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Villa Azzurra

A Grugliasco, a pochi chilometri da Torino, sorge ancora l’edificio che per più
di 40 anni ho ospitato Villa Azzurra, ospedale psichiatrico infantile, oggi
chiamato l’ex manicomio dei bambini. Durante il periodo di attività, la villa si
trovava nelle vicinanze di un ospedale psichiatrico femminile e del più famoso
ospedale psichiatrico di Collegno.
I bambini ricoverati a Villa Azzurra erano considerati ineducabili e pericolosi
per sé e per gli altri; questa classificazione portò a ricoverare anche bambini tra
i 3 e i 4 anni. Per loro non era concepito un percorso che li allontanasse dalla
malattia e dai manicomi: si trattava quasi di una condanna. Si pensa che i primi
pazienti siano stati internati nella struttura nel 1938, poco prima dello scoppio
della seconda guerra mondiale.
All’interno della struttura lavoravano medici specializzati in psichiatria e
infermieri, i cui unici requisiti erano di essere di sana e robusta costituzione e di
aver ottenuto la licenza elementare. Le cure di questi professionisti erano più
che altro torture: le indagini successive alla chiusura del manicomio hanno
riportato che i bambini venivano spesso legati ai cancelli del giardino interno, ai
termosifoni e ai letti anche per più giorni di fila. Può capitare che sia necessario
legare al letto alcuni pazienti psichiatrici per contenerne crisi violente, ma non
con tale frequenza e sadismo. A partire dal 1964, con l’arrivo del professor
Giorgio Coda come direttore della struttura, le violenze fini a sé stesse si
mascherarono con la dicitura “trattamento terapeutico” e assunsero una dignità
scientifica. Di fatto la situazione per i bambini ricoverati non era cambiata, se
non in peggio.
Il 26 luglio 1970 L’Espresso pubblica una foto di una bambina tra i 7 e i 10
anni legata nuda a un letto di Villa Azzurra, come se fosse crocifissa; l’opinione
pubblica insorge e iniziano le indagini sul professor Coda. L’11 luglio 1974
arriva la sentenza del giudice che dichiara Coda colpevole di “abuso di mezzi di
correzione” e lo condanna a 5 anni di detenzione, al pagamento delle spese
processuali e a 5 anni di interdizione all’esercizio della professione medica. Nel
1979, un anno dopo la legge Basaglia, Villa Azzurra è stata definitivamente
chiusa. Da allora l’edificio è in stato di grave abbandono e non è ancora stato
destinato per un nuovo scopo. I progetti per questo edificio sono stati diversi: da
una Casa per Studenti a una casa di accoglienza per migranti.
Giorgio Coda
Giorgio Coda nacque a Torino nel 1924. Era l’unico figlio di Carlo, piccolo
industriale torinese, e Alda Vacchieri. Nel 1943 si iscrisse alla facoltà di
Medicina dell’Università di Torino. Si laureò il 15 luglio del 1948 con una tesi
in antropologia criminale. Nel 1955 si sposò con Giovanna Roviera. In campo
professionale giunsero diversi riconoscimenti: fu nominato medico capo di
sezione, l’equivalente del primario odierno, e nel 1963 ottenne la libera docenza
in psichiatria. In breve tempo riuscì a conquistare la stima e l’ammirazione di
molti colleghi. Divenne vicedirettore dell’ospedale psichiatrico di Collegno e
direttore di Villa Azzurra, una struttura per bambini. La società stava mutando,
anche se non tutti in campo accademico si accorsero di quel cambiamento. Di
quello che avveniva all’interno delle strutture per la cura dei malati psichiatrici
il popolo conosceva poco, forse nulla. Tale situazione mutò nel 1970, quando
un’assistente sociale, Maria Repaci, del Centro di tutela minorile di Torino,
inviò un rapporto al Tribunale per i minorenni.
Il 26 luglio 1970 L’Espresso pubblica una foto di una bambina tra i 7 e i 10
anni legata nuda a un letto di Villa Azzurra, come se fosse crocifissa; l’opinione
pubblica insorge e iniziano le indagini sul professor Coda. L’11 luglio 1974
arriva la sentenza del giudice che dichiara Coda colpevole di “abuso di mezzi di
correzione” e lo condanna a 5 anni di detenzione, al pagamento delle spese
processuali e a 5 anni di interdizione all’esercizio della professione medica.
Dal processo svoltosi ai suoi danni, è risultato che Coda faceva combattere tra
loro i bambini fino a che erano completamente stremati. Più grave era però il
continuo ricorso all’elettroshock come terapia sui suoi pazienti (non solo sui
bambini, anche su omosessuali, alcolisti e tossicodipendenti). L’abuso di tale
tecnica aveva procurato al professor Coda il soprannome di elettricista.
Giorgio Coda chiamava l’elettroshock elettromassaggio; le scariche elettriche
venivano date sia alla testa del paziente, sia ai genitali, soprattutto quando i
bambini, dopo esser stati legati al letto tutta la notte, non erano riusciti a
trattenere la pipì. Secondo il professore gli elettrodi e le scariche dovevano
aiutare i bambini a controllare meglio la propria vescica. Spesso gli elettroshock
prescritti da Coda venivano anche effettuati senza pomata e gomma per la
bocca, causando così la rottura dei denti dei pazienti, serrati per il dolore.

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