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Effatà

Organo di informazione e strumento di dialogo


dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia

Sara Brazzali
2008
INDICE

 Introduzione
 Che cos’è un OPG?
 La realtà reggiana
 I giornali dal carcere
 Effatà
 Analisi
- n°1 (104°) 2008 – gennaio – febbraio 2008
- n° 4 (102°) 2007 – settembre – ottobre 2007

 Conclusioni
 Bibliografia
 Linkografia

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Introduzione

Dopo alcuni giorni di ricerche e numerose telefonate, riesco finalmente a contattare il signor
Roberto Raviola, volontario dell’associazione Effatà e responsabile della redazione dell’omonimo
giornale, periodico interno dell’Ospedale psichiatrico giudiziario della mia città. Ottengo un
appuntamento insolito: ci incontriamo in un centro commerciale e il signor Raviola, molto
disponibile, si presenta con alcune copie del giornale più uno “speciale”, l’unico stampato su fogli
colorati, pubblicato nel dicembre 2006 e interamente dedicato ai pensieri più variegati degli
internati. Parliamo per due ore abbondanti della realtà dell’ospedale, fino a quel momento a me
quasi del tutto sconosciuta, e delle attività che gli internati svolgono con le diverse associazioni di
volontariato, poi mi mostra, direttamente su una copia di Effatà, numerosi articoli e rubriche curate
dagli stessi pazienti, illustrandomi anche gli scopi e le motivazioni delle pubblicazioni più diverse, i
temi più trattati, a chi vuole rivolgersi l’iniziativa e come viene svolto il lavoro di redazione.
Assorbo informazioni e mi inoltro in questo mondo così distante e nettamente separato dalla vita
quotidiana di gran parte delle persone “normali”, ma lo faccio dopo aver realizzato che i “matti”
sono persone umane come tutti noi, che vivono l’esperienza dell’Opg per i motivi più disparati e
inaspettati e che, mentre per molti il paziente internato è soltanto “uno che ha sbagliato e che deve
pagare”, a chiunque purtroppo può succedere di ritrovarsi inconsapevolmente a vivere per casi
fortuiti in condizioni di follia; queste persone vanno perciò aiutate a reinserirsi nella società dopo
cure e assistenza adeguate. Per chi si sente escluso, la creazione del giornale è un modo per
comunicare con l’esterno, per far conoscere a chi sta fuori come si sta dentro, cosa si prova, quali
sono i problemi che si vivono tutti i giorni. Effatà, tra le altre cose, vuole rappresentare una sorta di
rottura dell’isolamento tra “interno” ed “esterno” e un modo per esprimere la libertà dei reclusi con
la parola e l’espressione dei loro pensieri, per quanto sgangherati possano talvolta apparire.

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Che cos’è un OPG?

