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Riassunto Marketing - Settima edizione di Peter e Donelly

Marketing delle imprese pubblicitarie (Università degli Studi di Palermo)

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MARKETING
Capitolo 1
Introduzione al processo di marketing management

Chec os’èi lmar ke ting?


L’American Marketing Association ha definito il marketing come: “il processo di pianificazione ed
esecuzione delle attività d’ideazione, determinazione del prezzo, promozione e distribuzione di
idee, beni e servizi, al fine di creare uno scambio che soddisfi, nel contempo, gli obiettivi degli
individui e delle organizzazioni”. Tale definizione prende in considerazione tutti i soggetti che
intervengono nel processo di marketing: i membri delle organizzazioni produttive, i rivenditori di
beni e servizi e i consumatori/clienti finali.

Laf unz ionede lmar ke tingmanagementne l


leaz iende
Per comprendere bene la funzione del marketing può essere utile riprendere brevemente il
concetto di azienda. Per poter mettere in atto il processo produttivo, l’azienda attinge dal mercato
una serie di risorse. In estrema sintesi ciò che occorre sono: persone, capitali, materie prime,
impianti. A ognuna di esse fa capo una specifica funzione aziendale, nell’ordine: risorse umane,
finanza, acquisti e produzione.

I lpr oc essodimar ke t ingmanagement


Il marketing management può essere definito quindi come: “un gruppo di attività programmate,
organizzate, controllate, che partono dallo studio del consumatore e, in generale, della domanda e
della concorrenza e attuandosi in forma integrata, sono volte al conseguimento degli obiettivi
aziendali di medio-lungo termine attraverso la ‘soddisfazione’ del cliente”. È possibile suddividere il
processo di marketing management in tre fasi successive:
a. fase analitica
b. fase strategica
c. fase operativa
a. La fase analitica del marketing management. Qualunque decisione di marketing dovrà essere
basata su molteplici informazioni raccolte sia sul mercato sia all’interno dell’azienda. Si possono
5 tipi di
individuare diversi livelli di analisi; la prima, quella più generale, riguarda l’ambiente esterno nel AMBIENTE
quale l’azienda opera. L’analisi dell’ambiente può essere suddivisa idealmente in cinque aree di
interesse:
1. L’ambiente economico. Lo stato in cui versa il contesto macroeconomico e i suoi cambiamenti
possono essere fonti d’opportunità e di vincoli per il marketing di un’organizzazione.
2. L’ambiente sociale. Si riferisce alle tradizioni sociali e culturali, alle norme di comportamento e
agli atteggiamenti di una comunità.
3. L’ambiente politico. La politica concentra in senso lato le opinioni e le iniziative del grande
pubblico; il malcontento di tali soggetti può avere effetti negativi sull’immagine dell’azienda o sulla
fedeltà della clientela.
4. L’ambiente giuridico. È costituito dall’insieme delle leggi comunitarie e nazionali volte alla tutela
della libera concorrenza e dei diritti del consumatore.
5. L’ambiente tecnologico. Anche il progressivo mutare della tecnologia crea spesso minacce ed

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opportunità di rilievo.
b. La fase strategica. È il momento in cui il marketing, avendo studiato il mercato di riferimento
decide il “cosa” fare. Per “strategia di marketing” si intendono in estrema sintesi tre decisioni:
1. Obiettivi
2. Target
3. Posizionamento
c. La fase operativa. Una volta decisa la strategia, questa deve essere attuata usando le leve
operative del marketing. Tipicamente si parla di marketing mix per intendere i quattro fattori
d’offerta che l’azienda deve calibrare per raggiungere i suoi obiettivi:
1. Il prodotto
Un marketing mix si riferisce spesso alle quattro P di E. Jerome McCarthy:
2. La comunicazione prodotto, prezzo, posizionamento e promozione.
3. Il prezzo I diversi elementi di un marketing mix funzionano in combinazione tra loro.
I marketing mix incentrati sul consumatore incorporano un focus sui clienti nei loro
4. La distribuzione approcci.

Capitolo 2
Il comportamento d’acquisto del consumatore e delle organizzazioni
I potenziali acquirenti rappresentano il principale interesse per chi si occupa di marketing
all’interno di un’azienda. Comprendere con quali modalità questi soggetti effettuano l’acquisto di
un prodotto, o un servizio, è una condizione essenziale per realizzare strategie di marketing
efficaci.

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alisulpr ocessodec isional e
Per quanto riguarda il comportamento del consumatore, è stata verificata, nel corso di diversi studi
e ricerche, l’esistenza di forti influenze esercitate dalla cultura, dalla classe sociale e dal gruppo di
riferimento, sugli acquisti. Si è notato che tali influenze hanno effetti sia diretti sia indiretti sul
processo d’acquisto. Per effetti diretti s’intende, per esempio, la capacità di influenza su una
particolare decisione che un individuo può esercitare sugli altri membri del gruppo sociale. Per
effetti indiretti s’intende l’influenza della società, del gruppo sociale di riferimento, sui valori
fondamentali di un individuo, come pure sui suoi atteggiamenti e sulla costruzione della sua
personalità.

a. Le influenze dei sistemi e sottosistemi culturali. La cultura è uno dei principali fattori che
influenzano i bisogni, i desideri, i comportamenti di un individuo. Si parla di “fondamenti culturali”
come quegli elementi che incidono sul comportamento quotidiano e che sono determinanti anche
per quanto riguarda alcuni aspetti del comportamento del consumatore. I valori culturali sono
trasmessi all’individuo da tre istituzioni fondamentali: la famiglia, le organizzazioni religiose e le
istituzioni scolastiche, il cui ruolo, nella società contemporanea, sta diventando sempre più
importante. I responsabili marketing dovrebbero quindi avere cura di adattare il marketing mix ai
valori culturali e controllare costantemente le variazioni che vi intervengono. Per esempio, un
valore che sta cambiando nella nostra società, assumendo un peso sempre maggiore, è
l’importanza della carriera e del successo in ambito lavorativo. Questa variazione nei valori culturali
è stata riconosciuta da molte imprese, che hanno concentrato la loro attenzione su prodotti che
permettono un risparmio di tempo e denaro: nel mercato alimentare italiano, per esempio, negli
ultimi anni, si è assistito a un crescente successo di prodotti predisposti per un uso immediato,

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come le insalate pre-lavate in busta, o per una rapida cottura come le “Risottate” di Riso Gallo.
b. La classe sociale. Oggigiorno, il migliore indicatore di una classe sociale è probabilmente il tipo
di occupazione ì. Ai fini di questa trattazione l’interesse per le classi sociali concerne
esclusivamente la loro influenza sul comportamento dell’individuo. Le diverse classi sociali, infatti,
tendono ad avere atteggiamenti e valori diversi che condizionano il comportamento dei loro
membri.
c. Gruppi di riferimento e famiglia. I gruppi di persone ai quali l’individuo fa riferimento nella
formazione dei propri atteggiamenti e delle proprie opinioni vengono definiti gruppi di riferimento.
I gruppi di riferimento primari includono la famiglia e gli amici stretti, mentre quelli secondari
includono le associazioni, professionali e non. Può anche accadere che un acquirente consulti un
singolo individuo in merito alla decisione d’acquisto: in tal caso questo individuo viene definito
individuo di riferimento. La famiglia è considerata un gruppo di riferimento importante, tanto che è
stato ipotizzato, da parte di alcuni studiosi, che proprio la famiglia, piuttosto che l’individuo, sia
l’unità significativa di riferimento per lo studio del comportamento d’acquisto del consumatore.
Tale considerazione è basata sull’osservazione che in una famiglia non sempre l’acquirente di un
bene o di un servizio ne è anche l’utilizzatore. Si tratta di una considerazione importante per un
responsabile marketing, per determinare non solo chi effettua materialmente l’acquisto, ma anche
chi lo decide.

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ional ede lcons umat or e
Ogni elemento del marketing mix (prodotto, prezzo, promozione, distribuzione) può incidere sul
consumatore in modi diversi.
a. Influenza del prodotto. Sul comportamento del consumatore possono influire molti degli
attributi di un prodotto, quali nome della marca, design, modernità, complessità. Sul fatto che il
consumatore noti il prodotto nel punto vendita, lo esamini e lo acquisti, altrettanto possono
influire l’aspetto esteriore del prodotto, la confezione, le informazioni riportate sull’etichetta.
b. Influenza del prezzo. Non di rado il prezzo dei prodotti e dei servizi incide sulla decisione o meno
di acquistarli e, in caso positivo, determina quale delle offerte alternative scegliere. Quest’unica
percezione è sufficiente ad attirare molti consumatori. In alcune circostante, anche prezzi superiori
possono non scoraggiare l’acquirente, convinto che al prodotto o al servizio si accompagni qualità
superiore.
c. Influenze della comunicazione. Pubblicità, vendite promozionali, venditori, propaganda possono
variare l’opinione del consumatore in merito a un prodotto, influenzando le emozioni suscitate dal
suo acquisto e utilizzo, e il comportamento che adotterà, inclusa la scelta di acquistare specifiche
marche in determinati negozi. I consumatori ricevono una cospicua mole di informazioni dagli
operatori di marketing. Dovranno innescare comunicazioni che offrano messaggi fortemente
concentrati sulle caratteristiche del prodotto e siano posizionate all’interno di mezzi
d’informazione che vengono consultati dai consumatori appartenenti a quel dato mercato.
d. Influenze della distribuzione. La strategia distributiva a un dato prodotto può influenzare i
consumatori in diverse maniere:
1. Prodotti che possono essere reperiti in numerosi punti vendita acquisiscono una maggiore
probabilità che i consumatori li trovino e li comprino.
2. I prodotti disponibili in punti vendita esclusivi possono essere percepiti dal consumatore come di
qualità superiore.
3. Sempre più spesso ci si affida a meccanismi di vendita non-store, come i distributori automatici

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e, soprattutto, le vendite online.

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tuaz ional is ulpr oces sodec isi
onal ede lcons umat or e
In termini di situazione d’acquisto, sono stati identificati cinque fattori in grado di esercitare una
certa influenza sul consumatore. Tali influenze possono essere percepite da un individuo tanto a
livello conscio quanto a quello inconscio:
a. L’ambiente fisico è la caratteristica più evidente della situazione d’acquisto. Tale caratteristica
include la localizzazione geografica, l’arredamento, i suoi, gli odori, le luci, le condizioni
atmosferiche.
b. L’ambiente sociale aggiunge una dimensione ulteriore alla descrizione fisica della situazione. Le
altre persone presenti, le loro caratteristiche, i loro ruoli apparenti e i loro rapporti.
c. La prospettiva temporale è la dimensione situazione che può essere specificata in unità di
tempo che vanno dalle ore del giorno alla stagione dell’anno. Il tempo può anche essere misurato
in relazione a eventi passati o futuri relativi ai soggetti partecipanti.
d. La definizione del compito all’interno di una situazione sta a significare l’intento personale, o
l’affidamento di tale compito da parte di altri.
e. Le condizioni antecedenti costituiscono l’ultimo fattore che caratterizza una situazione
d’acquisto.

Lei nfluenz eps icol ogiches ulpr oc essodec isional ede lcons umat or e
Esistono moltissimi fattori psicologici che modificano l’interpretazione e l’utilizzo di tali
informazioni e il loro impatto sul processo decisionale del consumatore. Due fattori psicologici
molto significativi al riguardo sono la conoscenza associata al prodotto (product knowledge) e il
coinvolgimento associato al prodotto (product involvement).

a. La product knowledge identifica un complesso di informazioni immagazzinate nella memoria del


consumatore a proposito di particolari classi e forme di prodotto, di marche, modelli e modi
d’acquistarli. Le influenze esercitate dalla società, dal marketing, quelle situazionali, determinano il
livello iniziale di conoscenza associata al prodotto e i cambiamenti della stessa. Per esempio, un
consumatore può sentire da un amico che apriranno un nuovo punto vendita Apple. In sintesi, la
product knowledge determina la rapidità con la quale il consumatore compie il processo
decisionale.
b. Il product involvement connota la percezione del consumatore in merito all’importanza o
all’interesse personale di un bene.
In caso di acquisto ad alto coinvolgimento, il consumatore tenderà ad acquisire un’alta product
knowledge così da essere sicuro che quell’articolo sia realmente il più indicato per sé. Un alto
grado di product involvement aumenta l’estensione del processo decisionale, il che dilata il periodo
di tempo dedicato all’espletamento dello stesso. Per esempio, normalmente i possessori di Harley-
Davidson sono estremamente coinvolti nell’acquisto e nell’uso di prodotto, marchio e accessori. Al
contrario, il coinvolgimento di chi compra un nuovo spazzolino da denti sarà probabilmente più
ridotto.

I lproces sodec isi


onal ede lcons umat or e
I consumatori riconoscono il bisogno di un prodotto, ricercano le informazioni su possibili
alternative che soddisfino tale bisogno, valutano le informazioni, procedono agli acquisti e dopo

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l’acquisto valutano questa decisione.

a. Il riconoscimento del bisogno rappresenta il punto di partenza del processo d’acquisto. Una
grande varietà di stimoli possono attivare bisogni e desideri e far sì che il consumatore ne prenda
coscienza. Gli stimoli interni possono essere, per esempio, la sensazione di fame e il conseguente
bisogno di procurarsi del cibo, un mal di testa che induce a desiderare un’aspirina o una sensazione
di noia che induce a desiderare di andare al cinema. Il consumatore è invece soggetto a stimoli
esterni quando, per esempio, vede un’insegna di McDonald’s e solo allora si accorge di aver fame:
1. Bisogni fisiologici. In questa categoria sono compresi i bisogni primari del corpo umano, come il
cibo, l’acqua e il sesso.
2. Bisogni di sicurezza. Consistono, per esempio, nella necessità che l’individuo percepisce di
essere protetto da lesioni fisiche, dalle malattie, dalle difficoltà economiche e, più in generale, dagli
eventi imprevisti.
3. Bisogni di appartenenza e amore. Sono legati alla natura propria dell’essere umano, incline alla
vita in forma associata, bisognoso di compagnia e di affetto.
4. Bisogni di stima. Consistono sia nella necessità di autostima, cioè della considerazione della
propria importanza, sia nell’effettiva stima espressa nei suoi confronti da parte degli altri
componenti del gruppo.
5. Bisogni di realizzazione. Questo bisogno può essere definito come la necessità che l’individuo
sente di esprimere sé stesso sempre più pienamente o come il desiderio di realizzare le proprie
potenzialità.

b. La ricerca delle alternative. Una volta presa coscienza di un certo bisogno, l’individuo si mette in
cerca delle possibili alternative per il suo soddisfacimento. Vi sono tipicamente cinque fonti
essenziali alle quali l’individuo può ricorrere per raccogliere le informazioni necessarie:
1. Fonti interne. In tal caso egli ricorrerà alle conoscenze e alle esperienze per così dire
“immagazzinate” nella propria mente.
2. Fonti sociali. Comunicazione con altre persone, come i familiari, i conoscenti, gli amici, i vicini di
casa ecc. Generalmente alcune di queste persone sono selezionate dall’individuo per la loro
particolare competenza su quello specifico acquisto.
3. Le fonti di marketing. Pubblicità, influenza dei venditori, dei commercianti.
4. Le fonti pubbliche. Comprendono le fonti di pubblica informazione, come per esempio gli articoli
di giornale relativi a un dato prodotto e post su Facebook o siti web.
5. Le fonti basate sull’esperienza. Consistono nel maneggiare il prodotto, esaminarlo ed
eventualmente provarlo durante l’acquisto.
c. Le valutazioni delle alternative. Durante il processo di raccolta delle informazioni o, in alcuni
casi, dopo che le informazioni sono state ottenute, il consumatore valuta le alternative in base a
ciò che ha appreso:
1. Il consumatore è informato dell’esistenza di un certo numero di marche.
2. Il consumatore percepisce che almeno alcune di queste marche sono da considerarsi delle valide
alternative.
3. Ognuna di queste marche è caratterizzata da un insieme di attributi.
4. Un gruppo di attributi ha maggiore rilevanza rispetto ad altri.
5. La marca che offre il maggior numero di attributi desiderati sarà la marca preferita.
6. La marca che il consumatore preferisce sarà quella che il consumatore desidererà acquistare.

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d. La decisione d’acquisto. Se non intervengono altri fattori dopo che il consumatore ha deciso
quale marca scegliere tra quelle possibili, ha luogo l’acquisto vero e proprio, che pertanto si
configura come il risultato finale della scelta e della valutazione. In realtà, la scelta dell’oggetto
d’acquisto comporta che vengano prese numerose decisioni, quali il tipo di prodotto, la marca, il
modello, il negozio, il metodo di pagamento e ancora tante altre variabili a seconda della
situazione d’acquisto.
e. Le impressioni del dopo acquisto. Se un individuo ritiene che una determinata azione abbia
riposto adeguatamente a uno stimolo, il successo di questo schema “stimolo-risposta” verrà da lui
ricordato anche in seguito. Allo stesso modo, un’azione che in passato non ha risposto
adeguatamente a un bisogno, verrà difficilmente ripetuta in futuro.

Capitolo 3
La segmentazione del mercato

La segmentazione è il processo di analisi che consente di suddividere la domanda in gruppi tra di


loro diversi di persone ( o aziende) condividendo in questo modo lo stesso comportamento
d’acquisto e consumo. Dal punto di vista della gestione del marketing la selezione dei mercati
target riveste un’enorme importanza nello sviluppo di piani di marketing di successo. La
segmentazione è quindi definibile come l’insieme delle attività tese a determinare la suddivisione
del mercato in gruppi di consumatori simili. La logica della segmentazione si basa sul principio che
un singolo prodotto raramente riesce a soddisfare i bisogni e i desideri di tutti i tipi di consumatori,
di solito essi sono molto differenti, infatti un singolo prodotto, in genere, non soddisfa tutti i
consumatori però vi sono gruppi di consumatori, definiti appunto segmenti di domanda , che
condividono gusti simili e possono quindi essere soddisfatti da uno stesso prodotto. Se un
particolare segmento di consumatori o organizzazioni può essere servito con profitto da
un’azienda, esso costituisce un attraente target quindi l’azienda potrebbe decidere di sviluppare un
marketing mix specifico per servire quel gruppo o segmento di mercato. Il processo di
segmentazione fa parte delle attività analitiche del marketing ed è indispensabile per consentire,
nella fase strategica, la scelta del mercato obiettivo costituito da uno o più segmenti di domanda.
Nel processo di segmentazione i consumatori vengono raggruppati, sulla base delle caratteristiche
condivise, in segmenti omogenei al loro interno, ma differenti tra loro. A questo punto 3 domande
sono importanti : 1. In base alle info in possesso del ricercatore, la segmentazione dovrebbe essere
effettuata a priori o a posteriori? 2. Su quali basi va effettuata? 3. Come scegliere le variabili più
significative da utilizzare per la segmentazione?
La segmentazione a priori e a posteriori
Nel caso della segmentazione a priori il direttore marketing sceglie i criteri, a suo parere, più
adeguati per la segmentazione, prima ancora di svolgere una qualunque ricerca di mercato sul
campo, così facendo si dispone di segmenti costruiti “a tavolino” in base all’esperienza e al buon
senso. Un manager può decidere di suddividere il mercato in base all’utilizzo, nullo, blando o
intenso (rispettivamente i segmenti dei non users, light users o heavy users) di un determinato
prodotto da parte del consumatore. Questa modalità consente di creare una prima forma di
segmentazione, infatti di solito sono gli heavy users a costituire il gruppo di maggior interesse per
l’azienda; in seguito si possono compiere altri sforzi per comprendere più in profondità il loro

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profilo. La ricerca sul campo verrà condotta per determinare la dimensione e il profilo demografico
e psicografico di ciascuno dei tre gruppi identificati secondo il criterio del grado di utilizzo. Il limite
della segmentazione a priori è quello di non poter approfondire i bisogni e le motivazioni
d’acquisto, poiché le variabili utilizzate consentono solo valutazioni induttive; in sostanza si
potranno solo intuire le preferenze di un consumatore heavy user. La segmentazione a priori non
consente di individuare tutti quei consumatori che presentano omogeneità di comportamento e
preferenze rispetto a variabili come i benefici ricercati o l’atteggiamento verso la marca, poiché la
loro individuazione può avvenire soltanto con opportune ricerche di marketing. Essa va considerata
quindi come un primo passo dell’attività di segmentazione, che però per portare a decisioni più
mirate deve essere affiancata da una ricerca più approfondita -> segmentazione a posteriori: che
consiste nel raggruppare la popolazione in segmenti sulla base dei risultati di ricerche effettuate
utilizzando tecniche di analisi che non richiedono di predeterminare rigidamente i criteri di
segmentazione. Attraverso le opportune ricerche di mercato si ottengono info e saranno
determinati la dimensione e il profilo demografico e psicografico di ogni gruppo. Questo tipo di
segmentazione produce vantaggi perché contribuisce ad ottimizzare la strategia di marketing e a
tarare con maggiore efficacia leve del marketing mix. Entrambi gli approcci di segmentazione
possono essere utilizzati validamente: la scelta dell’uno piuttosto che dell’altro dipenderà dal grado
di conoscenza del mercato di una particolare classe di prodotti da parte dell’azienda. Nel caso di
una segmentazione di un prodotto del tutto nuovo un approccio post hoc potrà essere utile a
determinare le caratteristiche chiave del mercato.
I due tipi di segmentazione utilizzati più frequentemente sono la segmentazione in base ai
benefici (benefit segmentation) e quella psicografica ( psychographic segmentation), esiste anche
la segmentazione geodemografica che offre una serie di vantaggi agli operatori di marketing.
La benefit segmentation (in base ai benefici)
Questo approccio si basa sull’assunto che i benefici ricercati dalle persone nel consumo di un
determinato prodotto (bene o servizio) siano la causa fondamentale dell’esistenza di un effettivo
segmento di mercato. Si cerca pertanto di misurare il sistema di valori dei consumatori e la loro
percezione delle varie marche disponibili in una determinata classe di prodotti. Il classico esempio
di questo tipo di segmentazione è quella attuata da Russel Haley per il mercato di dentifrici. Haley
ha individuato 4 segmenti principali per selezionare il testo, il tipo di mezzo di comunicazione e la
lunghezza dei messaggi pubblicitari, nonché il tipo di confezione e la concezione del nuovo
prodotto, per es. una confezione variopinta si appropria più al segmento “sensibili”, con colori
verde acqua per ricordare il fluoro più appropriato al segmento “ apprensivi” ecc. la
segmentazione basata sui benefici è un approccio orientato al mercato, consiste nel tentativo di
identificare i bisogni e i desideri dei consumatori, al fine di soddisfarli tramite la fornitura di beni o
servizi che offrano loro quei benefici ricercati.
La psychographic segmentation (in base alle caratteristiche personali)
Questo tipo di segmentazione è focalizzata sulle caratteristiche personali del consumatore.
L’approccio psicografico, detto anche “orientato allo stile di vita”, segue un modello di
segmentazione post hoc. Nelle indagini campionarie al consumatore viene sottoposta una lunga
serie di domande riguardanti le sue attività, interessi, opinioni ed in seguito in base alle risposte
vengono raggruppati empiricamente.

