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FONDAMENTI DI MARKETING

CAPITOLO 1: PRINCIPI DI MARKETING E SOCIETA’ (Pag.2)


CAPITOLO 2: COMPRENDERE IL COMPORTAMENTO DEL CLIENTE (25)
CAPITOLO 3: RICERCA DI MERCATO E CONOSCENZA DEL CLIENTE (43)
CAPITOLO 4: AMBIENTE E STRATEGIE DI MARKETING (60)
CAPITOLO 5: SEGMENTAZIONE DEL MERCATO E POSIZIONAMENTO (78)
CAPITOLO 6: DECISIONI SUL PRODOTTO E SUL BRAND (98)
CAPITOLO 7: PREZZO E CREAZIONE DI VALORE (119)
CAPITOLO 8: LA POLITICA DI COMUNICAZIONE DI MARKETING (134)
CAPITOLO 9: GESTIONE DELLE COMUNICAZIONI DI MARKETING (150)
CAPITOLO 10: GESTIONE DEI CANALI E DELLA DISTRIBUZIONE (169)
CAPITOLO 11: MARKETING DIGITALE E SOCIAL MEDIA (186)
CAPITOLO 12: MARKETING DEI SERVIZI E CUSTOMER EXPERIENCE (200)

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CAPITOLO 1: PRINCIPI DI MARKETING E SOCIETA’

1.1 - INTRODUZIONE
Come hanno fatto nel passato le società a immettere sul mercato delle offerte rivolte a voi? Pensate
all’ultimo smartphone che avete comprato, alla musica che ascoltate in streaming e alle compagnie
aree con cui avete volato. Perché avete scelto di approfittare di quelle offerte? Ognuna è stata
presentata per soddisfare un vostro bisogno specifico. Pensate a come l’offerta è stata proposta. Di
quali componenti fisiche e servizi era composta? Che effetti ha, se ne ha, sulla società? Ci sono altre
versioni disponibili di quel prodotto che incontrino più efficacemente i vostri desideri e quelli della
società? Queste sono alcune delle domande che i responsabili di marketing dovrebbero porsi
quando progettano, sviluppano e rivolgono delle offerte ai clienti.
Questo capitolo migliora la vostra comprensione dei principi di marketing e l’impatto del
marketing sulla società dando una definizione di «marketing». Prendiamo in considerazione le
origini e lo sviluppo del marketing nel ventesimo secolo e all’inizio del ventunesimo. Verranno
analizzati i concetti fondamentali del marketing, tra cui il marketing mix, il principio
dell’exchange marketing, l’orientamento al mercato, il marketing relazionale e la service-
dominant logic. Infine, osserveremo gli impatti positivi e negativi che il marketing ha sulla
società, e ne valuteremo le implicazioni.
1.2 - COS’è IL MARKETING
Ci sono numerose definizioni di «marketing», ma ne presentiamo tre per avere un facile
riferimento nella Tabella 1.1.

Le definizioni del CIM e dell’AMA descrivono il marketing come un «management process» e


un’«attività», per quanto molte imprese gestiscano il marketing in un dipartimento separato
piuttosto che come servizio trasversale nei dipartimenti (Sheth e Sisodia, 2005). La Nike, ad

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esempio, usa una struttura organizzativa a matrice regionale, permettendo al marketing di operare
all’interno e attraverso i dipartimenti, come quelli dell’abbigliamento e delle calzature (Brenner,
2013).
Ciò che dimostrano queste definizioni è come il concetto di marketing sia cambiato nel corso degli
anni, passando dall’includere soltanto concetti commerciali, come la determinazione dei prezzi di
vendita, la pubblicità e la distribuzione, fino a comprendere anche dei concetti relazionali, come
l’importanza della fiducia dei clienti, il rischio, la dedizione e la co-creation.
Inoltre, la natura delle relazioni tra un’organizzazione e i suoi clienti, per quanto riguarda le sue
proposte e la sua mission, è differente tra organizzazioni no-profit e quelle a scopo di lucro.
Tuttavia, i principi generali su come viene usato il marketing rimangono gli stessi. Tutte le
definizioni riconoscono questo concetto ampliato della vasta applicabilità sociale del marketing.
Visitate le risorse online e completate l’attività sul Web 1.1 per imparare di più sulle associazioni
di marketing professionali di tutto il mondo.
1.2.1 – DIFFERENZA CLIENTE E CONSUMATORE
Qual è la differenza tra «clienti» (customer) e «consumatori» (consumer)? La differenza è sottile,
ma reale. Un cliente è un compratore, un acquirente, uno sponsor, e perciò qualcuno che compra
da un negozio, un sito Internet, un’azienda o, nella sharing economy, da un altro cliente (ad
esempio tramite Airbnb o eBay). Il consumatore è colui che usa il prodotto (o lo mangia, nel caso
del cibo).
Per spiegarlo, prendiamo ad esempio la Mondelez International’s Dairylea Dunkers, azienda che
produce alimenti caseari progettati per essere una buona fonte di calcio, poiché ogni confezione
fornisce almeno il 26% del fabbisogno quotidiano. In questo caso, il cliente è l’acquirente
«primario», ovvero il genitore o il responsabile degli acquisti, e il consumatore è il b ambino. A
volte, il cliente e il consumatore possono essere la stessa persona, ad esempio la ragazza che
compra online i biglietti per il cinema per sé e un suo amico.
1.2.2 - ORIENTAMENTO AL MERCATO
Il concetto di orientamento al mercato (Kohli e Jaworski, 1990) è alla base del marketing.
Sviluppare 10l’orientamento al mercato rende le organizzazioni più redditizie sia nel lungo che nel
breve periodo (Kumar et al., 2011). In una meta-analisi sull’orientamento al mercato, Kirca e i suoi
colleghi (2005) hanno concluso che tale orientamento potrebbe essere fondamentale per la
sopravvivenza delle società di servizi e la fonte di un vantaggio nella competizione per le imprese
manifatturiere.
Ma sviluppare l’orientamento al mercato non è come sviluppare un orientamento al marketing.
Quindi qual è la differenza? Un’impresa orientata al marketing sarà un’impresa che riconosce
l’importanza del marketing all’interno dell’organizzazione, per esempio nominando una persona
del settore marketing come amministratore delegato (AD), presidente del consiglio
d’amministrazione (o del consiglio direttivo nel caso degli enti di beneficienza), o del team
esecutivo.
Sviluppare l’orientamento al mercato si riferisce alla «creazione sul piano organizzativo generale
della market intelligence con l’obiettivo di analizzare i bisogni dei clienti presenti e futuri, la
diffusione delle informazioni tra i dipartimenti, e la reattività dell’organizzazione a questi» (Kohli
e Jaworski, 1990:3). Dunque, l’orientamento al mercato non include soltanto il marketing, ma
necessita anche di concentrarsi su:
• orientamento al cliente, per creare valore sviluppando e modificando
costantemente i prodotti per andare incontro ai bisogni del cliente;
• orientamento al competitor, per sviluppare una conoscenza dei punti forti e deboli
dei suoi competitor, e delle proprie capacità e strategie sul lungo periodo (Slater e
Narver, 1994);
• coordinamento interfunzionale, affinché tutte le attività di un’organizzazione
lavorino assieme per una crescita di profitto sul lungo periodo.

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1.2.3 – BREVE STORIA DEL MARKETING
Il marketing spiegato in una sequenza a quattro stadi, come segue.
1. Orientamento alla produzione, 1890-1920 – Questo periodo è stato caratterizzato
negli Stati Uniti, dove il marketing si è sviluppato, dalla focalizzazione delle aziende
sulla produzione fisica e sulle offerte: la domanda superava l’offerta, c’era poca
competizione e la gamma di prodotti era limitata. Questa fase arrivò dopo la
Rivoluzione Industriale.
2. Orientamento alle vendite, 1920-anni Cinquanta – Il secondo periodo è
caratterizzato dalla focalizzazione delle aziende sulla vendita (o personal selling)
supportata dalla ricerca di mercato e della pubblicità. Questa fase si riferisce al
periodo successivo alla Prima guerra mondiale.
3. Orientamento al marketing, anni Cinquanta-Ottanta – Nel terzo periodo aumenta
la focalizzazione delle imprese sui bisogni del cliente. Questa fase arrivò dopo la
Seconda guerra mondiale.
4. Orientamento al societal marketing, anni Ottanta-oggi – Il marketing a questo
punto è caratterizzato da una forte attenzione agli aspetti sociali ed etici all’interno
delle imprese e dalla consapevolezza che anche le organizzazioni no-profit possono
impegnarsi nel marketing. Questa fase ha luogo durante la «rivoluzione delle
informazioni» alla fine del ventesimo secolo (Enright, 2002).
Il marketing, in quanto disciplina, è il risultato degli sviluppi di discipline correlate, incluse
l’economia, la psicologia, la sociologia e l’antropologia, come spiegato qui di seguito, e del
con11tributo delle grandi società di consulenza.
• Influenze dell’economia – Le nostre conoscenze riguardo alla corrispondenza tra
domanda e offerta, all’interno delle industrie, devono molto allo sviluppo della
microeconomia. Per esempio, i concetti economici di «concorrenza perfetta» e
«corrispondenza tra domanda e offerta» stanno alla base del marketing,
particolarmente in relazione alla concezione del prezzo a cui vengono venduti i
prodotti e delle quantità distribuite (vedi Capitolo 7). Le teorie di distribuzione del
reddito, scale di produzione, monopolio, concorrenza e finanza derivano tutte
dall’economia (Bartels, 1951), anche se l’influenza dell’economia sul marketing sta
diminuendo (Howard et al., 1991).
• Influenze della psicologia – La nostra conoscenza del comportamento del
consumatore deriva principalmente dagli studi di psicologia, dalla ricerca
motivazionale (vedi Capitolo 2). In particolare, la psicologia aiuta a comprendere il
comportamento, le percezioni, la motivazione e l’interpretazione delle informazioni
da parte del consumatore (Holden e Holden, 1998), la sua personalità e
soddisfazione (Bartels, 1951).
• Influenze della sociologia – La comprensione dei comportamenti di gruppi di
persone deriva dalla sociologia, con degli approfondimenti in alcune aree per capire
come si comportano le persone facenti parte di un gruppo composto da individui di
genere ed età simili (demografia), come si comportano persone di differente status
sociale (classe), perché facciamo le cose nel modo in cui le fanno (motivazione),
qual è l’influenza della cultura (Bartels, 1951, 1959). La nostra comprensione di cosa
pensi la società come entità (ovvero, l’opinione pubblica), come la comunicazione
passi attraverso i leader (Katz, 1957), e come l’impresa influenzi il modo in cui le
persone pensano per far loro adottare la nostra prospettiva (per esempio le ricerche
sulla propaganda – vedi Lee, 1945; Doob, 1948) hanno contribuito alla pratica del
marketing.
• Influenze antropologiche – Il debito degli studi di marketing verso l’antropologia
sociale aumenta con l’utilizzo degli approcci qualitativi, come l’etnografia,
la netnografia e l’osservazione nella ricerca del comportamento del

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consumatore (vedi Capitolo 3), in particolare i comportamenti dei sottogruppi e
delle sottoculture (come i preadolescenti o le haul girls).

1.2.4 – COSA FANNO I MARKETER?


Per rispondere a questa domanda, il governo britannico – nei panni della Skills CFA
(precedentemente nota con il nome di Council for Administration, o CfA) – ha lavorato assieme a
importanti stakeholder per definire come operano le funzioni del marketing. La consultazione ha
indicato che il lavoro riguardava otto aree funzionali (vedi Figura 1.1), ognuna interconnessa con
le esigenze degli stakeholder.

È importante sottolineare che il marketing è presente in tutti i settori delle organizzazioni, poiché
tutti i dipartimenti hanno un ruolo da giocare rispetto alla creazione e alla realizzazione del
prodotto e alla soddisfazione dei clienti. Gli impiegati nel dipartimento di ricerca e sviluppo (R&S)
che progettano nuovi prodotti per soddisfare i bisogni dei clienti hanno un ruolo di marketing. In
maniera analoga, i membri del dipartimento acquisti che comprano i componenti per un nuovo
prodotto o servizio devono fare riferimento a una specifica qualità e a un dato costo in modo da
soddisfare i bisogni del cliente. Di fatto, possiamo analizzare tutti i dipartimenti di un’impresa e
scopriremo che, in ognuno, c’è un ruolo di marketing da giocare in una qualche misura. In altre
parole, il marketing è distribuito all’interno di tutta l’organizzazione e tutti i lavoratori possono
essere considerati come marketer part-time (Gummesson, 1990).

1.3 – PRINCIPI FONDAMENTALI DEL MARKETING


Il marketing richiede una serie di interazioni davvero complicate tra individui, organizzazioni,
società e governo. Di conseguenza, è difficile sviluppare dei principi applicabili a tutti i contesti.
Tuttavia, possiamo per lo meno fare alcune generalizzazioni piuttosto regolari. Secondo Leo ne e
Schultz (1980), possiamo procedere come segue.
• Generalizzazione 1 – La pubblicità ha un’influenza diretta e positiva sulle vendite
generali del settore.
• Generalizzazione 2 – Il selective advertising (la pubblicità selettiva) ha
un’influenza diretta e positiva sulle vendite delle singole imprese (brand): la
pubblicità sviluppata da un’impresa tende ad aumentare le vendite del marchio.
• Generalizzazione 3 – L’elasticità della pubblicità selettiva per le vendite di
un’impresa (brand) è bassa (non elastica): per quanto riguarda beni di consumo
acquistati di frequente, la pubblicità ha un effetto molto limitato nell’innalzamento
delle vendite.
• Generalizzazione 4 – Aumentare lo spazio sugli scaffali (esposizione) ha un impatto
positivo sulle vendite di prodotti alimentari non basilari, comperati per impulso
(come il gelato o le barrette di cioccolato), meno sugli acquisti programmati (per
esempio le salse o i sughi da 13cucina). Per gli acquisti d’impulso, più spazio
espositivo i prodotti hanno, più probabile sarà venderli.

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• Generalizzazione 5 – Il numero di punti vendita ha influenza positiva sulle vendite
dell’impresa (quota di mercato): aprire nuovi negozi ha influenza positiva sulle
vendite.

1.3.1 – MARKETING COME SCAMBIO


Il marketing è un processo di scambio a doppio senso. Non si tratta, infatti, soltanto
dell’organizzazione di marketing che fa il suo lavoro, anche il cliente contribuisce, talvolta in
maniera consistente. I clienti specificano come potremmo soddisfare i loro bisogni, poiché i
marketer non possono leggere nel pensiero. I clienti, poi, dovranno pagare per ottenere i prodotti.
A metà degli anni Settanta, ci fu la crescente convinzione che il marketing fosse incentrato sul
processo di scambio tra gli acquirenti, i venditori e gli intermediari associati nel processo di
produzione e distribuzione. Le relazioni di scambio erano viste come economiche (per esempio un
cliente che fa la spesa) e sociali (per esempio il servizio fornito dalla polizia nei confronti della
società pagato dal governo) (Bagozzi, 1975). Nel marketing ci sono diversi tipi di scambio
compratore-venditore. La Figura 1.2 illustra alcuni esempi di scambio binario (diadico) e delle
risorse scambiate in queste interazioni. 14Capendo come si svolgono gli scambi tra i componenti
della filiera, possiamo determinare dove aggiungere valore all’esperienza del cliente.

1.3.2 – LE 4P DEL MARKETING MIX


Neil Borden originariamente sviluppò il concetto di «marketing mix» quando insegnava
all’Università di Harvard negli anni Cinquanta. La sua idea era che i manager del settore marketing
fossero «miscelatori d’ingredienti» – ovvero, chef che inventano una ricetta di marketing unica
perché adatta ai bisogni dei clienti in ogni momento. Misero assieme una lista di 12 fattori che il
produttore dovrebbe considerare quando struttura le politiche di sviluppo di marketing mix e le
relative procedure (Borden, 1964). Questa lista è stata semplificata e migliorata da Eugene
McCarthy con le sue «4P» (1960) in modo che diventasse più facile da ricordare ma restasse rigida
(vedi Figura 1.3); eccole qui:
• Prodotto – il prodotto e come questo incontra i bisogni del cliente, nonché il suo
packaging e labelling (vedi Capitolo 6).
• Punto vendita/distribuzione – canale che trasferisce il prodotto al cliente
(vedi Capitolo 10).15
• Prezzo – il costo per il cliente e il costo più il profitto per il venditore (vedi Capitolo
7).
• Promozione – come il prodotto porta beneficio e come le sue caratteristiche
vengono comunicate al potenziale compratore (vedi Capitoli 8 e 9).

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La definizione del marketing mix aveva l’intenzione di creare una struttura più semplice attorno a
cui i manager potessero sviluppare i loro programmi. Nonostante ci fosse la cognizione che tutti
questi elementi potessero essere collegati (per esempio la promozione basata sul prezzo pagato dal
consumatore), l’interazione tra questo mix di componenti non era stata presa in considerazione
nella struttura di McCarthy (vedete Market Insight 1.1 per un esempio del perché l’offerta del
grande magazzino V&D in Olanda e il marketing mix più in generale debbano essere risanati).

1.4 – IL MARKETING MIX ESTESO


Potrebbe sembrare che ciò che viene scambiato nell’ambito dei servizi (come prenotare una
vacanza) sia diverso rispetto a ciò che viene scambiato nell’ambito dei beni di consumo (come
comperare un’automobile). Due studiosi americani (Booms e Bitner, 1981) hanno proposto
un’estensione del modello originale aggiungendo tre ulteriori «P» al marketing mix (vedi Figura
1.4):

• Physical evidence – Per enfatizzare che le componenti tangibili dei servizi sono
strategicamente importanti: potenziali studenti universitari, ad esempio,
potrebbero decidere se iscriversi o meno a una data università e a un particolare
corso richiedendo delle brochure o visitando il campus per valutare loro stessi
il servicescape.
• Processo di erogazione del servizio – Quando i processi sono standardizzati, è più
facile gestire le aspettative dei clienti: la DHL International GmbH, la compagnia
tedesca di trasporto internazionale di merci espresso e per via aerea, è una
specialista nel fornire una lista standardizzata di possibili servizi, come i servizi di
consegna tracciabile, che sono ampiamente diffusi in tutto il mondo.
• Persone – L’importanza del personale che si occupa del servizio clienti, a volte
esperti e a volte professionisti che interagiscono con il cliente. Come interagiscono
con i clienti e quanto questi ultimi rimangano soddisfatti della loro esperienza è
d’importanza strategica. Per esempio, la McKinsey & Company si fa vanto della
qualità di più di 9.000 consulenti e dei suoi 2.000 specialisti di ricerca e
informazione come parte integrante della propria offerta (McKinsey & Co., 2016).

La Tabella 1.2 applica il marketing mix al settore del trasporto aereo.

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1.5 CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT
L’espressione Customer Relationship Management (CRM) è entrata nell’uso all’inizio degli anni
Novanta del secolo scorso, ma non è facile fornire una singola definizione dati gli innumerevoli
equivoci sulla sua natura e la divergenza di opinioni degli studiosi. Tuttavia, volendo individuare
una definizione di partenza, possiamo evidenziare alcuni attributi del CRM.
Il CRM è una strategia di business che integra funzioni, processi interni e network esterni, con lo
scopo di generare valore per i clienti-obiettivo al fine di conseguire un profitto. È basata su dati di
alta qualità relativi ai clienti ed è attuabile grazie alle tecnologie informatiche.18
Il CRM, dunque, è una strategia di business fondamentale, finalizzata a comprendere e anticipare
bisogni e desideri dei clienti acquisiti e potenziali dell’impresa mediante le nuove tecnologie. Si
evince che il CRM non è soltanto un sofisticato strumento tecnologico, bensì integra funzioni e
processi interni, permettendo alle diverse aree dell’azienda di abbattere i muri che le dividono.
Potremmo dunque concludere dicendo che il CRM è un approccio volto a gestire l’interfaccia con
il cliente, grazie al supporto tecnologico che modifica anche le modalità di transazione e
comunicazione tra il cliente e il fornitore. La maggior parte delle iniziative di CRM vuole impattare
su aspetti di fondamentale importanza strategica, quali i costi di servizio o i flussi di ricavi
provenienti dai clienti, e, al tempo stesso, influenzare l’esperienza del cliente.
Attenzione però, molti progetti CRM falliscono per una questione molto semplice legata all’impatto
culturale che un progetto del genere deve avere: gli utenti interni alla fine non usano il CRM e, se
gli utenti non lo usano, il progetto non va a buon fine. La user adoption di un nuovo sistema
richiede un cambiamento molto forte e se non si percepiscono i benefici che ne derivano ci sono
poche possibilità di successo.
Volendo sintetizzare le principali cause di fallimento di un progetto del genere possiamo
evidenziare:
• definizione degli obiettivi sbagliata;
• mancanza di una leadership del capo progetto con poco sostegno anche dal vertice;
• inadeguata pianificazione del sistema che impatterà su numerosi processi aziendali;
• mancanza di formazione e coinvolgimento degli utenti interessati;
• piano esecutivo pre e post implementazione inadeguato.
È necessario che i processi aziendali siano convergenti in un’unica direzione, che è quella del
guadagno e della marginalità ottenuti attraverso la soddisfazione del cliente. Il CRM non può

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essere considerato solo come un software o un insieme di tecniche da utilizzare per conquistare
clienti. È piuttosto una vera e propria filosofia aziendale.
1.5.1 – TIPOLOGIE E DECLINAZIONI DEL CRM
Data la molteplicità di punti di vista in merito al contenuto del CRM, sono state individuate quattro
tipologie, come rappresentato nella Figura 1.5.
L’obiettivo principale del Customer Relationship Management è quello di creare valore per i propri
clienti, per poi trarne profitto. È fondamentale, dunque, che l’azienda offra al cliente un insieme
di benefici che creino valore attraverso la value proposition.

Secondo questo modello rappresentato nella Figura 1.6, all’interno del CRM è possibile
individuare cinque fasi principali e quattro attività di supporto volte a ottenere maggiore
redditività del cliente.
Nel Customer Relationship Management le relazioni ricoprono dunque un ruolo fondamentale.
Una relazione si basa su una serie di interazioni tra due soggetti nel tempo. Gli episodi interattivi
sopracitati sono circoscritti a un dato periodo di tempo, dunque hanno un inizio e una fine e sono
ben identificabili.

Analizzando il rapporto che intercorre tra un’azienda e un cliente è possibile individuare numerosi
episodi quali l’atto di acquisto, la richiesta di informazioni, la negoziazione dei termini di vendita,
la risoluzione dei problemi; ciascuno di questi è poi formato da una serie di interazioni (azione e
reazione) e un insieme di comportamenti comunicativi.
Il motivo principale per cui le aziende sviluppano relazioni con i propri clienti è economico. Se le
aziende gestiscono i clienti in modo da individuare e soddisfare quelli più redditizi, raggiungono
migliori risultati economici perché:
• si riducono i costi di marketing, grazie a un aumento di customer retention;
• si comprende meglio la propria clientela, per poterla soddisfare e generare valore
con conseguente crescita dei profitti.
L’aumento della retention, inoltre, è di fondamentale importanza per la crescita del portafoglio
clienti. Infine, è bene sottolineare che, per poter ottenere una crescita della base clienti, è
necessario determinare in modo molto sistematico e preciso su quali clienti generare fidelizzazione
e su quali clienti, potenzialmente importanti dal punto di vista strategico, fare sviluppo
commerciale.
1.5.2 – CICLO DI VITA DELLA RELAZIONE CON IL CLIENTE

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La relazione con il cliente non deve essere vista come un insieme di azioni indipendenti, piuttosto
come un flusso di reddito costante, per tutta la durata della vita del cliente.
Come detto in precedenza, il CRM si propone di migliorare le performance aziendali,
aumentando 20la fidelizzazione e la customer satisfaction. Alla base di questa strategia di
marketing vi è la logica della catena «soddisfazione-profitto», secondo la quale la soddisfazione
dei clienti aumenta poiché l’azienda, attraverso il CRM, conosce maggiormente i propri clienti,
comprende meglio le loro esigenze e offre value proposition migliori come evindenziato
nella Figura 1.7.

La customer satisfaction, quindi, è la percezione del cliente relativa al soddisfacimento delle sue
aspettative.
A partire da questo concetto ha origine la customer loyalty, cioè la misurazione della fedeltà di un
cliente prendendo in considerazione il suo comportamento e il suo atteggiamento, come mostrato
dal modello bidimensionale sulla fedeltà del cliente in Figura 1.8.
FIGURA 1.8
Mappa coinvolgimento/continuità nell’acquisto.

In questo caso le tipologie di clienti fedeli vengono misurate relativamente alle modalità di
acquisto, in particolare nella continuità dell’acquisto (nel caso di aziende BtoB si fa riferimento
agli acquisti di ricambi, service post vendita in generale) e nel coinvolgimento dell’acquirente in
quell’atto di acquisto. Chiaramente, per ognuno di questi segmenti sarà possibile attivare
campagne mirate per ottenere migliori risultati in termini sia di fatturato che di marginalità.
Questi aspetti condizionano la performance aziendale, che viene misurata attraverso indicatori di
performance chiave (KPI). Tra i KPI relativi al cliente possono figurare: tasso di retention, livello
di customer satisfaction, costi di acquisizione e numero di nuovi clienti acquisiti, permanenza
media del cliente e loyalty, vendite per cliente, andamento dei ricavi, quota di mercato.
Abbiamo 21anche un indicatore che misura la profittabilità del ciclo di vita della relazione con il
cliente. Il Customer Lifetime Value (CLV) considera la redditività annuale del cliente (o di un
segmento di clientela) per la durata media della relazione, partendo dal principio strategico che il
valore del cliente non è da considerarsi nel singolo acquisto ma per tutta la durata della relazione.
Il valore attuale netto della relazione è così determinato dall’attualizzazione dei profitti cumulati

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al netto dei costi di acquisizione e gestione. Vediamo un esempio di calcolo relativo a un segmento
di clientela nell’arco temporale di tre anni nella Tabella 1.3.
TABELLA 1.3 Esempio di calcolo del Customer Lifetime Value

1.5.3 – IMPLEMENTAZIONE DI UN PROGETTO CRM


L’implementazione del CRM si sviluppa su cinque fasi principali come rappresentato in Figura
1.9, attraverso cui è possibile monitorare e indirizzare i processi e gli strumenti al fine di ottenere
quanto progettato e raggiungere gli obiettivi prefissati.

FIGURA 1.9 Le 5 fasi di un progetto CRM.


1. Nello step di sviluppo della strategia, si elabora un piano d’azione volto ad allineare tutte le
risorse aziendali (persone, processi e tecnologie) per l’ottenimento di risultati orientati al
cliente. All’interno di questa fase troviamo:
• analisi della situazione attuale;
• clienti o segmenti target;
• elaborazione delle offerte di mercato;
• selezione dei canali di distribuzione;
• definizione di priorità e obiettivi;
• individuazione di persone, processi e tecnologia;
• sviluppo di business case.

2. Nella seconda fase si gettano le basi per implementare il progetto di CRM. In particolare, si ha:

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• individuazione degli stakeholder;
• individuazione della struttura di governance;
• individuazione delle esigenze per la gestione del cambiamento e del progetto;
• sviluppo della cultura aziendale;
• individuazione dei fattori critici di successo;
• sviluppo di un piano per la gestione del rischio.

3. Nella terza fase si stabiliscono le principali necessità e si selezionano i partner adatti. Si procede
dunque con una mappatura dei processi di business, su cui è bene focalizzarsi per renderli più
efficaci o efficienti al fine di automatizzarli. Si procede in questo modo:
• messa a punto del progetto;
• revisione dei dati e analisi del divario;
• specifiche tecnologiche iniziali e ricerca di soluzioni alternative;
• individuazione delle necessità specifiche;
• presentazione delle proposte;
• valutazione e selezione dei partner.

4. A questo punto è giunto il momento di implementare il progetto, cooperando con i partner


selezionati per perfezionare il piano progettuale attraverso:
• individuazione delle esigenze di personalizzazione della tecnologia;23
• progettazione, sperimentazione e lancio del prototipo.

5. Infine, è necessario valutare la performance di progetto e di business. I risultati di progetto ci


diranno se è stato realizzato nei tempi e con i costi previsti; mentre i risultati di business verranno
basati sulla valutazione degli obiettivi di progetto e del business case.
Alla base di un CRM di successo vi è una profonda conoscenza e comprensione dei clienti. Le
banche dati relative ai prospect sono le fondamenta di una buona strategia di Customer
Relationship Management, poiché permettono di acquisire, archiviare e utilizzare efficacemente
tutte le informazioni che riguardano il cliente potenziale. È importante che questi dati siano poi:
condivisibili, trasferibili, accurati, rilevanti, aggiornati e sicuri, in modo da utilizzare la base dati
nel miglior modo possibile. Il database andrà poi alimentato con tutte quelle informazioni
aggiuntive derivanti dal rapporto diretto con il cliente (visite, telefonate, e-mail, informazioni su
progetti e sviluppi del business ecc.).
L’attuazione di una strategia di CRM è resa possibile, dopo un adeguato lavoro sulla cultura
aziendale orientata al cliente, dal supporto tecnologico, che ha reso possibile l’evoluzione di sistemi
quali: call center, sistemi di automazione e altri strumenti di marketing digitale. Anche le richieste
dei clienti hanno permesso l’affermazione di una tecnologia CRM, poiché le aziende hanno dovuto
migliorare e automatizzare i propri sistemi per andare incontro alle crescenti aspettative dei
clienti.
Se inizialmente il CRM si diffonde in aree aziendali distinte (in particolare commerciale e post
vendita), oggi, dove l’implementazione è davvero efficace grazie all’utilizzo delle tecnologie
disponibili, si può dire di aver raggiunto un CRM multicanale che dà vita a una visione univoca del
cliente attraverso tutti i canali di contatto con esso (amministrazione, reparto tecnico, forza
vendita diretta e indiretta, partner esterni, sito web, social media, customer service, post vendita).

1.6 – MARKETING RELAZIONALE, SERVICE DOMINANT LOGIC E CO-CREAZIONE


Se il marketing riguarda lo scambio, non dovrebbe anche occuparsi delle relazioni tra le parti che
si scambiano valori? Questa era l’idea principale alla base dello sviluppo del «marketing
relazionale» negli anni Novanta. Ciò diede vita a un’ulteriore evoluzione delle fondamenta
concettuali del marketing. C’è stato uno spostamento dal bisogno di dedicarsi alle transazioni verso
il bisogno di sviluppare delle relazioni a lungo termine con il cliente, incluse le relazioni con altri
stakeholder (Christopher et al., 2002), quali:
• fornitori;
• lavoratori;

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• agenzie selezione personale;
• organizzazioni di servizi professionali e finanziari, agenzie immobiliari;
• enti regolatori, politici, impiegati statali (vedi anche Viney e Baines, 2012);
• dipendenti già assunti.24
Le imprese che utilizzano l’approccio del marketing relazionale danno più importanza
alla customer retention (conservazione del cliente) che all’acquisizione di clienti nuovi.
La customer retention è un’attività importante del marketing: la ricerca dimostra che, quando
un’impresa mantiene i suoi clienti fedeli, è più probabile che sia redditizia rispetto alle concorrenti
che non lo fanno, poiché i clienti fedeli:
• aumenteranno i loro acquisti nel tempo;
• sono un target più economico per le promozioni;
• sono felici della loro relazione con l’impresa e sono felici di parlarne ad altri;
• spesso sono disposti a pagare dei (piccoli) premium price (Reichheld e Sasser,
1994).
Più di recente, il marketing ha assunto un paradigma basato su una logica service-
dominant (Vargo e Lusch, 2004). Questo nuovo paradigma del marketing vede il servizio come la
base fondamentale dello scambio (vedi Market Insight 1.2).
Per capire meglio questo concetto, considerate la differenza tra comperare un CD musicale in un
negozio rispetto ad ascoltare un file musicale via streaming utilizzando il servizio di sottoscrizione
a Spotify. La conoscenza e le tecnologie incorporate nella proposta dell’impresa per andare
incontro ai bisogni dei clienti sono la fonte del vantaggio competitivo. Visto che le proposte sono
intrinsecamente service-based, i clienti diventano co-creatori dell’esperienza del servizio. Perciò,
alla fine, il massimo valore d’uso dell’offerta è definito dal cliente, spesso dopo che è stato venduto.
(Leggete i Market Insight 1.2 e 1.3 per avere degli esempi di imprese che stanno scegliendo un
approccio di marketing relazionale, concentrandosi di più sui servizi).
Secondo Prahalad e Ramaswamy (2004a, 2004b), le organizzazioni dovrebbero usare la co-
creazione per differenziare la propria offerta, dato che il valore è legato all’esperienza del cliente
con l’organizzazione. L’esperienza di co-creazione riguarda una creazione comune di valore, nella
quale i clienti prendono parte a un dialogo attivo e costruiscono delle esperienze personalizzate.
Perciò le organizzazioni che desiderino aumentare l’input del cliente alla co-creazione dovrebbero
mappare i processi tra fornitore e cliente per identificare come progettare i servizi di conseguenza
(Payne et al., 2008). Per esempio, il produttore di aeroplani Boeing ha utilizzato il feedback sia
delle compagnie aeree sia dei passeggeri per il design dell’aereo Dreamliner prima della
produzione finale.
1.7 – IMPATTO POSITIVO DEL MARKETING SULLA SOCIETà
Il marketing ha sia impatto positivo che negativo sulla società. Wilkie e Moore (1999) descrivono
le complessità di quello che definiscono «aggregate marketing system». La capacità distributiva
del sistema di marketing aggregato è sorprendente, specialmente se considerato che nel 2015
c’erano circa 514 milioni di persone nell’Unione europea, ognuna delle quali ha il suo personale
mix di prodotti per la colazione quotidiana (CIA, 2015). In generale, il sistema di marketing
aggregato funziona bene nella maggior parte dei Paesi. Non stiamo morendo di fame e non
dobbiamo razionare il cibo per assicurarci di mangiare. Ci sono delle zone in alcuni Paesi
dell’Africa, della Corea del Nord e della Cina dove la gente muore di fame, ma questi Paesi spesso
soffrono di problemi tra domanda e offerta a causa di circostanze politiche (come guerre, dittature
o carestie) e ambientali (come siccità).
Alcune delle invenzioni mondiali più importanti sono arrivate a noi grazie all’aggregate marketing
system. Considerate come alcuni dei prodotti segnalati nella Tabella 1.4 hanno influito sulle
vostre vite. Cosa fareste oggi senza queste invenzioni? Le possiamo apprezzare perché individui e
imprese innovativi ce le hanno portate.
TABELLA 1.4 Alcuni dei nuovi beni di consumo e le rispettive date d’invenzione

13
Il sistema di marketing aggregato, inoltre, blocca i prodotti che non incontrano i bisogni dei clienti
e fornisce una serie di benefici alla società, inclusi i seguenti (Wilkie e Moore, 1999):
• la promozione e la consegna di prodotti desiderati;
• la disposizione di un forum per studiare il mercato (ovvero, possiamo vedere quali
prodotti resistono nel sistema);
• lo stimolo della domanda di mercato;
• la disposizione di un’ampia gamma di scelte tra le offerte, fornendo risposte
adattate o customizzate per i bisogni del cliente;
• la facilitazione degli acquisti (o l’ottenimento di beneficio anche se non è necessario
un pagamento diretto, come nel caso dei servizi pubblici);
• il risparmio di tempo e la promozione dell’efficienza nell’andare incontro alle
richieste del cliente;
• le nuove offerte, e i miglioramenti, per accontentare bisogni latenti o insoddisfatti;
• la ricerca della soddisfazione del cliente per acquisti reiterati.
Visitate le risorse online e completate l’Internet Activity 1.2 per saperne di più su come le
innovazioni di marketing influiscono sulla società.

1.8 – MARKETING NON SOSTENIBILE: LA SVOLTA CRITICA


Il marketing non sempre è al servizio del bene comune, anzi, viene spesso accusato di fare
esattamente l’opposto: di compromettere l’ambiente, di essere manipolatorio e di creare desideri
e necessità che prima non esistevano (Packard, 1960). Siamo d’accordo sul fatto che non tutti gli
apporti del marketing alla società siano un bene; di conseguenza, c’è bisogno di sviluppare un
approccio critico per capire la pratica del marketing. Per comprendere davvero questa disciplina,
dobbiamo studiare sia il marketing mainstream sia quello critico, data la loro interdipendenza
(Shankar, 2009).
Analizzando gli aspetti critici del marketing, è possibile introdurre elementi fino a oggi poco
discussi, sia per quanto riguarda gli impatti negativi che un uso acritico delle politiche di marketing
può causare, sia per aggiornare alcuni aspetti teorici non trattati. L’analisi critica del marketing
aiuta a evidenziare problematiche fino a quel momento inconsistenti che potrebbero rivelare aree
di miglioramento (Saren, 2011:95). Un approccio critico al marketing suggerisce di considerare:29
• il bisogno di (ri-)esaminare le attività, categorie e strutture di marketing, e di
migliorarle in modo che il marketing operi in maniera apprezzabile all’interno della
società;
• la misura in cui le conoscenze di marketing si sviluppano basandosi sulla società
contemporanea: per esempio, le implicazioni che ha sul resto del mondo il fatto che

14
molta della conoscenza di marketing attuale si riferisca fondamentalmente alla
pratica e alla ricerca statunitense (e occidentale);
• come le condizioni storiche e culturali in cui operiamo, in quanto consumatori e
studiosi di marketing, abbiano impatto su come percepiamo la disciplina del
marketing;
• come il marketing possa trarre benefici da altre discipline come l’antropologia
sociale, l’economia ambientale, la psicologia sociale, la linguistica, la filosofia e la
sociologia (Burton, 2001).
Alcuni dei punti fondamentali del marketing critico includono le nozioni di marketing come
manipolazione, feticismo delle merci e la natura del bisogno contro la natura della possibilità di
scelta (vedi Tadajewski, 2010). Ora consideriamo questi punti.
1.8.1 – MARKETING COME MANIPOLAZIONE
Packard (1960) criticò il marketing spiegando che ammalia il suo pubblico, spesso segretamente,
e spesso senza nemmeno che le persone capiscano che stanno venendo manipolate.
I marketer e gli addetti alle public relation certamente formulano le loro comunicazioni per
renderle più accattivanti. Il framing consiste nel proporre messaggi persuasivi e nell’azione del
pubblico di interpretare tali comunicazioni per integrarle con le proprie conoscenze preesistenti
(Scheufele e Tewksbury, 2007). Il framing attraverso l’esposizione delle situazioni (come
evidenziare le promozioni disponibili soltanto per un dato arco di tempo), le qualità di un prodotto
(come evidenziare le caratteristiche, ad esempio, di uno smartphone), le scelte (come mostrare a
un potenziale acquirente d’auto tutte le possibilità), le azioni (come le promozioni «compra ora,
paga più avanti»), le problematiche (per esempio la ASDA che spiega perché ha boicottato il black
friday del Regno Unito nel 2015), le responsabilità (per esempio Save the Children che spiega
perché i bambini africani hanno bisogno di donazioni), e le novità (per esempio la Volkswagen che
spiega perché l’amministratore delegato era stato rimpiazzato dopo lo scandalo emissioni).
Il problema sorge quando il framing diventa «spin», ossia propaganda manipolativa, perché la
«promozione di marketing» diventa propaganda aziendale. Per esempio, alcuni stratagemmi
fotografici nelle pubblicità cartacee per far sì che il cibo appaia fantastico, incluso usare l’olio
motore al posto di sciroppo o miele, e colla o shampoo al posto del latte nei cereali. Per quanto
riguarda hotel e resort, le foto vengono frequentemente sistemate per rimuovere elementi
indesiderati o vengono usate lenti grandangolari per far apparire gli spazi più ampi. Negli Stati
Uniti, per quanto le pubblicità vengano generalmente abbastanza credute, quelle riguardanti diete,
1.8.2 – FETICISMO DELLE MERCI
Il «feticismo delle merci» è una prospettiva critica derivata dalla teoria economica marxista
(Marx, 301867 [1990]), che suggerisce che la società è eccessivamente dominata dal consumo fino
a farlo diventare un feticcio di enorme importanza. Marx sostenne che, prima
dell’industrializzazione, i beni fossero prodotti per il loro valore d’uso: un produttore fabbricava
un prodotto per un utente e lo scambiava con il cliente. Dopo l’industrializzazione, la relazione
sociale tra produttore e utente è cambiata.
Marx discusse il fatto che i lavoratori venivano sfruttati per il loro lavoro, perché venivano privati
del prodotto che producevano e venivano pagati a cottimo invece che condividere il ritorno
economico generato come risultato del loro lavoro. Nel processo, la merce prodotta acquisiva un
valore di scambio, diventando vendibile assieme ad altre merci nel sistema di mercato capitalista,
portando benefici per il capitalista (che è l’investitore). Marx sentiva che l’inflessibile ricerca del
capitalismo era talmente dottrinale che rappresentava un’ideologia religiosa. Le merci prodotte
come risultato dello sforzo capitalista ottenevano un’aura religiosa, venendo venerate da coloro
che erano stati sedotti dal valore che percepivano (Sherover, 1979). L’idea che si venerino le merci
solleva la questione del se gli esperti di marketing vengano incontro ai nostri desideri o ai bisogni,
o nessuno dei due.
1.8.3 – BISOGNO E SCELTA
Si crede che il marketing serva ad andare incontro ai bisogni di clienti e consumatori. Tuttavia,
Alvesson (1994), esterno alla disciplina del marketing, rifiuta questa nozione. Sostiene che le

15
persone nelle società benestanti vogliano di più senza ottenere alcuna ulteriore soddisfazione a
lungo termine da tale consumo, perché molto del consumo è comunque superficiale, e perché fare
leva sulle fantasie delle persone e sottolineare le loro carenze (per incoraggiarle a ridurre questa
sensazione di inadeguatezza acquistando un particolare prodotto) porta a tendenze narcisistiche.
Intrinsecamente, il concetto è che avere scelta è positivo; ma è così, se avere più opzioni può
portare a confondere il cliente e a fargli perdere fiducia (Newman, 2001)? Alcuni clienti vengono
convinti e manipolati a comperare cose che non vogliono o che non corrispondono ai loro bisogni:
le imprese che si occupano di servizi finanziari nel Regno Unito sono state accusate
di misselling (NdT: vendita deliberata, sconsiderata o negligente di prodotti o servizi in
circostanze in cui il contratto è erroneamente rappresentato o il prodotto o il servizio non sono
idonei quelli più adatti alle esigenze del cliente) di PPI (payment protection insurance), ad
esempio. Nel 2015, le banche britanniche dovettero mettere da parte £27 miliardi di contabilità
esterna e pagare i risarcimenti per i clienti per coprire le richieste di 16,5 milioni di persone, con
altri 5,5 milioni ancora in attesa (Treanor, 2015).
Nonostante il sistema di marketing aggregato (Wilkie e Moore, 1999) distribuisca medicinali
salvavita, cibo e altri servizi importanti (come riscaldamento e luce), distribuisce anche alcolici,
tabacco e prodotti per il gioco d’azzardo, tra le altre cose. Questi sono prodotti che la maggioranza
considera pericolosi per la salute e il benessere. Sebbene in molte culture del mondo alla gente
piaccia bere, fumare e giocare d’azzardo, se si esagera, tutte e tre possono creare dipendenze
di diversa gravità.
Se la prostituzione e le droghe leggere, come la cannabis, fossero state rese legali nel Regno Unito,
l’aggregate marketing system ne gestirebbe la distribuzione. È già così nei Paesi Bassi, ad esempio,
dove queste pratiche non sono illegali. Il sistema di marketing aggregato è amorale, che non
significa immorale (progettato per creare danno), in quanto è progettato senza attenzione al fatto
che possa creare danno o meno. Il sistema è reso morale dalle decisioni prese dal governo e da altri
attori istituzionali che regolano il sistema di marketing aggregato.
1.9 – MARKETING SOSTENIBILE
Studiosi e operatori di un approccio sostenibile di marketing concordano con le limitazioni della
filosofia di marketing e riconoscono la necessità di imporre dei vincoli all’utilizzo del marketing
quando utilizzato senza alcuna considerazione per la tutela dell’ambiente (van Dam e Apeldoorn,
1996). Lo sviluppo economico sostenibile – ovvero, lo sviluppo che incontra i 32bisogni delle
attuali generazioni senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future
– fu inizialmente proposto alla Conferenza delle Nazioni Unite a Stoccolma nel 1972 (WCED,
1987). Per capire come mai sia necessaria una politica di sviluppo sostenibile, considerate i
prossimi due esempi riferiti a imprese che stanno avendo degli impatti ambientali catastrofici.

• BP, 2010 – Più di 200 milioni di galloni di petrolio furono sversati nel Golfo del
Messico dopo che l’esplosione su una piattaforma petrolifera uccise 11 persone. Il
petrolio sversato toccò 1.000 miglia di costa, uccidendo migliaia di uccelli, circa 153
delfini e altra fauna selvatica locale. Il disastro fece sì che la BP inizialmente perse
metà del valore delle sue azioni e nel 2015 il costo totale (incluse le multe, le
compensazioni, le spese legali e altri costi) per il disastro fu di $53.8 miliardi
(Bryant, 2011; Anon., 2015b). L’appaltatore della BP, la Transocean, condivise parte
delle responsabilità dell’incidente, ricevendo una multa di 33$1.4 miliardi dalle
autorità statunitensi (BBC, 2013). Un altro appaltatore, Halliburton, fu a sua volta
ritenuto parzialmente responsabile per una parte dei danni causati dall’incidente e
chiuse la vertenza con un accordo di $1.1 miliardi nel 2014 (Rushe, 2014).
• Tokyo Electric Power (Tepco), 2011 – Tre ex-dirigenti della Tepco furono accusati
di negligenza professionale, avendo contribuito alle morti e ai danni causati
dall’incidente nel 2011 dell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi (McCurry,
2016). Il guasto fu conseguenza di un terremoto di magnitudo 9 che aveva causato

16
un enorme tsunami che inondò i reattori nucleari. I tre uomini furono accusati di
aver fallito nell’adottare le misure per difendere l’impianto, nonostante fossero
consapevoli del rischio tsunami. Più di 300.000 persone persero la casa e 20.000
rimasero uccise a causa del terremoto e dello tsunami in tutto il Giappone (Conca,
2015). Soltanto nella Prefettura di Fukushima, altre 1.656 persone morirono a causa
delle condizioni di salute successive al disastro, dopo che il governo ordinò
l’evacuazione di tutti gli abitanti nel raggio di 20 km dal sito dell’incidente. Queste
persone morirono a causa dello stress dovuto all’evacuazione, il trauma da
trasferimento per quanto riguarda i malati e coloro che, affetti da malattie croniche,
non furono in grado di ottenere cure mediche (World Nuclear Association, 2016).

Gli esperti di marketing sostenibile cercano di espandere lo sviluppo sostenibile alle pratiche di
marketing, spingendo le imprese a definire le loro politiche tenendo conto dei tre pilastri della
sostenibilità, ovvero:
• sostenibilità ambientale delle politiche di marketing, che dovrebbero ridurre al
minimo l’impatto negativo sull’ambiente;
• sostenibilità economica delle politiche di marketing, che dovrebbero stimolare lo
sviluppo economico a lungo termine e non solo quello a breve termine;
• sostenibilità sociale delle politiche di marketing, che non dovrebbero permettere o
promuovere iniquità sociali.35
L’approccio sostenibile di marketing è la «terza età» del marketing verde (Peattie, 2001). Nella
«prima età» (circa anni Sessanta-Settanta), il marketing sostenibile si occupava prevalentemente
delle emissioni delle automobili e delle imprese agrochimiche che generavano problemi ambientali
nei processi di produzione. Nella «seconda età» (circa anni Ottanta), il marketing sostenibile ha
affrontato il tema del comportamento green di consumo incoraggiando il consumatore ad
acquistare prodotti che generano basso impatto ambientale (per esempio, prodotti cosmetici non
testati sugli animali). Ma il marketing verde era troppo pesantemente concentrato sull’elemento
acquisto delle merci (Peattie e Crane, 2005), forse perché il dibattito sulla sostenibilità non
considerava a sufficienza la dimensione business-to-business (B2B).
La «terza età» del marketing sostenibile (epoca attuale) impegna esperti di marketing e operatori
a concentrare la loro attenzione su posizionamento (positioning) e sull’utilizzo della
comunicazione come stimolo della domanda per prodotti riciclati/rielaborati e per quelli fatti su
ordinazione. Altrettanto auspicabile è che il marketing sostenibile si faccia carico della gestione
della catena di distribuzione, ad esempio agevolando il recupero di materiali dai consumatori
finali, di progetti di reverse logistic che mirano al riciclo e alla rimanifattura dei prodotti
(Sharma et al., 2010). Nella terza fase, le imprese devono anche prolungare l’orizzonte temporale
entro cui ottengono un ritorno per il loro investimento, concentrandosi sui costi totali dell’acquisto
e non solo sul prezzo pagato. Le attività di sviluppo del prodotto dovrebbero tenere in piena
considerazione, in modo equo, input e cooperazione di tutti i membri della catena di distribuzione.
Le imprese devono adottare dei metodi di audit ambientale (ad esempio includendo i costi di
smaltimento, come anche di produzione, consegna e consumo) e le organizzazioni possono
addirittura scoraggiare il consumo, in alcuni casi (Bridges e Wilhelm, 2008), o per lo meno
incoraggiare un consumo più consapevole e comportamenti più sobri, invece che eccessivamente
avidi, ripetitivi o ambiziosi (Sheth et al., 2011). Per esempio, nel 2013, la Coca-Cola ha lanciato una
campagna mondiale contro l’obesi36tà – fino al 2015 nel Regno Unito congiuntamente alla
StreetGames, un ente di beneficienza del settore sportivo – introducendo bottiglie più piccole (375
ml) e mostrando il contenuto di calorie dettagliato sulle confezioni (Mintel, 2013). Ma la Coca-Cola
non è sempre stata coerente: nel 2012, l’impresa fu tacciata di aver usato nei suoi processi
produttivi più acqua di quanta ne usi un quarto della popolazione normale, ovvero, 79 miliardi di
galloni per diluire il suo sciroppo e altri 8 bilioni di galloni per altri prodotti (Gwyther, 2015). Nel
2014, The Body Shop – per mantenere la sua rigida politica contro i test sugli animali – ha rimosso
tutti i prodotti dagli scaffali dei duty-free negli aeroporti della Cina dopo che Choice,

17
un’associazione di tutela dei consumatori, segnalò che il governo cinese conduceva dei test dei
prodotti sugli animali successivamente alla loro immissione sul mercato (Davidson, 2014).
Questo tipo di ragionamento a lungo termine ha portato allo sviluppo dell’economia circolare: la
Vodafone, ad esempio, gestisce degli accordi «Red Hot» attraverso i quali i clienti prendono in
leasing un telefono dando indietro quello vecchio per un modello più nuovo. Airbnb – fondata nel
2008, valutata $25.5 miliardi nel 2015 – è un altro esempio d’impresa che incoraggia la
condivisione, lo scambio e l’affitto di alloggi nel business delle camere singole (Alba, 2015).
1.10 – RESPONSABILITà SOCIALE DI IMPRESA
Le iniziative di responsabilità sociale d’impresa (nella letteratura anglosassone, Corporate
Social Responsibility, CSR) sono sempre più diffuse. Molte imprese pubblicano report annuali
sulla responsabilità sociale e sulla sostenibilità, per esempio la British American Tobacco (BAT) e
la GlaxoSmithKline (GSK). I governi e le organizzazioni sovranazionali come il Patto mondiale
delle Nazioni Unite (United Nations Global Compact) incoraggiano attivamente le iniziative di
CSR, e gli esperti di CSR e gli accademici continuano a cercare di dimostrare l’efficacia
commerciale di tali programmi per spiegare perché «buono» si traduca anche in redditizio.
A prescindere da qualsiasi ritorno, gli imprenditori e le imprese fanno donazioni agli enti di
beneficienza da secoli. Tra i casi più famosi ci sono la John Paul Getty Foundation negli Stati Uniti
(costruita grazie ai profitti dell’industria petrolifera), che sovvenziona progetti artistici e sociali, e
la Anglo American, l’attività mineraria che fornisce welfare per i suoi impiegati affetti da
HIV/AIDS che vivono in Africa; tuttavia, tali donazioni non rientrano necessariamente nella CSR.
La ragione fondamentale per lo sviluppo di iniziative di CSR, a prescindere dai loto contributi
finanziari, si basa sulle seguenti idee (Buchholz, 1991:19):
• le imprese hanno responsabilità che vanno oltre la produzione di profitto;
• queste responsabilità includono il concorso a risolvere importanti problemi sociali,
specialmente quelli che loro hanno contribuito a creare;
• le imprese portano avanti una gamma più vasta di valori umani, non
concentrandosi soltanto sui valori economici.
1.11 - ETICA E MARKETING
L’etica può essere definita come una «parte della filosofia che studia i problemi e i valori connessi
all’agire umano» e l’«insieme delle norme di condotta pubblica e privata seguite da una persona o
da un gruppo di persone» (Zingarelli, 2018). Il marketing, come ogni altra area del business, è
influenzato dalle norme etiche che si collegano a come noi dovremmo comportarci. Le
organizzazioni di marketing professionali hanno un codice per la pratica della professione che
richiede che i membri si comportino e agiscano in una certa maniera, come accade in molte
imprese e organizzazioni. Per esempio, l’AMA (American Marketing Association) richiede ai suoi
membri quanto segue (AMA, 2014):
1. non nuocere, ovvero evitare consapevolmente azioni dannose od omissioni
assumendo degli alti standard etici e aderendo a tutte le leggi applicabili e ai
regolamenti quando si prende una decisione;
2. promuovere la fiducia nel sistema di marketing, ovvero lottare per la buona
fede e la correttezza in modo da contribuire all’efficacia del processo di scambio ed
evitare raggiri nel design del prodotto, nell’attribuzione del prezzo, nella
comunicazione e nella consegna;
3. adottare valori etici, ovvero costruire relazioni e incrementare la fiducia del
consumatore nell’integrità del marketing perseguendo questi valori di base: onestà,
responsabilità, correttezza, rispetto, trasparenza e cittadinanza attiva.

1.12 – DIGITAL MARKETING


La pervasività della rete web e dell’uso delle ICT è discussa e supportata da molti indicatori quali
la crescita esponenziale del numero degli utenti Internet e la loro diffusione a livello globale, la
progressiva diminuzione del digital divide tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo (nel 2018 l’80%
circa della popolazione dei Paesi sviluppati utilizzava Internet, mentre in quelli in via di sviluppo

18
essa non superava il 40%) (vedi Fig. 1.10), il veloce aumento del cloud traffic che, misurato in
extrabytes/years, è passato da 1.000 a 6.000 dal 2014 al 2019.
Meno noti sono i dati relativi alla cyber security della rete, all’impatto ambientale delle ICT,
alla 38digital disruption e al ruolo dell’intelligenza artificiale e dei robot. Riguardo alla cyber
security la mappa sottostante evidenzia in rosso e arancione le aree del pianeta dove c’è maggiore
insicurezza della comunicazione via web e in verde – con diverse gradazioni – le aree dove essa è
minore.
Le emissioni di CO 2 sono connesse al consumo di energia elettrica, materie prime, materiali
chimici e acqua per la produzione dei PC e dei mobile phone e per il loro utilizzo. Si stima che ogni
PC generi una tonnellata di CO 2 all’anno. Esiste inoltre il problema dell’e-waste, che solo negli Stati
Uniti rappresenta il 2% di tutti i rifiuti solidi. In California la legislazione HR 233 obbliga le
imprese a pagare una tassa sulle strumentazioni IT per il loro riciclaggio al termine della loro vita
utile.
Il REIsearch & European Institute for Science, Media and Democracy svolge ricerche sui
cambiamenti che la digitalizzazione provocherà in termini di disruption. In particolare, la ricerca
si focalizza su tre aspetti:
1. quanto le nuove tecnologie distruggeranno gli attuali modelli di business, il mercato
del lavoro e le competenze richieste;
2. quanto e come le nuove tecnologie distruggeranno la sfera pubblica (e-
infrastructure, e-government and e-residency) e il sistema democratico (instant
information, e-activism and direct democracy);
3. quanto e come le nuove tecnologie distruggeranno la sfera personale (The Internet
of Everything, Artificial Intelligence (AI), Virtual Reality (VR)).39
Altro tema aperto riguarda il ruolo che occuperanno i robot che, come scrive il fisico Andrea
Capocci, non sono i manichini di lamiera di Guerre Stellari, ma quelli che navigano tra un sito e
l’altro: robot virtuali, semplici software da poche righe di codice. Il risultato è che la metà delle
visite ai siti web di tutto il mondo viene effettuata da robot, i robot sono i destinatari della metà di
tutta la pubblicità sul web e inviano un quarto dei tweet e dei messaggi via chat. In molti settori, i
robot hanno già occupato il centro della scena: dopo la comunicazione via web e la finanza, la
prossima frontiera è quella dei trasporti.
Gli effetti sull’organizzazione dei processi aziendali distruggeranno a tal punto i vecchi modelli che
economisti e imprenditori discutono sull’opportunità di attribuire ai robot un salario o almeno un
730. I 40ricercatori di Oxford sostengono che, dato che i robot saranno sempre più numerosi e
sofisticati, «le scienze sociali dovranno impegnarsi sempre di più per comprendere la loro vita
sociale e culturale».
Alla luce di tutto questo, non ha più molto senso opporre l’umano e il robot, come dimostra
l’esempio degli scacchi, in cui ogni tanto si fanno gareggiare i computer contro maestri in carne e
ossa. Qualche volta vince l’uomo, altre volte il robot. «Ma un maestro di scacchi aiutato da
un computer sarebbe veramente imbattibile».
Pepper è un «social robot» di una banca online. È disegnato per comunicare con le persone in
modo amichevole attraverso un tablet posizionato sul suo tronco.
Il Farming robot è usato in agricoltura per estirpare le erbacce, per seminare, per tagliare il grano
e per raccogliere la frutta.
L’Hospital robot è stato introdotto da un ospedale in Thailandia per superare la difficoltà di trovare
personale qualificato. Nel 2019 tre infermiere robot con camice giallo hanno svolto alcune funzioni
al posto di infermiere in carne e ossa.
Il robot Xiao Ai da maggio 2019 serve al tavolo i clienti del Gran Caffè Rapallo, noto perché
frequentato un tempo da scrittori del calibro di Ernest Hemingway ed Eugenio Montale. Il
cameriere in carne e ossa raccoglie l’ordine e, quando la comanda è pronta, i dipendenti premono
sullo schermo del robot il numero del tavolo a cui l’ordinazione va recapitata.

19
1.13 – IL PIANO MARKETING
Il piano di marketing è un documento che formalizza la strategia di marketing da seguire,
ne spiega i presupposti e la traduce in programmi operativi che dovranno essere successivamente
monitorati. Solitamente ha un orizzonte temporale pluriennale che consente di lavorare per
ottenere la fidelizzazione del cliente.

Il processo di pianificazione di marketing è rappresentabile attraverso alcuni step


raggruppabili in tre fasi specifiche: analisi, strategia e definizione del piano operativo per
arrivare a ottenere, attraverso la gestione di un servizio eccellente, una customer
experience in grado di generare vantaggio competitivo. Il digital marketing possiamo
considerarlo come quell’insieme di attività che, lungo il processo di pianificazione di marketing,
utilizzano i canali web per migliorare i risultati ottenibili in ognuno degli step che andremo ad
analizzare di seguito.
Il documento viene rivisitato annualmente attraverso la verifica del raggiungimento dei Key
Performance Indicator (KPI), in concomitanza con le revisioni di budget e del piano
commerciale.43
Potete utilizzare la mappa del piano di marketing, illustrata in Figura 1.11, anche come guida
all’interno del percorso di studio del manuale: in ogni step ritroverete i riferimenti al capitolo
all’interno del quale vengono approfonditi gli aspetti principali che devono essere affrontati in
quella fase di pianificazione.