Prima di tutto ritengo opportuno chiarire che cosa sia esattamente un Ospedale psichiatrico
giudiziario e in cosa consista questa realtà. L’Opg è la struttura detentivo-medica che sino alla
riforma penitenziaria del 1975 era chiamata “manicomio criminale”. Ha funzione di custodia degli
internati (per la difesa sociale) e contemporaneamente di cura e trattamento (per il reinserimento
nella società). Esso è parte integrante del sistema penitenziario e si basa sulla norma giuridica
secondo cui l’imputabilità di un soggetto, autore di reato, è subordinata alla sua capacità di
intendere e volere. I pazienti degli Opg appartengono a differenti categorie di reclusi, quali rei di
un delitto prosciolti perché ritenuti totalmente incapaci di intendere e di volere al momento del
fatto (in questo caso la misura di sicurezza di internamento in Opg viene applicata perché il
soggetto, dopo essere stato sottoposto a perizia medica, è da ritenersi socialmente pericoloso; tale
misura è revocabile entro un periodo minimo di 2-5-10 anni a seconda del reato, ma può anche
essere prorogata), detenuti seminfermi o minorati, con riduzione di pena a causa di parziale
incapacità di intendere e volere al momento del fatto, imputati sottoposti a misura di sicurezza
provvisoria, detenuti, già condannati, inviati “in osservazione” a causa di comportamenti anomali
in carcere, detenuti ai quali in carcere è sopravvenuta infermità psichica e detenuti sottoposti a
misure di sicurezza. Un proscioglimento è in realtà quindi una condanna, riesaminabile entro 2 - 5 -
10 anni. I pazienti, non colpevoli perché infermi, sono comunque ristretti e contemporaneamente
curati in carceri mascherate da ospedali, regolate da Ordinamenti Penitenziari che solo la
(eventuale) sensibilità di Magistrati di Sorveglianza, direttori ed operatori può adattare alle loro
condizioni di salute mentale e fisica. Il livello di vita che ne deriva è spesso affliggente e
inevitabilmente caratterizzato da forti tensioni, mentre serenità e tranquillità dovrebbero essere
fondamentali in una struttura con questa tipologia di ricoverati. Molti internati non hanno
consapevolezza di quanto è loro successo né dell’esperienza che si trovano a vivere nell’Opg. Tra
quelli che sono consapevoli del proprio reato, la maggior parte non sa comunque darsene motivo
ed è schiacciata da rimorsi che vengono soffocati generando spesso in essi gravi patologie che
incoraggiano giudizi sommari e ulteriori esclusioni dal vivere sociale. In questo modo quella che
non doveva essere una pena bensì un periodo di custodia, cura e riabilitazione si tramuta in un
periodo di vera e propria detenzione, terminante spesso anni dopo il periodo minimo di
internamento. La revoca della pericolosità sociale avviene solo quando, a malattia stabilizzata o
controllabile con cure, l’internato manifesta capacità di interagire col mondo esterno, dimostrando
di avere rimosso i motivi che scatenarono il reato da lui commesso. Per poter raggiungere questo
obiettivo e reinserire il paziente nella società, sono necessari affetti, reddito, strutture adibite alle

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cure e ai controlli sul territorio di residenza, tranquillità, disponibilità private o pubbliche. In
assenza di queste condizioni, spesso difficili da trovare, soprattutto per un uomo che nella sua vita
ha “deviato”, ne deriva un prolungamento dell’internamento, sovente proprio per ciò che riguarda
le misure di sicurezza corrispondenti ai reati minori, provocando nel paziente un rincorrersi di
speranze che ben presto si trasformano in frustrazioni, spesso con l’aggravamento delle patologie.
L’internato deve perciò essere aiutato, anche a capire quanto danno ha provocato con le sue azioni.
Tutto questo crea la necessità di un insieme di interventi, in Opg, che portino il “reo” incolpevole a
reinserirsi un domani nella vita.

La realtà reggiana

L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, dopo la dismissione della vecchia


struttura conventuale del centro storico, dal dicembre 1991 è ospitato in un’imponente quanto
fredda struttura carceraria che sorge all’estrema periferia della città. L’età media dei ricoverati,
solo uomini, è di 30 -35 anni. Nonostante la capienza tollerabile dell’edificio sia di 190 internati,
attualmente ne sono ospitati quasi 300, anche a causa delle ridotte capacità di accoglienza di altri
Istituti italiani (Napoli, Montelupo Fiorentino e Barcellona di Messina). L’edificio dispone di 129
stanze, quasi tutte doppie, e i pazienti sono divisi in sei reparti secondo il grado di compatibilità:
quattro reparti sono utilizzati per i “semiliberi”, un quinto è adibito alle attività ricreative e infine il
sesto è una sezione aperta in cui è in atto un esperimento di “custodia attenuata” in cui non è
presente la Polizia Penitenziaria, ma soltanto personale medico ed educatori. Le attività svolte
all’interno sono le più svariate: attività sportive in palestra e all’aperto, corsi di educazione per
adulti, corsi di informatica, di legatoria, di musica e di lingua. Ad alcuni ricoverati è affidata la
cura di diversi cani, inoltre gli internati svolgono attività lavorative quali manutenzione del verde,
falegnameria e piccoli lavori di sartoria. L’Opg dispone inoltre di un giornale interno la cui
redazione è formata dagli stessi ricoverati.