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La segmentazione geodemografica
Questo tipo di segmentazione individua soggetti e nuclei familiari specifici all’interno del mercato
mediante l’uso di indicatori economici, sociali e demografici con cui è possibile creare
classificazioni di famiglie riferite a macroaree in cui la gente vive e consuma. Tali aree sono reali e
individuabili con le coordinate geografiche tradotte in mappe. Questi dati aiutano nella scelta del
mercato target, nelle campagne di direct-marketing, nella selezione dei media e nell’analisi del
potenziale di vendita in determinate aree nella più ampia accezione di “one to one marketing”.
La scelta delle variabili
Le caratteristiche iniziali, quindi, possono essere identificate in base a precedenti ricerche,
all’andamento degli acquisti o alle valutazioni della dirigenza. L’approccio alla segmentazione più
orientato al mercato risulta essere quello basato sul tipo di benefici che il potenziale consumatore
ricerca in un prodotto. La considerazione e la ricerca dei benefici desiderati dal consumatore
costituiscono un approccio alla segmentazione vivamente raccomandato da buona parte della
letteratura di marketing. È molto difficile considerare una variabile di segmentazione giusta o
sbagliata in assoluto, occorre quindi effettuare una valutazione ragionata delle variabili più
convenienti da utilizzare in relazione agli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere. Comprendere gli
obiettivi alla base della segmentazione che si sta effettuando facilita la raccolta delle info e la scelta
delle variabili più opportune. La scelta delle variabili dipende da quanto esse apportano un valido
contributo nel far comprendere la sensibilità dei consumatori agli stimoli del marketing. Occorre
quindi individuare le caratteristiche che consentono di segmentare la domanda i gruppi di
consumatori che condividono lo stesso comportamento d’acquisto e di consumo. Per es. se si cerca
di definire come posizionare un prodotto, conviene segmentare il mercato sulla base dei benefici
ricercati e delle occasioni d’uso tramite la combinazione di:
- Caratteristiche del prodotto;
- Livelli di prezzo;
- Canali di distribuzione;
- Tipo di comunicazione.
Nella pratica non si riesce sempre ad indentificare i segmenti in modo nitido e distinto infatti si
arriva a risultati soddisfacenti solo dopo vari tentativi ed errori. Un ulteriore problema da risolvere
è quello del numero di segmenti in cui può essere teoricamente frazionata la domanda di un certo
mercato. Quanto maggiore è il numero di variabili utilizzate contemporaneamente, tanto più
grande sarà il numero di segmenti che si possono ottenere. Ipotizziamo di segmentare un mercato
sulla base di quattro variabili:
- Età;
- Reddito;
- Localizzazione geografica;
- Intensità d’uso.
Ipotizziamo inoltre che ciascuna di queste variabili sia suddivisa in classi:
- età (anni): 15-25; 26-35; 36-45; oltre
- reddito (euro annui): 0-30; 31-60; 61-90; oltre
- localizzazione: nord, centro, sud
- intensità d’uso: alta, media, bassa.

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Se combiniamo le classi di ciascuna variabile si possono ottenere 4x4x3x3= 144 segmenti, tutti
definiti e differenti tra di loro. E’ necessario attuare una procedura di segmentazione che porti alla
formazione di un numero più contenuto di segmenti; l’eccessiva frammentazione infatti rende
dispersiva l’allocazione delle risorse, col rischio che i benefici di un eccesso di personalizzazione dei
prodotti risultino inferiori ai costi. L’obiettivo allora è quello di comprendere se i segmenti
individuati sono strategici per l’impresa e meritano di vedere concentrati su di essi gli investimenti
per la realizzazione di appositi programmi di marketing, pertanto si può stimare che il numero di
segmenti non sia inferiore a 4 e né superiore a 12.
Cosa intendiamo con il termine “nicchia di mercato”?
Se da una parte la segmentazione del mercato è definibile come l’insieme delle attività tese a
determinare la suddivisione del mercato (secondo diverse variabili: geografiche; demografiche
come l’età, il sesso, il numero di componenti della famiglia, reddito, occupazione ecc.;
Psicografiche come la classe sociale, stile di vita, personalità; Comportamentali come occasioni
d’uso, fedeltà della marca, atteggiamento verso il prodotto ecc.) in gruppi di consumatori.
Alla base della segmentazione stanno i bisogni del cliente. Al contrario le nicchie di mercato sono
particolari suddivisioni all`interno dei segmenti e si distinguono da quest`ultimi non solo per il fatto
di essere di dimensioni più ridotte, ma soprattutto per l`intensità e la particolarità dei bisogni dei
consumatori che le compongono.

Capitolo 4
La concorrenza
Quali tipi di concorrenza si possono verificare?
Esistono sei tipi di concorrenza:
a) radizionale: formata da coloro che offrono lo stesso prodotto o servizio al nostro stesso
mercato con modalità simili alle nostre. Es: una compagnia aerea considera concorrente
un’altra compagnia aerea che vola sulla stessa tratta.
b) Di categoria merceologica: è formata da coloro che offrono prodotti della stessa
categoria merceologica. Es: soprattutto in certe stagioni, una compagnia che offre snack
può considerare un produttore di gelati come concorrente.
c) Per analogia: consiste in quella società la cui offerta offre lo stesso servizio ma con
modalità differenti. Es: le compagnie aeree possono considerare il treno o le autolinee
come concorrenti su alcune tratte. Basti pensare alla concorrenza treno- aereo sulla
tratta Milano- Roma.
d) Per potere d’acquisto: è formata da tutti quegli operatori che competono per
accaparrarsi la stessa fetta della capacità di spesa dei consumatori. Es: certi prodotti che
sono uno “status symbol” competono con altri prodotti completamente differenti che
procurano lo stesso tipo di immagine a chi li possiede. Quindi, negli anni ’60, un
gioielliere poteva considerare come concorrenti le pelliccerie.
e) Potenziale: consiste in quelle società che offrono prodotti o servizi contigui ai nostri e
che possono facilmente entrare nel nostro mercato e danneggiarci. In questa categoria
rientrano tre tipi di aziende:

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1) Nuovi prodotti a mercati esistenti: coloro che sono già presenti presso i nostri clienti
con i loro servizi o prodotti e potrebbero decidere di venderne altri. Es: un bar che
comincia ad offrire anche ristorazione
2) Prodotti esistenti a nuovi mercati: coloro che offrono, in mercati diversi dal nostro,
prodotti o servizi diversi dai nostri ma facilmente convertibili in modo da attaccare il
nostro mercato. Es: produttore di prodotti per barche a vela che decide di offrire
prodotti per tende da giardino.
3) Integrazione di filiera: coloro che possono sviluppare un’integrazione di filiera (verso
l’alto o verso il basso). Es: i produttori di microprocessori che sono entrati nel mercato
dei pc o i grandi gruppi di distribuzione che commercializzano prodotti con il proprio
marchio.
f) Totalmente scollegata: la concorrenza si può originare da una differenziazione slegata
da ogni fattore, ma questi casi sono difficili da prevedere. Coloro che operano in settori
con alti tassi di crescita ed elevati margini di profitto faranno bene a tener presente che
prima o poi qualcuno potrebbe decidere di reinvestire i propri capitali attaccando un
mercato appetibile.

Le 5 forze di Porter
Per descrivere meglio quello che avviene all’interno di un mercato e consentire alle aziende di
muoversi di conseguenza, Michael Porter, negli anni ’80, ha spiegato che la profittabilità delle
imprese è determinata da due fattori: l’attrattività del settore in cui opera e l’intensità della
competizione. In merito a quest’ultima, lui ha individuato 5 fatto che ne determinato l’intensità:
1) Minaccia di nuovi entranti: che si intendono quei soggetti che potrebbero entrare nel mercato
in cui opera l’azienda. Es: sviluppo banda larga da parte di Enel, renderebbe l’azienda
concorrente della TELCO (Tim, Vodafone, Wind, ecc.). La possibilità che nuovi operatori
entrino nel mercato è dovuta a diversi fattori:
- Mercato vasto tanto da esserci spazio per altri fornitori
- No investimenti per entrare nel mercato/ finanziamenti facilmente accessibili
- Gli attuali operatori non posseggono dei significativi vantaggi competitivi.
- Di fronte all’ingresso di nuovi operatori ci si aspetta una reazione blanda (o addirittura
nessuna reazione) da parte degli attuali operatori.
2) Potere contrattuale dei compratori: anche i clienti incidono notevolmente sul livello di
competizione, in quanto loro stessi possono fare concorrenza ai loro fornitori. Le variabili
principali che possono aumentare o diminuire il loro potere nei confronti delle aziende sono le
seguenti:
- Concentrazione dei compratori;
- Possibilità di approvvigionarsi altrove;
- I compratori accedono facilmente alle informazioni e possono fare confronti;
- Esiste una reale possibilità di integrazione di filiera se i compratori non sono soddisfatti
della qualità, dei prezzi o delle modalità di fornitura.
3) Potere contrattuale dei fornitori: i fattori che aumentano questo potere sono:
- Concentrazione dei fornitori

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- Difficoltà o costi di cambiare fornitore.


- I fornitori potrebbero procedere a una integrazione di filiera se non sono soddisfatti delle
condizioni a cui vendono il loro prodotto (es: il terzista che comincia a commercializzare il
prodotto finito)
4) Minaccia di beni o servizi sostitutivi: gli elementi che fanno aumentare questa minaccia sono:
- I clienti percepiscono che altri beni o servizi potrebbero soddisfare le loro esigenze;
- I beni o i servizi sostitutivi presentano un migliore rapporto prezzo/prestazione;
- I beni o i servizi sostitutivi offrono maggiori profitti.
Es: Asus, produttore di parti componenti per pc che ha lanciato una propria linea di pc.
5) Imprese dello stesso settore (concorrenti diretti): settore sarà più competitivo se:
- Gli avversari hanno dimensione simile e ricercano la crescita
- Il mercato è maturo e potrebbe consentire delle operazioni di eliminazione degli operatori.
- Altri costi fissi potrebbero portare a una guerra dei prezzi;
- I prodotti sono simili e per mantenere le quote di mercato potrebbero essere necessarie
azioni ostili.
- Siamo in presenza di sovrapproduzione.
- Esistono barriere all’uscita.

Le caratteristiche, obiettivi e comportamenti dei concorrenti.


In merito alle caratteristiche dobbiamo fare riferimento a diversi elementi: Ovvero le
caratteristiche generali che sono, appunto, gli elementi che ci permettono di fare una fotografia al
nostro avversario e sono cinque: 1) dimensione = fatturato, quanto hanno venduto, numero di
dipendenti e sedi ecc.; 2) finanza= costi, debiti, oneri finanziati, investimenti ecc.; 3) mercato
=tipologia di clienti serviti, notorietà del marchio e del suo posizionamento; 4) offerta= quali
prodotti e servizi offrono, le loro caratteristiche, la loro struttura e il prezzo; 5) organizzazione =
aziendale, qualità del personale ecc. Un secondo elemento a cui dobbiamo fare riferimento è la
storia, ovvero cercare di capire quali sono gli andamenti che hanno caratterizzato quel
concorrente, quindi cercare di capire come gli elementi detti precedentemente, si sono evoluti nel
tempo. Terzo elemento fondamentale è cercare di conoscere i punti di forza e i punti di debolezza.
In questo caso possiamo fare una classificazione in cinque gruppi: 1)Dominante= l’azienda ha
vantaggi significativi rispetto ai concorrenti; 2) forte = l’azienda ha uno o più vantaggi rispetto ai
concorrenti; 3) avvantaggiato = ci sono dei punti di vantaggio ma non sono sfruttati
adeguatamente; 4) Difendibile = non esiste alcun vantaggio competitivo o, comunque, non è
sostenibile nel tempo; 5) debole= l’azienda è svantaggiata in uno o più punti rispetto ai concorrenti.
In merito agli obiettivi, possiamo distinguerne due: di profitto e di crescita dimensionale.
Per quanto riguarda gli obiettivi di profitto abbiamo:
1) Il controllo dei costi: ridurre i costi è il sistema più semplice per aumentare i profitti.
Tuttavia questo strumento può creare delle debolezze. Es: se si esercita una pressione
esagerata sui fornitori, questi ultimi possono essere insoddisfatti e quindi tenderanno a
valutare altre proposte concorrenti.
2) Sfruttamento di economie di scala: il nostro concorrente potrebbe decidere di
aumentare i profitti sfruttando le economie di scala (si intende la relazione fra i volumi

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prodotti e la riduzione del costo unitario di produzione). Questo potrebbe lasciare


alcuni attori insoddisfatti e quindi renderli più disponibili a lasciare le aziende per cui
lavorano e passare a un concorrente.

Per quanto riguarda gli obietti di crescita dimensionale abbiamo:


1) Nuovi mercati: se pensiamo che l’obiettivo del concorrente sia la crescita, molto
probabilmente ci dovremmo aspettare un attacco teso a conquistare nuovi clienti. È
bene cercare di prevedere le possibili mosse attivando politiche di protezione della
propria clientela, oppure attaccando per primi sui nuovi mercati o anche sviluppando
una politica di alleanze con altri attori.
2) Nuovi prodotti: bisogna anticipare le scelte del concorrente e chiedersi come saranno
questi prodotti ecc.
Ovviamente va sempre considerato che i comportamenti dei concorrenti potrebbero
anche essere dettati non tanto dall’esigenza di perseguire un obiettivo ma, banalmente,
dalla reazione a una minaccia emersa come una crisi di mercato o un attacco di
concorrente.
Invece per quanto riguarda il profilo comportamentale dei concorrenti, fondamentale è
chiederci come si comporteranno difronte a un qualche tipo di stimolo ed è infatti per
questo che esistono tre tipi di stimoli:
1) Modifiche dell’ambiente in cui si opera: per esempio una crisi economica, una
variazione del prezzo delle materie prime ecc.
2) Mossa di un concorrente: per esempio una variazione dei prezzi operata da un
concorrente, un concorrente che esce o entra nel mercato, un nuovo prodotto.
3) Aggressione specifica: azione aggressiva diretta verso il concorrente in questione.
Per esempio una campagna di marketing che indirizza specificamente i suoi clienti o
i suoi prodotti, una variazione normativa o fiscale che colpisce essenzialmente il
concorrente in questione.

Come il concorrente reagirà dipende da tanti fattori:


1) Cultura aziendale: le imprese sviluppano un loro “carattere” e tendono con il tempo
a comportarsi sempre secondo gli stessi canoni. È l’insieme dei valori e dei principi
che determinano i comportamenti degli appartenenti a un’organizzazione.
2) Management: i dirigenti apicali di un’organizzazione se sono dotati di leadership
imprimono un loro stile all’azienda che dirigono.
3) Posizione sul mercato: ovviamente un leader di mercato si comporterà
diversamente da un player di nicchia. Analogamente, un’azienda con una solida
posizione sul mercato potrà reagire più liberamente di una con una posizione
precaria.
4) Caratteristiche interne: dimensione, struttura dei costi, liquidità e i margini
condizionano la capacità di reagire di un’impresa. Es: una società con una grande
massa critica e dei buoni margini potrà più facilmente sostenere o promuovere una
guerra di prezzi.

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5) Caratteristiche del mercato: un mercato giovane sarà più reattivo e aggressivo di


uno allo stadio finale della sua evoluzione. Chi produce un prodotto alla fine del suo
ciclo di vita, potrebbe essere tentato di abbandonare definitivamente in presenza di
una guerra commerciale.

Dopo questa analisi possiamo essere in grado di delineare un profilo comportamentale dei nostri
avversari; ecco di seguito alcune tipologie generali identificate da Kotler:
a) Inerte: quelli che non agiscono prontamente ad un eventuale attacco, questo perché si
sentono sicuro o sono lenti nell’accorgersi dell’attacco o non hanno le capacità finanziarie di
reagire.
b) Selettivo: è quello che reagisce solo ad alcune tipologie di attacchi e quindi è sensibile solo
ad un certo tipo di prodotti o mercati o attacchi.
c) Tigre: quello che reagisce con virulenza a qualunque tipo di attacco
d) Stocastico: si comporta in maniera imprevedibile e irrazionale, non presenta dei profili
identificabili e non si può prevedere il suo comportamento.

Quali ricerche possiamo svolgere per conoscere meglio la concorrenza?


Per conoscere la concorrenza, fondamentale è l’analisi sia per le aziende già ben affermate sia per
le start up che stanno iniziando a muoversi nel mercato di riferimento. Si tratta del processo chiave
per poter identificare i principali concorrenti, conoscere i loro punti di forza e di debolezza e
adeguarti di conseguenza. Attraverso questa analisi possiamo capire come frenare i concorrenti e
come ottimizzare al massimo le nostre strategie di business e di marketing mediante l’utilizzo delle
informazioni ottenute durante l’analisi stessa, ricavate dall’acquisizione e dall’analisi dei Big Data
online.
Fondamentale in questa analisi è l’identikit dei competitor per conoscere quali prodotti e servizi
offrono, dove comunicano con i nostri clienti e in che modo vengono considerati dagli stessi clienti
target. Inoltre è fondamentale capire cosa i nostri clienti possano pensare della concorrenza e dei
loro prodotti perché solo così possiamo capire se sono apprezzati dalla nostra azienda o no. Avere
una consapevolezza di questo genere ci consente di agire di conseguenza, migliorando aspetti
fondamentali dell’attività.
Ad esempio potresti scegliere di cambiare modo di comunicare con i clienti, aggiornare i prodotti o
servizi del tuo brand e molto altro ancora. Tra le informazioni più utili che possiamo ottenere
durante l’analisi della concorrenza, troviamo le strategie di marketing adottate per attirare i clienti
e per affermarsi nel mercato di riferimento. Grazie a potenti software e tool di web listening,
possiamo capire: quali sono le strategie di marketing dei tuoi clienti (durante la fase di analisi
quantitativa) e capire quali strategie hanno funzionato e quali hanno fallito, e comprenderne il
perché (durante la fase di analisi di mercato qualitativa).
In questo modo ci si potrà ispirare alle strategie vincenti della concorrenza, migliorandole
ulteriormente, ed evitare in anticipo gli errori dati dall’adozione delle strategie sbagliate. Ad
esempio, puoi venire a conoscenza dei canali utilizzati per intercettare i clienti, delle modalità
adottate per comunicare con loro, delle strategie utilizzate per attirare i consumatori. Intercettare i
Big Data online durante l’analisi dei competitor ci consente di apprendere informazioni salienti sui
siti web delle aziende concorrenti.

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Ecco qualche esempio:


 Quanto traffico ha la concorrenza sia sul sito web che sui social?
 Attraverso quali fonti e Query i clienti trovano i competitor sul web?
 Qual è il profilo backlink dei tuoi concorrenti?
 Quali sono le strategie utilizzate dai competitor per attirare traffico organico e a
pagamento?
 Qual è l’autorità dei tuoi concorrenti su Google?
E tantissime altre informazioni.
Anche in questo caso, puoi usare i dati a vantaggio dell’azienda in modo da migliorare le tue
strategie sul web.
Quindi possiamo dire che g li obiettivi principali di un’analisi della concorrenza sono,
principalmente, i seguenti:
 Studiare lo scenario del mercato.
 Prevedere la domanda e l’offerta.
 Riformulare e migliorare le tue strategie di business e di marketing.
 Riconoscere le opportunità e le minacce.
 Calcolare le prossime mosse dei tuoi concorrenti.
 Ridefinire gli obiettivi aziendali.
Avere la consapevolezza di ciò che fanno le aziende concorrenti e di come lo fanno, significa
poter adottare le misure necessarie per migliorare i risultati del tuo brand e sbaragliare i
competitor.