FIGURA 1.11 Mappa del Piano di Marketing – Daniele Rimini (2020).

Macro ambiente (Cap. 1)


All’interno della fase di analisi, il primo step considera la valutazione del macro ambiente. Questo
è rappresentato da sette cluster di variabili (politica, economia, società, tecnologia, ambiente e
normative) che non sempre agiscono direttamente sull’attività dell’impresa, ma ne influenzano il
quadro di lungo periodo in cui essa opera. Questa analisi fa parte della valutazione del contesto
esterno e risulta utile per cercare di identificare i legami esistenti tra tali variabili e il business
dell’impresa. Si cercherà di interpretare i cambiamenti in atto relativi a questi fattori e la
probabilità che vadano a impattare sul futuro andamento del business dell’impresa.
Clienti (Cap. 2)
Il terzo step della fase di analisi, al fine di convergere verso una corretta strategia di marketing,
prevede di sviluppare un’appropriata conoscenza del mercato di riferimento e del comportamento
d’acquisto dei potenziali clienti. È fondamentale circoscrivere il proprio mercato di sbocco e
individuare le porzioni di mercato di maggior interesse per l’azienda attraverso il processo di
segmentazione.
Segmentare il mercato significa suddividerlo in un numero limitato di sottoinsiemi o cluster,
costituiti da clienti che assumono comportamenti d’acquisto, di utilizzo e di reazione alle attività
di marketing simili. Tali segmenti devono essere caratterizzati da un alto grado di omogeneità al
loro interno, da un alto grado di eterogeneità al loro esterno e da una significatività «economica»

20
(ovvero l’investimento che si dovrebbe sostenere per potere raggiungere quei segmenti è
recuperabile in tempi congrui rispetto alle esigenze aziendali).
Esistono diverse variabili di segmentazione differenziate a seconda che si tratti di Business to
Consumer (il target di mercato è il consumatore finale) o di Business to Business (il target di
mercato è un’azienda). Si cerca comunque sempre di evidenziare quelle caratteristiche del soggetto
target che descrivano in modo efficace il suo profilo e possano diventare anche una buona base di
supporto per la ricerca commerciale di nuovi clienti.
Sistema di mercato (Cap. 4)
Analizzato il macro ambiente, diventa importante prendere in considerazione i rapporti di forza
di tutti gli attori che fanno parte del sistema di mercato all’interno del quale si trova inserita
l’azienda.
Il cliente ha un forte potere contrattuale quando acquista un’elevata percentuale del fatturato del
venditore, oppure quando il costo relativo all’acquisto effettuato rappresenta una frazione
significativa dei suoi acquisti complessivi. Quando il cliente ha a sua disposizione un ampio set
informativo oppure ha la possibilità di integrarsi a monte, sostiene bassi costi di riconversione,
oppure quando acquista prodotti standardizzati, detiene una posizione di potere nei confronti
dell’azienda.
Dal punto di vista del mercato della fornitura, se abbiamo pochi attori è probabile che abbiano un
grosso potere contrattuale, in particolar modo se il bene ceduto è in grado di influenzare
direttamente la qualità del prodotto/servizio finale. Viceversa, quando il numero di fornitori
possibili aumenta, viene a diminuire il loro potere contrattuale. È bene comunque monitorare
l’evoluzione dei propri fornitori perché, nel caso in cui ci sia una forte espansione del fatturato, si
potrebbe intravedere una minaccia futura: qualora il fornitore diventi uno dei pochi nel proprio
settore, l’impresa è destinata a subire costi d’acquisto superiori; allo stesso modo, un fornitore in
declino può comunque rappresentare un pericolo, in particolare se il suo prodotto è unico e
importante.44
Concorrenti (Cap. 4)
Il livello di intensità della concorrenza tra imprese esistenti dipende dalla dimensione delle
stesse, dal tasso di sviluppo del settore di riferimento, dalla possibilità di gestire la capacità
produttiva e dalla diversità intrinseca dei concorrenti in termini di origini, costi, obiettivi e
strategie.
In un contesto competitivo sempre più dinamico diventa difficile individuare i competitor attuali
e quelli potenziali, ma conoscere quello che viene offerto dagli altri è oramai di fondamentale
importanza per cercare di differenziarsi. Attraverso alcuni criteri, quali l’ampiezza della gamma di
prodotti/servizi offerti, i segmenti di clienti, le aree geografiche coperte, il numero di attività che
compongono la catena del valore, è possibile definire l’arena competitiva, che può essere un intero
settore oppure un’area limitata a un singolo mercato.
Analisi SWOT (Cap. 4)
La SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats) è un modello che conclude la fase di
analisi, si basa sui concetti fondamentali delle competenze distintive e dei fattori critici di
successo e sintetizza l’analisi sviluppata nei quattro precedenti step. È uno strumento attribuito
ad Albert Humphrey, che guidò un progetto di ricerca all’Università di Stanford negli anni Sessanta
basato sui dati della Fortune 500 (la lista delle 500 migliori aziende
statunitensi, http://fortune.com/fortune500/).
Attraverso la valutazione dei punti di forza e debolezza, l’impresa individua all’interno della sua
organizzazione le sue competenze distintive, ovvero quello che sa fare meglio degli altri, e le attività
che la rendono «unica» sul mercato. L’azienda, poi, deve evidenziare quali minacce e opportunità
possano derivare dall’ambiente esterno al fine di cogliere gli aspetti di cui potrebbe approfittare
per migliorare la propria posizione competitiva (o limitare gli impatti negativi in caso di rischi). La
SWOT getta le basi per l’elaborazione della strategia di marketing, è una sorta di «fotografia» dello
stato di partenza del percorso che dovrà raggiungere determinati obiettivi.
Obiettivi (Cap. 5)

21
Il primo passo nella definizione della strategia è quello di formulare obiettivi di marketing
coerenti con gli obiettivi aziendali di medio-lungo periodo (tre-cinque anni). Nella loro
determinazione occorre tenere in considerazione fattori di natura sia quantitativa che qualitativa.
I fattori quantitativi non sono altro che numeri ricavati da dati oggettivi rilevati in passato, quali
l’andamento delle vendite (del settore, dell’azienda, delle quote di mercato), le dimensioni e il tasso
d’acquisto del mercato obiettivo, i livelli di redditività eventuali e gli aumenti/riduzioni
programmati dei prezzi.
I fattori qualitativi hanno carattere più «soggettivo», a causa delle difficoltà che si incontrano nel
reperire o nel quantificare certe informazioni. Tra tali fattori rientrano la situazione economica
generale (inflazione, tassi d’interesse, normative fiscali ecc.), lo scenario competitivo (pressione
concorrenziale), i volumi di vendita «ingannevoli» o irregolari (dovuti a eventi occasionali) e il
ciclo di vita del prodotto. Devono essere identificati in modo «S.M.A.R.T.» (George T. Doran
pubblicò nel 1981 un documento dal titolo «There’s a S.M.A.R.T. way to write management’s goals
and objectives»), ovvero un obiettivo dovrebbe avere queste caratterizzazioni: S = Specific
(Specifico), M = Measurable (Misurabile), A = Achievable (Realizzabile), R = Relevant (Rilevante),
T = Time-based (Temporizzabile).
Strategia competitiva (Cap. 5)
Bisogna individuare quali azioni e strategie porre in essere per colmare i gap esistenti tra gli
obiettivi preposti e la situazione inerziale (risultato ottenibile senza modificare in nessun
modo l’approccio al mercato). Volendo semplificare, è possibile utilizzare una matrice che
pren45de il nome dal suo estensore, Igor Ansoff, che incrociando due variabili, «Prodotti» e
«Mercati»/«Attuali» e «Nuovi», va a individuare quattro diverse situazioni a cui sono collegate
diverse strategie:
• penetrazione del mercato – aumentando quando possibile il tasso medio di
impiego del prodotto sui clienti attuali (frequenza, quantità media, nuove
applicazioni) e incrementando, a discapito dei competitor, la «quota di cliente»
attraverso attività commerciali di up selling e cross selling;
• sviluppo del prodotto – offrendo ai clienti attuali nuovi prodotti derivanti
dall’attività della ricerca & sviluppo (questi potrebbero essere nuovi per il mercato
o solamente nuovi per l’azienda) che vanno ad ampliare la gamma;
• sviluppo del mercato – ampliando la dimensione geografica dei mercati serviti
oppure entrando su nuovi segmenti non serviti attualmente dall’azienda, magari
attraverso nuovi canali distributivi;
• diversificazione – aggiungendo nuovi prodotti appartenenti a una diversa filiera,
ma comunque sinergici rispetto agli attuali per servire nuovi mercati (in questo caso
si tratta di diversificazione concentrica), oppure entrando in business non correlati
a quello di origine, facendo prevalere una logica prettamente finanziaria (i flussi di
cassa positivi generati dal business originario vengono impiegati per l’ingresso in
nuovi business, dando vita alla cosiddetta diversificazione conglomerale).

Target (Cap. 5)
Lo step successivo relativo alla strategia è quello di identificare il target su cui puntare, ovvero
quel/i gruppo/i di clienti meritevole/i di interesse su cui possa valere la pena investire.
Gli elementi che condizionano la scelta della strategia per «colpire» i segmenti
target sono:
• obiettivi e risorse dell’impresa – in dipendenza di questi si potrà decidere di
scegliere uno o più segmenti target su cui impostare la proposta di valore (value
proposition);
• caratteristiche/omogeneità del prodotto – se il prodotto risulta complesso da
customizzare sarà difficile riuscire a predisporre offerte specifiche per determinati
segmenti di mercato;

22
• ciclo di vita del prodotto – tipicamente, nelle prime fasi si punta su un solo
segmento predisposto ad accettare le innovazioni, nelle fasi centrali, invece, si
tenderà a colpire più segmenti possibili per ampliare le quote di mercato;
• omogeneità del mercato – quanto più è omogeneo il mercato, tanto più la proposta
potrà diventare di tipo «indifferenziato», ovvero stessa offerta indipendentemente
dal cliente raggiunto. Se invece i segmenti dovessero essere molto diversi fra loro,
si potrebbe pensare a un approccio di tipo «differenziato» con proposte mirate e
differenziate per gruppo di clienti;
• strategie di marketing della concorrenza – sul mercato non si è mai soli e quello
che fa la concorrenza non può non influenzare l’atteggiamento e l’approccio al
mercato; se i competitor diretti sono presenti su più segmenti di mercato, l’azienda
dovrà seguirli per non perdere opportunità di sviluppo.
Dopo aver determinato il mercato obiettivo bisogna confrontarlo con la situazione del mercato
complessivo, identificando quei segmenti con il più alto potenziale in termini di nuovi clienti, spesa
media per cliente e vendite totali.
Posizionamento (Cap. 5)
L’ultimo step della strategia deve far sì che la proposta di valore «raggiunga» il segmento
cliente 46target e si differenzi. Affinché venga percepito come un prodotto/servizio
«unico» rispetto agli altri beni che soddisfano gli stessi bisogni, è fondamentale valorizzare al
meglio la propria offerta nei confronti dei competitor. Il posizionamento risponde a una semplice
domanda: perché il cliente potenziale dovrebbe acquistare proprio noi?
Occorre, in altri termini, identificare o costruire una posizione dell’azienda nella percezione del
cliente, il quale le attribuisce un determinato valore in relazione a una serie di elementi:
• attributi usati dal cliente per creare la sua funzione di utilità (ovvero gli elementi
che tiene in considerazione nel momento in cui deve valutare l’acquisto);
• posizione relativa dei concorrenti rispetto agli stessi attributi;
• posizione del prodotto ideale (la miglior soluzione possibile nella mente del cliente).
Questi elementi solitamente vengono considerati per costruire le mappe di posizionamento che
collocano le varie proposte dei competitor in dipendenza delle caratteristiche delle loro proposte
di valore nei confronti di un determinato segmento di mercato.
Prodotto (Cap. 6)
Prefissati gli obiettivi e le strategie, l’azienda deve stabilire le azioni da intraprendere all’interno
del piano operativo, utilizzando alcuni strumenti definiti leve del marketing mix, ovvero la
combinazione delle variabili controllabili di marketing che un’impresa impiega per rendere
«tangibile» la propria value proposition. Il prodotto rappresenta l’offerta di valore a un
mercato in vista di un’attenzione, un acquisto, un utilizzo al fine di soddisfare un desiderio, una
necessità o un bisogno. Gestire questa leva operativa necessita di valutazioni importanti che
possono determinare anche investimenti consistenti. In particolare, occorre prendere decisioni in
ambito di:
• definizione della gamma in termini di ampiezza (numero di linee di prodotto
offerte) e profondità (numero di referenze all’interno della stessa linea);
• analisi dell’efficacia del portafoglio prodotti considerando il ciclo di vita di ciascuna
referenza e l’offerta della concorrenza;
• valutazione relativa all’inserimento di nuove linee/referenze per completare la
gamma (oppure alla possibile eliminazione).
Per gestire al meglio l’offerta è possibile articolare il prodotto in diversi livelli (concetto di prodotto
allargato):
•vantaggio essenziale (core benefit, soluzione di un problema);
•prodotto generico (versione base del prodotto);
•prodotto atteso (attributi che l’acquirente si aspetta);
•prodotto ampliato (servizi e vantaggi addizionali differenzianti);
•prodotto potenziale (possibili ampliamenti per il futuro).
Prezzo (Cap. 7)

23
La definizione delle politiche di prezzo necessita di una coerenza sia a livello interno (devono
essere determinate considerando i vincoli di costo e di redditività) che a livello esterno (non
possono non tenere conto della disponibilità di spesa da parte del cliente e del prezzo dei prodotti
concorrenti/sostitutivi).
Possiamo evidenziare le principali decisioni da prendere in relazione a questa leva del marketing
mix:
• individuazione del metodo di determinazione del prezzo (solitamente questa fase è
condivisa con il controllo di gestione che indica la modalità scelta per il pricing);
• determinazione del prezzo di posizionamento rispetto alle offerte concorrenti
(questo sarà, quando presente, il prezzo di listino);
• definizione delle politiche tattiche (di breve periodo, solitamente corrispondenti ai
piani promozionali);
• scelta dei prezzi sui mercati internazionali (che potrebbero avere logiche diverse a
seconda della situazione in cui l’azienda si trova all’interno di quell’area geografica);
• quando si ragiona sul prezzo è necessario focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti
che impattano sul risultato economico e finanziario dell’azienda:
• margine di contribuzione necessario per la copertura dei costi fissi di gestione;
• livelli di scontistica (a volume, a raggiungimento di un certo risultato, per
pagamenti pronta cassa ecc.);
• condizioni commerciali (relative alle formule/tempi di pagamento concordabili con
il cliente).
Comunicazione (Cap. 8 e Cap. 9)
Lo step successivo del piano operativo prende in considerazione la comunicazione d’impresa,
ovvero l’insieme di tutte quelle attività svolte dall’azienda al fine di creare e mantenere nel
tempo un’approfondita conoscenza diretta e un alto grado di riconoscibilità presso i
pubblici di riferimento, sia interni che esterni. Due sono le esigenze fondamentali alle quali l’azione
di comunicazione deve rispondere: sviluppare un’immagine ben definita dell’azienda (aspetto
strategico) e sostenere nel breve-medio periodo tale azione nei confronti della clientela (aspetto
tattico).
All’interno del processo di comunicazione (che potrebbe a sua volta trasformarsi in un piano vero
e proprio collegato al piano di marketing) occorre:
• definire gli obiettivi della comunicazione;
• determinare il target della comunicazione (che potrebbe non coincidere con quello
di marketing, puntando sugli attori del processo di acquisto maggiormente
influenti);
• organizzare delle campagne di comunicazione e scegliere gli strumenti di
comunicazione più adatti a raggiungere il target;
• definire il budget di comunicazione (purtroppo con risorse disponibili scarse questa
diventa la prima fase del processo e, in dipendenza delle disponibilità economiche,
si determinano tutte le scelte viste in precedenza).
Distribuzione (Cap. 10)
L’ultimo step relativo al piano operativo prende in considerazione la gestione del canale
distributivo, formato dagli attori indipendenti coinvolti nel processo che rende un prodotto
o un servizio disponibile per essere utilizzato da un cliente. Può essere anche inteso come
l’insieme dei passaggi di natura materiale e immateriale che collegano la fase di produzione alla
fase di utilizzo.
La scelta delle strategie distributive da parte delle imprese industriali si traduce
nell’individuazione delle soluzioni ottimali rispetto alla tipologia di canali di vendita, al livello di
intensità/selettività del processo distributivo e al grado di integrazione dei canali stessi.
All’interno della «leva distribuzione» possiamo considerare un insieme di decisioni
che 48andranno condivise con l’area commerciale dell’azienda per determinare:
• la scelta dei canali distributivi e la definizione dell’intensità della distribuzione
(dove vogliamo essere presenti per intercettare i clienti potenziali);

24
• l’organizzazione della rete di vendita (diretta e indiretta) e la relativa definizione
della politica di retribuzione degli intermediari (sistema di incentivazione);
• la definizione della tempistica di consegna e la relativa gestione logistica.

CAPITOLO 2 – COMPRENDERE IL COMPORTAMENTO DEL CLIENTE


CASE HISTORY 1
Con oltre 130 anni di storia, Gruppo Montenegro è una realtà imprenditoriale, al 100% italiana,
leader di mercato nei settori alimentare e delle bevande alcoliche. Rappresenta, infatti, il 3°
player in Italia nell’industria degli spirit (Amaro Montenegro, Vecchia Romagna, Select, Rosso
Antico, Coca Buton) e vanta sei marchi premium nel settore food (Bonomelli, Thè Infrè, Olio
Cuore, Spezie Cannamela, Polenta Valsugana, Pizza Catarì). Abbiamo parlato con Alessandro
Soleschi, marketing manager, e Daniele De Angelis, senior brand manager dell’azienda, per
capire la strategia di Amaro Montenegro nel mondo della miscelazione.
Fondato nel 1885 a Bologna dal giovane e appassionato erborista Stanislao Cobianchi, oggi il
Gruppo Montenegro ha chiuso il 2018 con un fatturato pari a 245.000.000 di euro, con un
incremento dell’11,2% rispetto al 2017. Conta complessivamente 340 dipendenti tra estero e
Italia (nell’headquarter di Zola Predosa – Bologna; nei cinque stabilimenti e nelle sedi estere del
Gruppo).
La capacità di rinnovarsi rimanendo fedele alle sue radici e la forte attenzione alle esigenze dei
consumatori hanno permesso a Gruppo Montenegro di crescere costantemente sia in Italia che
all’estero, attraverso un processo di progressiva internazionalizzazione. Grazie a una solida rete
distributiva nazionale e internazionale, i brand del Gruppo si confermano ancora oggi dei veri e
propri ambasciatori del «made in Italy» in 70 Paesi del mondo, rappresentando al meglio la
ricerca dell’eccellenza nel rispetto della tradizione, con un’estrema attenzione alla qualità e alla
sostenibilità, valori che da sempre contraddistinguono Gruppo Montenegro.
Il 1° luglio 2018 viene fondata Montenegro Americas con l’obiettivo di sviluppare il portfolio dei
brand del Gruppo nei mercati Stati Uniti, Canada, Centro e Sud America attraverso la
collaborazione con importatori, distributori e partner.
«L’ingresso di Amaro Montenegro nel mondo della miscelazione avviene in un primo momento
all’estero, e nello specifico oltre oceano» ci racconta Alessandro Soleschi. «Da qualche anno,
infatti, nei migliori cocktail bar degli Stati Uniti, e in particolare a New York, alcuni tra i
bartender più in vista hanno individuato nell’amaro una nuova categoria di spirit, fino ad allora
poco conosciuta, ideale per realizzare nuove proposte da inserire nelle cocktail list dei loro bar.
Negli Stati Uniti, così come nella maggior parte dei mercati internazionali, il consumo degli
amari come dopo pasto è pressoché sconosciuto e la «scoperta» del loro uso nei cocktail ha
generato un vero e proprio boom per la categoria. Uno dei driver principali è proprio l’unicità del
prodotto di Amaro Montenegro, che in sé raccoglie le tre caratteristiche essenziali per creare un
buon cocktail: un tocco di dolce, una nota amaricante e una gradazione alcolica già bilanciata
(23% abv). In tale contesto, siamo riusciti a intercettare il trend anche grazie a un’importante
attività di advocacy realizzata attraverso Brand Activator e attività di PR mirate al trade. Alcuni
esempi sono la realizzazione di masterclass destinate ai bartender, il presidio dei principali
cocktail bar, serate e party Amaro Montenegro dedicati a bartender, giornalisti e influencer».
Il successo ottenuto all’estero ha convinto l’azienda a intraprendere la sfida: portare il «Sa59pore
Vero» di Amaro Montenegro nel mondo della mixology italiana.
«È da qui che nasce l’idea di The Vero Bartender, il progetto di edutainment di Amaro
Montenegro» interviene Daniele De Angelis. «Un progetto rivolto ai bartender che, insieme a una
politica commerciale volta a creare nuove partnership con i locali serali, sta consentendo
all’azienda di ampliare le opportunità di business. All’interno del progetto ricadono tutte le
attività dedicate al mondo della mixology e in particolare le masterclass, che ogni anno
coinvolgono circa 1.500 bartender in Italia e all’estero. The Vero Bartender è anche una

25
competition e lo sharing cocktail è il tema della nuova edizione 2019. Un tema che vuole rendere
omaggio a una categoria di cocktail nata agli albori della miscelazione e oggi tornata di tendenza
nei migliori locali del mondo. Abbiamo invitato bartender e barlady a darne la loro
interpretazione creando una ricetta originale, a base di Amaro Montenegro, pensata per una
modalità di servizio che favorisca la condivisione e il consumo in compagnia». Il contest è
internazionale e si concluderà con la global final in cui il vincitore italiano affronterà i campioni
di altri 11 Paesi.
Daniele De Angelis definisce il target principale di mercato: «A livello trade, il target primario è
costituito da bartender desiderosi di scoprire nuove espressioni di gusto per offrire alla propria
clientela una cocktail list innovativa; a livello consumer il target è costituito prevalentemente da
giovani tra i 25 e i 34 anni che amano stare in compagnia, frequentano locali serali e ricercano
nuovi gusti e tendenze. Il target trade è stato il primo a essere coinvolto. Abbiamo infatti ritenuto
indispensabile, prima di arrivare al consumatore, raccontare ai bartender gli oltre 130 anni di
storia del brand, la ricetta rimasta invariata dalla nascita e un processo produttivo articolato che
rendono Amaro Montenegro inimitabile. Soprattutto, abbiamo voluto sottolineare le potenzialità
del prodotto in miscelazione. La complessità del gusto e dell’aroma rendono Amaro Montenegro
un ingrediente ideale per sviluppare nuovi cocktail o intervenire sui grandi classici. A livello
consumer, portiamo avanti un tour nei locali serali che ci permette di creare awareness per la
nostra cocktail list facendo conoscere al target più giovane una modalità di bevuta di Amaro
Montenegro tutta da scoprire».
Conclude Alessandro Soleschi: «Oltre che sul field, le nostre attività vengono promosse
attraverso campagne digital e social, accompagnate da importanti attività di PR che coinvolgono,
a seconda dei casi, giornalisti, influencer e opinion leader di settore. Vogliamo consolidare il
processo di crescita in atto con l’obiettivo di rendere Amaro Montenegro uno tra i brand più
rilevanti nel mondo della miscelazione».
2.1 – INTRODUZIONE
Quale processo avete seguito per decidere quale corso universitario frequentare? Dopo aver letto
questo capitolo capirai perché i consumatori pensano e si comportano in determinati modi.
Saprete anche come le aziende determinano le loro decisioni d’acquisto e le differenze tra il
comportamento dei singoli consumatori (business-to-consumer – BtoC) e quello delle imprese in
merito agli acquisti (business-to-business – BtoB). Partendo dal primo caso, prenderemo in
considerazione la consapevolezza (cognizione), la percezione (come vediamo le cose) e
l’apprendimento (come memorizziamo tecniche e conoscenze). Si tratta di processi
fondamentali per spiegare come ragionano i consumatori e come entrano in contatto con le
offerte.
Parleremo anche della personalità e della motivazione per illustrare come questi concetti
psicologici influenzano il modo in cui acquistiamo. Poiché il marketing prende corpo quando
viene inserito nel tessuto della nostra vita sociale, valuteremo come la classe sociale, insieme ai
cicli e agli stili di vita, influenza il comportamento dei consumatori. Esamineremo, infine, le
caratteristiche dei comportamenti d’acquisto all’interno delle aziende, ponendo particolare
attenzione ai processi che permettono alle aziende di acquistare i prodotti di cui hanno bisogno.

2.2 - PROCESSO DI ACQUISTO NEL BtoC


Il processo di acquisto da parte del consumatore si compone di sei fasi distinte. Il modello è utile
perché evidenzia sia l’importanza sia il carattere distintivo di ciascuna fase di selezione delle
proposte e di rivalutazione. Il processo d’acquisto è iterativo, ossia, ogni fase può riportare alle
fasi precedenti o far passare a quelle successive. Figura 2.1

26
1. RICONOSCIMENTO ESIGENZA
Il processo inizia quando decidiamo di voler ottenere una risposta a una nostra esigenza. Ciò
comporta riconoscere che un problema debba essere risolto, ma per farlo dobbiamo prima
prenderne coscienza. Ad esempio, una persona può decidere che ha bisogno di acquistare un
abito nuovo per una festa; forse si è stancata di quello vecchio o pensa che sia fuori moda,
oppure vuole tirarsi su il morale, o vuole comprarlo per un’occasione speciale (come un
fidanzamento o un addio al nubilato), oppure potrebbe volerlo comprare per tutta una serie
di altri motivi.
2. RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI
Nella fase successiva, cerchiamo modi alternativi per risolvere i nostri problemi. L’acquirente
potrebbe chiedersi dove ha acquistato il suo ultimo abito, quanto costano solitamente questi
abiti, quali sono gli outlet che li vendono e dove si trovano. Potrebbe chiedersi dove acquista
normalmente abiti da festa (online o nei negozi), quali sono di moda, dove può trovarli in
saldo, se il personale del negozio la tratta bene quando acquista direttamente in negozio, e
quali sono le policies di reso nei vari punti vendita o nei negozi online. La ricerca di una
soluzione può essere attiva, dichiarata o passiva. In altre parole, siamo aperti a diversi modi
per risolvere il nostro problema ma non siamo attivamente alla ricerca di informazioni che ci
aiutino (Howard e Sheth, 1969). La ricerca di informazioni può essere interna, ossia,
possiamo considerare ciò che già conosciamo in merito al problema e alle soluzioni che
potremmo seguire per risolverlo. Altrimenti, può essere esterna, ovvero non sappiamo
abbastanza del nostro problema e cerchiamo consigli o informazioni supplementari. In questa
fase, costruiamo la nostra consapevolezza aumentando la nostra conoscenza sia di un’offerta
sia dei vari concorrenti che la rendono disponibile.
3. VALUTAZIONE DELLE ALTERNATIVE
Una volta raccolte tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione, valutiamo le
proposte alternative. Dobbiamo tuttavia determinare in primo luogo quali siano i criteri
utilizzati per classificare le varie offerte, tenendo conto che possono essere razionali (ad
esempio in base al costo) o irrazionali (ad esempio in base al desiderio o all’intuizione).
L’acquirente di abiti potrebbe chiedersi quale sito web o punto vendita al dettaglio offra il
miglior rapporto qualità-prezzo e quale sia quello più di moda. Si suppone che i
consumatori abbiano in mente una serie ipotizzata di soluzioni per valutare a quale
prodotto, marca o servizio affidarsi per risolvere la loro esigenza. Una serie ipotizzata per
l’acquirente di abiti potrebbe includere Zara, H&M, Mango (MNG al di fuori del Regno
Unito), ASOS, o Net-a-Porter, per esempio. L’acquirente più benestante potrebbe recarsi in
un grande magazzino (come Harrods o Selfridges nel Regno Unito) o visitare i siti web di

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DKNY o Gucci, ad esempio. Questa fase potrebbe anche essere definita la «fase della
considerazione».
4. SELEZIONE DELLA PROPOSTA
Generalmente, l’offerta che alla fine selezioniamo è quella che riteniamo più vicina alle nostre
esigenze. Potremmo tuttavia scegliere un’offerta particolare che si discosta lievemente,
quando effettuiamo realmente l’acquisto. Ad esempio, l’acquirente dell’abito può aver scelto il
capo online (con l’intenzione di recarsi in negozio e provarlo), ma solo quando si presenta dal
rivenditore scopre che l’abito che vuole non è disponibile, così decide di optare d’impulso per
un’alternativa all’interno del punto vendita. La selezione della proposta è quindi una fase
separata nel processo di acquisto, distinta dalla valutazione delle alternative, perché vi sono
momenti in cui dobbiamo rivalutare ciò che acquistiamo poiché ciò che desideriamo non è
disponibile (ad esempio l’acquisto di un biglietto del cinema per un film, semplicemente
perché i posti per un altro sono esauriti).
5. ACQUISTO
Una volta effettuata la selezione, potrebbero scaturire diversi approcci all’acquisto. Ad
esempio, chi acquista abiti potrebbe effettuare un acquisto ripetitivo, come un abito da
lavoro. Un acquisto di routine è un acquisto effettuato regolarmente, con un livello di
coinvolgimento molto basso; ci limitiamo ad acquistare l’offerta che abbiamo comprato in
precedenza, a meno che non si verifichino nuove circostanze. Oppure l’acquisto può essere
mirato, effettuato una tantum o di rado, come ad esempio un abito da sera per un ballo o un
evento di lavoro formale. In questo caso, potremmo essere molto più coinvolti nel processo
decisionale per assicurarci di capire cosa stiamo comprando ed essere sicuri che soddisfi le
nostre esigenze (per sembrare più eleganti, magari, e non banali). Per gli acquisti poco
frequenti, il venditore potrebbe alleggerire il peso del pagamento offrendo credito o
rateizzazioni. L’acquirente potrebbe voler acquistare l’abito ma le politiche del negozio sui
resi (cioè, se sia consentita o meno la restituzione della merce acquistata ed entro quanto
tempo) potrebbero avere un impatto sul fatto che egli acquisti effettivamente oppure no un
abito da quel particolare negozio.
6. VALUTAZIONE POST ACQUISTO
La teoria della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) suggerisce l’idea che siamo motivati a
rivalutare ciò in cui crediamo, gli atteggiamenti o i valori se l’opinione che abbiamo su di essi in
un dato momento non è la stessa di quella che avevamo in un periodo precedente a causa di
qualche avvenimento, circostanza o azione. Questa differenza nelle valutazioni, chiamata
«dissonanza cognitiva», mette psicologicamente a disagio (ossia, causa ansia). Per esempio, in
seguito a un acquisto potremmo pentirci di una scelta o ritenerla insensata (forse abbiamo speso
in maniera eccessiva durante una serata fuori o in un ristorante un po’ troppo sofisticato).
Pertanto siamo portati a ridurre la nostra ansia ridefinendo le nostre convinzioni, gli
atteggiamenti, le opinioni o i valori per renderli coerenti con le nostre circostanze (non andando
in quel particolare bar così spesso o non tornando più in quel particolare ristorante). Inoltre,
eviteremo attivamente situazioni che potrebbero aumentare il nostro senso di dissonanza.
Per ridurre la dissonanza, potremmo cercare di risolverla attraverso le seguenti modalità:
• dimenticando selettivamente alcune informazioni;
• minimizzando l’importanza di un problema, di una decisione o di un atto;
• esponendoci selettivamente solo a nuove informazioni che siano in linea con la
nostra visione attuale (piuttosto che a informazioni che non lo sono);63
• invertendo una decisione di acquisto, ad esempio ritirando un’offerta o vendendo
la merce per ciò che valeva.
Il concetto di dissonanza cognitiva si applica in maniera significativa nel marketing. È probabile
che gli acquirenti delle aziende o i singoli consumatori provino un senso di dissonanza cognitiva
se le loro aspettative di performance della proposta non sono soddisfatte nella realtà. Questa
sensazione può essere particolarmente intensa in un acquisto che preveda un elevato livello di

28
partecipazione, come un’auto, una casa, una vacanza o un prodotto d’investimento di alto valore
(vedi Market Insight 2.1 sullo schema degli interessi allo 0% di Peugeot per puntare a
minimizzare la dissonanza cognitiva dei clienti). È inoltre probabile che ricerchiamo
informazioni che rafforzino la proposta che scegliamo.
D’altra parte, se siamo soddisfatti del nostro acquisto, potremmo decidere di ripeterlo,
mostrando così un certo grado di fedeltà comportamentale a un particolare marchio. Questa fase
viene definita la «fase della fidelizzazione» (loyalty). Se ci piace molto il nostro acquisto,
potremmo anche incoraggiare altri ad acquistare i prodotti di tale marca, la cosiddetta fase di
advocacy. Questo tipo di legame alla marca è presente in molte recensioni e inviti alla prova
rivolti ad amici presenti online.
Nella Figura 2.1, il processo d’acquisto è iterativo (cioè, avviene per fasi), in particolare nella
fase di valutazione del post acquisto. Questo perché la rivalutazione dell’offerta ci riporta a una o
a tutte le fasi precedenti del processo di acquisizione della proposta come risultato
dell’esperienza della dissonanza cognitiva. Ad esempio, potremmo aver acquistato una console
per videogiochi (Xbox One), ma non esserne completamente soddisfatti (forse pensiamo che
abbia una bassa qualità dell’immagine o del suono). Se fosse coperta da garanzia, questo ci
condurrebbe alla fase di acquisizione, in quanto il rivenditore potrebbe fornirci nuovamente il
prodotto in perfette condizioni. Se il prodotto fosse stato consegnato in perfetto stato di
funzionamento, ma semplicemente non ci è piaciuto usarlo, potremmo rivalutare le alternative
originali che abbiamo selezionato (per esempio PS4, Wii U) e sceglierne un’altra (magari quella
che avrebbe potuto offrire una maggiore varietà di giochi). Se non fossimo davvero sicuri di quale
console di giochi acquistare dopo questo acquisto iniziale, potremmo rivalutare le alternative
selezionate originariamente e poi decidere. Se non ci piacesse affatto il nostro acquisto iniziale e
se questo dovesse farci cambiare idea su ciò che ritenevamo importante nella scelta di una
console di gioco, potremmo tornare alla fase di raccolta delle informazioni per avere un’idea più
precisa delle offerte disponibili. Infine, se fossimo estremamente delusi, potremmo decidere che
la motivazione iniziale – la necessità di giocare, rilassarsi e divertirsi – potrebbe essere meglio
appagata acquistando qualcosa di diverso da una console per videogiochi, che soddisferà
comunque le medesime esigenze, come ad esempio l’iscrizione a un circolo sportivo.

2.3 – PERCEZIONI, APPRENDIMENTO E MEMORIA

Spesso i clienti non comprendono i messaggi veicolati dai venditori, o perché non hanno
ricevuto, compreso e ricordato quei messaggi, oppure perché questi non erano chiari. La
comprensione dei consumatori dipende dall’efficacia con cui il messaggio viene trasmesso e
percepito. I consumatori ricevono migliaia di messaggi ogni giorno. La percezione umana,
l’apprendimento e i processi di memoria devono essere utilizzati per ricevere, filtrare e
memorizzare numerosissimi messaggi.

2.3.2 PERCEZIONI

L’American Marketing Association (AMA, 2016) definisce le «percezioni» come: «elementi basati
su atteggiamenti precedenti, credenze, bisogni, fattori di stimolo e determinanti situazionali, che
gli individui percepiscono come oggetti, eventi o persone che li riguardano. La percezione è
l’impressione cognitiva che formiamo della “realtà” e che, a sua volta, influenza le azioni e il
comportamento dell’individuo verso tale oggetto».
In quanto consumatori, siamo attratti da certi tipi di offerte di nostro interesse quando riceviamo
dei messaggi di marketing. Infatti, gli uomini generalmente non sarebbero interessati a
pubblicità su borse (magari alle «borse da uomo») a meno che non volessero comprarne una
come regalo di anniversario, compleanno o di viaggio per una donna speciale nella loro vita.
Evitiamo di esporci a certi messaggi e ne cerchiamo attivamente altri. Possiamo anche esporci
selettivamente a particolari messaggi attraverso i media che scegliamo di leggere (come alcuni
giornali, riviste, riviste online, pagine Facebook, feed di Twitter) o guardare (per esempio alcuni

29
canali televisivi terrestri, via cavo, satellitari o via Internet). È quindi importante determinare
quali canali mediatici utilizzano i clienti.
Gli inserzionisti definiscono l’importanza personale che una persona attribuisce a un dato
messaggio di comunicazione come «coinvolgimento».
Questo è importante perché spiega la ricettività alla comunicazione da parte di una persona, e gli
individui possono quindi essere suddivisi in gruppi ad alto, medio e basso coinvolgimento
(Michaelidou e Dibb, 2008). Siamo interessati alla ricettività dei consumatori perché siamo
interessati a cambiare o alterare la loro percezione in merito a particolari offerte.
Un metodo interessante per mostrare cosa pensano gli individui in merito a specifiche offerte, è
la mappatura percettiva, una tecnica che risale almeno ai primi anni Sessanta (Mindak, 1961). La
gente percepisce le marche di champagne in modo diverso nel Regno Unito, ad esempio, tramite
parole chiave che si riferiscono alla personalità (del marchio) «zesty» anziché «mellow» e «fresh
fruit» anziché «baked fruit». Lanson è associato alla scorza e alla frutta fresca; Moët et Chandon
è associato alla frutta dolce e cotta. Le aziende cercano deliberatamente di posizionarsi nella
mente di specifici gruppi di destinatari. Per farlo correttamente, devono comprendere il tipo di
sottocultura del gruppo.
2.3 - APPRENDIMENTO E MEMORIA

Come fanno i consumatori a conoscere costantemente le nuove offerte, le relative prestazioni e le


nuove tendenze? La risposta è l’apprendimento. Questo è il processo attraverso il quale si
acquisiscono nuove conoscenze e competenze, atteggiamenti e valori, attraverso lo studio,
l’esperienza o 66la modifica del comportamento altrui. Le teorie relative all’apprendimento
umano includono il riflesso condizionato, il condizionamento operante e
l’apprendimento sociale.

- Il riflesso condizionato si verifica quando lo stimolo non condizionante viene


associato allo stimolo condizionante. In altre parole, impariamo associando una cosa
a un’altra. Questo approccio all’apprendimento è spesso usato nel marketing. Per
esempio, i produttori di profumi e dopobarba (come L’Oréal) mettono gratuitamente
campioni di prodotti in bustine nelle riviste in modo che, quando i lettori vedono un
annuncio per una particolare marca di profumo o dopobarba, associano l’immagine
che vedono con l’odore e quindi saranno più propensi ad acquistare il prodotto
quando ne vedranno l’immagine in futuro.
- Il condizionamento operante è l’apprendimento attraverso il rinforzo
comportamentale. Skinner (1954) lo definì «rinforzo» perché il comportamento si
verifica più facilmente in connessione a uno stimolo particolare quando viene
rinforzato attraverso una forma di punizione o ricompensa. Per quanto riguarda il
marketing, prendiamo in considerazione la tipica promozione delle vendite nei negozi,
magari di una nuova marca di yogurt in un supermercato. Se normalmente non
mangiamo i prodotti di questa marca e siamo curiosi, potremmo provarla, perché non
ci sono costi in termini di tempo, fatica o denaro nell’assaggiarlo. La promozione
fornisce lo stimolo, dà luogo al comportamento di prova; se al consumatore piace lo
yogurt e viene premiato con un buono sconto, il comportamento di acquisto di quella
particolare marca di yogurt viene rafforzato. I supermercati rinforzano la nostra
fedeltà fornendo carte premio e punti per l’acquisto di particolari articoli, come ad
esempio la carta Nectar nel Regno Unito o il sistema di raccolta punti utilizzato dal
rivenditore 7-Eleven nei suoi minimarket in tutto il mondo.
- L’apprendimento sociale è stato suggerito dallo psicologo Albert Bandura (1977), il
quale sosteneva che gli individui possono rinviare la gratificazione ed esimersi dalle
forme di ricompensa o punizione. Come risultato, abbiamo una maggiore scelta su
come reagire agli stimoli; possiamo riflettere sulle nostre azioni e alterare i
comportamenti futuri. Questo ha portato all’idea che gli esseri umani apprendano non
solo da come rispondono alle situazioni loro stessi, ma anche da come rispondono alle

30
situazioni gli altri esseri umani. Bandura definì questo concetto «modelling»
(imitazione o modellamento). Nell’apprendimento sociale, impariamo osservando il
comportamento altrui. Le implicazioni per gli esperti di marketing sono profonde. Per
gli adolescenti, i modelli sono i genitori, gli atleti e gli animatori, ma i genitori sono
quelli più influenti (Martin e Bush, 2000). I genitori introducono i propri figli a
familiarizzare con l’acquisto e il consumo di alcuni marchi che acquistano per sé,
insegnando loro attivamente le competenze dei consumatori, i valori materiali e gli
atteggiamenti di consumo fin dall’adolescenza. Anche l’interazione tra pari rende gli
adolescenti più consapevoli delle diverse offerte (Moschis e Churchill, 1978). Le
aziende hanno da tempo riconosciuto il potere dei coetanei, in particolare nell’ambito
dei social media, incoraggiando gli acquirenti a lasciare recensioni sui prodotti che
hanno acquistato, a mettere «mi piace» sulle loro pagine Facebook e a ritwittare i loro
messaggi. Le ricerche indicano che chi legge le recensioni ha il doppio delle
probabilità di selezionare un prodotto rispetto a chi non lo fa (Senecal e Nantal,
2004).

Ma cosa succede una volta che i consumatori hanno appreso le informazioni? Come fanno ad
assorbirle, ossia, cosa impedisce loro di dimenticare tali informazioni? La consapevolezza si
sviluppa con la familiarità, la ripetizione dei messaggi di marketing e l’acquisizione di
informazioni su prodotti o servizi da parte del consumatore. I messaggi di marketing devono
essere ripetuti spesso, perché la gente nel tempo li dimentica, soprattutto nel caso degli
argomenti specifici o dei 67messaggi raccontati. È in parte più probabile che vengano ricordati
l’ambito generale o la conclusione del messaggio (Bettinghaus e Cody, 1994).

Miglioriamo la memorizzazione attraverso l’uso di simboli, come loghi, badge e segni d’identità
aziendale. Forme, creature e persone hanno significati importanti, come si può vedere nei badge,
nei marchi e nei loghi. Le compagnie aeree di tutto il mondo hanno adottato dei simboli, come ad
esempio il canguro per la compagnia aerea australiana Qantas. Simboli riconosciuti in tutto il
mondo includono il simbolo del «Colonnello» di KFC, il simbolo di Intel, il logo della mela
morsicata di Apple, l’onnipresente scritta della Coca-Cola e la scritta multicolore di Google.
I nostri ricordi – intesi come sistema per memorizzare percezioni, esperienze e conoscenze –
sono molto complessi (Bettman, 1979). Una varietà di processi di memorizzazione influisce sulla
scelta del consumatore, tra cui:
- i fattori che influenzano il riconoscimento e il ricordo: le parole di uso meno
comune nelle pubblicità sono riconosciute maggiormente e ricordate di meno;
- l’importanza del contesto: la memorizzazione è fortemente associata al contesto dello
stimolo, quindi le informazioni disponibili nella memoria saranno inaccessibili nel
contesto sbagliato;
- la forma di codifica e memorizzazione degli oggetti: immagazziniamo le informazioni
nella forma in cui ci vengono presentate, sia per oggetto (marca) che per dimensione
(caratteristiche dell’offerta), ma non ci sono prove che una forma sia memorizzata più
rapidamente o più accuratamente di un’altra (Johnson e Russo, 1978);
- gli effetti dovuti all’elaborazione delle informazioni: ci risulta più difficile elaborare le
informazioni nella nostra memoria a breve e a lungo termine quando ci viene
presentata una grande quantità di informazioni contemporaneamente;
- la modalità di immissione delle informazioni: il ricordo a breve termine dell’input
sonoro è più forte del ricordo a breve termine dell’input visivo quando le due modalità
si contendono l’attenzione, ad esempio in televisione e nella pubblicità su YouTube;
- la pressione attraverso la ripetizione: il ricordo e il riconoscimento dei messaggi di
marketing o delle informazioni aumentano quanto più un consumatore è esposto a
essi, anche se le esposizioni successive aggiungono sempre meno alle prestazioni della
memoria.

31
2.4 - PERCEZIONE

Come e cosa acquistiamo dipende anche dalla nostra personalità, ossia da quell’aspetto della
nostra psiche che determina come rispondiamo all’ambiente circostante in modo relativamente
stabile nel tempo. Esistono varie teorie riguardo alla personalità. Comunemente tendiamo a
categoriz69zare gli individui in diversi tipi di personalità, in base ai cosiddetti aspetti del
carattere. I ricercatori differenziano i tipi di personalità servendosi di indoli opposte, tra cui:
• socievole/timido;
• dinamico/riflessivo;
• stabile/nervoso;
• serio/frivolo;
• indulgente/diffidente;
• dominante/remissivo;
• cordiale/ostile;
• distaccato/sensibile;
• rapido/lento;
• virile/femminile.
I ricercatori parlano spesso delle «cinque dimensioni» principali della personalità (McRae e
Costa, 1987):
• estroversione (socievole, amante del divertimento, affettuoso, amichevole e
loquace);
• apertura mentale (originale, fantasioso, creativo e audace);
• coscienziosità (prudente, affidabile, ben organizzato e laborioso);
• equilibrio emotivo (preoccupato, nervoso, ipersensibile, a disagio e vulnerabile);
• amicalità (benevolo, solidale, clemente e remissivo).
Alcuni tipi di personalità prediligono determinati marchi, ad esempio le persone «coscienziose»
preferiscono marchi «di fiducia», mentre gli estroversi preferiscono marchi «sociali». Ci sono
anche differenze di genere, ad esempio i maschi più emotivi e le femmine coscienziose
prediligono i marchi «di fiducia» (Mulyanegara et al., 2009). La comprensione dei tipi di
personalità aiuta gli esperti di marketing a segmentare i gruppi di clienti avvalendosi delle
dimensioni della personalità.
Numerose aziende, quali ad esempio le case automobilistiche, collegano la personalità a
particolari attributi dell’auto (come le caratteristiche di sicurezza, estetica, maneggevolezza). I
produttori di scarpe da corsa e di telefoni cellulari sono interessati in particolare a due
caratteristiche della personalità, l’estroversione e l’apertura all’esperienza, poiché si collegano
all’attitudine e alla fidelizzazione verso i loro marchi (Matzler et al., 2006).
Visitate le risorse online e completate l’attività 2.1, un quiz online, per conoscere la vostra
personalità attraverso una serie di tratti principali della personalità.

2.5 MOTIVAZIONE

Abraham Maslow (1943) ha suggerito un ordine gerarchico dei bisogni umani, come indicato
nella Figura 2.2. Secondo Maslow, tendiamo a soddisfare prima i bisogni fisiologici di ordine
inferiore, poi i bisogni di sicurezza, successivamente i bisogni di appartenenza e di stima per
affrontare, infine, i bisogni di autorealizzazione. Non sono state effettuate sufficienti ricerche per
confermare 70la gerarchia di Maslow, ma il concetto possiede una semplicità logica che lo rende
uno strumento utile per capire come assegniamo le priorità ai nostri bisogni e, quindi, i motivi
per cui acquistiamo determinati prodotti.
Figura 2.2 – Gerarchia dei bisogni di Maslow

32
2.5.1 – TEORIA DEL COMPORTAMENTO PIANIFICATO
Le teorie della motivazione nel marketing ci aiutano a comprendere perché le persone si
comportano in determinati modi. La teoria del comportamento pianificato sostiene che il
comportamento sia determinato dalla nostra intenzione di agire in un determinato modo. Tale
intenzione è influenzata dall’atteggiamento che un soggetto ha nei confronti di un particolare
comportamento, tra cui il suo giudizio favorevole o negativo, o le sue considerazioni sul
comportamento in questione. L’intenzione di agire è anche influenzata dalla norma soggettiva,
ossia dalla pressione sociale percepita per assumere o meno un particolare comportamento.
Infine, l’intenzione di agire è influenzata dal controllo comportamentale percepito, con
riferimento alla facilità o alla difficoltà di eseguire quel comportamento, che si basa sia sulle
esperienze passate sia sugli ostacoli futuri. La Figura 2.3 fornisce un’illustrazione grafica di
questo concetto.

Ad esempio, se consideriamo l’uso delle sigarette, potremmo notare atteggiamenti diversi nei
confronti del fumo in base alla nostra posizione geografica, se viviamo in Francia o in Cina
piut71tosto che nel Regno Unito o in Nuova Zelanda. Potremmo pensare di non poter smettere di
fumare perché abbiamo bisogno di una sigaretta per calmare i nervi (forse a causa di un lavoro
stressante).

33
Allo stesso modo, potremmo anche considerare le opinioni di persone per noi importanti
(coniugi, figli o amici) nei confronti delle sigarette. Se ci mettiamo nei panni delle organizzazioni
governative di (de)marketing, gli elementi chiave della teoria del comportamento pianificato
(ossia gli atteggiamenti, le norme soggettive e il controllo comportamentale percepito) possono
aiutarci a comprendere come disincentivare il fumo. Per esempio, potremmo cercare di
modificare gli atteggiamenti degli individui nei confronti delle sigarette, cambiare il loro punto di
vista su come gli altri li vedono in quanto fumatori, o modificare la loro percezione sulla loro
capacità di smettere. Una campagna pubblicitaria denominata «Smokefree» della Public Health
England, alla fine del 2015, ha attivamente scoraggiato il fumo mostrando immagini
«disgustose» di interiora «in decomposizione» nel tabacco per sigarette. Il concetto è che fumare
il tabacco per sigarette è pericoloso quanto fumare le sigarette (Siciliano, 2014).
2.5.2 – GRADO SOCIALE
Nel marketing, il termine social grade si riferisce a un sistema di classificazione dei
consumatori in base all’appartenenza a gruppi socio-economici. NRS Ltd, successore di Joint
Industry Committee for National Readership Surveys (JICNARS), fornisce le stime della
popolazione in base alla loro classificazione sociale, non solo per il National Readership Survey,
ma anche per una serie di altre importanti indagini di settore (cfr. Tabella 2.1). È opinione
comune che i consumatori effettuino gli acquisti in base alla loro posizione socio-economica
all’interno della società e che le diverse classi sociali vedano se stesse con lenti diverse, con
differenti orizzonti sociali e obiettivi di consumo (Coleman, 1983).

2.5.3 – STILE DI VITA


Gli esperti di marketing si rivolgono sempre più spesso ai consumatori in base al loro stile di vita.
L’AMA (2016) definisce lo «stile di vita» come «il modo in cui l’individuo affronta e tratta il
proprio ambiente psicologico e fisico quotidiano», «la descrizione dei valori, degli atteggiamenti,
delle opinioni e dei modelli di comportamento del consumatore» e «il modo in cui le persone
conducono la propria vita, comprese le loro attività, gli interessi e le opinioni». Ad esempio, una
segmentazione del mercato vinicolo dell’Australia meridionale rivela i seguenti stili di vita
(Bruwer e Li, 2007):
• consumatori di vino moderati e competenti (19,2% della popolazione): è più
probabile che siano uomini (57%), istruiti e ben retribuiti, questo segmento beve

34
vino frequentemente (in particolare il rosso), mostrando capacità da intenditori
nell’acquisto;
• consumatori di vino per motivi ricreativi e sociali (16,2% della popolazione): è più
probabile che siano donne, soprattutto giovani; questo segmento predilige il vino
bianco e lo spumante, e ha un occhio di riguardo per il rapporto qualità-prezzo;
• consumatori di vino ordinari (23,5% della popolazione): è un segmento
prevalentemente maschile, che beve sia la birra sia il vino, a seconda della
disponibilità;73
• consumatori di vino maturi e con molto tempo a disposizione (18,2% della
popolazione): questo segmento maschile più anziano mostra tendenze da
intenditori ed è interessato alla provenienza del vino;
• giovani bevitori di vino professionisti (22,9% della popolazione): questo segmento
è prevalentemente femminile e composto di professionisti. Essi tendono a bere
vino rosso, soprattutto nelle funzioni aziendali.

2.5.4 – FASE DELLA VITA


Gli esperti di marketing spesso ipotizzano che le persone in certe fasi della vita acquistino e
consumino tipi simili di offerte. La maggior parte delle agenzie che si occupano di ricerche
di 74mercato misura abitualmente gli atteggiamenti e i modelli di acquisto in base alla fase di
vita per determinare le differenze tra i gruppi. La Tabella 2.2 indica che c’è una differenza nei
tipi di offerte acquistate, per cui le persone vedove sono molto più propense ad acquistare
cerimonie funebri, assistenza sanitaria a domicilio e vacanze in crociera, così come le persone
celibi e nubili sono più propense ad acquistare, ad esempio, pacchetti e prodotti per vacanze in
luoghi distanti e servizi educativi.

2.5.5 – GRUPPI ETNICI


In una società globalizzata, gli esperti di marketing sono sempre più interessati a
commercializzare offerte mirate ai gruppi etnici all’interno di particolari popolazioni. Ad
esempio, negli Stati Uniti, la popolazione ispanica – spesso immigrati dal Messico –
congiuntamente alla popolazione nera rappresenta una percentuale considerevole della
popolazione totale. Sia la Francia sia il Regno Unito dispongono di un’ampia popolazione
musulmana.

35
In Svezia ci sono grandi gruppi di finlandesi, ex jugoslavi, iracheni e iraniani. I consumatori
multiculturali hanno speso circa 3,4 trilioni di dollari negli Stati Uniti nel 2015 e, soprattutto, i
gruppi etnici si comportano diversamente (Gil e Rosenberg, 2015). Cui (1997) sostiene che in
ogni Paese in cui ci siano opportunità di marketing rivolto alle popolazioni etniche, un’azienda
abbia quattro opzioni strategiche principali:
1. standardizzazione totale: usare le campagne di marketing esistenti senza
modifiche per il mercato etnico. Questa pratica è piuttosto difficile. Anche la Coca-
Cola, nota per il suo ardente approccio alla standardizzazione, adatta le proprie
campagne nel mondo (ad esempio aggiungendo ananas in Indonesia per
soddisfare i gusti locali);
2. adattamento del prodotto: usare le campagne di marketing esistenti, ma
adattando il prodotto al mercato etnico in questione (ad esempio, Nestlé vende
KitKat al gusto di tè verde in Thailandia);
3. adattamento pubblicitario: usare le campagne di marketing esistenti, ma
adattando la pubblicità, in particolare l’uso delle lingue straniere, per il mercato
etnico di riferimento, promuovendo il prodotto attraverso diverse associazioni che
hanno una maggiore risonanza con il pubblico etnico (ad esempio, in alcune parti
della Finlandia, i negozi hanno pubblicità in svedese e finlandese per soddisfare la
minoranza svedese, così come per la lingua spagnola negli Stati Uniti);
4. mercato etnico: utilizzare campagne di marketing totalmente nuove (ad esempio,
film di Bollywood nel subcontinente indiano e nelle diaspore di tutto il mondo,
utilizzando forti temi di amore e di etica, e un formato musicale).

2.6 COMPORTAMENTO DELLA CLIENTELA BtoB

Parkinson e Baker (1994, citati da Ulkuniemi, 2003) affermano che «il comportamento nelle
aziende mira ad acquisire un prodotto o servizio per soddisfare obiettivi aziendali piuttosto che
individuali». Ciò significa che il processo di acquisto BtoB (in inglese: organizational buying
behaviour) consiste nel soddisfare le esigenze dell’intera organizzazione e, quindi, richiede agli
esperti di marketing di adottare processi che tengano conto delle esigenze di persone diverse
piuttosto che di un singolo individuo.
I processi di acquisto intrapresi dalle aziende si differenziano in diversi modi da quelli utilizzati
dai consumatori. Queste differenze sono il riflesso del valore economico e finanziario associato a
queste transazioni, della complessità del prodotto, dell’impatto relativamente ingente dei
singoli 77ordini e della natura del rischio e dell’incertezza. Di conseguenza, le aziende hanno
sviluppato particolari processi e procedure che spesso coinvolgono numerose persone.
L’elemento centrale, tuttavia, è che il gruppo di persone coinvolte è indicato come unità
decisionale, che i tipi di acquisti che svolgono sono classificati in differenti situazioni
d’acquisto, tutte effettuate all’interno di un processo suddivisibile in varie fasi d’acquisto.

2.6.1 – CARATTERISTICHE DELL’UNITA’ DECISIONALE

Il gruppo di persone incaricate di prendere decisioni in merito agli acquisti è denominato «unità
decisionale» o centro acquisti. In molte circostanze, si tratta di gruppi informali di persone che
si riuniscono in vari modi per contribuire al processo decisionale.

Alcuni progetti, generalmente di grande importanza o valore, richiedono la costituzione formale


di un gruppo di persone con la responsabilità di supervisionare e completare l’acquisto di uno o
più prodotti e servizi.
Le unità decisionali variano nella composizione e nelle dimensioni a seconda della natura di ogni
singola attività d’acquisto. Webster e Wind (1972) hanno identificato un certo numero di persone
che svolgono ruoli diversi all’interno dei centri d’acquisto, come illustrato nella Figura 2.4.

36
• Iniziatori: avviano l’intero processo richiedendo l’acquisto di un articolo.
Possono anche assumere altri ruoli all’interno del centro d’acquisto o in
un’organizzazione più ampia.
• Utilizzatori: utilizzano il prodotto una volta acquistato e ne valutano anche le
prestazioni. Gli utenti possono non solo avviare il processo d’acquisto, ma anche
essere coinvolti nelle fasi di specificazione. Il loro ruolo è continuativo, anche se
può essere altamente coinvolto o periferico.78
• Influenzatori: in genere contribuiscono a definire i dettagli dei beni da
acquistare e forniscono valutazioni per la scelta fra le diverse alternative. Possono
essere consulenti assunti per espletare un particolare progetto. Un produttore di
arredamenti per ufficio, ad esempio, considererà i responsabili degli uffici come
unità decisionale, ma riconoscerà come gli utilizzatori, i progettisti degli uffici e gli
architetti possano influenzare il responsabile dell’ufficio sulle decisioni finali.
• Decisori: sono coloro che decidono in merito all’acquisto e sono i più difficili da
identificare. Questo perché potrebbero non avere l’autorità formale per prendere
la decisione d’acquisto, ma essere tanto influenti all’interno dell’azienda che la
loro decisione risulta quella di maggior peso. Nelle attività di acquisti ripetuti,
l’acquirente (vedi sotto) può anche essere il decisore. Tuttavia, è prassi che un
dirigente di alto livello autorizzi le decisioni per importi superiori a un certo limite
finanziario.
• Acquirenti: o responsabili degli acquisti, selezionano i fornitori e gestiscono il
processo di approvvigionamento dei prodotti. Gli acquirenti non possono decidere
quale prodotto acquistare, ma influenzano il quadro entro il quale viene presa la
decisione. Essi intraprenderanno formalmente il processo di acquisto una volta
confermata la decisione. Possono avviare l’acquisto di un tipo di lubrificante
perché i dati relativi alle scorte sono scesi a un livello che indica che le quantità
presenti saranno esaurite entro tre settimane. Essi assumeranno quindi il ruolo
sia di iniziatore che di acquirente.
• Custodi: possono controllare il tipo e il flusso di informazioni rivolte
all’organizzazione e ai membri del centro acquisti. I custodi possono essere
assistenti, personale tecnico, segretari o operatori dei centralini telefonici.

2.6.2 – CLASSI DI ACQUISTO

37
Esistono tre tipi principali di situazioni d’acquisto. Definite da Robinson e colleghi (1967) come
«classi d’acquisto», queste sono: nuovo acquisto; riacquisto modificato; riacquisto
invariato. Le troviamo riassunte nella Tabella 2.3.

