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Sesso: Intervista a Fabrice Hadjadj

Pubblicato il 30 maggio 2011 da Cappellania unipa

Sesso: Intervista a Fabrice Hadjadj


Parla il filosofo francese che invoca una nuova Mistica della carne contro ogni
riduzione dei rapporti a “masturbazione assistita”: «Il tecnicismo e la morale
borghese rinchiudono il desiderio sessuale nel preservativo. È la Chiesa l’unica a non
aver paura di liberarlo fino in fondo»

di Rodolfo Casadei

Conversare con Fabrice Hadjadj, l’autore di Mistica della carne. La


profondità dei sessi, è un’esperienza di grande piacevolezza intellettuale. Attraverso il suo
linguaggio sempre lucido si ha l’impressione di sentirsi trascinati contemporaneamente nel
profondo degli argomenti e verso l’alto, ben al di sopra del ronzio pseudo-pansessualista. Trentotto
anni, francese, nato da genitori ebrei di origini tunisine e convinzioni maoiste, ama presentarsi come
un «ebreo di nome arabo e di confessione cattolica». Al cattolicesimo è approdato dopo una
giovinezza trascorsa tra l’ammirazione degli ideali rivoluzionari della Comune di Parigi e
l’immersione nella lettura dei grandi nichilisti del Novecento. Ha scelto di battezzarsi e diventare
cattolico alla soglia dei trent’anni e se gli domandi perché l’ha fatto replica divertito: «Sono io che
mi chiedo: perché non l’ho fatto prima? ». Fabrice Hadjadj insegna in un liceo e nel seminario
diocesano di Tolone, ma è soprattutto un filosofo, una specie di Nietzsche cattolico, autore di una
decina di libri in forma di saggi e drammi teatrali. Ecco una sintesi della conversazione.

«La nozione di educazione sessuale è problematica, perché la sessualità implica l’esperienza del
desiderio e del suo eccesso. Il desiderio sessuale non si educa così come ci si educherebbe alla
matematica: non è una semplice forma di istruzione. Si tratta di un desiderio che ci fa sentire non
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più padroni di noi stessi. Questa esperienza di spossessamento chiede di essere vissuta pienamente,
e qui si innesta l’esigenza dell’educazione nel senso di un “accompagnamento” del desiderio. Ma
non per contenerlo, spezzarlo, diminuirlo, anzi: per andare fino in fondo. Invece oggi ci sono due
modalità di praticare l’educazione sessuale fra loro opposte, ma entrambe sbagliate. La prima è la
presentazione della sessualità secondo una modalità tecnica, centrata sui temi del rischio per la
salute e della pianificazione familiare, per cui nei licei si dice: “Guardate che attraverso il sesso si
trasmettono malattie e si possono verificare gravidanze”. La gravidanza è messa da subito sullo
stesso piano delle malattie a trasmissione sessuale, e perciò si consiglia il preservativo. Il dono della
vita è messo sullo stesso piano di una minaccia di morte, è visto come una malattia. Di conseguenza
l’educazione sessuale consiste nello spiegare come si applica un preservativo, come si prende la
pillola anticoncezionale o la pillola del giorno dopo, eccetera. Ma questa non più è sessualità, è
qualcosa dell’ordine di una masturbazione con partner, di una masturbazione assistita.L’uomo è
intrappolato dentro al suo stesso piacere, non incontra nessuno, non è in una relazione sessuale che
presuppone l’apertura dell’uomo a una donna che desidera a tal punto che gli pare di vedere in lei la
strada della sua vita. La sessualità è ridotta a un atto consumistico che deve essere gestito secondo
una modalità tecnica. Dicendo ai ragazzi: “Fate quel che volete, però proteggetevi”, si trasmette
l’idea che il cuore della sessualità non è l’incontro, l’unione, la comunione, ma la preservazione.
Infatti la parola ultima è: preservativo. Ciò significa che l’amore viene pensato in termini di
preservazione, che la sessualità viene pensata in termini di protezione di sé. Tutto è centrato su di
sé, sul proprio piccolo piacere: ci si serve dell’altro come di una cosa. Pasolini ha ben compreso e
denunciato questa distruzione della sessualità da parte del consumismo. Dall’altra parte c’è
un’educazione sessuale concepita secondo una modalità morale estrinseca. Cioè da una parte si
colloca il desiderio sessuale, dall’altrala morale che viene a fare ostruzione. La morale borghese
taglia la strada alla sessualità perché la considera come qualcosa di pericoloso in sé. E quindi cerca
di controllarla. Dice che ci vuole il sentimento, il rispetto dell’altro, eccetera. Come se, appunto, la
sessualità fosse pericolosa in sé e bisognasse aggiungervi qualcosa che in essa non è già presente.
La morale non è pensata a partire da ciò che il desiderio sessuale in quanto tale esige per essere se
stesso, ma a partire da qualcosa di esterno che viene a contenere tale desiderio. Dunque da una parte
abbiamo il tecnicismo, dall’altra il moralismo, ed entrambi sono inefficaci nell’educare i giovani. I
quali, quando gli si dice: “Facendo sesso proteggetevi”, tendono a rispondere: “Sì, ma se tanto devo
morire e dopo non c’è nulla, perché devo proteggermi? Che cos’è questo aggeggio da buon piccolo
borghese, per preservarsi? Dobbiamo morire! Che ci importa dell’avvenire? Tanto vale andare al
massimo, bere, ubriacarsi, farsi tante donne. Mi dite che l’Aids uccide, ma io sono comunque
destinato a perire, e allora perché dovrei stare nei ranghi?”. Quando gli adolescenti reagiscono al
tecnicismo e al moralismo in questo modo, sono in realtà più profondi degli adulti. Dietro una
rivolta come questa, anche quando non è esplicitata, ci sono una profondità e un’esigenza di senso
che né il tecnicismo né il moralismo possono dare».

