza che un omosessuale guarito assume una «per
sonalità nuova di zecca»; la guarigione dell’omoses
sualità è in primo luogo e soprattutto un cambiamen
to emotivo o un cambiamento di personalità.
Che cosa si può dire del cambiamento erotico di
138
questa ex-lesbica? «Un tempo gli uomini non susci
tavano nulla in me, proprio nulla. E io non avevo mai
nemmeno pensato al matrimonio. Quando sono di
ventata grande, la relazione sessuale fra uomo e
donna era per me una cosa strana; non riuscivo a
capirla e non mi diceva niente. Un uomo provocava
in me la stessa reazione che avrebbe provocato un
gatto». Da tutto questo si può sicuramente conclude
re che era rimasta una bambina, neppure un’adole
scente, nel suo sviluppo erotico. La prima scossa,
rappresentata dal riconoscimento di essere rimasta
ferma all’infanzia, le dischiuse una grande gioia e un
senso di sollievo. «Il mondo intero era mio: mi sen
tivo tanto felice. Non avevo desideri nei confronti né
di donne né di uomini». Il corso degli eventi è clas
sico, come per parecchi casi in via di guarigione: la
gioia spazza via gli interessi omoerotici (che sono
lamentele, e quindi l’opposto della gioia e della feli
cità); il paziente passa attraverso uno stadio in cui
sembra assente qualsiasi componente erotica nelle
due direzioni. «Solo negli anni successivi è gradual
mente apparso l’interesse erotico per gli uomini». Le
emozioni eterosessuali possono manifestarsi libera
mente solo dopo che è scomparsa la sessualità ne
vrotica, basata suH’autocommiserazione; come dice
questa donna, tale processo può durare qualche tem
po: ha i caratteri di un processo di crescita. Quando
si risveglia, l’eterosessualità ha le caratteristiche del
l’interesse dell’adolescente per diversi uomini con
temporaneamente, di infatuazioni plurime: «Mi pare
che avrei voluto sposare tutti gli uomini allo stesso
tempo». Alla fine, questo stadio fu superato; essa ha
acquistato la calma e ha sposato quello che oggi è
suo marito. Aparagone con le sue ossessive preoccu
139
pazioni sessuali di un tempo, ha sentore di «essersi
liberata di quelle faccende sessuali»: se si tien conto
che la donna ha 44 anni al tempo di quella ricerca,
ciò va interpretato come un segno di maturità. Del
suo interesse lesbico di un tempo essa dice: «È come
una gamba che sia stata tagliata e che non può ricre
scere. Non riesco ancora a capacitarmi di come ab
bia potuto essere fatta a quel modo per tutti quegli
anni; non riesco più nemmeno a comprenderlo».
Questo effettivo cambiamento — al punto che le sue
sensazioni lesbiche di un tempo le sono diventate
difficilmente immaginabili — durava già da sette
anni quando fece queste dichiarazioni: un periodo
più che sufficiente per convalidare i risultati.
Sommando gli importanti fattori di guarigione che
possono essere identificati nella sua storia, gli psico-
terapeuti antilagnanze vi riconosceranno un certo
numero di elementi che sono loro familiari: il rifiuto
di tutto cuore a identificare irrimediabilmente sé
stessa come omosessuale, che porta a un’ottimale
apertura mentale verso ogni spunto che potesse indi
rizzare a un cambiamento; il riconoscimento del pro
prio «io bambino» o autoanalisi; la lotta per superare
gli orientamenti infantili nel pensiero e nelle abitudi
ni; l’onestà verso sé stessa; la fiducia nel suo «psico-
terapeuta», il quale è stato l’uomo giusto per lei, che
si è reso conto del suo infantilismo e le ha dato il
giusto tipo di comprensione e di supporto.
La conversione religiosa
140
suale a seguito di una conversione religiosa. In gene
rale, faremmo bene a essere scettici su queste storie,
a motivo della possibile insorgenza di un autoingan
no nella personalità nevrotica, che le potrebbe far
credere quello a cui essa vorrebbe ardentemente cre
dere; questo, naturalmente, fino a quando un serio
esame critico abbia fugato i nostri dubbi. Ho esami
nato diverse persone che affermavano di essere state
«guarite» da una conversione religiosa, ma che in
realtà non lo erano. Di fatto esse rifiutavano e disap
provavano con tale veemenza i loro interessi omo
sessuali, oppure inconsciamente assumevano la par
te dell’«omosessuale cambiato», aggrappandosi a tal
punto alla loro nuova religione da sembrare che la
loro nevrosi fosse semplicemente scivolata da un
tipo di ossessione a un altro. È tipico il fatto che
queste persone non rispondono a tono a domande
sulla loro attuale vita erotica o sull’esatta natura
delle loro sensazioni sessuali, e si mettono invece a
fare un sermone, come per persuadere gli altri — e
sé stessi — di avere effettivamente fatto un cambia
mento. Questo genere di autoinganno, in realtà, non
è dubbio privilegio di coloro che hanno tentato la
strada della religione allo scopo di cambiare. Si deve
tenerne d’occhio la possibilità anche nel corso di
ogni procedimento di psicoterapia; a volte la volontà
del paziente di essere normale è troppo compulsiva
e, su questa base, cerca di persuadere sé stesso di
essere effettivamente cambiato. L’omosessuale reli
gioso, inoltre, può essere egoisticamente felice di
appartenere a un gruppo religioso o persino di essere
un membro importante di esso (come «il convertito»
o «il predicatore»).