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I giornali dal carcere

L’istituzione penitenziaria è stata a lungo un luogo inaccessibile e pertanto raffigurata


attraverso la letteratura, che le permette di comunicare con l’esterno attraverso di essa cercando di
diventare quasi una “chiave” in grado di “aprire” il carcere. La letteratura carceraria vanta illustri
precedenti autobiografici in Italia, quali i racconti di intellettuali come Silvio Pellico e Antonio
Gramsci; furono comunque sporadiche testimonianze della detenzione, anche perché all’epoca il
tasso di analfabetismo era altissimo. Tuttavia, prima dell’entrata in vigore della Legge 26 Luglio
1975, n. 354, l’informazione nelle carceri era molto carente e sottoposta sistematicamente a
censura; solo successivamente le notizie cominciano a girare più liberamente e a giungere da fonti
diverse. Tra le attività che si svolgono all’interno del carcere, infatti, una delle più tradizionali,
conosciute e diffuse, è la redazione dei giornali il cui obiettivo è appunto quello di rompere
l’isolamento tra “interno” ed “esterno”. La prima rivista in Italia risale al 1948, viene scritta dal
carcere di Porto Azzurro (Isola d’Elba) e si chiama “La Grande Promessa”, ma per anni arriva solo
nella biblioteca dell’istituto rimanendo così un caso isolato e limitato all’interno del carcere
livornese. L’organizzazione di redazioni permanenti all’interno degli Istituti carcerari è invece una
conquista recente ed ha un importante sviluppo a partire dagli anni novanta. In Italia, attualmente, i
giornali carcerari sono 61. Si tratta di pubblicazioni scritte in tutto o in parte all'interno di case di
reclusione, case a custodia attenuata e Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) e per la maggioranza
sostenute da associazioni di volontariato. I mezzi e i fondi a disposizione delle redazioni sono
generalmente pochi e a risentire di queste limitazioni è dunque soprattutto il grado di autonomia del
lavoro giornalistico della redazione. Il giornalismo carcerario, inoltre, molte volte è caratterizzato
dalla inevitabile mancanza di professionalità, almeno nelle prime fasi di realizzazione di un
giornale, e dalla precarietà, condizioni che ostacolano il raggiungimento di un buon livello
qualitativo dei prodotti realizzati e dei servizi offerti. La detenzione comporta inevitabilmente
ostacoli e limitazioni nello svolgimento dell’attività giornalistica, tuttavia in molte carceri italiane
sono già in atto esperienze significative che richiedono solo di potersi sviluppare e consolidare,
mentre in altri Istituti può essere promossa la nascita di nuove realtà informative. Tra le principali
testate esistenti, oltre al già citato “La Grande promessa”, spiccano nomi quali “Ristretti Orizzonti”
(Casa di reclusione di Padova e Carcere femminile della Giudecca), “Ragazze Fuori” (Casa a
Custodia Attenuata Femminile di Empoli), “Magazine 2” (San Vittore), “Il Ponte” (Casa di
Reclusione di Massa), “Espressioni dal dentro e dal fuori” (Casa Circondariale di Lucca), “Effatà”
(Opg di Reggio Emilia) e altri titoli che sottolineano la volontà di trovare un terreno di incontro tra
le varie realtà. Ognuno di essi ha una sua storia e una sua fisionomia, ma sono tutti giornali che sì,
si occupano di informazione, di problemi internazionali e sociali, ma la cui funzione non si limita a
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questo. Essi infatti servono spesso a sfogare la rabbia e il disagio dei detenuti, raccontano storie
personali di chi vive la detenzione in prima persona, alle quali è lasciato ampio spazio. Ognuna di
queste testate, che è frutto di impegno dietro le sbarre, rappresenta perciò una vittoria, un risultato
straordinario: anche se forse non contengono notizie di grido e non mirano a riconoscimenti, questi
giornali riproducono la voce, troppo spesso ignorata, di chi fa parte comunque di questa società.