Nuovo acquisto
Come suggerisce il nome, la classe «nuovo acquisto» vede l’organizzazione di fronte a un primo
acquisto. Il rischio è inevitabilmente grande a questo punto, perché c’è poca esperienza collettiva
in merito al prodotto, al servizio o ai relativi fornitori. Come risultato di questi fattori,
normalmente, vi sono numerosi partecipanti alle decisioni. Ogni partecipante richiede molte
informazioni e un periodo di tempo relativamente lungo per l’assimilazione delle informazioni e
per prendere la decisione finale.
Riacquisto modificato
Dopo aver acquistato un prodotto, l’incertezza si riduce, ma non scompare, per cui
l’organizzazione può richiedere attraverso i propri acquirenti che vengano apportate alcune
modifiche agli acquisti futuri, come ad esempio adeguamenti alle specifiche del prodotto,
ulteriori negoziazioni sui prezzi, oppure un accordo per consegne alternative. Nel processo
decisionale del «riacquisto modificato» sono coinvolte meno persone che nel nuovo acquisto.
Riacquisto invariato
Nel «riacquisto invariato», il reparto acquisti effettua ordini di routine, lavorando molto spesso a
partire da un elenco di fornitori approvati. Gli ordini in questione possono riguardare prodotti
che 79un’organizzazione consuma per continuare a operare (ad esempio cancelleria per ufficio) o
possono essere materiali a basso valore aggiunto utilizzati all’interno della parte operativa e a
valore aggiunto dell’organizzazione (ad esempio i processi di produzione). Nessun’altra persona è
coinvolta nell’esercizio finché i diversi fornitori non tentano di cambiare l’ambito in cui viene
presa la decisione. Per esempio, un nuovo fornitore può interrompere la procedura per un’offerta
potenzialmente migliore. Stimolando così, eventualmente, l’emergere di una situazione di
riacquisto modificato.
Il riacquisto diretto presenta le condizioni classiche per l’uso di sistemi di riordino automatico. I
costi possono essere ridotti, i tempi di gestione riorientati verso altri progetti e il rapporto tra
acquirente e venditore integrato in un quadro più stabile. Una possibile difficoltà è che entrambe
le parti percepiscano il sistema come un limite significativo nel momento in cui vengono variate
le condizioni, e che questo scoraggi la flessibilità o limiti le opportunità di sviluppare le relazioni.
Visitate le risorse online e seguite il link al sito web di Electronic Commerce Europe, la grande
rete mondiale di commercio elettronico online, per maggiori informazioni sull’utilizzo degli
acquisti elettronici B2B.

2.6.3 – FASI DI ACQUISTO

38
Il comportamento della clientela BtoB consiste in una serie di attività sequenziali attraverso le
quali le aziende procedono nelle decisioni d’acquisto. Robinson e colleghi (1967) le chiamavano
«fasi d’acquisto» (buyphase). La seguente sequenza di fasi d’acquisto è particolarmente adatta
alla nuova situazione appena descritta. Molte di queste fasi possono essere ignorate o accorpate a
seconda della complessità dell’offerta e quando si verifica una situazione di riacquisto modificato
o di riacquisto invariato.80
Identificazione del bisogno/problema
La fase di identificazione del bisogno/problema riguarda l’individuazione di un divario tra i
benefici attuali di un’organizzazione e quelli previsti. Ad esempio, nel creare un nuovo prodotto,
esiste un evidente divario tra disporre dei materiali e dei componenti necessari e aver terminato
le scorte e non poterlo più produrre. La prima decisione riguarda quindi come colmare questo
divario e sono possibili due ampie opzioni: appaltare l’intero processo produttivo o parti di esso,
oppure costruire o realizzare gli oggetti all’interno dell’azienda. Così la necessità è stata
identificata e il divario riconosciuto. Il resto di questa sezione si basa sulla decisione di costruire
autonomamente i materiali.
Specifiche del prodotto
Come risultato dell’identificazione di un problema e dell’entità del divario, gli influenzatori e gli
utenti possono determinare le caratteristiche del prodotto necessario per risolvere il problema.
Ciò può assumere la forma di una descrizione funzionale generale o di un’analisi molto più
dettagliata e la creazione di una specifica tecnica per quel particolare prodotto. Che tipo di
fotocopiatrice è necessaria? Che cosa si prevede di ottenere? Quanti documenti deve copiare al
minuto? Serve un impaginatore o un vassoio carta? Si tratta di una parte importante del processo
perché, se eseguita correttamente, ridurrà la ricerca del fornitore e farà risparmiare sui costi
relativi alla valutazione precedente alla decisione finale. I risultati delle specifiche funzionali e
dettagliate sono spesso combinati con una specifica dell’ordine d’acquisto.
Ricerca dei fornitori e dei prodotti
Nella fase di ricerca dei fornitori e dei prodotti, l’acquirente cerca attivamente fornitori in grado
di fornire i prodotti necessari. Ci sono due questioni principali a questo punto: in primo luogo, il
prodotto corrisponderà alle specifiche e agli standard delle prestazioni richieste? In secondo
luogo, il potenziale fornitore soddisferà gli altri requisiti aziendali come l’esperienza, la
reputazione, i riconoscimenti e il rating del credito? Nella maggior parte delle circostanze, le
aziende valutano il mercato e le fonti interne di informazione, per poi arrivare a una decisione
che si basa su criteri razionali.
Valutazione delle proposte
A seconda della complessità e del valore dell’ordine o degli ordini potenziali, la proposta è una
parte vitale del processo e dovrebbe essere preparata professionalmente. Le proposte delle
aziende selezionate vengono esaminate sulla base di due criteri principali: le specifiche
dell’ordine di acquisto e la valutazione dell’azienda fornitrice. Se il potenziale fornitore fa già
parte della rete, i tempi di ricerca e di revisione sono minimi. Se il fornitore proposto non fa parte
della rete, può essere necessaria una valutazione aggiuntiva per stabilire se lo stesso sia
appropriato (in termini di prezzo, consegna e servizio) e se vi sia la possibilità di una relazione a
lungo termine o se si tratti di un acquisto singolo che difficilmente si ripeterà.
Selezione dei fornitori
L’unità decisionale effettua di norma un’analisi del fornitore e utilizza una gamma di criteri,
secondo il particolare tipo di articolo ricercato. Un’altra prospettiva utile è quella di considerare
le organizzazioni dei fornitori come un continuum, senza fare affidamento su un’unica fonte ma
piuttosto avvalendosi di un’ampia varietà di fornitori per lo stesso prodotto. Alcune aziende
mantengono una gamma di fornitori da cui servirsi (una pratica diffusa in molti dipartimenti
governativi). Lo svantaggio principale è che questo approccio non riesce a minimizzare i costi
perché non vengono raggiunti i volumi per i quali è possibile ottenere degli sconti. Il vantaggio
per il centro acquisti è che è necessario un investimento relativamente piccolo e che questa
strategia comporta pochi rischi. L’opposto della pratica del continuum prevede che le aziende
utilizzino un unico fornitore. 81Tutti gli acquisti vengono effettuati presso un’unica fonte fino a

39
quando le circostanze cambiano in modo tale che le esigenze dell’acquirente non sono più
soddisfatte. Un numero crescente di aziende sceglie di stipulare accordi con un numero limitato
di fornitori, o addirittura di servirsi di uno soltanto. L’obiettivo è quello di costruire un rapporto
a lungo termine, di lavorare insieme in funzione della qualità e di aiutarsi reciprocamente nel
raggiungere i rispettivi obiettivi. L’esternalizzazione della produzione aumenta
considerevolmente per le attività meno rilevanti (non-core).
Valutazione
L’ordine viene effettuato per il fornitore selezionato, che viene poi monitorato e valutato in base a
criteri diversi, come la reattività alle richieste di informazioni, le modifiche alle specifiche e i
tempi di consegna. Al momento della consegna, il prodotto può raggiungere le specifiche
dichiarate, ma potrebbe non soddisfare il bisogno originario. In questo caso, le specifiche
dovranno essere riscritte prima di effettuare altri ordini. Il contesto in cui ci si trova potrebbe
avere un impatto sui responsabili degli acquisti, modificando sia la natura delle decisioni sia il
modo in cui vengono prese. La decisione di acquistare nuovi impianti e macchinari, ad esempio,
implica che si considerino i futuri flussi di cassa che saranno generati sul patrimonio. Nella
decisione saranno coinvolte numerose persone e il tempo richiesto per la decisione potrebbe far
sì che altre parti del processo decisionale debbano svolgersi simultaneamente.

2.6.4 – ACQUISTI NELLE AZIENDE

Tutte le aziende devono acquistare una varietà di prodotti e servizi per operare normalmente e
raggiungere i loro obiettivi prestazionali. Quanto esposto finora rappresenta i principi generali, i
tipi e le categorie associati agli acquisti aziendali. Il modo in cui le aziende acquistano i prodotti e
i servizi, tuttavia, varia notevolmente e non sempre si adatta perfettamente alle categorie qui
presentate. L’acquisto aziendale non è solo una caratteristica importante (se non fondamentale)
ma anche, per molte organizzazioni, parte integrante delle loro operazioni complessive e del loro
orientamento strategico (Ryals e Rogers, 2006; Pressey et al., 2007).
Un approccio comune è quello di ridurre il numero di fornitori, a volte a uno solo, e di utilizzare
gli appalti strategici (come spesso definiti) per negoziare con i fornitori su una base
cooperativa, per fare in modo di instaurare relazioni a lungo termine. Gli acquisti sono diventati
parte integrante e strategica delle operazioni di un’organizzazione e gestire un numero minore di
fornitori può migliorare notevolmente le prestazioni. Ad esempio, Senn e colleghi (2013)
riferiscono che Airbus ha ridotto il proprio portafoglio fornitori di oltre l’80%, da 3.000 a 500
fornitori.
Ci sono diverse questioni strategiche legate agli acquisti effettuati dalle aziende. In primo luogo,
la decisione tra «creare o acquistare». Le aziende dovrebbero creare e/o assemblare prodotti per
la rivendita o esternalizzare o acquistare particolari prodotti, parti, servizi o sotto unità dei
prodotti e concentrarsi su quelle che vengono definite attività o competenze «essenziali». In
secondo luogo, i benefici che derivano da una più stretta collaborazione con i fornitori e la
crescente influenza delle relazioni acquirente-venditore e della «creazione di valore comune»
hanno inevitabilmente portato a una funzione di acquisto più stretta, più professionale e
integrata. La terza questione strategica riguarda il grado di integrazione dei processi di acquisto
nell’azienda. I nuovi sistemi informatici hanno sviluppato l’integrazione degli acquisti e delle
operazioni al punto da aumentare la forza competitiva dell’organizzazione (Hemsworth et al.,
2008). Per evidenziare la variabilità dei comportamenti legati agli acquisti, Svahn e Westerlund
(2009) identificano sei principali strategie di cui si avvalgono le aziende:
• la strategia di riduzione del prezzo si riferisce all’orientamento verso l’efficienza
da parte dell’acquirente, per cui l’obiettivo principale dei responsabili degli
acquisti è quello di cercare il prezzo più basso per l’offerta. Per raggiungere questo
obiettivo, l’acquirente promuove attivamente la concorrenza tra diversi potenziali
fornitori;84
• la strategia di contrattazione si concentra su un rapporto binario tra acquirente e
venditore. In questo caso, la strategia dell’acquirente è quella di raggiungere
l’efficienza operativa attraverso una collaborazione a lungo termine con un
fornitore selezionato (Håkansson e Snehota, 1995);

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• la strategia clockwiser si riferisce alle relazioni della rete di fornitura che
funzionano in modo prevedibile e preciso, proprio come un orologio. Anche in
questo caso, l’obiettivo è l’efficienza rigorosa, raggiunta attraverso la vigile
integrazione di sistemi di controllo basati sulla produzione e sui sistemi
informatici, così come l’attento coordinamento delle attività a valore aggiunto
svolte da ciascun partner della rete di fornitura (Glenn e Wheeler, 2004);
• la strategia di adeguamento si concentra sull’adattamento dei processi di
produzione tra le parti coinvolte. Ciò può verificarsi durante l’acquisto di un
prodotto o servizio importante quando il venditore è tenuto ad adeguare la sua
offerta alle particolari esigenze dell’acquirente;
• la strategia projector avviene tra acquirenti e venditori che collaborano in
funzione del reciproco sviluppo. Può verificarsi durante i progetti, quando i
partner sviluppano le offerte in stretta collaborazione, dopodiché il progetto di
sviluppo congiunto viene completato e le parti continuano il lavoro di sviluppo in
modo indipendente. Come esempio di questa strategia, potremmo prendere in
considerazione la collaborazione tra Nokia e Skype. Questi importanti attori
dell’industria tecnologica e della comunicazione hanno unito i loro sforzi per
sviluppare un tipo di telefono cellulare all’avanguardia che utilizzi il servizio
Voice-over-Internet Protocol (VoIP), ossia il sistema di chiamata gratuita creato
da Skype;
• la strategia updater si basa sulla collaborazione nella ricerca e nello sviluppo. Qui
la collaborazione tra partner è continua e la natura del rapporto non è binaria ma
piuttosto abbraccia una rete di fornitura. Si tratta di una collaborazione
intenzionale, come dimostrato da Intel e da vari produttori di personal computer,
che producono versioni aggiornate dei PC basate sul costante co-sviluppo.

CASE HISTORY 2

Fondata nel 2000, Holdz è un’azienda online di prese e accessori per l’arrampicata.
Parliamo con Steve Goodair (nella foto), amministratore delegato, per saperne di
più su come l’azienda sappia soddisfare le esigenze dei propri clienti.
«Holdz è un’azienda medio piccola specializzata nella produzione di prese in resina poliuretanica
che si avvitano alle pareti d’arrampicata per permettere agli scalatori di esercitarsi indoor in un
ambiente sicuro ma, allo stesso tempo, dall’aspetto naturale. Le nostre prese sono sapientemente
realizzate in forme e dimensioni diverse per riprodurre le caratteristiche della roccia, dalle
fessure alle tacche e agli svasi, fino alle rocce più lisce. Produciamo anche materassini da
bouldering, sacche porta magnesite e abbigliamento.
I clienti tipici sono i centri di arrampicata (che simulano l’arrampicata su pareti rocciose), i centri
di bouldering (che simulano l’arrampicata su massi erratici) e gli stessi appassionati di
arrampicata che arrivano a costruire le pareti nel86le proprie case per potersi allenare in modo
costante. Nei casi in cui le pareti d’arrampicata sono d’uso pubblico, i clienti tendono ad
acquistare in base alla quantità, perché sono più interessati a ottenere uno sconto sul volume
piuttosto che alla forma della presa che stanno acquistando. A volte devo far loro notare che
posso realizzare prese a prezzi inferiori, ma che queste finirebbero per essere così piccole da
essere inutili! Quindi, talvolta dobbiamo educare i nostri clienti sia sui prodotti sia sui tipici
prezzi del settore. I migliori tracciatori (le persone che mettono le prese sul muro) acquistano in
base alle forme delle prese. In questo modo possono creare specifici ‘problemi’ che richiedono
agli arrampicatori di scalare una via in una certa maniera, con diversi gradi di difficoltà che
vanno da una via ‘facile’, passando per una difficile, una molto difficile, fino al grado 11
‘estremamente difficile’. Coloro che arrampicano su pareti in casa tendono ad acquistare un set
iniziale di prese, ma solitamente tornano per acquistarne altre dopo pochi mesi, sia per una
questione di varietà, sia perché arrivano a conoscere a fondo quelle prese e sono diventati più
competenti.

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Poiché gli arrampicatori qualche volta cadono quando salgono per vie difficili, produciamo
materassini resistenti che permettono a chi arrampica di cadere in tutta sicurezza diminuendo le
probabilità di infortunio. Produciamo materassini da 15 anni e sono diventati articoli assai
venduti nel settore. Siamo così certi della loro qualità che offriamo una garanzia di cinque anni.
Nel complesso, ci rivolgiamo a scalatori che fanno sul serio e appassionati dell’alta qualità dei
prodotti che forniamo.
Vantiamo numerosi clienti abituali, specialmente per le pareti di arrampicata in casa e lavoriamo
sodo per prenderci cura di loro. Siamo consapevoli che i prezzi delle nostre prese sono
abbastanza elevati, quindi aggiungiamo una o due prese gratuite negli ordini dei nostri clienti
come omaggio. Molti acquirenti condividono le immagini dei loro acquisti sui social media e
questo è un ottimo modo per diffondere il passaparola positivo.
Per far conoscere il marchio Holdz in passato abbiamo sponsorizzato gare di arrampicata
e bouldering, tra cui la Coppa del Mondo della Federazione Internazionale di Arrampicata
Sportiva. Ogni volta che la Federazione organizza una competizione, tappezza il muro e le maglie
dei concorrenti con i loghi degli sponsor. Ci relazioniamo ai nostri clienti principalmente
attraverso i social media e di persona, soprattutto quando viaggiamo per rifornire i centri di
arrampicata o per installare le prese. Inoltre, interessiamo la clientela in un altro modo
particolare: tutti i nostri prodotti mostrano il logo aziendale e gli arrampicatori notano
inconsciamente il nome Holdz e il nome del tipo di presa quando vi si aggrappano. Questo
significa che si ricordano di tali dettagli cercando lo stesso tipo di presa quando creano i propri
percorsi.
Nel 2006 i centri di bouldering non erano diffusi; esistevano solo centri di arrampicata con
piccole pareti. Un amico ha aperto il centro mondiale di Sheffield e ci ha chiesto di fornirgli i
materassini. Nessuno sapeva quante persone al giorno avrebbero visitato il centro o se una
struttura che offriva solo l’attività di bouldering avrebbe potuto avere successo, eppure è stato
proprio così.
Per questi materassini abbiamo usato una schiuma e PVC (cloruro di polivinile), ma la quantità
di visitatori che frequentavano il centro era esorbitante, tanto da farlo diventare molto popolare.
Se 150 arrampicatori completavano una media di 30 ‘problemi’ di arrampicata per sessione, i
materassini venivano colpiti 4.500 volte al giorno, che moltiplicato per un anno significa 1,64
milioni di atterraggi con i piedi sui tappetini.
Nel corso del tempo, i nostri clienti hanno notato che tale intensità stava danneggiando i
materassini poiché le cuciture e i materiali si stavano usurando a causa dei colpi ripetuti, e ne
richiedevano la sostituzione . Loro però non volevano essere obbligati a sostituire continuamente
i materassini perché questo risultava costoso sia in termini di materiali sia di manodopera».
1. Il problema che Holdz doveva affrontare era: come sviluppare una soluzione di materassini per
i suoi clienti che fosse al tempo stesso durevole e accessibile, ma che permettesse comunque
all’azienda di generare un profitto ragionevole?

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CAPITOLO 3: RICERCA DI MERCATO E CONOSCENZA DEL CLIENTE
3.1: CASE HISTORY
CRIBIS è la società del Gruppo CRIF specializzata nella fornitura di informazioni economiche e
commerciali e servizi a valore aggiunto per la gestione del credito commerciale e lo sviluppo del
business in Italia e all’estero. Abbiamo parlato con Michele Colombo (in foto), marketing
coordinator dell’azienda dal 2009, per comprendere meglio come si articola il processo di
raccolta, elaborazione e categorizzazione delle informazioni e quali servizi offra CRIBIS per
valorizzarle al meglio.
Nel 2018 l’azienda ha totalizzato 72 milioni di euro di ricavi principalmente attraverso la vendita
di informazioni ad aziende, dando indicazioni sullo stato di salute e di solvenza delle altre
strutture con cui intendono fare affari. In Italia sono presenti circa 240 collaboratori per servire
oltre 15.000 clienti, con la garanzia dei più elevati standard qualitativi e la massima copertura
delle informazioni economiche e commerciali sul 100% delle imprese italiane. Grazie
all’appartenenza al Dun & Bradstreet Worldwide Network e a una rete di fornitori locali nei
singoli Paesi, CRIBIS mette anche a disposizione il più completo patrimonio informativo a livello
mondiale, con oltre 300 milioni di aziende.
Michele Colombo ci racconta da dove reperiscono tutte queste informazioni. «Abbiamo tre
principali tipologie di fonti: i database pubblici, come possono essere, per esempio, i bilanci
depositati delle aziende. Una banca dati interna, ovvero profili creati da noi sulla base delle
informazioni storiche dell’azienda e dei gruppi societari a essa correlati: raccogliamo, infatti,
milioni di esperienze al fine di rilevare le abitudini di pagamento delle aziende italiane ed estere
nei confronti dei propri fornitori, sia considerate singolarmente che raggruppate per settore.
Infine utilizziamo dati non strutturati, ovvero informazioni digitali che generalmente devono
essere vagliate da un nostro processo di verifica».
CRIBIS ha rivoluzionato il modo di utilizzare le informazioni, riuscendo a mettere a disposizione
il più ampio patrimonio informativo per le decisioni di business e a migliorare l’esperienza d’uso
del cliente semplificando tutte le sue operazioni quotidiane.
Ad esempio, sull’analisi dei ritardi di pagamento delle aziende viene realizzato l’Osservatorio
trimestrale sui comportamenti di pagamento delle aziende italiane. Oltre ai dati nazionali, questo
studio fornisce diversi livelli di approfondimento per dimensione, regione, settore e trend storici,
consentendo di analizzare complessivamente il grado di virtuosità delle imprese dal punto di
vista dei pagamenti verso i loro fornitori. I pagamenti commerciali rappresentano la fotografia
più aggiornata e completa dello stato di salute di un’azienda, oltre a essere una componente
fondamentale per le performance degli scoring di CRIBIS X.
Questo studio è diventato il principale benchmark di riferimento sui pagamenti in Italia e i suoi
dati sono utilizzati dalle principali testate giornalistiche nazionali, locali e settoriali.
Il marketing coordinator ci spiega come è cambiato il modello di business dell’azienda: «La crisi
del 2008 ha accelerato la nostra trasformazione da azienda nata principalmente per fornire
informazioni ad azienda venditrice di servizi a valore aggiunto per la gestione del credito
commerciale e lo sviluppo del business, come report, dashboard, servizi di monitoring e altri. Nel
nostro pacchetto di offerta questi servizi erano in gran parte già presenti, ma venivano poco
utilizzati. Quando il mercato ha iniziato a richiederli eravamo già pronti e li abbiamo sviluppati
riuscendo a valorizzarli notevolmente. Questo step è stato cruciale per noi, basti pensare che dei
15 player che in precedenza presenti nel nostro mercato a livello mondiale, ora siamo rimasti in
quattro. Negli ultimi quattro/cinque anni CRIBIS ha continuato a investire in maniera
importante soprattutto sullo sviluppo di nuove soluzioni e sulla formazione della propria forza
vendita, in maniera da presidiare e 97ottimizzare la messa a terra del servizio offerto».
L’offerta di CRIBIS si articola in diverse aree: una delle principali tuttora è quella della gestione
del rischio di credito commerciale, che consiste in una gamma completa di informazioni
commerciali, rapporti informativi, servizi evoluti per il monitoraggio e la gestione del portafoglio
e credit scoring per valutare l’affidabilità commerciale di clienti, fornitori e partner d’affari.

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Un’altra area importante è quella delle soluzioni sales & marketing, in cui viene fornito il
supporto alla vendita del cliente ricercando e analizzando i prospect, il supporto per le aziende
che esportano nelle procedure e nell’analisi delle aziende estere con le quali si interfacciano.
Michele Colombo descrive uno strumento molto apprezzato dai clienti in questo ambito: «Il
servizio di qualifica telefonica, che ha lo scopo finale di segmentare i diversi prospect in maniera
più dettagliata per indirizzare il proprio cliente verso quello più adatto; questo strumento
fornisce una prestazione di tipo quasi consulenziale, garantendo l’ottimizzazione dei tempi di
sviluppo commerciale».
L’azienda fornisce servizi anche per la gestione e il recupero del credito: tramite CRIBIS Credit
Management (società del Gruppo CRIF specializzata nella gestione in outsourcing dei crediti)
vengono messi a disposizione servizi per incrementare la disponibilità di cassa e per una più
efficace gestione del credito commerciale.
Continua Colombo: «Questa ampia gamma di offerta ci permette di coprire il ciclo completo per
l’azienda, dal prospect al credito commerciale, fino al monitoring e alla sua conclusione
dell’attività di vendita con il prodotto CRIBIS Cash, che consente al cliente di trovare liquidità
quando necessario. Quest’ultima soluzione è stata ideata in ottica esclusiva, sono necessari infatti
determinati parametri per potervi accedere. Come detto, serve a fornire liquidità in tempi brevi
alle aziende che ne hanno necessità e non sempre incontrano la disponibilità delle banche nel
concedergliela in maniera tempestiva. Direttamente nel report CRIBIS si trova l’indicazione se
una fattura verso un cliente è cedibile e, in caso affermativo, si può procedere rapidamente fino
all’incasso immediato sulla piattaforma Workinvoice, il primo marketplace italiano per la vendita
delle fatture. Tramite questo sistema di invoice trading le aziende possono ottenere liquidità solo
nel momento in cui ci sia necessità, ed è dunque notevolmente più flessibile rispetto al sistema
bancario tradizionale».
Un’altra area di servizi fa capo al supply management: sono tutte le soluzioni per ricercare,
valutare e monitorare l’albo dei fornitori, che permettono di migliorarne il controllo grazie ad
analisi di carattere finanziario e di tipo operativo basate sulle performance.
1. Che bisogni hanno le aziende che decidono di usufruire dei servizi di CRIBIS?
2. Qual è il vantaggio strategico nel poter presidiare l’intero ciclo commerciale dell’azienda
cliente?
3. Perché è più facile ottenere liquidità attraverso CRIBIS Cash piuttosto che attraverso i metodi
convenzionali bancari? Perché è importante che sia un prodotto esclusivo?

3.1 – INTRODUZIONE
Qual è il modo in cui le aziende sviluppano le loro offerte di successo? Molto spesso le imprese
creano le loro proposte utilizzando programmi di ricerca ideati per riconoscere i bisogni dei
clienti che sono in costante evoluzione.
La ricerca di marketing contemporanea è molto influenzata dalla tecnologia. La
digitalizzazione ha portato alla proliferazione delle informazioni e dei dati disponibili per i
professionisti del marketing. Attualmente, questa nuova disponibilità, spesso descritta come «big
data», sta trasformando il settore. Le aziende che ricorrono a un tipo di ricerca più tradizionale,
quali Gallup e A.C. Nielsen, sono sottoposte a enormi pressioni da parte delle grandi società
tecnologiche come IBM e Adobe, nonché da parte delle aziende che si occupano di analisi dei
dati, che sono in rapida crescita, come BrainJuicer e Qualtrics. Tali aziende si avvalgono di una
vasta gamma di strumenti che permettono di seguire i comportamenti dei clienti in tempo reale
(ESOMAR, 2015). Apriamo questo capitolo spiegando la differenza tra «ricerca di marketing» e
«ricerca di mercato». Mentre la ricerca di mercato viene condotta per comprendere i mercati
(clienti, concorrenza e industrie), la ricerca di marketing determina anche l’impatto delle
strategie e delle tattiche di marketing. La ricerca di mercato è quindi inglobata nella ricerca di
marketing. La «conoscenza del cliente» riguarda la conoscenza ottenuta attraverso la ricerca e
utilizzabile sui clienti. In seguito, introdurremo le diverse procedure attuate dai professionisti del

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marketing nel condurre le ricerche. Illustreremo i big data, sempre più utilizzati per generare le
informazioni atte a creare decisioni strategiche di marketing. Per finire, prenderemo in
considerazione le sfide legate alle ricerche di marketing in ambito internazionale.
3.2 – IL PROCESSO DI CONOSCENZA DEL CLIENTE
Nel Capitolo 2 abbiamo analizzato le basi del comportamento dei clienti. La conoscenza del
cliente permette alle aziende di generare una conoscenza sui consumatori rilevante per le
specifiche circostanze. La ricerca di mercato è un’attività svolta per determinare le caratteristiche
strutturali del settore di interesse (ad esempio la domanda, la quota di mercato, i volumi del
mercato, le caratteristiche dei clienti e la loro segmentazione), mentre la ricerca di marketing
viene intrapresa per capire come poter arrivare a decisioni specifiche di strategie di marketing (ad
esempio per quanto riguarda la determinazione del prezzo, le previsioni di vendita, l’analisi delle
proposte e le attività di promozione). La ricerca di marketing può essere inoltre definita come
sistematica, nel senso che le procedure seguite a ogni step del procedimento sono
metodologicamente valide, ben documentate e, per quanto possibile, programmate in anticipo
(Malhotra, 2010).
Al contrario, la conoscenza del cliente viene costruita sulla base delle informazioni ottenute dopo
diverse attività di ricerca. L’informazione richiede di essere trasformata per generare conoscenza.
La conoscenza del cliente si distingue dunque dalle informazioni sul cliente: queste ultime
sottintendono una comprensione acquisita e più profonda dei clienti. L’«analisi di marketing» si
riferisce alle procedure analitiche, matematiche e statistiche utilizzate per ricavare conoscenza a
partire da informazioni caratterizzate da un ampio volume, alta velocità e/o alta varietà,
generalmente identificate come «big data». Approfondiremo questi argo99menti nella sezione
«Big data e marketing analytics», ma prima di farlo daremo un’occhiata alle diverse procedure
che caratterizzano, rispettivamente, i procedimenti di creazione della conoscenza e di ricerca di
mercato.
Visitate le risorse online e seguite i collegamenti web della Market Research Society (MRS) e
della ESOMAR per saperne di più su queste associazioni professionali che si occupano di ricerca
di marketing.
La conoscenza del cliente ha valore se è rara, difficile da imitare e potenzialmente utilizzabile per
formulare decisioni gestionali (Said et al., 2015). Cowan (2008) raccomanda quanto segue alle
aziende che intendono veramente avvalersi di questa conoscenza:
• gli amministratori delegati (AD) e/o i chief marketing officer (CMO) devono
capire che è fondamentale supportare il procedimento di conoscenza, porre
domande ad ampio spettro e non provare a indovinare le risposte che emergono
dai problemi strategici, esigere risposte basate sull’evidenza e fornire le risorse
necessarie;
• la funzione dei ricercatori non deve essere meramente quella di segnalare i
problemi ma quella di risolverli, cercando di ottenere una comprensione causale e
non solo descrivendo atteggiamenti, concentrandosi nello sforzo di cambiare la
situazione del mercato;
• chi si occupa della conoscenza deve saper affrontare le ipotesi di strategia
proposte dall’azienda stessa, sfidare la soluzione più «ovvia», che spesso risulta
sbagliata, analizzando e unificando tutti i dati rilevanti in proprio possesso e,
infine, dedicare più risorse possibili 100alla conoscenza del cliente.

3.3 – COMMISSIONARE UNA RICERCA


Spesso le ricerche non vengono condotte internamente dai venditori. Nel commissionare la ricerca,
un’impresa può decidere se preferisce affidarsi a un’agenzia, a un consulente, a un’agenzia che si
occupa di «field and tab» (ossia un’agenzia che propone questionari o interviste ai consumatori e
successivamente ne registra i dati risultanti in tabelle), o ancora a un’agenzia di preparazione dati e
analisi. Generalmente, il mestiere del consulente non richiede un eccessivo lavoro sul campo; le
agenzie che si occupano di «field and tab» vengono utilizzate quando le aziende possono progettare
la propria ricerca ma non possono occuparsi della raccolta dei dati; ci si affida, invece, alle agenzie

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di preparazione dati e analisi quando le aziende possono sia progettare sia raccogliere i dati, ma
non hanno le competenze per analizzarli; infine, a un’agenzia di servizio completo, quando le
aziende non hanno le competenze per progettare la ricerca e raccogliere o analizzare i dati.
Le agenzie vengono poi selezionate in base a diversi criteri, e viene loro chiesto di fornire una
presentazione dei servizi offerti. Ci si reca nei loro uffici per visionare la qualità del personale e
delle strutture, e vengono analizzati i loro precedenti progetti per determinare la qualità del lavoro
svolto. Solitamente si richiede il permesso di svolgere colloqui o di ottenere referenze dagli stessi
clienti dell’agenzia. Ogni agenzia viene valutata sulla base della capacità di intraprendere un lavoro
di qualità accettabile a un prezzo appropriato. I criteri usati per analizzare l’idoneità di un’agenzia
(a seguito della presentazione di una proposta) includono:
la reputazione dell’agenzia; le competenze percepite dell’agenzia; un buon rapporto qualità
/prezzo; il tempo necessario per completare lo studio; la possibilità che il progetto di ricerca
fornisca la comprensione del problema di gestione.
Alle agenzie selezionate viene poi dato uno schema preliminare delle esigenze sotto forma di
un brief di ricerca, e viene loro chiesto di fornire le loro proposte sulla metodologia che verrà
applicata, sulle tempistiche e sui costi. Dopodiché, viene selezionata l’agenzia che svolgerà il lavoro
richiesto. Sul lungo termine, i clienti rimangono maggiormente soddisfatti delle agenzie capaci di
flessibilità, che evitano soluzioni di ricerca rigide e che dimostrano una conoscenza professionale
dell’industria, una capacità di concentrarsi sui problemi di gestione e di fornire soluzioni e una
solida qualità del servizio (Cater e Zabkar, 2009).

3.4 – IL PROCESSO DELLA RICERCA DI MARKETING


I passaggi principali che accompagnano un progetto di ricerca di marketing o di una ricerca di
mercato sono numerosi (vedi Figura 3.1). Il primo e il più importante riguarda la definizione del
problema e l’individuazione delle necessità di informazione dei soggetti che prenderanno le
decisioni. L’azienda committente spiegherà ai ricercatori di mercato i punti principali del
problema o 102dei problemi che sta affrontando, ad esempio potrebbe trattarsi dell’esigenza di
capire i volumi del mercato in un nuovo potenziale settore o i motivi di un aumento improvviso e
inaspettato nell’utilizzo di un’offerta. La definizione del problema non sempre implica che vi
siano delle minacce per l’azienda. Questo stadio iniziale permette all’azienda di determinare la
sua posizione attuale, di definire le sue esigenze di informazione e prendere decisioni consapevoli
sul suo futuro.

3..4.1 – STADIO 1: DEFINIRE IL PROBLEMA


Il primo step in un progetto di ricerca riguarda la definizione del problema di gestione e la
stesura del brief. È molto importante che questi due elementi non vengano espressi in termini
vaghi, dato che le aziende non sempre sanno di quali informazioni hanno bisogno.

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Un esempio può essere Carrefour, la catena di supermercati, che ha notato un calo
nell’andamento delle vendite nei negozi della Repubblica Ceca e si è domandata se questo sia il
risultato dell’apertura di un supermercato concorrente.
La descrizione del problema non dà ai ricercatori informazioni sufficienti per capire la situazione
in cui si trova il supermercato, di conseguenza essi dovranno analizzare il problema insieme al
personale dell’azienda che ha commissionato lo studio per un maggiore approfondimento.
Questo permette ai ricercatori di tradurre il problema di gestione in una domanda di ricerca di
marketing. Spesso questa domanda può includere una serie di sotto-domande necessarie per
approfondire la questione. La Figura 3.3 mostra un esempio di domanda di ricerca di marketing
e di una serie di sotto-domande più specifiche.

La domanda di ricerca di marketing trasforma il problema di gestione in un interrogativo,


cercando allo stesso tempo di sradicare le aspettative della direzione dell’azienda. Maggiore è la
chiarezza con cui il committente definisce il problema, maggiore è la facilità con cui l’agenzia
progetterà la ricerca per risolvere quel problema. Una volta che l’agenzia avrà discusso il brief con
il cliente, potrà produrre uno schema dettagliato di come verrà analizzato il problema. Questo
documento viene chiamato proposta di ricerca. La Figura 3.4 descrive sinteticamente una
tipica proposta di ricerca di marketing.

3.4.2 STADIO 2: DECIDERE IL PIANO DI RICERCA

Una volta decisa la domanda o le domande per la ricerca di marketing, è tempo di passare alla
progettazione del piano di ricerca. A questo punto, si sviluppa il quadro in cui condurre l’analisi.
Nello sviluppo di questo contesto, starà ai ricercatori di marketing comprendere quale sia il
tipo 104di ricerca necessaria. Le esigenze della ricerca possono essere specificate in base
all’obiettivo (ricerca esplorativa, descrittiva o causale), nonché in base alla fonte (dati primari o
secondari) e alla metodologia (qualitativa o quantitativa). Le esigenze di ricerca avranno degli
effetti sulla creazione del piano di ricerca.
Tipo di ricerca basata su obiettivi
Esistono tre tipi di ricerca a seconda del problema da risolvere:
1. La ricerca esplorativa viene usata quando si hanno a disposizione poche
informazioni circa uno specifico problema di gestione, che va quindi esplorato in

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profondità. I progetti esplorativi garantiscono la creazione di ipotesi o sono di
supporto nello sviluppo di concetti nuovi.
2. La ricerca descrittiva si concentra sulla descrizione accurata delle variabili da
considerare, tra cui le caratteristiche di mercato o i modelli di spesa nei gruppi di
clienti principali. Alcuni esempi riguardano gli studi sul profilo del consumatore,
sulle sue consuetudini di acquisto, i sondaggi sui suoi atteggiamenti e su come
effettua le ricerche sui media.
3. La ricerca causale viene usata per determinare se una variabile causa o meno
un effetto su di un’altra variabile. Per determinare la causalità, sono necessari
studi sperimentali o longitudinali. Negli studi sperimentali, i ricercatori di
marketing considerano una variabile specifica (causa) che si pensa possa
provocare risultati importanti (effetto), questo garantisce loro di esaminare
accuratamente la causalità. Gli studi longitudinali, invece, controllano gli effetti di
una certa variabile (causa) nel tempo. Alcuni esempi di ricerca causale includono
gli studi sulla soddisfazione del cliente e sull’efficacia della pubblicità, che
generalmente mirano a comprendere quali fattori di un’offerta o di uno spot
influiscano sulle valutazioni dei consumatori.105

Tipo di ricerca basata sulla fonte


Nel condurre una ricerca, si può fare riferimento a ciò che si sa già o si può elaborare una ricerca
che crei nuove conoscenze. La ricerca primaria è un tipo di ricerca condotta per la prima volta,
che riguarda la raccolta di dati per un particolare progetto. I dati secondari sono dati che esistono
già, raccolti per gli obiettivi di qualcun altro. La ricerca secondaria (conosciuta anche con il
nome di desk research) riguarda l’accesso ai risultati di progetti di ricerca precedenti. Questo
metodo può rappresentare un procedimento più economico e più efficiente di raccolta di dati.
Fonti comuni di dati secondari includono:
• fonti istituzionali, quali statistiche, banche dati di tendenze sociali e altre risorse;
• Internet, tra cui fonti scoperte tramite motori di ricerca, blog, microblog e forum
di discussione;
• documentazione interna all’azienda, tra cui le informazioni presenti in un sistema
informativo di marketing o di gestione delle relazioni con i clienti (CRM) o
pubblicate nei report;
• ordini professionali e associazioni di categoria, che spesso dispongono di banche
dati consultabili online per scopi di ricerca e pubblicano articoli di riviste di
settore e report di ricerca;
• aziende che si occupano di ricerca, che spesso svolgono ricerche nei settori
dell’industria o per gruppi di prodotti specifici e possono essere altamente
specializzate, ad esempio Mintel, Euromonitor, ICC Keynote e Google.
Visitate le risorse online e seguite i collegamenti web per scoprire di più sulle aziende che si
occupano di ricerca di mercato.
Nella pratica, la maggior parte dei progetti di ricerca riguarda sia la ricerca secondaria che quella
primaria, mentre la ricerca a tavolino viene svolta nella fase iniziale per fare sì che un’azienda
non sprechi denaro. Una volta estrapolata questa conoscenza iniziale, viene deciso se
commissionare o meno uno studio sui dati primari. Partendo dal presupposto che la ricerca
primaria debba necessariamente essere svolta, i ricercatori solitamente progettano la ricerca
valutando quale tipologia adottare. I direttori di marketing dovrebbero capire che tipo di studio
condurre, in quanto ciò influirà sul tipo di informazioni raccolte e, di conseguenza, sui dati che
riceveranno per risolvere il problema di gestione.
Tipo di ricerca basata sulla metodologia
All’inizio di un progetto di ricerca, si dovrebbe valutare se adottare una ricerca qualitativa o
una ricerca quantitativa, o una combinazione di entrambe.
• La ricerca qualitativa si riferisce a metodologie di ricerca che si affidano a
campioni di piccole dimensioni e utilizza domande aperte e inquisitorie che si
propongono di individuare motivi e sentimenti di fondo. I dati raccolti vengono
poi interpretati concentrandosi sul significato 106e sono spesso difficili da

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replicare. Generalmente la ricerca qualitativa intende fornire la visione e la
comprensione di come si configura il problema, quindi viene spesso usata nelle
ricerche esplorative di mercato. I metodi principalmente utilizzati per la raccolta
di dati qualitativi sono interviste individuali, focus group e l’osservazione.
• I metodi di ricerca quantitativa vengono usati per ottenere risposte a domande
standardizzate predefinite da parte di molti intervistati. Questo procedimento
riguarda la raccolta di informazioni, la quantificazione delle risposte come
frequenze o percentuali e statistiche descrittive e l’analisi statistica di questi
elementi. Di conseguenza, la ricerca quantitativa viene spesso usata nella ricerca
di marketing descrittiva e causale, ed è auspicabile che il risultato di tale ricerca
sia la riproducibilità dei dati. Quindi, si può dire che i metodi di raccolta di dati
quantitativi siano molto più strutturati dei metodi di raccolta di dati qualitativi.
Metodi comuni comprendono diversi tipi di sondaggi (online, offline), interviste
faccia a faccia o telefoniche e studi longitudinali.
La Tabella 3.1 riassume le differenze principali tra il metodo di ricerca qualitativo e quello
quantitativo. In molti casi questi possono essere combinati per creare una comprensione secondo
diverse prospettive.

Il cliente (o chi si occupa della ricerca internamente) potrebbe anche avere vincoli di budget
specifici o sapere fin dall’inizio quale approccio intende adottare. Tuttavia la scelta dipende
innanzitutto dalle circostanze del progetto di ricerca e dai suoi obiettivi. Se la conoscenza iniziale
del problema di gestione è poca, è preferibile analizzare il problema utilizzando la ricerca
qualitativa per raccogliere più informazioni. Nel mondo, il 73% degli investimenti nella ricerca di
marketing viene speso in ricerca quantitativa. In Portogallo (95%), Finlandia e Svezia
(en107trambi 92%), la ripartizione è ancora più elevata, mentre è generalmente più bassa nei
paesi in via di sviluppo (ESOMAR, 2015). I sondaggi dell’industria indicano, inoltre, che gli
esperti di marketing combinano sempre di più i metodi qualitativi con quelli quantitativi
(Murphy, 2015).
Progettazione delle attività di ricerca
Una volta deciso che tipo di ricerca condurre, si dovrebbe considerare:
• chi intervistare e come (il progetto di campionamento e il metodo di contatto da
usare);
• quale metodo usare (ad esempio forum di discussione o un esperimento);
• quale tipo di domande sono necessarie (domande aperte per la ricerca qualitativa
o domande chiuse per un sondaggio);
• come analizzare e interpretare i dati (ad esempio quale approccio utilizzare per
l’analisi dei dati).
I metodi di ricerca descrivono le tecniche e i procedimenti usati per ottenere le informazioni
necessarie. Si potrebbe fare ricorso a sondaggi o a una serie di interviste approfondite, o ancora
all’osservazione per vedere come i consumatori acquistino online o come i commessi accolgano i
consumatori quando entrano in un negozio specifico (il cosiddetto «mystery shopping»).
Si potrebbe far riferimento a gruppi di consumatori esperti in cui gli intervistati documentino i
loro acquisti settimanali o le loro abitudini di ascolto televisivo nell’arco di un periodo di tempo

49
specifico. Nielsen Homescan è un servizio in cui i consumatori utilizzano dei lettori di codici a
barre sviluppati appositamente per documentare i loro acquisti al supermercato in cambio di
punti che potranno utilizzare per vincere prodotti per la casa. Al giorno d’oggi le aziende
utilizzano sempre più i metodi online. Stando a un sondaggio di CMO del 2015, molti esperti di
marketing hanno affermato di affidarsi alla tecnologia online digitale per capire i bisogni dei
consumatori: il 40% ha riferito di utilizzare sondaggi online, il 26% ha effettuato una verifica
online sulla clientela, il 19% si è affidato a esperimenti online, mentre il 6% ha indagato 108sul
web l’uso di determinate parole che descrivevano immagini da parte dei clienti per comprendere
meglio la clientela (Moorman, 2015).

La Figura 3.5 mostra le considerazioni principali nella realizzazione di progetti di ricerca


qualitativa e quantitativa. La creazione di progetti di ricerca di marketing prevede che si
predeterminino le modalità con cui i componenti interagiscono.
Questi componenti includono:
• gli obiettivi di ricerca;
• il metodo di campionamento;
• il metodo di intervista;
• il tipo e i metodi di ricerca intrapresi;
• la creazione di domande e questionari;
• l’analisi dei dati.
Nel creare progetti di ricerca occorre innanzitutto determinare quale tipo di approccio si intenda
adottare per un particolare problema di gestione (ad esempio esplorativo, descrittivo o causale).
In seguito occorre individuare quali siano le tecniche più adatte a produrre i dati desiderati al
costo più basso e nel minore tempo possibile.
Alcuni tipi di ricerca utilizzano preferibilmente certi metodi o tecniche piuttosto che altri. Ad
esempio, nell’ambito della ricerca esplorativa, si utilizzano i metodi di ricerca qualitativa, quelli
di campionamento non probabilistici e quelli di analisi non statistica dei dati. I progetti di ricerca
descrittiva spesso si avvalgono di indagini con interviste che utilizzano determinati segmenti di
intervistati o campionamenti casuali e tecniche di analisi statistica. I ricercatori causali utilizzano
progetti di ricerca sperimentale con metodi di campionamento e un’analisi dei dati statistica.
3.4.3 – RACCOLTA E CAMPIONAMENTO DEI DATI

Il terzo stadio prevede lo svolgimento del lavoro sul campo e della raccolta dei dati. In questo
stadio vengono inviati questionari o eseguite le sessioni dei focus group online, o ancora vengono
svolti studi etnografici, a seconda delle decisioni prese durante il primo stadio di progettazione di
lavoro sul campo. Nello svolgere il lavoro la procedura prevede che ci si occupi di come porre le
domande agli intervistati, se utilizzare Internet, il telefono, la posta (elettronica) o se rivolgersi
loro di persona, e di come selezionare un campione appropriato, come pre-trattare le risposte
al questionario (ricerca quantitativa), oppure come elaborare le risposte emerse dalle domande
aperte (soprattutto nella ricerca qualitativa).
Il responsabile del progetto di ricerca potrebbe trovarsi a decidere se condurre la ricerca
internamente all’azienda o se commissionarla a un’agenzia che si occupa di questa attività. Altri
dubbi riguardano come assicurare una qualità di dati elevata. Quando le aziende che si occupano

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di ricerca 110di mercato svolgono interviste sul campo nei centri commerciali, solitamente
ricontattano una porzione degli intervistati per controllare le loro risposte e assicurarsi che le
interviste siano state condotte correttamente.
Nella ricerca qualitativa, i campioni vengono spesso selezionati su una base di convenienza o
discrezionale. Nella ricerca quantitativa, si possono usare metodi probabilistici o non
probabilistici, tra cui:
• il campionamento casuale semplice, in cui agli elementi della popolazione viene
corrisposto un numero e il campione viene selezionato creando una sequenza
casuale dove tutte le unità della popolazione hanno uguale probabilità di farne
parte;
• il campionamento casuale sistematico, in cui gli elementi della popolazione sono
noti e la prima unità di campionamento viene selezionata tramite la creazione
casuale dei numeri, dopodiché ognuna delle successive unità di campionamento
viene selezionata in modo sistematico sulla base di un numero n-esimo, dove n è
calcolato dividendo le dimensioni della popolazione per le dimensioni del
campione;
• il campionamento casuale stratificato, in cui vengono usate una o più
caratteristiche specifiche (quali sesso o età) per creare dei sottogruppi omogenei
da cui estrarre un campione casuale rappresentativo.
I metodi non casuali includono:
• il campionamento a «quota», in cui alcuni criteri, quali il sesso, l’etnia o altre
caratteristiche del cliente, vengono utilizzati per ridurre il campione, ma la
selezione dell’unità di campionamento viene lasciata alla discrezione del
ricercatore;
• il campionamento di convenienza, in cui non vengono poste restrizioni di nessun
tipo sulla selezione degli intervistati, quindi chiunque può essere selezionato;
• il campionamento a valanga, in cui gli intervistati vengono selezionati all’interno
di popolazioni rare (quali gli acquirenti di automobili di grossa cilindrata), magari
si tratta persone che hanno risposto ad annunci sui giornali, dopodiché vengono
identificati ulteriori campioni utilizzando le recensioni dei soggetti iniziali,
creando così un effetto «valanga» per il campionamento.
Con la crescita delle ricerche di mercato condotte online, risulta sempre più comune affidarsi a
gruppi di esperti (panel) su Internet. Nella ricerca online vengono usati due tipi di gruppi di
esperti (Miles, 2004):111
• access panel, i quali forniscono campioni per quanto riguarda le informazioni
sullo stile dei sondaggi; essi sono costituiti da target appositamente invitati a
partecipare a un sondaggio online via e-mail o con un link;
• proprietary panel, creati o commissionati da un’azienda cliente, solitamente sono
costituiti dai clienti di quell’azienda.
Per sollecitare la partecipazione ai sondaggi, i ricercatori utilizzano degli incentivi (ad esempio
l’estrazione di un premio).
Visitate le risorse online e completate l’Attività 3.1 per saperne di più sul Market Research
Portal, una fonte molto utile di risorse per la ricerca online.

3.4.4 – ANALIZZARE E INTERPRETARE I DATI

Il quarto stadio comprende l’immissione, l’analisi e l’interpretazione dei dati. L’immissione dei
dati dipende dal tipo di dati raccolti. Le applicazioni software vengono usate sempre più spesso
sia per l’analisi dei dati qualitativi sia per quella dei dati quantitativi (ad esempio NVivo e SPSS,
rispettivamente).
Nei questionari online, i dati vengono inseriti automaticamente in un database, permettendo un
risparmio di tempo e un livello più elevato di qualità dei dati. Se vengono usati i
metodi CAPI (computer-assisted personal interviewing) o CATI (computer-assisted

51
telephone interviewing), l’analisi può anche essere effettuata istantaneamente, mentre si
svolgono le interviste. Le tecniche CAWI (computer-assisted web interviewing)
permettono ai ricercatori di leggere le domande da uno schermo del computer e di inserire
direttamente le risposte degli intervistati. Utilizzando Internet, le tecniche CAWI permettono
inoltre la riproduzione di file video e audio.
I metodi di ricerca vengono usati per supportare il processo decisionale manageriale. Le
informazioni ottenute devono essere valide e affidabili, perché le risorse dell’azienda verranno
impiegate sulla base delle informazioni dedotte. La validità e l’affidabilità rappresentano
concetti estremamente importanti, soprattutto per quanto riguarda la ricerca quantitativa.
Infatti, aiutano i ricercatori a capire la misura in cui i dati ottenuti dallo studio rappresentino la
realtà e la «verità». I metodi di ricerca quantitativa fanno affidamento su quanto sia probabile
che i dati ottenuti possano venire riprodotti in uno studio successivo (ossia affidabilità) e su
quanto i dati generati possano considerarsi liberi da preconcetti (ossia validi).
La «validità» viene definita come «un criterio per la valutazione delle scale di misura;
rappresenta la misura in cui una scala fornisce un quadro reale della variabile sottostante o del
costrutto che sta cercando di misurare» (Parasuraman, 1991: 441). Un modo per misurare la
validità da parte dei ricercatori è quello di utilizzare il loro giudizio soggettivo per assicurarsi che
uno strumento stia misurando ciò che deve misurare (validità di contenuto): una domanda sulla
soddisfazione professionale, ad esempio, non si traduce necessariamente in fedeltà all’azienda.
L’«affidabilità» viene definita come «un criterio per la valutazione delle scale di misura; dimostra
quanto le valutazioni generate da una scala siano consistenti o stabili» (Parasuraman, 1991: 443).
I concetti di tempo, i preconcetti e gli errori nel porre le domande possono influire
sull’affidabilità.
Si possono, inoltre, distinguere due tipi di affidabilità: l’affidabilità interna ed esterna (Bryman,
1989). Per determinare quanto siano affidabili i dati, lo studio viene condotto nuovamente su due
o più periodi di tempo per valutare la consistenza dei dati. Questo procedimento è noto con il
nome di «metodo di test-retest» e misura l’affidabilità esterna. Un altro metodo a cui si ricorre
prevede 112che le risposte vengano divise in due serie casuali e che entrambe le serie vengano
testate in modo indipendente, secondo il metodo test-t o test-z. Questo metodo verifica
l’affidabilità interna. Le due serie diverse di risultati vengono poi correlate. Il nome di tale
metodo è «split-half reliability testing». Questi metodi sono più adatti a testare l’affidabilità delle
scale di misura rispetto ai dati generati dalle procedure di ricerca qualitativa. I risultati di un
progetto di ricerca di marketing quantitativo saranno affidabili se tale progetto di ricerca viene
condotto entro un breve periodo di tempo e si ottengono gli stessi o simili risultati nel secondo
studio. Ad esempio, se la divisione del marketing di una catena di agenzie di viaggi dovesse
intervistare 500 dei suoi clienti e scoprisse che il 25% è a favore di un particolare resort (magari
su un’isola greca specifica), e ripetesse poi lo studio l’anno successivo scoprendo che solo il 10%
del campione è interessato allo stesso resort, i risultati di questo studio si direbbero inaffidabili e
l’ufficio acquisti della catena non dovrebbe basare l’acquisto dei suoi pacchetti vacanze
esclusivamente sull’esito dell’anno precedente.
Per quanto riguarda la ricerca qualitativa, i concetti di validità e di affidabilità generalmente sono
meno importanti, in quanto i dati non vengono usati per indicare la rappresentatività. I dati
qualitativi riguardano più la creazione di idee e la formulazione di ipotesi. La validità può essere
garantita tramite l’invio di trascrizioni agli intervistati e/o ai clienti a scopo di controllo, per
assicurarsi che quanto detto nelle interviste approfondite o nei focus group sia stato riprodotto
correttamente ai fini dell’analisi.
Quando gli analisti leggono i dati in modo critico al fine di determinare se questi sono in linea
con le loro aspettative, siamo di fronte a ciò che si definisce face validity test. L’affidabilità
spesso si ottiene controllando che affermazioni simili siano state fatte dai diversi intervistati sia
attraverso sia all’interno delle trascrizioni delle interviste. Le trascrizioni degli intervistati
vengono controllate per determinare se lo stesso intervistato, o altri intervistati, abbiano
espresso lo stesso spunto di riflessione.

52
3.4.5: STADIO 5: PREPARAZIONE E PRESENTAZIONE DEL REPORT

Lo stadio finale di un progetto di ricerca prevede la comunicazione e la presentazione dei risultati


dello studio al cliente esterno o interno all’azienda. Essi devono essere presentati liberi da
preconcetti. I dati della ricerca di marketing non sono utili se non vengono tradotti in un formato
che abbia significato per il manager o per il cliente che ha richiesto inizialmente i dati. Le figure
senior all’interno dell’azienda che commissiona la ricerca, che possono essere state o meno
coinvolte nel commissionare il lavoro, spesso partecipano alle presentazioni. Di solito, le agenzie
e i consulenti preparano i loro report utilizzando un modello base già concordato.

3.6 – BIG DATA E MARKETING ANALYTICS

Il termine «big data» si riferisce a un insieme più completo di dati rispetto a quelli usati
tradizionalmente per fornire informazioni di marketing e la conoscenza del cliente. Nello
specifico, «big data» si riferisce al volume, alla velocità e alla varietà di dati usati (McAfee e
Brynjolfsson, 2012; Erevelles et al., 2016).
• Il volume indica tutta la quantità di informazioni usate. Prendiamo l’esempio di
Walmart, che ha raccolto più di 2,5 petabyte di dati ogni ora nel 2012. Un petabyte
corrisponde a un quadrilione di byte, o a circa 20 milioni di schedari di testo.
• La velocità si riferisce al fatto che i dati vengono registrati in tempo reale. Ad
esempio, usando i dati di localizzazione dei cellulari, Google è in grado di offrire
informazioni aggiornate sulla durata di un viaggio in base al traffico.
• La varietà indica che l’analisi dei big data unisce i dati provenienti da varie fonti
diverse. Ad esempio, l’unione di banche dati dei clienti con i dati provenienti dai
social media e dai cellulari può offrire una comprensione più dettagliata dei
comportamenti degli acquirenti rispetto alle modalità di analisi del passato.
Con l’aumento della digitalizzazione dell’economia e dei consumatori nella vita di tutti i giorni,
cresce rapidamente la disponibilità di informazioni così diversificate. Le diverse fonti impiegate
nell’analisi dei big data possono essere suddivise in cinque categorie: dati pubblici, dati privati,
dati di scarico, dati della comunità e dati di auto-quantificazione (George et al., 2014).
• I dati pubblici si riferiscono alle informazioni in mano ai governi o alle comunità
locali, ad esempio per quanto riguarda i redditi, l’uso dei trasporti o dell’energia;
queste informazioni sottostanno alle restrizioni volte a proteggere la privacy
individuale.
• I dati privati si riferiscono ai dati in mano alle organizzazioni o alle persone
private non immediatamente correlate alle fonti pubbliche, come ad esempio le
informazioni relative alle banche dati dei clienti o ai comportamenti durante la
navigazione online.
• I dati di scarico si riferiscono ai dati raccolti passivamente, ossia dati accessori dal
valore nullo o limitato per il partner originale della raccolta dati. Quando gli
individui adottano e usano nuove tecnologie (come ad esempio i cellulari)
generano dei dati ambientali, che diventano meta dati delle loro attività
quotidiane. Questi dati possono essere ricombinati con altre fonti di dati per
creare nuova conoscenza. Un’altra fonte di dati di scarico è rappresentata dal
comportamento 116nella ricerca delle informazioni, come la ricerca online e le
chiamate ai call center, che possono essere usati per ottenere informazioni sui
bisogni, sui desideri o sulle intenzioni delle persone.
• 117
I dati della comunità si riferiscono ai dati ricavati e non strutturati, come ad
esempio le recensioni dei consumatori su certi prodotti o i «Mi piace» alle pagine
sui social media, che vengono combinati in una rete dinamica che spiega le
tendenze sociali.
• Gli individui che usano la tecnologia per quantificare le loro azioni e i loro
comportamenti personali rivelano i dati di auto-quantificazione, come accade ad

53
esempio nel caso degli utenti che monitorano gli esercizi e l’attività fisica, con i
loro smartwatch al polso.