Il contrario della repressione


«Lo scopo di una vera educazione sessuale, a mio parere, deve essere l’affermazione del desiderio
sessuale fino in fondo. E del resto è quello che dice anche la Chiesa. La Chiesa non proibisce certo
il sesso, non è repressiva, al contrario: è favorevole al sesso fino alle estreme conseguenze, non con
un piccolo preservativo che mi protegge, o con un lieve sfregamento che mi procura un lieve
piacere e poi me ne vado di corsa. No: fate pure, ma portate l’esperienza alle sue estreme
conseguenze. La morale della Chiesa non è contro il sesso, è la liberazione sessuale che è contro il
sesso, perché lo riduce a un atto di consumo. La Chiesa è per la pienezza della sessualità».

Il dualismo dell’omosessualità
«Quando dico sessualità penso alla sessuazione: l’uomo e la donna, il maschile e il femminile. La
Chiesa rigetta l’omosessualità semplicemente perché non si tratta di vera sessualità. Dire
omosessualità è come dire “cerchio quadrato”: se i due hanno lo stesso sesso, viene meno
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l’ordinazione reciproca dei due sessi. Se la vostra sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa state
parlando? Prendete in mano il primo manuale di zoologia che trovate, e scoprirete che la sessualità
è legata alla questione della fecondità, della procreazione. Attenzione, quando dico che
l’omosessualità non è una sessualità io non discrimino: non sto proponendo giudizi di valore, il mio
intento non è prescrittivo, ma descrittivo. Anche i greci ritenevano che la pederastia non era
sessualità, e proprio per questo la consideravano superiore. Per loro era una realtà spirituale,
qualcosa che aveva a che fare con l’emulazione virile ed era legata alla loro visione dualista del
rapporto fra anima e corpo. Chiamare sessualità qualcosa che non lo è sarebbe una contraffazione. E
questo è importante anche per coloro che vengono definiti omosessuali, chiamati a prendere
coscienza che il loro desiderio non è propriamente sessuale. Essi in realtà fanno un uso non sessuale
delle loro parti sessuali. Non è perché le parti sessuali entrano in gioco che si è obbligati a definire
ciò sessualità: io posso, se voglio, ficcare il mio pene in una porta, ma quel che faccio non è
sessualità. Non sono necessariamente atti sessuali tutti gli atti che io posso fare con le mie parti
sessuali. Se vivo l’amore e la comunione in opposizione al dato fisico del mio corpo, vivo una
situazione schizofrenica, dualista. La Chiesa insiste sull’unità di carne e spirito, di anima e corpo.
Nessuna posizione al mondo è più unitaria di quella della Chiesa. Essa dice: siete liberi di fare quel
che volete, ma vi ricordiamo soltanto che se andate in quella direzione, vi sarà una rottura della
vostra unità personale, questa rottura noi la chiamiamo peccato».
L’esperto che uccide l’incontro
«La questione centrale della sessualità è la comunione feconda entro la quale i corpi esprimono quel
che le anime vivono. Di fronte a un tema del genere, come può la posizione dell’“esperto” non