Effatà

Effatà è l’organo di informazione e lo strumento di dialogo dall’interno dell’Ospedale


psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. La sua caratteristica più importante, oltre ad ospitare
notizie ed inchieste, è quella di dare voce a chi è recluso. La redazione infatti è composta
interamente dagli internati dell’ospedale, supervisionati da alcuni volontari e dal fondatore del
periodico Don Daniele Simonazzi.
Effatà nasce nel 1992, appunto ad opera del cappellano dell’Opg, “un tipo tosto, che piace
molto agli internati, un prete non comune, ma anzi abbastanza ribelle e considerato “scomodo”
dalle istituzioni” come mi riferisce Roberto Raviola, volontario responsabile della redazione da
anni. Il giornale ha perciò un’impostazione cattolica (come evidenzia anche la citazione dalla
Bibbia, presente in tutti i numeri sotto il titolo in copertina: “…Guardando il cielo, Gesù emise un
sospiro e disse: Effatà (Apriti)” ); inizialmente è affidato ad alcuni educatori e ha un taglio
prettamente istruttivo ed edificante, “sinceramente un po’ barboso”; in un secondo tempo però la
redazione è lasciata totalmente in mano ai pazienti. Esce ogni due – tre mesi, a seconda del tempo e
della disponibilità di materiale, solitamente in circa 850 copie di cui la maggioranza per un
indirizzario mirato e le restanti per la distribuzione gratuita all’interno dell’Opg, agli stessi
detenuti, e al personale interno dell’ospedale (direzione, Magistrato, infermieri, volontari,
psicologi, guardie…). Si presenta in formato A4 e con una ventina di pagine, tutte in bianco e nero
e di normale carta bianca da fotocopiatrice, copertina compresa (più che di copertina si tratta di una
prima pagina), perché, come spiega Raviola, stampare a colori costa troppo ed Effatà vive soltanto
di donazioni. In copertina, sotto al titolo della testata, sono indicati il numero e la data di uscita,
l’indirizzo della segreteria e i nomi del direttore responsabile Antonio Burani e di tutti i membri
della redazione in ordine alfabetico, tutti internati, italiani e stranieri, a parte il signor Raviola il
cui nome appare mescolato a quello dei pazienti. L’elenco cambia frequentemente, per quanto
alcuni nomi ricorrano spesso, in ogni numero spunta qualche nuova presenza. Qualche riga sotto
compare la dicitura: “La collaborazione è benvenuta ed aperta a tutti, purchè rispettosa delle

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persone e delle norme di convivenza. Pubblicazione gratuita. Sono ben accetti contributi atti a
sostenere le spese di stampa e spedizione.”. Effatà infatti è anche e soprattutto una raccolta di idee
e pensieri di chiunque voglia partecipare alla sua produzione, allega articoli tratti da quotidiani
nazionali di diversi orientamenti (La Stampa, Il Manifesto, Il Resto del Carlino, La Gazzetta di
Reggio…) e include le opinioni più disparate, pareri di ogni tipo, di ogni corrente e religione.
Raviola tiene molto a sottolineare questo aspetto: spesso vengono distribuiti fogli e inviti ad
esprimersi anche nelle celle degli internati e “Teniamo tutto, pubblichiamo tutto ciò che ci arriva in
mano, niente viene buttato via”, perché i pazienti hanno diritto ad esprimersi sul giornalino,
“ovviamente se non si tratta di insulti o offese, si pubblicano gli articoli nell’interesse dei reclusi;
se con una pubblicazione si rischiano conseguenze negative per quanto riguarda i loro diritti, allora
,e solo in quel caso, gli articoli vengono tagliati”. A proteste, disapprovazioni o malcontenti
riguardo alla vita all’interno dell’Opg da parte dei pazienti è però dato spazio, sempre a condizione
che non contengano offese esplicite e gratuite.
Effatà non utilizza criteri fissi per la costruzione del giornale e non tiene conto delle
normali regole del newsmaking, la tipologia dei pezzi non è sempre costante, ma al contrario vi
sono servizi che variano da un numero all’altro in base agli argomenti che emergono tra le diverse
uscite del giornale, sembra quasi un collage di differenti forme comunicative e dei più svariati
temi; solo un pezzo, quasi una sorta di editoriale, si ripresenta in tutti i numeri, sempre a pagina
due, ed è riservato a don Daniele Simonazzi: è intitolato appunto “La parola del Don” e qui il
cappellano commenta un breve passo del Vangelo, non in modo pedante o forzatamente educativo
ma, al contrario, senza ingerenze e con linguaggio semplice e tono informale, riferendolo a
questioni tipiche della vita in Opg.
Tutto il giornale, nonostante tratti temi anche molto seri e di spessore, è pervaso da un tono
leggermente ironico, quasi a voler sdrammatizzare la condizione di indigenza ed emarginazione
degli internati. Il linguaggio è semplice e i commenti agli articoli o a ciò che succede nel mondo,
soprattutto nel mondo degli Opg e del carcere, sono molto spontanei. Non è presente un sommario
e già dalla copertina – prima pagina (che è sempre curata da Roberto Raviola, ma non può
considerarsi un vero e proprio editoriale né un’opinione poiché ogni volta si tratta di una differente
forma di comunicazione che spazia dal commento ad una notizia recente, alla fotografia, al
semplice avviso…) si entra nel vivo del primo argomento trattato. Ogni numero, nell’ultima
pagina, presenta infine nuovamente la data e il numero di pubblicazione, il numero di copie
stampate e l’elenco completo delle associazioni o degli enti che ne hanno finanziato le spese.