Capitolo 5
Le ricerche di marketing
Intanto quando parliamo di ricerche qualitative e quantitative dobbiamo fare riferimento alle
ricerche di marketing che possiamo dire che hanno l’obiettivo di fornire informazioni ai manager
affinché possano assumere decisioni efficaci. La ricerca di marketing si realizza attraverso un
processo, formato da varie fasi:
a) Gli obiettivi della ricerca: i manager e i ricercatori si trovano nella posizione di dover
effettuare ricerche su un problema o una situazione la cui natura non è però del tutto
chiara o ben definita. Alla fine di questa fase dovrebbero essere d’accordo sul contesto di
riferimento relativo al problema che s’intende affrontare, la natura del problema, la
domanda o le domande specifiche alle quali la ricerca dovrebbe trovare una risposta. Fase
fondamentale perché influenzerà il tipo di ricerca che si va a condurre e il disegno di
ricerca.
b) Il piano di ricerca: definisce la natura specifica della ricerca e riporta i criteri di scelta del
campione(insieme di elementi estratti da una popolazione statistica che ne rappresentano
l’universo), le misurazioni e le metodiche analitiche che saranno impiegate. Fondamentale
è decidere se avvalersi di dati primari, secondari o la combinazione di questi.
Dati primari sono i dati raccolti specificamente per la questione affrontata nella ricerca.
Sono di norma molto più costosi rispetto ai secondari ma sono anche quelli necessari per

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poter definire strategie specifiche. I dati secondari sono dati raccolti in precedenza per altri
scopi, più economici ma meno validi per le strategie aziendali. Fondamentale in questo caso
è definire il tipo di ricerca. Ci sono due tipi di ricerche quella qualitativa o quella
quantitativa. La ricerca qualitativa ha finalità esplorative soprattutto per avere indicazioni
utili per la soluzione di un problema, non ha di norma rappresentatività statistica. Per
quanto riguarda la ricerca quantitativa ha lo scopo di descrivere fenomeni fornendone una
dimensione di natura quantitativa tramite procedure più sistematiche, attraverso il
reperimento e l'analisi di dati numerici. Si utilizzano campioni rappresentativi dell'universo
di riferimento e ha di norma rappresentatività statistica. I due generi di ricerca qualitativa
più comuni del marketing sono: i Focus Group che consiste nel riunire attorno a un tavolo
un gruppo di 8-12 persone per un tempo di circa due ore, sotto la guida di un moderatore
esperto che seguendo una traccia consente a ognuno di esprimere liberamente le proprie
idee su un certo tema. Con un focus Group si può definire con particolare ricchezza di
sfumature gli atteggiamenti di consumo. Si usano tecniche Creative, proiettive e cognitive.
Spesso le aziende organizzano indagini di tipo qualitativo perché sono meno costosi delle
indagini quantitative e non offrono risultati statisticamente validi, ma consentono
comunque di acquisire molti stimoli validi. Per valutare nuove idee di prodotto, in alcuni
casi i focus group vengono organizzati con consumatori particolarmente innovativi. Il
secondo tipo di ricerca qualitativa sono le interviste individuali in profondità. Si cerca di
approfondire le dinamiche di comportamento e motivazione di alcuni individui presi
singolarmente. Si eliminano quei condizionamenti che possono nascere nel gruppo. È
necessaria quando bisogna ricostruire l'esperienza personale del consumatore.
Generalmente 20-30 sono sufficienti e raccogliere un numero congruo di informazioni. Per
quanto riguarda le ricerche quantitative prevedono che venga somministrato un
questionario strutturato a un campione rappresentativo dei consumatori Le risposte
vengono classificate e poi elaborate con opportune tecniche di analisi statistica dei dati. Le
principali ricerche quantitative sono:
1) L'osservazione per esempio nei supermercati per osservare il comportamento del
consumatore.
2) la Survey raccolta di dati tramite un questionario.
3) ricerca sperimentale quando si agisce su una sola variabile esaminandone l’impatto
sulle altre variabili
4) la ricerca modello matematico. Si impernia su dati secondari per esempio i dati raccolti
dal lettore di codici a barre alla cassa di un supermercato con sviluppo di equazioni che
individuano le relazioni tra le diverse variabili e l'uso di tecniche econometriche per
analizzare l'effetto di tattiche e strategie su vendita.
- Per quanto riguarda le modalità della ricerca possono avvenire in due modi in maniera
interno o esterno. Occorre valutare se esistono le competenze interne per effettuare la
ricerca o se non sia opportuno rivolgersi a società in possesso di competenze particolari.
5) Nel processo di ricerca, una terza fase è la conduzione della ricerca. Per condurre la
ricerca occorre attrezzarsi per la raccolta dei dati e quindi procedere al loro
reperimento. Quest'ultima fase dipende ovviamente dal tipo di dati desiderati. Se si

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tratta di dati secondari si possono acquisire all'esterno pagandoli. Se si tratta di dati


primari sarà necessario predisporre un modulo adeguato per la raccolta dei dati e cioè
il questionario. Dovranno, inoltre essere definiti il campione e le modalità con le quali
effettuare contatti: interviste dirette, telefoniche, postali eccetera. Per quanto riguarda
il questionario, la sua costruzione richiede decisioni su alcuni aspetti chiave, che sono:
- la scelta del tipo di domanda
- la scala di classificazione delle risposte
- la modalità di formulazione delle domande
- l'ordine di somministrazione
- lunghezza.
Le domande possono essere:
- Aperte: ovvero consentono di rispondere in forma destrutturata, si usano quando
occorrerebbe un elenco troppo numeroso di opzioni o quando non si vuole in alcun modo
influenzare la risposta.
- Chiuse: ovvero si riduce la discrezionalità nella trascrizione della risposta e si favorisce la
fase di elaborazione.
- Filtro: ovvero indirizzando verso domande successive.
- Di controllo: ovvero favoriscono l'identificazione di risposta in contrasto tra loro.
Per quanto riguarda la formulazione delle domande ci sono alcune regole:
- Mira Ad uno aspetto specifico
- essere brevi
- non creare salti di attenzione con domande che richiedono tempi di risposta non omogenei
- evitare fraintendimenti
- usare il linguaggio semplice
- evitare domande che potrebbero sembrare invasive
- non chiedere opinioni su cose dette ho fatto da altri
- non richiedere eccessivi sforzi di memoria
- non indurre la risposta
- non fare più domande della stessa frase.
Per quanto riguarda l'ordine di somministrazione importante è :
- Favorire un flusso che favorisca la collaborazione di che risponde.
- partire da domande generali per poi approfondire.
- partire con le domande più semplici per mettere a proprio agio l'intervistato.
- attenzione alla lunghezza del questionario.
Le tecniche di ricerca si sono progressivamente affinate nel tempo; ciò ha portato alla
messa a punto di metodiche specifiche in funzione degli obiettivi da raggiungere, di
conseguenza oggi non si parla più soltanto di ricerche qualitative e quantitative, ma anche
di ricerche destinate a finalità mirate.
Ne vengono illustrate alcune che hanno trovato larga applicazione in molte aziende e cioè:
- Product test: Test qualitativo che rileva gli aspetti emozionali e razionali, di esperienza che
legano i consumatori all'uso e all'acquisto di un prodotto. Aiuta a comprendere come i
consumatori giudicano il prodotto in base a tali aspetti. Approccio di ricerca varia può

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essere di tipo Comparato o monadico: a) Comparato: è basato sul confronto con i prodotti
della concorrenza. I prodotti vengono proposti senza indicazione della marca o di altri
elementi che possano favorirne il riconoscimento (Blind test). B) monadico: il prodotto
viene sottoposto da solo al consumatore.
- Package test: Vengono analizzati da prima con approccio qualitativo i connotati simbolici e
le percezioni che consumatori assegnano alla confezione del prodotto e si osserva se questa
facilita la comprensione degli elementi differenzianti con cui l'azienda intende proporre sul
mercato la propria offerta, se è coerente con il brand ecc. Successivamente con una
indagine quantitativa viene misurato l'impatto complessivo generato dalla confezione. Si
mostra una foto o il package vero e proprio e gli intervistati devono valutare gli aspetti
estetici e la funzionalità. Si misura inoltre l'attenzione che la confezione riesce a suscitare.
- Name test: È un test che tende a misurare l'impatto del nome di un prodotto sui
consumatori. viene effettuato anche per il nome di nuova azienda eccetera.
- Pricing test: Viene utilizzato per verificare come si modifica l'intenzione di acquisto in
funzione del prezzo. Si può misurare l'elasticità diretta sottoponendo di norma ad un
campione rappresentativo di consumatori diversi livelli di prezzo e verificando come varia
l'intenzione di acquisto. Se si vuole invece misurare l'elasticità incrociata viene costruito
uno scaffale simulato ma quanto più possibile realistico sul quale si collocano i prodotti dei
concorrenti e si cambiano i cartellini dei prezzi verificando come varia l'intenzione di
acquisto. È possibile anche osservare direttamente l'elasticità incrociata direttamente sul
punto vendita che praticano prezzi differenti.
- Advertising test: i messaggi pubblicitari vengono sottoposti a specifiche indagini per
misurare l’efficacia della comunicazione e la qualità dei contenuti creativi. Prima sul piano
qualitativo, prima del lancio dello spot si cerca di valutare il gradimento dei consumatori nei
confronti dei contenuti della pubblicità, la coerenza con gli obiettivi di comunicazione,
l’aderenza alle caratteristiche dei destinatari. Dopo che lo spot è stato mandato in onda, si
effettua test quantitativo, col quale ci si propone di misurare alcune variabili:
1) risposta cognitiva della audience obiettivo: vengono valutati aspetti percettivi legati alla
visione della pubblicità come l’originalità del messaggio, la fiducia verso il , la credibilità
ecc.; la tensione generata; la Chiara comprensione dei contenuti; la sedimentazione
del ricordo.
2) risposta affettiva, come per esempio l'atteggiamento verso la marca e il coinvolgimento
nei confronti del prodotto;
3) la risposta comportamentale, intesa come persuasività e stimolo all'acquisto del
prodotto.
6) Elaborazione dei dati.
Questa fase include la preparazione di dati per l'analisi (editing) e l'analisi vera e propria. Le
tecniche per un’analisi appropriate dei dati raccolti dipendono dalla natura della domanda
oggetto della ricerca e dal disegno della ricerca. I dati di una ricerca qualitativa consistono
in registrazioni di interviste il cui contenuto verrà valutato nella prospettiva di ricerca di
idee e di nuove conoscenze. I dati di una ricerca quantitativa sono analizzabili secondo
diverse tecniche quali:

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 Regressione multipla: mediante la funzione lineare si esprime la relazione tra una variabile
dipendente e un insieme di variabili indipendenti conosciute a priori. Si usa di norma per le
previsioni della domanda oppure per comprendere da quali fattori è maggiormente
influenzata la soddisfazione dei consumatori.

 Cluster analysis: Consente di raggruppare individui e/o oggetti che presentano


caratteristiche omogenee rispetto a variabili predefinite. viene utilizzata per la
segmentazione.

 Analisi fattoriale: Consente di ridurre una elevata variabilità originaria trasformando un


numero considerevole di attributi che servono a qualificare i prodotti in una serie molto più
ridotta di nuove variabili latenti definite fattori, non note a priori, senza tuttavia avere una
perdita più significativa di qualità dell'informazione. Si utilizza spesso per definire il
posizionamento.

 Analisi discriminante: consiste nell'individuare la combinazione di attributi o caratteristiche


che meglio si presta a differenziare due o più prodotti, marche, acquirenti, ecc. L'obiettivo è
l'opposto della cluster analysis. Per esempio nel caso di una banca serve ad individuare le
caratteristiche che differenziano un buon pagatore da un insolvente.

7) Ultima fase è la preparazione della relazione conclusiva.


È un documento nel quale viene presentato un resoconto completo delle attività svolte.
Vanno segnalati attentamente i limiti della ricerca cercando di rispondere ad una serie di
domande. La relazione deve essere chiara al limite anche a discapito del linguaggio tecnico
per esser certi che i destinatari recepiscono correttamente contenuti.

Strategia corporate
La pianificazione strategica consiste nello sviluppare e mantenere una constante corrispondenza
tra gli obiettivi e le risorse dell’organizzazione. Per ottimizzare questo processo si inizia da un
contesto generale per arrivare al particolare e cioè gli altri dirigenti valutano le prospettive future,
ovvero la loro capacità di realizzarle e su queste prospettive sviluppate in strategie ed obiettivi
generali si costruirà la pianificazione di divisioni ed aree funzionali. Occorre cogliere il momento,
offrire il prodotto giusto al momento giusto, oppure cogliere i segnali ambientali ed attuarli
utilizzando le tre categorie base per attivare la pianificazione: i clienti, i dipendenti e gli investitori.

Il processo di pianificazione strategica


Possiamo così strutturare la pianificazione, partendo dall’ambiente e in base alle informazioni
parte la missione aziendale che giustifica la sua esistenza e cioè qual è la sua attività. La missione è
basata su 3 principi:
-Realizzabile: guidare l’azienda verso una performance realistica
-Motivante: motiva il personale affinché i risultati siano conseguenza dell’accurata realizzazione
della missione

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-Specifica: con un orientamento di produzione preciso


Gli obiettivi
Il punto di arrivo della missione sono gli obiettivi e devono essere specifici, quantificabili e
coinvolgenti e soprattutto raggiunti in un tempo prefissato. Per realizzare gli obiettivi, l’impresa
necessita di strategie aziendali, quindi scelte delle direttive che l’organizzazione dovrà seguire per
perseguire tali obiettivi.
Le strategie basate sui prodotti/mercati; ovvero gestire al meglio la produzione in atto e /o
iniziarne altre:
1. Strategie di penetrazione del mercato: aumentano il consumo del prodotto anche in occasioni
diverse (Gatorade), oppure invitando al maggiore consumo offrendo confezioni famiglia risparmio,
premi o concorsi.
2. Strategie di crescita secondo combinazioni prodotto/mercato: lo sviluppo dell’offerta ambientale
ai clienti attuali e diversificazione per i nuovi clienti (come Benetton che dalla maglieria è passata
ad Autogrill e società Autostrada)
3. Strategie basate sul vantaggio competitivo: fornire al mercato un valore superiore rispetto alle
aziende concorrenti, offrendo pezzi più bassi per un prodotto standard ed essenziale ottimizzando
l’efficienza del prodotto produttivo. Se alla competizione affianchiamo la differenziazione
realizziamo quelle aziende che intendono diventare uniche nel settore e grazie all’unicità del
prodotto l’azienda potrà anche aumentare il prezzo (rolex, coca-cola).
4. Strategie basate sul valore: basate quindi sulle relazioni a lungo termine con il cliente al quale
l’azienda offre l’unicità del valore, spesso rappresentato da “il miglior prezzo” o “il miglior
prodotto” (Nike)
Il portafoglio di attività aziendali
Il portafoglio di attività aziendali è l’insieme delle aree di attività e dei prodotti che l’impresa si
propone di realizzare nel periodo del riferimento nel piano strategico. Per raggiungere gli obiettivi
occorre valutare quali attività incentivare, continuare o eliminare o crearne nuove. Una volta
delineata la linea da produrre si formano le Aree strategiche d’Affari (ASA) e consistono in:
• Missione distinta
• Concorrenti specifici
• Costituite da attività singole o gruppi di attività
• Possono essere oggetto di una pianificazione separata

Modello Abbel
Il modello più usato per identificare le Asa è quello di Abbel e si basa su tre elementi:
- Il gruppo di clienti destinati al prodotto
- Le funzioni o bisogni ai quali è dedicato
- La tecnologia usata per produrlo (es pag.109)

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L’uso bilanciato dei 3 elementi, quindi le diverse combinazioni prodotto/mercato, identificano


nuovi mercati con bisogni non soddisfatti, quindi obiettivi da raggiungere ed un Budget da
impiegare profittevolmente. Stabilite le ASA si deve trovare un metodo per ripartire le risorse.
La teoria del portafoglio di attività
Una volta identificate e classificate le varie unità strategiche di cui è composta una organizzazione
aziendale, deve essere stabilito un metodo per decidere come distribuire le risorse a disposizione
fra esse. Questi metodi sono chiamati modelli di portafoglio. L’interesse a sviluppare questi modelli
teorici per supportare i manager aziendali nasce da una prestigiosa azienda di consulenza
relazionale, la Boston Consulting Group (BCG), da cui prende il nome il modello BCG.
Le idee della società per la costruzione di questi modelli si basavano sul concetto di curva di
esperienza. La curva di esperienza (o curva di apprendimento) rappresenta la tendenza della
riduzione dei costi aziendali al crescere dei volumi di produzione (il numero di ore di lavoro diretto,
necessario per produrre un’unità di prodotto, decresce al crescere del numero della unità
prodotte).
La curva di esperienza include tutti i costi relativi a un prodotto e sostiene che il costo unitario di
quel prodotto diminuisce al crescere del volume di produzione.
Il concetto di curva di esperienza del Boston Consulting Group ha condotto allo sviluppo di quello
che oggi conosciamo come modello del portafoglio BCG
ES. Il produttore con il più ampio volume di produzione e la maggior quota di mercato dovrebbe
avere il più basso costo marginale. Un’azienda con queste caratteristiche, leader di mercato,
dovrebbe poter praticare prezzi così bassi per riuscire a battere la concorrenza, scoraggiare
l’entrata nel mercato di nuovi concorrenti e realizzare un discreto livello di remunerazione degli
investimenti.
Il modello BCG
Il modello BCG sostiene che la redditività e la liquidità aziendale sono strettamente collegate al
volume delle vendite. In questo modello, le ASA (strategie aziendali d’affari) sono classificate in
base alla loro quota di mercato relativa e al tasso di crescita di mercato nel quale operano. Usando
questi principi, i prodotti rientrano in quattro categorie-tipo:
- STARS (stelle): sono ASA caratterizzate da un’elevata quota di mercato e operano in un mercato in
forte crescita. A causa dei mercati in cui fanno parte queste ASA assorbono molte risorse
finanziarie all’azienda.
- CASHCOWS (mucche da mungere): sono spesso leader di mercato, ma il mercato nella quale
operano ha una domanda stabile o un tasso di crescita moderato. Poiché queste ASA detengono
un’ampia quota in un mercato a bassa crescita, esse sono fonte di abbondanti flussi di cassa per
l’azienda.
- DOGS (cani): sono ASA che possiedono una bassa quota in un mercato a bassa crescita. Se
l’impresa, in questa area di affari, ha clienti molto fedeli, ne può derivare un buon risultato in
termini di redditività e liquidità. Solitamente, le aree strategiche d’affari dogs non costituiscono
una buona fonte di liquidità.

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- QUESTION MARKS (punti interrogativi): sono ASA che controllano una bassa quota con un
mercato ad alta crescita.

Dopo aver analizzato le varie aree strategiche d’affari in base a questi principi, la dirigenza deve
decidere il ruolo che ognuna di esse deve avere nel complesso piano strategico dell’impresa.
Quattro sono i tipi di obiettivi a cui può far riferimento un’azienda:
1.Sviluppo (build share): è un obiettivo adatto per le attività “question mark” più premettenti, delle
quali si voglia far crescere la quota di mercato per promuoverle al rango di “stars”.
2.Mantenimento (hold share): un obiettivo finalizzato al mantenimento della quota di mercato
detenuta dall’area strategica d’affari. Adatto per quelle attività come le “cash cows”.
3.Mietitura (harvest): è un obiettivo che mira ad incrementare la liquidità dell’azienda a breve,
senza considerare le conseguenze di lungo periodo. Esso implica che si sacrifichi la quota di
mercato al fine di massimizzare i profitti e la liquidità.
4.Disinvestimento (disinvest): obiettivo che comporta la vendita o il disinvestimento di aree
strategiche d’affari poiché esistono migliori opportunità d’investimento altrove.
Il modello BCG ha suscitate molte critiche, incentrate sul criterio di classificazione delle ASA in base
alla quota di mercato e al tasso di crescita del mercato. Alcune di queste sostengono che:
• Il modello BCG sembra dar per scontato che la principale fonte di finanziamento dell’aerea
strategica di affari sia costituita dalle risorse interne.
• Il modello BCG non tiene in considerazione alcuna misura di profitto e soddisfazione del cliente.
• il modello BCG sostiene l’ipotesi che la strategia aziendale cominci con un’analisi della posizione
competitiva.
Benché queste critiche siano sicuramente valide, in alcuni settori, specialmente quelli a bassa
differenziazione di prodotto e nel caso di aziende di grande dimensione, la matrice BCG
rappresenta comunque un valido strumento di analisi per valutare la posizione delle proprie aree
strategiche d’affari e le conseguenti decisioni di investimento.
La matrice GE (General Electric)
La matrice GE enfatizza tutti i fattori che potenzialmente possono condurre un’impresa a una
posizione di competitività, non solo sula quota di mercato, ma considera anche tutti fattori che
influenzano l’attrattività di un mercato, non solo il suo tasso di crescita.
L’attrattività del settore è un indice composito, alla cui competizione concorrono diversi fattori
come la redditività, la crescita e la dimensione.
- Dimensione: più è grande il mercato, più esso è attrattivo.
- Crescita: i mercati in forte crescita sono più attrattivi di quelli a bassa crescita.
- Redditività: i mercati che consentono alti margini di profitto sono più attrattivi.
La competitività aziendale è un altro indice composito, costituita da altri fattori quali la quota di
mercato, la leadership nella quantità e la quota di mercato comparata a quella dei concorrenti.

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- Quota di mercato: più grande è la quota di mercato detenuta dall’ASA, maggiore è la sua
competitività.
- Leadership nella quantità: migliore è la qualità in rapporto alla concorrenza, più forte è la sua
competitività.
- Quota di mercato comparata a quella dei concorrenti: più la quota di mercato si avvicina a quella
dell’azienda leader, maggiore è la sua competitività.
Una volta che le ASA vengono classificate, vengono collocate nella griglia in base ai giudizi che i
manager responsabili della valutazione gli hanno attribuito.
ZONA A: attività caratterizzate da un’alta
attività del mercato e da una forte competitività
ZONA B: attività caratterizzate da una posizione
intermedia, sia per attrattività che per competitività
ZONA C: attività caratterizzate da una bassa
attrattività e debole competitività
L’analisi SWOT
L’analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica utilizzato per valutare l’ambiente
esterno (minacce e opportunità) e interno (punti di forza e di debolezza) all’azienda. L’analisi SWOT
ha lo scopo (mission) di identificare tutte le tendenze e inserirle in un quadro organico,
individuando condizione interne e esterne all’azienda che per loro rilevanza possono influenzare la
loro performance. Essa può riguardare un mercato in cui l’azienda è già presente o in uno in cui
cerca di entrare. Nel primo caso l‘intento è quello di verificare la validità della strategia adottata.
Nel secondo caso consiste invece nel mettere a punto una strategia di ingresso adeguata.
Due sono i vantaggi che derivano dall’analisi SWOT:
- Il contributo di conoscenza fornito dall’esame combinato di variabili interne e esterne all’azienda
- L’insieme di valutazioni in chiave strategica che il processo consente di delineare
Cosa si intende per opportunità/minacce e forze/debolezze?
Ambiente esterno:
- Opportunità: fattori che si ripercuotono sulle prestazioni dell’impresa, possono contribuire alla
creazione di un vantaggio competitivo.
- Minacce: condizioni che possono portare a un declino nelle prestazioni in assenza di
contromisure per fronteggiarli. Esse possono mettere a rischio il successo della strategia di
marketing.
Ambiente interno:

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- Punti di forza: risorse o capacità specifiche che l’azienda è in possesso. Se utilizzate in maniera
efficace, le appartano una competenza distintiva rispetto alla concorrenza e le possono consentire
di cogliere opportunità.
- Punti di debolezza: risorsa che manca all’azienda mentre i concorrenti ne dispongono. I punti di
debolezza enfatizzano le minacce e attenuano il valore delle opportunità. Rappresentano
condizioni che ostacolano la realizzazione degli obiettivi, fino a determinare, nella peggiore delle
ipotesi, il fallimento della strategia.
Le fasi dell’analisi SWOT
Operativamente, l’analisi SWOT passa attraverso le seguenti fasi:
- Definizione di forza e debolezza che caratterizzano l’azienda
- Esplorazione dell’ambiente di mercato circostante (minacce/opportunità)
- Graduazione di importanza di minacce/opportunità e punti di forza/debolezza
- Combinazione dei fattori interni con quelli esterni per verificare la presenza di elementi di criticità
- Individuazione di possibili alternative di intervento
Per primo si parte dalla valutazione delle variabili interne, da premettere che punti di forza e di
debolezza sono dei concetti relativi.
Esempio: una prerogativa dell’azienda, la reputazione di marca, diventa un punto di forza solo se
può oggettivamente rappresentare una competenza distintiva nell’ASA in esame. Saranno le
caratteristiche della domanda e la struttura del sistemo competitivo del business a permettere di
stabilire se questo attributo rappresenta un punto di forza o se invece ha un carattere di neutralità.
Sulla base di questo ragionamento, anche un fattore ambientale costituisce per l’impresa una
minaccia o una opportunità in relazione ai punti di forza/debolezza posseduti dall’azienda. Ciò che
rappresenta un’opportunità per alcuni può rappresentare una minaccia per altri.
Esempio: si rende disponibile una nuova tecnologia, un’impresa può considerare questo evento
come opportunità se è in grado di acquisirla per i suoi prodotti più rapidamente dei concorrenti, e
una minaccia nel caso contrario.
L’analisi SWOT presenta una dose di soggettività legata all’esperienza dell’analista. Questa
metodologia stabilisce di razionalizzare il processo con cui vengono acquisiti input utili a definire le
alternative strategiche. Invece, un rischio che si corre è quello di ridursi a una semplice elencazione
di eventi esterni e caratteristiche dell’azienda, senza che da questo si riescano a trarre indicazione
utili per la strategia. I punti di forza e punti di debolezza vengono misurate su due parametri:
- Performance: capacità dell’azienda rispetto la variabile osservata; man mano che ci si sposta dal
valore minimo a quello massimo di una scala pre-fissata di misurazione, ina debolezza si trasforma
in una forza
- Importanza: che indica quanto il possesso di capacità rispetto alla variabile osservata è critica per
l’acquisizione di un vantaggio competitivo
Nel caso di minacce e opportunità, i criteri valutazione fanno riferimento a:

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- Gravità o Attrattività dell’evento graduata su una scala numerica


- Possibilità di accadimento i un evento quantificata con l’impiego di una apposita scala di
misurazione
Il limite principale dell’analisi SWOT è la sua staticità: essa presuppone, che venga effettuata una
fotografia della situazione al momento questa viene rilevata, mentre i fattori in esame
(forze/debolezze, opportunità/minacce) sono dinamici per definizione. È allora opportuna ripeterla
con regolarità, specialmente se l’ambito nel quale l’azienda si trova a competere risulta turbolento
a causa della dinamicità dei concorrenti e dei frequenti cambiamenti nei comportamenti diversi
attori del mercato.
(Vedi l’esempio sul caso Redbull a pagina 119)

Capitolo 7
Stategia di marketing
La relazione fra strategia di corporate e strategia di marketing
In un’organizzazione correttamente gestita, esiste una relazione diretta fra la pianificazione
strategica e la pianificazione decisa dai responsabili a tutti livelli. Varieranno l’obiettivo immediato
e le prospettive temporali. Nella pianificazione strategica risulta evidente che i piani elaborati da
tutte le diverse aree funzionali devono discendere dal piano strategico generale e allo stesso
tempo devono concorrere alla sua realizzazione. La strategia aziendale deve essere opportuna
talmente articolata in relazione alle singole ASA individuate in sede di pianificazione strategica
generale, E a questo punto che entra in gioco come protagonista la strategia di marketing, alla
quale è demandato il compito di sviluppare la competitività dell’azienda nei diversi business
presidiati. La formulazione l’attuazione della strategia di marketing ricadono sotto la responsabilità
dei marketing manager. Il loro compito è quello di realizzare strategie di mercato specifiche,
concordemente con le linee di indirizzo e gli obiettivi generali fissati.
Obiettivi della strategia di marketing
La definizione degli obiettivi tiene in considerazione tre elementi principali:
1) Cosa succede nell’ecosistema in cui l’azienda opera e cosa probabilmente succederà in futuro.
Questo non solo in termini di mercato (settore di industria, clienti e concorrenti) ma in generale
nella società (legislazione, evoluzione della popolazione, grandi trend come la globalizzazione,
mode, scoperte scientifiche);
2) Qual è la condizione attuale dell’azienda e cosa in grado di realizzare. Quante risorse abbiamo,
quante risorse possiamo mettere in campo, che competenze possediamo;
3) Le aspettative dei vari stakeholder. Quali obiettivi abbiamo ricevuto al piano aziendale, cosa
ricercano gli azionisti, i dipendenti, i sindacati, e la collettività in cui operiamo;
Esempi di obiettivi di marketing: aumento della quota di mercato del 10%, aumento della base di
clienti del 20%, aumento dei clienti fidelizzati il 10%, diminuzione del tasso di abbandono dei
clienti del 10%.

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Il processo di definizione degli obiettivi


La prima fase è l’interazione con i vertici aziendali e loro piano. Il piano di marketing discende dal
piano aziendale ma nella realtà questo processo non è semplice e ne lineare. Sarà oggetto di una
negoziazione dove i componenti del top management, ovvero i vari responsabili delle divisioni
dell’azienda sono in concorrenza fra loro per ottenere obiettivi facilmente raggiungibili e maggiori
risorse a disposizione. Questa negoziazione a una sua complessità e si sviluppa in varie interazioni
fra marketing vertice aziendale.
La sintesi della fase di analisi svolta nella prima fase dello sviluppo del piano di marketing (ovvero
l’analisi del mercato, dei concorrenti e delle risorse aziendali).il risultato di questa analisi fornisce
anche elementi di supporto per la negoziazione con i vertici aziendali.
Alla fine di questo processo si dovrebbe idealmente avere una serie di obiettivi che sono accettati e
condivisi da tutti. è chiaro che in pratica questo è quasi impossibile da raggiungere, ci saranno
sempre degli scontenti o dei contrari. Ma più si riesce a coinvolgere le persone nella formulazione
degli obiettivi, maggiore sarà la possibilità che gli stessi li sentano come una cosa propria e si
sentano responsabilizzati nel perseguirli. In conclusione più i traguardi sono accettati e condivisi e
maggiore sarà la probabilità di successo del piano.
Caratteristiche degli obiettivi
Vi sono cinque caratteristiche specifiche.
1) Specifico: l’obiettivo fissato deve essere più specifico possibile, ovvero chiaro e preciso.
2) Misurabile: un obiettivo, per essere tale, deve essere misurabile ovvero espresso in un numero.
Un obiettivo non misurabile non è un obiettivo è solo un bel desiderio.
3) Raggiungibile: gli obiettivi devono essere ambiziosi e stimolanti ma raggiungibili, traguardi
troppo difficili possono essere percepiti come utopisti e quindi possono demotivare il personale.
4) Rilevante: gli obiettivi devono essere rilevanti per il raggiungimento della missione aziendale.
Devono avere un impatto concreto sull’azienda. Obiettivi ben dati ma su aree non importanti
possono essere inutili.
5) Declinato nel tempo (time related) insieme alla misura abilità, questa è la caratteristica
principale. Un obiettivo, per essere tale, deve prevedere un orizzonte temporale. Stabilire entro
quando devo raggiungere un certo traguardo è fondamentale.
La comunicazione degli obiettivi
Sono innumerevoli i modi per comunicare che obiettivi. Per esempio si possono inviare
comunicazioni aziendali ai dipendenti, oppure si possono fare riunioni di inizio d’anno nelle quali il
top management dell’azienda illustra gli obiettivi e piani strategici.
Gap Analysis
L’importante esercizio completamente il processo di definizione degli obiettivi è la Gap Analysis.
Questa come scopo l’individuazione dello sforzo aggiuntivo che il piano di marketing deve
indirizzare. Una volta definiti gli obiettivi si procede a ipotizzare cosa succederebbe se le cose
rimanessero invariate. Ovvero se ci comportassimo esattamente come hai fatto in passato. Mira.
Individuare il divario fra risultati attesi in assetto costante ovvero comportandoci come abbiamo

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sempre fatto e gli obiettivi che il piano si pone. Questo dà luogo ad un divario relativo all’oggetto
del piano che l’azienda si pone per il raggiungimento degli obiettivi. Si distinguono due divari:
Divario operativo (operational gap) è quel divario che può essere indirizzato con interventi
operativi, ovvero migliorando le azioni attualmente in essere. Per esempio con un aumento di
produttività con un miglioramento del marketing mix.
Divario strategico (strategic gap) È il divario che deve essere indirizzato con azioni strategiche,
ovvero mettendo in essere nuove attività. Per esempio attaccando nuovi mercati, oppure lanciando
nuovi prodotti.
Targeting
Si tratta di un processo che richiede un’approfondita comprensione degli obiettivi della strategia di
marketing, nonché delle linee guida della strategia medesima. Per esempio, la scelta dei segmenti
obiettivo cambia in funzione del fatto che l’azienda sia indirizzata verso obiettivi di volume,
indirizzandosi quindi verso un grande numero di potenziali acquirenti, oppure di profittabilità,
volendo scegliere soltanto clienti profittevoli da scopare in piccole nicchie di mercato. A parità di
caratteristiche, sono quattro i principali criteri che vengono considerati quando si deve decidere se
indirizzarsi verso un certo segmento.
1) capacità dell’azienda di offrire un prodotto di successo
2) andamento crescente della domanda.
3) possibilità di alti profitti
4) intensità competitiva bassa.
In assenza di queste condizioni, è preferibile dirottare le risorse disponibili altrove, a meno che
indicazioni diversi obiettivi strategici suggeriscono comunque un’azione di presidio. Per essere
presenti nei rispettivi mercati, le aziende adottano diverse strategie di copertura in funzione di una
serie di variabili come la loro dimensione è quella della domanda, il tipo di prodotto, le
caratteristiche dei consumatori si parla infatti di marketing indifferenziato, differenziato,
concentrato.
Marketing indifferenziato viene attuato quando un’azienda propone un unico prodotto valido per
tutti i mercati serviti, senza preoccuparsi di adattare l’offerta ai diversi segmenti. È una strategia
solitamente adottata in condizioni di monopolio, oppure nel caso in cui la domanda risulti
particolarmente omogenea o esistono considerevoli barriere all’ingresso per le imprese
concorrenti.
Marketing differenziato, con questa strategia l’azienda opera un’analisi di segmentazione, in virtù
della quale adegua la propria offerta diverse tipologie di acquirenti. È quella più frequentemente
utilizzata, soprattutto perché permette di studiare prodotti capaci di aderire alle esigenze di diverse
tipologie di acquirenti.
Marketing concentrato, in tal caso l’azienda decide di specializzarsi, puntando a servire in via
esclusiva pochi o addirittura un unico segmento di domanda. Questa strategia può essere adottata
sia per virtù, sia per necessità, nel senso che la sua adozione può costituire una scelta per certi
versi quasi obbligata, o al contrario essere frutto di precise scelte di differenziazione.
Il Posizionamento
Il posizionamento consiste quindi nell’individuare uno o più elementi principali per rendere il

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prodotto riconoscibile e possibilmente unico per il consumatore e lo differenziano dagli altri


presenti sul mercato. Per la sua stessa natura, il posizionamento incorpora l’idea di vantaggio del
prodotto e dunque rappresenta un fattore rilevante nello spiegarne il successo. La definizione di
vantaggio, infatti, fa riferimento all’unicità del beneficio trasferito ai clienti e a raggiungimento di
livelli di soddisfazione superiori. Questo risultato può essere raggiunto operando sulle
caratteristiche del prodotto, sulla comunicazione il prezzo, con l’azione congiunta di un numero più
ampio di variabili, che comprendono l’immagine, la scelta del canale distributivo e i contenuti
tecnologici. Le decisioni di posizionamento sono facilitate da un’adeguata attività di ricerca sul
consumatore, attraverso la quale si cerca di individuare le variabili cognitive, affettive e
comportamentali che hanno influenza sulle preferenze. Per esempio ci sono alcuni elementi di un
prodotto che rappresentano una sorta di requisito minimo e sono oggetto di valutazioni razionali.
In questo quadro si può affermare che uno studio di posizionamento mira a:
1) definire i punti di forza e di debolezza di ciascun offerta, visto che l’analisi è basata sulla
valutazione degli attributi incorporati dei prodotti.
2) misurare, in termini di somiglianza o diversità, la distanza fra prodotti concorrenti e la presenza
di eventuali bisogni non adeguatamente soddisfatti, fornendo informazioni utili nella formulazione
della strategia di marketing.
3) favorire la realizzazione di prodotti mirati alle esigenze dei segmenti prescelti, in modo da
generare customer satisfaction e fidelizzazione.
Esistono alcune regole fondamentali da tenere a mente per realizzare un posizionamento efficace:
1) il posizionamento è riferita alla percezione dei clienti, quindi le aziende non devono commettere
l’errore di commercializzare prodotti performanti secondi loro esclusivo punto di vista.
2) perché sia efficace, il posizionamento deve essere memorizzato dai clienti.
3) per posizionare il nuovo prodotto meglio degli altri concorrenti, si deve cercare di riempire spazi
vuoti nella mente dei consumatori.
Al termine del processo, il posizionamento dovrebbe essere:
1) semplice, cioè capace di far riconoscere immediatamente il prodotto
2)rilevante, cioè utile per i consumatori e distintivo rispetto ai prodotti concorrenti.
3)credibile, le conseguenze di una promessa roboante, ma impossibile da mantenere, si traducono
nella disaffezione o in un atteggiamento negativo.
4) coerente con la strategia di marca, quindi tale da rispettarne l’immagine e la credibilità.
Le mappe di posizionamento
Le mappe vengono costruite a partire da indagini sui consumatori, attraverso cui si raccolgono
giudizi sulle preferenze manifestate verso diverse caratteristiche dei prodotti in esame. Il risultato si
traduce in un grafico che indica il posizionamento relativo dei concorrenti. Lo scopo delle mappe
quello di aiutare a prendere decisioni migliori visualizzando dove sono collocati i concorrenti
all’interno dell’arena competitiva. Le modalità di rappresentazione possono essere diverse: si va
dal grafico a line spezzate, al diagramma a tela di ragno, fino alle mappe di posizionamento (mappe
percettive).
Il grafico linee spezzate viene costruito utilizzando una lista di attributi bipolari, chiaramente calati
sulle caratteristiche dei prodotti che si stanno esaminando per esempio comodo scomodo lento
veloce. Per ciascun attributo, i consumatori devono esprimere un giudizio sui diversi prodotti

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marchi, utilizzando una scala graduata i cui estremi figurano appunto gli aggettivi di significato
opposto. Con il grafico a tela di ragno, gli attributi dei prodotti marchi vengono rappresentati come
assi disposti a raggiera, a partire da un punto centrale che ne costituisce l’origine. Anche in questo
caso, i giudizi per attributo che i consumatori esprimono vengono uniti da una linea spezzata, fino
a creare una superficie che offre un’idea visiva della competitività di quel prodotto, marca. Si
possono poi costruire mappe percettive vere proprie, si tratta in questo caso di diagrammi in cui
essi sono definiti dalle variabili che impattano in modo significativo sulle decisioni di acquisto. Il
modo di posizionare le diverse offerte concorrenti risultato di due approcci differenti, ci si può
avvalere di apposite tecniche statistiche di analisi dei dati come l’analisi fattoriale, la cluster
analysis, o il multidimension scaling.
Controllo di marketing
Il controllo è parte fondamentale di qualunque tipo di piano, un piano non è tale se non include
dei criteri di controllo per monitorare l’implementazione. Un piano senza controllo è solo un bel
documento senza alcuna utilità.
Un corretto sistema di controllo articolato in quattro punti principali:
1) Definizione di standard, prima di iniziare i controlli dobbiamo ovviamente decidere cosa
misurare fissare dei criteri precisi su come effettuare le rilevazioni. Scegliere le metriche corrette
non è banale, le metriche devono essere legata agli obiettivi del piano e comprendere tutti gli
aspetti che costituiscono il piano stesso. Prendiamo per esempio un elemento semplice come le
vendite, posso analizzare in tanti modi, posso misurare la quantità di pezzi, oppure il fatturato,
oppure il prezzo medio. La scelta dipende dagli obiettivi del piano, volevo aumentare le vendite in
modo generico aumentare i clienti? Queste scelte dipendono tanti fattori. Per esempio, in certi
settori la gran parte dei profitti viene fatto con i servizi post vendita con i pezzi di ricambio.
2) Misura delle prestazioni, e l’effettiva fase di misurazione, bisogna definire dei processi di
monitoraggio che assicurano la correttezza e l’omogeneità dei controlli. Per esempio, se
effettuiamo delle rilevazioni della soddisfazione del cliente dobbiamo assicurarci che queste siano
effettivamente compilate dai clienti.
3) Analisi dei risultati, una volta rilevati degli scostamenti rispetto al piano è fondamentale capire
perché questo è successo. Spesso però non è così semplice, per esempio, una volta rilevato che
abbiamo venduto meno pezzi del previsto importante capire perché. Il prodotto non è buono?
Il prezzo è sbagliato? L’interpretazione risultati non è banale una corretta definizione delle
metriche può aiutare ad avere informazioni più complete e corrette. Qualunque siano le ragioni
dello scostamento possono essere ricondotte a tre grandi gruppi:
Fattori esogeni, possono essere una crisi di mercato, un evento catastrofico, una crisi di immagine.
Fattori endogeni, ci possono essere tanti motivi perché è un piano non è stato implementato come
previsto
Stime errate, le assunzioni del piano erano errate, il mercato non è la dimensione prevista, il prezzo
non è corretto.
4) Individuazione delle eventuali azioni correttive, una volta individuate le ragioni dello
scostamento del piano bisogna prendere le opportune decisioni correttive. Se l’analisi è stata fatta
correttamente individuare le azioni relativamente semplice anche se potrebbe essere non così

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facile. Per esempio, se il prezzo era troppo alto, potremmo non avere la capacità finanziaria la
struttura dei costi adeguata per ridurlo a sufficienza.
Caratteristiche di un sistema di controllo
Secondo Michael Baker un corretto sistema di controllo deve avere alcune caratteristiche che lo
rendono efficace e applicabile.
1) formalità, i controlli devono essere codificati devono essere applicati secondo criteri per
tempistiche standard.
2) necessità, devono essere necessarie di essere percepiti come tali dall’organizzazione.
3) priorità, I controlli devono concentrarsi sugli elementi principali non essere applicati a tutto
quello che è controllabile.
4) misura abilità, devono essere oggettive e quindi basati sul tardi e misurazioni quantitative.
5) regolarità, i controlli devono essere applicati regolarmente secondo un calendario codificato in
base alle caratteristiche dell’oggetto che si vuole controllare.
Applicazione di un sistema di controllo
Possiamo collocare l’attività di controllo in due grandi categorie:
1) controllo sull’efficacia delle singole azioni previste nell’ambito del piano
2) controllo sull’efficacia del nostro piano E sul nostro avvicinamento agli obiettivi
Per esempio, se nella fase di definizione della strategia abbiamo deciso di posizionarci in un certo
modo, sarebbe saggio controllare se i clienti, hanno una percezione del nostro prodotti linea con
quella da noi auspicata.
L’attuazione di un piano di marketing può essere controllato in tantissimi modi tuttavia sono
quattro gli strumenti principali per controllare l’efficacia di un piano di marketing.
Analisi delle vendite, analisi della quota di mercato, analisi dei costi di marketing, analisi
dell’orientamento del comportamento del cliente, analisi dei reclami, indagini presso la clientela,
incontri one to one.
Analisi delle vendite
Ci sono molti modi per controllare le vendite, il più semplice e misurarne l’entità. Possiamo
rivelarla in due modi, numero di pezzi o valore del fatturato. Altro sistema e quantificare lo
scostamento rispetto al piano. Se avevamo in programma di vendere in un anno 1.000.200 pezzi, ci
dobbiamo aspettare di vendere circa 100.000 pezzi al mese. Quindi se a fine giugno abbiamo
venduto 550.000 pezzi, siamo sotto al piano di 50.000 pezzi, il che vuol dire che se non facciamo
azioni correttive, chiuderemo l’anno con 1.150.000 pezzi.
Analisi della quota di mercato
Quest’analisi ci fornisce un’interpretazione dei risultati di vendita che potrebbero essere stati
condizionati, impositivo in negativo, dall’andamento generale del mercato. Tutte le imprese
cercano solitamente di ampliare la propria fetta di mercato, ma vale la pena di notare che la
riduzione della quota di mercato potrebbe essere anche conseguenza di un obiettivo. Può essere il
caso per esempio, in azienda che ha deciso di far crescere i propri margini ottimizzando la propria
rete di distribuzione abbandonando alcune aree geografiche.
Vediamo di seguito due scelte diverse per rilevare la quota di mercato.

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Quota del mercato globale: è il totale delle vendite espressi in percentuale delle vendite totali del
settore.
Quota del mercato servito: È il totale delle vendite espresse in percentuale del mercato che
l’azienda è in grado di raggiungere. Per esempio il mercato dove territorialmente l’azienda opera.
Analisi dei costi di marketing
Il rapporto fra costi di marketing e vendite ci fornisce un’indicazione di quante risorse abbiamo
impiegato per raggiungere i nostri obiettivi di vendita. Normalmente si esprime calcolando le spese
di marketing in percentuale del fatturato. Oltre al valore assoluto è importante vedere come si
discosta da quanto previsto nel piano. Infatti mentre alcune voci sono abbastanza controllabili, per
esempio la pubblicità, altre lo sono meno, come le spese per i venditori, che dipendono
dall’andamento delle vendite.
Analisi del comportamento del cliente
Molte imprese tendono a tenere sotto controllo i comportamenti dei clienti e degli altri
partecipanti al sistema di marketing, per esempio distributori, in modo di individuare modifiche nei
comportamenti dei clienti prima che questi abbiano un impatto significativo sulle vendite.
Analisi dei reclami
L’analisi dei reclami consente di individuare alcune vecchie dell’organizzazione dei prodotti
ponendo ove possibile dei rimedi. Siccome sui grandi volumi è fisiologico avere un certo numero di
reclami, è importante analizzare non solo i contenuti dei reclami, ma anche misurarmi la quantità e
il loro andamento nel tempo.
Focus group
Una formula ancora usata anche se piuttosto costosa e quella di radunare un campione di clienti
rappresentativo del target di mercato e farli discutere, con l’aiuto di un moderatore, su un
prodotto, un servizio o sui loro bisogni.
Indagini presso la clientela
Si tratta di indagine a campione a tappeto effettuate tramite moduli o intervistatori.
Incontri one to one
Si tratta di incontri con clienti effettuati direttamente dal management dell’azienda che mirano ad
apprezzare non solo lo stato d’animo del cliente il suo grado di soddisfazione, ma soprattutto le sue
principali aree di focalizzazione o di preoccupazione.