Tuttavia, conosco parecchie persone la cui guari-
141
gione, ottenuta mediante un’attiva vita religiosa, ho
potuto verificare dopo ripetute conversazioni in cui
ho accuratamente analizzato le loro sensazioni e i
loro atteggiamenti. Esse parlavano con calma e sen
za inibizioni delle proprie emozioni e dei propri
atteggiamenti; non evadevano le domande dirette,
ma davano anzi risposte dirette, mentre non manife
stavano un’esagerata voglia di persuadermi. Ritengo
che questi casi siano forse più numerosi di quanto
non si potrebbe pensare, poiché parecchi di essi
preferiscono restare anonimi e non diventare esempi
pubblici dell’«omosessuale convertito e guarito». In
alcuni di questi casi sono perfettamente sicuro che
ogni sia pur piccolo impulso omosessuale sia scom
parso da parecchi anni e che le loro sensazioni siano
diventate eterosessuali. Inoltre, essi si erano liberati
di parecchie turbe emotive, stati depressivi e ansiosi,
ed erano diventati considerevolmente meno egocen
trici nei loro pensieri e sentimenti. È piuttosto carat
teristico che essi potessero parlare del proprio passa
to con umorismo. Tutti loro sottolineavano l’impor
tanza della volontà: «Come omosessuale, uno può
lamentarsi, desiderare di cambiare, ecc.», diceva
uno di loro, «ma in realtà è troppo bello per lui
volere realmente liberarsi di tutto quello. La sua
volontà è una mezza volontà: questo è il grosso
problema». Intervistate alcuni anni — o, in due di
questi casi, persino parecchi anni — dopo l’avvenu
to cambiamento nell’inclinazione omosessuale, tutte
quelle persone dicevano che il cambiamento emoti
vo era stato in loro graduale e che al presente prova
vano ancora qualche senso d’inferiorità in alcune
situazioni, anche se non ne erano seriamente distur
bate, poiché lo provavano solamente come una pic
142
cola intrusione nel loro senso di benessere.
Dalle mie conversazioni con omosessuali nei qua
li l’avvenuto cambiamento aveva una valenza reli
giosa, ho avuto la conferma generale che è stato
veramente importante per loro trovare la fede, la
certezza nella vita, un profondo significato nella loro
vita personale, e che quella scoperta li ha fatti sentire
felici, ha dato loro un grande ristoro ed è stata la
sorgente di gioiose emozioni. Questo ha fatto veder
loro il proprio problema omosessuale come una cosa
secondaria, spogliandolo della preminente impor
tanza che un tempo aveva nella loro coscienza psi
chica: hanno smesso di esserne ansiosi e di compian
gersi per esso. Allora si sono resi conto che era
importante cercare e compiere la volontà di Dio e
non la propria: veniva così avviato il processo di
risoluzione dall’egocentrismo.
Una donna ex-lesbica mi disse: «Non ho servito
Dio con le mie lamentele. Ho cercato di fare quello
che pensavo volesse da me, e questo è stato tutto un
programma. Questo è stato ciò che, gradualmente
ma radicalmente, ha cambiato la mia vita». Possia
mo comprendere i salutari effetti di tale cambio di
atteggiamento. Il nevrotico, persona egocentrica che
pensa in modo preminente a sé stessa, sottomettendo
la propria volontà alla volontà di Dio, cioè a mete
che stanno fuori di sé, viene liberato da sé stesso. In
questo processo egli indubbiamente verrà a scoprire
quanto vivesse orientato su sé stesso (sul suo io
infantile, vorrei dire). Il riorientamento che smonta
questo «io» sarà spesso arduo e penoso, perché pre
suppone il sacrificio di un certo numero di cose che
erano molto care a quell’«io» infantile. Inoltre, esso
implica meditazione, preghiera, studio della Bibbia
143
e dottrina per conoscere la «volontà di Dio», che è il
nuovo scopo della vita2.
Nel corso di questo processo, le ossessioni o i
desideri omosessuali scompaiono dalla coscienza
psichica della persona e compaiono gli interessi ete
rosessuali, senza che la persona stessa sia eccessiva
mente polarizzata sull’argomento. L’effettivo cam
biamento è vissuto ai livelli più centrali della perso
nalità e i cambiamenti degli interessi sessuali vengo
no vissuti come conseguenza più o meno naturale
del cambiamento di base. Di conseguenza, non si
può parlare in simili casi di «sublimazione dell’omo
sessualità», dato che la sublimazione essenzialmente
non è nient’altro che distrazione dell’attenzione;
spiegazione questa che sembra più adeguata per i
casi di «nevrosi a sfondo religioso» di cui abbiamo
parlato sopra.
John V.
144
sazioni. Egli ammetteva che, in linea di massima,
può avere immaginato che si potessero verificare
delle ricadute in rapporti omosessuali, in circostanze
eccezionali, ma che pensava anche che fosse molto
improbabile che si verificasse una simile eventuali
tà. «Voglio dirle», ha chiarito, «che non posso ri
spondere alla sua domanda così formulata (“Non
può neppure immaginare di avere mai un rapporto
omosessuale, sia pure in circostanze straordinarie?”)
con un netto “No” e che l’immaginazione di un
rapporto omosessuale mi ispiri un disgusto fisico».
Secondo i criteri più restrittivi, allora, il suo cambia
mento non può essere considerato perfetto; vista
però la pressoché completa assenza per parecchi
anni di impulso omosessuale nella sua fantasia o
coscienza, e vista anche la presenza di interessi ete
rosessuali, il risultato finale non può che impressio
nare chi studia senza pregiudizi l’omosessualità. Ci
terò le note autobiografiche di John V., non perché il
suo cambiamento sia il più radicale che io abbia
visto, ma perché la sua narrazione contiene delle
osservazioni su alcuni fenomeni che accadono spes
so nel corso del cambiamento di un omosessuale,
quale la sua selvaggia, disperata e infantile capitola
zione di fronte a quello che ha visto essere la propria
salvezza — il movimento pentecostale, nella fatti
specie4 — i suoi periodi di profonda disperazione
come pure quelli di gioia esaltante e, dopotutto, il
fatto che il cambiamento ha avuto luogo ed è consi
stito in una normale crescita o in un processo di
apprendimento, che possono facilmente essere tra
dotti in termini psicologici.