essere quella di uno che impone una riduzione tecnica? L’incontro umano contiene qualcosa che mi
sfugge. L’idea stessa che si possano fare previsioni in materia di incontro ci immette in una logica
di calcolo del rischio estranea all’essenza dell’incontro. Non ci sono più l’uomo e la donna che si
incontrano per vivere qualcosa di unico. È esattamente quello che troviamo in 1984 di Orwell:
anche lì ci sono gli esperti che organizzano tutto. E poi c’è un momento in cui l’eroe del racconto
sfugge alla presa dello Stato totalitario: è quando si trova da solo con una donna nella foresta, e lei
si spoglia davanti a lui. In quel momento è fuori dalla logica degli esperti, non c’è nessuno che gli
dia indicazioni e gli ingiunga come deve comportarsi. Bisogna accettare che nell’ambito della
sessualità non esistono gli esperti. Altrimenti si finisce nel tecnicismo e nell’ingiunzione sociale. La
seconda cosa da dire riguardo agli “esperti” che entrano nelle scuole, è che questo fatto pone un
altro problema: rende impossibile agli adolescenti la sessualità come scoperta. Quello che
predomina è un massiccio discorso entro il quale i gesti del desiderio sono ridotti a delle pratiche. E
perciò a delle tecniche: c’è la fellatio, c’è la sodomia, c’è il rischio dell’Aids. E questo è veramente
terribile, perché all’essere in un incontro e nei gesti del desiderio all’interno di un incontro, si
sostituisce l’induzione di comportamenti. E anziché essere con l’altro e vivere con l’altro, si cerca
di conformarsi a una normatività fatta di norme sessuali, o meglio pseudo sessuali, che vengono
imposte alla persona: voi dovete fare così e cosà, se non fate così sbagliate. Questo è pericoloso
perché non si è più nella scoperta dell’altro e nel movimento del desiderio, si è in qualcosa che è
intrusione: l’intrusione di una serie di norme e inoltre l’intrusione dell’industria del lattice,
dell’industria farmaceutica, eccetera. Per cui è vietato inquinare i fiumi, ma è lecito inquinare le
giovani donne con prodotti chimici: devono prendere pillole, pastiglie, eccetera. La tecnica
interviene in tutti i rapporti, e questo distrugge completamente il desiderio. Alla fine si fa sesso
ugualmente, per divertirsi un po’, ma faticosamente, con infinite reticenze, in modo meschino,
cercando di rubacchiare qualche nuovo trucco dal Kamasutra. Che infelicità! Il cattolico, invece, è il
vero edonista. Ha la sua donna e va fino in fondo. Non passa tutto il tempo a chiedersi: “Oh, cosa
succederà adesso? Che rischio sto correndo?”. E se il seme che ha immesso nella donna gli torna
indietro sotto forma del viso di un figlio, la gioia è ancora più grande. Il piacere sessuale non sta
solo nell’atto carnale, è anche la gioia di vedere il volto del proprio figlio: è piacere sessuale anche
quello. L’atto carnale ha un’intensità di piacere molto forte e molto breve, poi c’è una caduta, tutta
l’esperienza lo dice. Ma la gioia per l’arrivo di un figlio è un piacere che non si spegne».
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Il femminismo non è femmina