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Analisi
n°1(104°) 2008 – gennaio – febbraio 2008

La redazione dell’ultimo numero di Effatà è composta da: Beccaria, Carmeli, Casarini,


D’Ambrosi, Miatello, Motta, Peparella, Pontiggia, Raviola, Rigoli, Santoro, Tonini e Zambonini.
La prima pagina, curata da Raviola, presenta un articolo tratto da Il Resto del Carlino di Reggio
Emilia del 27 gennaio 2008 riguardante l’allarme lanciato dal giudice sul sovraffollamento e il
diffuso malessere di carcere e Opg. L’articolo non è commentato, sembra quasi “appoggiato” in
prima pagina per provocazione, poiché il sovraffollamento dell’ospedale è palese ed è un tema di
cui si parla continuamente all’interno; l’articolo è accompagnato soltanto dall’invito, aperto a tutti,
a collaborare con il giornale inviando pezzi propri e non soltanto critiche, come invece a volte
succede. A pagina 2 trovo “l’editoriale” di Don Daniele Simonazzi a cui seguono gli estremi per le
donazioni alla testata e alle diverse associazioni che collaborano con l’Opg. Da pagina 3 inizia il
collage di “rubriche”, ognuna scritta e firmata da un diverso internato e trattanti argomenti molto
vari tra loro: F.Giaccone, per esempio, scrive un’accalorata esternazione intitolata “Io la penso
così” riguardante la discutibile abitudine dei rappresentanti delle diverse religioni, da lui criticata,
di fare sfoggio di ricchezze davanti ai poveri del mondo mentre predicano l’umiltà; Daniele Graffi
parla invece della malattia mentale dal suo punto di vista e dei farmaci contro i disturbi psichici e
l’astinenza da droghe. Segue poi una lunga lettera, intitolata “La libertà con i miei occhi”, di
Gianfranco Dreolini, ex ristretto per anni in Opg, ma anche ex cuciniere e redattore che invia sue
notizie dall’esterno, “una finestra sulla vita, le aspirazioni, le emozioni e gli stupimenti di una
persona, ora dalle sue parti, il Friuli, desiderosa di tornare alla normalità e perciò attenta a ciò che
gli è attorno”. Si tratta di un pezzo che fa riflettere, poiché permette di immaginare cosa possa
rappresentare il difficile ritorno nella società per chi per anni ha vissuto da escluso e che di colpo si
trova di fronte ad un mondo molto cambiato durante la sua “assenza”, che ora deve affrontare gli
sguardi di chi lo giudica o addirittura ha paura del contatto, ma che torna finalmente ad apprezzare
la libertà in ogni sua forma e la vita normale nelle piccole cose che solitamente vengono date per
scontate. Anche l’articolo seguente è molto toccante, è infatti il racconto di Roberto Meneguzzo
dei suoi trascorsi e delle disavventure da lui vissute in diverse carceri italiane fino ad arrivare, dopo
il suicidio del suo compagno di cella al carcere Due Palazzi di Padova, all’Opg di Aversa ed infine
a quello di Reggio Emilia. Effatà non è però soltanto una raccolta di racconti tragici, sono infatti
presenti in questo numero anche poesie scritte dai pazienti, barzellette, fogliettoni, ringraziamenti e
saluti al personale interno e descrizioni di esperienze positive vissute dentro all’Opg. Sempre in
questo numero troviamo poi un articolo tratto da La Stampa del 3 gennaio 2008 relativo a quattro