Essendo stato diagnosticato come omosessuale
«primario» o «nucleare» e come irrimediabilmente
145
tale da un noto sessuologo, e poiché viveva dedito
all’omosessualità, verso i trent’anni non riusciva a
essere emotivamente soddisfatto delle sue amicizie
omosessuali, sentendole intimamente come qualco
sa di contrario ai propri sentimenti religiosi. Comun
que, sentimenti religiosi a parte, egli scoprì che il
vivere da omosessuale non poteva renderlo felice.
146
[città olandese] e fu orribile. All’ultimo momento ho
pensato che non sarei stato capace di resistere alla
rottura fra noi due. Per tre anni eravamo vissuti
insieme e ci eravamo amati. Io ero nervosissimo e ho
pianto parecchio. Ma fu come se una forza sovruma
na mi rendesse capace di sganciarmi da lui. Al mio
arrivo a Rotterdam mi sono sentito rilassato per la
prima volta in parecchi anni, come se fosse stato
tolto un pesante fardello dalle mie spalle».
147
sì pure, ho cominciato a vedere la normale relazione
uomo-donna sempre più nel modo giusto».
1A 9
dirò che non si lamenta e non è incline a patetici
sentimentalismi, nonostante che la sua autobiografia
dica chiaramente che un tempo la sua personalità era
altamente drammatica e incline alle lagnanze. Come
ho detto sopra, non vorrei spiegare il processo di
denevrotizzazione di John V. come qualcosa di so
prannaturale. Le emozioni religiose, come sa ogni
psicologo che abbia dimestichezza con i lavori di
William James o di Maslow, appartengono alla cate
goria delle esperienze più forti che possano interes
sare l’intera vita emotiva di una persona. Nel caso di
John V., queste esperienze sono descritte come mo
menti in cui si è aperto un varco la speranza e una
gioia esaltante; di per sé non hanno neutralizzato la
sua nevrosi omosessuale, ma gli hanno dato una base
emotiva di segno positivo da cui partire: l’ottimi
smo, un senso di felicità e una chiara visione della
propria vita come ricca di significato. Inoltre, gli
venne data la certezza che la sua omosessualità sa
rebbe stata reversibile, non essendo compatibile con
la sua reale natura di uomo creato da Dio. Infine, la
convinzione religiosa ha alimentato la ripulsa di
ogni sentimento omofilo e di tutte le cose a esso
collegate, in quanto ritenute peccaminose, negative
e miserevoli. Non dovremmo sottovalutare l’ultimo
fattore, poiché il nevrotico omosessuale è molto at
taccato alle proprie bramosie come a qualcosa di
prezioso, grande, bello e foriero di felicità. Come
risultato, dobbiamo affermare che una conversione
religiosa può fornire a un omosessuale la speranza e
l’energia di cui ha bisogno per la sua lotta.
L’omosessuale che vuol guafire ha estremo biso
gno di questi ingredienti, poiché la disperazione in
cui vive è grande, la sua dipendenza è forte, la sua
1/tq
volontà di lottare è spesso una mezza volontà, mina
ta dal negativismo inerente alla sua compulsione
all’autocommiserazione. Le esperienze religiose
possono temporaneamente collocarlo in un nuovo
mondo interiore; ma poi deve lottare con costanza,
perché esse non allontanano definitivamente la sua
nevrosi. Esse servono come fonti di energia e di
motivazione, mentre il processo psicologico di cam
biamento consiste in un costante e radicale «far mo
rire d’inedia» le emozioni nevrotiche: un processo
decongestionante, si potrebbe dire. Non deve stupi
re, perciò, che richieda qualche tempo, né che ne
facciano parte grandi o piccole ricadute. Come lo
stesso John V. osserva riguardo al risveglio della
propria eterosessualità, «vi si cresce lentamente».
L’esperienza religiosa sembra scatenare le «risorse
interne»: forza di volontà, introspezione ed emozio
ni positive; esse fanno sì che la persona lotti real
mente e le forniscono la necessaria spinta motivazio
nale per continuare. Sarebbe contrario al criterio
scientifico trascurare questi fatti empirici, benché
possa immaginare che alcuni ricercatori psicologi
possano opporre resistenza a prenderli in seria con
siderazione.
Una guarigione come quella di John V. non è un
miracolo religioso, che ha luogo in un attimo. Ci
sono degli omosessuali che confondono le proprie
esperienze religiose con una guarigione psicologica
o che predicano guarigioni istantanee ottenute me
diante la conversione religiosa («fede terapeutica»).
Secondo me, essi sono destinati alla delusione. Essi
pregano, pregano e pregano, ma «nulla accade loro»,
contrariamente a quanto si aspettano. Mentre in altri
casi essi si convincono spasmodicamente di avere
150
«scacciato il loro demonio». La vera prova di una
guarigione, invece, è data da una seria analisi del
l’intera vita emotiva di una persona, ivi compresi gli
aspetti sessuali. Un omosessuale realmente guarito è
tutto fuorché una personalità coartata, isterica o fa
natica: si sente rilassato, è realistico nelle introspe
zioni e non ha nulla da nascondere a sé stesso.
I casi di omosessuali che hanno conseguito un
cambiamento senza psicoterapia ci ricordano che
«molte sono le strade che portano a Roma». Peraltro,
questi omosessuali sembrano avere grossomodo se
guito lo stesso percorso psicologico: essi hanno in
qualche modo «ridotto alla fame» la propria tenden
za infantile all’autocompassione con i concomitanti
egocentrismo, senso d’inferiorità e ansie infantili.