3.7 – LA RICERCA DI MARKETING NEL B2B

Uno dei punti fondamentali del modello Business to Business è dato dai processi di acquisto non
basati sull’improvvisazione bensì sull’analisi delle varie caratteristiche di un prodotto o servizio.
Le aziende di successo sanno che il mercato è in costante mutamento e che l’unico modo per
tenere il passo con tutto quel cambiamento è fare ricerca a cadenza regolare. Questo continuo
aggiornamento consente loro di adattare la propria offerta per soddisfare le esigenze in continua
evoluzione del loro pubblico. La ricerca nel B2B è più complessa per una minor disponibilità di
informazioni e dati, ma quando è possibile organizzarla si possono avere molti vantaggi. Tra
questi troviamo:
• definire i critical success factors utili a realizzare un vantaggio competitivo;
• definire i competitors;
• scoprire le opportunità e le minacce emergenti sul mercato;
• scoprire i propri punti di forza in relazione a competitors e clienti, unitamente ai
punti di debolezza da correggere immediatamente;
• scoprire quanto il brand è conosciuto nel mercato;
• scoprire cosa pensano i clienti riguardo al brand (brand image), quali sono i
servizi più apprezzati e le motivazioni alla base;
• scoprire quanto il prezzo è importante per i clienti;
• scoprire se i potenziali clienti sono a conoscenza di tutti i prodotti e servizi chiave
dell’azienda.
Occorre sottolineare che le ricerche di mercato svolte in ambito B2B e in particolare nei suoi
segmenti industriali richiedono un approccio completamente diverso per via della necessità di
contestualizzare la ricerca nello specifico contesto aziendale. Infatti, all’interno di un’azienda il
processo decisionale non viene affrontato da una singola persona, spesso neanche l’atto
decisionale. Potrebbe essere necessario comprendere e interrogare diverse funzioni della stessa
per comprendere la realtà del processo di acquisto. Ciò è ulteriormente complicato, visto che gli
interlocutori non sono molto disponibili. Più industriale è il focus del progetto, minore è la
probabilità di trovare un panel di target qualificati. Gli esperti che possiedono le conoscenze e le
intuizioni ricercate devono essere trovati attraverso un’indagine creativa e approfondita.
Un altro problema riguarda il fatto che la domanda nei mercati B2B deriva a sua volta da quella
del mercato dei consumatori. A seconda che ci si trovi a monte o a valle nella catena del valore
viene a esistere una serie di circostanze e problemi, che durante una ricerca di mercato BtoB
devono essere considerati.
È per questo motivo che, in generale, nel B2B è consuetudine utilizzare fonti secondarie di dati,
vale a dire fonti già precedentemente raccolte da altri per un altro scopo. Le fonti secondarie,
oltre a essere spesso certificate dall’ente che le mette a disposizione, sono anche più facilmente
accessibili 118a livello sia temporale sia economico. Spesso enti come ISTAT, associazioni
sindacali come Confindustria e Confcommercio, associazioni di imprenditori e i centri di ricerca
universitari sono fonti più convenienti da utilizzare, perché la raccolta e la diffusione di
informazioni sugli associati rientra tra i loro stessi scopi istituzionali. Lo sforzo per il
reperimento delle informazioni è quindi molto ridotto, ma resta ovviamente da capire se queste
rispondono pienamente agli obiettivi di ricerca.
Esistono anche istituti di ricerca specializzati nel mondo BtoB come Azoth Analytics Pvt. Ltd
(www.azothanalytics.com/), che fornisce report di ricerca su diversi settori verticali, come quello
farmaceutico, petrolifero e del gas, delle telecomunicazioni, immobiliare, logistico, energetico,
sanitario, tecnologico, alimentare e delle bevande. Solitamente effettuano lo studio sul mercato
attraverso un mix di ricerca secondaria e ricerca primaria. Nel primo caso, vengono esaminati i
documenti del settore sia da fonti pubbliche che da database a pagamento (Bloomberg, Thomson

54
Reuters, Factiva); nel processo di ricerca primaria, intervistano vari esperti lungo la catena del
valore del settore analizzato.
Il processo di ricerca viene studiato nel dettaglio in ogni sua fase; in particolare si ha:
1. Progettazione. All’interno di questa fase si avviano delle ricerche in merito alle
tecniche di ricerca. A partire da una profonda comprensione e strutturazione degli
obiettivi della ricerca, sarà possibile selezionare gli strumenti e le procedure più
adatte per reperire informazioni di qualità al minor costo possibile.
2. Campionamento. I prodotti o servizi B2B vengono impiegati in imprese diverse
tra loro, con modalità differenti. In più, anche i consumi delle aziende utilizzatrici
possono essere estremamente differenziati, dunque è fondamentale identificare
tecniche di campionamento adeguate, dopo aver analizzato attentamente il settore
di riferimento ed effettuato le opportune stratificazioni.
3. Minimizzare le mancate risposte. La completezza e la qualità dei dati sono
elementi fondamentali alla base del marketing. In particolare, l’attendibilità di
questi (data dalla rappresentatività del campione) può essere compromessa dalle
mancate risposte: è dunque necessario minimizzare gli errori. Per farlo, è
importante coinvolgere maggiormente le aziende e facilitare la loro
partecipazione. Per questi motivi, spesso si contattano preliminarmente le
imprese in modo da illustrare loro le finalità della ricerca e stimolarle a
partecipare. Ultima, ma non per importanza, è la garanzia di anonimato da offrire
a ciascuna impresa facente parte del campione. Grazie a questi accorgimenti si
ridurrà la percentuale di risposte mancate e si potrà garantire la rappresentatività
statistica del campione.
4. Questionario. La compilazione del questionario è utile per approfondire le
informazioni possedute sull’azienda considerata. Innanzitutto, è fondamentale
studiare l’argomento trattato, e conferire una sequenza dei quesiti tale da
suscitare interesse negli intervistati.
Per condurre l’indagine al meglio, è bene che gli intervistatori siano in grado di interagire con il
personale aziendale e i manager di tutti i livelli. La sfida sta nel convincere ciascuno a
condividere il suo tempo. Si effettuano sia interviste personali (face-to-face) che telefoniche e, in
questi ultimi anni, anche via Internet, per aumentare la numerosità degli intervistati e
contribuire in modo importante alla qualità della ricerca.
In un secondo momento, si avrà l’analisi e interpretazione dei dati, effettuata con grande
attenzione in modo da estrarre informazioni chiare, affidabili e ricche di spunti decisionali per le
aziende committenti. Grazie a questi accorgimenti, le indagini di mercato B2B avranno un
altissimo valore aggiunto.
Tra le indagini più ricorrenti, troviamo:119
• indagini di customer satisfaction che, oltre a fornire tutte le informazioni sulla
soddisfazione e fidelizzazione dei clienti, riescono anche a segnalare l’opportunità
di aumentare i prezzi in alcuni particolari segmenti di mercato; fornire preziose
informazioni sul posizionamento dell’azienda committente e dei concorrenti;
raccogliere i giudizi dei clienti su alcune «idee nel cassetto» (ipotesi di nuovi
prodotti o di servizi aggiuntivi e/o di altre iniziative dell’azienda committente);
• indagini per rilevare comportamenti, bisogni, logiche decisionali e aspettative
dei potenziali clienti, che permettono di scoprire interessanti segmentazioni del
mercato e di individuare un posizionamento innovativo e vincente per l’impresa
committente;
• indagini qualitativo-esplorative che forniscono informazioni per: comprendere
quali miglioramenti apportare a specifici macchinari industriali per soddisfare più
precisamente le esigenze delle imprese utilizzatrici; stimare il valore in termini
monetari che tali miglioramenti hanno per loro, in maniera tale da avere elementi
per la definizione del prezzo;

55
• ricerche di mercato per rilevare notorietà, immagine e penetrazione di aziende,
brand, prodotti e relativi concorrenti, con lo scopo di definire gli obiettivi e le
strategie aziendali per il futuro;
• focus group con addetti ai lavori che forniscono preziose informazioni per
individuare il segmento di mercato target e definire tutte le argomentazioni da
utilizzare nel sito web, nella brochure, durante i contatti commerciali ecc., per
promuovere e vendere efficacemente un prodotto o servizio.
3.8 – RICERCA DI MARKETING E ETICA
Le ricerche di marketing dovrebbero essere svolte in modo obiettivo, discreto e onesto. I
ricercatori devono tenere conto del rifiuto del pubblico, sempre crescente, a partecipare alle
ricerche di marketing e del problema di trovare gli intervistatori idonei. L’apatia degli intervistati
si deve probabilmente alla quantità di ricerche condotte, soprattutto attraverso invadenti
interviste telefoniche, ancora in aumento, e sondaggi porta a porta, che sono in diminuzione. Le
ricerche di marketing vengono sempre più condotte sul web, generando una specifica serie di
preoccupazioni di natura etica. Come ci si può assicurare che una persona sul web sia realmente
chi dice di essere? È ammissibile osservare e analizzare i blog e le conversazioni dei clienti sui
social network? I problemi di natura etica, nelle ricerche attraverso i social media, riguardano
anche l’obbligo di essere sinceri e trasparenti nel condurre le ricerche all’interno di una
comunità, e di rendere anonimi i commenti parafrasandoli (dato che i commenti testuali spesso
possono essere ricondotti a un utente specifico). Tuttavia, è ancora in fase di sviluppo un chiaro
codice etico per condurre ricerche sui social media. Per questo, le organizzazioni più importanti,
come la ESOMAR e la MRS, si stanno impegnando per concepire delle politiche chiare
sull’argomento.
Le ricerche di marketing non mirano a generare vendite o a influenzare gli atteggiamenti, le
intenzioni o i comportamenti dei clienti. La MRS (2014: 3) richiede ai suoi membri quanto segue:
1. I ricercatori devono assicurarsi che la partecipazione alle loro attività sia basata su
di un consenso informato volontario.
2. I ricercatori devono essere diretti e onesti in tutte le loro relazioni professionali ed
economiche.120
3. I ricercatori devono essere trasparenti per quanto concerne l’oggetto e lo scopo
della raccolta dei dati.
4. I ricercatori devono rispettare la riservatezza delle informazioni raccolte nelle loro
attività professionali.
5. I ricercatori devono rispettare i diritti e il benessere di tutti gli individui.
6. I ricercatori devono assicurarsi che i partecipanti non vengano lesi o influenzati
negativamente.
7. I ricercatori devono bilanciare i bisogni degli individui, dei clienti e della loro
attività professionale.
8. I ricercatori devono esercitare un giudizio professionale indipendente nella
progettazione, realizzazione e comunicazione dell’attività di ricerca.
9. I ricercatori devono assicurarsi che le attività di ricerca siano condotte da persone
adeguatamente formate, qualificate e con esperienza.
10. I ricercatori devono proteggere la reputazione e l’integrità della professione.
Il codice di condotta della MRS, basato sul codice della ESOMAR, è vincolante per tutti i membri
della MRS. Agli intervistati deve essere garantito che nessuna delle informazioni raccolte nei
sondaggi di ricerca verrà usata per identificarli o divulgata a terze parti, senza il loro
consenso. 121Nei Paesi europei, inoltre, i dati sono soggetti alla direttiva sulla protezione dei dati,
attuata nel Regno Unito con il nome di Data Protection Act nel 1998. Gli intervistati devono
essere informati dello scopo della ricerca e del tempo per cui saranno coinvolti. I risultati della
ricerca devono essere riportati accuratamente e non usati in modo fuorviante. Nel condurre una
ricerca di marketing, i ricercatori sono responsabili per loro stessi, i loro clienti e gli interv istati o
partecipanti.

56
I risultati degli studi di ricerca devono rimanere confidenziali, salvo quanto diversamente
concordato dal cliente o dall’agenzia, e quest’ultima è tenuta a fornire resoconti dettagliati sui
metodi impiegati per portare avanti il progetto di ricerca, se richiesto dai clienti.

3.9 – LA RICERCA DI MARKETING INTERNAZIONALE

Spesso capita che i professionisti di marketing intendano promuovere le offerte su scala


internazionale e sviluppare brand a livello globale (vedi Capitolo 6). Tuttavia, per i ricercatori di
marketing è difficile capire come la cultura incida sui mercati internazionali e come possa influire
sul progetto di ricerca. La complessità dell’ambiente economico internazionale rende la ricerca di
marketing più difficile, in quanto agisce sul processo e sul progetto di ricerca. Le decisioni
principali riguardano se, nello studio, adattare o meno la ricerca a ognuno dei diversi Paesi
utilizzando scale, metodi di campionamento e dimensioni differenti, oppure se provare a usare
un metodo unico per tutti i Paesi, adottando un perimetro di
campionamento internazionale.
I ricercatori internazionali cercano di assicurarsi che vengano raccolti dati comparabili
nonostante le differenze nel campionamento, negli sviluppi tecnologici, nella disponibilità degli
intervistatori e nella possibilità di partecipare a interrogazioni pubbliche. Gli approcci occidentali
alle ricerche di marketing, alla raccolta dei dati e alla cultura possono risultare inadeguati in certi
ambienti di ricerca per via di differenti sviluppi economici o modelli di consumo. Quanto sono
comparabili i dati relativi al consumo delle offerte di Burger King raccolti attraverso interviste
personali negli Emirati Arabi Uniti, le interviste telefoniche condotte in Francia e i questionari
sul 122campo condotti nei centri commerciali in Svezia? Si può usare un gruppo di esperti su
Internet anziché in tutti i Paesi? Non è semplice assicurare la comparabilità dei dati negli studi di
ricerca di molteplici mercati: i concetti possono venire giudicati in modo differente, le stesse
offerte possono avere funzioni differenti, la lingua può essere usata diversamente, anche
all’interno di uno stesso Paese, le offerte possono venire calcolate in maniera differente, i
perimetri di campionamento possono essere differenti e i metodi adottati per la raccolta dei dati
possono essere diversi a causa delle variazioni nelle infrastrutture.
La Tabella 3.2 delinea tre tipi di equivalenza: equivalenza concettuale, equivalenza
funzionale ed equivalenza traduttiva. Tutti questi tre tipi di equivalenza influiscono sulla
semantica (ossia sul significato) delle parole usate nei diversi Paesi, ad esempio nella creazione
del testo dei questionari o nei focus group. Un corretto uso della lingua è importante perché
incide sul modo in cui gli intervistati percepiscono le domande e strutturano le loro risposte.

57
Tipi di equivalenza semantica nella ricerca di marketing internazionale
Nel progettare i programmi di ricerca internazionale, occorre considerare i diversi significati
delle parole e la modalità in cui andrebbero raccolti i dati. Culture diverse hanno modalità
differenti di valutare i concetti. Inoltre, vivono le loro vite in maniera differente, il che vuol dire
che può essere necessario raccogliere gli stessi dati o dati simili diversamente. La Tabella
3.3 illustra 124come l’equivalenza nel calcolo, nel campionamento e nella raccolta dei dati
influisca sulla ricerca internazionale.

Come si evince dalla Tabella 3.3, è difficile ottenere una comparabilità dei dati quando si
conducono sondaggi internazionali. Solitamente, se lo studio include un elevato numero di Paesi,
sarà più probabile incorrere in errori, con il rischio di avere risultati e conclusioni poco accurati e
soggetti a fraintendimenti.
Nei progetti internazionali, la decisione principale è quella di determinare fino a che punto
centralizzare o delegare il lavoro ad agenzie locali. In tutto questo processo ci sono ampie
possibilità di fraintendimenti, errori e una limitata sensibilità culturale. Per procedere in modo
efficace, l’agenzia centrale dovrebbe identificare un numero di fornitori fidati per le ricerche di
mercato nei diversi continenti. Un’agenzia internazionale, generalmente, avrà una rete fidata di
affiliati che dovrà monitorare in modo continuativo.
CASE HISTORY 2
In che modo le aziende dovrebbero calcolare l’efficacia di tutti i punti di contatto nelle interazioni
con i clienti, non solo relativamente alle comunicazioni di marketing? Per scoprirne di più,
parliamo con Fiona Blades (in foto), chief experience officer presso la MESH Planning.
La MESH Planning è un’agenzia innovativa, nata nel 2006, che si occupa di ricerca di mercato.
Fiona Blades, avendo lavorato come direttrice della pianificazione pubblicitaria, aveva osservato
in prima persona come le aziende, focalizzandosi troppo sulla pubblicità televisiva, raramente
fossero in grado di ottenere i dati di cui avevano bisogno dalle tradizionali valutazioni delle
campagne.
Inoltre, poiché le domande sull’efficacia pubblicitaria venivano spesso inserite nel monitoraggio
della salute del brand, aveva notato la tendenza a credere che fosse la pubblicità a causare
cambiamenti in quest’ultima, mentre molto spesso non è così.
In realtà, i dati a disposizione della MESH mostrano che l’utilizzo è il contatto più autorevole per
quasi tutte le categorie di offerta. I risultati dell’analisi tradizionale delle campagne venivano

58
comunicati molto tempo dopo la campagna stessa, rendendo impossibili modifiche in itinere. La
risposta della MESH Planning fu quella di sviluppare una procedura di ricerca mirata a calcolare
l’efficacia dei contatti tramite un procedimento chiamato «rilevamento dell’esperienza in tempo
reale» (RET, dall’inglese real-time experience tracking), che si concentra sulle esperienze che
colgono l’essenza del brand, e non su misurazioni intermedie.
Il rilevamento dell’esperienza in tempo reale unisce una serie di fonti diverse di dati: utilizza i
tradizionali dati di indagine e le esperienze in modo quantitativo, applica loro alcune rilevazioni
statistiche e analizza i commenti qualitativi. Dato che MESH opera soprattutto attraverso la
figura professionale dei planner (account e media planner) e di esperti di ricerche di mercato, il
risultato finale per il cliente si fonda sul binomio consiglio/azione piuttosto che su quello
risultati/ricerca.
I clienti si affidano alla MESH perché il metodo RET permette di raccogliere le risposte delle
persone nei diversi punti di contatto, compresi quelli che non si era riusciti ad analizzare prima
(ad esempio comprendere se siano la televisione, il web o l’attività al dettaglio a guidare la
considerazione del brand). Questo approccio è più rapido e più economico rispetto agli strumenti
precedenti, come ad esempio il market mix modelling.
Al di là delle campagne di marketing, i clienti vogliono capire l’impatto dell’attività al dettaglio e
il percorso che porta all’acquisto. I clienti della MESH hanno riportato ottimi risultati con il RET:
i dirigenti della Energizer hanno calcolato che le nuove misurazioni hanno triplicato in maniera
positiva il rapporto costi/benefici della pubblicità, aumentando l’utile della Energizer 125nella
categoria rasoi del 10% in meno di quattro mesi; LG Electronics ha vinto l’ambìto premio POPAI
per l’efficacia della commercializzazione al dettaglio, attribuendo la vincita alla collaborazione
con la MESH; infine BSkyB ha effettuato una nuova valutazione di come spendere 165 milioni di
euro all’anno grazie all’analisi RET.
Gatorade, un altro cliente, ha deciso di riposizionare la sua offerta dalla categoria delle bevande
sportive a quella dell’alimentazione sportiva, il cui lancio in Messico includeva pubblicità
televisiva, sponsorizzazioni e un’innovativa strategia di canale che utilizzava luoghi basati
sull’esperienza come palestre, centri fitness e parchi.

59
CAPITOLO 4 – AMBIENTE E STRATEGIE DI MARKETING
CASO HISTORY 1
HERA, quotata in Borsa dal 2003, è oggi tra le maggiori multiutility nazionali,
operativa principalmente nei settori ambiente (gestione rifiuti), idrico (acquedotto,
fognature e depurazione) ed energia (distribuzione e vendita di energia elettrica,
gas e servizi energia). Abbiamo parlato con Isabella Malagoli, direttore generale di
HERA Comm (società di vendita del Gruppo), per comprendere come i mutamenti
ambientali stanno influenzando le scelte strategiche e operative dell’azienda.
HERA è nata nel 2002 dall’aggregazione di undici aziende municipalizzate emiliano-romagnole,
prima esperienza nazionale di questo tipo. Nel tempo HERA ha intrapreso un cammino di
crescita costante ed equilibrata, incorporando nel Gruppo altre società attive negli stessi ambiti.
Una pluralità di servizi in continuo e costante sviluppo, che rispondono alle cinque leve su cui si
basa l’impianto strategico del Gruppo: crescita, efficienza, eccellenza, innovazione e agilità.

A livello globale possiamo osservare una serie di macro tendenze che impattano sull’ambiente e
sulle risorse, sugli aspetti sociali e su quelli economici, e che pongono importanti sfide. Le
Nazioni Unite hanno elaborato una serie di obiettivi proprio per rispondere a questi trend e le
multiutility, per la peculiarità dei servizi offerti e per il loro stretto rapporto con il territorio,
possono contribuire attivamente a questa transizione in atto.
Il Gruppo HERA, quale riferimento nazionale nel settore, accoglie in pieno la call to action
globale e la declina in modo puntuale anche all’interno della propria strategia. Un ruolo di primo
piano nella transizione in atto è inoltre coerente con la mission aziendale, stabilita 15 anni fa in
occasione della sua fondazione. HERA si propone fin dall’inizio di «… essere la migliore
multiutility italiana per i suoi clienti, i lavoratori e gli azionisti, attraverso l’ulteriore sviluppo di
un originale modello di impresa capace di innovazione e di forte radicamento territoriale, nel
rispetto dell’ambiente».
HERA Comm è la società di vendita, controllata da HERA S.p.A., che opera su tutto il territorio
nazionale svolgendo la propria attività nei diversi mercati energetici. In qualità di operatore del
mercato libero svolge la propria attività di vendita principalmente in Emilia Romagna, Toscana,
Marche, Umbria, Abruzzo, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, direttamente o attraverso
società controllate. Ad oggi conta 1,5 milioni di clienti per la fornitura del gas naturale con un
totale di circa 2,1 miliardi di metri cubi venduti e circa 1,1 milioni di clienti per la fornitura di
energia elettrica, per un totale di circa 11,9 TWh venduti.
Le offerte commerciali di HERA Comm per le famiglie e le attività produttive sono il risultato di
una costante attenzione allo stile di vita, alle abitudini, alla sensibilità dei clienti e alle loro
esigenze di consumo e di spesa energetica. Esse vengono dunque pensate e costruite per portare
valore al cliente, attraverso modelli innovativi e con l’impegno di rispettare l’ambiente.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Malagoli quali sono le principali opportunità sul mercato per
HERA Comm: «L’azienda vuole rappresentare un punto di riferimento per i clienti attraverso
un’impresa capace di innovazione e di forte radicamento territoriale, tale da con137tribuire allo
sviluppo delle città in cui opera con attività che rispondano pienamente agli obiettivi dell’Agenda
ONU 2030. Per quanto riguarda il settore dell’energia, dunque, sarà importante interpretare un
ruolo di valore sui temi della sostenibilità, sia dal punto di vista climatico che dal punto di vista
ambientale, cercando di limitare al minimo gli sprechi. Inoltre, la nostra figura consulenziale
sarà cruciale per aiutare il consumatore a capire come usare le proprie risorse, infatti con i clienti
cerchiamo di offrire servizi a valore aggiunto che vanno oltre la semplice fornitura di energia».
Uno di questi, per esempio, è il Diario dei Consumi, che fornisce all’utilizzatore una serie di
informazioni quali: il benchmark con il riepilogo dei consumi per periodo, il confronto con clienti
sia «simili» che più «virtuosi», il confronto dei consumi con l’anno precedente con
destagionalizzazione per quanto riguarda il gas, l’incidenza sull’ambiente (emissioni di CO 2) dei
propri consumi rispetto allo scorso anno e alcuni consigli per ridurli. Il progetto prevede di

60
accompagnare il cliente dalla comprensione dei propri consumi alla riduzione degli stessi, grazie
allo sviluppo di una gamma di soluzioni per l’efficienza e il risparmio energetico, rendendolo
partecipe dello sviluppo sostenibile della città in cui vive: è il caso della vendita di sistemi di
efficienza nell’illuminazione, di termostati intelligenti, di apparecchiature per la misura in tempo
reale dei propri consumi, ma anche dello sviluppo della mobilità sostenibile, dalla fornitura di
sistemi di ricarica dei veicoli con relativi servizi di gestione e telecontrollo, fino alla futura
integrazione con sistemi di «storage».

Il direttore generale evidenzia poi le minacce derivanti dall’ambiente esterno: «Il nostro settore è
caratterizzato da complessità tecniche e di contesto che non sono semplici da assorbire per un
newcomer. Esiste comunque la possibilità di ingresso di altri player extra settore, come possono
essere società di servizi energetici (ESCO), di facility management o operatori provenienti dal
mondo digital e dal retail che potrebbero avere interesse a penetrare il mercato su larga scala».
Il mercato riconosce grande competenza al Gruppo HERA, rendendo molto efficace la
proposizione dell’offerta a tutti i target, compreso chi decide di affrontare il processo di acquisto
completamente online senza ricevere alcuna assistenza diretta dallo staff aziendale. La gestione
dei clienti avviene con un sistema di customer relationship management articolato in sportelli
fisici, call center differenziati per target e canali web.
I servizi online sono sempre più utilizzati dai clienti anche grazie all’implementazione di nuovi
metodi di pagamento online, all’attivazione di nuovi canali di contatto (la live chat, il servizio di
call back, la prenotazione online delle visite presso gli sportelli e la possibilità di formulare
richieste scritte) e al miglioramento
dei servizi dedicati alla clientela business. L’interesse dei clienti per i servizi digitali è dimostrato
dai sempre crescenti download dell’app My HERA, che permette di gestire tutte le forniture via
smartphone o altro device mobile. Attraverso il monitoraggio continuo della customer
satisfaction, l’azienda cerca di dare risposte alle esigenze dei clienti con una relazione sempre più
consolidata, come testimoniato dall’aumento dei contatti all’interno della customer base.
«I nostri maggiori punti di forza» continua la dottoressa Malagoli «sono fondamentalmente tre:
l’eccellenza della digitalizzazione dei nostri processi, come per esempio l’applicazione
dell’intelligenza artificiale per il dialogo più veloce con il cliente; l’agilità, ovvero la nostra abi lità
nell’essere snelli nella gestione dei processi, attraverso la metodologia agile orientata alla
customer experience e al design thinking; 138la crescita, che è intrinseca nella nostra natura, in
quanto azienda commerciale indirizzata a un portafoglio di mercati molto più ampio».
In ottica futura il Gruppo ha pianificato diverse attività: «Rilanceremo il progetto per abbassare i
consumi che, nel 2018, ha generato un risparmio di circa il 2,5% sui clienti che ricevono il Diario
dei Consumi, daremo seguito al filone dei progetti cause related marketing (attività di marketing
collegate a una causa di rilevanza sociale) che si sono rivelati molto validi, come
l’iniziativa Elimina la bolletta, regala un albero alla tua città, continueremo a investire nel
progetto sulle scuole Digi e lode per far in modo che possano acquisire strumenti digitali e, infine,

61
daremo seguito ai progetti come HERA Solidale, che nasce con l’obiettivo di promuovere tra i
lavoratori il sostegno ad associazioni di volontariato presenti nei territori in cui l’azienda opera e
che più si distinguono per il loro impegno» conclude la dottoressa Malagoli.

4.1 – INTRODUZIONE

Come fanno le aziende a tenere il passo con i numerosi cambiamenti nella politica, nei mercati e
nell’economia? Quali processi utilizzano per cercare di anticipare i cambiamenti tecnologici?
Come stabiliscono le loro posizioni competitive e gli obiettivi strategici di marketing? All’interno
del capitolo verranno analizzati questi concetti.
L’ambiente esterno, ad esempio, comprende fattori politici, sociali e tecnologici, e le aziende ne
hanno spesso un controllo molto limitato, se non addirittura nullo. L’ambiente competitivo è
costituito da concorrenti, fornitori e fornitori di servizi indiretti, che influenzano il modo in cui le
aziende raggiungono i loro obiettivi. Qui, le aziende hanno una maggiore influenza.
L’ambiente interno riguarda le risorse, i processi e le politiche con cui un’azienda raggiunge i
propri obiettivi, influenzando direttamente i fattori che lo compongono. Discutiamo anche di
come le aziende valutano la loro posizione competitiva grazie all’analisi dei punti di forza, delle
debolezze, delle opportunità e delle minacce (analisi SWOT), di come determinano gli obiettivi
strategici e le azioni che intendono intraprendere, e di come redigono i relativi piani di
marketing. Innanzitutto, consideriamo il concetto di analisi dell’ambiente di marketing
(vedi Figura 4.1).

4.2 – COMPRENDERE L’AMBIENTE ESTERNO

Per dare un senso all’ambiente esterno, utilizziamo il noto acronimo PESTLE. L’acronimo deriva
dai fattori «politico, economico, socioculturale, tecnologico, giuridico ed ecologico» (cfr. Figura
4.2), che costituiscono il quadro più diffuso per la valutazione dell’ambiente esterno.

62
4.2.1 – IL CONTESTO POLITICO

I fattori politici nell’ambiente esterno riguardano l’interazione tra impresa, società e governo. La
comprensione dei fattori politici riguarda le condizioni antecedenti all’emanazione delle leggi,
quando sono ancora in fase di stesura o in discussione. L’analisi dell’ambiente politico è
importante perché le aziende possono rilevare potenziali modifiche legali e normative nel proprio
settore e hanno la possibilità di ostacolare, influenzare e modificare tale legislazione.
Anche se il contesto politico è per molti versi incontrollabile, ci sono circostanze in cui un’azienda
o una coalizione di aziende appartenenti allo stesso settore possono influenzare la legislazione a
proprio favore.
Un’azienda può superarne altre, se riesce a gestire i rapporti con il governo e gli enti che
legiferano meglio dei suoi concorrenti (Hillman et al., 2004; Lawton e Rajwani, 2011).
In generale, esistono diversi modi in cui gli esperti di marketing possono intrattenere relazioni
tra imprese e amministrazione pubblica in vari Paesi:
• le aziende lobbistiche, con conoscenze chiave del settore, possono essere coinvolte
in modo permanente o all’occorrenza;140
• le società di pubbliche relazioni (PR) come Weber Shandwick, possono essere
ingaggiate per i loro servizi politici, spesso con membri del parlamento (MP) o con
figure dotate di un alto grado di influenza politica che fungono da direttori e/o
consulenti, negli stati in cui questo è legale;
• un politico può essere retribuito per fornire consulenza su questioni importanti
per un’azienda, se ciò è legale all’interno di quella particolare giurisdizione e se
tale politico non presta servizio direttamente all’interno del governo occupandosi
di aspetti vicini a quelli per cui presta la sua consulenza;
• un’associazione di settore può essere contattata per fare pressione a nome dei suoi
membri (ad esempio, nell’industria europea dei servizi finanziari, la Federazione
bancaria dell’Unione europea);
• un politico può essere invitato a far parte del consiglio di amministrazione o dei
consiglieri di un’organizzazione, ove ciò sia legale, per aiutare l’azienda a
sviluppare le proprie relazioni tra imprese e amministrazione pubblica.
Le aziende spesso collaborano tra loro per influenzare i governi. Ciò è possibile per mezzo di
organizzazioni industriali o commerciali, oppure collaborando con altre grandi aziende del
settore. Ad esempio, EuropaBio è composta da tre settori principali dell’industria biotecnologica

63
europea: sanitario (Red Biotech), industriale (White Biotech) e agroalimentare (Green Biotech).
Gli esperti delle aziende associate partecipano attivamente a gruppi di lavoro e task force per
coprire un’ampia gamma di questioni e preoccupazioni specifiche del loro settore, nel tentativo di
influenzare gli stakeholder, compresi i governi nazionali e la legislatura europea.
Nelle industrie con un impatto sociale e ambientale significativo (ad esempio petrolio e gas,
infrastrutture portuali, telecomunicazioni), l’analisi e la gestione del contesto politico è
particolarmente importante per consentire all’impresa di operare con successo. Leggete il Market
Insight 4.1 sul caso di un’azienda che cerca di gestire le relazioni con importanti stakeholder
locali.
4.2.2 – IL CONTESTO ECONOMICO

Le aziende e le organizzazioni devono comprendere i fattori economici dell’ambiente esterno


perché la situazione economica di un Paese ha un impatto su ciò che gli economisti definiscono
«fattore prezzo» all’interno di un particolare settore industriale e per ogni particolare azienda.
L’ambiente economico di un’impresa è influenzato dai seguenti fattori:
• inflazione salariale – gli aumenti salariali annuali in un determinato settore
dipenderanno dall’offerta di manodopera in quel settore. In caso di scarsità
dell’offerta, i salari aumentano (ad esempio, i medici);
• inflazione dei prezzi – la spesa dei consumatori per beni e servizi dipende dalla
disponibilità degli stessi sul mercato. Se l’offerta è scarsa, di solito si assiste a un
aumento del prezzo di quel bene o servizio di consumo (come nel caso della
benzina);
• il prodotto interno lordo (PIL) pro capite – il valore di tutto quello che
produce un Paese rappresenta una grandezza molto importante per valutare lo
stato di salute di un’economia e per determinare la ricchezza relativa tra Paesi
quando viene calcolato per membro della popolazione, ossia come PIL pro capite
a parità di potere d’acquisto (PPA);
• le imposte sul reddito, sulle vendite e sulle società – generalmente applicate in
tutti i Paesi del mondo, a livelli diversi, influenzano sostanzialmente il modo in cui
commercializziamo le diverse offerte;
• i tassi di cambio – calcolare il valore relativo di una valuta rispetto a un’altra è
fondamentale per quelle aziende che operano in mercati esteri o che detengono
riserve finanziarie in altre valute;
• i controlli delle quote di esportazione e i dazi doganali – spesso esistono
restrizioni sulle quantità (quote) di beni e servizi che una particolare azienda o
industria può importare in un Paese, e possono esserci dei blocchi commerciali a
seconda del Paese in cui una società o im142presa esporta. Inoltre, a volte, i Paesi
applicano una specifica tassazione su particolari articoli per scoraggiare o
incoraggiare le importazioni e per proteggere le proprie economie.
Le aziende esercitano generalmente un impatto limitato sul contesto economico generale, perché
hanno uno scarso controllo sulle variabili macroeconomiche. Ad esempio, le imprese non hanno
alcun controllo sui prezzi del petrolio, che potrebbero influire sulle loro attività in modi diversi.
Quando si esamina l’ambiente macroeconomico, la vera sfida è prevedere i cambiamenti in
quell’ambiente e come questi potrebbero influenzare le attività dell’azienda.
Se l’inflazione fa salire i prezzi per i consumatori in un determinato Paese, il prezzo dei beni
potrebbe aumentare, provocando un calo delle vendite. In genere, durante un periodo
di recessione, i consumatori tendono ad acquistare meno beni e ad aumentare i loro risparmi;
pertanto i prezzi scendono ulteriormente man mano che i produttori cercano di stimolare una
domanda tardiva. Gli indicatori economici sono spesso disponibili presso le banche centrali
governative.
Visitate le risorse online e completate l’Attività 4.1 per saperne di più su come è cambiato il
contributo delle industrie dei servizi nei confronti dell’economia nazionale del Regno Unito negli
ultimi dieci anni.

64
4.2.3 – IL CONTESTO SOCIO-CULTURALE

Gli stili di vita cambiano costantemente e, nel tempo, anche le preferenze dei consumatori si
modificano. Le aziende che non riescono a riconoscere i cambiamenti nell’ambiente socio-
culturale, adattando o modificando la loro offerta, spesso falliscono.
Ad esempio, la nuova attenzione al mangiar sano e agli stili di vita ha avuto un impatto su due
grandi marchi in particolare: McDonald’s e Coca-Cola. Nel 2015, dopo diversi anni di vendite in
calo, McDonald’s ha ammesso di non essere riuscita a tenere il passo con il cambiamento dei
gusti dei consumatori. Il suo piano di ristrutturazione è stato progettato per snellire le operazioni
e per semplificare la burocrazia, con l’obiettivo di far risparmiare all’azienda 300 milioni di
dollari.
I fattori socio-culturali che le aziende devono considerare comprendono la natura mutevole delle
famiglie, la demografia, gli stili di vita e il cambiamento dei valori diffusi nella società.
Demografia e stili di vita
I cambiamenti che riguardano la popolazione hanno un impatto sulle attività di marketing di
un’azienda. Nel Regno Unito (e in alcuni altri Paesi europei), dopo l’allargamento dell’Unione
europea, è aumentata l’immigrazione dalla Polonia e questo ha comportato che alcuni
supermercati si rivolgessero specificamente ai clienti polacchi proponendo pubblicità in polacco
e prodotti come borscht, polpette, verdure sottaceto e crauti (BBC News, 2006).
Inoltre, si verificheranno cambiamenti anche nelle fasce d’età all’interno delle diverse
popolazioni. Alcuni Paesi hanno una percentuale relativamente elevata di persone nella fascia
d’età «65 143anni o più», vale a dire il mercato «grigio» o «argentato», chiamato così con
riferimento al colore dei capelli degli anziani. Alcuni Paesi e regioni, come molti Paesi africani e
mediorientali, hanno una percentuale relativamente elevata di cittadini più giovani. Questi
cambiamenti nella popolazione e le differenze relative all’età danno origine a mercati di
dimensioni diverse per la proposta dei brand.

4.2.4 – IL CONTESTO TECNOLOGICO

L’emergere di nuove tecnologie ha influito sulla maggior parte delle imprese. Tra gli esempi si
possono citare le tecnologie dedicate alla produttività e all’efficienza aziendale, come i
cambiamenti nei settori dell’energia, dei trasporti e delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (TIC). Le nuove tecnologie cambiano anche il modo in cui le imprese entrano nel
mercato. Attualmente le aziende sono costrette a utilizzare una varietà di canali. Ad esempio, una
curiosa applicazione consente di verificare se un melone è maturo: l’utente appoggia il microfono
dello smartphone su un melone, preme un pulsante e tocca il melone; l’applicazione utilizza un
algoritmo per determinare dal suono se il melone è pronto per essere mangiato.
Analizzando l’ambiente tecnologico occorre prestare attenzione all’andamento della ricerca e
dello sviluppo (R&S) nella propria attività e in quella dei concorrenti. Occorre effettuare ricerche
regolari di brevetti, marchi e assegnazioni di diritti d’autore, nonché mantenere un interesse
generale per i progressi tecnologici e scientifici. Le aziende spesso sviluppano nuovi prodotti
sulla base delle modifiche dei brevetti registrati dai loro concorrenti. Questo processo,
chiamato ingegneria inversa, è spesso il risultato dell’incapacità di un’azienda di trasformare i
propri progressi tecnologici in un vantaggio competitivo sostenibile (Rao, 2005). Non
appena viene introdotta una nuova variante di offerta, questa viene rapidamente copiata. Per
superare questo problema, le aziende cercano di introdurre un flusso costante di nuove proposte
e di rimanere il più vicino possibile al consumatore.

4.2.5 – IL CONTESTO GIURIDICO

65
I fattori legali coprono ogni aspetto dell’attività di un’azienda. Nella maggior parte dei Paesi
vengono emanate leggi e regolamenti che riguardano la trasparenza dei prezzi, la sicurezza dei
prodotti, la promozione di buone pratiche di imballaggio ed etichettatura, la prevenzione di
pratiche 144commerciali restrittive e l’abuso di una posizione dominante sul mercato, fino ai
codici deontologici nella pubblicità, solo per citarne alcuni.
Nell’Unione europea, ad esempio, la sicurezza dei prodotti è regolata dalla Direttiva sulla
sicurezza generale dei prodotti del 2001, che mira a proteggere la salute e la sicurezza dei
consumatori sia per gli Stati membri dell’UE sia per gli importatori da Paesi terzi verso l’Unione
europea o per i loro agenti UE. Nel caso in cui i prodotti comportino gravi rischi per la salute dei
consumatori, la Commissione europea può intervenire, imponendo sanzioni in denaro e/o penali
ai trasgressori. La Direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti non riguarda la sicurezza
alimentare, che è invece soggetta a un’altra direttiva UE, in base alla quale sono state istituite
un’Autorità europea per la sicurezza alimentare e una serie di regolamenti in materia. Le aziende
che operano in questi settori devono tenere il passo con i cambiamenti legislativi, perché, in caso
contrario, questo potrebbe compromettere la loro attività.
4.2.6 – IL CONTESTO ECOLOGICO

Il concetto di «sostenibilità del marketing» è ormai consolidato e un numero crescente di


consumatori esprime la sua preoccupazione per l’impatto che le aziende hanno sull’ecologia.
Le questioni legate alla sostenibilità comprendono l’approvvigionamento di prodotti provenienti
da Paesi con policy sul lavoro quasi assenti e coercitive. Sia Nike sia Apple hanno modificato
parte della loro catena di fornitura in seguito alle indagini di cui sono state oggetto. I
consumatori desiderano che le aziende e i loro prodotti non danneggino l’ambiente e che non
arrechino danni ai consumatori. Ciò ha permesso un aumento della popolarità dei prodotti del
commercio equo e solidale.
In che modo un’organizzazione dovrebbe abbracciare la tendenza al cambiamento verso la
sostenibilità? Per rispondere a questa domanda, Orsato (2006) propone quattro strategie
alternative di marketing verde.
Eco-efficienza: questa strategia comporta costi più bassi attraverso processi organizzativi come
promuovere la produttività delle risorse (ad esempio l’efficienza energetica) e migliorare l’utilizzo
delle risorse naturali. Questo approccio dovrebbe essere adottato dalle aziende che mirano a
ridurre i costi e l’impatto ambientale dei loro processi organizzativi. Le catene di supermercati in
Norvegia e in altri Paesi scandinavi, ad esempio, hanno da tempo incoraggiato la pratica del
riciclo.
• Oltre la leadership della conformità: questo approccio comporta l’adozione di una
strategia di differenziazione attraverso processi organizzativi quali
certificazioni per dimostrare le credenziali ecologiche e l’eccellenza ambientale, ad
esempio l’adozione dei principi del Global Compact delle Nazioni Unite o di altri
schemi e codici dei sistemi di gestione ambientale (SGA). Questo approccio
dovrebbe essere adottato dalle imprese che riforniscono i mercati industriali,
come le case automobilistiche.145
• Eco-branding: un’azienda può differenziare i propri prodotti o servizi per
promuovere la responsabilità ambientale. Alcuni esempi includono il marchio
alimentare Duchy Originals della britannica Prince of Wales, il marchio Golden
Place del defunto re thailandese Bhumibol o la Toyota Prius.
• Leadership dei costi ambientali: questa strategia si realizza attraverso offerte con
maggiori benefici ambientali a un prezzo più basso e si adatta in particolare alle
aziende che operano nei mercati maggiormente sensibili ai prezzi e all’ambiente,
come l’industria chimica e degli imballaggi.
Qualunque sia l’azienda e l’industria, le tendenze ecologiche nel marketing sembrano destinate a
durare e a svilupparsi ulteriormente e, mentre imperversa il dibattito sulla sostenibilità, le
aziende lo utilizzano per sviluppare le proprie strategie competitive.

66
«Scansione» ambientale?
Le aziende devono monitorare tutti gli elementi PESTLE, ma per alcuni settori industriali alcuni
fattori sono più importanti di altri. Le organizzazioni farmaceutiche come GlaxoSmithKline
devono prestare particolare attenzione al monitoraggio degli sviluppi legali e normativi (ad
esempio in relazione all’etichettatura, ai brevetti e ai test); l’Agenzia per l’ambiente monitorerà i
cambiamenti politici ed ecologici (comprese questioni come le pianure alluvionali destinate agli
insediamenti abitativi); le aziende di trasporto stradale dovrebbero monitorare i cambiamenti
che hanno un impatto sullo sviluppo dei trasporti (ad esempio, la tassazione del gasolio, le strade
a pedaggio); i distributori musicali dovrebbero monitorare i cambiamenti tecnologici e gli
sviluppi socio-culturali associati (ad esempio, le tendenze di download e il cloud computing).
Pensate agli impatti imprevedibili nel 2020 causati dalla pandemia Covid-19. E alle ripercussioni
che sicuramente andranno a modificare molti aspetti relativi all’ambiente di marketing. Il 4
aprile 2020, Confindustria avviò una seconda indagine sugli effetti della pandemia da Covid-19
per le imprese italiane intervistandone oltre 4.000. I principali risultati furono: - netto
peggioramento rispetto alla percezione della prima indagine per l’impatto negativo che avrebbe
creato il coronavirus; - il 36,5% dei rispondenti, in seguito all’emanazione dei DPCM del 22 e del
25 marzo, chiusero la propria attività, mentre il 33,8% la chiusero parzialmente; - il 26,4% dei
dipendenti totali delle aziende intervistate svolgeva la propria attività in smart working, mentre il
43,0% risultava essere inattivo; - in media, rispetto alla normalità (marzo 2019), si è assistito a
un calo del 32,6% del fatturato e del 32,5% delle ore lavorate; - l’84,5% delle aziende stava
riscontrando problemi relativi al rallentamento della domanda nel mercato domestico e nel
mercato internazionale; - il 78,2% non riusciva a identificare alcuna strategia per superare la
crisi, sentendosi «disarmati» verso un evento imprevedibile.
Per comprendere i cambiamenti del loro ambiente esterno, le aziende devono mettere in atto
metodi e processi per aggiornarsi sugli sviluppi. Questo processo di raccolta delle informazioni
sugli eventi e le relazioni esterne all’azienda, volto ad assistere l’alta dirigenza nel suo processo
decisionale e nello sviluppo di un piano d’azione, viene chiamato «scansione»
ambientale (Aguilar, 1967). Si tratta di comunicare internamente le informazioni esterne su
questioni che possono potenzialmente influenzare il processo decisionale dell’azienda,
identificando le questioni emergenti, le situazioni e le potenziali minacce provenienti
dall’ambiente esterno (Albright, 2004). Possiamo raccogliere le informazioni necessarie a
svolgere la scansione ambientale a partire dalla reportistica aziendale, dai giornali, dalle relazioni
e riviste di settore, dalle relazioni governative e dalle relazioni di marketing intelligence (per
esempio quelle pubblicate da Datamonitor, Euromonitor e Mintel).
Visitate le risorse online e seguite i link per saperne di più sulle informazioni e i servizi offerti
da Datamonitor, Euromonitor e Mintel.146
Importanti sono anche le fonti di informazioni personali, cosiddette «soft», ottenute attraverso il
networking, come i contatti alle fiere, in particolare per quanto riguarda la concorrenza, le leggi e
le normative. Tali fonti di informazioni verbali e personali possono essere particolarmente utili
negli ambienti in rapida evoluzione (May et al., 2000), quando le informazioni non sono ancora
state scritte e diffuse dai governi, dalle industrie o dalle imprese specifiche.

4.3 – COMPRENDERE L’AMBIENTE COMPETITIVO

L’ambiente competitivo, noto anche come «microambiente», è costituito da quelle organizzazioni


che direttamente o indirettamente influenzano le prestazioni operative di un’azienda. Se ne
distinguono tre tipi principali:
• le aziende che competono con l’organizzazione nel perseguimento dei propri
obiettivi;
• le aziende che forniscono materie prime, beni e servizi, e quelle che agiscono come
distributori e rivenditori, più a valle nel canale del marketing, che hanno tutte la
possibilità di influenzare direttamente le prestazioni di un’organizzazione

67
aumentando il valore aggiunto attraverso la produzione, l’assemblaggio e la
distribuzione dei prodotti prima di raggiungere l’utente finale;
• le aziende che dispongono del potenziale per influenzare indirettamente le
prestazioni dell’organizzazione nel perseguimento dei suoi obiettivi, che spesso
forniscono servizi come consulenza, servizi finanziari, ricerche di mercato, o le
agenzie di comunicazione.

4.3.1 – ANALISI DEL SETTORE

Un settore industriale è composto da varie organizzazioni che commercializzano offerte simili.


Secondo Porter (1979), dovremmo esaminare l’ambiente «competitivo» all’interno di un
settore 147per identificare le principali forze competitive, perché questo ci aiuta a valutarne
l’impatto sulle posizioni competitive presenti e future di un’azienda.
Pensiamo a settori come la cantieristica navale, l’industria automobilistica, il carbone e l’acciaio,
in cui i livelli di redditività sono stati deboli e poco attraenti per potenziali aziende entranti. Le
pressioni concorrenziali in tutti questi mercati variano notevolmente, ma vi sono sufficienti
analogie per stabilire un quadro analitico all’interno del quale valutare la natura e l’intensità
della concorrenza.
Porter suggerisce che la concorrenza all’interno di un settore è composta da cinque forze: il
livello di minaccia dei nuovi concorrenti che entreranno sul mercato, la minaccia rappresentata
dai prodotti sostitutivi e il potere contrattuale sia degli acquirenti sia dei fornitori, che a loro
volta influenzano l’intensità della rivalità tra gli attuali concorrenti. Porter ha definito queste
variabili le «cinque forze dell’analisi competitiva del settore» (cfr. Figura 4.3).
Come regola generale, più intensa è la rivalità tra gli operatori del settore, minore è la loro
performance complessiva. D’altra parte, più bassa è la rivalità, maggiori saranno le prestazioni
degli operatori.148

Analisi della concorrenza allargata: le Cinque forze di Porter.


Nuovi entranti
I settori industriali sono raramente statici: aziende e marchi entrano ed escono continuamente.
Si consideri l’industria britannica delle bevande, che ha visto l’ingresso di produttori sul
segmento energy drink come la Red Bull. Questa società è stata in competizione con colossi del
settore come PepsiCo, Coca-Cola e Lucozade di GlaxoSmithKline, la bevanda energetica originale
del mercato britannico.
I nuovi entranti possono essere limitati da politiche governative e normative o possono essere
esclusi da un settore a causa dei requisiti di capitale necessari per avviare un’attività.

68
Nell’industria petrolifera e del gas, ad esempio, sono necessarie ingenti somme di capitale non
solo per finanziare le attività esplorative, ma anche per finanziare le operazioni di estrazione e
raffinazione.
Diversamente, le imprese possono essere escluse perché le aziende di un mercato si avvalgono di
offerte o tecnologie proprie. Un buon esempio è l’industria farmaceutica, in cui i brevetti
proteggono gli investimenti delle imprese nei nuovi farmaci. I costi per sviluppare un nuovo
farmaco nel 2014 ammontavano a circa 2,56 miliardi di dollari (Edney, 2014). Poche aziende
possono permettersi di competere in un mercato in cui i costi di preparazione, ricerca e sviluppo
sono così elevati.
Prodotti sostitutivi
In qualsiasi settore industriale, esistono solitamente offerte sostitutive che svolgono la stessa
funzione o soddisfano le stesse esigenze dei clienti. Levitt (1960) ha avvertito che molte aziende
non riescono a riconoscere la minaccia competitiva di soluzioni alternative, citando come
esempio il rifiuto dell’industria ferroviaria americana di vedere la minaccia competitiva derivante
dalla crescente industria automobilistica e delle compagnie aeree nel settore dei trasporti.
I consumatori prendono in considerazione i costi di passaggio associati a una decisione di
acquisto: a loro volta, i costi di passaggio influenzano la propensione dei consumatori a sostituire
l’offerta con un’altra. Se volessimo viaggiare da Amsterdam a Parigi, potremmo volare
dall’aeroporto di Schiphol all’aeroporto Charles de Gaulle, prendere il treno o guidare.
Consideriamo le differenze di prezzo relativo (il volo è probabilmente il più costoso, ma non
necessariamente) e prendiamo in considerazione anche la comodità e la convenienza di questi
diversi viaggi prima di compiere finalmente la nostra scelta. Nell’analizzare il nostro
posizionamento all’interno di un settore, dovremmo anche considerare quali offerte alternative
esistono sul mercato che soddisfano, in misura maggiore o minore, le esigenze dei nostri clienti.
Acquirenti
Le aziende dovrebbero domandarsi quale percentuale delle loro vendite rappresenta un singolo
acquirente. Si tratta di una questione importante perché, se un’impresa acquista grandi volumi di
offerte dalla sua impresa fornitrice, come fanno le case automobilistiche con i fornitori di acciaio,
è probabile che sia in grado di chiedere delle riduzioni di prezzo (prezzo per acquisto totale)
qualora sul mercato siano presenti molti fornitori concorrenti in relazione alla percentuale di
acquirenti (concentrazione degli acquirenti rispetto alla concentrazione delle imprese).
Un fattore che incide sul potere contrattuale dell’acquirente è la sensibilità ai prezzi di una
determinata impresa. A seconda delle circostanze commerciali, alcune aziende possono essere
più sensibili ai prezzi di altre, e nel caso in cui ci siano numerosi fornitori concorrenti per la loro
attività, è probabile che cambino fornitore piuttosto che rimanere fedeli a uno di essi. La maggior
parte delle aziende cerca di potenziare altri fattori associati all’offerta, come il servizio post -
vendita o la personalizzazione del prodotto/servizio, per ridurre la sensibilità al prezzo. Quando
si analizza un settore, bisognerebbe capire il potere contrattuale che gli acquirenti hanno con i
loro fornitori, perché questo può avere un impatto sul prezzo applicato e sui volumi venduti o sul
fatturato totale.149
Fornitori
Qualsiasi analisi del settore dovrebbe determinare il modo in cui i fornitori operano e l’entità del
loro potere contrattuale. Ad esempio, il mercato della costruzione di aeromobili è costituito da un
numero limitato di grandi fornitori, come Boeing e Airbus, e da un gran numero di clienti, vale a
dire le compagnie aeree nazionali e le compagnie aeree a basso costo; di conseguenza, sono i
fornitori a disporre del maggiore vantaggio contrattuale. Al contrario, nell’industria dei giochi
per computer, vi è un gran numero di fornitori, come le società di produzione di giochi e i
produttori di componenti per le console; i pochi grandi clienti, come Sony, Nintendo e Microsoft,
detengono il vantaggio contrattuale. Dovremmo anche considerare se i fornitori detengono
componenti, prodotti o servizi unici, in grado di migliorare la loro posizione contrattuale.
Concorrenti

69
Infine, dobbiamo anche capire come operano le aziende all’interno di quel particolare mercato.
Nel settore cosmetico del Regno Unito, ad esempio, i principali produttori sono Avon European
Holdings Ltd, Estée Lauder Cosmetics Ltd, L’Oréal (UK) Ltd, Procter & Gamble Ltd e il Gruppo
Unilever, insieme ai grandi rivenditori come Boots Group plc UK Ltd, The Body Shop
International plc e Superdrug Stores plc. Nell’effettuare un’analisi della concorrenza, dobbiamo
delineare la struttura di ogni società (ad esempio, i dettagli della holding principale, la singola
unità di business, gli eventuali cambiamenti di proprietà), gli sviluppi attuali e futuri (che spesso
possono essere desunti dalla lettura dei prospetti aziendali, dei siti web e dei rapporti di settore)
così come gli ultimi risultati finanziari dell’azienda. Dovremmo calcolare i volumi e le quote di
mercato per ogni concorrente, perché la quota di mercato è un’indicatore chiave della redditività
dell’azienda e del ritorno sull’investimento (Buzzell et al., 1975).
I concorrenti forniscono offerte che cercano di soddisfare le stesse esigenze di mercato delle
nostre. Ci sono diversi modi in cui un’esigenza può essere soddisfatta, ma essenzialmente le
aziende devono essere consapevoli dei loro concorrenti diretti e indiretti. I concorrenti diretti
forniscono offerte simili sullo stesso mercato di riferimento, ad esempio EasyJet, Flybe e
Ryanair. I concorrenti diretti possono offrire un prodotto della stessa categoria ma mirare a
segmenti diversi. Ad esempio, oltre ai maggiori produttori globali Unilever e Nestlé, marchi di
nicchia emergenti come Jude’s (Regno Unito), Ciao Bella (Stati Uniti), R&R Ice Cream (Europa)
e Mengniu Dairy (Cina) offrono una gamma di gelati per diversi target di mercato (Hughes
Neghaiwi e Geller, 2015). I concorrenti indiretti sono coloro che si rivolgono allo stesso mercato
di riferimento ma propongono un’offerta diversa per soddisfare le esigenze del mercato, ad
esempio Spotify, Sony e l’iPod di Apple.
4.3.2 – DISTRIBUTORI E SERVIZI LOGISTICI
Porter (1979) ha anche dedotto che i partner distributivi possono influenzare la concorrenza e,
quindi, li ha integrati nel suo modello delle Cinque forze. Anche i servizi di trasporto e consegna
costituiscono una parte importante del valore offerto ai clienti.
È facile trovare alti livelli di integrazione tra un produttore e i suoi distributori, grossisti e
rivenditori. Occorre tener conto della forza di queste relazioni e considerare come le capacità
degli 151intermediari possano rafforzare o indebolire le prestazioni del mercato. I distributori
sono diventati un elemento centrale della capacità di un’impresa di sviluppare uno
specifico vantaggio competitivo, per questo nell’analisi dell’ambiente competitivo andrebbero
tenuti in considerazione.

4.4 – COMPRENDERE L’AMBIENTE INTERNO


L’analisi dell’ambiente interno di un’azienda serve a comprendere e valutare le capacità e le
potenzialità dei prodotti, dei sistemi e delle risorse umane, di marketing e finanziarie.
L’attenzione è rivolta a due elementi principali, prodotti e aspetti finanziari, mediante un’analisi
del portafoglio.

4.4.1 – ANALISI DEL PORTAFOGLIO


Nella gestione di una raccolta, o «portafoglio», di offerte dovremmo considerare il fatto che la
performance di una singola offerta possa spesso non fornire informazioni utili. Ciò che è
veramente importante è comprendere le prestazioni relative delle offerte, rispetto al mercato e ai
competitor.
Nel 1977, il Boston Consulting Group (BCG) ha sviluppato l’idea originale nota come la Matrice
di Boston, nella Figura 4.4, che si basa su due variabili chiave: il tasso di crescita del mercato e
la quota relativa di mercato. Quest’ultima è misurata come percentuale della quota del più
grande concorrente del prodotto, espressa come frazione; quindi una quota relativa di 0,8
significa che il prodotto raggiunge l’80% delle vendite del volume (o valore, a seconda della
misura uti152lizzata) del leader di mercato. Questa non sarebbe la posizione concorrenziale più

70
forte ma non è nemmeno una posizione debole. Una quota di mercato relativa di 1 significa che
l’azienda condivide la leadership di mercato con un concorrente di pari quota. Se analizzata
mediante la Matrice di Boston, un’offerta rientra in una delle quattro categorie seguenti.