«Oggi la sessualità è sempre concepita in modo fallico. La dimensione femminile della sessualità
tende a scomparire. Anche il femminismo, in gran parte, si è dispiegato come rivendicazione di
valori maschili da parte delle donne. Non si è ancora visto un femminismo che affermi i valori
femminili contro il machismo. C’è stata piuttosto un’interiorizzazione del machismo da parte delle
donne, attraverso l’idea che l’uguaglianza è tutto. Ma nell’atto carnale il tempo e lo spazio maschili
non sono gli stessi del tempo e dello spazio femminili. L’uomo è in uno spazio che è quello
dell’esteriorità: l’uomo penetra, genera ma fuori di sé, compie un atto all’esterno di sé. La donna,
invece, è nello spazio dell’interiorità: riceve l’uomo, lo accoglie in sé ed è in grado di accogliere un
essere umano intero dentro di sé. La donna è abitabile, cosa che non vale per l’uomo. Perciò il
femminile implica l’affermazione che nella sessualità non c’è solo la vagina, c’è anche l’utero. Nei
settimanali patinati c’è tantissimo sul sesso della donna, ma non c’è niente sull’utero. La cosa
interessante è questa: quando domina la concezione fallica e anche il femminismo è fallico, la
donna è percepita come ridotta alla vagina o al clitoride, ma l’utero scompare. Questo è molto
interessante: l’isterectomia è la condizione, per così dire, del femminismo odierno.
Per quanto riguarda il tempo, l’uomo si colloca in un tempo corto dentro all’atto carnale. Il suo
desiderio sorge immediato, mentre nella donna, si sa, ci vuole più tempo. In seguito, il tempo
dell’uomo è quello dell’eiaculazione, dell’orgasmo. Mentre per quanto riguarda il tempo della
donna, c’è un tempo femminile lungo, che è quello della gestazione. Nella donna c’è un seguito
all’atto sessuale. Che consiste nel portare in sé un figlio, cosa che l’uomo non può fare. Oggi questo
spazio dell’interiorità, questo tempo della gestazione, è stato spezzato e anche la donna vuole essere
nell’esteriorità, col suo clitoride fra le gambe che tiene il posto del fallo, e nel tempo breve, che
coincide con l’ossessione dell’orgasmo. Ma l’orgasmo non è essenziale per l’atto sessuale! Può
esserci comunione fra i due anche senza orgasmo. Al limite, un fallimento rispetto all’orgasmo,
addirittura rispetto alla penetrazione, può essere un momento di comunione più profonda fra gli
sposi all’interno del dramma di quel fallimento. Si tratta di richiamare l’autentica sessualità
femminile per ritrovare un equilibrio. Occorre ritrovare il vero maschile e il vero femminile: il
maschile che è rivolto al femminile, il femminile che è rivolto al maschile. In modo che la donna
orienti anche l’uomo verso il tempo lungo e l’interiorità. Questo femminismo della femminilità è
una necessità. Quel che viene chiamato educazione sessuale in realtà è l’affermazione massiccia del
fallico. Non solo è distruttivo, non solo fa della donna una preda dell’uomo, ma ne fa un sotto-
maschio. Una specie di maschio difettoso che squilibra tutta la società».

Maternità, l’immagine dell’etica


«C’è stata un’epoca in cui la maternità è stata concepita come qualcosa che
non atteneva alla libertà della donna. Ella era colei che portava in sé l’erede
dell’uomo, ovvero i futuri cittadini: Marianna madre in affitto, incubatrice
dei cittadini. La Francia ha conosciuto un intenso natalismo dopo la sconfitta
di Sedan nel 1870. Si diceva: “I tedeschi sono più numerosi di noi, fate più
figli per la Francia”. Che è come dire: producete carne da cannone, fate figli
per lo Stato, per la gloria della nazione. Questo non è riconoscere la maternità
come l’avvenimento radicale di un’accoglienza nei confronti di una nuova
persona che entra nel mondo, da accogliere per se stessa. Il natalismo ha
confiscatola maternità, dunque per reazione la donna ha voluto emanciparsi. Ma
bisognava emanciparsi dalla confisca della maternità da parte dell’uomo e dello
Stato, non dalla maternità come tale, come è invece avvenuto. Poiché la
maternità è una possibilità propriamente femminile, pensare il femminile in
opposizione alla maternità come fanno certe femministe è arrivare alla
distruzione della donna. E di conseguenza alla distruzione dell’uomo. Perché
appunto noi uomini abbiamo bisogno della donna per aprirci al mistero
dell’interiorità, della gestazione, della pazienza, del portare l’altro per
metterlo al mondo. Quando cerca di definire che cos’è la responsabilità verso
l’altro, Emmanuel Levinas propone un’espressione e un’immagine: portare
l’altro. E dice: è il femminile che manifesta questo. L’etica ha la sua
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immagine più forte nella maternità, che è il luogo concreto della


responsabilità.L’accoglienza del figlio per se stesso equivale all’espressione “fare dei figli per
Dio”. Perché la sessualità in ultima analisi mira a questo: aumentare il numero degli Eletti; e il
desiderio sessuale che ci trascina fuori da noi stessi è ultimamente un’astuzia di Dio. È Dio che
chiama, questo è il senso profondo della sessualità. Non si fanno figli per lo Stato, o per noi stessi, o
per l’autorealizzazione della donna. Si fanno figli per la vita eterna».

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