Tutta la casistica conferma, inoltre, l’affermazione
di Hatterer secondo cui la «volontà di cambiamento»
è una condizione essenziale per il miglioramento, e
il processo stesso di cambiamento implica uno sfor
zo, rappresentando un processo di crescita pilotato
dalla volontà5.1 fenomeni ai quali si va incontro nel
corso di questo processo sono: ricadute pressoché
universali; periodi di scoraggiamento; aumento del
l’introspezione; comparsa di interessi eterosessuali
solamente dopo che sia stata superata, almeno in
buona parte, l’inclinazione omosessuale; un periodo
di consolidamento, che può durare diversi anni dopo
il cambiamento di fondo. Tuttavia, vorremmo invita
re a una terapia più sistematica, che unisca gli ele
menti salutari analizzati sopra e faccia uso della
nostra conoscenza teoretica dell’omosessualità co
me patologia da autocompassione infantile. Anche
l’omosessuale motivato da un orientamento religio
so può trarre vantaggio da queste introspezioni, in
151
quanto gli forniscono una chiara struttura intellettiva
per ravvisare la propria nevrosi e, oltre a ciò, gli
danno armi concrete con cui combattere, in modo
che può correre sulla strada che si è scelto con
maggior successo che se fosse privo di una mappa e
di una bussola psicologiche. La terapia antilamente
la è un trattamento sistematico e ora vedremo come
si può leggere la mappa che essa offre e come fun
ziona la sua bussola.
Note
152
biamento come frutto di una lotta sul piano psichico,
motivata e grandemente favorita dalla propria conversio
ne religiosa, dalla preghiera e soprattutto dal cambiamen
to del proprio modo di vivere.
5 L. J. H atter er , Changing Homosexuality in thè
Male, McGraw-Hill, New York 1970.
153
10. EFFETTI DELLA TERAPIA
ANTILAM ENTELA
155
60% del totale del gruppo — circa due terzi hanno
raggiunto almeno uno stadio soddisfacente per un
lungo periodo di tempo. Con ciò intendo dire che le
sensazioni omosessuali sono state ridotte a impulsi
occasionali, mentre la tendenza sessuale è evoluta in
modo predominante verso l’eterosessualità, oppure
che le sensazioni omosessuali sono giunte all’assen
za totale, con o senza una predominanza di interesse
eterosessuale. Delle persone di questo gruppo, co
munque, si può considerare che circa un terzo abbia
avuto un cambiamento «radicale». Ciò vuol dire che
esse non avevano più alcun interesse omosessuale,
ma avevano normali sensazioni eterosessuali, e inol
tre che dimostravano un cambiamento fondamentale
di tutta l’emotività dal negativo al positivo — dalla
instabilità alla normale, ragionevole stabilità — per
un periodo di osservazione di almeno due anni.
Comunque, il «soddisfacente cambiamento» non
ha il carattere di uno stato mentale definitivo. La
persona può continuare a crescere lentamente e inin
terrottamente. Essa passa di solito attraverso nuove
crisi emotive, più o meno serie, e può sfruttare le
esperienze di vita per integrarsi emotivamente a un
livello superiore. Non è eccezionale un tranquillo
progredire, nonostante alti e bassi, nel corso degli
anni.
Per esemplificare, dirò che un uomo che ha inter
rotto i suoi contatti regolari con lo psicoterapeuta a
questo stadio di «soddisfacente cambiamento», si è
innamorato di una ragazza che in seguito ha sposato.
Circa dodici anni dopo l’ho rivisto. Passando in
rassegna la propria vita emotiva del periodo trascor
so, egli mi disse di aver avuto un occasionale stimolo
omosessuale durante il primo anno di matrimonio,
156
ma che questi stimoli lo coinvolgevano emotiva
mente molto meno di quanto non accadesse in pas
sato. Egli aveva avuto la sensazione che tutto questo
accadesse come al di fuori di sé. Queste fugaci fiam
mate erano svanite, ed egli soggiungeva: «Non ri
cordo di aver avuto alcun interesse in quella direzio
ne per parecchi anni. Quando guardo con qualche
interesse erotico un’altra persona che non sia mia
moglie, si tratta sempre di una donna. Se il mio
matrimonio dovesse naufragare, cercherei rapporti
intimi non con uomini, ma con donne». Era anche
vissuto per qualche tempo incline a chiudersi in sé
stesso, taciturno e mesto, in particolare dopo dissa
pori matrimoniali (anche la moglie non era total
mente scevra da meccanismi infantili). Comunque,
egli è riuscito a riconoscere questi suoi abiti reattivi
come ripetizione di reazioni della propria infanzia,
quando si sentiva disapprovato, e le identificava co
me provenienti da residui del proprio «bambinetto
degno di compassione». Questo lo ha portato a do
minare il proprio piagnisteo infantile. Quando giudi
cava obiettivamente che il comportamento della mo
glie fosse irragionevole, era capace di trarre la con
clusione: «Questo non ti dà il diritto di sentirti infe
lice in te stesso». In conclusione, era diventato molto
più maturo col trascorrere degli anni. A questo pun
to, uno scettico può far notare che solamente un
terzo di coloro che hanno proseguito la terapia è
cambiato radicalmente. Sono d’accordo sul fatto che
questi risultati sono ben lungi dall’essere perfetti,
tuttavia ciò non consente un’interpretazione fatali
stica di questi dati. Ritengo che ci siano buoni motivi
per considerare il bicchiere mezzo pieno anziché
mezzo vuoto. I casi di cambiamento radicale — da
157
una totale omosessualità a una normale eterosessua
lità — bastano a respingere la teoria che la terapia
dell’omosessualità sia senza senso. Proprio per il
fatto che pochi omosessuali cercano seriamente di
cambiare e che pochi psicoterapeuti li incoraggiano
a farlo, l’idea che l’omosessualità sia irreversibile ha
il carattere tautologico di una self-julfilling profecy.