FIGURA 4.4
Matrice di Boston.
• Question mark: sono offerte presenti nei mercati in crescita ma hanno una bassa
quota di mercato. Di conseguenza, il flusso di cassa è negativo e non sono
redditizie.
• Star: sono molto probabilmente leader di mercato ma la loro crescita deve essere
finanziata attraverso livelli d’investimento piuttosto elevati.
• Cash cow: sono presenti in mercati abbastanza stabili, a bassa crescita e
richiedono pochi investimenti continui. La loro elevata quota di mercato attira sia
flussi di cassa positivi sia elevati livelli di redditività.
• Dog: registrano una bassa crescita, una bassa quota di mercato e generano flussi
di cassa negativi. Questi indicatori suggeriscono che molti di loro stanno operando
in mercati in declino e che non hanno un futuro a lungo termine.
In sostanza, la liquidità in eccesso generata dalle Cash cow dovrebbe essere utilizzata per
sviluppare Question mark e Star, che non sono in grado di sostenersi da sole. Questo
permetterebbe alle Star di diventare Cash cow ed essere autosufficienti. Le Dog dovrebbero
essere conservate solo fino a quando contribuiscono al flusso di cassa positivo e non limitano
l’uso di beni e risorse in altre parti dell’azienda. Altrimenti, dovrebbero essere dismesse o
eliminate dal portafoglio.
Tuttavia, il disinvestimento non è necessario solo a causa della bassa quota di mercato:
quando l’azienda farmaceutica Merck ha venduto Sirna Therapeutics ad Alnylam
Pharmaceuticals, la vendita della filiale per la distribuzione dei farmaci è stata annunciata come
un’operazione che consentisse a Merck di rimanere coerente con la strategia di ridurre la sua
enfasi sulle piattaforme tecnologiche. La politica di Merck consiste nel valutare se determinati
asset sono fondamentali per la sua strategia, se forniscono un vantaggio competitivo e se possono
generare maggiore valore come parte di Merck o al di fuori di Merck (Zhu, 2014).
Tracciando tutte le offerte di un’azienda all’interno della Matrice di Boston, diventa facile
apprezzare visivamente se un portafoglio è ben equilibrato (o meno). Se le offerte sono distribuite
equamente – o almeno non sono raggruppate in una singola area – e se le quote di mercato e i
flussi di cassa equivalgono alla posizione di mercato dell’impresa, se il portafoglio è
finanziariamente sano ed equilibrato. Un portafoglio sbilanciato vedrebbe troppe offerte
raggruppate in uno o due quadranti rendendo necessaria una valutazione sulle possibili strategie
per porvi rimedio, permettendo al tempo stesso di valutare le possibili conseguenze.
4.5 – ANALISI SWOT

71
Una volta esaminato l’intero ambiente operativo è essenziale raccogliere le informazioni in una
forma facilmente comprensibile. Forse lo strumento analitico più comune è l’Analisi SWOT
(acronimo che deriva da Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats, ossia punti di forza,
debolezze, opportunità e minacce). La struttura comprende una serie di check list presentate
come punti di forza e di debolezza interni e come opportunità o minacce esterne. I punti di forza
e le debolezze riguardano le risorse e le capacità dell’azienda, così come sono percepite dai clienti
(Piercy, 2002):153
• un punto di forza è un aspetto in cui un’azienda è molto competente, o qualcosa
che le conferisce particolare credibilità e vantaggio sul mercato;
• una debolezza è qualcosa in cui l’azienda è carente o che svolge in modo peggiore
rispetto agli altri.
Opportunità e minacce derivano dall’ambiente esterno e possono potenzialmente influenzare la
gestione di un’azienda o di un’offerta:
• un’opportunità è un modo potenziale in cui l’organizzazione può ottenere risultati
positivi sviluppando e soddisfacendo un bisogno di mercato ancora insoddisfatto;
• una minaccia è qualcosa che, in futuro, può destabilizzare e/o ridurre le potenziali
prestazioni dell’organizzazione.
L’analisi SWOT permette di ordinare le informazioni generate dall’analisi ambientale e di
identificare le questioni principali, spingendoci a pensare di convertire le debolezze in punti di
forza e le minacce in opportunità, ovvero permettendo di generare strategie di conversione.
Una volta ricavati i tre o quattro elementi di ogni parte della matrice SWOT è necessario porre
una serie di domande pertinenti:
1. L’azienda è di gran lunga migliore rispetto ai suoi rivali in qualche attività? In caso
affermativo, si parla di «vantaggio competitivo» (o «competenza distintiva», o
«vantaggio differenziale») e può portare a un vantaggio concorrenziale.
2. Quali sono le debolezze dell’organizzazione che andrebbero corrette e su quali
aspetti è vulnerabile dal punto di vista della competitività?
3. Quali sono le opportunità che possono essere perseguite e per le quali sono
disponibili le risorse e le capacità necessarie per sfruttarle?
4. Quali strategie sono necessarie per difendersi dalle minacce principali?
La Figura 4.5 mostra una matrice SWOT per una piccola agenzia di media digitali. Il risultato di
un’analisi SWOT di successo è una serie di decisioni che aiutano l’organizzazione a sviluppare e
formulare strategie e obiettivi (notate che non ci sono più di quattro elementi in una categoria. È
importante assegnare le priorità e valutare ciò che è veramente fondamentale).

72
FIGURA 4.5
Un’analisi SWOT per una piccola agenzia di media digitali.
Le debolezze devono essere indirizzate correttamente, non evitate. Alcune possono essere
convertite in punti di forza, altre in opportunità. In questo esempio, immettersi nel mercato dei
servizi professionali aumenterebbe probabilmente il numero di clienti e permetterebbe di
ottenere una maggiore marginalità.
Le minacce, invece, devono essere gestite. Ad esempio, costruendo relazioni con i principali
appaltatori (fornitori) e con strutture organizzative più grandi, queste minacce potrebbero essere
dissipate o addirittura trasformate in punti di forza.
Visitate le risorse online e completate l’Attività 4.3 per saperne di più sull’uso dell’analisi
SWOT.

4.6 OBIETTIVI DI MARKETING STRATEGICO

L’analisi dell’ambiente e della posizione dell’azienda ci permette di determinare con buona


approssimazione ciò che la strategia di marketing dovrebbe effettivamente raggiungere, ossia
quali dovrebbero essere gli obiettivi su questo fronte. Il marketing strategico è un processo che
porta a decisioni specifiche su come competere nel mercato e su come l’azienda dovrebbe servire
al meglio i propri clienti. Gli obiettivi strategici sono cinque, come illustrato nella Figura
4.6.156

73
FIGURA 4.6
Cinque dimensioni degli obiettivi di marketing strategico.
• Gli obiettivi di nicchia sono spesso i più adatti quando le aziende operano in un
mercato dominato da un concorrente importante e in cui le risorse finanziarie
sono limitate. Una nicchia può essere sia un piccolo segmento sia una piccola
porzione di un segmento. Il governo australiano ha identificato diversi mercati
di nicchia nell’esplorare lo sviluppo della sua attività turistica. Ha identificato
sport, anziani, cultura e arte, viaggiatori, salute, persone con disabilità, camper e
campeggio, cibo, vino e agriturismo come potenziali mercati di nicchia.

• Gli obiettivi di mantenimento della posizione riguardano un atteggiamento di


difesa. Sono progettati per prevenire e respingere gli attacchi dei concorrenti
aggressivi. I leader di mercato sono i più propensi ad adottare una strategia di
posizione, perché sono inclini ad attaccare i nuovi entranti e i loro rivali più vicini,
mentre cercano di conquistare la maggior parte delle quote di mercato.
• Gli obiettivi di raccolta sono spesso impiegati nei mercati saturi, si applicano
quando le aziende/offerte entrano in una fase di declino. L’obiettivo è
massimizzare i profitti a breve termine e stimolare un flusso di cassa positivo.
• Gli obiettivi di dismissione sono talvolta necessari quando i risultati ottenuti
continuano a subire perdite e generano flussi di cassa negativi, come quando
General Motors ha venduto Saab alla casa automobilistica sportiva Spyker
(Madslien, 2010).
• La crescita è un obiettivo che la grande maggioranza delle aziende considera
primario. Esistono, tuttavia, diverse forme di crescita. Ansoff (1957) ha proposto
che le organizzazioni dovrebbero in primo luogo valutare se i prodotti nuovi o
consolidati devono essere indirizzati su mercati nuovi o consolidati. La sua
matrice prodotto-mercato (vedi Figura 4.7) rappresenta il primo importante
passo per decidere quale dovrebbe essere la strategia di marketing di un’azienda.

74
4.7 AZIONE STRATEGICA DI MERCATO

Un’importante attività di marketing strategico riguarda l’individuazione del modo più


appropriato per raggiungere gli obiettivi prefissati e come attuare questo piano: la fase
di implementazione.159
Non esiste una formula o un kit collaudato che i manager possono semplicemente utilizzare,
questo per via dei numerosi fattori ambientali interni ed esterni. I manager attingono
all’esperienza per sapere quali strategie hanno maggiori probabilità di avere successo rispetto ad
altre. Porter (1985) ha proposto due vie essenziali per raggiungere prestazioni superiori alla
media: diventare il produttore con il costo più basso o differenziare l’offerta fino a quando questa
non viene considerata di valore superiore per il cliente. Queste strategie possono essere attuate in
mercati ampi (di massa) o ristretti (focalizzati). Porter, inoltre, indica come queste diano origine
a tre strategie generiche: la leadership di costo globale, la differenziazione e le strategie
di focalizzazione.
Per leadership di costo non si intende semplicemente proporre i prezzi più bassi, anche se i
prezzi bassi sono spesso utilizzati per attirare i clienti. Riuscendo a diminuire i costi di struttura,
un’azienda può effettuare offerte standard di qualità accettabile, pur generando margini di
profitto superiori alla media. Quando è minacciato da un concorrente che propone prezzi più
bassi, il leader low-cost ha la possibilità di ammortizzare molto di più rispetto ai suoi
concorrenti. Ma applicare prezzi inferiori rispetto a quelli dei concorrenti non è il punto critico. Il
vantaggio competitivo deriva da come l’organizzazione sfrutta il suo rapporto costo-prezzo. Ad
esempio, reinvestendo il profitto, migliorando la qualità del prodotto, investendo di più nello
sviluppo dell’offerta o potenziando le capacità è più probabile raggiungere la superiorità sul
lungo termine.
La differenziazione richiede che tutte le attività della catena del valore siano orientate alla
creazione di offerte che soddisfino le esigenze di ampi segmenti specifici. Identificando
particolari gruppi di clienti, ciascuno con un discreto insieme di esigenze, un prodotto può essere
differenziato da quello della concorrenza. Il marchio di moda Zara si è differenziato riformulando
la sua catena del valore in modo da diventare il più veloce sul mercato: dal design alla produzione
e alla distribuzione, fino alla consegna al cliente dell’abbigliamento di moda nel negozio.
I clienti, talvolta, sono disposti a pagare un prezzo più alto, ossia un premium price per le offerte
che hanno un valore superiore o extra. Il marchio di caffè Starbucks, ad esempio, è fortemente
differenziato e apprezzato, i suoi consumatori sono disposti a pagare prezzi più alti per godersi
l’esperienza Starbucks. Tuttavia, la differenziazione può essere ottenuta anche attraverso i prezzi
bassi, come dimostra il successo di compagnie aeree low cost quali l’irlandese Ryanair.
Le strategie di focalizzazione sono utilizzate da aziende che individuano alcune carenze in ampi
segmenti di mercato o che le riscontrano nei concorrenti. In altre parole, le strategie di
focalizzazione rintracciano le esigenze di mercato non soddisfatte. Per un’azienda che desidera
seguire una strategia di focalizzazione si presentano due alternative: una è quella a basso costo e
l’altra è la differenziazione, ma entrambe si verificano all’interno di un segmento particolare e
ristretto. La differenza tra un differenziatore ampio e un differenziatore mirato è che il primo

75
basa la sua strategia valutando un certo numero di mercati, mentre il secondo cerca di soddisfare
le esigenze di particolari segmenti all’interno di un mercato.
Porter sostiene che, per ottenere un vantaggio competitivo, le aziende devono intraprendere una
di queste tre strategie generali. Egli sostiene che, se non seguono esplicitamente una di queste
strategie, le aziende «bloccate nel mezzo» ottengono rendimenti inferiori alla media e non hanno
alcun vantaggio competitivo. È stato osservato, tuttavia, che alcune aziende sono state in grado di
perseguire contemporaneamente strategie a basso costo e differenziate. Ad esempio, un’impresa
che sviluppa una grande quota di mercato attraverso la differenziazione e la creazione di marchi
molto forti o attraverso l’innovazione tecnologica può anche diventare leader nei costi.
Visitate le risorse online e accedete all’Attività 4.4 per saperne di più sulla pianificazione
aziendale nel mercato delle compagnie aeree.

CASO HISTORY 2

Grazie al suo staff e agli uffici di Barcellona e San Francisco, 3scale aiuta le aziende
ad aprire, gestire e usare le interfacce API di programmazione. Parliamo con
Manfred Bortenschlager (nella foto), direttore per lo sviluppo del mercato delle
API, per scoprire come l’azienda compete all’interno del mercato.
Steven Willmott e Martin Tantow hanno fondato 3scale nel 2007, convinti che il mondo sarebbe
diventato «web-enabled», dove le API sarebbero diventate un requisito fondamentale
dell’infrastruttura digitale. Inizialmente, 3scale ha focalizzato i suoi prodotti sul mercato delle
API, fornendo un servizio di matchmaking tra i fornitori di API e i loro consumatori. In seguito,
l’azienda si è rapidamente spostata verso un modello di business più esclusivo, mettendo a
disposizione competenze gestionali ai fornitori di API. Ora, 3scale vende un prodotto di gestione
delle API con abbonamenti mensili e diversi piani tariffari, a partire da un piano gratuito nella
sua forma base: Freemium, noto anche come modello Software-as-a-Service (SaaS). Questo
modello è largamente apprezzato perché risponde perfettamente alle esigenze di flessibilità e
scalabilità dei clienti. Oggi, 3scale gestisce le API per circa 700 aziende.
Le API sono una tecnologia software che fornisce alle aziende un modo nuovo ed efficace di
distribuire e sfruttare le risorse digitali. Le API concedono l’accesso ai dati aziendali o di un
servizio (cioè, i beni digitali), che possono essere programmati e accessibili attraverso software e
ne aumentano l’automazione, la scalabilità e l’efficienza. Per analogia, le API possono essere viste
come una porta automatica verso un edificio con un meccanismo di sicurezza (come un codice o
una smart card). La trasformazione digitale e le strategie digitali si basano sulle API. Il prodotto
di gestione delle API di 3scale fornisce la sicurezza essenziale, la visibilità e il controllo che
permettono alle aziende di definire e misurare le loro strategie quando usano le API.
In termini di catena del valore e di esigenze del cliente, il servizio offerto da 3scale segue un
modello business-to-business-to-customer (B2B2C): il fornitore di API (che possiede e fornisce
risorse digitali) serve uno sviluppatore (che sviluppa e distribuisce applicazioni web o mobili),
che a sua volta serve l’utente finale (il consumatore finale delle applicazioni e delle API).
I requisiti più importanti dal punto di vista dello sviluppatore sono, in primo luogo, il valore dei
dati o del servizio a cui l’API fornisce l’accesso (più è esclusivo, maggiore è il valore) e, in secondo
luogo, la semplicità di accesso all’API. Il requisito più importante dal punto di vista del
consumatore finale è il valore aggiunto a cui si perviene attraverso l’integrazione di funzionalità
supplementari. Questo viene spesso realizzato con i cosiddetti mashup API, in cui uno
sviluppatore combina le API di vari fornitori per creare qualcosa di nuovo per il consumatore
finale. Altri requisiti riguardano l’«esperienza utente», che si basa sulla facilità d’uso, la
chiarezza, la coerenza e la velocità.
3scale opera in un settore in rapida evoluzione. Per avere successo, l’attenzione al cliente è
essenziale. 3scale ha bisogno di adattare costantemente la sua offerta in termini di caratteristiche
del prodotto e del modello di pricing. Per raggiungere questo obiettivo, deve unificare
l’ingegneria, il marketing e i processi di vendita ed essere in grado di reagire ai cambiamenti più

76
rapidamente di quanto possa fare la concorrenza. 3scale differenzia tra clienti «self-service» e
«aziendali». I clienti self-service si avvalgono dell’offerta di 3scale quasi senza alcuna interazione
umana, mentre 163i clienti che partecipano ai piani aziendali ricevono assistenza telefonica 24
ore su 24, sette giorni su sette e/o una maggiore affidabilità garantita del prodotto.
3scale si contraddistingue per tre principali capacità competitive:
1. il prodotto di 3scale è modulare e utilizza le tecnologie cloud in un modo unico. In
base alle esigenze degli utenti, questi possono scegliere di ospitare alcuni dei
moduli del prodotto «nel cloud» e alcuni nella propria infrastruttura. Ciò offre
disponibilità, scalabilità e flessibilità senza pari;
2. 3scale offre il time-to-value più breve sul mercato, grazie a un modello self-service
completo e una documentazione dettagliata. I clienti possono usare 3scale molto
rapidamente e sfruttare immediatamente i vantaggi delle API;
3. il modello di abbonamento Freemium è equo e trasparente, con prezzi molto
competitivi. I clienti apprezzano la mancanza di ostacoli durante l’accesso e
l’abbonamento è semplice da comprendere, senza sorprese.
1. Quando Amazon Web Services (AWS), un servizio basato sulle tecnologie cloud, lanciò il
prodotto Amazon API Gateway la situazione si presentò complessa: questo fu percepito da molti
esperti come una potenziale minaccia. Con le sue dimensioni e risorse finanziarie, l’offerta di
Amazon avrebbe potuto avere un impatto sostanziale sugli operatori del settore. La domanda da
porsi era: quale strategia dovrebbe sviluppare 3scale per aggirare questa minaccia competitiva?

77
CAPITOLO 5: SEGMENTAZIONE DEL MERCATO E POSIZIONAMENTO
CASE HISTORY 1
Fondata nel 1971 a Bologna, Macron inizia la propria attività come distributore esclusivo per
l’Italia di attrezzatura da baseball. Ad oggi è leader europeo nella produzione e vendita di active
sportswear, con numerose sponsorizzazioni di squadre di prestigio. Abbiamo parlato con
Gianluca Pavanello (in foto), CEO dell’azienda, per comprendere come Macron sia riuscita a
ritagliarsi il suo spazio di rilievo in un mercato caratterizzato dalla presenza di colossi mondiali e
su quali linee strategiche di sviluppo intenda muoversi.
Macron opera in quattro principali aree di business: teamwear – abbigliamento e accessori per
sport di squadra (calcio, rugby, basket, volley, baseball, pallamano, calcetto, running);
merchandising – official kit, articoli free time e accessori per i tifosi dei club sponsorizzati;
run&train – abbigliamento tecnico per individual runners e per il fitness; athleisure –
abbigliamento sports inspired per il tempo libero, per chi vuol vestire Macron anche fuori dal
campo. L’azienda basa il proprio successo sulla capacità di interpretare al meglio le esigenze di
chi pratica sport, sviluppando prodotti di alta tecnicità e qualità.
«Da un fatturato iniziale completamente italiano, oggi distribuiamo circa il 30% dei nostri
prodotti in Italia e il restante 70% nel resto del mondo» ci racconta il CEO «Macron è un’azienda
che crede fortemente nei valori del duro lavoro e del miglioramento costante. Lo sport richiede
sforzo, sudore e forza di volontà, e noi lo sappiamo. Con questa filosofia in mente, siamo entrati
nel mondo dello sport come un piccolo, ma forte, player. Grazie a politiche di sviluppo ben
strutturate siamo cresciuti in maniera significativa anno dopo anno: oggi possiamo dire di essere
uno dei brand di sportswear con la più rapida crescita in Europa. La nostra forza è la nostra
volontà. Il nostro focus principale di business e fiore all’occhiello è il settore teamwear, che
attualmente rappresenta circa la metà del nostro fatturato».
Un traino fondamentale per questo settore sono le sponsorizzazioni delle squadre
professionistiche e delle nazionali. A partire dal 2001 l’azienda è diventata sponsor tecnico del
Bologna FC 1909 e oggi può contare oltre 60 squadre professionistiche e nazionali di vari sport a
livello mondiale. In base al ranking UEFA, Macron si posiziona attualmente al terzo posto in
Europa tra i produttori di abbigliamento per club professionistici di calcio, dopo i colossi Nike e
Adidas. Tuttavia, queste grandi multinazionali non si possono considerare concorrenti diretti, in
quanto utilizzano le sponsorizzazioni principalmente per veicolare il brand e favorire le vendite
in altre aree di business. «A differenza loro, che presentano il proprio campionario di prototipi
già prestabiliti ai club professionistici che necessitano di una nuova divisa, con un modello di
business make to order, noi coinvolgiamo le squadre che sponsorizziamo fin dall’inizio,
proponendo un’ampia gamma di prodotti e possibilità di personalizzazioni pressoché infinite,
attraverso una logica make to stock» afferma il CEO. «In questi anni numerose squadre si sono
dichiarate molto soddisfatte per aver creato qualcosa di unico grazie alla collaborazione con i
nostri designer: sicuramente questo è uno dei nostri punti di forza, oltre all’elevata qualità dei
materiali che utilizziamo». I concept sviluppati con le squadre professionistiche e utilizzati per
produrre le loro maglie sono di loro esclusiva per tutta la stagione sportiva, dopodiché, l’anno
successivo, vengono inseriti a catalogo per dare la possibilità 173anche alla piccola squadra locale
di acquistare il modello utilizzato dai professionisti.
Per offrire il miglior servizio ai propri clienti, le divisioni interne dell’azienda collaborano in
costante sinergia garantendo il miglior supporto logistico e offrendo soluzioni integrate a
copertura dell’intera catena. Attraverso i due grandi magazzini altamente tecnologici di Bologna e
Monselice (PD) passa tutta la gestione dei prodotti: ogni giorno vengono movimentati fino a
50.000 pezzi, il che permette di ridurre a soli due giorni i tempi di consegna della merce, in
molte aree geografiche. Grazie all’infrastruttura informatica viene data la possibilità ai clienti di
effettuare ordini, controllare le giacenze di materiale nei magazzini e gestire tutta la
documentazione in tempo reale attraverso un sistema di cloud accessibile anche da tutti i
dispositivi mobili.
Nel 2010 nasce il progetto «Macron Store», un format di negozio monomarca che offre tutta la
gamma di prodotti Macron: dal teamwear agli accessori, dal merchandising al tempo libero.

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Questo progetto non è stato costruito per sostituirsi al canale multibrand (rappresentato oggi da
più di 800 negozi), quanto piuttosto per valorizzare il posizionamento premium del prodotto, che
si riflette anche in un prezzo leggermente più alto rispetto ai concorrenti diretti.
Tutti i Macron Store sono realizzati secondo un concept unico con un layout coerente, chiaro e
ben strutturato che copre tre diversi format: un’area retail dedicata alla vendita BtoC e suddivisa
per categoria merceologica (running, athleisure e prodotti tecnici) per esporre la gamma
completa dell’azienda, compreso il merchandising dei club professionistici e gli accessori;
un personalization lab in cui i prodotti vengono personalizzati (patch, nomi e numeri, loghi
sponsor ecc.); infine una teamwear showroom dedicato ai club, dove i clienti possono vedere i
campionari e apprezzare la gamma e qualità dei prodotti Macron. I prodotti sono esposti con un
ordine logico e organizzato, che permette di poter fare abbinamenti dal vivo, agevolando così il
processo di scelta dei kit delle squadre non professionistiche.
In conclusione, Gianluca Pavanello ci racconta com’è cambiato l’approccio al mercato e per quali
motivi. «Il vecchio modello di filiera prevedeva un contatto diretto solo con i retailer, ai quali si
rivolgevano poi i club non professionisti o semi-professionisti per comprare i kit per le squadre,
che avrebbero poi rivenduto direttamente agli atleti. Oggi, invece, il club non si deve più
preoccupare di fare da tramite. Una volta deciso insieme a noi il kit della squadra dal catalogo e
definito il prezzo, gli atleti vengono indirizzati direttamente al Macron Store più vicino per
l’acquisto. Questo nuovo modello di filiera è fondamentale per noi: portarli direttamente
all’interno del nostro store e farli sentire come veri e propri atleti professionisti (è infatti possibile
personalizzare ulteriormente il proprio kit stampando, per esempio, le proprie iniziali sulla tuta
di rappresentanza), ci permette di comunicare il valore premium del nostro prodotto. Inoltre, ci
dà la possibilità di raccogliere dati direttamente dai nostri store, senza dipendere da terzi, e di
poterne disporre in tempo quasi reale».
5.1 – INTRODUZIONE
Vi siete mai chiesti come si decida di puntare a certi segmenti di mercato con le attività di
marketing? Pensate per un momento ai negozianti nel settore dell’abbigliamento: come fanno a
identificare le persone alle quali comunicare le loro nuove collezioni? In questo capitolo,
esaminiamo le modalità con cui le aziende decidono su quale segmento del mercato concentrare i
propri sforzi. Tale processo è conosciuto come segmentazione del mercato e fa parte della
strategia di marketing. Successivamente, esploriamo le differenze tra quest’ultima e
la differenziazione del prodotto. Esaminiamo nel dettaglio il consumatore e la
segmentazione del mercato business-to-business (B2B). Il metodo di suddivisione di interi
mercati in diversi segmenti per assegnare le attività di marketing programmate è
denominato processo STP, ossia segmentazione, targeting e posizionamento (vedi Figura 5.1).

79
.

5.2 – IL PROCESSO STP


Segmentazione, targeting e posizionamento sono le componenti fondamentali del processo di
marketing strategico. Questo processo è utilizzato per via della prevalenza di mercati maturi e
della grande diversità di bisogni del consumatore, nonché per la sua capacità di aiutarci a
identificare segmenti di nicchia specializzati. Gli esperti di marketing segmentano i mercati e
identificano segmenti attraenti (ovvero, su chi focalizzarsi e perché), rintracciano opportunità per
nuove proposte, sviluppano posizionamenti e strategie di comunicazione adeguate (ossia,
quale messaggio comunicare) e assegnano le risorse ad attività di marketing poste come
prioritarie (ovvero, quando 175spendere e dove).
Le aziende commissionano la ricerca sulla segmentazione per rivedere le proprie strategie di
marketing, per indagare su un brand in declino, per lanciare una nuova offerta, o per rivederne i
prezzi. Quando si opera in ambienti altamente dinamici, la ricerca sulla segmentazione dovrebbe
essere condotta a intervalli regolari.
I benefici chiave del processo STP sono i seguenti:
• aumentare la posizione competitiva di un’azienda, definendo una direzione e un
focus per le strategie di marketing, compresa la pubblicità mirata, lo sviluppo di
nuove proposte e la differenziazione del brand. Per esempio, la Coca-Cola ha
osservato che la Diet Coke era vista come «femminile» dai consumatori maschi; di
conseguenza ha sviluppato come nuovo gusto la Coca Zero indirizzata, più in
generale, al segmento del mercato di bevande analcoliche per coloro che sono
«attenti alla salute»;
• permettere a un’azienda di identificare le opportunità di crescita del mercato
mediante l’individuazione di nuovi clienti, di segmenti in crescita, o di utilizzi
della proposta (ad esempio la Lucozade si è allontanata da un’offerta di tipo
medico-sanitario per riposizionarsi sul mercato come energy drink);
• consentire l’effettivo ed efficiente abbinamento tra le risorse dell’azienda e i
segmenti del mercato, promettendo un maggior profitto sull’investimento del
marketing (ROMI). Per esempio, ASDA Walmart si avvale di strategie di
segmentazione basate su dati concreti per indirizzare i suoi messaggi di direct
marketing (online e offline) e per offrire premi ai clienti che rappresentano un
valore a lungo termine per l’azienda.

5.3 – IL CONCETTO DI SEGMENTAZIONE

80
La «segmentazione del mercato» consiste nella divisione di un mercato in gruppi o segmenti
distinti e identificabili, all’interno dei quali gli individui hanno bisogni e caratteristiche comuni e
rispondono alle proposte di marketing in modo simile.
È stata inizialmente definita come «una condizione di crescita quando i mercati primari su una
base generalizzata sono già stati sviluppati al punto che le spese promozionali supplementari
stanno producendo rendimenti decrescenti» (Smith, 1956: 7). Costituisce un’importante
base 177per strategie e attività di marketing di successo (Wind, 1978). L’obiettivo della
segmentazione del mercato è garantire che gli elementi del marketing mix, ovvero prezzo,
distribuzione, prodotti e promozione (oltre alle persone, al processo e all’evidenza fisica per le
offerte di servizio) soddisfino i bisogni dei differenti gruppi di clienti. Poiché le aziende hanno
risorse limitate, non è possibile rispondere a tutte le offerte richieste, per ciascuna persona, ogni
volta. Non possiamo essere tutto ciò che una singola persona desidera; il meglio che possiamo
fare, la maggior parte delle volte, è presentare offerte selezionate per gruppi selezionati di
persone. Questo permette l’uso più efficace delle scarse risorse di un’azienda.
La segmentazione del mercato è collegata alla differenziazione del prodotto (vedi Figura 5.2).
Le aziende variano i loro prodotti creando un’offerta sulla base di bisogni specifici del segmento
che hanno identificato. Nei negozi di abbigliamento, per esempio, se modifichi la tua linea di
vestiti in modo che le gonne siano più colorate, impieghino tessuti più leggeri e abbiano
lunghezze inferiori, ottieni uno stile che potrebbe piacere a donne più giovani. In questo consiste
la differenziazione del prodotto: concentrarsi sulle esigenze del cliente e proporre un’offerta
differente dai competitor (vedi il Market Insight 5.1).

5.4 IL PROCESSO DI SEGMENTAZIONE DEL MERCATO

Esistono due approcci principali alla segmentazione. Il primo adotta il punto di vista secondo cui
il mercato è costituito da clienti simili tra di loro e il compito è identificare i gruppi che
condividono particolari differenze: questo è noto come metodo breakdown. Il secondo
approccio considera una 178clientela più eterogenea e il compito è cercarne le somiglianze.
Questo è noto come il metodo build-up (Griffiths e Pol, 1994).

81
Il metodo breakdown è quello più affermato per segmentare i mercati. Il metodo build-up,
invece, cerca di spostarsi dal livello individuale, nel quale tutti i clienti sono diversi, a un livello
di analisi più generale basato sull’identificare le similarità (Freytag e Clarke, 2001). Il metodo
build-up è orientato al cliente e cerca di determinare i bisogni comuni del consumatore.
L’obiettivo di entrambe le metodologie è individuare i segmenti di mercato in cui sono presenti
differenze identificabili (eterogeneità dei segmenti) ma esistono analogie tra i membri all’interno
di ciascun segmento (omogeneità dei membri) (vedi Figura 5.3). Nei mercati business, la
segmentazione dovrebbe riflettere le necessità di collaborazione tra le aziende coinvolte.
Tuttavia, restano alcuni problemi concernenti l’applicazione pratica e l’implementazione della
segmentazione B2B. I manager spesso riferiscono che i processi analitici sono ragionevolmente
chiari ma non è altrettanto semplice capire come dovrebbero scegliere e valutare i vari segmenti
del mercato (Naudé e Cheng, 2003). La teoria della segmentazione si è sviluppata in un’era in
cui a predominare era un approccio transazionale al marketing, incentrato quindi sul prodotto,
anziché la logica odierna dominata dai servizi. Nell’approccio transazionale, le risorse sono
assegnate per raggiungere gli obiettivi del marketing mix. Tuttavia, i clienti all’interno dei vari
segmenti hanno esigenze mutevoli e quindi la loro appartenenza al segmento può variare
(Freytag e Clarke, 2001). Di conseguenza, i programmi di segmentazione del mercato dovrebbero
avvalersi di dati attuali sui consumatori.

5.5 SEGMENTAZIONE NEL MERCATO BtoC

Per segmentare i mercati dei beni di consumo, utilizziamo informazioni basate su criteri riferiti ai
clienti principali, al prodotto o al contesto. Tali criteri sono le «basi della segmentazione» e si
classificano in profilo (per esempio «quali sono i miei mercati e dove si trovano?»),
comportamentali (per esempio «dove, quando e come si comporta il mercato?») e in criteri
psicologici (per esempio «perché il mercato si comporta in quel modo?») (vedi Figura 5.4). Un
quarto criterio di segmen179tazione è quello dei dati di contatto, ovvero i nomi dei clienti e i loro
dettagli completi oltre ai codici postali (per esempio indirizzi postali ed e-mail, numeri dei
telefoni fissi e dei cellulari). I dati di contatto sono utili per le attività di marketing a livello
tattico, come il marketing diretto e digitale.

82
La Tabella 5.1 illustra le caratteristiche principali associate a ognuno dei più diffusi approcci
alla segmentazione del mercato del consumatore.
Quando si selezionano diversi criteri di segmentazione, si dovrebbe considerare lo scarto tra i
costi per l’acquisizione dei dati e la loro efficacia nel prevedere il comportamento associato alla
scelta del consumatore. I dati demografici e geo-demografici sono relativamente facili da
misurare e ottenere; tuttavia queste basi sono penalizzate da bassi livelli di accuratezza per
quanto riguarda la previsione del comportamento del consumatore (vedi Figura 5.5). Al
contrario, i dati comportamentali (come l’utilizzo del prodotto, la cronologia degli acquisti e l’uso
dei media), anche se più onerosi da acquisire, forniscono mezzi più accurati per prevedere il
comportamento futuro: per esempio, il marchio di dentifricio che hai acquistato in precedenza ha
più probabilità di essere quello che acquisterai in futuro. Tuttavia, le scelte del consumatore sono
anche influenzate dalle comunicazioni di marketing.
Criteri di
Tipologia Spiegazione
segmentazione
Le variabili chiave riguardano età, sesso, occupazione, livello
Demografico
di istruzione, religione, ceto sociale e reddito
Si basa sul principio per cui le persone hanno bisogno di
Fase di vita offerte diverse nelle diverse fasi della vita (ad esempio,
infanzia, età adulta, giovane coppia, pensionamento)
Profilo
Le esigenze dei potenziali clienti in un’area geografica sono
Geografico spesso diverse da quelle di clienti in un’altra zona per via del
clima, del costume o della tradizione
Vi è una relazione tra l’ubicazione, il tipo di abitazione in cui
Geo-demografico
le persone vivono e i loro comportamenti d’acquisto
Analizzando attività, interessi e opinioni del consumatore,
comprendiamo gli stili di vita individuali e i modelli di
Psicografico (stile di
comportamento che influenzano gli acquisti e i processi
vita)
decisionali. Possiamo anche identificare simili modelli di
Psicologico offerta e/o uso dei media
Le motivazioni che i clienti traggono dai loro acquisti
Benefici ricercati forniscono una panoramica dei benefici che essi ricercano
nell’utilizzo del prodotto

83
I dati sugli acquisti del cliente e sulle transazioni offrono un
ambito d’applicazione per analizzare gli acquirenti, il
Acquisto/transazione
momento e la frequenza, quanto viene speso e quali canali
transazionali vengono utilizzati

I segmenti si possono ricavare dall’uso che il cliente fa


dell’offerta, del marchio o della categoria di prodotto. Ciò
Comportamentale Uso del prodotto può essere sotto forma di frequenza, tempo e situazione di
utilizzo
Conoscere quali media sono utilizzati, da chi, quando, dove e
quanto spesso, fornisce utili approfondimenti sul potenziale
Uso dei media di diffusione di alcuni segmenti di mercato, sui diversi mezzi
di comunicazione, nonché sullo stile di vita dei media del
segmento

Un modo per segmentare questi mercati consiste nell’usare criteri associati al profitto per
determinare chi siano i consumatori e dove siano situati. Per fare ciò, ci serviamo di metodi
demografici (per esempio età, genere e razza), socio-economici (per esempio determinati dalla
classe sociale o dai livelli di reddito) e posizione geografica (per esempio utilizzando i codici
postali).

Una società di servizi potrebbe segmentare i nuclei familiari in base all’area geografica per
valutare la penetrazione regionale di un marchio; una compagnia di assicurazioni potrebbe
segmentare il mercato basandosi sull’età, il lavoro, il reddito e il valore del patrimonio netto, per
identificare segmenti di mercato attraenti per un nuovo portafoglio d’investimenti. Questi sono
tutti esempi di segmentazione basata su criteri di profitto.
Un modo per segmentare questi mercati consiste nell’usare criteri associati al profitto per
determinare chi siano i consumatori e dove siano situati. Per fare ciò, ci serviamo di metodi
demografici, socioeconomici, e posizione geografica.

5.5.1 – DEMOGRAFICO
Come abbiamo visto le variabili demografiche si riferiscono all’età, al genere, alla
grandezza della famiglia e al ciclo di vita, la generazione (come i «baby boomers» o la
«Generation Y»), il reddito, 181l’occupazione, l’educazione, l’etnia, la nazionalità, la
religione e la classe sociale. Indicano il profilo di un consumatore e sono utili nella
pianificazione dei media.

84
Per esempio, le differenze di genere hanno prodotto una serie di offerte indirizzate alle
donne, comprese le offerte di prodotti di bellezza e fragranze (come Clinique, Chanel),
riviste (come Cosmopolitan, Heat), acconciature (come Pantene, Clairol) e vestiti (come
H&M, New Look). Le offerte indirizzate agli uomini includono riviste (come GQ) e
bevande (come Carlsberg, Coca Zero). Alcuni marchi sviluppano offerte indirizzate sia a
uomini che a donne, per esempio fragranze (come Calvin Klein) e orologi (come Rolex).
Ciclo di vita
L’analisi delle fasi di vita presuppone che le persone abbiano redditi variabili e
bisogni diversi in momenti diversi della loro vita. Gli adolescenti hanno bisogno di offerte
diverse rispetto ai single di 26 anni, che a loro volta hanno differenti necessità rispetto a
persone di 26 anni sposate con bambini piccoli.
I grandi supermercati (come ASDA Walmart, Tesco) hanno tutti investito nello sviluppo
di offerte indirizzate ai single con un livello alto di reddito e stili di vita frenetici offrendo
serie di «pasti per single», che sono paragonabili alla «convenienza famiglia» e alle
«confezioni mul182tiple» indirizzate ai nuclei familiari. Quando questi crescono e i figli
vanno via di casa, i bisogni dei genitori cambiano e il loro reddito aumenta (vedi Tabella
5.2).

Gruppo per fasi di vita Descrizione demografica


Fledling 15-34, non sposati/vivono in coppia e non hanno figli; abitano con i genitori
Flown the nest 15-34, non sposati/vivono in coppia, non convivono
Nest builders 15-34, sposati/vivono in coppia, non abitano con figlio/a
Mid-life independents 35-54, non sposati/vivono in coppia, non convivono
Unconstrained couples 35-54, sposati/vivono in coppia, non abitano con figlio/a
Playschool parents Abitano con figlio/a e un bambino piccolo 0-4
Primary school parents Abitano con figlio/a e un bambino piccolo 5-9
Secondary school parents Abitano con figlio/a e un bambino piccolo 10-15
Hotel parents 35+, vivono con figlio/a e non hanno figli di 0-15
Senior sole decision makers 55+ non sposati/vivono in coppia e da soli
Empty nesters 55+, sposati/vivono in coppia, non vivono con figlio/a
Non-standard families Non sposati, vivono in coppia, vivono in una relazione, non vivono con figlio/a
Unclassified In nessun gruppo

Geografico
Un approccio geografico è utile quando ci siano chiare differenze di gusti, consumi e
preferenze in base all’area geografica. Questi modelli di consumo forniscono
un’indicazione di preferenze a seconda delle diverse regioni geografiche.
I mercati possono essere suddivisi in base al Paese o alla regione, in base alla grandezza
delle città, al codice postale o alla densità della popolazione, ad esempio urbana,
suburbana o rurale. Si dice che i consumatori americani di birra preferiscano quelle più
leggere rispetto alla loro controparte nel Regno Unito, mentre i tedeschi preferiscono
birre più forti.183
Oltre che per la selezione della proposta e del suo consumo, la segmentazione geografica
è importante per il punto vendita, per la pubblicità e la selezione dei media e del
personale. Le operazioni di vendita diretta (per esempio le vendite per corrispondenza)

85
possono avvalersi di informazioni sul censimento per sviluppare una migliore
segmentazione dei consumatori e dei modelli predittivi. Le case editrici effettuano
segmentazioni da lungo tempo basandosi sui mercati geografici, assai spesso imponendo
prezzi dei libri inferiori ai consumatori nei Paesi in via di sviluppo piuttosto che a quelli
nel mondo industrializzato e cercando di impedire l’importazione, affinché i libri più
economici non entrino nei mercati occidentali.
5.5.2 – GEO-DEMOGRAFICO
Il criterio geo-demografico è il risultato naturale che si ottiene dalla combinazione di
variabili demografiche e geografiche. L’accostamento del criterio geografico con quello
demografico è diventato uno strumento indispensabile per l’analisi del mercato e può
portare a un dato molto proficuo che indica chi vive in un luogo e dove esattamente.
Visitate le risorse online e completate l’Attività 5.1 per saperne di più su come usiamo i
database contenenti le informazioni geo-demografiche per tracciare efficacemente i
profili dei segmenti di mercato.
Il più noto sistema geo-demografico del Regno Unito è ACORN (A Classification of
Residential Neighbourhoods). Sviluppato dal gruppo britannico di ricerca sul mercato
CACI, ACORN dimostra come le zone definite dal codice postale siano suddivise in sei
categorie, 18 gruppi, e 62 tipi. ACORN è uno strumento geo-demografico utilizzato per
segmentare la popolazione del Regno Unito e la sua richiesta di una varietà di offerte,
volto ad assistere i professionisti del marketing affinché possano determinare dove
collocare le operazioni di vendita, gli addetti alle vendite sul territorio, gli outlet e così
via. ACORN può anche essere utilizzato per determinare dove pianificare le
comunicazioni di marketing e le campagne di marketing sui social media.
Visitate le risorse online e seguite il link a CACI per saperne di più sul sistema ACORN.
MOSAIC è un sistema di segmentazione geo-demografico sviluppato da Experian,
posizionato sul mercato globale. Il sistema si basa sulla classificazione di 155 tipi di
persone, aggregate in 67 tipi di nuclei familiari e 15 gruppi, per creare una classificazi one
a tre livelli che può essere utilizzata a livello di individuo, nucleo familiare o codice
postale.
Visitate le risorse online e seguite il link a Experian per imparare di più sul sistema
MOSAIC.

5.5.3 – CRITERIO PSICOLOGICO


I criteri psicologici utilizzati per segmentare i mercati dei consumatori includono i tipi di
benefici che i clienti ricercano dai brand nelle loro scelte, attitudini e percezioni di
consumo (per esempio ciò che provano per le macchine veloci), gli
approcci psicografici e gli stili di vita dei clienti (per esempio estroversi, attenti alla
moda, ambiziosi).
Benefici ricercati
L’approccio dei «benefici ricercati» si fonda sul principio secondo il quale dovremmo
fornire ai clienti esattamente ciò che vogliono, in base ai benefici che essi traggono
dall’utilizzo del pro184dotto (Haley, 1968). Ciò può sembrare ovvio, ma quali sono i
benefici reali, razionali e irrazionali, scaturiti dalle diverse offerte che le persone
acquistano, come i telefoni cellulari e gli occhiali da sole? Le grandi compagnie aeree
spesso segmentano basandosi sui benefici che i passeggeri cercano dal trasporto,
differenziando tra passeggeri di prima classe (ai quali vengono dati benefici di extra lusso
durante il viaggio), passeggeri in classe business (ai quali viene data una porzione del

86
lusso dei passeggeri di prima classe) e passeggeri di classe economy (ai quali non spetta
alcun lusso ma godono dello stesso volo).
Psicografico
I criteri psicografici si basano sull’analisi delle attività dei consumatori, dei loro interessi e delle
loro opinioni per comprendere gli stili di vita individuali e i modelli di comportamento. La
segmentazione psicografica implica la comprensione dei valori che sono importanti per i diversi
tipi di clienti. Una forma tradizionale di segmentazione dello stile di vita è AIO, basata su
Attività, Interessi, e Opinioni dei clienti. Taylor Nelson Sofres (TNS) ha sviluppato una
classificazione di Stili di Vita del Regno Unito: «belonger», «survivor», «experimentalist»,
«conspicuous consumer», «social resistor», «self explorer» e «the aimless». L’International
Harvester ha intrapreso una segmentazione basata sul valore per scoprire perché i contadini
uniformemente consideravano le attrezzature di John Deere, suo principale concorrente, come
«più affidabili».

Nonostante l’International Harvester avesse investito cospicuamente per minimizzare i


guasti, John Deere continuava a essere in testa alle classifiche sull’affidabilità. Le
indagini sui problemi di riparazione rivelarono che la causa era il tempo d’inattività
causato dai guasti, i giorni persi di produttività nell’attesa di riparazioni. I clienti di John
Deere percepivano l’affidabilità come meno problematica grazie all’ampia rete di
concessionarie, orientata al servizio dell’azienda, che immagazzinava le parti di ricambio
e offriva trattori sostitutivi, che permettevano al contadino di tornare velocemente al
lavoro. John Deere stava soddisfacendo un segmento diverso di coltivatori: quelli guidati
dal valore di una soluzione che comprendeva un servizio completo, che John Deere
sapeva ben integrare (Anon., 2013).
Il Market Insight 5.2 illustra un metodo diffuso di segmentazione che fa riferimento alle
attitudini e ai comportamenti del consumatore nei confronti dell’ambiente.

5.5.4 – COMPORTAMENTO
I metodi di segmentazione dei mercati, dei beni di consumo, includono l’utilizzo di criteri
comportamentali (per esempio uso del prodotto, acquisto e proprietà). Osservare i consumatori
quando utilizzano delle offerte o si avvalgono di servizi può essere un’importante fonte
d’ispirazione per nuovi utilizzi o per la progettazione e lo sviluppo di nuove proposte. Inoltre, può
suggerire nuovi mercati per le offerte esistenti o i contenuti di comunicazione più idonei per la
promozione. L’acquisto, la proprietà e l’utilizzo sono tre diversi costrutti comportamentali che
possono essere impiegati per favorire la segmentazione del mercato del consumatore.
Utilizzo
Un’azienda può segmentare il mercato in base alla frequenza con cui i consumatori acquistano le
sue offerte, categorizzandoli in utenti ad alta, media e bassa frequenza. Ciò permette lo sviluppo
di specifiche del servizio o diversi marketing mix per ciascun gruppo di utenti. Per esempio, una
società di trasporti con i pullman potrebbe rivolgersi a coloro che utilizzano principalmente i
servizi di trasporto pubblico rispetto a coloro che utilizzano i veicoli privati. L’uso delle offerte da
parte del consumatore può essere osservato da tre prospettive diverse.
1. Prospettiva di interazione sociale: considera gli aspetti simbolici dell’uso e i
significati sociali annessi al consumo di offerte socialmente rilevanti, come la
macchina e la casa (Belk et al., 1982; Solomon, 1983). Per esempio, Greenpeace
lanciò una campagna televisiva indirizzata ai proprietari delle auto 4x4
evidenziando lo stigma sociale ambientalista legato al loro acquisto dell’auto,
letteralmente, ossia all’acquisto di quel tipo di auto.186
2. Prospettiva di consumo esperienziale: prende in considerazione le esperienze
emotive e sensoriali come risultato dell’utilizzo – specialmente le emozioni come

87
la soddisfazione, le fantasie e il divertimento (Holbrook e Hirschman, 1982). Per
esempio, le campagne pubblicitarie della salsa da sugo Oxo hanno enfatizzato che
l’uso di Oxo unisce le famiglie ed esprime i valori familiari come l’amore, la
condivisione e il trascorrere il tempo insieme.
3. Prospettiva di utilizzo funzionale: considera l’uso funzionale dei prodotti e i loro
attributi in situazioni diverse (Srivastava et al., 1978; McAlister e Pessemier,
1982), per esempio come e quando si utilizzano le macchine fotografiche, quanto
di frequente e in che contesti.
Dati sulle transazioni e sugli acquisti
Lo sviluppo di tecnologie elettroniche, come i punti vendita elettronici (EPOS), i codici del
prodotto standardizzati, i sistemi d’identificazione a radio frequenze (RFID), i codici QR, i
sistemi integrati d’acquisto (per esempio web, negozio, telefono), ha facilitato una rapida crescita
nella raccolta di dati d’acquisto e transazionali del consumatore. I dati sulla navigazione e
l’acquisto permettono ad Amazon di formulare consigli su offerte che siano compatibili con il
consumatore; i sistemi EPOS permettono ai rivenditori di tracciare le persone, il momento, il
luogo, la durata, la quantità e con quali incentivi (come le promozioni) vengono acquistati i
prodotti. Le società hanno la capacità di monitorare i modelli d’acquisto in diverse regioni
geografiche, in differenti periodi o stagioni dell’anno, per diverse offerte e, sempre più spesso,
per diversi segmenti del mercato. Anche i social media possono essere utilizzati per tracciare le
opinioni delle persone una volta che abbiano acquistato e utilizzato delle offerte particolari.
Le informazioni sull’acquisto e sulla transazione sono molto utili ai professionisti del marketing
per valutare quali siano per loro i clienti più proficui. Analizzando gli atti d’acquisto in base agli
indicatori temporali, di frequenza e valore monetario (Recency, Frequency e Monetary – RFM), si
possono identificare i segmenti di mercato più redditizi.
5.6 SEGMENTAZIONE NEI MERCATI B2B
La segmentazione del mercato business-to-business consiste nell’identificare un «gruppo di
attuali o potenziali clienti del mercatocon alcune caratteristiche comuni rilevanti per spiegare e
prevedere la loro risposta agli stimoli del marketing del fornitore» (Wind e Cardozo, 1974: 155). I
gruppi di variabili utilizzati per segmentare i mercati B2B sono principalmente due
(vedi Tabella 5.3). Il primo include le caratteristiche dell’azienda, come la dimensione
aziendale e l’ubicazione, definite a volte come firmographic. Chi intende segmentare il
mercato potrebbe partire da queste variabili. Il secondo gruppo si basa su caratteristiche
riguardanti il processo decisionale. Quelle aziende che cercano di stabilire e sviluppare le
relazioni del cliente dovrebbero partire di norma da queste variabili.

Segmentazione
Tipo base Spiegazione
base
Dividere in gruppi le aziende in base alle dimensioni (gruppi
multinazionali, o MNC; gruppi internazionali; grandi
Dimensione compagnie; piccole e medie imprese, o SME) permette di
dell’azienda identificare parametri quali: la progettazione, la consegna, i
costi di utilizzo o la grandezza degli ordini, nonché altre
Caratteristiche caratteristiche d’acquisto
delle aziende
Collocazione I bisogni di potenziali clienti in un’area geografica sono spesso
geografica diversi da quelli in un’area diversa

Settore (codici SIC, Codici industriali standard di classificazione si usano per


NAICS, ATECO) identificare e categorizzare i settori e le aziende

88
Struttura dell’unità Attitudini, politiche e strategie d’acquisto permettono di
decisionale (DMU) raggruppare le aziende

Il tipo di offerte acquistate e le specifiche che le aziende


Caratteristiche utilizzano per la selezione e l’ordine delle offerte formano la
Criteri di scelta
dell’acquirente base per il raggruppamento dei clienti e la segmentazione di
mercati delle imprese
I segmenti si basano sulla struttura che l’azienda dà alle
procedure d’acquisto, alla situazione d’acquisto e sul
Situazione d’acquisto
coinvolgimento o meno degli acquirenti nel processo
d’acquisto

5.6.1 – CARATTERISTICHE DELLE AZIENDE


Le caratteristiche delle aziende riguardano le imprese acquirenti che rappresentano un
mercato commerciale. Esistono alcune serie di criteri che possono essere utilizzati per
raggruppare le aziende, tra cui la dimensione, la posizione geografica, il mercato servito,
il valore, il settore, il tasso di utilizzo e la situazione d’acquisto. Discutiamo le tre
categorie principali usate nella Figura 5.6.187

Dimensione aziendale

Segmentando le aziende in base alle loro dimensioni, possiamo rintracciare alcuni


requisiti particolari d’acquisto. Le grandi aziende possono avere particolari necessità di
consegna o di progettazione basate sul volume della richiesta. I supermercati come il
francese Carrefour e il britannico Tesco, per esempio, sono orgogliosi di acquistare merce
in quantità sufficientemente grande da permettere loro di offrire prodotti a prezzi
economici. La dimensione dell’azienda influisce spesso sulle tariffe di un’offerta, perciò la
dimensione aziendale è collegata al fatto che un’azienda sia un’acquirente grande, medio
o piccolo delle offerte di un’altra azienda.
Posizione Geografica
Il geo-targeting è uno dei metodi più comuni utilizzati per segmentare i mercati B2B ed è
spesso impiegato dalle nuove o piccole aziende che cercano di affermarsi. Questo
approccio è utile perché permette di progettare le vendite in base a specifiche ubicazioni
che gli addetti alle vendite possono servire facilmente (per esempio la Scozia, la

89
Scandinavia, l’Europa occidentale, l’area del Medi188terraneo). In alternativa, i territori
di vendita possono basarsi su specifiche regioni all’interno di un Paese: nell’Europa
orientale, per esempio, possono basarsi su singole nazioni (come la Polonia, la
Repubblica Ceca, la Romania e l’Ungheria). Quest’approccio, tuttavia, diventa meno utile
se si considera che Internet taglia i canali della distribuzione geografica (vedi
Capitoli 10 e 11).

5.6.2 – CODICE SIC


I codici della Classificazione Industriale Standard (SIC) sono utilizzati per comprendere
l’ampiezza del mercato. Introdotti nel 1937, sono stati sostituiti nel 1997 dalla classificazione
NAICS (North American Industry Classification System), ma sono ancora utilizzati da alcune
agenzie governative (come la SEC, la commissione di controllo sulla borsa americana). Sono
facilmente accessibili e standardizzati in quasi tutte le regioni dell’Occidente, per esempio il
Regno Unito, l’Europa e gli Stati Uniti (in Italia vengono utilizzati i codici ATECO). Tuttavia,
alcuni esperti di marketing sostengono che i codici SIC comprendano categorie troppo ampie. Di
conseguenza, i codici SIC vengono applicati limitatamente, nonostante forniscano un’indicazione
sui segmenti industriali all’interno del mercato (Naudé e Cheng, 2003). Più comunemente, le
aziende a volte segmentano i mercati B2B utilizzando tipologie industriali (cosiddette verticali).
Per esempio, uno studio legale potrebbe segmentare i suoi clienti, in funzione dei vari settori, in
servizi finanziari, di trasporto e di distribuzione.
Visitate le risorse online e completate l’Attività 5.2 per saperne di più su come utilizzare i
codici SIC per segmentare i mercati delle aziende.

5.6.3 – CARATTERISTICHE DEL CLIENTE


I fattori specifici del cliente riguardano le caratteristiche dei soggetti preposti agli acquisti
all’interno delle aziende. Per raggruppare le aziende si potrebbero utilizzare numerosi criteri, tra
cui quello per unità decisionali (DMU), per strategie d’acquisto, per tipi di relazioni, per
propensione al rischio, per criterio di scelta e per situazione d’acquisto.189
Unità decisionale
L’unità decisionale di un’azienda può avere requisiti specifici che influenzano le decisioni
d’acquisto, per esempio i fattori politici, le strategie d’acquisto, il livello d’importanza attribuito a
un determinato tipo di acquisto o le attitudini nei confronti dei fornitori e del rischio. Queste
caratteristiche si possono utilizzare per isolare gruppi di aziende per specifici programmi di
marketing. La segmentazione potrebbe basarsi anche sulla vicinanza e sull’interdipendenza tra le
aziende.
Le propensioni al rischio e il grado in cui un’azienda è disposta a sperimentare attraverso
l’acquisizione di nuove offerte industriali variano. Il punto di partenza di qualunque
segmentazione B2B è un buon database o un sistema di gestione dei rapporti con la clientela
(CRM). Dovrebbe contenere gli indirizzi dei clienti, i dettagli di contatto e lo storico dei dettagli
di acquisto e delle transazioni. Idealmente, il CRM dovrebbe includere anche i dettagli dei
responsabili degli acquisti presenti all’interno dell’unità decisionale della società cliente.
Criteri di scelta
I mercati B2B possono essere segmentati sulla base delle specifiche caratteristiche delle offerte
selezionate. Uno studio contabile può segmentare i suoi clienti tra quelli che cercano offerte
relative alla conformità, come i controlli e la presentazione delle imposte, aziende che richiedono
servizi di gestione contabile e aziende che richiedono entrambe. Tuttavia, le aziende non hanno
necessariamente bisogno di individuare segmenti multipli; potrebbero semplicemente
individuare un singolo segmento, come ad esempio RM Education, un provider di soluzioni per
la tecnologia informatica (IT), ha fatto con successo nel mercato dell’istruzione del Regno Unito.
Situazione d’acquisto

90
Le aziende a volte cercano di segmentare il mercato in base alle modalità d’acquisto delle varie
organizzazioni. In particolare, sono tre le domande associate alla segmentazione per situazione di
acquisto che dovrebbero essere considerate.
Qual è la struttura delle procedure di acquisto dell’azienda: centralizzata,

decentrata, flessibile o non flessibile?
• Che tipo di situazione di acquisto è presente: nuovo acquisto (cioè, l’acquisto per
la prima volta), riacquisto modificato (cioè, non l’acquisto per la prima volta, ma
l’acquisto di qualcosa con specifiche diverse dalla volta precedente) o un
riacquisto invariato (cioè, comprare di nuovo lo stesso prodotto)?
• Quale fase nel processo decisionale di acquisto hanno raggiunto le aziende target?
Sono acquirenti in fase iniziale o finale, hanno esperienza o sono inesperte?
Per esempio, una grande azienda mondiale di servizi e consulenza IT come l’indiana Infosys
potrebbe segmentare il mercato per servizi di gestione di progetti IT in settori pubblici e privati.
Il focus potrebbe allora essere sull’esecuzione di grandi contratti governativi, che sono oggetto di
una gara d’appalto, in cui a un gruppo di acquirenti selezionati viene data la possibilità di
presentare un’offerta di franchising esclusivo per fornire i servizi richiesti per un periodo di
tempo definito.
5.7 MERCATI TARGET
La seconda parte importante del processo STP consiste nel determinare quali dei segmenti
selezionare per sviluppare l’approccio al mercato. In ultima analisi, la discrezione e il giudizio dei
dirigenti determinano quali mercati vengono selezionati per ottenere gli obiettivi di marketing.
Kotler (1984) suggerisce di applicare l’acronimo DAMP affinché la segmentazione del mercato sia
efficace, ovvero, tutti i segmenti devono essere:
•distinti: ogni segmento di marketing è chiaramente diverso da altri segmenti? Se è
così, possono essere necessari diversi marketing mix;
• accessibili: gli acquirenti possono essere contattati attraverso appropriati
programmi promozionali e canali di distribuzione?
• misurabili: il segmento è facile da indentificare e misurare?
• proficui: il segmento è sufficientemente ampio da procurare un flusso costante di
profitti attuali e futuri?
Un altro metodo per la valutazione dei segmenti di mercato si avvale della misurazione di diversi
fattori di attrattiva per il segmento, quali la crescita del mercato, la redditività del segmento, le
sue dimensioni, l’intensità competitiva all’interno del segmento e la natura ciclica del settore (per
esempio, se il business è stagionale o meno, come nelle vendite al dettaglio). Ciascuno di questi
fattori di attrattiva del segmento è valutato su una scala da 0 a 10 e liberamente categorizzato
nelle colonne «alta, media o bassa» attrattiva, sulla base di criteri stabiliti o di criteri soggettivi, a
seconda della disponibilità dei dati di mercato e dei clienti, e dell’approccio adottato dai manager
che intraprendono il programma di segmentazione (vedi Tabella 5.4).

Attrattiva
Fattori di attrattiva dei segmenti
Alta (10-7) Media (6-4)
Crescita 2,5% 2,5-2,0%
Profitti 15% 10-15%
Dimensione £ 5m £ 1m-£ 5m
Intensità competitiva Bassa Media
Ciclicità Bassa Media

Altri esempi di fattori di attrattiva del segmento potrebbero includere la stabilità del segmento
(ovvero la stabilità delle esigenze del segmento nel tempo) e la mission fit (ovvero la misura in

91
cui l’interazione con un particolare segmento corrisponde alla missione dell’azienda). Una volta
che siano stati determinati i fattori di attrattiva, l’importanza di ciascun fattore può essere
ponderata e 192ciascun segmento può essere valutato per ogni fattore. Ciò genera la matrice per
valutare l’attrattiva di un segmento (vedi Tabella 5.5).

Peso Segmento 1 Segmento 2 S


Fattori di attrattiva dei segmenti
Punteggio Totale Punteggio Totale P
Crescita 25% 6,0 1,50 5,0 1,25
Profitti 25% 9,0 2,25 4,0 1,0
Dimensione 15% 6,0 0,90 5,0 0,90
Intensità competitiva 15% 5,0 0,75 6,0 0,90
Ciclicità 20% 2,5 0,50 8,0 1,60
Totale 100 5,90 5,65

Successivamente, soprattutto in ambito B2B, è importante valutare anche la «capacità»


dell’azienda di adattarsi alle esigenze dei segmenti di mercato presi in considerazione. Non
sempre, infatti, certe tipologie di clienti molto attrattive risultano essere interessanti sul fronte
della capacità che l’organizzazione mette in campo per differenziarsi dalla concorrenza. Fattori
quali le certificazioni, la capacità produttiva, la disponibilità di magazzino, le competenze
tecniche e il prezzo di vendita potrebbero determinare maggiore interesse verso alcuni segmenti
rispetto ad altri (la scelta dei fattori è chiaramente dipendente dal tipo di contesto in cui opera
l’azienda stessa).
L’importanza di questi fattori dovrà essere determinata pensando dal punto di vista del cliente.
Chiaramente ogni raggruppamento di clientela avrà esigenze diverse (altrimenti non farebbe
parte di un segmento specifico) e rispetto ai fattori presi in considerazione potrebbe assegnare
un’importanza diversa come evidenziato in Tabella 5.6. Nel segmento 2, ad esempio, non è
necessario avere particolari certificazioni e quindi il peso assegnato è stato lo 0%, mentre la
disponibilità di magazzino risulta essere il criterio principale nel sistema di valutazione di questa
tipologia di clientela (peso 40%). Il procedimento per calcolare il punteggio di adattabilità verso
ogni segmento è lo stesso applicato per l’attrattività, sarà dunque sufficiente determinare la
media ponderata per ogni segmento.