Capitolo 8
Le decisioni relative al prodotto

Il ciclo di vita del prodotto


La strategia di prodotto di un’impresa deve tenere conto del fatto che esso in genere attraversa un
proprio ciclo di vita e che, quindi, si modifica la sua domanda nel tempo. Solitamente, essa viene
rappresentata come una curva a esse (curva logistica), scomponibile in quattro fasi che si
succedono nel tempo: introduzione, crescita, maturità e declino. La dinamica evolutiva della
domanda può essere associata allo specifico prodotto (per esempio, Sottilette Fila e Fondi), a un
brand (Sottilette), a una categoria di prodotti (formaggi fusi a fette) o a un intero settore industriale

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(derivati del latte). Forma, durata, effettiva rilevanza del ciclo possono variare facendo assumere
alla curva andamenti molto differenti. Anche i prodotti all’interno di una stessa categoria possono
avere andamenti diversi poiché il successo di ciascuno è anche frutto delle abilità di marketing
delle imprese che li producono. Invece, essendo espressione della domanda complessiva, il ciclo di
vita di una categoria tende ad avere un andamento più appiattito e una durata maggiore rispetto a
quella dei singoli prodotti, almeno fino all’introduzione di una nuova tecnologia che soddisfa
meglio la stessa funzione d’uso (per esempio il successo di Whatsapp che ha ridotto fortemente
l’uso degli sms). Una gestione strategica del ciclo di vita richiede particolari abilità, anche perché
sono numerosi i fattori che lo influenzano, alcuni di tipo endogeno, cioè manovrabili dall’azienda,
altri esogeni e quindi al di fuori del suo controllo. Per poter essere utilizzato come strumento di
effettiva diagnosi e di previsione, il modello del ciclo di vita deve consentire di: stabilire qual è la
posizione attuale del prodotto lungo la curva del ciclo di vita; capire il momento in cui lo stesso
transita da una fase all’altra. Se si osservano le serie storiche della domanda di una categoria di
prodotti, si nota come la curva che ne descrive l’andamento spesso differisce dalla consueta curva
a esse per assumere forme differenti. Questa varietà di configurazioni fa sì che sia alquanto
complesso dedurre la posizione nel ciclo di vita di una categoria di prodotti semplicemente
osservando l’andamento passato delle vendite. Per uscire da questa situazione di incertezza,
occorre prendere in esame le percentuali di crescita o diminuzione delle vendite da un anno
all’altro. Quanto alla lunghezza di ciascuna fase, occorre osservare che è improponibile azzardare
una previsione realistica, in quanto il passaggio del prodotto da un punto all’altro nella curva del
ciclo di vita dipende da una somma di variabili (caratteristiche del prodotto, livello di accettazione
da parte dei consumatori, azioni della concorrenza) che possono produrre i loro effetti in modo
combinato. Il concetto di ciclo di vita del prodotto è di estrema importanza, in quanto induce il
management a considerare la pianificazione del marketing in un’ottica di lungo periodo. In termini
molto generali si può affermare che nella fase dell’introduzione l’impresa deve di solito sostenere
alti costi di produzione e di marketing e, poiché le vendite sono solo la fase iniziale, i profitti sono
in genere molto bassi, nulli o addirittura negativi. I profitti aumentano, proporzionalmente
all’aumento delle vendite, nella fase di crescita, in cui i consumatori cominciano a provare e
adottare il prodotto. Quando il prodotto entra nella fase della maturità, i profitti non mantengono
più il passo delle vendite a causa del formarsi di nuovi concorrenti. A questo punto il venditore
potrebbe essere costretto a rivedere il profilo complessivo della propria offerta. A un certo punto
le vendite cominciano a declinare e il venditore dovrà decidere se: smettere di commercializzare il
prodotto, modificarlo aggiungendogli attributi che ne innalzino il valore, cercare nuovi utilizzi del
prodotto, cercare nuovi mercati.

Qualità e valore del prodotto


La qualità può essere definita come il grado di eccellenza o di superiorità posseduto dal prodotto
offerto da una data impresa. In senso tecnico, la qualità può riguardare degli attributi sia fisici sia
intangibili, come le caratteristiche, le prestazioni, l’affidabilità, la durevolezza, l’estetica, l’utilità e la
conformità alle specifiche. Molte organizzazioni hanno formalizzato il loro impegno nel fornire
prodotti di qualità intraprendendo un programma di Gestione Totale della Qualità: il nome con cui
questi programmi sono noti e diffusi in tutto il mondo è Total Quality Management (TQM). Invece
che limitarsi a correggere i difetti, quando si manifestano, le organizzazioni che praticano il TQM
addestrano il personale e lo inducono a impegnarsi nella continua ricerca dei metodi per migliorare

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ogni tipo di attività. Il risultato di tale processo è l’ottenimento di prodotti di migliore qualità a un
costo inferiore. Il termine “qualità” viene spesso confuso con il concetto di valore. Il valore, in
effetti, comprende non solo la qualità, ma anche il prezzo e può essere definito come: “Ciò che il
consumatore ha la percezione di ottenere in cambio di ciò che dà”. Nel caso di un’automobile
possono essere velocità e consumi, per i computer la capacità di memoria, la dimensione dello
schermo e la potenza del microprocessore. Elementi che, per quanto fondamentali, raramente
riescono a “distinguere” realmente il prodotto dalla concorrenza, anche perché sono in genere
facilmente imitabili. Più critici, sono invece, gli elementi della qualità cosiddetta “funzionale”
(inerente cioè al “come” viene erogata la prestazione primaria), che molto spesso riguardano
aspetti organizzativamente più complessi, come il comportamento del personale di vendita o il
servizio di assistenza. Sono le due componenti qualitative (sia tecniche sia funzionali) a generare la
qualità “erogata” che viene istintivamente confrontata dal cliente con le proprie aspettative.
La gamma e la linea dei prodotti
La gamma dei prodotti è costituita dall’insieme dei prodotti messi in vendita dall’azienda. Essa può
comporsi di diverse linee di prodotti, cioè di diversi gruppi di prodotti che condividono
caratteristiche, canali di distribuzione, clienti o utilizzi. Il mix di prodotti è definito dalla sua
ampiezza e profondità. L’ampiezza si riferisce al numero di linee di prodotto (Barilla propone due
principali linee di prodotti: pasta e sughi; prodotti da forno). La profondità si riferisce al numero
medio di prodotti per ciascuna linea (nella sua linea di prodotti da forno, Barilla presenta diverse
tipologie di prodotto: biscotti, merendine, fette biscottate). Un problema fondamentale della
pianificazione della linea di prodotti esistente è costituito dalla necessità di decidere quante
varianti del prodotto devono essere incluse nella linea. Vi sono tre ragioni che spingono le
organizzazioni a offrire vari prodotti all’interno di una determinata linea. La prima è che i
consumatori potenziali non ricercano tutti il medesimo insieme di caratteristiche nel loro “prodotto
ideale”. Per esempio, nel mercato del detersivo per lavatrice le preferenze sono nettamente divise
fra detersivi in polvere, detersivi liquidi e pastiglie. In secondo luogo, i consumatori preferiscono la
varietà. Uno straniero potrà apprezzare la cucina italiana, ma ciò nonostante può desiderare di non
mangiare sempre spaghetti. Infine (terzo), è la stessa dinamica della concorrenza a imporre alle
imprese l’utilizzo di linee di prodotto multiple. Molto spesso, tuttavia, le imprese aumentano il
numero delle varietà di prodotto di una determinata linea senza considerare adeguatamente le
conseguenze che queste scelte implicano. Bisognerebbe invece valutare sempre se, con
l’allargamento o l’approfondimento della gamma, il profitto totale tende a diminuire, il valore e la
qualità attribuiti ai prodotti esistenti possono portare conseguenze negative dall’introduzione di
nuove varietà.

Il package
Quando si parla di package, tipicamente si fa riferimento a tre diversi livelli:
- primario: serve a contenere il prodotto (un tubetto di dentifricio, una scatola di biscotti ecc.)
- secondario: è un involucro che avvolge il package primario (la confezione di un profumo)
- terziario: è rappresentato dai cartoni di imballaggio che servono al trasporto del prodotto.
Il package illustra al consumatore gli attributi fisici del prodotto e, soprattutto, della marca, di cui
costituisce la parte visibile. Offre ai potenziali clienti, in un unico elemento, la sintesi di tutti gli

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sforzi di comunicazione dell’impresa e, in molti casi, può influire sensibilmente sulla percezione di
efficacia del prodotto. Inoltre, utilizzare una confezione originale, o unica, può essere un buon
metodo per differenziare un prodotto altrimenti relativamente omogeneo. Il package deve anche
essere coerente, in termini di dimensioni e codici colore, con la categoria di appartenenza. Infine,
alcune confezioni particolarmente lussuose possono rendere il prodotto estremamente
desiderabile per il segmento al quale è indirizzato. In sintesi il package primario (e quello
secondario se presente) deve raggiungere questi obiettivi principali: attrarre i consumatori,
comunicare correttamente le caratteristiche del prodotto e i valori del brand, essere funzionale
nell’uso, garantire la conservazione del prodotto, favorire la logistica in termini di trasportabilità e
sistemazione sugli scaffali dei punti vendita. Il package terziario, invece, deve assicurare che non si
verifichino deterioramenti del prodotto nelle fasi di trasporto e stoccaggio.
Lo sviluppo di un nuovo prodotto
Il processo per l’introduzione sul mercato di un nuovo prodotto di largo consumo è complesso,
costoso, rischioso e richiede metodologie, strumentazioni e capacità ben diverse rispetto al
marketing dei prodotti già esistenti. Tale attività può durare anche vari anni. L’impegno delle
aziende nell’innovazione di prodotto non è affatto uniforme, sia perché sono diverse le propensioni
e le capacità, sia perché sono diversi i modi in cui si può attuare. Quello che è bene tenere
presente è che non sempre le grandi novità sono la conseguenza di invenzioni tecnologicamente
straordinarie né le grandi rivoluzioni tecnologiche trovano poi sul mercato un reale successo.
Valutazione del concept
(In quale fase viene stilata la scorecard di J&J? Descriverla)
Una volta generato il maggior numero di idee/concept, l’impegno successivo dell’azienda è quello
di selezionare le varie proposte per poi portare avanti quelle che appaiono realisticamente più
interessanti. Considerato che gli investimenti crescono considerevolmente man mano che il
processo di sviluppo procede, è evidente l’esigenza di effettuare un’attività di rigorosa scrematura
per evitare costi eccessivi o una mortalità troppo alta dopo il lancio. Pertanto, la prima fase del
processo termina con la validazione del concept che consiste in un primo esame della potenzialità
di mercato e della fattibilità produttiva. In questa fase le organizzazioni devono considerare tre
categorie di rischi: il rischio strategico, il rischio di mercato e il rischio interno. Il rischio strategico:
si tratta del rischio che il ruolo o la funzione assolta dal nuovo prodotto nell’ambito del portafoglio
non sia compatibile con uno specifico bisogno o interazione strategica dell’organizzazione. Il rischio
di mercato: è il rischio di non andare incontro, con l’offerta del nuovo prodotto, alle necessità del
mercato, sia in termini di valore aggiunto, sia in termini di differenziazione. Il rischio interno: è il
rischio che il nuovo prodotto non possa essere sviluppato nel rispetto dei tempi e dei limiti di spesa
previsti.
Un esempio è illustrato nella tabella che riproduce la scorecard (strumento per la valutazione di un
nuovo concept di prodotto; sostanzialmente una tabella che consente di riportare in modo
sintetico tutte le valutazioni relative ai parametri significativi) utilizzata da J&J per una prima
valutazione del concept. Nelle colonne sono riportati: i criteri utilizzati per definire le potenzialità
del concetto, i parametri su cui valutare ciascuno criterio, le classi di ciascun parametro, i punteggi
corrispondenti a ogni concept per ogni parametro. Con la scorecard è possibile fare un primo
pronostico sulle probabilità di successo commerciale del prodotto necessario per decidere se
andare avanti o meno con lo sviluppo e il lancio.

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Sviluppo del prodotto


Una volta superata positivamente la prima valutazione, la proposta di sviluppo di un nuovo
prodotto viene assegnata a un grande gruppo di lavoro che analizza ulteriormente il concept dal
punto di vista della produzione, del marketing, dei suoi riflessi finanziari e competitivi. Viene
stabilito un budget di spesa e vengono avviate alcune ricerche di marketing. Viene poi realizzato un
progetto di massima del prodotto e vengono delineate in dettaglio le caratteristiche alternative e le
specifiche dei componenti. Infine, viene redatto in forma scritta un documento formale,
comprendente una stima dei costi futuri di sviluppo, di produzione e di marketing. Quindi, il
progetto viene presentato ai vertici aziendali per la decisione finale sulla sua realizzazione. Una
volta ottenuta l’approvazione, si procede alla fabbricazione di un prototipo di prodotto finito e al
suo collaudo, dopodiché si redige un resoconto dettagliato a uso della direzione. Tale documento
specifica: i risultati degli studi effettuati dall’ufficio progettazione, le indicazioni sul prodotto da
mettere in produzione, il progetto degli impianti necessari alla produzione, il fabbisogno di
attrezzature, il progetto per il test di marketing, lo studio finanziario del programma, la data di
realizzazione prevista.
Fattori critici di successo per l’innovazione nel mercato dei beni di largo consumo
Alcune tra le principali raccomandazioni che emergono dall’analisi della varie ricerche condotte sul
lancio dei nuovi prodotti:
- Essere certi di offrire qualcosa che sia realmente nuovo e interessante; un prodotto può essere
definito innovativo quando offre un benefit che i consumatori percepiscono come realmente
nuovo, non soltanto rispetto a quanto già offerto dallo stesso brand, ma anche per tutta la
categoria all’interno della quale viene lanciato il prodotto.
- Arrivare sul mercato prima degli altri (Qual è il vantaggio di essere un market pioneer per
l’acquisizione di quote di mercato e per il ROI? Come si calcola, in maniera empirica, la quota di
mercato raggiungibile da un early follower?); entrare per primi in un mercato può costare di più
perché è richiesto un maggior impegno nell’attività di ricerca, occorre investire in comunicazione
per informare ed educare i consumatori all’uso del prodotto e si rischia di arrivare troppo presto,
sviluppando un mercato di cui poi usufruiranno prevalentemente i concorrenti. Ciononostante,
molte aziende tendono a preferire questo approccio, ritenendo che i vantaggi economici siano
maggiori degli svantaggi, Anche perché, in genere, chi entra dopo ha minori facilità ad acquisire
quote di mercato. Si stima che la quota di mercato del nuovo entrante, rapportata a quella del
primo entrato, sia pari a 1 diviso la radice quadrata del suo ordine di ingresso sul mercato.
- Tenere sotto controllo l’effetto di cannibalizzazione; una conseguenza indesiderata, da prevedere
e prevenire, del lancio di un nuovo prodotto. Intesa come erosione delle vendite dei prodotti già
esistenti in portafoglio da parte di una nuova offerta. Dall’analisi dei dati sui diversi lanci effettuati
emerge come l’effetto di cannibalizzazione incide negativamente sulla quota di mercato
complessiva dell’azienda. In pratica, il nuovo prodotto lanciato nell’ambito di una linea tende a fare
concorrenza più agli altri prodotti dello stesso brand che alle altre marche. L’effetto
cannibalizzazione è ancora più alto quando il nuovo prodotto si differenzia solo per aspetti
marginali, come il formato o il gusto.
- Gestire il lancio, senza fermarsi al primo anno; per una buona gestione del lancio di un nuovo
prodotto, la prima raccomandazione è quella di fissare degli obiettivi realistici, tenendo presente

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che i risultati del test pre-lancio vanno presi in considerazione come bast case scenarios ossia come
previsioni ottimistiche e che i risultati reali devono essere monitorati con attenzione.
- Raggiungere rapidamente e mantenere la copertura distributiva; tra gli obiettivi prioritari per il
marketing dei nuovi prodotti c’è la copertura distributiva che deve essere raggiunta il più
rapidamente possibile e mantenuta, considerata la forte correlazione che sussiste tra copertura e
penetrazione del prodotto nelle famiglie.
- Comunicare il prodotto; Nella prima fase di lancio gli investimenti pubblicitari nel mercato del
largo consumo devono essere molto consistenti. Perché non si generano vendite senza una prima
prova del prodotto da parte dei consumatori. Naturalmente la strategicità degli investimenti
pubblicitari aumenta sensibilmente quando il nuovo prodotto non può fare leva su un brand
esistente.

Capitolo 9
Il marketing dei servizi

Principali differenze tra prodotti e servizi


Le decisioni relative al prodotto sono di fondamentale importanza nell’ambito delle strategie
aziendali e, in particolare, in quelle di marketing, poiché è proprio vendendo beni e servizi che le
imprese sopravvivono e prosperano.
Un marketing di successo dipende dalla piena comprensione, da parte del management, della
natura dei prodotti in portafoglio e delle fondamentali tematiche decisionali inerenti alla loro
gestione.
Negli ultimi anni, il settore che ha avuto la crescita più rapida nei sistemi economici avanzati non è
stato quello della produzione di beni materiali, bensì quello dei servizi.
Le offerte di servizi offerti in passato, mostrano come la tecnologia è stata il motore che ha trainato
le innovazioni sui servizi che adesso diamo per scontate (es: fax, bancomat, ecc.… sono stati
possibili grazie a nuove tecnologie. Più di recente è esploso internet, alcune aziende operano
esclusivamente su internet, altre invece lo utilizzano per arricchire la propria offerta).
Conseguenze sulle strategie di marketing
I servizi possiedono alcune caratteristiche specifiche che influiscono sullo sviluppo del programma
di marketing. Tali caratteristiche sono:
• L’intangibilità: L’intangibilità riguarda l’impossibilità di vedere, toccare e utilizzare il servizio che
hai acquistato. È proprio qui che nasce la più grande sfida per chi commercializza servizi: riuscire ad
attribuire caratteristiche tangibili ad un’offerta intangibile. L'intangibilità comporta parecchie
complessità di marketing: i servizi non si possono immagazzinare e quindi le domande risultano
spesso difficili da gestire. I servizi non si possono brevettare legalmente, per cui i nuovi concetti di
servizio possono essere copiati facilmente dai concorrenti. I servizi non si possono esibire o
comunicare istantaneamente ai clienti, per questo essi faticano a valutarne la qualità.
• Inseparabilità: in molti casi la prestazione di un servizio non può essere separata dalla persona
del venditore, in quanto il servizio non può essere immagazzinato e deve perciò essere prodotto da
un addetto nel momento stesso in cui viene venduto. Il fatto che il servizio venga erogato sul

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momento da un venditore al cliente fa sì che la loro interazione diventi parte stessa del servizio e
fondamentale per la qualità del prodotto.
• La deperibilità: I servizi sono deperibili, ovvero non si possono conservare e non può essere
immagazzinato, la domanda per tale prodotto è limitata ad un determinato periodo di tempo e che
dopo un certo tempo non possono essere più venduti
• L’instabilità della domanda: il loro mercato è instabile, subisce fluttuazioni a seconda ad esempio:
servizi turistici, trasporti aerei, e così via.
• La relazione con il cliente: marketing dei servizi si viene ad instaurare una relazione tra il cliente e
il venditore che va ben oltre il semplice rapporto impresa-cliente. In altre parole l’impresa si rivolge
ad un cliente preciso e ben identificato.
• Il coinvolgimento del cliente: I clienti sperimentano un certo livello di coinvolgimento nella
produzione di molti tipo di servizi, è richiedono un grado di partecipazione del cliente diverso. Il
grado di coinvolgimento del cliente nell’erogazione del servizio dipende dal suo livello di
conoscenza.
Qual è l’importanza della misurazione della misurazione della customer satisfaction, in
particolare nell’ambito del marketing dei servizi?
Per verificare la qualità del servizio e assicurarsi che il cliente si fidelizzi, è possibile utilizzare degli
strumenti, per misurare il grado di soddisfazione del consumatore ( customer satisfaction).
Tale sistema deve presentare alcune caratteristiche:
• La misurazione comprende una combinazione di metodi di ricerca qualitativi e quantitativi,
costituiti principalmente da questionari inviati per posta o via mail, da inchieste telefoniche e da
focus Group.
• La valutazione comprende sia i livelli di soddisfazione del cliente raggiunti dall’impresa, sia quelli
realizzati dalla concorrenza;
• I risultati completi della ricerca devono essere diffusi a tutto il personale aziendale;
• Vi deve essere un impegno forte da parte del personale di tutti i livelli per migliorare la qualità
dei servizi e quindi il grado di soddisfazione del cliente;
Ci sono peculiari difficoltà quando si gestisce il marketing delle aziende del settore servizi?
Quali?
Tra le difficoltà che si può venire incontro quando si gestisce il marketing delle aziende del settore
servizi, possono essere:
• uno scarso orientamento al marketing: ovvero, atteggiamento di puro “orientamento al
prodotto”. Le aziende interessate a soddisfare meglio i bisogni della clientela in continua
evoluzione, sono chiamate a creare nuovi servizi, nuovi canali di distribuzione, per essere in grado
di adattarsi ai cambiamenti della composizione e delle necessità della popolazione.
• la mancanza di creatività nella gestione: limitarsi a cercare nuovi clienti trascurando quelli già
acquisiti cui spesso si associa un’ottica di breve periodo con risultati decisamente gravi per lo
sviluppo e la redditività dell’impresa.
• il tasso contenuto di obsolescenza: il problema dell’obsolescenza allo stesso modo dei produttori
industriali, spesso non sono riuscite a rendersi conto del bisogno d’innovazione che sta alla base di
qualunque mercato.