Se nessuno ci prova, nessuno ci riuscirà. Perché
dovremmo assumere un atteggiamento fatalistico
verso le possibilità di miglioramento dell’omoses
sualità quando una ragionevole percentuale migliora
sostanzialmente?
I risultati ottenuti come incidenza di guarigioni da
altre nevrosi sono all’incirca identici a quelli dell’in
cidenza di guarigioni per malattie fisiche non ancora
curabili in tutti i casi. Dovremmo desistere solo per
ché possiamo ottenere successo solo in una parte dei
casi?
Tenuto conto di quanto sopra, ritengo che si debba
essere ottimisti sulla guarigione dall’omosessualità.
Circa il 20% degli omosessuali sottopostisi a tratta
mento sembra non cambiare in modo percettibile.
Tuttavia, alcuni miglioramenti si possono avere an
che in questi, anche se generalmente si tratta di
nevrotici gravi e usi ad avere una molteplicità di
rapporti sessuali, profonde depressioni, sensazioni
di vacuità della propria vita. Penso, per esempio, a
un uomo col quale sono stato periodicamente in
contatto per oltre quindici anni. Io sono probabil
mente l’unica persona con la quale può parlare libe
ramente. Era profondamente nevrotico, ossessionato
da numerose lamentele e da impulsi sessuali che
sempre detestava. Nonostante il mio scetticismo cir
ca la possibilità che qualche progresso potesse anco
158
ra verificarsi dopo tanto tempo, egli cominciò a rife
rire di aver superato le profonde depressioni a sfon
do suicida e di dover ammettere di essere in genere
più tranquillo e ottimista. E tale era di fatto il suo
comportamento.
Da casi del genere possiamo imparare a non ab
bandonare mai la speranza. Non è mia convinzione
che solo questa terapia basata sul problema dell’au-
tocompassione possa modificare una nevrosi omo
sessuale; però sono sicuro che la scoperta del «bam
bino lamentoso» e l’uso delle tecniche dell’autoiro
nia possono essere di grande aiuto per coloro che
sono decisi a contrastare la propria nevrosi. Queste
tecniche stimolano le forze salutari della mente: la
sana introspezione, l’interesse alla conoscenza di sé
e, soprattutto, la forza di volontà. Forze analoghe
agiscono probabilmente anche nei cambiamenti che
si danno in omosessuali senza alcun intervento tera
peutico.
La maggior parte delle persone a tendenze omo
sessuali presenta il complesso omosessuale in quella
che chiamerei una «forma blanda». Anche in essi
l’emotività infantile può aver affondato profonde
radici e creato forti abiti nevrotici, ma se esiste la
volontà di combatterli in modo perseverante si può
avere una favorevole prospettiva di guarigione radi
cale.
Per mostrare che cosa può fare la terapia antila
mentela, vorrei presentare alcuni esempi tratti dalla
mia esperienza personale. Il primo esempio è un
caso dall’evoluzione moderatamente positiva. Ri
guarda un giovane che ebbe un miglioramento fati
coso; mi sembra che esso rappresenti un’intera cate
goria di casi similari.
159
Ben
160
cominciato a idealizzare questo amico, fantastican
do di sé stesso nel ruolo del povero ragazzo al centro
dell’attenzione di quello. Si tolse dal pensiero la
moglie e il figlioletto di quell’uomo; nella sua men
te, diventò l’oggetto favorito dell’amore dell’amico
che ammirava, il quale possedeva ogni cosa e al
quale Ben stesso si sentiva inferiore. Di quando in
quando, queste fantasia gli tornavano alla mente
mentre si masturbava. Voleva fare qualcosa per la
propria tendenza omosessuale, che nel frattempo era
diventata un’ossessione. Non voleva cedere; si ver
gognava profondamente delle proprie inclinazioni,
soprattutto perché le vedeva come un’ulteriore pro
va della propria inferiorità rispetto agli altri uomini;
e aveva dei ricorrenti accessi di pianto che rasenta
vano l’isterismo. Era un giovane rammollito, abitua
to a cedere alle proprie voglie e ad evitare tutto ciò
che potesse essergli causa di disturbo e di sforzo. I
suoi tentativi di affrontare il proprio «bambino inte
riore» a quel tempo erano carenti di fermezza. Le
fatiche e le normali contrarietà gli erano sempre state
occasione di autocommiserazione e, quando capì di
dover passare attraverso un prolungato periodo di
sforzi, reagì nel modo che gli era abituale.
Per quanto lenti fossero i cambiamenti, si verifica
rono piccoli miglioramenti. Per esempio, divenne
meno puerilmente geloso dei propri colleghi, com
battendo la lamentela nella quale erano radicati i
suoi sentimenti, e cioè: «Sono inferiore a loro; essi
ottengono attenzione e stima, io invece no: povero
me!». Ridusse la frequenza delle masturbazioni, che
erano per lui una infantile valvola di scarico e, nono
stante l’aspetto piacevole, rafforzavano l’autocom
passione dalla quale esse prendevano origine. Nel
161
tentativo di controbattere il proprio senso d’inferio
rità nei confronti degli sport, si fece socio di un club
sportivo e vi incontrò parecchie situazioni che egli
poteva considerare una sfida. Lentamente, cominciò
a cambiare l’inveterata abitudine di lasciare le deci
sioni agli altri (fra i quali la madre figurava al primo
posto). Spesso, peraltro, evitava di incorrere nell’ir
ritazione della madre e finiva con quella che, di
fatto, era una capitolazione alla volontà di lei. I suoi
attacchi di depressione scomparvero totalmente; non
fu così, invece, per la sottostante struttura che la
alimentava: la cronica autocommiserazione. Conti
nuò a sentirsi degno di compassione di fronte alle
frustrazioni quotidiane, in particolare alle sensazioni
di essere trascurato, di essere incapace, di non riusci
re o di essere escluso.
