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MODIFICAZIONI DEI SENSI E DEL CORPO IN CARCERE

In prigione operano meccanismi destinati a produrre “corpi docili” e “condotte normalizzate”, si cerca di
controllare le menti, portando all’”inebetimento da carcere”. Si toglie ai singoli la potestà sul corpo, i
bisogni di base; cercando di ottimizzare gli esiti della reclusione, si toglie il vissuto esistenziale e
peculiare e si esercita il potere di vita o di morte. Un esempio è il caso cronico dei tossicodipendenti e
affetti da HIV, che vengono trattati con metadone e antiretrovirali durante la permanenza in carcere, e
che poi vengono rilasciati e ripresi, senza in alcun modo considerare gli effetti devastanti della terapia
interrotta.Ci si preoccupa solo di salvare la vita dal suicidio, ma quale vita?
Il disagio, avvertito come malessere e interpretato dal medico come malattia, può diventare malattia
“vera”, si manifesta diversamente durante la carcerazione. Il disagio si avverte fin dall’entrata in
carcere: una “goffaggine” nei movimenti e subito si manifesta la perdita dei riferimenti del tempo e dello
spazio e che la “realtà” non ti appartiene più. A questo il corpo reagisce con le vertigini, di cui soffre più
della metà di coloro che entrano. A volte questo sintomo, per quanto riguarda i tossicodipendenti,
accompagnato da senso di confusione e smarrimento, viene interpretato dal personale sanitario come
una manifestazione della sindrome di astinenza. Questo scarto interpretativo sulla natura di un sintomo
non è senza conseguenze per chi chiede un alleviamento ad esso: il concedere o negare un farmaco
da parte di un medico costringerà il neodetenuto a capire subito che anche il sollievo da un malessere
deve essere negoziato con chi ora detiene il potere sul suo corpo.

Il “nuovo arrivato” è segnato anche dalla perquisizione, questa specie di iniziazione, non sadica né
feroce ma ottusa, che è il primo segno a cui il corpo reagisce avvertendo la perdita della propria
autonomia e del controllo su di sé.

Altre disfunzioni sensoriali si manifestano incorporando il nuovo mondo a cui il neodetenuto deve
abituarsi: spesso si avverte la sensazione che la vista sia calata, che conferma l’intenzionalità della
nostra percezione visiva che per vedere ha bisogno di un corpo che guarda e di qualcosa da guardare.
Molti denunciano una progressiva modificazione dell’olfatto, così come dell’udito, tatto e gusto. Tutti i
sensi sono deteriorati dalla permanenza in carcere e ognuno di questi deterioramenti può trovare
ragioni oggettive nelle condizioni di carcerazione. Le finestre del carcere sono piccole, munite di sbarre
a arretrate rispetto alla parete; così la luce filtra poco e le persone vivono sotto la luce artificiale che è
male distribuita e male posizionata come anche la TV, che spesso è sempre accesa.

Per quello che riguarda l’udito, la percezione sembra diversa: non si sente meno, anzi la sensibilità è
aumentata. E’ molto interessante che l’acuirsi dell’udito si contrapponga all’abbassamento della vista,
quasi servisse un modo per orientarsi e riconoscere il pericolo. Molti usano tappi auricolari per
attenuare i rumori in modo da riuscire a dormire più tranquilli. Il carcere è anche odore, odore pesante,
l’odore della galera è sempre lo stesso! Questa soppressione della capacità di localizzare gli odori
avviene nei primi 4-6 mesi di incarcerazione, ma dopo si sviluppa ancora un modo diverso; forse,
abituati a questo odore si diventa più sensibili… mi è capitato di sentire l’odore di una birra a metri di
distanza, l’odore dell’infermiera, il dopobarba degli agenti, di capire, entrando in una stanza, se prima vi
era un uomo o una donna. Possiamo interpretare queste cose come risposte attive del corpo.

Anche la percezione del tatto cambia, a causa anche della mancanza di contatto, al poco lavoro: ad
alcuni il palmo della mano diventa meno sensibile, e non sentono più quello che toccano; per contro
esiste un fenomeno non compreso dagli agenti e dal personale sanitario, e cioè quello dell’iperestesia,
che consiste in una acuta sensibilità cutanea, che porta le persone a reagire anche eccessivamente al
semplice sfioramento di un oggetto o di una persona; emerge anche una distorsione della prossemica ,
a seguito del quale quando uno passa troppo vicino ci si scosta, come se l’aria facesse male. A volte
queste manifestazioni sono fraintese dagli infermieri e dal medico.