Fattori di Peso Segmento 1 Peso Segmento 2 Peso Segmento 3


adattabilità
verso i Punteggio Totale Punteggio Totale Punteggio
segmenti
Certificazioni 10% 10,0 1,00 0% 10,0 0,00 20% 10,0
Capacità
25% 6,0 1,50 20% 6,00 1,20 5% 6,00
produttiva
Disponibilità
20% 3,0 0,60 40% 8,00 3,20 15% 3,00
magazzino
Competenze
20% 10,0 2,00 5% 10,0 0,50 40% 10,0
tecniche
Prezzo 25% 8,5 2,00 35% 8,00 2,80 20% 8,00
Totale 100% 7,10 100% 7,70 100%

92
Una volta ottenuti i punteggi dei vari segmenti nelle macro-variabili adattabilità e attrattività si
potrà predisporre una mappa che evidenzia su quali segmenti abbia più senso indirizzare le
proposte di marketing (Figura 5.7). Nell’esempio delle tabelle precedenti il Segmento 3
verrebbe identificato come l’obiettivo primario a fronte di un valore di adattabilità pari a 7,45 e
un valore di attrattività pari a 8,40.

5.7.1 – SCELTA DEL TARGET

Una volta identificati i segmenti, un’azienda seleziona la strategia di targeting che preferisce.
Possono essere utilizzati quattro approcci diversi (vedi Figura 5.8).
• Strategia indifferenziata: in questo approccio al targeting, non esiste una
distinzione tra i segmenti di mercato e quest’ultimo è visto come un unico mercato
di massa, con un’unica strategia di marketing per l’intero mercato. Anche se
costoso, questo approccio è utilizzato in mercati nei quali c’è poca o nessuna
differenziazione.
• Strategia differenziata: viene utilizzata quando ci sono svariati segmenti di
mercato, ognuno dei quali è interessante per l’azienda. Per sfruttarli viene
sviluppata una strategia di marketing per ogni segmento. Hewlett Packard, per
esempio, ha sviluppato la sua gamma di prodotti e la strategia di marketing per
individuare i seguenti segmenti di utenti di attrezzature informatiche: utenti di
home office; piccole e medie imprese; grandi aziende, dipartimenti della salute,
dell’istruzione e governativi. Uno svantaggio di quest’approccio è la perdita di
economie di scala a causa delle risorse necessarie per soddisfare le esigenze di
diversi segmenti di mercato.
• Strategia concentrata o di nicchia: dove siano presenti solo pochi segmenti di
mercato questo approccio è adottato da imprese con risorse limitate per finanziare
le proprie strategie di marketing o che adottano una strategia molto esclusiva nel
mercato. È spesso utilizzato da aziende di piccole e medie dimensioni con risorse
limitate (ad esempio un elettricista, che può concentrarsi sulle residenze
locali).195
• Strategia personalizzata: questo tipo di approccio è sviluppato per ogni cliente
piuttosto che per ogni segmento. Esso predomina nei mercati B2B (per esempio,
servizi di ricerca di marketing o pubblicità) o mercati dei consumatori con
prodotti di grosso valore e altamente personalizzati (ad esempio un’auto su
misura). Un produttore di elettronica industriale per linee di assemblaggio
potrebbe orientare e personalizzare la sua offerta in modo diverso per Nissan,
Unilever e SCA, per esempio, date le diverse esigenze dei processi di assemblaggio
per la fabbricazione di automobili, prodotti alimentari e prodotti per l’igiene
(come gli asciugamani elettrici).

Limitazioni della segmentazione


Sebbene la segmentazione del mercato costituisca un processo utile alle aziende per dividere i
clienti in gruppi distinti, è stata criticata per le seguenti ragioni:

93
• il processo orienta le offerte alle esigenze dei gruppi di clienti, piuttosto che a
quelle degli individui, quindi è possibile che le esigenze dei singoli non siano
pienamente soddisfatte. Il CRM (customer relationship marketing), tuttavia,
permette alle aziende di sviluppare approcci personalizzati alla relazione;
• non si tiene sufficientemente conto di quanto la segmentazione del mercato sia
collegata al vantaggio competitivo (Hunt e Arnett, 2004). Il concetto di
differenziazione del prodotto è collegato al bisogno di sviluppare offerte
competitive, ma la segmentazione del mercato non sottolinea la necessità di
segmentare sulla base della differenziazione dell’offerta rispetto a quella dei
concorrenti;
• non è chiaro che valore abbia la segmentazione per i manager. Non sono ancora
stati sviluppati processi adeguati o modelli per misurare l’efficacia della
segmentazione del mercato.

5.8 – POSIZIONAMENTO

Dopo aver segmentato il mercato, determinato la grandezza e il potenziale dei segmenti e


selezionato specifici mercati di riferimento, la terza parte del processo STP consiste nel
posizionare un marchio all’interno dei target primari. Il posizionamento si attua mediante la
differenziazione delle offerte, le une dalle altre, per dare ai clienti un motivo per comprare.
Questo comprende due elementi fondamentali. Il primo riguarda gli attributi, le funzionalità e le
possibilità che un marchio offre (per esempio le caratteristiche specifiche del motore di un’auto, il
design e le sue emissioni di carbonio). Il secondo, riguarda il modo in cui un marchio viene
pubblicizzato e come i clienti lo percepiscono in relazione ai brand concorrenti. Questo elemento
della comunicazione è importante perché non è come si fa un’offerta a essere fondamentale, ma è
quello che si fa nella mente di un potenziale cliente (Ries e Trout, 1972: 35) che determina come
un marchio riesca a posizionarsi su un mercato (vedi Market Insight 5.4).
Il posizionamento riguarda la percezione complessiva dell’offerta e non solo le sue
caratteristiche. Ha a che fare, quindi, con il modo in cui i clienti giudicano il valore di un’offerta
rispetto a quella dei concorrenti. Per sviluppare una posizione sostenibile, dobbiamo
comprendere il mercato nel quale l’offerta si trova a competere.
A un livello semplice, il processo di posizionamento inizia durante la selezione del target di
riferimento, attraverso l’identificazione di quegli attributi che sono considerati importanti da
quei 196clienti. Per un’azienda automobilistica, tali attributi possono essere tangibili (per
esempio il cambio, il sistema di trasmissione, i sedili e la progettazione degli interni) e intangibili
(per esempio la reputazione, il prestigio e il fascino generato dal brand). Comprendendo ciò che i
clienti considerano lo standard ideale per ciascuna caratteristica, e come valutano quelle di
ciascun marchio rispetto al livello ideale e agli altri marchi, è possibile lavorare sul proprio brand
per renderlo più competitivo.197

La mappatura percettiva
La comprensione della complessità relativa alle diverse caratteristiche e ai marchi può essere
agevolata elaborando delle rappresentazioni visive di ciascun mercato. Queste sono conosciute
come «mappe percettive» e sono utilizzate per determinare come siano percepiti i diversi marchi
in riferimento alle caratteristiche chiave valutate dai clienti. La mappatura percettiva permette
anche di comparare come sono percepiti i prodotti concorrenti (Sinclair e Stalling, 1990) e tanto
più le offerte e i marchi sono raggruppati tanto maggiore è la concorrenza. Più le posizioni sono
distanti, più grande è l’opportunità per i nuovi competitor di entrare nel mercato. Per esempio,
nel mercato dello champagne non millesimato, numerosi marchi competono tra loro sulla base di
diverse caratteristiche. (Figura 5.9).

94
I dati della mappatura percettiva rivelano i punti di forza e le debolezze che possono fornire
informazioni per prendere delle decisioni strategiche su come differenziare sulla base delle
caratteristiche che contano di più per i clienti.
5.8.1 POSIZIONAMENTO E RIPOSIZIONAMENTO

Le comunicazioni commerciali cercano di regolare le percezioni del cliente sul marchio e possono
essere utilizzate per posizionare l’offerta in modo funzionale o emozionale (vedi Tabella 5.7).
I 198marchi posizionati funzionalmente enfatizzano gli aspetti e i benefici, mentre i
marchi emozionali puntano sulle soddisfazioni dell’ego, sociali ed edonistiche, generate da un
brand. Alcuni approcci di posizionamento sono più efficaci di altri, a seconda delle offerte. Per
esempio, nel mercato delle auto compatte, da Fuchs e Diamantopoulos (2010) è stato osservato
che il posizionamento in base ai benefici diretti (basato sugli aspetti funzionali) risulta essere più
efficace di quello in base ai 199benefici indiretti (basato su dimensioni esperienziali o
simboliche) e che il posizionamento emozionale è ancora più incisivo.

Posizionamento Strategia Spiegazione


Il marchio è posizionato in base ai suoi attributi, caratteristiche o
Aspetti del
benefici relativi alla competizione; ad esempio, le Volvo sono sicure e
prodotto
la Red Bull dà energia
Il prezzo può essere un forte indicatore di qualità. John Lewis
Partnership (il grande magazzino del Regno Unito) usa lo slogan
«never knowingly undersold» (mai svenduto consapevolmente) per
Qualità/prezzo
Funzionale indicare come adatterà i suoi prezzi a quelli della concorrenza, sugli
stessi articoli, per garantire che i suoi clienti ottengano sempre un
buon rapporto qualità/prezzo
Informando su quando o come usare un prodotto, creiamo una
posizione mentale negli acquirenti, ad esempio Kellogg’s riposiziona le
Uso
sue offerte (come Special K) affinché si possano consumare nell’arco
della giornata, non solo a colazione
Identificando l’utente di riferimento, si possono comunicare messaggi
chiari al pubblico giusto. La margarina Flora all’inizio era indirizzata
Emozionale Utilizzatore al pubblico maschile, poi è diventata «per tutta la famiglia». Alcuni
hotel si posizionano come luoghi per il weekend, centri ricreativi o per
conferenze, o come tutti e tre

95
Le posizioni si possono stabilire proclamando i benefici che l’uso
Benefici conferisce ai consumatori. Il vantaggio di usare il dentifricio
Sensodyne è che allevia il dolore associato ai denti sensibili
La longevità aziendale è a volte usata per evidenziare la qualità,
Tradizione l’esperienza e la conoscenza. Il logo Kronenbourg 1664, «Fondata nel
1803» e l’uso di stemmi da parte di molte

La tecnologia, i gusti dei clienti e le nuove offerte dei concorrenti sono le ragioni per cui i mercati
potrebbero cambiare. La Disney ha acquistato Lucasfilm nel 2012 con l’obiettivo di lanciare il
settimo film di Star Wars nel 2015 e gli altri a seguire; tuttavia, per avere successo, la Disney
doveva riposizionarsi per indirizzare i nuovi film alla generazione cresciuta con il cartone
animato di Clone Wars e con i personaggi Lego di Star Wars, piuttosto che a chi ha visto la
trilogia originale alla fine degli anni Settanta e Ottanta (Garrahan, 2012). Pertanto, se il
posizionamento del marchio adottato è forte e la posizione è continuamente rafforzata da
messaggi chiari, potrebbe non essere necessario modificare la posizione originaria. A volte i
professionisti del marketing devono riposizionare le loro offerte rispetto a quelle dei concorrenti.
Il riposizionamento è spesso difficile a causa delle percezioni e degli atteggiamenti radicati dei
clienti nei confronti dei marchi e del costo delle risorse (mediatiche) necessarie per tali
cambiamenti.
Vi sono quattro approcci al riposizionamento, a seconda della situazione specifica di un marchio:
• modificare le caratteristiche tangibili e poi diffondere la nuova proposta nello
stesso mercato. UBS, la società di servizi finanziari, la cui reputazione è stata
distrutta a seguito di una perdita stimata di 2 miliardi di dollari per insider
trading, ha impiegato quattro anni per trasformarsi internamente, prima di
rilanciarsi e riposizionarsi come società di gestione patrimoniale (Rooney, 2015);
• modificare il modo in cui una proposta viene pubblicizzata sul mercato originale.
La compagnia petrolifera norvegese Statoil Hydro è stata riposizionata in tutto il
mondo come Statoil dall’agenzia di comunicazione Hill & Knowlton Strategies,
con il conseguente innalzamento del suo profilo nei principali mercati europei,
incluso il Regno Unito;
• modificare il mercato di destinazione e offrire la stessa proposta. In alcune
occasioni, il riposizionamento si può ottenere anche solo dirigendo le
comunicazioni di marketing a un nuovo mercato. Ad esempio, la bevanda
analcolica Orangina è stata riposizionata come bevanda premium per adulti,
rivolta a coloro che la ricordano fin dalle vacanze francesi dell’infanzia;
• modificare sia la proposta (caratteristiche) sia il mercato di destinazione. Ad
esempio, la Xerox si è riposizionata da società produttrice di stampanti a società
di servizi diversificati per le imprese, gestendo call center, sinistri assicurativi e
anche pagamenti di pedaggi (Carone, 2013).

96
Successivamente sarà necessario decidere se mettere a disposizione di una serie di segmenti una
singola offerta, oppure rendere disponibile per più segmenti o un singolo segmento un’ampia
gamma di offerte o se presentare a un singolo segmento un’unica offerta. Qualunque sia la
decisione, si dovrebbe sviluppare una strategia di marketing mix che soddisfi le esigenze del
segmento, riflettendo le capacità e i punti di forza dell’azienda.

97
DECISIONI SUL PRODOTTO E SUL BRAND
6.1 - INTRODUZIONE
Dopo aver studiato come le aziende definiscono le proprie strategie di marketing, ci concentriamo
ora su come queste possano implementarle. Il primo passo è lo sviluppo dell’offerta e
dei brand.
Uno smartphone Samsung, un viaggio in treno da Calgary a Vancouver sul Rocky Mountaineer
Train, un cappuccino del Caffè Florian a Venezia e il quotidiano Singapore Straits Times sono tutte
proposte o offerte commerciali. Il termine «offerta» comprende gli attributi tangibili e intangibili
relativi non solo ai beni fisici ma anche a servizi, idee, persone, luoghi, esperienze e persino un mix
di questi elementi. Tutto ciò che può essere proposto per l’uso e il consumo, in cambio di denaro o
di qualche altra forma di valore, viene definito come un’offerta. In questo capitolo, prendiamo in
considerazione la natura delle proposte, prima di esplorare le questioni legate alla loro innovazione
e a come svilupparle.
La seconda parte del capitolo esamina come sviluppare i brand per aiutare i clienti a identificare
proposte specifiche e ad apprezzarne il valore. Il nostro mondo è pieno di marchi, dai saponi alle
bevande analcoliche, dalle compagnie aeree ai servizi finanziari. Che cosa sono esattamente i
«marchi»? Come si sviluppano? Chi li crea veramente? Queste sono le domande chiave a cui
daremo risposta in questo capitolo.
6.2.1 - Prodotti di consumo
Il gusto del caffè in polvere è un elemento importante nell’acquisto di un barattolo di caffè
istantaneo. Tuttavia, oltre a questo fattore fondamentale, le persone sono attratte anche dalla
confezione, dal prezzo, dall’intensità dell’aroma e da alcune delle associazioni psicosociali che
abbiamo appreso riguardo a uno specifico brand. Il marchio Cafédirect, ad esempio, cerca di
aiutare le persone a comprendere i suoi legami con il movimento Fairtrade (mercato equo e
solidale) e, quindi, fornire ad alcuni clienti un livello di soddisfazione psicosociale attraverso il loro
contributo a tale movimento.
Per comprendere questi diversi elementi e benefici, ci riferiamo a tre diverse tipologie di offerte:
essenziali, concrete e aumentate (vedi Figura 6.1).
• La proposta essenziale contiene l’effettivo beneficio o servizio di base che potrà consistere in
un beneficio funzionale, in termini di ciò che l’offerta permette di fare, o in un beneficio
emotivo, ossia come il prodotto o servizio fa sentire chi ne usufruisce.
• La proposta concreta consiste nel bene fisico o servizio che fornisce il beneficio atteso. Ad
esempio, le auto hanno diversi stili, sono dotate di motori, sedili, colori e spazio nel bagagliaio
differenti.
• La proposta aumentata consiste nell’offerta concreta con l’aggiunta di tutti gli altri fattori
necessari per supportare l’acquisto, incluse le attività di post-acquisto, come l’accesso al
credito e ai finanziamenti, la formazione, la consegna, l’installazione, le garanzie e la
percezione complessiva del servizio al cliente.

98
FIGURA 6.1
Il prodotto «allargato».
Ogni singola combinazione o «pacchetto» di benefici costituisce un valore aggiunto e serve a
differenziare, ad esempio, un’auto sportiva da un’altra concorrente e una macchina fotografica usa
e getta da una digitale.
6.3 - CICLI DI VITA DEI PRODOTTI
Alla base del concetto di ciclo di vita del prodotto c’è la convinzione che le offerte si muovano
attraverso un modello sequenziale e predeterminato simile al percorso biologico delle forme di vita.
Questo percorso consiste in cinque fasi distinte: sviluppo, introduzione, crescita, maturità e
declino. Le vendite e i profitti aumentano e diminuiscono nei vari stadi di vita del prodotto, come
mostrato nella Figura 6.2.
I prodotti percorrono quindi un ciclo complessivo che consiste in diverse fasi, la cui velocità è
variabile, ma ogni prodotto ha una durata limitata. Anche se la durata di un prodotto può essere
estesa in numerosi modi, come l’introduzione di nuove modalità di utilizzo, la ricerca 218di nuovi
utenti e lo sviluppo di nuove caratteristiche, la maggior parte dei prodotti dispone di un periodo
delimitato durante il quale occorre massimizzare il profitto dell’investimento effettuato.

FIGURA 6.2
Ciclo di vita del prodotto.
Devono essere implementate diverse strategie di marketing, relative all’offerta e alla distribuzione,
al prezzo e alla promozione, a seconda dei particolari momenti del ciclo di vita del prodotto, al fine
di massimizzare la redditività. Inoltre, il concetto non si applica a tutte le offerte nello stesso modo.
Ad esempio, alcune offerte giungono alla fine della fase d’introduzione e poi terminano poiché
diventa chiaro che non esiste un mercato in grado di sostenerle. Altri prodotti seguono il medesimo
declino, ma poi resistono, sostenuti da una forte pubblicità e promozione delle vendite, oppure
vengono rilanciati nella fase di crescita attraverso il riposizionamento. Altri prodotti crescono

99
molto velocemente e poi svaniscono rapidamente. I prodotti come l’abbigliamento sono esempi
pertinenti di quest’ultimo caso, con Zara che cambia la sua gamma di prodotti in media ogni tre
settimane (Saren, 2006).
Il concetto del ciclo di vita del prodotto può applicarsi a una classe di prodotti (come i computer), a
una forma del prodotto (come un computer portatile) o a un marchio (come Sony). La curva del
ciclo di vita varia, ad esempio le classi di prodotti presentano un ciclo più lungo poiché la loro fase
di maturità viene spesso estesa.

FIGURA 6.3
Tipi di cicli di vita dei prodotti.
Nonostante la sua utilità, questo concetto ha diversi limiti. Un problema è quello di identificare
quale fase abbia raggiunto il prodotto. Alcuni marchi non seguono la classica curva a forma di S
(vedi Figura 6.3) ma salgono ripidamente per poi ricadere subito dopo che le vendite raggiungono
l’apice. Altre forme possibili si generano quando la domanda di un marchio viene rinforzata,
come 219quando gli orologiai svizzeri (Rolex e Omega, ad esempio) hanno ridefinito i loro prodotti
come status symbol anziché come semplici orologi (Anon., 2014), e quando un prodotto diventa
rapidamente obsoleto (ad esempio, quando viene rilasciato un nuovo formato per un brano
musicale, come lo streaming rispetto ai CD). Il modello funziona ottimamente quando l’ambiente è
relativamente stabile e non soggetto a oscillazioni dinamiche o a preferenze di breve durata da
parte dei clienti.
6.3.1 - Sviluppo di nuovi prodotti
Un’azienda ha bisogno di offrire continuamente un valore superiore ai propri clienti. Un compito
chiave della gestione di un’azienda è quindi quello di controllare la gamma, o portafoglio di
prodotti, e quando un prodotto verrà considerato obsoleto, anticipare il lancio di nuovi prodotti per
sostenere l’azienda e aiutarla a crescere.
Il termine «nuovi prodotti» può essere fuorviante. Alcuni nuovi prodotti possono essere totalmente
nuovi sia per l’azienda sia per il mercato, mentre altri possono essere solo il risultato di piccoli
adattamenti che non hanno un impatto reale su un mercato, se non quello di introdurre una nuova
caratteristica interessante, come ad esempio nuovi colori, sapori e dimensioni della confezione.
Per assicurare un flusso di nuove proposte, le aziende dispongono delle seguenti tre opzioni:
• acquistare prodotti da altri fornitori, possibilmente situati in altre parti del mondo, o
concedere in licenza d’uso altri prodotti per determinati periodi di tempo, come fa Samsung
con la tecnologia dei suoi processori;

100
• sviluppare prodotti attraverso la collaborazione con fornitori o addirittura concorrenti,
come ha provato a fare Sony con Ericsson, ottenendo un esito negativo, nel settore della
telefonia mobile (Parnell, 2012);
• sviluppare nuovi prodotti a livello interno, generalmente attraverso dipartimenti di ricerca
e sviluppo (R&S) o adattando quelli attuali attraverso piccole modifiche progettuali e
ingegneristiche, come ha fatto Dyson con il suo aspirapolvere.
Il tasso di successo dei nuovi prodotti è costantemente basso. Non più di un nuovo prodotto di
consumo su dieci ha successo e, secondo Drucker (1985), ci sono tre ragioni principali:220
1. perché non esiste un mercato per il prodotto, come nel caso della Sinclair C5, un’auto
elettrica lanciata nel 1985 nel Regno Unito e ritirata rapidamente nove mesi dopo, con la
chiusura dell’azienda (Roberts, 2015);
2. perché vi è un’esigenza di mercato ma il prodotto non soddisfa la richiesta dei clienti, ad
esempio Frito-Lay’s WOW!, le patatine senza grassi, preparate con l’olestra e lanciate negli
Stati Uniti nel 1998, che hanno causato problemi gastrointestinali ai consumatori e sono
state praticamente ritirate dal mercato nel 2004 (Glass, 2012);
3. perché la capacità del prodotto di soddisfare il fabbisogno del mercato, sebbene sia
adeguata, non viene opportunamente comunicata, come nel caso di Buckler, una birra a
bassissimo tenore alcolico nel mercato olandese degli anni Ottanta (Institute of Brilliant
Failures, n.d.).
Lo sviluppo di nuove proposte è un compito complesso e ad alto rischio, per cui le aziende adottano
solitamente un approccio procedurale. Il metodo si compone di diverse fasi e sbarramenti che
consentono di monitorare i progressi, di condurre prove e di analizzare i risultati prima di qualsiasi
lancio sul mercato. Il processo più comune per lo sviluppo di nuovi prodotti è illustrato
nella Figura 6.4.
Il processo di sviluppo di nuovi prodotti è generalmente (ma non necessariamente) percepito come
lineare, in quanto lo sviluppo di nuove proposte avviene solo dopo che i manager sono soddisfatti
dei progressi in ogni fase. A questo punto si giunge a una decisione di «passa/non passa» in ogni
fase, ovvero una fase (stage) e uno sbarramento (gate), per cui il processo è spesso definito come un
«modello stage-gate».
Visitate le risorse online e seguite il link alla Product Development and Management Association
(PDMA) per saperne di più sullo sviluppo professionale, l’informazione, la collaborazione e la
promozione dello sviluppo e della gestione di nuovi prodotti.221

FIGURA 6.4
Fasi del processo di sviluppo del nuovo prodotto.
Creazione dell’idea

101
Le idee possono essere generate dai clienti, dai concorrenti (attraverso siti web e analisi della
documentazione commerciale), dai dati delle ricerche di mercato, dall’analisi dei social media, dal
Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, dai dipendenti del servizio clienti, dagli addetti alla vendita,
dai team di sviluppo del progetto e, anche, da fonti di dati secondarie come le tabelle riassuntive di
vendita del settore. Ciò significa che le aziende dovrebbero promuovere una cultura che favorisca la
creatività, supportando le persone quando propongono nuove idee per migliorare i prodotti o loro
versioni innovative. 3M permette notoriamente ai suoi ingegneri e scienziati di dedicare il 15% del
proprio tempo a progetti di loro scelta e richiede che il 30% del fatturato di una divisione provenga
da prodotti sviluppati negli ultimi quattro anni. Così facendo, l’azienda ha introdotto prodotti
innovativi come il Post-It, il nastro adesivo Scotch e il primo stetoscopio elettronico con tecnologia
Bluetooth (Govindarajan e Srinivas, 2013).
Screening
Tutte le idee devono essere valutate in modo che avanzino solo quelle che soddisfano i criteri
prestabiliti. I criteri chiave includono il rapporto tra la nuova idea proposta, la strategia aziendale
complessiva e gli obiettivi. Un’altra considerazione riguarda i punti di vista dei clienti, determinati
mediante test. Altri approcci considerano come il mercato reagirà all’idea e quale sforzo l’azienda
dovrà compiere per portare l’offerta sul mercato. Qualunque sia l’approccio utilizzato, lo screening
deve essere un’attività separata rispetto alla formulazione dell’idea; in caso contrario, la creatività
potrebbe esserne compromessa.
Business plan e analisi di mercato
Sviluppare un business plan è fondamentale, semplicemente perché indicherà il potenziale e la
relativa redditività del prodotto. Per preparare il piano è necessario determinare informazioni
importanti sulle dimensioni, la forma e le dinamiche del mercato. Le previsioni di redditività che
ne risultano saranno determinanti nell’individuare come, quando e se il prodotto sarà sviluppato.
Sviluppo e selezione dei prodotti
Numerose aziende prendono in considerazione diverse idee di prodotto contemporaneamente. È
compito dei responsabili dell’azienda selezionare quelle che hanno un potenziale commerciale e
rivestono il migliore interesse per l’azienda, in termini di strategia a lungo termine, obiettivi e
utilizzo delle risorse. È richiesto un compromesso tra la necessità di testare e ridurre il rischio e la
necessità di posizionare il prodotto sul mercato e guadagnare per ottenere un ritorno
sull’investimento. Questa fase è dispendiosa, per cui solo un numero limitato di progetti può
procedere alla fase di sviluppo in cui verranno prodotti prototipi e versioni di prova. Questi
vengono poi sottoposti a test funzionali, revisioni di progetto, analisi dei requisiti di produzione,
analisi della distribuzione e una moltitudine di altre procedure di test.
Test di marketing
Prima di lanciare definitivamente un nuovo prodotto, la maggior parte delle aziende decide di
testare il prodotto sul mercato. Sperimentando e testando il prodotto in condizioni reali e
controllate, molti dei problemi effettivi che solo i clienti possono percepire possono essere
individuati e risolti, riducendo gli eventuali danni o rischi per l’azienda e il marchio. Il test di
marketing può essere effettuato utilizzando una particolare area geografica o un numero specifico
di sedi di vendita. L’intenzione è quella di valutare il prodotto e l’intero programma di marketing in
condizioni di mercato reali. Il test di marketing, o prova sul campo, permette di affinare o adattare
il prodotto e il piano di marketing alla luce delle reazioni dei clienti, prima della sua immissione
sull’intero 222mercato. Il gruppo britannico Sainsbury’s, ad esempio, ha creato un laboratorio nel
centro di Londra e ha assunto 500 specialisti per testare nuovi modi di effettuare acquisti,

102
soprattutto su applicazioni mobile, dato che le abitudini dei clienti sono cambiate e gli acquirenti
sono diventati «più promiscui» (Ghosh, 2015).
È di vitale importanza per le aziende creare sistemi con cui misurare il successo o l’insuccesso dei
nuovi prodotti. Questi criteri includono (ma non si limitano a) misure basate sul gradimento dei
clienti, su prestazioni finanziarie e relazioni a livello di prodotto e di azienda (Griffin e Page, 1993),
tra cui:
• misure di gradimento:
– accettazione del cliente
– soddisfazione del cliente
– obiettivi di ricavo netto
– obiettivi in termini di quote di mercato
– obiettivi di vendita in unità
• misure di performance finanziaria:
– payback period (tempo necessario per il rientro dell’investimento)
– obiettivi di margine
– obiettivi di redditività
– tasso interno di rendimento (IRR)/rendimento dell’investimento (ROI)
• misure correlate al prodotto:
– costo per lo sviluppo
– tempistica del lancio sul mercato
– livello di prestazioni del prodotto
– linee guida sulla qualità
– velocità di mercato
• misure correlate all’azienda:
– percentuale delle vendite realizzate rispetto ai nuovi prodotti/servizi.
Commercializzazione
Per commercializzare un nuovo prodotto è necessario un piano di lancio. Questo piano tiene conto
delle esigenze dei distributori, degli utenti finali, delle agenzie di comunicazione e degli altri
soggetti interessati. L’obiettivo è quello di pianificare tutte le attività necessarie per un lancio
proficuo, che includono la comunicazione (per informare il pubblico delle capacità del prodotto,
per posizionare e persuadere i potenziali clienti), la formazione e il supporto alla vendita per tutti i
commerciali.
Non esistono standardizzazioni in questo processo formale, molte nuove offerte arrivano sul
mercato attraverso percorsi diversi, a diverse velocità e con diversi livelli di preparazione.

6.4 - IL PROCESSO DI ADOZIONE

103
Il processo attraverso il quale gli individui accettano e usano nuovi prodotti è chiamato «adozione»
(Rogers, 1983). Le diverse fasi del processo di adozione sono sequenziali e sono caratterizzate
dai diversi fattori coinvolti in ogni fase (ad esempio, i media utilizzati da ogni individuo). Il
processo inizia con la presa di coscienza di una proposta, per poi passare attraverso varie fasi prima
di effettuare eventualmente l’acquisto, come illustrato dalla Figura 6.5.

FIGURA 6.5
Fasi del processo decisionale di adozione dell’innovazione.
1. Nella fase di presa di conoscenza, i consumatori diventano consapevoli della nuova
proposta. Dispongono di poche informazioni e non hanno ancora sviluppato particolari
atteggiamenti nei confronti del prodotto. In questa fase, infatti, non sono interessati a
ottenere maggiori informazioni.
2. La fase di persuasione è caratterizzata dalla consapevolezza che l’innovazione può essere
utile per risolvere un potenziale problema. I consumatori sono sufficientemente motivati
per saperne di più sulle caratteristiche della proposta, comprese le sue peculiarità, il prezzo
e la disponibilità.
3. Nella fase decisionale, gli individui sviluppano un atteggiamento nei confronti della
proposta e decidono se l’innovazione soddisferà i loro bisogni. In caso affermativo,
proveranno a utilizzarla.
4. Durante la fase di implementazione, l’innovazione viene provata per la prima volta. Le
promozioni commerciali sono spesso utilizzate come campioni per consentire ai singoli
individui di testare il prodotto senza elevati rischi. Gli individui accettano o rifiutano
un’innovazione sulla base della loro esperienza di prova. Prendiamo in considerazione, ad
esempio, il modo in cui i supermercati o i rivenditori aeroportuali duty-free si avvalgono dei
tester per incoraggiare le persone a provare nuovi prodotti alimentari e bevande.227
5. La fase finale di conferma avviene quando una persona acquista regolarmente la proposta
senza l’aiuto di promozioni o altri incentivi.

104
Gli assaggi dei prodotti nei supermercati sono utilizzati come tattica per favorire
l’adozione di nuovi prodotti.
Le fasi di adozione non sempre avvengono in sequenza. Il rifiuto dell’innovazione può avvenire in
qualsiasi punto, anche durante l’implementazione o nei momenti che precedono la fase di
conferma. In generale, le comunicazioni di massa sono più efficaci all’inizio del processo di
adozione per le proposte in cui gli acquirenti sono attivamente interessati, mentre le forme di
comunicazione più personali sono più appropriate nelle fasi successive, in particolare durante
l’implementazione e la conferma.

6.5 - LA TEORIA DELLA DIFFUSIONE


I consumatori possono disporre di motivazioni sia funzionali che emotive al momento
dell’acquisto, ma adottano nuove proposte in modo diverso. La loro diversa attitudine al rischio, il
livello di formazione, l’esperienza e le esigenze fanno sì che gruppi diversi di clienti adottino nuove
offerte a velocità diverse. Il tasso a cui un mercato adotta un’innovazione è chiamato processo di
diffusione (Rogers, 1962). Secondo Rogers, ci sono cinque categorie di utilizzatori, come
illustrato nella Figura 6.6.

FIGURA 6.6
Il processo di diffusione.
• Innovatori: questo gruppo, che costituisce il 2,5% della popolazione dei consumatori, è
importante perché deve avviare il processo di adozione ed è composto da persone che
amano le nuove idee e sono spesso ben informate, sono giovani, sicure di sé ed
economicamente stabili. Sono più propense ad assumere i rischi associati all’adozione di

105
nuove proposte. Atteggiamenti e comportamenti innovativi possono riguardare solo una o
due aree di interesse.
• Primi utilizzatori: questo gruppo, che rappresenta il 13,5% del mercato, è caratterizzato
da un’alta percentuale di opinion leader ed è composto da persone che rivestono un ruolo
importante nell’accelerare il processo di adozione. Di conseguenza, le comunicazioni di
marketing devono essere mirate a loro, che a loro volta stimoleranno il passaparola per
diffondere le informazioni. Anche se i primi utilizzatori preferiscono lasciare che gli
innovatori si assumano tutti i rischi, sono interessati a essere in prima linea
nell’innovazione, tendono a essere più giovani rispetto agli altri gruppi e hanno livelli di
istruzione superiori alla media. Oltre agli innovatori, questo gruppo legge più pubblicazioni
e consulta più venditori di tutti gli altri.
• Maggioranza iniziale: questo gruppo, che rappresenta il 34% del mercato, è più avverso
al rischio rispetto ai due gruppi precedenti ed è composto da soggetti che devono sentirsi
sicuri che l’offerta funzioni e che sia stata testata sul mercato. Sono al di sopra della media
in termini 229di età, istruzione, status sociale e reddito. A differenza dei primi utilizzatori,
essi tendono ad aspettare che i prezzi scendano, prediligono fonti di informazione più
informali e sono spesso spinti all’acquisto da altre persone che hanno già acquistato tale
offerta.
• Maggioranza finale: di dimensioni simili a quelle del gruppo precedente (34%), la
maggioranza finale è scettica nei confronti delle nuove idee e adotta nuove offerte solo a
causa di fattori sociali o economici. Si tratta di soggetti che leggono poche pubblicazioni e si
posizionano al di sotto della media in termini di istruzione, status sociale e reddito.
• Ritardatari: questo gruppo di persone, che comprende il 16% della popolazione dei
consumatori, è diffidente nei confronti delle nuove idee e le sue opinioni sono molto difficili
da cambiare. I ritardatari sono caratterizzati da reddito, status sociale e istruzione più bassi
rispetto a tutti gli altri gruppi, e impiegano molto tempo per adottare un’innovazione,
sempre che decidano di adottarla.
6.6 - CHE COS’È UN MARCHIO?
Un «marchio» (brand) può distinguersi dai competitor privi di identità attraverso una sua proposta
di valore che andrà ad impattare sulle percezioni e le sensazioni che i consumatori hanno sulle sue
caratteristiche e le sue prestazioni. L’acqua in bottiglia, ad esempio, è essenzialmente una
commodity, ma marchi come Highland Spring, Aqua Falls e Crystal Clear hanno tutti sviluppato
la 230loro offerta attraverso immagini che servono ad aumentare le sensazioni e le emozioni dei
clienti in merito all’acqua realmente contenuta nella confezione. In definitiva, un marchio risiede
nella mente del consumatore (Achenbaum, 1993).

106
Anche prodotti di base come l’acqua possono avere un brand di successo.
Il posizionamento del marchio è un’attività strategica per differenziare e distinguere un brand
in modo che il consumatore lo comprenda e non si limiti a ricordarlo solamente. Come precisano
Tudor e Negricea (2012), marchio e posizionamento sono interconnessi: come una posizione
credibile non può essere sostenuta senza un marchio forte, così un marchio non può essere
sviluppato o preservato senza che il pubblico percepisca una posizione giustificabile.
I marchi di successo catturano tre elementi fondamentali: promesse, posizionamento e
performance, ovvero le «3P» dei marchi (cfr. Figura 6.7). Al centro di questo concetto vi è la
comunicazione, che fa sì che una promessa sia conosciuta («brand awareness» o consapevolezza
del marchio), che il marchio sia correttamente posizionato («brand attitude» o atteggiamento nei
confronti del marchio) e che fornisca le corrette prestazioni («brand response» o risposta del
marchio).

FIGURA 6.7
La triangolazione delle 3P.
Comunemente, un marchio è rappresentato da un nome, un simbolo, delle parole o un logo che
identificano e distinguono una proposta o un’azienda dai concorrenti. Tuttavia, i marchi sono
costituiti da molto di più di questi elementi. Come osserva Aaker (2014: 1), «molto più di un nome
o di un logo, è la promessa che un’azienda fa a un cliente di offrire ciò che un marchio
rappresenta... in termini di benefici funzionali ma anche emotivi, espressivi e sociali».
6.7 - PERCHÉ IL MARCHIO?
I marchi rappresentano, sia per i consumatori sia per le aziende (produttori e rivenditori),
l’opportunità di acquistare e vendere prodotti e servizi in modo facile, più efficiente e relativamente
rapido. Si possono trarre vantaggi da numerosi punti di vista.
Ai consumatori piacciono i brand perché:
• aiutano a identificare le loro offerte preferite;
• riducono i livelli di rischio percepito e, così facendo, migliorano la qualità dell’esperienza
d’acquisto;
• aiutano a valutare il livello di qualità di un prodotto/servizio o di un’esperienza;
• riducono la quantità di tempo che un cliente deve dedicare alle decisioni in base alla
proposta e, di conseguenza, diminuiscono il tempo dedicato agli acquisti;

107
• forniscono rassicurazioni psicologiche o ricompense, soprattutto per le offerte acquistate
occasionalmente;
• informano i consumatori sulla fonte di un’offerta (in termini di Paese o azienda).
Numerosi marchi sono deliberatamente impregnati di caratteristiche umane, al punto da essere
identificati come aventi personalità particolari. Ad esempio, una personalità di marca può
essere percepita come «amichevole», «accessibile», «distante», «distaccata», «astuta», «onesta»,
«divertente» o anche «robusta» o «premurosa».
Per esempio, Timberland è «robusta», Victoria’s Secret «stilosa», Virgin è associata alla giovinezza
e alla ribellione, e le società di consulenza manageriale come PricewaterhouseCoopers (PwC)
ambiscono a essere viste come aziende di successo, esperte e influenti. La comunicazione di
marketing gioca un ruolo importante nel comunicare l’essenza della personalità di un marchio.
Sviluppando legami emotivi positivi con un marchio, un’azienda può rassicurare i consumatori
sugli acquisti dei propri prodotti.232
I produttori e i rivenditori si avvalgono dei marchi perché:
• possono aumentare il valore economico dell’azienda;
• permettono di avere prezzi più elevati;
• aiutano a differenziare la proposta dalle offerte dei competitor;
• possono dissuadere i concorrenti dall’entrare nel mercato;
• incoraggiano il cross-selling di altri marchi di proprietà dello stesso produttore;
• aiutano l’azienda a sviluppare la fiducia, la fedeltà e la fidelizzazione dei clienti, nonché gli
acquisti ripetuti;
• promuovono lo sviluppo e l’utilizzo di comunicazioni di marketing integrato;
• contribuiscono ai programmi di corporate identity;
• garantiscono una qualche protezione legale.
Visitate le risorse online e completate l’Attività 6.1 per saperne di più su come le principali
aziende percepiscono l’importanza del branding e dei loro marchi.
6.8 - COME FUNZIONANO I MARCHI: ASSOCIAZIONI E PERSONALITÀ
Lo sviluppo di marchi di successo richiede che i clienti siano in grado di creare adeguate
associazioni correlate al brand. Normalmente, queste dovrebbero basarsi su questioni
utilitaristiche e funzionali, così come su emozioni e sentimenti nei confronti di un marchio.
Clayton e Heo (2011) si riferiscono all’immagine del marchio, alla qualità percepita e
all’atteggiamento del marchio come alle dimensioni principali delle associazioni di marca,
citando il lavoro di Aaker (1991), Keller (1993) e Low e Lamb (2000) in questo settore.
Keller (1993) ritiene che le stesse associazioni di marca siano costituite da attributi e benefici fisici
e non fisici allineati con gli atteggiamenti per creare un’immagine nella mente del consumatore.
Belk (1988), nello stesso tempo, sostiene che i marchi offrano un mezzo per esprimere se stessi, sia
in termini di chi vogliono essere (il «sé desiderato») sia di chi aspirano a essere (il «sé ideale») o di
chi pensano di dover essere (il «sé presunto»). I marchi forniscono, quindi, un mezzo per indicare
agli altri la propria personalità preferita. Questo approccio emotivo e simbolico ha lo scopo di
fornire ai consumatori ulteriori motivazioni di coinvolgimento, al di là delle normali caratteristiche
funzionali che un marchio offre (Keller, 1998), che possono essere facilmente riprodotte dai
concorrenti. Aaker (1997) ha sviluppato la scala della personalità del brand, che consiste in
cinque dimensioni principali di significato psicosociale, suddivise in 42 tratti della personalità
(cfr. Figura 6.8):
• sincerità («sano», «onesto», «pragmatico»);

108
• eccitazione («emozionante», «fantasioso», «audace»);
• competenza («intelligente», «sicuro»);
• raffinatezza («affascinante», «glamour», «semplice»);
• robustezza («forte», «virile»).
La ricerca iniziale di Aaker è stata condotta a metà degli anni Novanta e ha rivelato che, negli Stati
Uniti, l’emittente MTV è stata percepita come la migliore in termini di eccitazione, CNN
la 233migliore in termini di competenza, Levi’s la migliore in termini di robustezza, Revlon la
migliore in termini di raffinatezza e Campbell’s la migliore in termini di sincerità.

FIGURA 6.8
Cinque dimensioni del significato psicosociale.
Queste dimensioni psicosociali sono poi diventate le dimensioni della personalità del marchio.
Aaker ha sviluppato una struttura basata su cinque punti in riferimento a queste dimensioni per
fornire un mezzo di misura coerente. Vari studi hanno rivelato che i consumatori scelgono marchi
che riflettono la propria personalità (Linville e Carlston, 1994; Phau e Lau, 2001), ossia
preferiscono i brand che proiettano una personalità coerente con la propria percezione di sé.
Come indicano Arora e Stoner (2009: 273), «la personalità del marchio fornisce ai consumatori
una forma d’identità che esprime un significato simbolico per se stessi e per gli altri». La
personalità del marchio può quindi essere interpretata come un mezzo per creare e mantenere la
fedeltà del consumatore, se non altro perché questo aspetto è difficilmente imitabile dai
concorrenti.
6.9 - NOMI DEI MARCHI
Scegliere un nome per un marchio rappresenta una pietra miliare, perché, idealmente, dovrebbe
permettere al marchio di essere:234
• facile da ricordare, sia nella forma scritta che in quella verbale;
• strategicamente coerente con i criteri di branding dell’azienda;
• rappresentativo dei principali vantaggi e delle caratteristiche dell’offerta;
• peculiare;
• importante per il cliente;
• in grado di essere registrato e protetto.

109
Cadbury: il prefisso dell’azienda viene applicato a diverse marche.
A volte, la pressione sociale, o addirittura una crisi, può portare alla modifica del nome. Per
esempio, Philip Morris ha cambiato il nome dell’azienda in Altria Group a seguito di continui
attacchi ai suoi prodotti di sigarette e tabacco. I marchi devono essere facilmente trasferibili sui
mercati e, se si vuole che lo siano davvero, i clienti dovrebbero poterne pronunciare e ricordare
facilmente il nome.
I marchi dovrebbero mantenere una certa coerenza strategica interna ed essere compatibili con il
posizionamento complessivo dell’azienda. Ford Transit, Virgin Atlantic e Cadbury Dairy Milk sono
nomi che riflettono le politiche della società capogruppo perché il nome dell’azienda è utilizzato
come un prefisso per i marchi del prodotto.
Sempre più spesso, i marchi sono sviluppati attraverso l’uso dei social media. Si tratta
essenzialmente di persone che parlano – spontaneamente l’uno con l’altro, attraverso blog, o
all’interno di community formali o informali – di marchi che per qualche ragione hanno provato. Il
ruolo dei brand manager è passato dalla funzione di «custodire» a quella di «condividere» il
marchio (Christodoulides, 2009), ovvero la funzione di chi ora ascolta queste conversazioni e poi
cerca di adattare la marca di conseguenza. Ciò indica che il controllo e l’identità del marchio si sono
trasferiti in parte dall’azienda al consumatore.
Visitate le risorse online e completate l’Attività 6.2 per saperne di più su come vengono generati i
marchi.
6.10 - STRATEGIE DI BRANDING
La strategia di branding globale di un’impresa riguarda la creazione, l’utilizzo e la gestione di uno o
più brand in modo efficace. Nel caso in cui venga adottata per sviluppare e sostenere una pluralità
di marche, si parla più propriamente di brand portfolio strategy per governare quella che viene
definita l’architettura della marca. Le strategie di marca si possono suddividere in tre categorie
principali: individuale, a ombrello e aziendale.
6.10.1 - Branding individuale
Una volta definita la «multibrand policy», ovvero una politica multi-marchio, il branding
individuale richiede che ogni prodotto offerto dall’azienda rappresenti una marca
indipendentemente da tutte le altre. I marchi dei generi alimentari offerti da Unilever (come Knorr,
Cif e Dove) e Procter & Gamble (come Fairy, Crest, Head & Shoulders) sono un chiaro esempio di
questo approccio.
Uno dei vantaggi di tale metodo sta nel fatto che diventa facile raggiungere segmenti specifici ed
entrare in nuovi mercati con nomi diversi tra loro. Se un marchio fallisce o diventa oggetto di
attenzione mediatica negativa, gli altri marchi non rischiano di essere compromessi. Tuttavia,
questo comporta imponenti investimenti perché ogni marchio deve disporre di un proprio
programma promozionale e del relativo supporto.
6.10.2 - Branding a “ombrello”

110
Noto in precedenza anche come «multiproduct brand policy», il branding a ombrello (family
branding) richiede che tutti i prodotti utilizzino il nome dell’azienda, interamente o in parte.
Microsoft, Heinz e Kellogg’s incorporano tutti il nome dell’azienda, perché si spera che la fiducia
dei clienti si sviluppi su tutti i marchi e che, di conseguenza, gli investimenti promozionali non
debbano essere così elevati. L’idea è che si creerà una sorta di «effetto alone» su tutti i marchi
quando uno di loro verrà comunicato e l’esperienza del marchio stimolerà il passaparola in seguito
all’uso del prodotto. Un esempio lampante di questo è Google, che ha perseguito una strategia del
marchio a ombrello attraverso Google Adwords, Google Maps e Google Scholar, per citarne alcuni.

Una linea di cereali: il logo Kellogg’s rafforza l’immagine dei singoli marchi nelle sue
linee di prodotto.
La cosa più impressionante è che i risultati sconvolgenti di Google sono stati raggiunti in soli dieci
anni e con una spesa pubblicitaria minima.
6.10.3 - Branding aziendale
Numerosi marchi di vendita al dettaglio adottano un unico marchio, basato sul nome dell’azienda.
Questo nome viene poi utilizzato ovunque ed è un modo per identificare il marchio e fornire una
forma di differenziazione coerente, e di riconoscimento, sia sui canali tradizionali che online.
Grandi supermercati come Tesco nel Regno Unito, Carrefour in Francia e ASDA Walmart si
avvalgono di questa strategia di branding per attrarre e mantenere i propri clienti.
Le strategie di branding aziendale sono ampiamente utilizzate anche nei mercati business, come
IBM, Cisco e Caterpillar, e nei mercati destinati al pubblico che sono caratterizzati da una certa
complessità tecnica, come i servizi finanziari. Aziende come HSBC e Prudential adottano una
strategia a nome unico. Uno dei vantaggi di questo approccio è che gli investimenti promozionali
sono limitati a un unico marchio. Tuttavia, il rischio è simile a quello del branding a ombrello, per
cui il danneggiamento di un’offerta o di un’area operativa può riflettersi su tutta l’azienda. La
British Broadcasting Corporation (BBC), ad esempio, ha dovuto affrontare problemi editoriali con
il 236suo programma Newsnight, che ha avuto come esito una copertura mediatica negativa ampia
e persistente. Di conseguenza il direttore generale ha deciso di dimettersi e sono state poste
questioni sul declino della fiducia e della reputazione dell’intera BBC..
6.10.4 - Come generare i marchi
Lo sviluppo di marchi di successo è fondamentale per il successo di un’agenzia. Keller (2009)
ritiene che il modo migliore per raggiungere questo obiettivo sia quello di considerare il processo di
costruzione del marchio in termini di fasi successive. Il primo passo è consentire ai clienti di
identificarsi con il marchio e condurli a fare delle associazioni con una specifica classe di prodotto o

111
bisogno del cliente. Il secondo è stabilire cosa significa il marchio, collegando varie associazioni
tangibili e intangibili allo stesso. Il terzo passo consiste nell’incoraggiare le risposte dei clienti sulla
base di giudizi e sentimenti legati al marchio. Il passo finale è quello di promuovere una relazione
attiva tra i clienti e il marchio.
La Figura 6.9 mostra questi passi sul lato sinistro, con la loro controparte emotiva a destra.
Al centro vi sono sei blocchi che formano una piramide e riflettono questi passi razionali ed
emotivi. Per ottenere un marchio di successo, o «risonanza del marchio», Keller sostiene che
sia 237necessaria una base e che questi elementi costitutivi debbano essere sviluppati
sistematicamente Applichiamo la piramide del marchio a una marca di shampoo per illustrare la
terminologia.

FIGURA 6.9
Blocchi della piramide dei marchi.
• Rilevanza del marchio: con che facilità e frequenza i clienti pensano al marchio di shampoo
quando considerano le marche per la cura dei capelli o quando fanno shopping?
• Performance del marchio: in che misura i clienti ritengono che il marchio di shampoo
pulisca e ammorbidisca i capelli?
• Immagine del marchio: quali sono le proprietà estrinseche dello shampoo (il colore, la
confezione, la consistenza del prodotto, le associazioni) e in che misura queste soddisfano le
esigenze psicologiche o sociali dei clienti?
• Giudizi sul marchio: quali sono le opinioni e le valutazioni personali dei clienti sullo
shampoo?
• Sensazioni associate al marchio: quali sono le risposte emotive e le reazioni dei clienti nei
confronti del marchio di shampoo, quando sono sollecitate dalla comunicazione, dagli amici
o quando si lavano i capelli?
• Evocazione del marchio: qual è la natura del rapporto che i clienti hanno con il marchio di
shampoo e in che misura si sentono fedeli al marchio?
La risonanza del marchio si verifica con maggiori probabilità quando i professionisti del marketing
creano un’adeguata rilevanza, ampiezza e profondità della sua consapevolezza. Da questa
posizione, bisogna stabilire i «punti di accordo» e i «punti di divergenza», in modo che si possano
esprimere giudizi e sensazioni positivi che attraggano sia la testa sia il cuore.
Visitate le risorse online e seguite il link per saperne di più sul modello di valore del marchio di
Keller.

112
6.11 - RELAZIONI CON IL MARCHIO
Sebbene il branding affondi le proprie radici nell’identificazione e nella differenziazione, un
«marchio è un bene relazionale il cui valore per l’azienda dipende dalle interazioni passate,
presenti e future con i vari stakeholder aziendali» (Ballantyne e Aitken, 2007: 366).
Fournier (1998) è stata una delle prime ricercatrici a introdurre e utilizzare la teoria delle relazioni
per comprendere il ruolo che i marchi giocano nella vita dei consumatori. Ha osservato che questi
ultimi pensano alle marche come se fossero esseri umani, ossia personificandole. Ha inoltre
scoperto che i consumatori accettano i tentativi dei professionisti del marketing di personalizzare le
marche, ad esempio attraverso la pubblicità, che suggerisce un’interazione e una potenziale
relazione.
Ha identificato sei aspetti che caratterizzano la qualità del rapporto con il marchio: amore e
passione, una connessione tra il marchio e il consumatore, un alto grado di interdipendenza, un
alto livello di coinvolgimento, intimità e una valutazione positiva della qualità del marchio.
Fournier ritiene che sia importante comprendere le relazioni tra il consumatore e il marchio e che,
proprio comprendendo come i consumatori interagiscano con le marche e il significato
che 239queste rappresentano per le persone attraverso il consumo, sia possibile sviluppare la
teoria e la pratica di marketing più appropriata. Sostiene inoltre come sia necessario considerare
l’ampio contesto della vita dei consumatori per comprendere il ruolo e l’impatto che le marche
producono su di essa. Inoltre, sottolinea che possono essere osservate relazioni significative tra il
consumatore e il marchio quando quest’ultimo rappresenta la dimensione chiave, il «significato
dell’ego percepito» (Fournier, 1998: 366). Oltrea ciò, Fournier evidenzia l’importanza di capire
quali siano gli elementi dei marchi che contribuiscono al significato della vita dei consumatori
(cfr. Market Insight 6.4).
6.12 - CO-CREAZIONE DEL MARCHIO
La prospettiva manageriale presuppone che i produttori o i fornitori di servizi sviluppino e
gestiscano i marchi, mentre i singoli consumatori sono passivi e possono influenzare solo il
significato o la percezione di un marchio. Ciò richiede che gli esperti di marketing svolgano tre
attività essenziali di branding che, secondo Pennington e Ball (2009), consistono in: consentire
l’identificazione e la differenziazione, mantenere la coerenza e comunicare la presenza e le
caratteristiche ai clienti e al pubblico dei diversi canali di marketing.
Negli ultimi anni, questa prospettiva e questo processo sono stati messi in discussione dalla
crescente consapevolezza che i clienti sono in grado di creare marchi. Nel branding dei
consumatori (customer branding), i clienti aggiungono un nome, un termine o altre
caratteristiche che consentono loro di identificare i beni o servizi di un venditore, distinguendoli da
quelli di altri venditori (AMA, 2012). È solitamente indicata come «co-creazione» e, sebbene molti
reputino che non si tratti di un fenomeno recente, France e colleghi (2015: 6) sottolineano che non
è semplice comprendere esattamente il processo della co-creazione perché si riscontra «una certa
confusione nei testi, specialmente in riferimento alla co-creazione del marchio e al coinvolgimento
del marchio».
Pennington e Ball (2009: 455) definiscono il «branding dei consumatori» come «un processo in cui
uno o più clienti definiscono, etichettano e cercano di acquistare un sottoinsieme di un prodotto
altrimenti indifferenziato o senza marchio. Il cliente può trovarsi in qualsiasi punto della catena del
valore, anche nella posizione dei clienti intermedi e finali».
Nei processi di branding convenzionali, un’azienda è in grado di influenzare gli stakeholder esterni,
i clienti e gli stakeholder interni attraverso promesse di creazione di valore, intese come uno
strumento di branding e identità aziendale. In presenza del branding dei consumatori, tuttavia,

113
l’azienda dà l’opportunità al marchio di trasmettere questi e altri messaggi in maniera chiara ai
clienti e ai dipendenti dell’azienda.
Pennington e Ball identificano tre condizioni chiave che devono essere soddisfatte per poter attuare
il branding dei consumatori: innanzitutto, deve esserci una varietà di offerte sul mercato; in
secondo luogo, la distribuzione e la qualità delle offerte devono essere inaccettabili; infine, i clienti
devono essere in grado di ottenere un’alternativa affidabile e soddisfacente all’interno del canale di
marketing. Gli autori affermano che «per svolgere le attività di branding non espletate dai
professionisti del marketing, il cliente deve mostrare determinate esigenze, percezioni e capacità»
(Pennington e Ball, 2009: 459).
Oltre al branding dei consumatori, i clienti possono co-creare in diversi modi, molti dei quali sono
radicati nel valore del marchio. France e colleghi (2015) si riferiscono alla co-creazione nei contesti
in cui avviene uno scambio o si fa esperienza di un marchio, quando la percezione del marchio
viene influenzata dal cliente, o il cliente genera la pubblicità, lo sviluppo di nuovi prodotti o il
passaparola.
Le idee sulla co-creazione del marchio non si limitano all’offerta di prodotti o servizi. Ad esempio,
Juntunen (2012) ha rilevato che una serie di stakeholder, non solo clienti, sono coinvolti nella co-
creazione del marchio aziendale: dipendenti, parenti, amici, ricercatori universitari, studenti,
impiegati e dirigenti di altre aziende, agenzie pubblicitarie, finanziatori, avvocati e grafici. L’autore
riferisce che gli stakeholder si impegnano in vari sotto-processi di co-creazione del marchio
aziendale, anche prima della costituzione di un’azienda (Kollmann e Suckow, 2007). Questi
sottoprocessi comprendono l’invenzione del nome aziendale fin da prima che l’azienda sia creata,
lo sviluppo di un nuovo nome aziendale, l’aggiornamento del logo e del materiale di
comunicazione, fino allo sviluppo della proposta e dell’attività commerciale una volta avviata
l’azienda.
6.13 - BRANDING NEL B2B
In un mondo in cui tutto sembra essere standardizzabile il brand può e deve diventare una delle
poche opportunità per fare la differenza anche nel business to business. La marca può infatti essere
vista come un descrittore sintetico del valore che l’offerta promette di fornire ai propri clienti target
e un mezzo per differenziare tale valore dai suoi concorrenti.
Purtroppo la maggior parte delle aziende B2B trova ancora difficoltà legate alla grafica e
all’immagine coordinata: logo, bigliettini da visita, carta intestata, bloc notes, buste, sito web in
molti casi non hanno un «abito» comune. Per verificare l’omogeneità del brand provate a
raccogliere gli strumenti di comunicazione: esiste un’uniformità a livello di layout? La
presentazione è omogenea e coerente? Il nemico principale del branding è la persona ben
intenzionata che si diverte a «giocherellare» con l’immagine di marca diventando potenzialmente
un vero e proprio «terrorista del brand». Capita di frequente che non avendo un reparto di
comunicazione interna (soprattutto nelle aziende di piccola-media dimensione), sarà l’ufficio
tecnico ad occuparsi di queste attività e i rischi di un risultato non professionale sono molto alti.
L’utilizzo corretto e coerente della marca permette alle aziende di rendere tangibili i benefici
intangibili, di acquisire un’identità e conquistare le preferenze dei clienti. La sfida è dunque quella
di andare oltre il logo e le metafore per arrivare a un’identità chiara che il mercato riconosce e
apprezza. Non è sempre facile, infatti, all’interno dell’azienda alcune persone si potrebbero
rispecchiare in un’essenza di marca forte e complicata, mentre altri potrebbero al contrario
chiedere la semplicità. Alcuni saranno felici di considerare pareri interni, mentre altri insisteranno
su una visione indipendente. L’azienda che sbaglia perderà la sua più importante opportunità di
differenziazione.