Finalmente questa autocompassione di fondo si
fece palese in diverse forme. Dopo più di due anni di
psicoterapia si rese conto dei sentimenti d’inferiorità
e di commiserazione che provava in quasi tutte le
compagnie e nei confronti di quasi tutti coloro che
incontrava. Scoprì di essere lui stesso ad assumere
l’atteggiamento «io sono inferiore e faccio compas
sione», e a mettersi immediatamente nel ruolo di
vittima; prima invece era convinto che fosse il mon
do, che fossero gli altri a trattarlo da inferiore.
Molto si potrebbe dire su tutta una serie di intime
scoperte e di cambiamenti minori. Egli fece un effet
tivo passo in avanti, per esempio, quando decise di
non indossare più certi vestiti che aveva acquistato
per vanità infantile, allo scopo di attuare l’ammira
zione e l’attenzione degli altri. La lotta contro l’in
fantile autocompassione e la tendenza a commise
rarsi deve essere combattuta nella vita di tutti i gior
162
ni, in occasione di piccole frustrazioni, dispiaceri,
impulsi di apatia, irritazioni esagerate, stanchezza
dopo il lavoro, e così via. Il caso di Ben non era
diverso. Egli si concentrò sul proprio abito di sfuggi
re le responsabilità e di lamentarsi che le proprie
iniziative fossero destinate all’insuccesso. Dovette
diventare più attivo. La sua fantasia omofila, che si
esprimeva nel cercare certi tipi di giovanotti — al
meno nell’immaginazione — perse gradualmente
molta parte del suo fascino. Naturalmente, si ripre
sentava ancora saltuariamente, quando si sentiva
senza aiuto e senza speranza. A volte emergevano
dei sentimenti di attrazione verso ragazze, special-
mente quando il suo stato d’animo era pervaso di
ottimismo. Recentemente ha avuto una ragazza, an
che se questa relazione sembra piuttosto immatura
(da entrambe le parti, per la verità). Ho l’impressio
ne che Ben veda la ragazza troppo nel ruolo di madre
e non ne sia realmente innamorato, nonostante un
certo interesse eterosessuale nei suoi confronti.
NeU’insieme, il suo progresso è evidente per lo
psicoterapeuta e per la gente che lo conosce bene.
Dopo circa cinque anni, è più indipendente, più uo
mo e più ottimista. Gli interessi omosessuali non
sono scomparsi, anche se hanno perduto intensità e
influenza sulla sua immaginazione. Ha bisogno di
un paio d’anni ancora prima di varcare la soglia della
virilità adulta.
Il signor L.
V
163
modo omosessuale di vivere perché ha perso la fidu
cia che si possa realizzare una relazione durevole.
Ha rilevato che, anche quando a tutta prima pensava
di aver trovato l’amico giusto, invariabilmente fini
va per litigare con lui dopo poco tempo e per rompe
re la relazione. «Perché?», si chiedeva. D’altra parte,
le donne non significavano molto per lui, anche se si
trova bene con loro a un livello superficiale.
Nei suoi modi è più che amichevole e ossequioso;
difficilmente esprime un’opinione e, se si aspetta un
disaccordo con le proprie idee, si assoggetta facil
mente. Si lascia oltremodo impressionare dai tipi
maschili aggressivi e dalle espressioni di autorità in
genere. Per esempio, il suo diretto superiore in uffi
cio lo mette in forte tensione e non lo può affrontare
quando è adirato; d’altra parte, ha una smisurata
ammirazione per lui. Il signor L. a volte è depresso e
ci sono periodi nei quali non si sente in forze per
lavorare.
La madre è stata sempre nell’ombra e ha occupato
solo una posizione di secondo piano nella sua vita
emotiva, anche se ho avuto l’impressione che il suo
modo di allevare il figlio sia stato blando e pieno di
attenzioni eccessive. Era il padre, in casa, la figura
centrale; egli decideva ogni cosa e la sua volontà
condizionava anche le piccole cose della gestione
familiare. Il padre è stata la persona decisiva nella
giovinezza del signor L. Egli era in generale aggres
sivo ed era molto esigente e severo verso i figli; ha
inibito lo sviluppo emotivo del figlio. Il signor L. ha
sempre sentito di non essere nei favori del padre. Il
padre non lo incoraggiava mai; il signor L. ha sem
pre avuto l’idea che suo padre lo considerasse il
meno interessante dei fratelli e lo ritenesse un debo
164
le. I suoi fratelli eccellevano in diversi sport, mentre
lui si sentiva decisamente inferiore in quel campo.
Più tardi, cercò una compensazione buttandosi nelle
corse automobilistiche, ma il complesso d’inferiori
tà non diminuì.
Il signor L, ricorda una quantità di brutte esperien
ze fatte durante l’adolescenza, che hanno plasmato il
suo successivo complesso d’inferiorità: commenti
critici e ironici da parte di suo padre, che egli temeva
e ammirava allo stesso tempo; insuccessi negli sport;
periodi di solitudine nella propria stanza; sensazioni
di essere offeso. Con esse è andato affiorando il
desiderio di essere apprezzato da un amico dall’at
teggiamento paterno. In effetti, a vent’anni aveva
avuto un buon amico, nei confronti del quale si
comportava più o meno come uno schiavo. L’amico,
comunque, si era trasferito a un’altra parte del Paese
e si era poi fidanzato. I sogni omoerotici di consola
zione del signor L. si intensificarono.