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Capitolo 10
Le decisioni relative al prezzo

Il prezzo è l’unico elemento del marketing mix che produce ricavi quindi è il fattore determinante
della redditività d’impresa e influenza la domanda, cioè le quantità che saranno effettivamente
vendute. La determinazione del prezzo è una delle più importanti e complesse decisioni che
un’impresa deve affrontare per i prodotti o servizi. Esso può assumere una molteplicità di
denominazioni a seconda del contesto di riferimento (ad es. affitto, tasse scolastiche, canone ecc.).
Per il marketing ha rilevanza in quanto è espressione di valore che assume valenza opposta per il
consumatore e il venditore:
- per il consumatore rappresenta il costo, il “sacrificio”, l’ammontare di reddito a cui deve
rinunciare per ottenere un determinato prodotto o servizio;
- per il venditore è l’ammontare dei ricavi che remunerano gli sforzi sostenuti per la produzione e la
commercializzazione di un bene o servizio.
Il prezzo è in grado di mutare l’interesse sei consumatori nei confronti del prodotto o servizio; se i
potenziali acquirenti ritengono che il prezzo sia troppo alto, potrebbero preferire altri concorrenti,
se invece è troppo basso potrebbe indurre diffidenza e riflettersi negativamente anche sul volume
delle vendite. Il prezzo, quindi, costituisce l’espressione più immediata del posizionamento, poiché
spesso identificato con la qualità dell’offerta. Per pricing si intende il processo e la politica di
determinazione del prezzo di un prodotto, bene o servizio. È importante tenere a mente che le
decisioni di prezzo devono essere prese ricercando il migliore equilibrio fra tipo di prodotto
considerato, situazione competitiva del mercato, costi di realizzazione e obiettivi dell’azienda.
Cosa intendiamo per “Modello delle 3 C”?
La determinazione del prezzo è un processo iterativo nel senso che occorre tenere in
considerazione in contemporanea più aspetti e che ogni decisione presa per ciascuno di questi
influenza inevitabilmente gli altri con un meccanismo di feedback continuo. Un punto di
riferimento imprescindibile è il modello generale delle “3C” di Kennichi Ohmae , noto esperto
giapponese di strategie aziendali. I vettori fondamentali del modello, da tenere in considerazione,
vengono indicati da alcuni autori come “Competitors”, “Costs” e “Customers” ( mentre nel modello
di Ohmae invece di costs troviamo corporation). Il quadro di riferimento, in realtà, è molto più
complesso in quanto nel mercato dove l’impresa opera non troviamo solo concorrenti ma anche
altri attori importanti, ad es. lo Stato e le leggi che regolano l’azione delle imprese. Per quanto
riguarda l’offerta è ovvio che è di grande importanza il livello di differenziazione del prodotto,
considerando il prezzo fondamentale. I clienti costituiscono la domanda e sono importanti tanti
altri fattori, quali il contesto socio-economico generale, il livello di reddito del target di riferimento
ecc. a fronte di tali vettori di tipo “oggettivo”, esiste anche un altro aspetto di tipo “soggettivo” cioè
quello relativo agli obiettivi fissati dall’azienda, nel momento in cui decide il prezzo di un prodotto,
che tendono a cambiare nel tempo a seconda del momento del ciclo di vita del prodotto stesso.
Quindi il prezzo è parte fondamentale di un progetto imprenditoriale che deve realizzarsi secondo
uno schema ben strutturato. Il primo passo è quello di identificare sul mercato un bisogni non
soddisfatto, verificando che ci siano presupposti per la fattibilità del business. Ad es. l’impresa X,
avendo la capacità e i macchinari per produrlo con un buon livello di qualità ad un costo variabile
unitario non troppo elevato, stimerà il livello di domanda corrispondente a un determinato prezzo

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e poi, considerando tutti i costi, procederà alla verifica della fattibilità economico-finanziaria a
fronte dei determinati obiettivi di redditività.
Due aspetti dell’ambiente di particolare rilievo che tendono di norma a limitare la discrezionalità
dell’impresa, ovvero la concorrenza e le leggi dello Stato.
La concorrenza
Nell’analizzarla occorre tenere presente diversi aspetti: che aiutano l’azienda a decidere se il
proprio prodotto debba essere venduto ad un prezzo simile, superiore, o inferiore a quello dei
prodotti offerti dalla concorrenza:
-il n. delle aziende concorrenti
- la dimensione delle aziende concorrenti
-la localizzazione delle aziende concorrenti
-le condizioni d’ingresso nel settore
-il grado d’integrazione verticale dei concorrenti
-il numero di prodotti venduti dai concorrenti
-la struttura di costo dei concorrenti
-l’immagine dei prodotti sulla concorrenza nel mercato
-le possibilità tecniche e finanziarie dei concorrenti
-le passate reazioni dei concorrenti all’ingresso di un nuovo player sul mercato.
Quali sono le fasi del processo di determinazione del prezzo di un prodotto nuovo?
L’impresa, nel determinare il prezzo di un prodotto o servizio, deve individuare le possibili
alternative d’acquisto in grado di soddisfare la sua esigenza; deve confrontarsi con la concorrenza
facendo riferimento a quei prodotti analoghi che potrebbero costituire l’alternativa. Il passo
successivo è quello di valutare i livelli di differenziazione del proprio prodotto rispetto a quanto
offerto dalla concorrenza. L’impresa avrà margini di manovra nella fissazione del prezzo tanto più
ampi quanto maggiore sarà la differenziazione percepita del prodotto rispetto alla concorrenza e
quanto minore sarà la sensibilità al prezzo da parte del cliente. In caso di una situazione socio-
economica florida e di redito elevato da parte del target di riferimento, ci sarà maggiore
disponibilità da parte dei potenziali acquirenti a pagare un prezzo maggiore (premium price).
Le leggi e i regolamenti dello stato
I prezzi di determinati beni e servizi e lo stesso mercato in senso lato sono regolamentati da leggi,
soprattutto i servizi pubblici. Le imprese non sono sottoposte a questi tipi di regolamentazioni ma
devono tenere in grande considerazione anche l’esistenza di eventuali leggi che vietino
determinate politiche di prezzo, ritenute pratiche illegali in quanto lesive degli interessi legittimi di
determinati soggetti ( consumatori o concorrenti): ad es. le aziende che importano ed esportano
devono continuamente tenere presenti le normative vigenti nei Paesi che hanno approcci di tipo
protezionistico e che impattano pesantemente sulla gestione e sul risultato economico delle
attività.
Quali aspetti influiscono sulla determinazione del prezzo?
Le caratteristiche del prodotto. Gli elementi che incidono sono:
-differenziabilità: far sì che il prodotto sia ben distinto da tutti gli altri nella mente dei consumatori
e che quindi abbia un posizionamento distintivo sul mercato; la contropartita per tale sforzo è la
possibilità di praticare prezzi di vendita più elevati, grazie alla maggiore o minore unicità

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dell’offerta;
- deperibilità: non si limita al contesto, quindi non si riferisce soltanto ai “prodotti alimentari
freschi” che non possono essere conservati a lungo, ma si riferisce anche ai prodotti di alta moda
che si limita per un periodo di tempo oppure ai servizi quali i voli aerei con posti vuoti, camere
d’albergo, ristoranti ecc. da qui si comprende facilmente la strategia “last minute” che pur di
lasciare il posto vuoto in aereo, si vende a poco prezzo e contribuirà a migliorare comunque il
conto economico finale, purché il ricavo sia superiore al relativo costo variabile.
Descrivere i 4 principali metodi che consentono di determinare i prezzi tenendo in
considerazione i fattori di costo del prodotto?
I fattori di costo nel pricing
Il prezzo di vendita di un prodotto deve di norma coprire i costi di produzione, promozione e
distribuzione permettendo così all’azienda di conseguire un margine congruo di profitto. La
consapevolezza dei costi è uno degli aspetti più problematici delle imprese, poiché per
determinare con precisione i costi è indispensabile avere una dettagliata rappresentazione dei
processi di produzione e la disponibilità di sistemi contabili evoluti che rendano possibile una
rappresentazione precisa e consentano di imputare correttamente i costi sostenuti dalle singole
attività o prodotti.
Quattro principali metodi che consentono di determinare i prezzi:
1. Il metodo di ricarico (mark up pricing): è impiegato solitamente nella vendita al dettaglio,
consiste nell’applicare una maggiorazione percentuale al costo di produzione o di acquisto di un
determinato bene per ottenere il prezzo di vendita finale, se per esempio il costo finale è di 70
euro il rivenditore può decidere di applicare un aumento in valore assoluto di 30 euro che porta ad
un prezzo di vendita di 100 euro, circa il 42, 85% di maggiorazione in più sul costo del prodotto. Il
mark up va calcolato sul prezzo di vendita secondo due formule: Y/(1-Y) per calcolare la
maggiorazione; per ottenere direttamente il prezzo finale: P= C/(1-Y).
È un metodo intuitivo ed elementare ma anche impreciso visto che non tiene conto del fatto che di
norma un’impresa deve sostenere anche dei costi fissi.
2. Il metodo cost plus pricing: viene definito anche metodo del costo totale, tiene conto dei costi
indiretti e del risultato atteso da ciascuna unità di prodotto. Questo metodo presenta anch’esso un
limite poiché se l’azienda ha un solo prodotto è ovvio che i costi indiretti siano una percentuale dei
costi diretti; se i prodotti sono diversi allora i costi indiretti andrebbero ripartiti con altri criteri sui
singoli prodotti in base all’effettivo impegno di risorse e non come percentuale fissa.
Il prezzo P si calcola: P= (Cd+ kCd) x (1+Mkp) dove
Cd= costi diretti; k= coefficiente dei costi diretti ovvero la percentuale fissa; Mkp= è il mark up o
risultato atteso da ogni prodotto.
3. Il metodo del profitto desiderato ( rate of return pricing): mediante il quale l’impresa cerca di
determinare il prezzo tale da garantire un determinato risultato ovvero recuperare i costi sostenuti
e il conseguimento di un determinato profitto. (vedi esempio pag. 208/209).
4. Il metodo del punto pareggio (break even analysis): metodo molto più strutturato e completo, si
inquadra in una prospettiva più ampia che rende possibile non solo la fissazione del prezzo ma

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anche la valutazione della redditività dei progetti, siano essi riferiti a un prodotto o a un servizio.
Esso individua la quantità del prodotto che è necessaria vendere per realizzare il pareggio dei costi
e dei ricavi connessi a uno specifico progetto. Per calcolare il punto di pareggio, bisogna disporre
tre valori: prezzo di vendita per unità di prodotto (PV), costi fissi (CF) e costo variabile per unità di
prodotto (CV). Il punto di pareggio si ottiene dividendo i CF per il margine di contribuzione unitario
( differenza tra prezzo di vendita e costo variabile unitario). Superato il punto di pareggio, se il
prezzo ed il costo restano invariati come presupposto nel modello, il margine di contribuzione
unitario resta sempre lo stesso mentre il margine di contribuzione complessivo tenderà ad
aumentare man mano che incrementa la vendita (vedi procedimento pagine 210-211; pagine 212-
213-214)
Aspetti connessi alla domanda
Nel caso del break even point abbiamo visto come sia possibile effettuare calcoli molto importanti
ad esempio quale quantità dobbiamo vendere per avere il pareggio e quanti pezzi dobbiamo
vendere al prezzo x per avere il profitto y. In realtà dobbiamo anche chiederci se i consumatori
saranno disponibili a comprare quelle quantità che a noi occorre vendere per raggiungere i nostri
obiettivi. La domanda effettiva dipenderà dalle caratteristiche del nostro prodotto rispetto a quelli
della concorrenza, da fattori demografici e psicologici e dal prezzo che andremo a praticare in
quanto avremo di norma che i volumi di domanda saranno tanto più bassi quanto più alto sarà il
prezzo di vendita. L’impresa ha ormai realizzato il prodotto e non può certo agire sui concorrenti;
potrà agire sul prezzo ma dovrà essere consapevole che per ogni livello di prezzo avrà una specifica
funzione di domanda. Le influenze di domanda sulle determinazioni di prezzo riguardano
principalmente la natura del mercato target e la previsione delle reazioni dei consumatori alla
fissazione di un determinato livello di prezzo o a una variazione. I più importanti elementi da
valutare sono tre: i fattori socio-demografici, fattori psicologici e l’elasticità e funzione di domanda
rispetto al prezzo.

Descrivere i principali fattori che determinano queste variazioni


I fattori socio-demografici
Ai fini della corretta determinazione del prezzo di vendita i seguenti fattori aiutano a determinare il
potenziale del mercato e a effettuare una stima delle vendite attese in corrispondenza delle fasce
di prezzo che s’ipotizza di scegliere:
-numero di potenziali acquirenti e loro età, istruzione, reddito, sesso;
-localizzazione dei potenziali acquirenti;
-ruolo dei potenziali acquirenti (se intermediari o consumatori finali);
-tasso di consumo previsto da parte dei potenziali acquirenti;
-potere contrattuale dei potenziali acquirenti soprattutto nel caso di intermediari e organizzazioni.
I fattori psicologici
Essi hanno un effetto molto importante sul successo o meno di una politica di prezzo e della
strategia di marketing nel suo complesso, hanno maggiore influenza sulle scelte aziendali di
determinazione del prezzo e riguardano la percezione dei consumatori rispetto ai vari livelli di
prezzo e il modo in cui vengono percepite le variazioni dei prezzi stessi. I marketing manager
dovrebbero porsi delle domande come queste:
- i potenziali acquirenti considerano il prezzo come un indice di qualità del prodotto?

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- sono attratti favorevolmente da prezzi particolari?


- considerano il prezzo troppo alto in relazione al servizio fruito o al prodotto acquistato?
- sono interessati a un’immagine di prestigio e sono pertanto disposti a spendere di più per
soddisfare tale bisogno?
- quanto saranno disposti a spendere per il prodotto?
La risposta a queste domande può richiedere un’attività di analisi di mercato e di ricerca, in
sostanza anche se le indicazioni sui fattori psicologici legati al prezzo che intervengono nella scelta
d’acquisto sono difficili da ottenere, i responsabili marketing dovrebbero comunque considerare gli
effetti di tali fattori sul mercato target e sulla strategia di marketing nel complesso. Ecco alcune
modalità di determinazione del prezzo su base psicologica:
- prezzi in base al prestigio: in base al prestigio si assegna al bene un prezzo elevato, finalizzato a
segnalarne l’eccezionale livello qualitativo (es. marche di auto o abbigliamento, gioielli ecc.);
- prezzi di richiamo ( odd pricing): si fissa il prezzo a pochi euro o centesimi sotto la cifra tonda (al
posto di 80 euro, 79 euro così sembra meno caro);
- prezzi civetta: un prodotto viene venduto al di sotto del prezzo abituale per richiamare clienti nel
punto vendita;
- prezzi a pacchetto (bundle pricing): quando i vari prodotti o servizi sono posti in vendita
congiuntamente a un prezzo vantaggioso ( pacchetti vacanza nelle agenzie viaggio)
- prezzo dissimulato: il prodotto di base ha un prezzo vantaggioso ma si contrappone al prezzo
elevato dei ricambi (ad es. le lamette Gillette), o quando i costi dell’assistenza post vendita sono
molto alti si parla di pricing dissimulato o bait and hook pricing.
Cosa intendiamo per “Elasticità della domanda rispetto al prezzo”?
Sia i fattori demografici che psicologici incidono sull’elasticità della domanda al prezzo, indicatore
quantitativo che misura quanto i consumatori siano sensibili al prezzo e alle sue variazioni.
L’elasticità si misura rapportando la variazione percentuale della quantità domandata alla
corrispondente variazione percentuale del prezzo. Si ricorre a due metodi per stimarla: attraverso
l’elaborazione di serie storiche di dati di vendita oppure ricorrendo al confronto tra dati puntuali di
vendita e prezzo in aree diverse. Un altro metodo prevede l’utilizzo di tecniche d’indagine
campionaria attraverso interviste ad un campione estratto di della popolazione del mercato target,
attraverso la quale vengono poste domande tese a valutare la reattività della quantità domandata
a vari livelli di prezzo. L’utilizzo del primo metodo è riservato alle imprese, inserite da tempo nel
mercato, che abbiano dati affidabili e che operino in settori non particolarmente turbolenti. Il
secondo è l’unico metodo possibile per le aziende che lancino un nuovo prodotto sul mercato e ha
lo svantaggio di essere piuttosto oneroso e di suscitare qualche dubbio circa la validità delle
risposte dei soggetti intervistati. In ogni caso stimare l’elasticità della domanda anche in modo
approssimativo è fondamentale ai fini della corretta determinazione del prezzo finale di vendita.
L’elasticità è un valore negativo in quanto le quantità variano in modo inverso alle variazioni di
prezzo ( cioè all’aumentare del prezzo la domanda diminuisce e viceversa). Se una piccola
variazione del prezzo determina una notevole variazione della domanda di un bene, si dice che
quel bene è a domanda elastica e in tal caso il valore sarà >1. Al contrario si parla di beni a
domanda rigida o anelastica con E<1. Qualora la variazione della quantità domandata sia
proporzionale alla variazione di prezzo (per esempio +10%prezzo, -10%domanda), E sarà =1.

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Aspetti connessi agli obiettivi


Esiste un aspetto “soggettivo”, cioè quello relativo agli obiettivi dell’impresa nel momento in cui
fissa il prezzo che tendono a cambiare nel tempo; nella fase iniziale l’impresa si pone di norma in
modo prioritario obiettivi di crescita, di acquisizione di nuovi clienti, di conquista di quote di
mercato mentre nel medio e lungo termine assume un ruolo fondamentale il conseguimento di un
determinato livello di profitto. Gli obiettivi sono rivolti a:
-massimizzare i ricavi (quota di mercato a valore);
-massimizzare i volumi di vendita (quota di mercato a volume);
-scremare il mercato;
-acquisire la leadership in termini di qualità di prodotto;
-adeguarsi ai prezzi della concorrenza;
-massimizzare i profitti;
-sopravvivere in momenti di difficoltà o crisi.
Il management deve avere chiaro come i ritorni degli investimenti non possono essere immediati e
che è fondamentale essere in grado di operare in ottica di medio e lungo termine: questo significa
poter disporre di adeguate disponibilità finanziarie. Molte imprese, al contrario, davanti a crisi,
ritardi nei pagamenti dei clienti ecc. si vedono di fatto spinte a perseguire obiettivi di redditività a
breve al fine di poter far fronte agli impegni, ma questo spesso può significare guadagnare poco
nell’immediato e perdere molto nel futuro. A prescindere da tali considerazioni che riguardano
direttamente il management dell’impresa, il direttore marketing, che ha il ruolo di determinare i
prezzi, non sempre dispone di informazioni esaurienti sui costi, sull’elasticità al prezzo e sul
mercato, in modo da essere nella condizione di formulare i prezzi in linea con gli obiettivi del
momento.
Perché è necessario effettuare manovre di prezzo nel corso del ciclo di vita
Le manovre di prezzo sono sostanzialmente due: la riduzione o l’aumento di prezzo che possono
avere un effetto di notevole rilievo sulla redditività aziendale, che può variare in modo più che
proporzionale rispetto alla variazione di prezzo che dipenderà da come si posiziona il prezzo di
partenza iniziale, oggetto di variazione, rispetto a quello ottimale; inoltre occorre anche tener
presente altri fattori di primaria importanza quali per esempio la situazione economica generale, le
reazioni dei concorrenti ecc.
Riduzione di prezzo
Si ricorre alla riduzione di prezzo per incrementare le vendite in caso di eccesso di capacità
produttiva rispetto alla domanda. Tale manovra ha maggiore successo nel caso la domanda sia
elastica quindi >1, in quanto in tal modo l’aumento percentuale delle quantità vendute risulterà
superiore alla corrispondente riduzione percentuale del prezzo. Tra gli inconvenienti di tale
manovra potrebbe esserci il deterioramento dell’immagine, l’indebolimento della presenza sul
mercato (minor fedeltà alla marca) e soprattutto la possibilità di scatenare una guerra dei prezzi, in
cui due o più concorrenti puntano esclusivamente alla riduzione di prezzo per acquisire o
mantenere il cliente che può avere effetti molto gravi alla redditività.
Aumento di prezzo
Si ricorre all’aumento di prezzo in caso di eccesso di domanda quando l’impresa non riesce o non
ha interesse a soddisfare tutte le richieste che pervengono; per la legge dell’offerta e della
domanda un prezzo più alto comporterà una diminuzione dei volumi di vendita e la contrazione

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sarà minore quindi la manovra avrà minor impatto, poiché la diminuzione percentuale delle
quantità vendute risulterà inferiore rispetto al corrispondente aumento percentuale del prezzo.
Una domanda rigida sarà la condizione affinché tale manovra abbia successo nell’incremento dei
ricavi. Uno dei principali inconvenienti di tale manovra è che, in generale, l’aumento di prezzo non
è gradito dai clienti e in tal senso Philip Kotler raccomanda di evitare che i clienti abbiano la
sensazione che l’azienda stia approfittando di loro.
La variazione dei prezzi, più che a rispondere a un adeguamento a cambiamenti fisiologici nel
mercato di riferimento, sembra rientrare in una precisa strategia di price discrimination volta ad
ottimizzare la redditività aziendale. Per esempio questa strategia si effettua spesso in base al
segmento di clientela per cui diverse tipologie di clienti pagano in modo diverso lo stesso bene o
anche in base all’ubicazione (ad es. in teatro i prezzi si differenziano in base ai posti). Ancora più
significativa la price dicrimination in base alla fascia oraria o al periodo per cui i prezzi variano
normalmente in base alla stagione, giorno e addirittura orario.
APPROFONDIMENTO 10.4- Il prezzo durante il ciclo di vita del prodotto
In relazione al ciclo di vita, i due approcci alla determinazione del prezzo sono la politica di
scrematura (skimming) e la politica di penetrazione (penetration). La politica di scrematura
consiste nell’applicare a un nuovo prodotto un prezzo di vendita relativamente alto. Tale politica è
utilizzata quando l’azienda gode di un temporaneo monopolio e nel caso in cui la domanda del
prodotto sia anelastica, cioè poco reattiva alla variazione dei prezzi. Quando si applica un prezzo di
scrematura l’azienda riesce a compensare eventuali inefficienze di costo, in quanto la temporanea
assenza di prodotti concorrenti impedisce che si inneschino reazioni competitive basate sul ribasso
dei prezzi. Nelle fasi successive del ciclo di vita del prodotto man mano che la concorrenza si
inserisce nel mercato e si verifica una variazione degli altri fattori del mercato, il prezzo di vendita
potrà essere progressivamente ridotto. Una politica di penetrazione, invece, comporta l’adozione
di un prezzo vendita basso per un nuovo prodotto. Tale politica viene generalmente praticata
quando l’azienda prevede un intervento rapido di risposta da parte della concorrenza, quando la
domanda del prodotto può essere influenzata dal prezzo oppure quando i prodotti sono
scarsamente differenziati. Questa politica può risultare utile per ottenere delle consistenti
economie di scala o come strumento fondamentale per la rapida creazione di un mercato di massa
e si riesce a mantenere una contribuzione alla copertura dei costi fissi soddisfacente. Nelle fasi
successive del ciclo di vita di prodotto può essere necessario variare il prezzo di vendita per
adeguarlo ai cambiamenti di mercato. Occorre valutare se il contesto competitivo permette di
sostenere di volta in volta una politica di penetrazione.
Cosa intendiamo per strategie EDLP o High-Low (queste ultime anche dette “HI-LO”
Nell’ambito della vendita a dettaglio esistono questi due approcci per determinare il prezzo in cui il
rivenditore fissa dei prezzi che sono talvolta superiori a quelli della concorrenza ma, nel contempo,
attua frequenti vendite promozionali con prezzi inferiori.
Vantaggi EDLP:
-Limita la guerra dei prezzi. Se i consumatori ritengono che i prezzi siano bassi, il dettagliante non è
costretto alla guerra dei prezzi con la concorrenza;
-riduce il ricorso alla pubblicità, visto i prezzi relativamente stabili non sono necessarie frequenti
campagne pubblicitarie;
-migliora l’assistenza al cliente dato che il flusso dei clienti è più regolare, si può dedicare più

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tempo al cliente;
-riduce il rischio di rotture di stock e migliora la gestione del magazzino, quindi la consegna, la
gestione delle scorte e ordini risultano più efficaci;
-aumenta i margini complessivi di profitto, giacché la merce non viene più venduta con ingenti
riduzioni di prezzo e alcuni costi risultano ridotti.
Vantaggi High/Low:
-aiuta a segmentare il mercato perché permette agli esercenti di praticare prezzi superiori sui primi
acquirenti pur continuando a servire i più accaniti “cacciatori di occasioni” a fine stagione;
-crea entusiasmo nel processo d’acquisto della clientela e spinge gli acquirenti a ritornare in
occasione di nuove promozioni;
-movimenta la merce benché i profitti risultino inferiori sui beni offerti a prezzi più bassi;
-evidenzia la qualità del prodotto e servizio al cliente, visto l’alto prezzo iniziale;
-è di più facile applicazione poiché offre alla clientela un mezzo per valutare quanto siano bassi i
prezzi, visto che sono disponibili, sia il prezzo originale sia il prezzo scontato.