114
Alcune aziende B2B si definiscono in base ai servizi offerti, altre valorizzano gli anni di attività,
altre ancora sottolineano le funzionalità della loro tecnologia. In realtà è fondamentale concepire il
brand dal punto di vista del cliente, che significa comprenderlo e comunicare ciò che conta di più
per lui. Qual è il «perché» alla base della sua decisione di acquisto? Che cosa trova di interessante
nel brand?244
Il target della comunicazione nel B2B è prima di tutto un «esperto» che ha bisogno di qualcosa
(bene o servizio) in vista di un fine per lo più oggettivo, razionale. L’aspetto della funzionalità del
prodotto legato magari ad un brand riconosciuto sarà di gran lunga l’elemento più rilevante.
In una delle sue analisi, Deloitte ha scoperto che i brand incentrati sul cliente sono il 60% più
redditizi rispetto a quelli non focalizzati. Un altro studio di Gallup ha rilevato che le aziende B2B
che riportano un elevato coinvolgimento dei clienti hanno raggiunto un fatturato superiore del 50%
e una maggiore redditività del 34% rispetto alle loro controparti. L’aspetto più critico evidenziato
dalla stessa ricerca è stato che il 71% degli acquirenti B2B sono «indifferenti» ai loro fornitori,
rappresentando una grave minaccia di potenziale cambiamento non a causa di un prodotto o
servizio debole, ma piuttosto a causa della mancanza di attenzione al cliente.
Infatti, ancora oggi ci sono poche aziende industriali con piani strategici per la gestione del proprio
brand. Se volessimo rappresentare su una ipotetica scala i passaggi per ottenere il miglior risultato
possibile avremmo questa situazione (Figura 6.10).

FIGURA 6.10
La scala nel branding B2B.
L’identità di marca (brand identity – personalità del brand) nel B2B può essere rappresentata
considerando tre voci:
• Essenza: sono i valori chiave del brand che devono essere riconosciuti dal mercato;
• Vantaggi: sono gli aspetti funzionali ed emozionali che generano valore collegati al brand;
• Caratteristiche: sono gli elementi più tangibili che possono essere associati al brand.
Prendendo ad esempio un’azienda operante nel settore degli impianti industriali, la brand identity
appare strutturata come nella Figura 6.11:245

115
FIGURA 6.11
Identità di marca di un’azienda B2B.
Nel B2B nella maggioranza dei casi si ritrovano marche corrispondenti al nome dell’impresa.
Raramente, infatti, capita che i prodotti vengano identificati con nomi specifici o che questi
vengano acquistati sulla base di valori, emozioni collegate al nome (nel settore industriale le
denominazioni di prodotto sono codici alfanumerici tipo SR70 o simili, difficilmente si ritrovano
veri e propri brand di prodotto come può succedere nel largo consumo).
Possiamo classificare le varie alternative più ricorrenti in quattro «categorie»:
1. Nomi dei fondatori e relativi acronimi. Qui l’enfasi è posta sulle personalità dei fondatori,
ma non sempre questo può diventare un valore assoluto. Alcuni ovvi inconvenienti possono
essere legati alla difficoltà di pronuncia (soprattutto all’estero) e alla difficoltà di capire, da
parte di chi non conosce l’azienda, di che cosa si tratti. Alcuni esempi (Bonfiglioli, Bartolini,
Marchesini, Trevi, Bahlsen…);
2. Nomi descrittivi. Si comunica quello che viene offerto con il vantaggio di portare con sé una
sorta di messaggio di vendita. Il rischio è che a un certo punto il brand potrebbe avere la
necessità di allargare l’ambito coperto dalla gamma e in questi casi, a volte, si riducono
nuovamente in un acronimo non sempre comprensibile. Alcuni esempi (SoilMec, Promau,
AEPI, CRIBIS, SACMI, CEFLA, PDFOR…);
3. Nomi rappresentativi del valore del marchio. In questo caso si sceglie un valore positivo
rappresentato e, anche se il collegamento non è sempre immediato, se il nome diventa
attraente potrebbe fornire una base per lo storytelling pubblicitario. Alcuni esempi
(Datalogic, Caterpillar, Microprecisione, Ultradent, FutureBrand…);
4. Nomi creati. Ci può essere la costruzione del nome che porta con sé connotazioni del
business fornendo una caratteristica distintiva, ma anche solo perché si può ritenere che
nonostante l’astrazione sia probabilmente memorabile. Ancora una volta si corre il rischio
che il significato sia chiaro solo per alcuni e non sempre danno personalità. Alcuni esempi
(Coesia, Mec3, SCM…).246
Volendo sintetizzare quello che succede in ambito B2B con un brand forte e riconosciuto, possiamo
indicare alcuni benefici a vantaggio dell’azienda venditrice:
• migliore efficienza delle informazioni condivise;
• incremento della differenziazione e della qualità percepita;
• maggiori possibilità di praticare un premium price;
• distributori più coinvolti e motivati;
• fidelizzazione del cliente;

116
• migliore reputazione e immagine aziendale profittevole.
Ci sono vantaggi anche per le aziende acquirenti, quali:
• riduzione del rischio e dell’incertezza;
• identificazione con un marchio riconosciuto;
• maggiore tutela sul fronte della responsabilità dell’acquisto.
6.14 - BRANDING GLOBALE
I marchi possono essere valutati a seconda dei mercati in cui operano, talvolta denominati «ambito
di applicazione». L’ambito del marchio può variare, operando sui mercati locali e nazionali,
oppure sui mercati esteri selezionati e su una serie di mercati internazionali. Townsend e colleghi
(2010) forniscono un’utile tipologia di marchi (cfr. Tabella 6.1).

Ambito del
Critiche e caratteristiche Esempi
marchio

Marchio Presente solo sul mercato interno e gestito localmente Thornton’s Timothy
nazionale Taylor White Stuff
William Hill

Marchio Venduto in alcuni mercati nazionali e gestito in gran parte dal


internazionale mercato interno, spesso avvalendosi di agenti locali sui
mercati internazionali Eddie Stobart Ideal
Standard
Posizionamento, identità, immagine, caratteristiche distintive,
inclusi attributi, associazioni e identificatori

Marchio multi- Venduto su più mercati nazionali e gestito attraverso una


domestico gestione decentralizzata, con controllo locale Caterpillar Diageo
Posizionamento, identità, immagine, caratteristiche distintive, Ferrero GM Philips
inclusi attributi, associazioni e identificatori del marchio che Samsung
variano da un mercato all’altro

Marchio globale Venduto in più mercati nazionali, con una distribuzione


localizzata nei tre principali continenti sviluppati

La gestione centralizzata del marchio coordina l’esecuzione Apple Coca-Cola


locale, ma l’essenza del marchio rimane invariata Google IBM
McDonald’s
Posizionamento, identità, immagine, caratteristiche distintive,
inclusi attributi, associazioni e identificatori, mantengono un
alto grado di coerenza in tutti i mercati mondiali

TABELLA 6.1
Una gerarchia dell’ambito del marchio

117
L’ambito, o portata, di un marchio è il risultato della decisione di immettersi in diverse regioni
geografiche per raggiungere particolari obiettivi. Come le aziende ampliano la loro estensione, così
le loro strategie di branding e di marketing devono adattarsi per influenzare le culture locali e le
esigenze dei clienti. Tuttavia, il branding globale è caratterizzato da una coerenza di strategie di
marketing – un trasferimento della stessa strategia in tutti i mercati, come praticato da IBM, AT&T
e China Mobile.
Qualunque siano i meriti, la definizione puntuale del concetto di marchio globale non è stata
ancora interamente realizzata, perché le questioni di adattamento alle esigenze del mercato locale,
comprese quelle sociali e culturali, hanno portato alla necessità di raggiungere un equilibrio tra gli
estremi. La Coca-Cola, ad esempio, adatta il gusto dei suoi prodotti per soddisfare le esigenze dei
mercati locali, anche in Europa. Quindi, poiché il consumo delle diverse offerte varia da un Paese
all’altro (come il cioccolato, il latte, il caffè, le automobili), non sorprende che i produttori
modifichino le loro strategie di marketing. Ciò significa che i professionisti del marketing devono
determinare quali elementi possano essere standardizzati (ad esempio prodotti, nome, imballaggio,
servizio) e quali debbano essere adattati (generalmente, lingua, comunicazione e doppiaggi) per
soddisfare le esigenze locali.
6.15 - VALORE DEL MARCHIO
Il valore del marchio (brand equity) è una misura della forza di un marchio che viene valutata in
termini economici, talvolta denominato «avviamento». Dal punto di vista finanziario, i marchi
sono costituiti dai loro beni fisici più una somma che rappresenta la loro reputazione, o
avviamento, e la loro somma supera di gran lunga i beni fisici. Così, quando Premier Foods, che
possiede Branston Sauces e Ambrosia Creamed Rice, ha pagato 1,2 miliardi di sterline per
acquistare Rank Hovis McDougall (RHM), che possiede Oxo, Hovis e Mr Kipling, ha acquistato i
beni fisici e la reputazione dei marchi RHM, le cui vendite ammontano a 1,6 miliardi di sterline
all’anno (OFT, 2007).
Il valore del marchio è importante proprio per il crescente interesse a misurare il ritorno sugli
investimenti promozionali e a causa della pressione esercitata dai diversi stakeholder, per valutarli
ai fini del bilancio aziendale. Un marchio di un’azienda con un forte capitale proprio ha maggiori
probabilità di essere in grado di conservare la fedeltà dei propri clienti e respingere gli attacchi dei
concorrenti.
Ci sono due punti di vista principali su come dovrebbe essere valutata la brand equity, uno può
essere considerato puramente finanziario e l’altro fa riferimento alla prospettiva del marketing
(Lasser et al., 1995). Nel primo caso si basa su una considerazione del valore patrimoniale di un
marchio, improntato sul valore netto di tutte le liquidità che questo dovrebbe generare.
Nel secondo caso, invece, si fonda sulle immagini, le credenze e le associazioni da parte dei
consumatori e sul grado di fedeltà o mantenimento che un marchio riesce a ottenere. In questo
senso sono particolarmente rappresentativi strumenti quali consapevolezza, capillarità,
coinvolgimento, atteggiamenti e intervalli di acquisto (frequenza). Feldwick (1996), tuttavia,
suggerisce che si possono riconoscere tre parti associate al valore del marchio:
• valore del marchio, incentrato su fattori di carattere finanziario e contabile;
• forza del marchio, che misura l’intensità del legame di un consumatore a un marchio;
• descrizione del marchio, rappresentata dalle specifiche attitudini dei clienti nei confronti
del marchio.

118
CAPITOLO 7: PREZZO E CREAZIONE DI VALORE
CASO HISTORY 1
Il gruppo Bahlsen GmbH & Co. KG nasce nel 1889 ad Hannover dal signor Herman Bahlsen.
L’azienda, ancora oggi familiare, sta vivendo il passaggio dalla terza alla quarta generazione.
Negli anni Sessanta avviene l’incontro casuale con un importatore dolciario di Bologna, dal quale
nasce la filiale italiana, prima in assoluto, che mantiene la sua originale e storica sede a Bologna.
Abbiamo parlato con Enrico Neri, head of national key account, per comprendere le strategie di
pricing.
L’azienda produce pasticceria da 130 anni ed esporta in circa 80 Paesi del mondo. Nella filiale
italiana lavorano una trentina di persone e una forza commerciale di circa 80 agenti
plurimandatari. L’organizzazione vendite è suddivisa in due settori: Top Client, che gestisce la
GDO nazionale (Esselunga, Coop, Carrefour, CONAD) determinando il 50% circa del fatturato, e
Field, con quattro area manager che seguono la GDO regionale (Alì, Megamark) sviluppando il
30% del fatturato. Il restante viene dalle aree di servizio, dalle vending machine e dal canale
indipendente dei dettaglianti.
In Germania e in Austria, Bahlsen GmbH & Co. KG è leader di mercato nei segmenti torte e
biscotti, nel resto d’Europa il marchio Bahlsen è annoverato tra i principali nell’ambito della
pasticceria. In Italia l’azienda ha un posizionamento molto alto in termini di percezione di qualità
e il brand Bahlsen è considerato come uno dei top nel settore pasticceria confezionata,
collocandosi al di sotto della pasticceria fresca e molto al di sopra dei prodotti da merenda. La
qualità è determinata anche dalla massima attenzione alle materie prime, con la garanzia che il
cacao utilizzato è certificato da UTZ, uno dei più importanti programmi di sostenibilità per cacao,
caffè e tè nel mondo.
Enrico Neri racconta come viene percepito il brand: «In Italia i nostri prodotti sono fortemente
influenzati dall’essere percepiti come cari e dal prezzo quasi esclusivo, nonostante il rapporto
€/kg dia dimostrazione di una maggiore accessibilità, in linea con gli altri top brand della
pasticceria confezionata. Al contrario, in Germania il contesto è completamente differente: oltre
a essere percepito come brand non premium, Bahlsen è visto anche come un marchio un po’
troppo ‘tradizionale’. Anche per questo motivo, nel 2000 viene lanciato Pick Up! a livello
europeo, lo snack giovane con un taglio di marketing molto più nitido e con un posizionamento
simile in tutti gli Stati, molto coerente alla sua identità precisa».
Si sta parlando di una categoria di prodotto molto «infedele», dove quando esce qualcosa di
nuovo lo si prova sempre, andando a ridurre le vendite degli altri; ed è anche molto frammentata,
per la forte presenza di piccoli laboratori locali che occupano spazi di vendita. Sono tipologie di
prodotti in cui l’acquisto d’impulso è la parola chiave, con un numero di acquisti medio annuo
molto basso (pari a circa sei/sette volte). È dunque un acquisto non pianificato, in cui tutto
quello che ha che fare con la stimolazione visiva fa tantissima differenza. È tuttavia una categoria
molto diffusa (circa l’80% delle famiglie acquista questi prodotti), ma con numeri bassi, e molto
frammentata in termini di offerta presente sugli scaffali.
Comunicare, interagire ed emozionare sono gli elementi chiave per stimolare una customer
experience nel punto vendita, per tenere alta l’attenzione sui prodotti, assecondare le abitudini di
acquisto del cliente e incoraggiarne di nuove. Il responsabile dei KA rinforza il concetto:
«L’effetto espositore è fondamentale, nella maggior parte dei casi si compra il prodotto perché il
cliente inciampa nel prodotto. Ogni anno sono presenti nei punti vendita circa 20.000 espositori
ed è di fondamentale importanza tenere monitorato il KPI collegato, ovvero la percentuale
di 259vendite in espositore. In molti casi si ottiene anche un beneficio successivo, perché, se il
cliente compra in espositore, la possibilità che in futuro ci sia un riacquisto diventa maggiore. La
visibilità è un aspetto cruciale, al punto che le vendite, allo stesso prezzo negli stessi periodi,
aumentano di tre/quattro volte rispetto a quelle che si ottengono con l’esposizione a scaffale».

Il trade in Italia è estremamente frammentato e ci sono grandi differenze regionali in termini di:
gusti alimentari e abitudini di consumo, prezzi diversi su «piazze» diverse, organizzazioni molto
differenti tra i big player nazionali (ad esempio Coop Italia, CONAD, Carrefour…) e i clienti

119
regionali leader territoriali (ad esempio Alì in Veneto). I negozi tradizionali non associati a
insegne GDO sono in forte calo, ma rappresentano molto in termini di presenza sul territorio
(circa 50.000 punti vendita); il mercato del fuori casa (bar/caffetteria, circa 110.000 negozi a cui
si possono aggiungere 850.000 vending machine) è numericamente molto presente, ma con un
«cost-to-serve» molto alto. Il gruppo Bahlsen è riconosciuto dalle catene distributive come uno
dei leader di mercato «specialista» (con una quota di mercato del 10%), perché rispetto ai
competitor diretti che trattano tante altre referenze sono gli unici ad avere una gamma molto
profonda. L’azienda è presente su tutte le insegne (a parte i discount) e raggiunge una ponderata
pari al 90%, con una più alta concentrazione nel centro-nord e una presenza a scaffale da cinque
a venti referenze.
La strategia di pricing parte dalla valutazione di tre diverse basi, che devono necessariamente
essere considerate allo stesso livello di importanza. Ci sono fattori interni legati ai costi di
prodotto e agli obiettivi di marginalità che l’azienda vuole ottenere; fattori determinati dalla
percezione di valore della clientela e dall’impatto che può avere la leva promozionale (elasticità
della domanda); in ultimo, ma non meno rilevanti, fattori concorrenziali con il posizionamento di
prezzo nelle varie catene distributive.
Enrico Neri evidenzia l’attuale livello dei prezzi sul mercato: «La media di categoria è di 8 €/Kg, i
frollini si trovano a 4 €/Kg, la pasticceria si attesta su 11/12 €/Kg, che diventano 7/8 €/Kg in
sacchetto. Bahlsen si posiziona intorno ai 10 €/Kg, con una forte capacità competitiva nei
prodotti a base di cioccolato (come i Choco Leibniz). Chiaramente, sul mercato si trovano prezzi
agli estremi dei valori medi, considerando anche prodotti molto differenti fra di loro. Ad
esempio, gli Oro Saiwa si trovano a 2,5 €/Kg, i Mikado a 20-25 €/Kg e i biscotti scozzesi possono
arrivare anche a 35-40 €/Kg».
Neri continua raccontando come le strategie di prezzo dei distributori possano influenzare quelle
dell’azienda: «È fondamentale conoscere il posizionamento di prezzo del cliente distributore,
comprendere il ruolo che assegna alla categoria, che tipo di store format gestisce e in quali aree,
con quali altre insegne si confronta e che marginalità fa con i prodotti che gli vendete. Capita di
trovare prezzi molto diversi fra loro su prodotti simili perché il distributore cerca di recuperare
margine rispetto alle referenze dove esiste una spinta promozionale forte. Il tema del prezzo è
fondamentale, diminuendo troppo il prezzo si abbassa la marginalità, inoltre se il prezzo di
partenza è troppo basso si rischia di creare problemi anche con la parte promozionale, che è
fondamentale perché ha l’effetto di far risaltare al massimo il prodotto. La fascia prezzo
confezione più performante è quella che va da 1 € a 1,49 €, la promozione chiama il volantino
che, a sua volta, chiama il sell-out; l’indice promozionale nel settore è molto alto, 25-30 punti in
media, con punti di picco per i prodotti da merenda. La determinazione del prezzo, considerando
le promozioni, è molto complessa. Ci sono infatti tanti aspetti da tenere in considerazione e
domande a cui dare risposta. Quale percentuale delle vendite sarà in promozione (10% oppure
80%)? Quale tipo di promozione effettuare (taglio prezzo, quantità omaggio…)? Nel caso di taglio
prezzo, serve raggiungere un 260certo prezzo psicologico (ad esempio, tutto a 1 €, oppure 1+1)
oppure no? E ancora, per garantire un efficace sell-out è necessario uno specifico prezzo obiettivo
o la promozione vuole solamente ottenere una buona esposizione fuori banco (visibilità sul punto
vendita)? Il volantino è necessario? Con quale margine si aspetta di lavorare il cliente
distributore in fase promozionale? Nel caso di un taglio prezzo al consumo del 30%, quale sconto
dare al vostro cliente e quanto invece ci metterà lui di riduzione del suo margine?».
Per gestire queste complessità ci sono alcuni strumenti di fondamentale importanza, quali la
rilevazione dei prezzi su piazza (confronto nelle varie città rappresentative del mercato), l’analisi
della performance in promozione dei prodotti per intensità di fasce sconti, il monitoraggio dei
volantini delle principali catene distributive e un listino dei prezzi al pubblico suggeriti
(chiaramente non vincolanti per i regolamenti dell’antitrust), al pubblico a scaffale e in
promozione.
7.1 - INTRODUZIONE

120
Come impostano i prezzi le aziende? Che procedure seguono? Come vengono percepiti dai clienti
i prezzi per diversi prodotti e servizi? Come vengono determinati i prezzi dalle imprese? Queste
sono alcune delle domande che prenderemo in considerazione in questo capitolo.
La nostra comprensione della determinazione di prezzi e costi trae origine dalla pratica contabile.
Anche l’economia ha contribuito alla nostra idea di determinazione del prezzo attraverso modelli
di domanda e offerta, attivi a un livello aggregato (ossia su tutti i clienti di un determinato
settore). La psicologia ha contribuito molto alla comprensione che noi abbiamo della percezione
del prezzo da parte della clientela. L’ambito del marketing integra tutte queste componenti per
dare un’idea migliore di come un’azienda imposti i prezzi per ottenere profitti maggiori,
mantenendo soddisfatti i propri clienti. La determinazione del prezzo è l’aspetto più difficile da
capire del marketing mix, in quanto il prezzo di un prodotto o di un servizio è legato al costo delle
tante componenti diverse che compongono una particolare proposta. Il direttore commerciale
raramente controlla i costi e i prezzi di una particolare offerta, e di solito fa riferimento al
dipartimento della contabilità e della finanza per impostare i prezzi.
In questo capitolo ci proponiamo di fornire una panoramica su come i clienti rispondano ai
cambiamenti di prezzo. Definiamo i concetti di prezzo, qualità, costi e valore e spieghiamo la loro
reciproca relazione. Illustriamo come i clienti percepiscano e conoscano i prezzi, uno step
necessario che influisce su quanto i clienti saranno disposti a pagare. Descriviamo i quattro
approcci principali alla determinazione del prezzo, ovvero quello basato sulla valutazione dei
costi e l’aggiunta di un margine, quello che si riferisce ai prezzi della concorrenza, quello fondato
sulla domanda e, infine, quello che fa riferimento al valore percepito dal cliente. Inoltre,
prendiamo in considerazione le due modalità principali per fissare il prezzo di una nuova
proposta, ossia la scrematura del prezzo e quella basata sulla penetrazione del mercato. Infine,
analizziamo quali tattiche di determinazione del prezzo vengano usate nell’ambiente del
business-to-business (B2B).
7.2 - ELASTICITA’ DELLA DOMANDA
Il concetto di «elasticità della domanda» è stato sviluppato inizialmente nel campo
dell’economia. Il termine ci fa capire come la domanda cambi con le modifiche nel prezzo. Questa
è un’informazione utile, ma i dati necessari per determinare l’elasticità richiedono una ricerca
accurata sulle modifiche di prezzo in relazione al tempo. L’elasticità è influenzata dalle
caratteristiche del marchio e da quelle della categoria, nonché dalle condizioni generali
dell’economia, inclusi fattori quali il tempo, la categoria di prodotto, il marchio (produttore
rispetto alla marca propria), la fase del ciclo di vita del prodotto, il Paese, il reddito disponibile di
una famiglia e i tassi di inflazione (Bijmolt et al., 2005).
In alcune categorie, ad esempio quella delle sigarette, ma non quella dei detersivi in polvere, le
modifiche nel prezzo (che siano positive o negative) portano a modifiche minori nella domanda.
Ad esempio, un aumento del 10% nei prezzi delle sigarette potrebbe portare solo a una riduzione
del 2% nelle quantità vendute, mentre un aumento del 10% nei prezzi dei detersivi in polvere
potrebbe portare a una riduzione delle vendite del 20%. In questo caso, si dirà che il detersivo in
polvere rappresenta l’offerta più «elastica». L’«elasticità» viene definita come la percentuale
della variazione della quantità richiesta in proporzione alla percentuale della variazione del
prezzo. La formula matematica è la seguente: Elasticità della domanda = variazione % della
quantità domandata/variazione del prezzo.
Quando il prezzo di un prodotto sale o scende, la quantità richiesta sale o scende. Quando la
percentuale del cambiamento del prezzo è positiva (il prezzo sale), la percentuale del
cambiamento nella quantità richiesta diminuisce. Di conseguenza, l’elasticità della domanda è
sempre negativa. L’elasticità della domanda per la maggior parte dei beni commercializzati si
trova all’incirca tra -9 e -1. In una meta-analisi di 1.851 variazioni di quantità rispetto alla
variazione del prezzo, basata su 81 studi, l’elasticità media ammontava a -2,62 (Bijmolt et al.,
2005). Vale a dire che per questi beni (inclusi i beni di consumo durevoli e altri tipi di
prodotti), un aumento del prezzo del 10% avrebbe prodotto una diminuzione media del 26,2%

121
della quantità richiesta. Tuttavia, si tratta di una media tra tutte le offerte. I singoli prodotti e
servizi possono distanziarsi molto da tale media.
Generalmente, si può fare riferimento a tre estremi principali di elasticità, come segue:
1. elasticità della domanda uguale a 1 (η = 1): in questo caso, un aumento
(riduzione) del prezzo del 10% produce una riduzione (aumento) della quantità
richiesta del 10%;
2. elasticità della domanda uguale a zero (η = 0): in questa situazione,
qualsiasi modifica di prezzo, che sia positiva o negativa, non ha assolutamente
alcun impatto, o solo un impatto infinitesimale, sulla quantità venduta. È
altamente improbabile che tale situazione si presenti;
3. elasticità della domanda infinita (η = ∞): in questo caso, le modifiche nella
quantità venduta non hanno alcun impatto, o un impatto infinitesimale, sul
prezzo. Anche qui, è altamente improbabile che tale situazione si presenti.
I governi utilizzano i dati sull’elasticità per determinare quali prodotti tassare (vedi Market
Insight 7.1). Ad esempio, la benzina e il tabacco tendenzialmente sono sempre stati tassati perché
gli aumenti nel prezzo derivano dal fatto che gli aumenti delle tasse hanno un minore impatto
sulla quantità fornita rispetto ad altre offerte. I direttori commerciali dovrebbero cercare di
capire se le loro offerte sono elastiche o non elastiche, perché questo permette loro di prevedere
come i cambiamenti nel prezzo influiranno sulla quantità totale richiesta dal mercato.
7.3 – I CONCETTI DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO E DEL COSTO
7.3.1 – DETERMINAZIONE DEL PREZZO
Con il termine «prezzo» si intende:

[…] la quantità di soldi previsti, richiesti o dati in pagamento per qualcosa; un’esperienza o
un’azione non auspicata, cui ci si sottopone o si intraprende [nel senso di «pagare il prezzo di»]
come condizione del raggiungimento di un obiettivo; decisione della quantità richiesta come
pagamento per qualcosa offerto per la vendita; e scoperta o istituzione di un prezzo di qualcosa in
vendita.
(Oxford Dictionaries, 2016)
In termini di marketing, il prezzo viene considerato come la quantità che il cliente deve pagare o
scambiare per ottenere un prodotto o servizio. Ad esempio, nell’acquistare un menu
cheeseburger per bambini da Burger King (che comprende l’hamburger, una porzione piccola di
patatine, una bevanda e un giocattolo), il prezzo potrebbe essere di circa $ 3,59 negli Stati Uniti o
£ 3,99 nel Regno Unito. I £ 3,99 sono il prezzo, ossia il valore numerico monetario assegnato al
menu cheeseburger per bambini nel Regno Unito. Tuttavia, il concetto di determinazione del
prezzo di un prodotto viene spesso confuso con una serie di altri concetti principali del
marketing, in particolare costo e valore.
7.3.2 - COSTI RELATIVI ALL’ OFFERTA DI UN PRODOTTO O DI UN SERVIZIO
Per prezzare in modo adeguato, occorre sapere quanto costino la creazione, la produzione o
l’acquisto della stessa offerta. Il costo rappresenta la totalità di denaro, tempo e risorse
impegnate per produrre o acquisire un’offerta. Ad esempio, i costi necessari per produrre il menu
cheeseburger per bambini di Burger King includono i costi del riscaldamento e della luce nel
ristorante, i costi di 264promozione della pubblicità e delle vendite, i costi dell’affitto o degli
interessi sui mutui ipotecari derivati dall’essere proprietari del ristorante, i costi di gestione e del
personale, e i corrispettivi per il franchising da pagare alla sede centrale di Burger King per
coprire la formazione, la gestione e il marketing.
Vi sono, inoltre, costi associati alla distribuzione dei componenti del prodotto agli allevamenti e
altri fornitori per la ristorazione. Poi vi sono i costi necessari per acquisire e mantenere i

122
computer e i costi del packaging, dei sacchetti e di qualsiasi altro elemento aggiuntivo, come la
corona di BK e altri regali e giocattoli.
7.3.3 – LA RELAZIONE TRA COSTI E DETERMINAZIONE DEL PREZZO CHE SARA’
PROPOSTO AL MERCATO
La relazione tra il prezzo e i costi è importante perché i costi dovrebbero essere nettamente
inferiori rispetto al prezzo assegnato alla proposta; altrimenti, l’azienda non venderà unità
sufficienti per ottenere un reddito che copra i costi e produca profitti a lungo termine (vedi
Equazioni (2) e (3)):
(2)
Reddito complessivo = Quantità venduta x Prezzo dell’unità
(3)
Profitto = Reddito complessivo – Costi complessivi
Il prezzo che sarà proposto al mercato è importante perché una crescita nel prezzo avrà un effetto
positivo sui profitti, mentre una riduzione del prezzo avrà un effetto negativo sui profitti. Ad
esempio, uno studio (Baker et al., 2010: 5) ha rilevato che:
• un aumento di prezzo dell’1% provoca un aumento dell’8,7% sul risultato
operativo;
• un aumento dei costi variabili dell’1% provoca un aumento soltanto del 5,9% sul
risultato operativo;
• un aumento dei volumi di vendita dell’1% provoca un aumento del 2,8% sul
risultato operativo;
• un aumento dei costi fissi dell’1% provoca un aumento soltanto dell’1,8% sul
risultato operativo.
Fino a poco tempo fa, le aziende utilizzavano metodi abbastanza rudimentali per valutare
l’efficacia delle loro decisioni di prezzo, tuttavia i cambiamenti nella potenza di calcolo e nella
disponibilità di dati oggi permettono alle aziende di simulare migliaia di scenari di
determinazione del prezzo per anticipare livelli probabili di domanda e profitto (Michard, 2016).
7.3.4 – PERCEZIONE DA PARTE DEI CLIENTI DI PREZZO QUALITA’ E VALORE
Una delle preoccupazioni degli esperti di marketing è la reazione delle persone al modo in cui le
offerte vengono prezzate, per questo si chiedono come vengano percepiti i prezzi dai consumatori
e perché li percepiscano nel modo in cui li percepiscono. In questa sezione, prendiamo in
considerazione le percezioni individuali di qualità e valore della proposta, e la loro relazione
rispetto alla risposta ai prezzi del cliente.
Qualità della proposta
La qualità è importante nello stabilire i livelli di prezzo del prodotto. La «qualità» viene definita
come «lo standard del prodotto calcolato rispetto ad altri prodotti di genere simile; il livello
di 265eccellenza; un attributo o una caratteristica distintiva posseduta dal prodotto». In questo
senso, la qualità di beni e servizi riguarda il livello con il quale una certa offerta riesce a
soddisfare i bisogni. Ad esempio, un’automobile di altissima qualità (come l’Aston Martin DB11,
la Porsche o la Ferrari) soddisferà sia i bisogni estetici, per la sua bellezza aerodinamica e per il
nostro ego, sia i bisogni funzionali, per la tenuta di strada, la velocità e la sua potenza ad alte
prestazioni.

La qualità è multiforme (ossia include bisogni funzionali e non funzionali differenti) e multistrato
(ossia include livelli di soddisfazione diversi). Poiché ognuno ha una sua definizione personale di
qualità, si preferisce parlare di qualità «percepita»: una persona può essere molto insoddisfatta e
un’altra altamente soddisfatta dello stesso prodotto o servizio.
La relazione tra qualità e livelli di determinazione del prezzo
Spesso si parte dall’assunto che, se il prezzo aumenta, aumenti anche la qualità e, in generale, che
il prezzo rispecchi la qualità. Tuttavia, le ricerche hanno dimostrato come la correlazione tra
prezzo e qualità percepita sia debole, anche se questa è in qualche modo categoria-dipendente
(Gerstner, 1985). L’idea che il prezzo indichi qualità (qualità percepita) presuppone che i prezzi

123
siano determinati in modo oggettivo dalle forze di mercato. In realtà, è chi lavora all’interno delle
aziende a stabilire i prezzi, in modo razionale e distaccato, con l’obiettivo di ottenere il maggiore
profitto possibile. Non esiste una correlazione diretta tra prezzo e qualità percepita (Gerstner,
1985; Zeithaml, 1988), tranne nel caso del vino e dei profumi (Zeithaml, 1988).
La relazione tra valore percepito, qualità del prodotto e livelli di determinazione
del prezzo
Il «valore» viene definito come:

[…] il rispetto che si pensa qualcosa meriti; l’importanza, il merito o l’utilità di qualcosa; principi
o standard di comportamento; ciò che l’individuo ritiene essere importante nella vita; la quantità
numerica indicata da un termine algebrico; un’entità, quantità o numero.
(Oxford Dictionaries, 2016)
In termini di marketing, il valore riguarda la qualità di ciò che riceviamo in cambio di ciò che
paghiamo. Leszinski e Marn (1997), consulenti presso la McKinsey, suggeriscono l’Equazione (4)
per calcolare il valore per il cliente:
Valore = Benefici percepiti − Prezzo percepito
In questa equazione, il cliente percepisce un valore positivo se i benefici percepiti (di valore per la
qualità) superano il prezzo pagato per quei benefici. Giustamente, se il prezzo è zero (ossia se un
oggetto viene regalato), il valore per il cliente è il valore dei benefici percepiti (che ha senso) e, se
non ci sono benefici, il valore è il valore negativo del prezzo pagato. Quando i benefici di
un’offerta sono ridotti, anche il valore viene visto come ridotto se i clienti osservano la differenza
nelle offerte. Si è assistito a un esempio di questo fenomeno quando Cadbury ridusse il numero
di 266cioccolatini nel suo pacco tradizionale da 24, per un peso di 125 g, a 22, per un peso di 114
g, con un aumento del prezzo da circa £ 1,19 nel 2014 a circa £ 1,43 nel 2015 (Hayward, 2015),
modificando il prezzo di ogni singolo cioccolatino da 4,96 centesimi a 6,5 centesimi (per un
cioccolatino lievemente più leggero, da 5,18 g rispetto a 5,21 g).

7.3.5 – INFLUENZE SULLA PERCEZIONE DEL PREZZO DA PARTE DEL CLIENTE


Uno schema per la formazione della percezione del prezzo
Il modo in cui percepiamo il prezzo, in quanto clienti, può essere riassunto in uno schema teorico
(vedi Figura 7.1). In questo schema, le percezioni del prezzo si basano su una serie di elementi.
Quando vediamo un prezzo, esprimiamo un giudizio. Questo giudizio è una nuova percezione di
prezzo, che influisce sulla nostra disponibilità a pagare, la quale a sua volta influisce sul nostro
comportamento di acquisto. Le percezioni di prezzo sono influenzate dalle esperienze precedenti,
dalla conoscenza precedente di prezzi di riferimento, dalle esperienze precedenti con l’offerta
o il marchio in questione, dalla consapevolezza del prezzo (ossia il modo in cui siamo coscienti
dei prezzi), dalle nostre personali sensibilità sul prezzo (quanto siamo disposti a pagare di più),
dalle caratteristiche del cliente e da fattori culturali. È normale confrontare il prezzo visto con
prezzi di riferimento interni (conoscenza di prezzo derivata dall’esperienza) e prezzi di
riferimento esterni (l’opinione degli altri su quale dovrebbe essere il prezzo, magari sotto forma
di siti di confronto prezzi).
I prezzi di riferimento sono fasce di prezzo dal cui confronto i clienti giudicano il prezzo di
acquisto delle offerte. I prezzi di riferimento possono essere visti come aspettative di prezzo
predittive, basate sull’esperienza precedente, rispetto alle stesse offerte o che nascono in
conseguenza al passaparola.267

124
FIGURA 7.1
Uno schema per la formazione della percezione del prezzo.
La formazione della percezione del prezzo è influenzata dall’esposizione a prezzi di riferimento
(interni ed esterni), dalla percezione della qualità, dalla conoscenza del marchio, dalla fedeltà al
marchio, dalla familiarità con il prodotto, dai ricordi di prezzi (pagati in passato e osservati in
precedenza) e dalle asimmetrie delle informazioni (la misura in cui i clienti non conoscono certi
fattori su quelle offerte). Le percezioni di prezzo influiscono sulla disponibilità a pagare dei
clienti. La disponibilità a pagare è influenzata dalle percezioni della correttezza del prezzo
stabilito, dal range dell’accettazione del prezzo (i clienti sembrano disposti ad accettare un prezzo
all’interno di una fascia di prezzi, il che suggerisce una «zona di tolleranza di prezzo»), dall’entità
(prezzo assoluto) e dalla frequenza di acquisto, dalla presentazione del prezzo (il modo in cui i
prezzi vengono presentati può produrre diversi livelli di disponibilità al pagamento) e dalla
pubblicità.
Il reale comportamento di acquisto è influenzato dall’intenzione all’acquisto, dal contesto (ad
esempio il tipo di negozio, la posizione, la tempistica e le situazioni di esaurimento delle scorte),
dalle promozioni (ad esempio promozioni in negozio ed esterne), dalla percezione della qualità
del negozio e dal fatto che il cliente acquisti online o nel negozio fisico, perché è molto più facile
fare una comparazione negli shop online rispetto che offline. Tuttavia, la formazione della
percezione del prezzo è un processo dinamico. In altre parole, questo quadro generale indica che,
una volta avvenuto l’acquisto, vi è una ricalibratura della percezione del prezzo del cliente, in
quanto nuove esperienze di acquisto e nuove informazioni forniscono lo stimolo per tale
ricalibratura. Per questo si tratta di un processo ciclico.
Nei prossimi paragrafi prendiamo in considerazione gli elementi principali all’interno del
processo di percezione del prezzo: disponibilità a pagare, consapevolezza del prezzo e segnali di
prezzo.
Disponibilità a pagare
Solitamente memorizziamo certi prezzi per alcuni oggetti; quando le aziende si distanziano da
quei prezzi, le percepiamo come scorrette. La domanda chiave è: perché alcuni consumatori
percepiscono il prezzo di una proposta come giusto e altri no? Nel determinare il prezzo di
un’offerta in base ai bisogni del cliente, è necessario capire quali clienti ritengono un prezzo
specifico come prezzo giusto da pagare, o quanto si aspettano di pagare o quanto pensano che gli
altri siano disposti a pagare.
Ad esempio, nel Regno Unito Superdrug è stato costretto a rivedere i suoi prezzi dopo che
un’inchiesta del The Times rivelò che le donne dovevano pagare di più per certe offerte (i rasoi,
ad esempio) rispetto agli uomini. In alcuni punti vendita, il surplus di genere sul prezzo richiesto
alle donne per prodotti simili era del 37% (Hipwell e Ellson, 2016).
Consapevolezza del prezzo
Oltre a decidere se un prezzo sia giusto o meno, o quello che i clienti si aspettano di pagare,
occorre anche sapere se i clienti siano consapevoli o meno dei prezzi in una particolare categoria.
Gran parte delle persone non ha una buona conoscenza dei prezzi. Pensate ad esempio ai vostri

125
genitori 268o ad amici molto più anziani di voi: sono al corrente del prezzo dell’abbonamento
mensile per i servizi di streaming di musica? Voi conoscete il prezzo di un tavolo da pranzo di
qualità o di una assicurazione con copertura vita di £ 200.000? Questi esempi mostrano che la
nostra esperienza di prezzo contribuisce a ciò che sappiamo sui prezzi di riferimento. La nostra
esperienza è limitata agli acquisti precedenti reali o potenzialmente tali. Perciò, se le persone non
conoscono i prezzi di riferimento di alcune offerte, come possono determinarne la correttezza?
Nel Regno Unito, i supermercati sono sempre più sotto pressione affinché gli agricoltori vengano
pagati maggiormente per i loro prodotti, questo perché in molte catene di supermercati i prodotti
venivano addirittura venduti a un prezzo inferiore rispetto a quello pagato agli agricoltori e il
pubblico ha iniziato a considerare scorretto questo comportamento (Neville, 2015).

Segnali di prezzo
Quando i clienti valutano un prezzo, ne calcolano il valore tramite l’utilizzo di segnali di prezzo,
perché non sempre conoscono il costo e il prezzo effettivo dell’oggetto che stanno acquistando.
Tali segnali di prezzo includono: prezzi con numero dispari, il contesto di acquisto e prezzi a
pacchetto e riduzioni.
• Segnali di offerta: servono come indicazione della disponibilità di un affare.
Questo seduce il cliente a comprare e suggerisce all’acquirente che un oggetto è
desiderabile e potrebbe non essere disponibile se non viene comprato
velocemente. I segnali di offerta usano la scarsità come strumento di persuasione,
perché più un’offerta viene percepita come limitata, più sarà desiderata (Cialdini,
1993), talvolta a prescindere dal fatto che sia necessaria o meno.
• Prezzi con numero dispari: un altro segnale di prezzo è l’utilizzo di cifre finali a
numero dispari, come ad esempio prezzi che terminano con il numero 9. Vi siete
mai chiesti perché la Nintendo Wii U che avete comprato costava, ad esempio, $
299 o £ 229, o SEK 2,999? Secondo Anderson e Simester (2003), l’aumento del
prezzo di un vestito da donna in un catalogo nazionale di vendita per
corrispondenza da $ 34 a $ 39 aumentò la domanda del 33%, ma la domanda
rimase invariata quando il prezzo venne aumentato a $ 44! La domanda è: perché
l’aumento nella domanda avvenne con un prezzo più alto? È improbabile che la
domanda sarebbe salita se l’oggetto fosse stato prezzato a $ 38. Il motivo è che
percepiamo il primo prezzo come relativo a un prezzo di riferimento di £ 30 (ossia
£ 34 arrotondati alla decina più vicina) e quindi più caro, mentre il secondo prezzo
di $ 39 lo percepiamo come più economico di un prezzo di riferimento di $ 40 (che
abbiamo arrotondato alla decina più vicina).269
• Contesto di acquisto: la nostra percezione del rischio viene accresciuta quando
l’idea ci viene riproposta continuamente rispetto a quando la consideriamo solo al
momento dell’acquisto. Ad esempio, le palestre usano la tecnica di richiedere una
tassa mensile, anche se spesso richiedono un’affiliazione annuale, proprio per
questo motivo. Infatti, un prezzo mensile (invece di uno annuale, semestrale o
trimestrale) attira un livello più alto di iscrizioni alla palestra, perché ai clienti
viene ricordato il loro acquisto più regolarmente. Di conseguenza, il modo in cui si
stabiliscono i prezzi non influenza solo la domanda, ma guida anche il consumo
(Gourville e Soman, 2002).

7.3.6 – STRATEGIE DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO


Le aziende stabiliscono le loro strategie di determinazione del prezzo in base ai loro obiettivi. Le
quattro principali strategie per determinare i prezzi includono:
• prezzi premium: questa strategia si concentra sul determinare il prezzo di
un’offerta per indicarne la particolarità nel mercato. Ad esempio, la Aston Martin
stabilisce il prezzo della sua DB11 in questo modo, a circa £ 150.000;
• prezzi di ingresso: questa strategia avviene quando il prezzo impostato è basso
rispetto alla competizione per ottenere quote di mercato. Amazon ha adottato
questo approccio per costruire il suo ora sostanzioso portafoglio clienti;

126
• prezzi economici: questa strategia imposta i prezzi al minimo indispensabile per
attirare i clienti con più sensibilità al prezzo. I supermercati spesso usano questo
approccio nei loro metodi quotidiani di prezzi bassi (ad esempio Walmart negli
Stati Uniti, ALDI in tutta Europa e Jumbo nei Paesi Bassi);
• prezzi di scrematura: in questa strategia il prezzo viene impostato inizialmente
come alto, poi abbassato successivamente. La Apple ha adottato questa strategia
per gli iPhone, ad esempio. Tale strategia viene usata frequentemente per il lancio
di nuove offerte (che analizziamo nel paragrafo seguente).

7.3.7 – CICLI DI VITA DEI PRODOTTI


Nel lanciare nuove offerte, le aziende tendono a optare per una delle due strategie classiche di
determinazione del prezzo. Con il primo approccio, il prezzo di scrematura, le aziende
stabiliscono inizialmente un prezzo elevato per poi ridurlo con il tempo, recuperando il costo
degli investimenti su ricerca e sviluppo (R&S) dalle vendite effettuate dal gruppo di clienti pronto
a pagare il prezzo più alto (da qui «scrematura» del mercato). Nel secondo approccio, esse
stabiliscono un prezzo più basso con la speranza di creare una grande quantità di vendite e
recuperare quanto investito in R&S (da qui «prezzi di ingresso»). La Figura 7.2 mostra le
strategie di ingresso nel 271mercato e di scrematura del mercato, oltre al loro impatto ipotetico
sulla quantità richiesta (Q1 e Q2, rispettivamente).

FIGURA 7.2
Strategie di prezzo di lancio.
L’approccio di scrematura del prezzo è abbastanza comune per i prodotti di alta tecnologia o per
quelli che inizialmente richiedono investimenti sostanziali di R&S (come ad esempio le console di
giochi e i medicinali su prescrizione). Ad esempio, la Microsoft abbassò il prezzo della sua
console Xbox One, portando il prezzo base ufficiale a $ 299 nel 2016, dopo aver aperto con un
prezzo di lancio di $ 550 (Thier, 2016). L’approccio di scrematura del prezzo è inoltre
particolarmente appropriato quando la domanda è tendenzialmente inelastica e vi sono poche
economie di scala in quel prodotto o in quella categoria (Dean, 1950; Doyle, 2000).
L’approccio di determinazione del prezzo in termini di ingresso nel mercato viene usato per i
beni di consumo in rapida evoluzione e i beni di consumo durevoli, quando non risulti evidente
che la nuova offerta introdotta sia sostanzialmente differente da quelle precedenti. Tale
approccio può essere usato nel caso di oggetti mirati ad attirare clienti con grande sensibilità al
prezzo. 272L’approccio di ingresso è più efficace quando vi è una grande minaccia dalla
concorrenza e la domanda è molto elastica (Dean, 1950; Doyle, 2000).
7.3.8 – APPROCCI DI DETERMINAZIONE DEL PREZZO
Il modo in cui vengono stabiliti i prezzi dipende da vari fattori, tra questi anche il modo in cui il
prezzo influisce sulla domanda, il modo in cui i ricavi delle vendite sono collegati al prezzo, il

127
modo in cui il costo è collegato al prezzo e il modo in cui i costi di investimento sono collegati al
prezzo (Doyle, 2000). In generale, esistono quattro tipi di approcci di determinazione del prezzo:
• orientato al costo (quindi prezzi stabiliti in base ai costi);
• orientato alla domanda (quindi prezzi stabiliti in base alla sensibilità al prezzo e
alla domanda);
• orientato alla concorrenza (quindi prezzi stabiliti in base ai prezzi dei
concorrenti);
• orientato al valore (quindi prezzi stabiliti in base a quello che i clienti credono
offra valore).
Orientamento al costo
L’approccio orientato al costo presuppone l’idea che l’elemento più importante nella
determinazione del prezzo sia il costo delle risorse necessarie per realizzarlo. Di conseguenza
l’esperto di marketing vende i prodotti al più alto prezzo possibile, a prescindere dalle preferenze
o dai costi dell’acquirente. Se il prezzo è sufficientemente alto rispetto ai costi del venditore,
l’azienda guadagna un profitto e sopravvive; in caso contrario, il venditore deve trovare un modo
o di aumentare il prezzo o di ridurre i costi, o entrambe le cose, altrimenti non sopravvivrà
(Lockley, 1949). L’approccio orientato al costo prende in considerazione i costi totali di una
proposta nell’equazione della determinazione del prezzo, ma non considera i fattori non relativi
ai costi, quali l’immagine del brand, il livello di prestigio nella proprietà o gli sforzi fatti.
Un approccio per la determinazione del prezzo è l’utilizzo di prezzi di maggiorazione, spesso
riscontrabili nel settore delle vendite al dettaglio. Tale metodo funziona sulla base di una
maggiorazione di una percentuale stabilita. Quando si utilizza, il metodo orientato al costo porta
all’uso di un listino prezzi, con prezzi singoli stabiliti per tutti i clienti. Si aggiunge
semplicemente una maggiorazione precentuale al costo e ciò costituisce il prezzo. Nel caso della
distribuzione nei supermercati negli Stati Uniti, la maggiorazione sui prodotti si aggira attorno al
50-75%. Le maggiorazioni sul vino servito nei ristoranti sono tipicamente tra il 200% e il 300%.
L’approccio orientato al costo richiede che venga prima determinato il prezzo stabilito in modo
da coprire esclusivamente i costi.
Questo metodo è noto come «prezzo di pareggio». Rappresenta il punto in cui i costi totali e le
entrate totali sono esattamente uguali.

FIGURA 7.3
Compagnie aeree internazionali: il prezzo rispetto al servizio.
L’approccio orientato al costo non significa che sia necessario usare un approccio di
determinazione del prezzo con maggiorazione. In alcune industrie, al contrario, i prezzi si basano
su formule fisse, stabilite avendo in mente i costi di un fornitore. Ad esempio, nell’industria

128
farmaceutica di prescrizione in Francia, Italia e Spagna, le formule fissate dal governo hanno
tendenzialmente dettato i loro prezzi, con possibilità limitate di negoziazione da parte dei
produttori farmaceutici, mentre nel Regno Unito e in Germania le autorità sanitarie nazionali
non fissano i prezzi di prodotti individuali, ma stabiliscono un livello complessivo di redditività
concordata con i produttori farmaceutici, sulla base dell’esposizione dei loro costi (Attridge,
2003).
Orientamento alla domanda
Con l’approccio per la determinazione del prezzo orientato alla domanda, le aziende stabiliscono
i prezzi in base a quanto i clienti sono disposti a pagare per servizi aggiuntivi. Tale approccio è
pre273valente nei servizi di marketing, ma può anche essere usato nell’ambito del marketing B2B
o nella vendita al dettaglio. Le compagnie aeree spesso utilizzano questo approccio, e i clienti
pagano prezzi diversi per posti a sedere con incorporati diversi livelli di servizio, come illustrato
nella Figura 7.3. La maggior parte delle compagnie aeree offre tre tipi di servizi a bordo.
Emirates, ad esempio, offre una prima classe, una business class e una economy, con diversi
benefici a seconda del prezzo pagato in base al sedile (e disponibilità come letto), al pacchetto di
intrattenimento, alla qualità delle opzioni del menu, alla disponibilità e qualità dei lounge in
aeroporto, ai servizi di trasporto da e verso l’aeroporto, al servizio offerto a bordo e al servizio per
passare i controlli di immigrazione e sicurezza.
Orientamento alla concorrenza
Le aziende possono anche stabilire i prezzi in base ai prezzi dei concorrenti, una modalità a volte
nota anche come prezzo «me too». Questo approccio viene usato nei contesti di marketing del
B2B, dei servizi e rivolto al consumatore. Il vantaggio in questo caso è che, quando i prezzi sono
più bassi di quelli dei concorrenti, è più probabile che i clienti acquistino in quel negozio,
sapendo di trovarvi i prezzi più bassi.
Schemi di garanzia del prezzo, come quello delineato nel Market Insight 7.3, cercano di dare ai
clienti la tranquillità di sapere che il prezzo che hanno pagato è competitivo. In realtà, sche mi
simili sono costosi da usare, richiedono un controllo continuo della gamma completa dei prezzi
dei concorrenti e una forte attenzione al controllo dei costi. Vale anche la pena ricordare che
adottare una strategia di prezzo orientata ai concorrenti può portare a guerre di prezzo.274
Le guerre di prezzo si verificano quando il prezzo viene spinto verso il basso e quando la
determinazione del prezzo risulta da accordi tra concorrenti che portano a prezzi insostenibili.
Ad esempio, nel 2003, quando il rivenditore olandese di supermercati Albert Hein ridusse
drasticamente i prezzi in risposta alla competizione proveniente da ALDI e LIDL, la battaglia che
ne risultò vide una riduzione dell’8,2% nei prezzi del cibo, con un costo di 900 milioni di euro e
30.000 posti di lavoro in solo un anno per i supermercati olandesi (van Heerde et al., 2008;
Blackhurst, 2014), sebbene nel 2005, dopo la fine della guerra sui prezzi, Albert Hein fosse
riuscito a riottenere la quota di mercato persa per rivendicare la leadership sul mercato
(Reinemoeller, 2014).
Il calcolo e la previsione della risposta dei concorrenti sono importanti nello stabilire i prezzi e
nel rispondere ai tagli di prezzo dei concorrenti. Sarebbe opportuno analizzare le risposte dei
consumatori quando un concorrente inizia a tagliare i prezzi, ma se il comportamento d’acquisto
varia di poco o temporaneamente, gli altri elementi del marketing mix (come la promozione, la
distribuzione, o la differenziazione del prodotto) potrebbero probabilmente permettere di
riconquistare la clientela (van Heerde et al., 2008). Non è sempre necessario rispondere a una
guerra di prezzi con un taglio del prezzo; al contrario, si potrebbe promuovere una qualità di
servizio migliore (Rust et al., 2000) o, più in generale, miglioramenti nel valore per il cliente.
Orientamento al valore
Anche nella categoria dei beni di consumo durevoli (ad esempio i mobili, gli elettrodomestici, i
tappeti), in cui si presume che i clienti abbiano una minore sensibilità al prezzo, le aziende
praticano approcci di determinazione del prezzo tenendo a mente la considerazione del cliente
(Foxall, 1972). Questo approccio alla determinazione del prezzo viene detto «orientato al valore»,
in quanto i prezzi sono stabiliti sulla base delle percezioni degli acquirenti a proposito del valore
di prodotti specifici o delle caratteristiche di un servizio anziché dei costi o dei prezzi dei
concorrenti. Tale approccio può essere usato nei contesti del B2B, dei servizi e dei beni di

129
consumo. Con la determinazione del prezzo basata sul valore, il processo inizia con i clienti,
determinando il valore che ricavano dall’offerta e, in seguito, determinando il prezzo, anziché
l’approccio contrario usato nella determinazione del prezzo orientata al costo, in cui i costi
vengono determinati per primi e poi si stabilisce il prezzo. Nella determinazione del prezzo
basata sul valore, la decisione su ciò che è di valore per il cliente si fonda sulla conoscenza del
cliente.
Il risultato potrebbe essere che l’azienda non offra necessariamente un prezzo più basso, spesso
al contrario il prezzo risulterà più elevato. Se il prodotto crea un valore reale per i clienti, essi
saranno indotti a pensare che esso abbia più benefici rispetto a quelli offerti dai prodotti dei
concorrenti.
Uno studio di 1.812 professionisti della determinazione del prezzo ha dimostrato come la
strategia basata sul valore sia collegata positivamente alla performance dell’azienda, mentre un
approccio basato sul costo non lo è (Liozu e Hinterhuber, 2013). Un buon esempio di un marchio
che usa questo approccio è L’Oréal, che per lungo tempo ha pubblicizzato i suoi prodotti usando
modelle come portavoce, come la modella sudcoreana Soo-Joo Park, la pop star e personalità
televisiva britannica Cheryl Fernandez-Versini, la modella cinese Xiao Wen Ju, la modella
olandese Lara Stone e l’attrice di Hollywood Naomi Watts, tra le altre, in base al fatto che
dovremmo usare i loro prodotti «perché noi valiamo».
Nell’impostare prezzi basati sul valore, è importante considerare le seguenti domande
(Anderson et al., 2010).
1. Qual è la strategia di mercato per il segmento? Cosa vuole ottenere il fornitore?
2. Qual è il valore distintivo che i clienti possono percepire (ossia il valore tra questa
offerta e l’alternativa migliore, presupponendo che il valore distintivo possa essere
verificato con i dati personali del cliente)?276
3. Qual è il prezzo dell’alternativa migliore?
4. Qual è il costo dell’offerta del fornitore?
5. Quali tattiche di determinazione del prezzo verranno usate inizialmente (ad
esempio una riduzione del prezzo)?
6. Quali sono le aspettative di un prezzo «giusto» da parte del cliente?

7.4 – GESTIONE DELLA DETERMINAZIONE DEI PREZZI


Nell’era dell’informazione, i sistemi informativi di marketing (MkIS), la disponibilità di dati e
Internet hanno cambiato il modo in cui le aziende prendono le loro decisioni nella
determinazione del prezzo. Le strategie di determinazione del prezzo, quali quelle in «tempo
reale» o quelle «dinamiche», si sono sviluppate sempre di più nei mercati dei beni di consumo e
in quelli B2B, talvolta attraverso siti di comparazione online, aste online e gli stessi siti delle
aziende, dato che i prezzi possono cambiare facilmente. Ad esempio, Amazon aggiorna il suo
listino prezzi ogni dieci minuti basandosi su di un’analisi costante dei dati (Anon., 2016c).
Una determinazione dei prezzi dinamica permette anche cambiamenti a livello del cliente
(Grewal et al., 2011).
Visitate le risorse online e seguite i collegamenti web di Kelkoo.co.uk, PriceRunner.se,
touslesprix.com, beslist.nl e preissuchmaschine.de, che rappresentano esempi di siti di
comparazione di prezzi online in diversi Paesi europei.
I siti di comparazione hanno permesso lo sviluppo di grandi banche dati di clienti con una
copertura su tutti i tipi di offerte, inclusi servizi complessi quali la fornitura di gas ed elettricità,
le assicurazioni, i pacchetti di telefonia mobile e i viaggi, nonché offerte standard quali quelle
delle auto e della copertura di guasti. Gli esperti di marketing lavorano in un ambiente sempre
più trasparente sui 277prezzi e dovrebbero riconoscere che la determinazione del prezzo è una
capacità in cui certe aziende sono migliori di altre. Le aziende che eccellono nella determinazione
dei prezzi gestiscono bene i loro costi e la complessità del prezzo, e sono in grado di offrire
sostenibilità e innovazione negli approcci alla determinazione del prezzo (Hinterhuber e Liozu,
2012). I rivenditori online riconoscono sempre più che non importa solo il prezzo, ma anche la

130
facilità con cui è possibile pagare online, perché un processo più efficace di pagamento può
portare a una maggiore disponibilità all’acquisto.

7.4.1 – TATTICHE DI DETERMINAZIONE DEI PREZZI


In realtà, nell’impostare i prezzi, un’azienda confronta tra loro i diversi approcci prendendo in
considerazione tutti i seguenti fattori.
• Competizione: quali sono i prezzi dei concorrenti per le offerte simili?
• Costo: quanto costano all’azienda i singoli componenti che costituiscono l’offerta?
• Domanda: quanto di questo prodotto o servizio verrà venduto e a quale prezzo?
• Valore: quali componenti dell’offerta valorizzano i clienti e quanto sono disposti a
pagare per questi?

7.4.2 – DETERMINAZIONE DEL PREZZO PER IL B2B
Nei mercati B2B, gli acquirenti sono i responsabili degli approvvigionamenti, e spesso si sono
formati in istituti professionali dedicati (ad esempio il Chartered Institute of Purchasing and
Supply nel Regno Unito, la Australian Association of Procurement and Contract Management in
Australia, o l’associazione nazionale di acquisti e logistica svedese). Spesso la loro funzione è
altamente tecnica, anche per le offerte apparentemente semplici. Ad esempio, per produrre una
penna, un produttore potrebbe comprare le penne in Italia, il packaging e la stampa in Cina, le
ricariche in Germania e il montaggio del prodotto finale in Bulgaria.
Nel contesto B2B, la discussione sui prezzi avviene tra l’acquirente e il venditore in un’atmosfera
in cui entrambi cercano di prendere la decisione commerciale migliore per le loro aziende. Il
venditore vuole massimizzare i profitti (ossia vendere a un prezzo alto) e l’acquirente vuole
ricevere a un prezzo basso per ridurre i costi e massimizzare i profitti. Il loro compito è quello di
soddisfare i loro bisogni reciproci in una situazione vantaggiosa per entrambi. Dal punto di vista
del venditore, vi sono numerose tattiche di determinazione del prezzo che possono essere
adottate, comprese le seguenti.
• Prezzi geografici: i prezzi possono basarsi sulla posizione geografica del cliente.
Ad esempio, le case farmaceutiche (a volte in modo controverso) vendono i
farmaci con prescrizione a prezzi diversi in Paesi diversi.
• Prezzi negoziati: i prezzi possono essere stabiliti secondo accordi specifici tra
un’azienda e i suoi clienti (ad esempio i servizi professionali, quali l’ingegneria
edile o strutturale). Questo approccio viene usato quando una vendita è
complessa, anche se i rappresentanti commerciali non dovrebbero cedere sul
prezzo troppo velocemente prima di aver adeguatamente capito i bisogni di un
cliente (Rackham, 2001).
• Prezzi scontati: le aziende possono ridurre i prezzi partendo dal presupposto che
un cliente si impegnerà a comprare una grande quantità di quell’offerta ora o in
futuro, o è propenso a pagarla velocemente. I grandi rivenditori lavorano con
questo principio quando comprano i prodotti per i loro negozi.
• Prezzi di valore d’uso: questo approccio concentra l’attenzione sulle percezioni dei
clienti degli attributi delle offerte e non su approcci più orientati al costo.
Stabilisce i prezzi delle offerte in base a quanto il cliente è disposto a pagare in
cambio di benefici individuali ricevuti da quella proposta, quindi l’azienda deve
innanzitutto verificare quali benefici il cliente percepisce come importanti,
quantificare i valori del beneficio, determinare l’equivalenza di prezzo del valore,
considerare prodotti competitivi e alternativi per dare un punto di riferimento per
la determinazione del prezzo, e quantificare il valore d’uso (ossia il valore
risultante dall’uso del 279prodotto rispetto a quelli dei concorrenti), solo così il
prezzo è veramente fissato (vedi Christopher, 1982, per una discussione
dettagliata). Questo approccio viene usato principalmente per le proposte
industriali.