Il processo di cambiamento fino al momento in
cui sto parlando è durato circa tre anni. Per molto
tempo il signor L. visse un dissidio interiore. Si
rendeva conto di non poter rinnovare la propria vita
senza fare un repulisti, che avrebbe dovuto riguarda
re molto di più di quanto inizialmente costituiva
oggetto delle sue lamentele: gli episodi depressivi e
la sua incapacità ad avere delle relazioni omosessua
li durevoli. Egli incominciò a vedere chiaro il com
portamento del proprio «bambino interiore» e a rivi
talizzare parecchi comportamenti infantili: nel suo
caso, il sentirsi facilmente insultato e umiliato, il
sentirsi inferiore quanto a comportamento e a risul
tati rispetto ad altri maschi del proprio ambiente,
l’indulgere all’autocompassione quando era solo
165
nella sua stanza, il sentirsi oltremodo contrariato in
circostanze di poco rilievo, il commiserarsi del pro
prio stato fisico mentre in realtà era sano e forte. La
sua sincerità gli fu di grande aiuto. Avrebbe voluto
reagire con suscettibilità quando gli venivano espo
ste certe realtà della sua vita e certe motivazioni, ma
riuscì a vedere qualcosa di vero nelle osservazioni
che gli facevo, nonostante la resistenza. Egli, inoltre,
applicò le tecniche dell’autoironia e dell’umorismo
nei confronti delle manifestazioni della propria in
fantile commiserazione («povero me!») a parecchie
situazioni della vita di tutti i giorni.
Divenne più indipendente rispetto agli altri uomi
ni. Non abbiamo passato molto tempo a discutere
delle sue sensazioni e manifestazioni omosessuali;
abbiamo parlato solamente del suo comportamento
non-sessuale nei confronti dei partners con i quali
era venuto occasionalmente in contatto nel periodo
della psicoterapia. Gli era chiaro che le sue sensazio
ni erano una mescolanza di sogni a occhi aperti di un
lamentoso adolescente alla ricerca di calore per il
suo povero io interiore e pieno di ammirazione per
l’asserita altrui virilità. Si rendeva conto di essere
andato in cerca di contatti umani illusori che non
avevano nulla a che vedere con l’amore del sospirato
amico. Proprio alla ricerca di un tale amico egli
rafforzava il proprio imprigionamento nell’egocen
trismo e quindi rendeva impossibile sentire una du
revole comunione d’intenti. La lamentela «sono so
lo» si sarebbe ripresentata. Era facile prevedere che
si sarebbe buttato nella sua posizione di isolamento
perché non avrebbe potuto stare senza l’autocom
passione inerente al ruolo di vittima.
Si separò con esitazione dal mondo omosessuale e
166
dal mondo interiore delle proprie fantasie omoses
suali. A volte è ricaduto, impegnandosi di nuovo in
contatti omosessuali, tuttavia senza l’eccitazione di
un tempo. Divenne più consapevole del fatto che
l’intero suo atteggiamento di fronte alla vita e agli
altri era stato di distacco, di non impegnarsi in alcun
ché, di fare la parte dell’emarginato offeso. Perciò
divenne meno cinico e depose la maschera di supe
riorità che assumeva come compensazione. Si rese
conto che avrebbe dovuto dedicare la propria vita a
dei valori, dopo aver accettato l’idea che non è vero
che tutto sia relativo e avendo acquisito la convin
zione che la propria vita personale non fosse priva di
senso, contrariamente a quanto egli pensava in pre
cedenza. Riconobbe che la propria capacità di darsi
agli altri, di amare, era ben piccola. «Ho mai amato
realmente?», si domandava. Cambiò la sua visuale
rispetto alle donne; incominciò a osservarle e a esse
re colpito dal portamento femminile e dalle qualità
fisiche di una certa donna. Ora ha l’impressione di
crescere verso la capacità di avere una relazione
stabile con una donna.
Il signor V.
167
avuto nei confronti del sesso opposto. I suoi «ruoli di
adattamento» di un tempo, quali quelli di ragazzo
affascinante e bonario, si sono afflosciati nel con
fronto personale con una donna, nel quale egli
avrebbe dovuto essere l’uomo. Ogni tanto si lasciava
prendere dal panico; ha dovuto lottare per alcuni
mesi contro i propri sentimenti d’inferiorità e di
autocompassione. C’erano anche dei momenti, co
munque, in cui si sentiva rilassato e in cui poteva
identificarsi con il suo «essere un uomo». Allora
veniva anche risvegliata la sua eterosessualità, men
tre nei momenti di malumore l’eterosessualità sem
brava assopita.
I primi anni di matrimonio sono stati buoni. È
cresciuto continuamente, abbandonando gli infanti
lismi, le ansietà quando si trovava di fronte a una
situazione che richiedeva indipendenza e una certa
dose di normale aggressività, nonché il troppo facile
cedere all’autocompassione quando qualcosa lo
contrariava. Egli guarda ai suoi interessi omofili, che
non ha mai messo in pratica salvo che nella fantasia,
come a una tendenza dell’infanzia che apparteneva a
un passato stadio della vita, quando ancora doveva
trovare la giusta direzione della propria esistenza.
La signorina W.
168
l’intenzione di accettarlo come cosa normale. Que
sto sintomo sessuale appariva l’espressione di un
complesso d’inferiorità che minava da ogni parte la
sua vita emotiva. Era ansiosa in compagnia, pensava
che gli altri la guardassero con disprezzo ed era
spesso depressa; a volte accadeva che reagisse in
modo furioso e ribelle. Quanto alla sua infanzia, che
era stata segnata da problemi e preoccupazioni in
famiglia, voglio solo rilevare l’influenza nefasta del
la mancanza di comprensione che essa sperimentò
da parte della madre e le osservazioni distruttive e
sfiduciate che suo padre era solito farle.