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casi di suicidi di agenti della polizia penitenziaria (“secondini”), il simpatico dialogo tra un
paziente (Salvatore Serra) e la sua educatrice e i commenti di sei internati riguardo ad
un’esperienza in piscina. Le ultime pagine sono infine dedicate alla lettura, in questo caso alla
recensione de “Il Canzoniere” di Francesco Petrarca realizzata dal bibliotecario interno all’Istituto
Dott. Annibale Rigoli, ai ricordi del ristretto Pino Ezio Beccaria e alla descrizione di un’attività
svolta dai pazienti durante il periodo natalizio: la realizzazione di un presepe molto artigianale
posto in una centralissima piazza di Reggio Emilia, con tanto di commenti e testimonianze dei
passanti.

n°4 (102°) 2007 – settembre – ottobre 2007

La redazione di questo numero è composta da: Al Natour, Beccaria, Carmeli, Casarini,


D’Ambrosi, Miatello, Motta, Osterreicher, Paparella, Pontiggia, Raviola, Rigoli, Santoro, Tonini e
Zambonini. La prima pagina (Raviola), molto ironica, vuole sembrare, scherzosamente, un
“bilancio di fine estate”: è mostrata una fotografia dell’imponente edificio dell’Opg con
l’applicazione, sopra all’immagine, di una sorta di etichetta simile a quelle poste sulle locandine di
concerti e spettacoli con scritto “tutto esaurito” ed una freccia che indica questo fatto come
“principale negatività”. Subito sotto troviamo indicazioni sul nuovo percorso e il nuovo capolinea
(nel piazzale del carcere) della linea 3 dell’autobus, con tanto di commento “era ora, comunque
meglio tardi che mai” e la freccia indicante “positività”. Al solito “editoriale” del cappellano segue
la “rubrica” A ruota libera di Michele Pontiggia, una serie di pensieri scollegati tra loro inviati
dall’internato, di poche righe ciascuno e riguardanti i temi più diversi, dalla musica alla politica,
agli affetti personali, all’espressione di emozioni, passando per semplici esternazioni di idee e
sfoghi personali, tutti pubblicati per intero nonostante il linguaggio spesso scurrile. Ne riporto
alcuni: “Talvolta penso a Veronica: più ci penso più mi convinco che con lei ho sbagliato tutto o
quasi. Magra consolazione per un amore mai sbocciato e per infinite calde lacrime versate.”;
“Nasce il Partito Democratico; unico appunto: do per scontato che si tratti di un partito
democratico, l’aggettivo democratico dovrebbe esser un patrimonio di tutti, e non si tratta di sola
politologia. La democrazia permette che esistano strutture come l’Opg che con tutti i loro difetti
non sopprimono noi malati di mente. Nel passato qualcuno aveva questa idea distorta a proposito
dei “diversi”. Vogliamo superare l’Opg? Applichiamo la legge dell’amore e del recupero del
malato e non della sua neutralizzazione in non meglio precisate comunità”; “Il caldo di questi
giorni mi mette un po’ di pigrizia addosso: naturale? Fossi fuori non sprecherei un istante a
dedicarmi ad alcuni hobby: caccia alle belle ragazze, caccia alle belle ragazze e per finire caccia