Altri sintomi sono le alterazioni della pelle, come foruncoli, acne, psoriasi, resistenti ai comuni antibiotici
e cortisone. I farmaci dermatologici sono i più usati dopo i farmaci psicotropi e antidolorifici. La pelle
dell’uomo può essere vista come uno schermo, sul quale viene proiettata la storia della vita, oppure
considerata uno specchio che riflette gli stati d’animo, le paure, l’emozione. La pelle segnata è segno di
disagio, anche con i tatuaggi, che è fra l’altro pericoloso per la trasmissione di malattie e per la
diffusione di epatite, ma lo sono anche i gesti detti di autolesionismo, come ingoiare batterie, lamette,
(si è trovato di tutto negli stomaci dei detenuti), tagliarsi braccia, gambe, collo e faccia. Alcuni si cuciono
labbra, occhi e orecchie, metafora di una solitudine incomunicabile, ed è un mutilare le proprie vie di
comunicazione, è significare l’incredibile violenza di un luogo che ti impedisce di comunicare, fra le altre
cose, anche il tuo grido di aiuto. Anche il suicidio e queste pratiche cruente possono essere lette al di
fuori della psichiatria come il rifiuto della normalità del carcere.

La sessualità è un altro aspetto difficile; la deprivazione sessuale è uno dei principali disagi, che porta
ad una involuzione dell’uomo, alla masturbazione, ad una forma regressa adolescenziale anche nel
comportamento.
Altro sintomo di disagio che può comparire è l’alterazione delirante del pensiero, ossia la paura di
ammalarsi gravemente; il carcere è vissuto come luogo pericoloso per la salute, si può prendere di
tutto, scabbia, epatite, AIDS. Questo disturbo è dovuto anche alla paura, al lungo tempo che ci vuole
per essere soccorsi, la lunga trafila per un controllo specialistico e per essere inviati all’ospedale. A
volte questo disturbo richiede un aiuto psichiatrico, ma è anche la paura di essere ritenuti, da altri
detenuti, portatori di malattie contagiose e quindi di essere emarginati, causa anche di ignoranza e di
disinformazione.
Anche il linguaggio si trasforma. E' scientificamente provato che se si isolano persone di lingua diversa
in poco tempo si viene a formare una nuova lingua, un pidgin, in modo da poter comunicare tra loro,
una lingua che vada più o meno bene per tutti i rinchiusi che arrivano da varie nazioni. Un esempio:
quando si rivolge la parola a qualcuno gli si parla con il “Voi” forma non più corretta, oggi ci si parla con
il “Lei”, con il “Tu”, ma in carcere hanno un significato diverso, i detenuti parlano con altri codici, altri
significati: Il “Voi” viene usato per rispetto e dato a tutti quelli che si incontrano per la prima volta
indifferentemente dall'età, non è causa di poca conoscenza della lingua italiana oppure come tante
persone pensano che sia dovuto al fatto che in carcere ci vanno solo i meridionali o gli extracomunitari
ma è dovuto al fatto che il “Lei” è usato dalle autorità: alla guardia, ai magistrati, ai giudici eccetera si da
il “Lei”.
Cambiare lingua significa anche cambiare il pensiero, un pensiero profondo, ed è più facile tornare
indietro che andare avanti. Persone uscite dal carcere da 5 anni hanno ancora difficoltà di
comunicazione; grammatica, verbi, tutto da riprendere, bisogna avviare una vera e propria
rieducazione. Questo non è compreso da nessuno!! ma stigmatizza ancor di più l'ex-carcerato perché
all'interlocutore arriva un messaggio sbagliato, crede di aver di fronte una persona di bassa
provenienza visto il suo modo di parlare, forse causa all'abitudine di usare il dialetto.
Altro fattore poco studiato secondo me è l'incorporazione di gesti e posture come anche dell'uso dei
toni della voce.
La vita ristretta non modifica soltanto questo, ma modifica tutto. Certo il corpo elabora strategie per
superare il trauma, si ha una modifica ancora, ma dentro rimane un qualcosa un, un qualcosa che
viene fuori quando non te lo aspetti, di notte, si sogna che si è stati arrestati e che devi scontare 5 o 6
anni. Spesso ho pensato che sia dovuto al trauma subito, oppure legato a qualche pensiero non
corretto, ma poi analizzandolo ho capito che è legato alla sofferenza: Ogni situazione che nella vita ti
crea sofferenza ti fa venire fuori la sofferenza della detenzione e privazione della libertà il cervello
associa alla sofferenza l'immagine che più ha dato tale significato. E' una vera malattia.

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