Già fin dalle scuole elementari si sentiva ridicola
e inferiore alle altre ragazze quasi in ogni aspetto:
modo di vestire e di parlare, aspetto fisico e situazio
ne familiare. Per anni si portò dietro un’irrisolta
ferita— autocompassione — circa il proprio infelice
destino; ciò si accompagnò a un generalizzato atteg
giamento di protesta. Nell’adolescenza questo fu un
terreno fertile per la sua ammirazione per le altre
donne e il desiderio di amicizia intima.
Durante il suo processo di miglioramento, un tema
era centrale: diventare meno pessimista. Questo im
plicava che si lasciasse meno guidare da idee auto
critiche sulla propria antipatia, mancanza di valore e
incapacità, dalla trepida attesa di essere vittima di
ogni genere di disgrazia e soprattutto dall’atteggia
mento di autocommiserazione che le faceva dire di
essere «nata per la miseria». Era il classico esempio
di lamentosa e, nonostante che lo riconoscesse, den
tro di sé rimaneva convinta di avere il diritto di
compiangersi. Con l’aiuto della buona volontà, ven
ne a capo delle sue più gravi depressioni; combatte
va la cronica tendenza alla commiserazione e alla
169
ribellione e, come risultato, migliorarono in generale
i suoi stati d’animo. Le fantasie lesbiche l’hanno
molestata ancora per qualche anno, ma infine se ne
liberò. Cercò di accettare il ruolo femminile e a volte
si trovò ad avere ragionevoli successi come donna.
Quanto ai suoi sentimenti verso gli uomini, essi non
erano mai stati completamente assenti, benché non
assumessero mai un ruolo centrale nella sua emoti
vità. Per un po’ di tempo si era impegnata nella
relazione con un uomo all’incirca della sua età, ma,
nonostante il suo affetto per lui e il fatto che fosse
eroticamente interessata a lui, esistevano troppi pro
blemi tra loro e sembrò meglio metter fine a tutto
questo. Potè accettare la propria solitudine, dopo una
breve crisi; oggi ha un normale desiderio di sposarsi
e di avere dei bambini.
* * *
170
l’avere un basso criterio morale, oltre che, natural
mente, l’essere schiavo da lungo tempo di soddisfa
zioni omosessuali.
A parer mio, una cosa è ovvia: una posizione
fatalistica circa la modificabilità dell’inclinazione
omosessuale non è giustificata.
NOTE
171
11. PRfeVENZIONE
173
importanti persone che possono evitare questa cre
scita rachitica nei loro figli sono naturalmente i ge
nitori. Essi devono offrire l’esempio di una normale
relazione uomo-donna. Se il loro matrimonio è saldo
ed essi riescono a creare una ragionevole atmosfera
di affetto e di unione, si riducono considerevolmente
le possibilità di incidenza di qualsiasi complesso
nevrotico, compreso quello omosessuale.
Per quanto concerne come allevare i figli, sia il
padre sia la madre devono aver bene in mente che
devono trattare un ragazzo come maschio e una
ragazza come femmina. Ciò non significa forzarli in
«ruoli prestabiliti», ma cooperare con le propensioni
naturali dei figli, tenendo presenti le innate diversità
di comportamento legate al sesso.
Il principale fattore di prevenzione è Y apprezza
mento da parte dei genitori del ragazzo come ragaz
zo e della ragazza come ragazza. I figli dovrebbero
percepire questo apprezzamento. Come abbiamo già
esposto, deve essere evitata ogni deficienza a questo
riguardo.
I periodi critici per lo sviluppo della fiducia in sé
stessi come uomo o come donna sono la preadole
scenza e l’adolescenza. A questa età, non solo i
genitori, ma anche altre persone all’infuori della
famiglia possono esercitare una benefica influenza.
A volte, per esempio, gli insegnanti possono contri
buire in modo positivo a rafforzare una sana fiducia
nell’identità sessuale dell’alunno; essi possono inco
raggiare e aiutare ciascun ragazzo o ragazza a supe
rare certe limitazioni. Si pensi, per esempio, al ra
gazzo che rimane sistematicamente indietro nei gio
chi e negli sport, che è un isolato nel gruppo dei
coetanei; si consideri l’importanza della compren
174
sione che un insegnante o un altro adulto può espri
mere in una conversazione o in altro modo, aiutando
l’adolescente a evitare il rischio di finire nell’auto
drammatizzazione.
Inoltre, un effetto preventivo è contenuto anche in
ima buona educazione sessuale. Gli adolescenti che
hanno certi tipi di complessi d’inferiorità originari
possono subire uno shock depressivo quando viene
insegnato loro, da parte di un’autorità «illuminata»
quale quella di un insegnante, che «l’omosessualità
è insita nel cervello». Una simile assurdità inchioda
un ragazzo ai suoi dubbi sulla propria identità e può
orientare una mente indecisa e immatura in una dire
zione funesta. Il giovane dovrebbe sentirsi dire, in
vece, che le sensazioni omosessuali nell’adolescen
za rappresentano dei problemi emotivi dello svilup
po e che una vera omosessualità innata non esiste;
inoltre, che questa tendenza risale a un complesso
d’inferiorità che è suscettibile di cambiamento: in
questo modo l’educatore istilla la speranza e indica
una strada sulla quale può essere proseguita la cre
scita interiore.
175
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186
INDICE
3. L’omosessualità è innata?..................................33
Ormoni ........................................................... 36
Ereditarietà......................................................40
Normalità........................................................ 45
187
Siamo tutti bisessuali?.................................... 45
Uno stadio transitorio bisessuale...................... 49
N o te .................................................................51
6. Origine e meccanismi
del complesso omosessuale..................................91
Origine nell’uomo............................................. 91
I rapporti con i genitori.....................................95
Altre influenze.......................................... 98
Origine nella donna.........................................102
Altre influenze................................................. 105
N o te ............................................................... 107
188
John V. ..........................................................144
N o t e ................................................................152
Bibliografia..........................................................177
Indice.................................................................. 187
189