Capitolo 11
La gestione dei canali distributivi
Chi sono gli intermediari e quale ruolo hanno nel processo di marketing?
Innanzitutto, l’intermediario è un soggetto che professionalmente svolge attività di
intermediazione tra operatori economici. In questo caso dobbiamo fare riferimento ai canali
distributivi perché gli intermediari operano al suo interno. I canali distributivi sono costituiti dalla
combinazione di organizzazioni attraverso le quali il prodotto passa dal produttore all’utilizzatore o
consumatore finale. Gli intermediari accrescono l'efficienza del sistema nel suo complesso
evitando che ogni individuo o famiglia debba necessariamente rivolgersi direttamente al
produttore Esistono diverse figure di intermediari di marketing che, a vario titolo e con diverse
modalità, concorrono a realizzare il processo di distribuzione. Quindi il ruolo degli intermediari è
quello di combinare la domanda e l’offerta in maniera efficiente e ordinata.
Abbiamo una classificazione degli intermediari:
1.Intermediario 2. Intermediario commerciale (operatore che acquista in proprio i beni e ne
acquisisce la proprietà) 3. Agente (operatore che effettua la l’attività di vendita, di acquisto o
entrambe ma non acquisisce la proprietà dei prodotti commercializzati) 4. Grossista (azienda
commerciale che acquista i prodotti assumendosene la proprietà, li deposita nei propri magazzini,
gestisce fisicamente grandi quantità di merce rivedendole ad altre imprese o a dettaglianti) 5.
Dettagliante (intermediario commerciale che si occupa essenzialmente della vendita al
consumatore finale) 6. Broker (pone in contatto clienti e fornitori) 7. Agente del produttore
(operatore al quale il produttore conferisce un incarico contrattuale, che spesso opera in un
territorio di vendita esclusivo, gestisce linee di beni non in competizione ma correlate e dispone di
una certa autonomia in materia di prezzi e condizioni di vendita) 8. Distributore (grossista che
opera in particolari settori ove sia diffusa la distribuzione selettiva o in esclusiva a livello del
grossista e ove il produttore richieda un forte supporto promozionale; il termine viene usato anche
come sinonimo di grossista).
Le principali funzioni svolte dagli intermediari nei canali di distribuzione sono:
a. Funzione di natura commerciale (acquisto, vendita assunzioni di rischio, ovvero assumersi le

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responsabilità sulla proprietà dell’inventario che può diventare obsoleto o deteriorarsi nel tempo)
b. Funzioni logistiche (assortimento, stoccaggio ovvero assemblare e proteggere i prodotti in una
location conveniente per offrire un migliore servizio al cliente, smistamento cioè comprare in
grandi quantità e dividerle in piccole parti per servire i clienti, trasporto)
c. Funzioni di facilitazione (finanziamento cioè estendere il credito ai clienti, valutazione cioè
controllare, testare o giudicare i prodotti e assegnare a questi delle classi di qualità, informazioni e
ricerche di marketing cioè fornire informazioni ai fornitori e ai clienti comprese le condizioni
competitive e i brand)
Esistono due tipologie di canali di distribuzione:
- Diretto, quando il produttore svolge direttamente attività di vendita sul mercato senza
intermediari. Rientrano in tale caso le vendite effettuate direttamente su catalogo, per telefono,
per posta, il telemarketing, vendite online ecc..
- Indiretto che prevede uno più intermediari tra il produttore e il consumatore finale. Questo si
distingue tra - canale breve quando ci si avvale solo dei dettaglianti - canale lungo quando invece è
prevista anche la figura del grossista/agente.
Ci sono alcuni elementi generali da considerare nella pianificazione di un canale:
1. Le caratteristiche del cliente (numero, dispersione ecc.)
2. Le caratteristiche del prodotto (valore unitario, deperibilità ecc.)
3. Le caratteristiche dell'intermediario (disponibilità, attività di marketing svolte ecc.)
4. Le caratteristiche della concorrenza (numero, dimensioni quote mercato, canali distribuzione e
strategie ecc.)
5. Le caratteristiche dell'impresa (dimensione e quota di mercato, condizioni finanziare e budget di
marketing ecc.)
6. Le caratteristiche dell'ambiente (condizioni economiche, norme e vincoli legali, problemi politici
ecc.)
Per quanto riguarda la selezione dei canali dobbiamo fare riferimento al fatto che in molti settori si
sono sviluppati canali di distribuzione divenuti in qualche misura tradizionali e largamente accettati
come efficienti. Le categorie di prodotto a volte possono avere maggiore o minore importanza per
la scelta del canale. Si pensi per esempio ai prodotti deperibili che impongono l'utilizzo di canali
brevi. Un elemento importante nella scelta del canale di distribuzione è il livello di controllo
desiderato dal produttore che, di norma, sarà massimo nel canale diretto e minimo nel canale
indiretto lungo.
Vengono utilizzati quattro criteri per la selezione dei canali:
1. La copertura distributiva desiderata= in quanto i diversi prodotti necessitano di una diversa
copertura distributiva:
- Distribuzione intensiva: quando il produttore cerca di ottenere il massimo livello di copertura
avvalendosi del maggior numero di grossisti e dettaglianti. È il caso dei beni di largo consumo
tenendo presente le caratteristiche del prodotto (basso valore unitario) e bisogni/aspettative
acquirente (alta frequenza e praticità d'acquisto)
- Distribuzione selettiva: ci si limita ad utilizzare solo gli intermediari ritenuti migliori. La scelta può
dipendere dai servizi offerti, da come sono organizzate le vendite all'interno della specifica formula
commerciale o dalla reputazione dell'intermediario
- Distribuzione esclusiva: quando il produttore restringe drasticamente l'ampiezza della

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distribuzione e conferisce agli intermediari diritti esclusivi nell'ambito di un determinato territorio.


Situazione analoga si verifica quando il numero di potenziali acquirenti è molto ridotto. Si pensi per
es. ai beni di lusso.
Cosa intendiamo copertura ponderata e perché è più precisa della copertura numerica?
Per questo tipo di copertura si utilizzano prevalentemente tre indicatori:
a. La distribuzione numerica: rapporto tra numero di punti vendita in cui la marca è presente sul
totale dei punti vendita che prevedono quella tipologia di bene nel loro assortimento. Es Le
bottiglie di un'azienda vinicola si trovano in 84.000 negozi su un totale al livello nazionale di
140.000. La distribuzione numerica è del 60%.
b. La distribuzione ponderata, calcolata come il rapporto tra fatturato punti vendita in cui la marca
è presente è il fatturato totale di quel canale (sempre in relazione a quella specifica tipologia di
bene). Es. Le bottiglie di vino si trovano in 84.000 negozi che realizzano il 90% delle vendite totali.
La distribuzione ponderata è del 90%. Questo secondo indicatore viene preferito perché tiene
conto della diversa importanza dei punti vendita.
Cosa è la quota trattanti?
c. Per misurare la penetrazione si utilizza la cosiddetta “quota trattanti” e cioè aritmeticamente è il
rapporto tra l’ammontare delle nostre vendite e le vendite totali dei punti vendita in cui siamo
presenti. Sta ad indicare la nostra “quota di mercato” limitatamente ai trattanti. Es. Negli 84.000
negozi in cui sono presenti, le bottiglie di un'azienda vinicola rappresentano il 20% delle vendite
complessive di quei punti vendita.
Quota di mercato= La quota di mercato di un'impresa per un determinato prodotto può essere
calcolata a volume o a valore: a volume corrisponde al rapporto tra i volumi di vendita del prodotto
specifico dell'impresa e l'intero volume di prodotti della stessa tipologia prodotti dall'intero
mercato. A valore corrisponde al rapporto tra i ricavi delle vendite realizzati dall'impresa con il
prodotto specifico e il fatturato dell'intero mercato per i prodotti della stessa tipologia.
2. Il livello di controllo desiderato= In generale il livello di controllo è maggiore quando la
distribuzione è diretta. Quando vengono utilizzati canali indiretti il produttore deve cedere almeno
in parte il controllo sulle politiche di marketing dei propri prodotti agli intermediari
3. Il costo totale di distribuzione= ci sono diversi tipi di costo:
- Costi di trasporto
- Costi di gestione dell'ordine
- Costo transazioni non andate a buon fine
- Costo di gestione delle merci a magazzino (magazzino, capitale investito, tasse,
assicurazioni, obsolescenza e deterioramento)
- Costi di confezionamento
- Costi per la gestione materiale delle merci
- Nel caso del canale diretto i costi sono prevalentemente fissi
- Nel canale breve sono un mix di fissi e variabili
- Nel canale lungo sono prevalentemente variabili
4. La flessibilità del canale= Occorre infine considerare le possibili fluttuazioni della domanda
in particolare in periodi turbolenti come il nostro. Per esempio negli ultimi anni parte della
popolazione si è spostata dal centro in periferia e di conseguenza tende ad effettuare acquisti nei
grandi centri commerciali più che in passato. In tale contesto un produttore che abbia rapporti

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contrattuali consolidati con distributori che operino in città potrebbe trovarsi in difficoltà. In tali
condizioni è opportuno evitare di legarsi troppo e soprattutto di puntare a strutture distributive
che rappresentino prevalentemente un costo variabile anziché fisso.
Come possono essere regolati i rapporti con gli intermediari?
Si possono regolare i rapporti con gli intermediari attraverso:
1. Trade Marketing: specifiche attività di marketing rivolta dalle imprese verso gli intermediari volte
a sviluppare relazioni solide e durature.
Le principali leve operative del trade marketing sono:
•I listing fees. Compenso una tantum richiesto dal distributore al produttore per l'inserimento di
un nuovo prodotto sugli scaffali
•Gli sconti cioè la percentuale del prezzo di vendita al consumo trattenuto da intermediario.
•Attività promozionali
•Logistica
•Category management inteso come gestione efficace ed efficiente in particolare in termini di
spazi dedicati sugli scaffali alle diverse marche di un'intera categoria merceologica all'interno del
punto vendita
•Integrazione e scambio delle informazioni sui prodotti e sul mercato.
2. I sistemi verticali
I sistemi verticali sono canali i cui membri sono legati da una forte interdipendenza di varia natura,
nell'ambito dei quali sono sviluppate relazioni durature al fine di migliorare efficacia ed efficienza
del sistema. Distinguiamo:
•I sistemi amministrativi (administered system)= Sono simili ai sistemi convenzionali di marketing
salvo un maggior livello di pianificazione organizzativa. La dipendenza può derivare dal fatto che
nel canale c'è un'azienda che assume una posizione dominante.
•I sistemi contrattuali (contractual system)= In questo caso società di produzione e di distribuzione
indipendenti stabiliscono accordi contrattuali formalizzati per lo svolgimento di specifiche attività
di marketing possiamo distinguere:
- i gruppi d'acquisto in caso di accordi di cooperazione tra dettaglianti (Conad)
- le unioni volontarie cioè associazioni tra dettaglianti promosse da un grossista (Despar)
- vari tipi di franchising (Ford, Mobil, McDonald's)
•I sistemi aziendali (corporate system)= In tal caso una singola azienda controlla direttamente due
o più livelli del canale di distribuzione. L'integrazione è a valle se è il produttore ad acquistare
aziende all'ingrosso o al dettaglio, a monte se è il grossista o i dettaglianti ad acquistare aziende del
canale in uno stadio precedente.
3. Il commercio all’ingrosso.
Il ruolo dei grossisti
I grossisti sono aziende commerciali che acquistano prodotti in grande quantità conservandoli nei
propri magazzini per poi rivenderli a dettaglianti oppure a utilizzatori industriali. In alcuni settori
industriali i grossisti sono anche distributori in particolare quando detengono diritti di distribuzione
in esclusiva come avviene per la birra o la meccanica agricola. Il grossista crea valore per i
dettaglianti organizzando un processo di distribuzione efficiente ed efficace si assume il rischio
implicito nella gestione di grandi quantità di merce ecc.

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Gli elementi che favoriscono una relazione tra produttore e grossista durevole e redditizia sono la
fiducia, la capacità di apportare reciproci benefici e un flusso di comunicazione che tenga nella
debita considerazione problemi e opportunità. I grossisti hanno facilità nel piazzare presso i
dettaglianti prodotti o marche note che detengono quote di mercato elevate; devono fare un
maggior sforzo di marketing per le merci poco note o con quote di mercato modeste. Le aziende
per la distribuzione al dettaglio dei propri prodotti devono assumere molte decisioni (per es. store
e non store retailing, scelta che implica altre decisioni logiche quali per esempio il tipo di negozi di
cui avvalersi – se store based – o quale canale utilizzare nel caso del non-store.)
4. Store retailing. (punto vendita dove il consumatore finale effettua i suoi acquisti)
Differenze strategiche tra store retailing e non-store retailing
È la vendita di beni e servizi nei punti vendita ed è quello che si verifica nella stragrande
maggioranza dei casi. A distinguere i dettaglianti non è solo il genere della merce che vendono ma
anche l'ampiezza (numero di linee o categorie di prodotto) e la profondità(numero di prodotti per
linea) dell'assortimento.
La GDO: classificazione, caratteristiche e principali differenze rispetto al retail tradizionale
La Gdo (Grande distribuzione + distribuzione organizzata) si avvale di supermercati e grandi
magazzini dove si cerca di offrire una nutrita varietà di numerose categorie di diversi prodotti
oppure di ipermercati, discount, hard discount o outlet dove si cerca di offrire un vasto
assortimento a prezzi inferiori.
Grande Distribuzione Organizzata (GDO) = GD+DO
GD = Grande Distribuzione imprese distributrici che sotto forma di unica impresa agiscono su tutto
il territorio nazionale o larga parte di esso, di solito su superfici di vendita medio-grandi.
DO = Distribuzione Organizzata forme distributive di tipo associativo o cooperativo presenti su
tutto il territorio nazionale, o parte di esso, sotto forma di imprese diverse, anche con piccole
superfici di vendita, ma che agiscono sotto un’unica insegna e coordinate da una sede nazionale.
La GDO indica l’insieme di queste due forme ma anche la crescente tendenza delle due ad
integrarsi in gruppi, partnership, strategie comuni.
Esistono i rivenditori specializzati (specialty store) che offrono un profondo assortimento per un
numero limitato di categorie o come per es. Media World che tendono a dominare il mercato con
prezzi bassi (category killer). Soprattutto all'estero si trovano i “convenience store” in Italia “negozi
di prossimità” che offrono come principale vantaggio la posizione, la facilità di parcheggiare e la
rapidità di accesso e uscita e che spesso applicano un mark up superiore.
Le principali tipologie di punti di vendita dello store retailing sono:
- Grande magazzino. Punto vendita operante nel settore alimentare con almeno 400 mq e
almeno 5 distinti reparti
- Supermercato. Punto vendita operante nell'alimentare, superficie superiore ai 400 mq con
vasto assortimento alimentari e anche prodotti per la casa organizzato a self service. Sulla base
della superficie si distingue: •Superette, tra i 200 e 399 mq •Minimarket tra 120 e 199 mq
•Micromarket in caso di dimensioni inferiori
- Ipermercato. Superficie di vendita di almeno 2500 mq organizzato prevalentemente a self
service con vasto assortimento di prodotti alimentari e non.

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- Centro commerciale al dettaglio. Complesso di punti vendita al dettaglio e altri servizi


(ristorante, banca, posta ecc.) promosso, concepito e realizzato con criteri unitari che dispone di
parcheggio, infrastrutture e altri servizi unitari e i cui operatori partecipano congiuntamente alla
gestione del centro e all’adozione di comuni politiche promozionali.
- Centro commerciale all'ingrosso. Sostanzialmente come il precedente ma destinato
esclusivamente allo svolgimento dell'attività all'ingrosso.
- Cash and carry. Esercizi all'ingrosso organizzati a self service con superficie di vendita
superiore ai 400 mq. I clienti comprano senza nessuna influenza del personale, ricevono la fattura,
pagano in contanti e ritirano la merce
- (Soft) discount. Punto vendita caratterizzato da minor servizio, minore assortimento con
prodotti unbranded o commerciali (private label) ma prezzi ridotti. L'hard discount accentua tali
caratteristiche.
- Outlet o spaccio aziendale. Punti vendita dove è possibile acquistare prodotti a prezzo
ridotto. Viene utilizzato per smaltire le giacenze di fine stagione o nell'abbigliamento i prodotti
fuori collezione.
- Speciality store. Punto vendita che offre un profondo assortimento di prodotti appartenenti
ad un numero limitato di categorie (ikea, Media World). Spesso tali punti vendita mirano a
dominare il mercato di una particolare categoria merceologica con prezzo ridotto.
5. Nonstore retailing (sistemi di vendita diretta al consumatore finale)
Le cinque principali modalità di “Non-store retailing”
a) I distributori automatici
b) Le televendite
c) La vendita diretta: (gli operatori della vendita diretta si rivolgono al cliente presso la sua
abituazione o nel posto di lavoro, oppure via telefono) I prodotti acquistati in questo mercato sono:
cosmetici, profumi accessori per decorazioni, aspirapolvere, apparecchi per la casa ecc.
d) Il commercio elettronico e il marketing multicanale (e-commerce- prevede che il consumatore
raccolga le informazioni, decida e operi l’acquisto all’interno dei siti web)

Capitolo 12
La comunicazione di marketing
Cosa intendiamo per communication mix?
La Communication mix è la comunicazione integrata, sinergica e coerente di diversi tipi di
comunicazione personale e non personale, tra cui la pubblicità, la promozione, le pubbliche
relazioni e la vendita personale.
1) La pubblicità: è una forma di comunicazione non personale soggetta ad un pagamento. Verte
sull’azienda, i suoi prodotti o le sue attività. Tale mezzo può essere costituito dalla televisione dalla
radio o da internet.
2) La promozione: offre alla clientela, agli addetti alla vendita o ai rivenditori un incentivo diretto
all’acquisto di un prodotto.
3) Public relation: si identifica come quella tipologia di comunicazione che mira ad influenzare gli
atteggiamenti, le sensazioni e le opinioni dei clienti o dei non clienti. Gli strumenti principali sono

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l’ufficio stampa, gli eventi e le sponsorizzazzioni. In questa prospettiva si inserisce una serie di
nuovi strumenti come il passaparola, il product placement, e i social media.
4) Direct marketing: si avvale di comunicazioni dirette con i consumatori, può essere attuato
inviando per posta lettere, utilizzando il telefono o il web. E un dialogo interattivo fra l’operatore di
marketing e il cliente.
5) Vendita personale: è una comunicazione de-visu con i potenziali clienti, tesa ad informarli sul
prodotto di un’azienda e a persuaderli all’acquisto.
Esempio: nel caso di una nuova bibita analcolica, è probabile che lo sforzo comunicazionale verta
su pubblicità, promozione pubbliche relazioni al fine di: rendere i potenziali compratori
consapevoli del prodotto, informare questi sui benefici esso connessi, convincere i compratori del
suo valore, stimolare compratori ed acquistarlo. Se il prodotto è già radicato ma l’obiettivo è quello
di stabilizzare le vendite durante una stagione di scarsa vivacità del mercato, il mix di attività
conterrà prevalentemente incentivi a breve termine promozioni affinché il pubblico acquisti il
prodotto nell’immediato.
Che relazione c’è tra communication mix e marketing mix?
La Communication mix è la comunicazione integrata, sinergica e coerente di diversi tipi di
comunicazione personale e non personale, tra cui la pubblicità, la promozione, le pubbliche
relazioni e la vendita personale.
Marketing mix: insieme delle leve di marketing che l’impresa definisce e impiega per soddisfare il
consumatore e raggiungere i propri obiettivi di mercato.
Secondo il classico modello delle 4P ideato da McCarthy, le leve fondamentali del marketing mix
sono: prodotto (Product), prezzo (Price), punto vendita (Place) e promozione (Promotion).
La scelta della combinazione ottimale dei fattori di marketing dipende prevalentemente dalla
strategia di posizionamento dell’impresa e dalle caratteristiche del mercato obiettivo
Cosa intendiamo quando ci riferiamo alla forza vendita come leva di comunicazione?
La pubblicità punta a promuovere il prodotto dell'azienda mediante messaggi diramati da mezzi di
comunicazione. La considerazione alla base è che i messaggi sono in grado di raggiungere un
elevato numero di persone e di renderle consapevoli, persuaderla informarla circa l’offerta
dell’azienda punto la pubblicità è uno strumento strategico. Le aziende top spender arrivano
comunque ad investire oltre 100 milioni di euro l’anno in pubblicità. Gli obiettivi propri della
pubblicità vertono sul creare la consapevolezza, facilitare la comprensione, determinare la
convinzione e sollecitare l’acquisto. L’investimento pubblicitario generalmente giustificato dal
ritorno che permette di conseguire punto tale ritorno può riferirsi alle vendite oppure i profitti.
Molti manager utilizzano le pubblicità semplicemente quale strumento più immediato per
massimizzare i volumi delle vendite punto e il fine ultimo del soggetto che ricorre la pubblicità e il
conseguimento di buoni livelli di vendite.
Quali risultati si attendono quando si organizza una promozione vendite e quali sono le
differenze a livello strategico rispetto all’attività di advertising classico?
La promozione è un incentivo o stimolo che, attraverso un’azione tattica di comunicazione di
prezzo, tende a far conoscere, acquistare un prodotto o un servizio. Molti registratori di cassa

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utilizzati nei supermercati sono oggi dotati di uno strumento che emette dei buoni acquisto o
coupon a favore del cliente da utilizzare nel luogo da questo stesso. Il tipo, la verità e il valore del
buono cambiano da consumatore a consumatore a seconda degli acquisti che questi effettua: la
Coca Cola ha oggi la possibilità per esempio di distribuire buoni solo i consumatori che acquistano
pepsi evitando così di sprecare denaro in attività promozionali nei confronti dei consumatori che
già scelgono Coca Cola.
L’attività di Consumer Promotion può permettere al produttore di raggiungere obiettivi di svariata
natura: indurre il consumatore a provare il prodotto, ricompensare il consumatore per la sua
fedeltà alla marca, incoraggiare il consumatore ad acquistare maggiori quantità di prodotto.
L'elemento critico di un piano promozionale, consiste nella fissazione degli obiettivi da
raggiungere, che nel caso dei prodotti di largo consumo, sono riconducibili a quattro tipologie:
generare trial, generare re-trial, generare loyality, generale stocking. I sostenitori della promozione
spesso sostengono l’inutilità della pubblicità in quanto la promozione delle vendite sarebbe di per
sé sufficiente.