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alle belle ragazze”; “Periodo estivo in Opg: si registra il tutto esaurito, spalti al limite della
capienza avrebbe detto qualcuno parlando di calcio. Vista la struttura in cui siamo costretti a vivere
è il caso di dire: più siamo peggio stiamo”.
Questo numero di Effatà pubblica la protesta di Daniele Casarini in merito al regolamento
che non consente agli internati di ricevere prugne, mentre consente tutti gli altri tipi di frutta,
durante i colloqui con i familiari. Casarini mette in ridicolo questa regola ipotizzando le diverse
possibili ragioni di tale divieto, l’articolo che ne risulta è davvero molto divertente. Approfittando
di questa nota, viene pubblicato un promemoria relativo alle norme inerenti i colloqui e i pacchi
consentiti o meno. Gli articoli che seguono riguardano il fenomeno droga in Italia (Tonini), il
carovita all’Opg (Don Simonazzi) e la raccolta differenziata dei rifiuti all’interno delle carceri.
Viene poi riportato un lungo e provocatorio articolo de Il Manifesto del 22 agosto 2007 dal titolo
“Un po’ manicomi, un po’ carceri” contenente un esauriente quadro della situazione degli Ospedali
psichiatrici giudiziari in Italia. Nelle ultime pagine, infine, troviamo alcune poesie e barzellette
scritte dagli internati Beccaria, Brighina e Gruber, diversi esempi di corrispondenza inviata dai o ai
pazienti e lo spazio dedicato alla lettura, curato dal bibliotecario dell’Istituto (Dott. Rigoli), che in
questo numero riassume “Il ponte sulla Drina” e “La cronaca di Travnik” di Ivo Andric.

Conclusioni

E’ facile notare come Effatà contenga al suo interno le opinioni più disparate di persone
dalle mentalità e dai valori diversi ma, nello stesso tempo, come i temi più ricorrenti, e quindi
sicuramente più sentiti dagli internati, siano temi forti e che toccano tutti i ristretti in Opg. Spesso
nei loro scritti si riscontra, in modo più o meno velato, l’espressione del rimorso di un passato
travagliato e segnato da gravi errori e comportamenti per i quali i malati stessi non sanno darsi
spiegazioni logiche, e la conseguente volontà di rimediare, per quanto possibile, agli sbagli
commessi, di guarire e poter finalmente tornare ad avere, in libertà, una vita normale,
ricostruendola pian piano con l’aiuto di cure adeguate, di affetti e di un impiego. La redazione di
questo giornale vuole avere, tra le altre cose, funzione rieducativa, quasi “terapeutica” dei pazienti
dell’Opg che, oltre a trascorrere alcune ore impegnati in un’attività utile e di soddisfazione,
mantengono un minimo di contatto con il mondo esterno e le sue realtà grazie a temi di attualità
che li interessano da vicino come l’immigrazione, la droga, gli stessi articoli sul carcere e sugli
Ospedali psichiatrici giudiziari italiani che vengono commentati all’interno, dove le opinioni in
merito sono sicuramente più realistiche poiché vissute in prima persona da ogni recluso. Inoltre

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Effatà soddisfa negli internati il bisogno forte di sfogarsi, di farsi conoscere dai compagni, dal
personale interno, ma soprattutto di far sentire la propria voce all’esterno delle mura dell’edificio di
via Settembrini, per mostrare e ricordare alla gente “normale” che esiste anche la loro realtà
quotidiana. La comunicazione e l’espressione di sé, seppur talvolta schizofrenica, può, infatti,
significare molto per i malati di mente: molti di loro, attraverso la scrittura, sono capaci di
comunicare emozioni forti e coinvolgenti e riescono a ottenere la possibilità di far conoscere fuori
un mondo buio e pauroso “rendendo permeabile quel muro, limite invalicabile di quel contenitore
di follia terrificante, seno cattivo gonfio del male della società e suo capro espiatorio, permettendo
a pochi privilegiati di leggere il contenuto dell’anima di uomini “disadattati”, attraverso la loro
bizzarra espressività” (De Somma).

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Bibliografia

Sarti M., Il giornalismo sociale, Carocci, 2007

Linkografia

www.altrodiritto.unifi.it
www.dirittiglobali.it
www.informacarcere.it
www.lagrandepromessa.it
www.leduecittà.com
www.opgaversa.it
www.regione.emilia-romagna.it
www.ristretti.it

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