Capitolo 13
La vendita e la gestione della rete di vendita
Come si costruisce la relazione con il cliente?
È di fondamentale importanza la costruzione di una relazione tra il cliente e l’azienda. L’analisi della
relazione permette di ricostruire l’evoluzione dei bisogni tra prodotti o servizi del cliente nel
percorso d’acquisto a seconda delle fasi in cui si trova. Il lead è un soggetto potenzialmente
interessata all’acquisto, il prospect è invece un utente interessato al prodotto/servizio che è già
entrato in contatto con l’azienda e ha avuto modo di scambiare delle informazioni come per
esempio un contatto telefonico o un’email. Un lead potrebbe essere un utente che si è registrato
sul sito web ma non desidera acquistare nulla mentre il prospekt è un utente con una probabilità
più alta di acquistare il prodotto servizio offerto. Il cliente invece è la persona che ha acquistato un
prodotto servizio in passato ed è registrato nel database clienti dell’azienda se ha dato il consenso
all’uso dei dati personali Può essere ricontattato per azioni di marketing o di fidelizzazione. Una
volta che il cliente entra più volte in contatto con il prodotto servizio diventa un cliente abituale,
l’azienda deve implementare un sistema di relazioni attraverso cui contattarlo in maniera
sistematica e tenerlo aggiornato delle proprie offerte.
Come possono essere effettuate le previsioni di vendita?
Le previsioni delle vendite costituiscono la parte fondamentale dell’attività del reparto vendite di
un’azienda. La crescita di un'impresa si misura in base alle vendite e la sua previsione di vendita
determina i relativi costi, profitti ed investimenti. Le previsioni di vendita sono le stime delle
quantità di prodotto collocabili sul mercato in un periodo di tempo futuro. Con queste stime
l’impresa cerca di conoscere in anticipo quale potrà essere la capacità del mercato di assorbire i
suoi prodotti in base ad informazioni come lo storico di vendite. Il successo sul mercato è legato
non solo a queste variabili esterne ma anche delle azioni che l'impresa e le relative concorrenti
promuovono nei confronti del mercato. La prevedibilità è legata alla capacità dell’impresa di poter
controllare le variabili ed alla capacità di riconoscere le cause che le determinano. La stima delle
vendite può essere basata sull’analisi della serie storica dei risultati ottenuti in passato oppure
sull’analoga rispetto alla domanda di prodotti correlati e sul relativo andamento di mercato. Le

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previsioni delle vendite è solitamente il frutto di un processo di approssimazioni successivi che si


sviluppa in tre fasi: analisi della domanda, determinazione della quota aziendale di vendita,
definizione in base alle nuove scelte di marketing.
I metodi che possono essere utilizzati alle imprese per prevedere il futuro andamento delle vendite
sono:
1) Metodi temporali: basato sull’andamento storico e su serie temporale di dati. Queste tecniche si
fondano sull’ipotesi della comunicazione tendenziale di certi fenomeni in un arco di tempo futuro.
Quindi si basano sui trend.
2) Metodi casuali: basati su relazioni causa effetto. I metodi causali tentano di rappresentare le
stime di vendita in base al movimento di una serie di fattori con cui sussiste una relazione cioè le
cause. Le tecniche principali sono la correlazione la costruzione matrice input output.
3) Metodi qualitativi basati su stime indagini esterne. Sono tecniche e raccolgono informazioni
direttamente sul mercato e sui consumatori.
I valori delle vendite vengono considerati come il risultato della somma di variazioni relative
diverse componenti della domanda costituite da: trend, stagionalità quindi il clima o iniziative
come il Black Friday, dalla componente casuale cioè da variazioni della serie storica.
Come si analizza la performance della forza vendita?
KPI (key performance indicators) Sono metriche di performance che misurano obiettivi specifici per
le aziende di tutti i settori. A volte sono anche chiamati KSI (Keys success indicators) e se progettati
ed implementati correttamente possono definire la gestione efficace di un’azienda. Gli elementi
comuni sono: ricavi, statistiche sull’occupazione, servizio clienti, attività di marketing, attività di
customer caring per esempio il tempo medio di risoluzione di un problema, efficienza.
La capacità di misurazione di un KPI è legata alla definizione fin dall’inizio di obiettivi specifici per
esempio una startup è più interessata a monitorare la crescita del numero di nuovi clienti rispetto
ad un’azienda già affermata che potrebbe essere più focalizzata sul monitoraggio del prezzo delle
sue azioni in borsa.
I tre tipi più comuni di KPI sono legati alle attività:
1) Aziendale: sebbene il KPI aziendali possano sembrare piuttosto ampi, possono essere focalizzati
su specificare di performance aziendale per esempio le metriche dei clienti più comuni.
2) Team: i KPIper il marketing richiedono informazioni e metodi di progettazione molto diversi
rispetto a quelli per le vendite, come nel caso delle risorse umane o di qualsiasi altro reparto.
3) Progetto: possono misurare il valore di un progetto per capire quali aspetti funzionano bene,
quali aspetti sono poco performanti e come progettare obiettivi fruttuosi e realistici.
In sintesi gli addetti alle vendite devono essere a conoscenza di ulteriori elementi come gli aspetti
principali del proprio lavoro, prezzi, prodotti, politiche di vendita, la gestione del territorio come
pianificazione attività controllo costi relazioni e skills relazionali.
Il ruolo del CRM
I CRM sono software di gestione delle relazioni con i clienti utilizza od organizzare le informazioni di
contatto, gestire relazioni, tracciare interazioni l’intera esperienza online offline con i clienti attuali,
potenziali altri contatti. Con il CRM è possibile memorizzare clienti, contatti, informazioni ed

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opportunità di vendita. Le aziende hanno anche l’opportunità di effettuare attività di cross-selling e


up-selling, garantendo le aziende una maggiore probabilità di realizzare nuovi servizi ai clienti
esistenti migliorare il loro Life time value
Per esempio può capitare che un addetto di un ufficio si trovi a rispondere in modo chiaro ed
esaustivo alle esigenze poste dal cliente fornendo a voce un contributo reale per la risoluzione di
un problema senza che sia fatto ricorso ad alcuna tecnologia. A parte l’aspetto tecnologico, il focus
principale del CRM e l’orientamento al cliente che deve coinvolgere l’intera organizzazione.
CRM operativo Vs analitico
Il CRM operativo è legato alle attività di contact center e si concentra quindi sulla gestione delle
tipologie di interazione che possono venire con la clientela acquisita o potenziale tramite
procedure di workflow management. Queste attività sono coordinate da una serie di procedura
automatizzata e che genera automaticamente notifiche di azioni da svolgere. I canali di
comunicazione che un’azienda deve essere in grado di gestire in maniera sinergica coordinata fra
loro possono essere raggruppati per macroaree come per esempio: telefonia fissa o mobile, video
videoconferenza o online streaming, internet email chat siti o blog, social network, sistemi di sell
service come area clienti e gestione documentale.
Il CRM analitico è progettato per valorizzare le informazioni a disposizione dell’azienda sui clienti
sia potenziali sia acquisiti, per l’analisi dell’andamento delle attività di vendita e di loyalty. Esso si
distingue in due component: i data warehouse e CRM business intelligence. Per questo tipo di
attività negli ultimi anni si è sempre più diffusa la figura aziendale del data scientist che interpreta
grandi quantità di dati per ricavarne informazioni utili su cui un’azienda possa abbassare le proprie
azioni strategiche. Tra le attività principali gestite da un CRM troviamo: gestione dei contatti,
gestione dei light, previsioni vendita, messaggistica istantanea, monitoraggio l’email, condivisione
file e contenuti.
Che relazione c’è tra la costumer satification e la costumer loyality
Costumer loyalty: Capacità da parte dell’azienda, anche grazie alla sua rete di vendita, di instaurare
un legame di fedeltà con il cliente che nel tempo continua ad acquistare prodotti o servizi. La
fedeltà di un cliente è strettamente connessa al suo livello di soddisfazione o di costumer
stratification. Ovviamente non vi è una relazione di tipo lineare ciò vuol dire che non tutti gli sforzi
realizzati per migliorare la customer stratification si traducono in e maggiore fedeltà. Anzi vi sono
clienti chiamati mercenari che continuano a cercare la migliore offerta anche se soddisfatti del
proprio fornitore.
Cercate di comprendere in che modo tutte le nozioni apprese nei precedenti capitoli (analisi
swot, obiettivi, marketing mix etc.) convergano nel processo di sviluppo del piano di marketing
Premessa: non esiste un unico modello di paino di marketing che possa essere applicato a tutte le
organizzazioni in quanto il piano si riferisce sempre ad una determinata realtà e dipende da molti
elementi come: destinatari, obiettivi, tipo di organizzazione e il suo livello di complessità, settore di
riferimento.
Strategia di un piano di marketing:
Per il piano di marketing abbiamo due definizioni che si focalizzano sugli aspetti operativi:
1. Documento che include tutti i metodi e le procedure necessarie alla determinazione delle azioni

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di marketing da intraprendere. Si articola in sezioni secondo un determinato schema.


2. Mappa delle attività di marketing che un’organizzazione deve seguire durante un determinato
periodo di tempo
E quindi attraverso queste due definizioni possiamo dire che il piano di marketing viene a
rappresentare: una registrazione tangibile delle analisi svolte; un riferimento costante per guidare
le attività di sviluppo di un determinato prodotto o di una determinata marca.
3. Il piano di marketing è il documento che formalizza la strategia da seguire, ne spiega i
presupposti, la traduce in programmi operativi.
Quest’ultima è una definizione che fa riferimento al piano di marketing come a un documento che
formalizza la strategia da seguire e la traduce in programmi operativi.
Riassumendo possiamo dire che il piano di marketing è un vero e proprio processo di analisi, di alto
livello e complessità, atto a generare una o più idee di business e verificare se possano essere la
base per avviare un’attività imprenditoriale profittevole.
La struttura del piano di marketing è:
1. Pagina iniziale= deve contenere il nome della marca o del prodotto per il quale il piano è stato
preparato, il periodo di tempo a cui si riferisce il piano, l’indicazione della persona che sta
proponendo il piano e la sua qualifica, le persone ai quali il piano è stato presentato, la data di
presentazione del piano. Anche se la presentazione della pagina iniziale può sembrare un compito
semplice e banale, bisogna ricordare che si tratta della prima cosa che verrà letta dalla persona alla
quale viene presentato il piano. Pertanto una pagina iniziale sciatta o mal presentata può indurre a
pensare che il progetto sia stato sviluppato in modo affrettato, non prestando attenzione per i
dettagli.
2. Sintesi per il management= sintesi per il management, documento iniziale che riassume in
poche pagine il contenuto dell’intero piano di marketing. Lo scopo di questa sintesi è di fornire in
breve, una panoramica esaustiva del piano di marketing per i manager che devono essere al
corrente della proposta anche senza partecipare direttamente alla sua approvazione.
3. Indice del contenuto= l’indice è costituito da un elenco completo di ciascuno degli argomenti
trattati nel piano. Può essere utilizzato dal lettore per valutare se le varie sezioni del progetto siano
presentate secondo una sequenza logica corretta.
4. Introduzione= il tipo di informazioni e la quantità di dati riportati al suo interno variano a
seconda che il piano sia concepito per un brand o un prodotto nuovi o già esistenti. Ha l’obiettivo
di risvegliare l’interesse del management o degli investitori per la nuova idea.
È utile presentare una stima delle vendite previste, dei costi e della remunerazione
dell’investimento desiderata, così come presentare dei grafici, che illustrano la performance: i suoi
volumi di vendita, i profitti e la quota di mercato registrati negli anni precedenti, per poi spiegare le
ragioni che inducono a proporre determinati cambiamenti.
5. Analisi del contesto= attenzione sulle più importanti condizioni ambientali (o sui maggiori
cambiamenti intervenuti nelle stesse) che possono incidere sul successo o fallimento del piano
proposto. Soprattutto sull’ambiente competitivo (punti di forza e debolezza dei principali
concorrenti, le loro rispettive quote di mercato e il successo delle varie strategie competitive
implementate nel passato dai competitori)

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6 Pianificazione del marketing= parte importante che comprende alcuni elementi principali come:
gli obiettivi di marketing che vengono presentati sotto forma di percentuali e rappresentano
particolari risultati da raggiungere; il targeting e il posizionamento che illustrano il tipo di cliente a
cui ci si vuole rivolgere e le motivazioni che hanno condotto a tale scelta. In tale sede verranno
spiegati i criteri seguiti pe effettuare la segmentazione del mercato e la scelta dei segmenti cui
rivolgersi (targeting). Inoltre, si dovrà anche illustra il posizionamento che si desidera avere
motivandolo in dettaglio; il marketing mix che descrive le azioni da portare avanti nell’utilizzo delle
variabili di prodotto, promozione, distribuzione e prezzo, e tutte le motivazioni logiche connesse.
Per quanto riguarda il prodotto bisogna fornirne una dettagliata descrizione, anche della
confezione e delle sue caratteristiche. L’analisi della promozione descrive i componenti del mix di
attività promozionali prescelto e delle ragioni che giustificano tale opzione. Sarebbe utile
presentare l’argomento includendo alcuni esempi di possibili messaggi pubblicitari e dovrebbe
anche essere illustrato il tipo di personale di vendita da utilizzare. La sezione dedicata alla
distribuzione descrive e fornisce la motivazione dell’utilizzo di uno o più canali di distribuzione
ritenuti più idonei al particolare tipo di prodotto oggetto del piano. Tale descrizione deve includere
l’indicazione del tipo di intermediari da usare. Altre importanti considerazioni da fare in questa
parte riguardano il livello di copertura distributiva desiderato, i costi e il sistema di controllo
dell’intero processo. Spesso i canali di distribuzione utilizzati dall’azienda sono già ben definiti e
pertanto la possibilità di scelta sono molto limitate; in questa sede dovranno essere descritti in
modo dettagliato i criteri seguiti per proporre un determinato prezzo, illustrando le analisi
effettuate sui possibili effetti sulla domandi di vari livelli di prezzo in considerazione della
concorrenza e della situazione generale di mercato. Per quanto riguarda la distribuzione dovranno
essere elencati e motivati i prezzi di fabbrica e quelli proposti all’ingrosso e al dettaglio e i relativi
margini.
7. Analisi economico- finanziaria= il piano di marketing deve contenere una stima dettagliata di
tutti i costi necessari per la sua realizzazione come, le spese pubblicitarie, le spese per la
formazione e la remunerazione del personale di vendita, i costi per lo sviluppo del canale di
distribuzione e per la ricerca di marketing. Inoltre, devono essere incluse le stime dei costi da
sostenere per la progettazione e lo sviluppo del prodotto e delle sue componenti, come per
esempio l’allestimento di un prototipo, la progettazione della confezione, ecc. ma anche il costo
come il personale, i materiali, le attrezzature, i fornitori ecc. la stima dei costi da sostenere in
considerazione delle variabili in gioco, numerose e spesso imprevedibili, è tutt’altro che semplice
soprattutto in un contesto socio economico che, a sua volta avrà un ruolo chiave sulle decisioni del
management. Per quanto riguarda l’entità del budget di marketing, questo ovviamente dipenderà
da diversi fattori quali: appeal (espresso dall’intenzione di acquisto, che i consumatori hanno
manifestato in sede di test, e l’attrattività del mercato nel quale il prodotto dovrà confluire); la
strategia dell’azienda: alcune aziende decidono il lancio e gli investimenti connessi in base al grado
di innovazione del prodotto, altre, che invece decidono di puntare su prodotti più sicuri, si affidano
a ingenti investimenti di marketing per acquisire quota di mercato. Altro aspetto importante sarà
quello di stimare un tempo per ottenere il cosiddetto punto di pareggio e cioè quando i ricavi
previsti consentiranno di recuperare i costi sostenuti, prescindendo da oneri finanziari, atipici e
straordinari e dai costi opportunità del capitale investito. Analisi finanziaria: analisi che al di là degli
aspetti economico-reddituali propriamente detti, prende in considerazione l’aspetto temporale del
valore del capitale in funzione della sua disponibilità e impiego nel tempo. Oltre agli oneri

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finanziari connessi all’utilizzo di capitale di terzi, analizza il costo opportunità, considera i flussi di
cassa o cash flows attualizzati e, più in generale, affronta il tema complesso della valutazione della
remunerazione degli investimenti e, su tale base, della scelta tra progetti alternativi.
8. Implementazione e controllo del piano di marketing =comprende l’esame e la giustificazione
delle modalità in base alle quali il piano sarà realizzato e controllato. Vengono in genere fornite
indicazioni su chi verrà incaricato di controllare la realizzazione del piano e di apportarvi le
eventuali, opportune, variazioni nel caso in cui si verifichino eventi imprevisti; vengono proposte le
linee guida relative alle modalità di misurazione del grado di successo o d’insuccesso conseguito.
Nella formulazione di un piano di marketing relativo a un’impresa, è necessario che la sua
definizione risulti abbastanza dettagliata, poiché le procedure da seguire per l’implementazione del
piano dovranno essere chiaramente delineate.
9. Sintesi= a conclusione di una dettagliata illustrazione di ognuno degli aspetti già specificati, può
essere utile un commento finale che sottolinei ancora la bontà del progetto e la sua validità dal
punto di vista economico-finanziario.
Approfondimento 14.1: aspetti da considerare nell’analisi dell’ambiente competitivo
Per riuscire a sviluppare piani di marketing di successo è importante avere un’approfondita
conoscenza del proprio settore di attività e delle aziende concorrenti. Gli aspetti da considerare per
poter aiutare il responsabile della pianificazione e sviluppare la migliore strategia di marketing
sono:
- Sapere quali sono le aziende che operano in quel settore, la loro situazione finanziaria e infine la
loro capacità di marketing.
- Sapere quali sono le quote di mercato delle varie marche.
- Sapere quali sono i modelli che vengono offerti da ogni azienda.
- Sapere quali strategie di marketing sono state utilizzate dai leader di mercato.
- Sapere qual è la nostra posizione rispetto alle aziende concorrenti, in termini di forza finanziaria e
capacità di marketing.
Approfondimento 14.3: aspetti da considerare nell’analisi del profitto del consumatore.
La concorrenza del consumatore è della massima importanza per poter sviluppare con successo un
piano di marketing. Gli aspetti che bisogna prendere in considerazione nell’analisi del profitto del
consumatore così come, utilizzati nell’attività decisionale o di ricerca di marketing sono:
- Sapere quante sono le persone che acquistano o utilizzano questo prodotto in generale.
- Sapere quali sono i benefici che offre il prodotto al consumatore da un punto di vista funzionale, e
in che modo di differenziano le varie marche.
- Sapere che benefici offre il prodotto al consumatore in senso sociale e psicologico, e come viene
realizzata quest’obiettivo dalle varie marche concorrenti.
- Sapere quanto è importante l’immagine della marca per i consumatori.
- Sapere quanto sono fedeli a una marca i consumatori.

Capitolo 17
La gestione della marca e la brand equity

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Qual è l’importanza del brand nell’ambito delle strategie di marketing?


Costruire un marchio forte è importante perché aiuta a distinguersi dalla concorrenza e accrescere
la fidelizzazione dei consumatori, cosi come far aumentare la consapevolezza circa quel brand e
l’azienda ce lo ha ideato. È importante che i consumatori sviluppi un'immagine positiva circa il
brand a cui fa riferimento, perché più l'immagine è positiva più si rafforza il posizionamento della
marca all’interno del mercato
Cosa intendiamo per posizionamento della marca e quali opzioni abbiamo per posizionare un
brand?
Il posizionamento del brand consiste nell’enfatizzare i vantaggi del brand facendo in modo che
risultino importanti per i consumatori. Per enfatizzare i vantaggi si deve effettuare uno studio del
mercato, scegliere il target e valorizzare il brand rispetto ai concorrenti e infine tradurre un intento
strategico in una specifica formula d’offerta. Vi sono numerose possibilità per posizionare la marca:
• sugli attributi: quando si pone l’accento sulle caratteristiche di unicità dei prodotti (lavatrice
silenziosa)
• sui benefici: ci si concentra su aspetti più astratti del brand come il confort, il rispetto
dell’ambiente o l’essere alla moda (profumo=eleganza, seduzione)
• sul value for money: concentra l’attenzione sulla ricerca del miglior compromesso tra costi e
benefici, insistendo sul messaggio ideale ‘vale quello che paga’
• sul problem solving: consiste nell’enfatizzare le competenze distintive del brand nella sua
capacità di porsi come risolutore di problemi (volvo elimina il problema della sicurezza in auto).
• sull’occasione d’uso: rappresenta una forma di posizionamento atipica perchè richiede che la
marca sia riconosciuta non tanto da consumatori con un certo profilo ma da tutti quelli riconosco
un determinato bisogno in un certo o luogo (Kellogs cereali per la colazione)

Differenze tra brand corporate, di gamma, di linea e di prodotto: come si gestiscono a livello
strategico?
• BRAND CORPORATE: è quello che rappresenta l'azienda, simbolo della sua storia, valori, cultura e
strategie
• BRAND GAMMA: brand utilizzato nell’ambito di diverse categorie di prodotto senza coincidere
con il corporate brand
• BRAND LINEA: unica categoria di prodotti, anche se appartenenti a categorie merceologiche
diverse
• BRAND PRODOTTO: consiste nell’assenare a un prodotto un nome ce contribuisce a identificarne
il posizionamento
Cosa intendiamo per brand equity?
Per brand equity si intendono tutti i valori positivi che racchiude il marchio.
Valore finanziario o prospettiva del consumatore (come vede la marca). Fattori emozionali e codici
di qualità.

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