131
• Prezzi di relazione: questo approccio cerca di capire i bisogni dei clienti prima di
determinare il prezzo dell’offerta in base a quei bisogni, per creare una relazione a
lungo termine. Ciò significa offrire condizioni finanziarie eccellenti, servizi di
credito o periodi di tempo più favorevoli per il pagamento o sconti in base a ricavi
futuri o al rischio collegato all’acquisto.
• Prezzi «pay what you want»: questo approccio permette ai clienti di pagare
quello che vogliono per un’offerta. Ad esempio, l’azienda di servizi giuridici CMS
Cameron McKenna ha offerto questo approccio di determinazione del prezzo ai
suoi clienti corporate (Hollander, 2010).
• Prezzi transfer: questo approccio viene adottato dalle grandi aziende in cui vi è
una compravendita considerevole tra le diverse divisioni dell’azienda, che vanno
spesso oltre i confini nazionali. I prezzi possono essere impostati a tassi di
mercato, sulla base di prezzi negoziati tra dipartimenti o utilizzando un approccio
basato sul costo, a seconda che il dipartimento sia un centro di costo o di profitto.
Le compravendite a volte determinano che l’offerta finale sia troppo cara per un
certo cliente. Airbus, il produttore europeo di aerei gestito dalla capogruppo
European Aeronautic Defence and Space Company (EADS), utilizza questo
approccio nel costruire i suoi aerei fatti con componenti prodotti in Paesi diversi.
• Prezzi di valore economico per il cliente: con questo approccio, un’azienda
determina il prezzo di un’offerta in base al valore percepito dall’azienda
acquirente (ossia, l’utile totale generato meno i costi pagati). Generalmente, ciò
avviene tramite una comparazione con un’offerta di riferimento o di standard di
mercato, considerando non solo il prezzo di acquisto reale dell’offerta, ma anche i
costi iniziali e post-acquisto, per dare un’indicazione generale di quanto la sua
struttura di prezzo sia migliore rispetto a quella di un concorrente. Il prezzo finale
viene poi stabilito in base a una negoziazione tra l’acquirente e il venditore sulla
differenza di valore e sulla probabilità che tale valore sia raggiunto. Questo
approccio di determinazione del prezzo può essere usato da grandi aziende di
consulenza come IBM, quando vende le sue soluzioni di sistema.
• Prezzi proposti in risposta a una gara: con questo approccio, le aziende invitano
altre aziende a fare un’offerta per il diritto all’erogazione di un particolare lavoro e
a dichiarare il loro prezzo. Tale approccio viene usato spesso dalle aziende nel
settore pubblico. Possono sopraggiungere difficoltà in quei casi in cui le aziende
che invitano a formulare la proposta di prezzo non forniscono una fascia di prezzo
entro la quale i partecipanti devono far rientrare la loro offerta. I dirigenti
dovrebbero conoscere la redditività di un’offerta nel determinare il prezzo, e
puntare a scoprire il nome dell’offerente vincitore e il prezzo dei lavori persi
laddove possibile (Walker, 1967). Secondo quanto affermato da Ross (1984),
spesso è meglio non chiedere «Qual è il prezzo necessario per vincere questo
ordine?», ma piuttosto «Vogliamo veramente quest’ordine, considerato il prezzo
che verrà probabilmente proposto dai nostri concorrenti?». Nel caso in cui
l’offerente vincitore ottenga un contratto svantaggioso a cui deve necessariamente
aderire, perché l’offerta partiva da un prezzo molto basso, si parla di «maledizione
del vincitore».

CASE HISTORY 2
Fondata nel 2005, Simply Business è un broker assicurativo online. Parliamo con il direttore
della strategia e del prezzo, Philip Williams (nella foto), per scoprire di più su come l’azienda ha
sviluppato la sua strategia di determinazione dei prezzi.
«Simply Business è cresciuta a partire da un team di sei persone in una stanza vicino Tower
Bridge a Londra, per diventare una delle più grandi PMI (piccole/medie imprese) britanniche del
ramo assicurativo. Fornisce coperture assicurative a circa 360.000 aziende di piccole dimensioni
nel Regno Unito nell’ambito della responsabilità civile (responsabilità dei datori di lavoro,
responsabilità professionale e civile o in caso di trasporto passeggeri), oltre a essere specializzata

132
nell’assicurazione dei proprietari di case. Le sue procedure online sono facili e veloci e
permettono ai clienti di ricevere preventivi e comprare simultaneamente da svariate società
assicurative, garantendo un pannello di prezzi comparabili all’istante e ordinati. Siamo fieri delle
nostre capacità tecnologiche, infatti ci consideriamo prima di tutto un’azienda tecnologica che
funge anche da broker assicurativo. I nostri maggiori concorrenti nel mercato delle PMI
assicurative includono Hiscox, Direct Line for Business, AXA e Towergate, ma il nostro è un
mercato in continua evoluzione. Il mercato online è cresciuto di circa il 20% negli anni. Dei 5,8
milioni di aziende nel Regno Unito, 5,1 milioni vengono classificate come PMI, ma solitamente le
imprese comprano la loro assicurazione dai broker più commerciali. Questo sta cambiando,
soprattutto per quanto riguarda le microimprese, in quanto i clienti si stanno abituando a
confrontare e comprare l’assicurazione personale sul web. Nel Regno Unito, sono quattro i
maggiori siti web di comparazione dei prezzi che sono cresciuti e dominano il campo
dell’assicurazione personale (Compare the Market, Money Supermarket, GoCompare e
Confused.com). Mentre il confronto dei prezzi per l’assicurazione su casa e motori ora è ben
consolidato, i siti di comparazione prezzi non si sono ancora avventurati nel mercato meno
omogeneo e meno esteso delle assicurazioni per le PMI. Simply Business ha colmato questo
vuoto e ha creato collaborazioni strategiche con due dei maggiori aggregatori (Money
Supermarket e GoCompare) per sviluppare un prodotto white label di un portale di confronto dei
prezzi. Dopo aver effettuato un management buyout (acquisizione dell’azienda da parte dei
manager interni) nel 2013, il nostro utile ha continuato a crescere del 25% di anno in anno.
Abbiamo vinto diversi premi tra cui, nel 2015 e nel 2016, il primo posto per il premio del Sunday
Times ‘Migliore azienda per cui lavorare’. Per sviluppare il nostro straordinario progetto,
sentivamo di dover estendere il nostro controllo oltre la catena del valore. Per questo motivo non
offriamo solamente una piattaforma su cui comparare le tariffe delle assicurazioni per le imprese,
ma abbiamo anche ottenuto una convenzione con il nostro panel di circa 20 assicurazioni che ci
garantisce la loro fornitura. Quindi gestiamo tutte le interazioni con i clienti, inclusi i pagamenti,
e abbiamo un accordo che prevede che possiamo gestire i reclami (tranne quelli maggiori) senza
dover coinvolgere gli assicuratori. Per impostare i prezzi nel mercato dell’assicurazione
aziendale, l’approccio tradizionale è stato quello di utilizzare il metodo di costo maggiorato. Gli
assicuratori impostano un tasso di rischio per ogni cliente basato sui dettagli forniti da un cliente
all’interno di un modello di proposta (ad esempio codice postale, fatturato, numero di
dipendenti). Con questi dettagli viene determinato un costo base prima dell’aggiunta di carichi
aggiuntivi per spese, riassicurazione e commissioni di intermediazione. Queste ultime vengono
normalmente contrattate tra ogni broker e ogni assicuratore in maniera individuale. I broker in
grado di fornire volumi più alti di lavoro, o quelli che acquisiscono clienti di qualità superiore
(attraverso processi straordinari di selezione o di accesso al mercato), 283sono i più abili a
negoziare livelli più alti di commissioni.
Sebbene questa strategia e questo modello di business siano i più utilizzati, per noi di Simply
Business si fondavano su due aspetti negativi in relazione al valore per i clienti. Prima di tutto,
una comparazione di prezzi che usasse la metodologia standard avrebbe mostrato ai clienti
un’immagine inesatta, con prezzi di assicurazione per le imprese minori, senza mostrare le
commissioni presenti nei prezzi (come conseguenza di un più alto livello di commissioni
negoziate). Dal punto di vista della clientela, sapevamo che sarebbe stato difficile giustificare ai
nostri clienti il motivo per cui le nostre commissioni ricevute da assicuratori diversi sarebbero
state differenti. In secondo luogo, il controllo del volume dei clienti è difficile da gestire dato che
tutte le modifiche alle commissioni devono essere negoziate con un fornitore. Questo è
facilmente gestibile in un ambiente offline, ma risulta più difficile nel mondo online, con volumi
significativamente maggiori e una maggiore sensibilità di prezzo da parte del cliente, guidata
dalla facilità e dall’accesso alla competizione. Per questo abbiamo utilizzato i nostri strumenti di
misura per negoziare, con i nostri assicuratori, una struttura di commissioni che fosse flessibile.
Ciò ha permesso a Simply Business di spostarsi verso un approccio di determinazione del prezzo
orientato alla domanda e di standardizzare le commissioni sulle quote, presentando ai clienti una
comparazione giusta ed equa senza che Simply Business ricevesse incentivi per la vendita di un
prodotto piuttosto che di un altro. Questo approccio trasparente riflette il nostro brand, che si
concentra sull’onestà e la semplicità. Un’ulteriore difficoltà riguarda il fatto che tutti i prezzi

133
quotati per i clienti vengono creati appositamente per un soggetto privato o un’azienda specifica
e adattati alle loro esigenze, e che clienti diversi hanno anche diverse sensibilità di prezzo.
Avremmo anche voluto dare risposta alla richiesta dei clienti in merito a possibili sconti, ma
sarebbe stato troppo oneroso negoziare con ognuno dei nostri fornitori per ogni singolo
preventivo. D’altro canto, sapevamo di non poterci permettere di scontare le polizze di tutti i
nostri clienti in generale».

CAPITOLO 8: LA POLITICA DI COMUNICAZIONE DI MARKETING


CASE HISTORY 1
LIFE è un’agenzia di comunicazione italiana indipendente, con una forte vocazione strategica
volta a incrementare il business dei clienti con progetti integrati e coerenti con gli obiettivi di
business. Abbiamo parlato con Alberto Tivoli, CEO dell’azienda, per condividere la sua visione
della comunicazione e comprendere come si costruiscono strategie comunicative tra loro parlanti
per esprimersi in modo coerente e univoco sui vari punti di contatto.
«L’agenzia ha dovuto e voluto adeguarsi a un mercato in forte evoluzione strutturale. Oggi
dobbiamo supportare un marketing che ha come obiettivo quello di produrre del concreto valore
aggiunto per il cliente. Questo significa ragionare a un livello più alto di quello prettamente
operativo, lavorando in sintonia con le altre line of business e, soprattutto, offrire una prospettiva
bottom line che si ottiene solo se il responsabile marketing è in grado di dimostrare, dati alla
mano, qual è il ritorno che le attività di comunicazione e promozione sono in grado di garantire
rispetto agli investimenti sostenuti. Proprio per questo l’agenzia non è solamente un supporto
per tutto quello che riguarda le attività di comunicazione, ma diventa un consulente che
abbraccia più aree e che può rispondere a più necessità».
Tra le mille variazioni che l’era digitale ha portato nella comunicazione, sicuramente il
cambiamento epocale è dato dalle nuove forme delle relazioni commerciali e dai flussi che la
comunicazione dovrà alimentare. Oggi prevalgono flussi di comunicazione bidirezionali two-way
e in modo crescente multidirezionali, multi-way, fino a quelli one-to-one di natura collaborativa.
L’impresa perde la sua posizione di superiorità per diventare alla pari rispetto al consumatore.
L’atteggiamento da tenere è orientato all’ascolto e alla risposta, che garantisce l’apertura e la
bidirezionalità di una relazione diretta e personale, che cerca di captare i bisogni del singolo
consumatore per orientare il marketing verso il singolo cliente.
Alberto Tivoli evidenzia come aumenti il rischio visto che la transizione avviene dopo la
relazione. «È un rapporto più umano, con codici relazionali molto più diretti in cui il racconto e
la narrazione sono parte sostanziale e fondamentale. Se storytelling, quindi, è la parola chiave
della comunicazione nella nuova era tecnologica (ma anche qui con un’evoluzione velocissima e
da analizzare), big data lo è in tutto il resto. La complessità è talmente ampia che è necessario
dotarsi di professionisti che riescano a vedere con chiarezza dove per tutti gli altri c’è solo il
caos. È nata tutta una serie di figure, a volte necessarie, dal digital storyteller al growth hacker,
dal cloud service specialist al big data analyst ecc.: una lista infinita di specialisti che imparano
sul campo e con l’esperienza (non potrebbe mai esistere un’università così modulabile da
reiventare il suo programma ogni anno), e molto spesso sono proprio le agenzie come la nostra a
dover far capire al marketing strategico quali sono le figure più adatte alle varie
situazioni/necessità/obiettivi e, in seconda battuta, ad arrivare anche a fornirgliele».
Si sono modificate in maniera importante anche le convinzioni sulla netta distinzione di codici tra
la comunicazione BtoB e BtoC, in cui la razionalità era l’area più performante della prima,
l’emozione della seconda.
8.1 – INTRODUZIONE

134
Vi siete mai chiesti in che modo organizzazioni come LIFE riescano a comunicare efficacemente
con così tante persone e organizzazioni diverse? In quale maniera le aziende dovrebbero
pianificare le campagne di comunicazione? Questo è il primo dei due capitoli che spiegano come
fare a realizzare tutto ciò attraverso l’uso della politica di comunicazione nell’ambito del
marketing. Il presente capitolo introduce e spiega che cosa sia la «comunicazione di marketing» e
in che modo possa essere pianificata. Il Capitolo 9 prende in esame la configurazione del
marketing communications mix.
Le comunicazioni di marketing riguardano lo sviluppo dei messaggi che possono essere compresi
e messi in pratica dal pubblico di destinazione. Il capitolo inizia con una definizione di che cosa
siano le comunicazioni di marketing. Passa poi a discutere l’ambito di applicazione e le funzioni
delle comunicazioni di marketing, prendendo in considerazione la teoria della comunicazione. La
teoria della comunicazione specifica lo scopo che il soggetto vuole perseguire e fornisce un
quadro all’interno del quale valutare le varie attività di comunicazione intraprese dalle
organizzazioni. Presenteremo quindi i principi di comunicazione basati sulla natura dei messaggi
comunicati ed esamineremo il modo in cui potrebbero funzionare le comunicazioni di marketing.
8.2 – DEFINIZIONE DELLA POLITICA DI COMUNICAZIONE DI
MARKETING
La politica di comunicazione di marketing può essere definita come un processo di gestione
attraverso il quale un’organizzazione tenta di interagire con i suoi vari segmenti di pubblico.
Attraverso la trasmissione di messaggi, si incoraggia il pubblico a offrire risposte che riguardano
gli atteggiamenti e il comportamento (Fill, 2013).
Gli aspetti principali associati a questa definizione sono tre.
• Coinvolgimento: quali sono le esigenze di comunicazione dei vari segmenti di
pubblico? È possibile interagire con loro, utilizzando comunicazioni
unidirezionali, bidirezionali o dialogiche?295
• Pubblico: quali sono gli specifici segmenti di pubblico con i quali dobbiamo
comunicare e quali sono le diverse esigenze di comportamento e di elaborazione
delle informazioni che li caratterizzano?
• Risposte: quali sono gli esiti che si desidera ottenere dal processo di
comunicazione? Si basano su cambiamenti nella percezione, nei valori e nelle
credenze o sono cambiamenti nel comportamento?
Il coinvolgimento ha a che fare con il modo in cui la comunicazione influenza il pubblico (vedi la
sezione successiva «Come funzionano le comunicazioni di marketing»). Cosa aspettarsi in
termini di coinvolgimento dipende in larga misura dalle decisioni prese per quanto riguarda il
pubblico di destinazione e dalle risposte per le diverse attività di comunicazione di marketing
(vedi «Pianificazione delle comunicazioni di marketing»).

8.3 – L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE COMUNICAZIONI DI


MARKETING

Come è stato discusso nel Capitolo 1, la promozione rappresenta una delle «P» del marketing mix
e comprende la comunicazione della proposta al mercato di destinazione. «Comunicazioni di
marketing» è un’espressione che viene usata per riferirsi alla comunicazione delle caratteristiche
e dei valori relativi alle offerte che un’organizzazione propone al proprio pubblico.
Le comunicazioni di marketing sono un’attività costituita da tre elementi: un insieme di
strumenti, i media e i messaggi. I cinque strumenti comuni sono rappresentati dalla pubblicità,
dalle vendite promozionali, dalla vendita personale, dal direct marketing e dalle pubbliche
relazioni (PR). Per la trasmissione dei messaggi al pubblico di destinazione (trattati più in
dettaglio nel Capitolo 9) viene utilizzata una serie di media che comprende televisione, radio,
stampa e Internet.
Strumenti, media e messaggi non rappresentano tuttavia le uniche fonti di informazione per i
consumatori. Esiste anche una comunicazione implicita e importante, che avviene attraverso gli

135
altri elementi che compongono il marketing mix (ad esempio, un prezzo elevato è simbolo di alta
qualità), così come esperienze non pianificate o non desiderate (per esempio, scaffali vuoti o
incidenti) in relazione all’offerta.

FIGURA 8.1
Ambito di applicazione delle comunicazioni di marketing.
La Figura 8.1 evidenzia l’ampiezza e la complessità della gestione delle comunicazioni di
marketing. La nostra attenzione in questo capitolo sarà focalizzata sulle comunicazioni di
marketing pianificate (Duncan e Moriarty, 1998). Si tratta di una componente davvero
importante in quanto dispone del potenziale non solo per presentare offerte nel miglior modo
possibile, ma anche per influenzare le aspettative delle persone su entrambe le esperienze, sia di
prodotto sia di servizio.
8.4 – COME FUNZIONANO LE COMUNICAZIONI DI MARKETING
Le idee riguardo a come funzionino le comunicazioni di marketing hanno rappresentato una
continua fonte di indagine. Sebbene non sia stata raggiunta alcuna conclusione definitiva, alcune
idee hanno ricoperto un ruolo molto influente nel formare il nostro pensiero su questo
affascinante argomento.
8.4.1 – TEORIA DELLA COMUNICAZIONE
La teoria della comunicazione spiega come e perché vengano svolte determinate attività di
comunicazione di marketing. La comunicazione è il processo tramite il quale gli individui
condividono significati. È quindi necessario che i partecipanti siano in grado di interpretare i
significati inclusi nei messaggi che ricevono e in seguito, per quanto riguarda il mittente, siano in
grado di rispondere in modo coerente. L’atto di rispondere è importante perché completa il
processo di comunicazione. La comunicazione che viaggia solo dal mittente al destinatario è
essenzialmente un processo a senso unico e il processo di comunicazione nel suo insieme rimane
incompleto. Questo tipo di comunicazione è illustrato nella Figura 8.2.297

FIGURA 8.2

136
Un modello di comunicazione lineare.
Quando Marabou reclamizza le sue barrette di cioccolato su un poster della metropolitana di
Stoccolma, la persona in attesa sulla piattaforma può leggere il poster, capirlo, e anche esserne in
qualche modo attratta e divertita. La persona non ha tuttavia alcuna opportunità immediata di
rispondere al poster in modo tale che Marabou possa udire, capire e agire sui commenti e sui
sentimenti della persona. Quando lo stesso annuncio viene presentato su un sito web oppure un
incaricato alle vendite promozionali offre alla stessa persona, mentre fa la spesa in un
supermercato, un pezzetto di cioccolato al latte Marabou, è invece possibile ascoltare, registrare e
anche rispondere ai commenti che la persona fa. Questa forma di comunicazione viaggia da un
mittente (Marabou) a un destinatario (la persona al supermercato) e da questa di nuovo a
Marabou. Viene definita comunicazione bidirezionale e rappresenta un modello di
comunicazione completo. Questo tipo di comunicazione è illustrato nella Figura 8.3.
Visitate le risorse online e seguite il link web alla International Association of Business
Communicators (IABC), una rete aziendale che mira a migliorare l’efficacia delle comunicazioni
di marketing tra i professionisti della comunicazione.
Tali modelli elementari costituiscono i fondamenti di questa introduzione alla teoria della
comunicazione. Capire il modo in cui funziona la comunicazione fornisce una base per una
migliore comprensione non solo del modo in cui le comunicazioni di marketing funzionano, ma
anche di come le organizzazioni possano utilizzarle in maniera efficace.
Passeremo in rassegna tre modelli principali del modo in cui funziona la comunicazione: il
modello di comunicazione lineare, il modello bidirezionale e il modello interattivo.298
Il modello lineare di comunicazione
Il modello lineare di comunicazione, sviluppato per la prima volta da Wilbur Schramm (1955), è
considerato il modello base delle comunicazioni di massa. I componenti chiave di questo modello
sono indicati nella Figura 8.2.
Il modello può essere suddiviso in un certo numero di fasi, ognuna delle quali presenta
caratteristiche distinte. Il modello lineare sottolinea come ogni fase avvenga in una particolare
sequenza – una progressione lineare – la quale, secondo Theodorson e Theodorson (1969: 13-14),
consente la «trasmissione di informazioni, idee, atteggiamenti o emozioni da una persona o
gruppo a un’altra (o altre), principalmente attraverso i simboli». Il modello e le sue componenti
sono diretti, ma è la qualità dei collegamenti tra i vari elementi del processo a determinare se la
comunicazione avrà successo.
La fonte è un individuo, o un’organizzazione, che identifica un problema che richiede la
trasmissione di un messaggio. La fonte di un messaggio è un fattore importante nel processo di
comunicazione: è necessario non solo che la fonte identifichi il problema effettivo, ma anche che
tenga conto che, se un destinatario percepisce la fonte come priva di convinzione, autorità,
fiducia o competenza, difficilmente darà credito ai messaggi che provengono da quella fonte.
La codifica è il processo attraverso il quale la fonte seleziona una combinazione di parole,
immagini, simboli e musica adatti a esprimere il messaggio da trasmettere. I vari bit sono
«impacchettati» in modo tale da poter essere spacchettati e compresi. L’obiettivo è la creazione
di un messaggio che possa essere facilmente compreso dal destinatario.
Una volta codificato, il messaggio deve essere espresso in un formato facilmente trasmissibile:
orale o scritto, verbale o non verbale, simbolico o segnico. Il canale è il mezzo tramite il quale il
messaggio viene trasmesso dalla fonte al destinatario. Può trattarsi di canali personali o non
personali. I canali personali comportano il contatto frontale e il passaparola, quest’ultimo può
avere un’influenza considerevole. I canali non personali sono caratterizzati dalla pubblicità
attraverso i mass media, che può raggiungere un vasto pubblico. Gli annunci pubblicitari
pubblicati su giornali come il Guardian sono tipici di quest’ultimo approccio.

Qualunque sia il formato scelto, la fonte deve assicurarsi che quanto viene inserito nel messaggio
è ciò che vuole che il destinatario decodifichi. Una volta che il destinatario, un individuo o
un’organizzazione, abbia visto, sentito, annusato, o letto il messaggio, lo decodificherà. La cosa
che effettivamente avviene è che «spacchetterà» le varie componenti del messaggio, iniziando ad

137
attribuirgli un senso e un significato. Più chiaramente il messaggio è codificato, più facile è
«spacchettarlo» e comprendere ciò che la fonte intendeva veicolare quando lo ha costruito.
La decodifica è quindi quella parte del processo di comunicazione in cui i destinatari
attribuiscono significato a un messaggio.
Una volta compreso il messaggio, i destinatari forniscono un insieme di reazioni che vengono
definite «risposta». Tali reazioni possono variare da una risposta emotiva basata su un insieme di
sentimenti e pensieri collegati al messaggio fino a una risposta che coinvolge il comportamento o
l’azione.
Il feedback è un’altra parte del processo di risposta. È importante sapere non solo che il
messaggio è stato ricevuto, ma anche che è stato correttamente decodificato e che gli è stato
attribuito 299il giusto significato. Sebbene il feedback sia un aspetto essenziale di un’attività di
comunicazione di successo, attraverso i canali dei mass media è tuttavia in genere difficile da
ottenere, principalmente a causa del ritardo intrinseco presente nel processo di feedback.
Il feedback relativo alla vendita personale, viceversa, può essere istantaneo, grazie a mezzi
espliciti quali domande, obiezioni o la firma di un modulo d’ordine. Per l’inserzionista dei mass
media il processo può risultare vago e soggetto a errori di interpretazione. Se non è presente un
adeguato sistema di feedback, la fonte non verrà a conoscenza del fatto che la comunicazione non
ha avuto esito positivo, rischiando così di continuare a sprecare risorse. Si tratta di un esempio di
comunicazione di marketing inefficiente e inefficace.
Il rumore ha a che fare con le influenze che distorcono le informazioni rendendo, a loro volta,
difficile per il destinatario decodificare e interpretare correttamente il contenuto del messaggio
che la fonte intendeva trasmettere. Se quindi al cinema un cellulare squilla o qualcuno produce
fruscii con la confezione dei biscotti mentre sullo schermo scorre una parte particolarmente
emozionante del film, il destinatario è distratto rispetto al messaggio che deve ricevere.
La componente finale del modello lineare riguarda la «sfera della comprensione». Si tratta di un
elemento importante nel processo di comunicazione perché riconosce che esistono maggiori
probabilità di realizzare comunicazioni di successo se la fonte e il destinatario si comprendono.
Questo tipo di comprensione riguarda atteggiamenti, percezioni, comportamenti ed esperienza –
in altre parole, i valori di entrambe le parti coinvolte nel processo di comunicazione. Una
comunicazione efficace è più probabile quando esiste un terreno comune, ossia un «regno di
comprensione» tra la fonte e il destinatario.
Uno dei problemi associati al modello lineare di comunicazione è che questo modello non tiene
conto dell’impatto che altre persone possono avere sul processo di comunicazione. Le persone
non sono passive; utilizzano attivamente le informazioni e le opinioni. Le azioni delle altre
persone possono influire sul modo in cui le informazioni vengono inviate, ricevute, elaborate, e
sul modo in cui viene loro attribuito significato. Una delle altre difficoltà con il modello lineare è
che si basa sulla comunicazione attraverso i mass media.
Al giorno d’oggi, le persone interagiscono e, in alcune circostanze come il gioco online, le
organizzazioni e gli individui possono essere coinvolti in un dialogo reale. Il modello lineare
non è quindi più sufficiente a spiegare il modo in cui i consumatori reagiscono alle comunicazioni
nelle varie circostanze. È ancora utile per i nostri scopi, tuttavia, in quanto analizza in modo
specifico il processo di codifica e decodifica dei messaggi, e rimane fondamentale per la
comprensione delle forme popolari di comunicazione di marketing (come la pubblicità cartacea e
televisiva).
Il modello di comunicazione two-step, ovvero in due passaggi
Un’interpretazione del modello lineare è che si tratti di una spiegazione one-step: le informazioni
vengono inviate a un pubblico potenziale, un po’ allo stesso modo in cui un proiettile viene spinto
attraverso la canna di una pistola. Sappiamo comunque che le persone possono avere un impatto
significativo sul processo di comunicazione e il modello two-step, chiamato anche
«dell’influenzatore», va in qualche modo a considerare tale influenza.
Il modello two-step riconosce l’importanza delle influenze personali quando di tratta di
informare e persuadere il pubblico a pensare o comportarsi in un particolar modo. Questo

138
modello considera le informazioni che, attraverso vari canali mediatici, giungono a particolari
tipi di persone, alle quali altri soggetti all’interno del pubblico si rivolgono per ottenere delle
informazioni e un orientamento. Esistono due tipi principali di influencers: uno è definito
«opinion leader»; l’altro «opinion former» (vedi Figura 8.3).
Gli opinion leader sono semplicemente persone comuni con un maggiore interesse per un
particolare argomento. Ad esempio, la rivista Vogue ha un Influencer Network, ovvero una rete
di 300influenzatori, un panel di 1.000 donne che, in qualità di opinion leader, forniscono
feedback su una serie di temi, tra cui nuove offerte, prossime collezioni di moda e annunci
pubblicitari originali e creativi. Vengono incoraggiate a parlare di particolari offerte sui loro
social network, sensibilizzando il pubblico su queste e sulla rivista stessa (Moses, 2011).

FIGURA 8.3
Il modello di comunicazione in due fasi.
Gli opinion former sono invece coinvolti professionalmente nell’argomento di interesse. A
contraddistinguerli è il fatto che esercitano un’influenza poiché la loro professione, autorità,
formazione o status sono associati all’oggetto del processo di comunicazione. I commessi nei
negozi di apparecchiature musicali, ad esempio, sono spesso musicisti esperti. Gli aspiranti
musicisti che cercano di comprare la loro prima chitarra spesso consultano quelli che loro
considerano «esperti» di marchi, stili, modelli di chitarra e attrezzature associate, come ad
esempio gli amplificatori.
Sia gli opinion leader che gli opinion former dispongono di un potenziale enorme nell’influenzare
il pubblico. Ciò può essere dovuto al fatto che, quando i messaggi provengono da persone
(influencer), la loro forza e credibilità risultano accresciute, o anche al fatto che questo può
essere l’unico modo per raggiungere il pubblico degli utenti finali (cfr. Market Insight 8.1).
Il modello di comunicazione interattivo
Nel modello di comunicazione interattivo si vedono le parti del processo di comunicazione
interagire tra di loro e la comunicazione fluisce tra tutti i membri all’interno di quello che viene
considerato un network di comunicazione (cfr. Figura 8.4). I mass media non costituiscono
l’unica fonte di comunicazione.

139
FIGURA 8.4
Un modello interattivo.
Il modello interattivo riconosce che i messaggi possono fluire attraverso vari canali e che le
persone possono influenzare la direzione e l’impatto di un messaggio. Non è necessariamente la
comunicazione a senso unico, ma semmai quella interattiva, a caratterizzare gran parte delle
comu301nicazioni contemporanee. Nel Case History 8.2, vedremo come il desiderio
del Guardian di essere «aperto» richiedesse l’utilizzo dei social media per incoraggiare la
partecipazione all’ascolto. L’interazione tra persone diverse, che talvolta hanno a che fare con
il Guardian solo indirettamente, rappresenta una buona dimostrazione del modello interattivo
nella pratica. Consulta il Market Insight 8.2 per un interessante esempio di come i processi
interattivi possano essere utilizzati per migliorare l’efficacia di una campagna.
L’interazione è parte integrante della comunicazione. Pensate a una conversazione con un amico:
la comunicazione frontale, orale e visiva, consente a entrambi di considerare ciò che l’altro sta
dicendo e di reagire in qualsiasi modo si ritenga opportuno. La comunicazione di massa non
facilita l’elemento interattivo e, come abbiamo detto sopra, il modello lineare potrebbe quindi
essere considerato una forma incompleta del processo di comunicazione pura. È 302tuttavia
necessario prestare attenzione, perché il contenuto associato a un’interazione potrebbe essere
basato su un’argomentazione, un’opinione o un semplice incontro sociale avvenuto per caso. Ciò
che conta qui è l’interazione che porta alla comprensione reciproca. Questo tipo di interazione
riguarda la «conoscenza specifica delle relazioni» (Ballantyne, 2004), ovvero l’interazione che ha
a che fare con informazioni rilevanti per entrambe le parti.
Una volta stabilito questo, tra i partecipanti si sviluppano livelli più elevati di fiducia, tanto che,
alla fine, emerge un dialogo tra i partner della comunicazione. L’interattività rappresenta quindi
la precondizione al dialogo, la più alta e più pura forma di comunicazione.
Il dialogo avviene attraverso il ragionamento, che richiede sia capacità di ascolto sia di
adattamento. Il dialogo ha a che vedere con lo sviluppo della conoscenza specifico per le parti in
causa e viene indicato come «imparare insieme» (Ballantyne, 2004: 119).
Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha ricoperto un ruolo determinante per consentire alle
aziende di offrire maggiori opportunità di interazione con i propri clienti e altri tipi di pubblico:
pensiamo, ad esempio, al numero di volte, in cui, mentre guardiamo la televisione, ci viene
chiesto di premere il pulsante rosso per ottenere maggiori informazioni.
8.4.2 – TEORIA DELLA COMUNICAZIONE DI MARKETING
La prima idea riguardo al modo in cui funziona la pubblicità era ispirata da come funzionava la
vendita personale. Sviluppato da Strong (1925), il modello AIDA è diventato estremamente noto
e viene utilizzato da molti professionisti. L’acronimo AIDA si riferisce alla necessità, in primo
luogo, di creare consapevolezza (Awareness), quindi di generare Interesse e di guidare il
Desiderio, dal quale si origina l’Azione (una vendita). Come interpretazione generale del processo

140
di vendita è 303generalmente corretta, ma non riesce a fornire una visione approfondita del
funzionamento della pubblicità. 36 anni dopo, Lavidge e Steiner (1961) presentarono un modello
basato su quello che viene definito l’approccio della gerarchia degli effetti (HoE). Di natura
simile al modello AIDA, presuppone però che un potenziale cliente debba attraversare una serie
di passaggi per poter effettuare un acquisto. Si presume – correttamente – che la pubblicità non
possa generare una vendita immediata, perché nella mente dell’individuo c’è una serie di
passaggi prima di arrivare all’azione. Questi passaggi sono rappresentati nella Figura 8.5.304

FIGURA 8.5
Fasi del modello di gerarchia degli effetti.
Questi modelli sono definiti modelli di «gerarchia degli effetti» (HoE) perché si ritiene che gli
effetti (sul pubblico) si verifichino in una sequenza dall’alto verso il basso. I modelli e i
framework della gerarchia degli effetti sono diretti, semplici, di facile comprensione e (se
utilizzati per la creazione di materiali pubblicitari) forniscono un utile e ampio schema sul quale
basare e valutare le campagne.
Anche se attraente, tuttavia, questo approccio sequenziale presenta diversi inconvenienti. Le
persone non sempre elaborano informazioni né acquistano prodotti o servizi in offerta seguendo
una serie di passaggi sequenziali. Questa progressione logica non si riflette nella realtà quando,
ad esempio, un acquisto d’impulso è legato a un sentimento o un’emozione nei confronti di un
brand. Ci si chiede anche che cosa permetta di generare livelli adeguati di consapevolezza,
comprensione e convinzione.
Come si fa a sapere quale fase sia stata raggiunta dalla maggior parte del pubblico di destinazione
in un momento qualsiasi e se questa sequenza di acquisto sia applicabile a tutti i consumatori per
tutti gli acquisti?
8.4.3 – TEORIE FORTI E DEBOLI DELLA PUBBLICITà
Secondo Jones (1991), la pubblicità ha un forte effetto, perché può convincere le persone a
comprare un prodotto in offerta mai acquistato prima. La pubblicità può anche generare un
comportamento di acquisto a lungo termine. Secondo la teoria forte la pubblicità è in grado di
aumentare le vendite per un brand e per la sua classe di prodotto. Riorientamenti del pubblico
verso l’alto come questo si ottengono attraverso l’uso di tecniche manipolatorie e psicologiche,
impiegate nei confronti di consumatori largamente passivi che, forse a causa della loro apatia,
sono generalmente incapaci di elaborare le informazioni in modo intelligente, o hanno poca o
nessuna motivazione a lasciarsi coinvolgere.
Questa interpretazione rappresenta un punto di vista persuasivo e corrisponde molto bene ai
modelli HoE citati in precedenza. Il processo di persuasione spinge gli acquirenti a spostarsi
nella direzione di un acquisto più facile grazie all’aiuto di messaggi promozionali tempestivi e
adeguati. Sembra che questo approccio sia strettamente collegato con le offerte di nuovi prodotti
o servizi per le quali sono necessari nuovi comportamenti di acquisto.
Opposta alla prospettiva forte è l’opinione che le scelte di marchio effettuate da un consumatore
siano guidate dall’abitudine all’acquisto piuttosto che dall’esposizione a messaggi promozionali.
Uno dei ricercatori più importanti in questo settore è stato Ehrenberg (1974), che riteneva che la
pubblicità rappresentasse una forza debole e che avesse poca influenza nel convincere i
consumatori a comprare prodotti in offerta, soprattutto perché i consumatori processano le
informazioni in modo attivo, non passivo.

141
Ehrenberg sostiene che un framework di rafforzamento del processo di consapevolezza
(ATR Awareness-Trial-Reinforcement) rappresenti l’interpretazione più appropriata del modo in
cui funziona la pubblicità. Sia Jones che Ehrenberg sono d’accordo, tuttavia, sul fatto che prima
di qualsiasi acquisto la consapevolezza è necessaria, anche se il tempo che intercorre tra
[l’acquisizione di] la consapevolezza e l’azione può essere molto diverso. Della massa di persone
esposte a un messaggio, alcune saranno sufficientemente incuriosite da voler provare un
prodotto in offerta (prova).
Ne consegue il rafforzamento, in modo da mantenere la consapevolezza e fornire rassicurazioni,
incoraggiando i clienti a ripetere il loro modello di pensiero e comportamento. Il ruolo della
pubblicità è quello di coltivare la familiarità e l’identificazione con il brand (Ehrenberg, 1997).
Secondo la teoria debole, la pubblicità è usata come difesa, per fidelizzare i clienti e per
aumentare l’utilizzo del brand. La pubblicità viene utilizzata per rafforzare gli atteggiamenti già
esistenti, non necessariamente per modificarli drasticamente. Ciò significa che, quando le
persone dicono di non essere «influenzate dalla pubblicità», dicono, nella maggior parte dei casi,
la verità.
Sia la teoria forte che quella debole della pubblicità sono importanti, dal momento che sono
entrambe contemporaneamente giuste e sbagliate. La risposta alla domanda «come funziona la
pubblicità» si trova a metà strada tra le due e dipende dal contesto. Affinché la pubblicità
funzioni, è necessario che il coinvolgimento sia elevato, e, quindi, qui la teoria forte è la più
applicabile. La stragrande maggioranza delle decisioni relative all’acquisto di prodotti genera
tuttavia un basso coinvolgimento e quindi un processo decisionale che è probabilmente guidato
dall’abitudine. Il ruolo della pubblicità consiste in questo caso nel mantenere la consapevolezza
del marchio unitamente al ciclo di acquisto e la teoria debole risulta quindi più applicabile.
8.4.4- UN APPROCCIO COMPOSITO
La maggior parte dei framework presentati finora affonda le proprie radici nella pubblicità. Se
vogliamo stabilire un modello che spieghi in che modo funzionano le comunicazioni di
marketing, è necessario assumere una prospettiva diversa, quella che attinge alle parti fondanti
di tutti i modelli. Ciò è possibile perché i tre fattori chiave della struttura degli atteggiamenti si
trovano all’interno di questi diversi modelli. Gli atteggiamenti sono stati considerati un aspetto
importante delle attività di comunicazione di marketing e la pubblicità è ritenuta in grado di
influenzare lo sviluppo di atteggiamenti positivi nei confronti dei marchi (cfr. anche Capitolo 2).

FIGURA 8.6
Struttura degli attegiamenti: lineare.
Le tre fasi della formazione degli atteggiamenti sono: impariamo qualcosa (cioè una componente
cognitiva o di apprendimento), sentiamo qualcosa (cioè una componente affettiva o emotiva) e
poi agiamo sui nostri atteggiamenti (cioè una componente di comportamento o conativa).
Quindi, in molte situazioni, impariamo qualcosa, sentiamo qualcosa nei confronti di un marchio
e poi passiamo all’azione effettuando o non effettuando un acquisto.
Queste fasi sono illustrate nella Figura 8.6.
I modelli HoE e la teoria forte contengono l’approccio sequenziale learn-feel-do ovvero
appunto impara-senti-fai. Tuttavia, passiamo sempre attraverso questa particolare sequenza, e
la teoria debole è quella che pone maggiore enfasi sulla familiarità e sul richiamo alla memoria
(consapevolezza) rispetto alle altre componenti.

142
FIGURA 8.7
Struttura circolare degli atteggiamenti.
Se osserviamo la Figura 8.7, possiamo vedere che queste componenti sono state elaborate in un
formato circolare. Significa che, quando si utilizzano le comunicazioni di marketing, non è
necessario seguire ogni componente in sequenza, ma l’attenzione può essere focalizzata su ciò
che il pubblico richiede, sia che si tratti di apprendimento, sentimento o di creare componenti, a
seconda dell’esigenza manifestata. In altre parole, affinché le comunicazioni di marketing siano
incentrate sul pubblico, dovremmo sviluppare campagne basate su quello che in un qualsiasi
momento costituisce il bisogno prevalente del pubblico, ovverosia basate sul bisogno di imparare,
sentire o comportarsi in modi particolari.307
Impara
Laddove l’apprendimento è la priorità, l’obiettivo generale dovrebbe essere quello di informare o
educare il pubblico di destinazione. Se l’offerta è nuova, sarà importante sensibilizzare il pubblico
sull’esistenza dell’offerta e informarlo degli attributi e dei benefici chiave del brand. Si tratta di
un uso comune che viene fatto della pubblicità, perché ha la capacità di raggiungere sia un
pubblico ampio sia quello specifico cui è destinato.
Senti
Una volta che il pubblico è consapevole di un brand e sa qualcosa su come potrebbe essergli utile,
è importante che sviluppi un atteggiamento positivo nei confronti del marchio stesso. Questo può
essere ottenuto presentando il brand associato a una serie di valori emotivi che si pensa possano
fare presa sul pubblico e interessarlo. Tali valori devono essere ripetuti nelle comunicazioni
successive per rafforzare gli atteggiamenti rispetto al marchio. Il Guardian (vedi Case History
8.2) sapeva di dover utilizzare le comunicazioni di marketing per cambiare la maniera in cui
alcune persone percepivano il giornale.
Fai
Per avere successo, la maggior parte delle aziende ritiene di dover utilizzare un insieme molto più
ampio di strumenti e pensa che l’obiettivo sia quello di cambiare il comportamento del pubblico
al quale è destinato il messaggio. Questo cambiamento può consistere nel convincere le persone
ad acquistare il marchio, ma spesso anche nel motivarle a visitare un sito web, a chiamare per
richiedere una brochure, a compilare un modulo di domanda, o semplicemente nell’incoraggiarle
a visitare un negozio e ricevere un campione in maniera gratuita e priva di un qualsiasi rischio. Si
tratta di un cambiamento di comportamento definito anche «invito all’azione». Il Guardian ha
dovuto utilizzare le comunicazioni di marketing per aumentare il numero e la frequenza dei
visitatori sul suo sito web, in altre parole, per convincere le persone a cambiare 308un
comportamento. Il Market Insight 8.3 offre un esempio di campagna di comunicazione finalizzata
al cambiamento di comportamento.

8.5 – PASSAPAROLA

143
Lo sviluppo dei social media, facilitando l’interazione tra i clienti, ha accresciuto l’importanza del
passaparola per gli esperti del marketing. Questo tipo di comunicazione non comporta alcun
pagamento dei media perché la comunicazione viene fornita gratuitamente attraverso la
conversazione. Il passaparola consiste nella «comunicazione interpersonale relativa a prodotti o
servizi in cui il destinatario considera imparziale il comunicatore» (Stokes e Lomax, 2002: 350).
I clienti percepiscono le indicazioni e i suggerimenti ricevuti attraverso il passaparola come
obiettivi e imparziali. Rispetto ai messaggi pubblicitari, le comunicazioni che avvengono
attraverso il passaparola sono più efficaci (Berkman e Gilson, 1986). I messaggi passaparola
vengono utilizzati sia come input informativi prima dell’acquisto, sia come supporto e
rafforzamento delle decisioni di acquisto.
Per ogni commento positivo, tuttavia, ci sono dieci commenti negativi. Per questo motivo una
volta il passaparola veniva visto come negativo, non pianificato e come qualcosa che genera un
effetto corrosivo sull’insieme delle comunicazioni relative a un marchio. Oggi, le organizzazioni
gestiscono attivamente il passaparola sia per generare commenti positivi sia come modo per
differenziarsi sul mercato. Il marketing virale, o «passaparola via mouse», è una versione
elettronica dell’approvazione verbale di un’offerta. La sempre maggiore importanza del
passaparola, sia online sia offline, deve essere riconosciuta se si vuole che le comunicazioni di
marketing abbiano l’impatto desiderato (Keller e Fay, 2012).
Visitate le risorse online e completate l’Internet Activity 8.2 per saperne di più sull’importanza
del passaparola nella pubblicità dei nostri giorni.

8.6 – OBIETTIVI DELLA COMUNICAZIONE DI MARKETING

In linea di massima, le comunicazioni di marketing possono essere utilizzate per coinvolgere il


pubblico attraverso uno dei quattro obiettivi principali, definiti da Fill (2002) «modello DRIP».
L’acronimo si riferisce ai modi in cui le comunicazioni possono essere utilizzate per differenziare
i brand e le aziende, per rafforzare la memoria e le aspettative nei confronti di un brand, per
informare il pubblico (cioè per renderlo consapevole o per educarlo) e per convincerlo a fare cose
o a comportarsi in modi particolari (cfr. Tabella 8.1).

Compiti delle
Comunicazioni di Spiegazione
Marketing
In molti mercati, i marchi sono poco distinti (ad esempio acqua minerale, caffè, stampanti). In
questi casi, sono le immagini create dalle comunicazioni di marketing che aiutano a differenziare
Differenziare
un marchio da un altro e ad assegnargli una collocazione, in modo che i consumatori sviluppino
atteggiamenti positivi e prendano decisioni di acquisto
Le comunicazioni possono essere utilizzate per ricordare alle persone un’esigenza che
potrebbero avere o i vantaggi di acquisti passati, al fine di convincerle a ripetere uno scambio
analogo. È inoltre possibile fornire rassicurazione o comfort sia immediatamente prima di uno
Rafforzare
scambio sia, più comunemente, dopo l’acquisto. Si tratta di un elemento importante, perché aiuta
a fidelizzare i clienti attuali e a migliorare la redditività. Questo approccio al business è molto più
vantaggioso in termini di costi rispetto al cercare costantemente di attirare nuovi clienti
Uno degli usi più comuni delle comunicazioni di marketing consiste nell’ informare e rendere i
potenziali clienti consapevoli delle caratteristiche e dei vantaggi di un’offerta. Inoltre, le
Informare
comunicazioni di marketing possono essere utilizzate per educare il pubblico, vale a dire per
mostrare loro come utilizzare un’offerta o cosa fare in situazioni particolari
La comunicazione può tentare di convincere i clienti attuali e potenziali dell’opportunità di entrare
Convincere
in una relazione di scambio

TABELLA 8.1
Compiti DRIP per le comunicazioni di marketing

144
Visita le risorse online e completa l’Internet Activity 8.3 per saperne di più sul modo in cui la
casa di moda Burberry utilizza le comunicazioni di marketing.
Si tratta di compiti che non si escludono a vicenda, anzi, le campagne potrebbero essere
finalizzate a due o tre di loro. Il lancio di un nuovo marchio richiederà, per esempio, che il
pubblico venga informato e reso consapevole della sua esistenza, e messo in grado di capire in
che modo sia diverso dai prodotti offerti dalla concorrenza. Un marchio ben consolidato potrebbe
cercare di raggiungere i clienti persi ricordando loro le caratteristiche e i vantaggi chiave, e
offrendo loro un incentivo (persuasione) per ricominciare a fare acquisti.

8.7 – PIANIFICAZIONE DELLE COMUNICAZIONI DI MARKETING


Il compito del management è quello di formulare e mettere in atto una strategia di
comunicazione che unisca il giusto mix di strumenti e media in modo da trasmettere i messaggi
giusti nel posto giusto, al 313momento giusto, per il pubblico giusto. Dal punto di vista
strategico, le decisioni principali hanno a che fare con il definire il pubblico appropriato al quale
è destinata la comunicazione e con lo stabilire i giusti obiettivi.
Per capire che cosa dovrebbe raggiungere un piano di comunicazione di marketing, è utile
valutare i compiti principali che i manager di comunicazione di marketing devono affrontare. Le
decisioni da assumere riguardano quanto segue.
• Chi deve ricevere i messaggi?
• Che cosa devono dire i messaggi?
• Quale immagine dell’organizzazione o del brand si ritiene che debba rimanere
impressa nei destinatari?
• Quanto si dovrà spendere per creare questa nuova immagine?
• In che modo devono essere consegnati i messaggi?
• Quali azioni dovrebbero intraprendere i destinatari?
• In che modo possiamo controllare l’intero processo una volta implementato?
• Che cosa si è ottenuto?
Per molte ragioni la pianificazione costituisce un’attività gestionale essenziale e, se le
comunicazioni di marketing pianificate devono essere sviluppate in modo ordinato ed efficiente,
è necessario l’utilizzo di un framework adeguato. La Figura 8.8 presenta un framework per la
pianificazione delle comunicazioni di marketing integrate.
Il framework della pianificazione delle comunicazioni di marketing (MCPF) fornisce una guida
visiva di ciò che deve essere raggiunto e riunisce i vari elementi in una sequenza logica di attività.
Come per tutti i modelli di pianificazione gerarchica, ogni livello del processo decisionale è
basato su informazioni generate a un livello precedente del modello. Un altro vantaggio
dell’utilizzo del MCPF è che fornisce una check-list adeguata delle attività che devono essere
prese in considerazione. L’MCPF rappresenta una sequenza di decisioni che i responsabili
marketing adottano durante la preparazione, l’attuazione e la valutazione delle strategie e dei
programmi di comu314nicazione. Questo framework riflette un approccio intenzionale o
pianificato alle comunicazioni strategiche di marketing.

145
FIGURA 8.8
Il framework della pianificazione delle comunicazioni di marketing.
In pratica, tuttavia, la pianificazione delle comunicazioni di marketing non viene sempre
sviluppata secondo un processo lineare, come illustrato in questo framework. Molte decisioni
relative alle comunicazioni di marketing vengono infatti prese al di fuori di qualsiasi framework
riconoscibile, perché alcune aziende affrontano il processo considerandolo un’attività integrativa
e talvolta spontanea. L’approccio MCPF qui presentato ha, comunque, lo scopo di evidenziare i
compiti da svolgere, il modo in cui sono collegati l’uno con l’altro e l’ordine nel quale dovrebbero
essere portati a termine.
8.7.1 – ELEMENTI DELL’ MPCF

Per ogni livello di attività di comunicazione, dalla strategia ai singoli aspetti tattici di una
campagna, dovrebbe essere sviluppato un piano di comunicazione di marketing. Quello che li
differenzia l’uno dall’altro è il livello di dettaglio.

Analisi del contesto


Il piano di marketing è il pilastro dell’analisi del contesto. Dovrà essere predisposto in anticipo e
contiene importanti informazioni sui segmenti target, gli obiettivi di business e marketing, i
concorrenti e i tempi entro i quali gli obiettivi devono essere raggiunti.
L’analisi del contesto deve elaborare e costruire il piano su queste informazioni in modo da
fornire i dettagli, affinché esso possa essere sviluppato e validato.
Il primo e fondamentale passaggio consiste nell’analizzare il contesto nel quale le attività di
comunicazione di marketing dovranno svolgersi. A differenza di un’analisi situazionale utilizzata
nei modelli di pianificazione generale, l’analisi del contesto dovrebbe essere orientata alle
comunicazioni e dovrebbe utilizzare il piano di marketing come base. L’analisi del contesto di
comunicazione consiste di quattro componenti principali: il cliente e i contesti ambientali
aziendali, interni ed esterni.
La comprensione del cliente richiede informazioni e dati di ricerche di mercato sul pubblico di
destinazione specificato nel piano di marketing. Qui è necessario che siano inserite informazioni
dettagliate sulle loro esigenze, percezioni, motivazione, atteggiamenti e caratteristiche decisionali
rispetto alla categoria (o questione) della proposta. Occorre inoltre definire le informazioni sui
media e le persone da utilizzare per le informazioni sulla categoria.
È poi importante comprendere il contesto commerciale, o di marketing in generale e l’ambiente
delle comunicazioni di marketing in particolare, dal momento che queste influiscono sui risultati
da raggiungere. Se la strategia di marketing intende ottenere una crescita attraverso la
penetrazione del mercato, allora non solo i messaggi dovranno riflettere questo obiettivo, ma
sarà anche importante capire come i concorrenti stiano comunicando con il loro pubblico di
destinazione e quali media usino per farlo.
L’analisi del contesto interno viene effettuata per determinare la capacità delle risorse in
relazione al supporto da fornire alle comunicazioni di marketing. Occorre riesaminare tre settori
principali:
• risorse umane, ovvero se siano disponibili persone, comprese agenzie, con
competenze adeguate relativamente alle comunicazioni di marketing;
• risorse finanziarie, ossia a quanto ammontino le disponibilità da investire nelle
comunicazioni di marketing;
• risorse tecnologiche, ovvero se siano disponibili i sistemi e i processi idonei a
supportare le comunicazioni di marketing.315
L’ultimo settore da riesaminare è il contesto esterno. Così come per i settori considerati durante
l’analisi strategica, anche in questo caso viene posto l’accento sulle condizioni politiche,
economiche, sociali, ecologiche e tecnologiche. Occorre tuttavia tener conto dell’impatto di questi
fattori sulle comunicazioni di marketing. Se, per esempio, le condizioni economiche si fanno
difficili, le persone dispongono di livelli di reddito più bassi. In un contesto di questo tipo le

146
vendite promozionali, le offerte promozionali e un accesso al credito facilitato diventano più
interessanti.
L’analisi del contesto fornisce la logica per il resto del piano. È dall’analisi del contesto che
derivano gli obiettivi di marketing (dal piano di marketing) e gli obiettivi delle comunicazioni di
marketing. Il tipo, la forma e lo stile del messaggio sono radicati nelle caratteristiche del pubblico
di destinazione, e i media selezionati per trasmettere i messaggi dovrebbero basarsi sulla natura
dei compiti, sulle preferenze e le abitudini in materia di media da parte del pubblico e sulle
risorse disponibili.
Obiettivi delle comunicazioni di marketing
Dopo aver effettuato un’analisi del contesto, il passaggio successivo consiste nel definire gli
obiettivi delle comunicazioni di marketing. Gli obiettivi delle comunicazioni di marketing
dovrebbero consistere, da un punto di vista ideale, di tre elementi principali: obiettivi aziendali,
di marketing e di comunicazione:
• gli obiettivi aziendali derivano dal business plan o dal piano di marketing. Fanno
riferimento alla missione e all’area di business nella quale l’organizzazione ritiene
di doversi trovare;
• gli obiettivi di marketing derivano dal piano di marketing e sono orientati alle
vendite. Può trattarsi di quote di mercato, ricavi di vendita, volumi, ritorno sugli
investimenti (ROI) e altri indicatori di redditività;
• gli obiettivi di comunicazione derivano dall’analisi del contesto e si riferiscono a
livelli di consapevolezza, percezione, comprensione/conoscenza, agli
atteggiamenti e al grado generale di preferenza per un brand. La scelta
dell’obiettivo della comunicazione dipende dai compiti da svolgere.
Questi tre elementi costituiscono l’insieme complessivo degli obiettivi delle comunicazioni di
marketing. Dovrebbero essere definiti nella terminologia SMART [acronimo di Specific,
Measurable, Achievable, Realistic and Timed], ovvero ognuno di loro dovrebbe essere specifico,
misurabile, realizzabile, realistico e definito nel tempo.
Strategia delle comunicazioni di marketing
Esistono tre tipi di strategia: pull [tirare], per il mercato degli utenti finali; push [spingere], per
gli scambi commerciali e con intermediari; profile [profilo], progettata per raggiungere tutti gli
stakeholder – o portatori di interesse – significativi.
Una tradizionale strategia pull nel settore alimentare era solitamente basata sull’utilizzo della
pubblicità sui mass media, supportata da comunicazioni below-the-line [lett. «al di sotto della
linea»], in particolare vendite promozionali con consegna in negozio, via posta o e-mail ai clienti
registrati (come i possessori della carta Tesco Clubcard). La decisione di utilizzare una strategia
«pull» dovrebbe essere supportata da un messaggio fondamentale che cercherà di differenziare
(posizione), ricordare o rassicurare, informare o convincere il pubblico a pensare, sentire o
comportarsi in un modo particolare.
Una strategia push, rivolta agli acquirenti commerciali, dovrebbe essere trattata in maniera
simile.
Le strategie di profilo sono rivolte agli stakeholder (ad es. dipendenti pubblici). La necessità di
considerare il messaggio principale è fondamentale perché trasmette informazioni sull’essenza
della strategia.316

Sebbene queste tre strategie siano rappresentate qui come entità separate, sono spesso utilizzate
come un «cluster». Il lancio di un nuovo marchio di dentifricio, ad esempio, comporterà una
strategia «push» per portare il prodotto sugli scaffali dei principali supermercati e rivenditori
indipendenti. La strategia dovrebbe focalizzarsi sull’ottenimento dell’accettazione da parte del
rivenditore del nuovo marchio e sul suo posizionamento come nuovo marchio redditizio. A tal
fine, le vendite personali supportate dalle vendite promozionali rappresenteranno i principali
strumenti delle comunicazioni di marketing. Ma una strategia push da sola non sarebbe
sufficiente a convincere un rivenditore a tenere in magazzino un nuovo marchio; si dovrà semmai

147
creare anche la promessa di una strategia «pull» volta a favorire la consapevolezza del marchio e
l’entusiasmo del cliente, accompagnandola con appropriate attività di PR e, all’inizio, con
eventuali vendite promozionali necessarie per motivare i consumatori a cambiare marchio di
dentifricio. Il passo successivo consisterà perciò nel creare particolari associazioni di brand e
quindi nel posizionare il marchio nelle menti del pubblico di consumatori di destinazione. I
messaggi possono essere principalmente informativi o emotivi, ma cercheranno di trasmettere
una promessa, accompagnata o seguita eventualmente dall’utilizzo di incentivi per incoraggiare i
consumatori a provare il prodotto. Per sostenere il marchio, sarà necessario la definizione di
linee guida, la creazione di un sito web, nonché di un punto di riferimento per gli acquirenti, al
fine di fornire credibilità.
Metodi di comunicazione
La parte dedicata ai metodi di comunicazione del piano è relativamente complessa e richiede
l’esecuzione di numerose attività. Per ciascun segmento di pubblico di destinazione specificato
nella strategia, è necessario sviluppare un messaggio o un elemento creativo, basato sui requisiti
di posizionamento e la cui realizzazione sarà spesso affidata a un’agenzia di comunicazione
esterna.
Allo stesso tempo, è necessario formulare il giusto mix di strumenti di comunicazione per
raggiungere ogni particolare segmento di pubblico. È inoltre necessario determinare il giusto mix
di media, sia per i percorsi di vendita online sia per gli altri tipi di vendita. Ancora una volta,
saranno molto probabilmente gli esperti di media ad assumersene il compito. L’integrazione è
una caratteristica importante del mix di comunicazione. Questo aspetto sarà trattato più in
dettaglio nel prossimo capitolo.
Programmazione
Il passo successivo consiste nel programmare le modalità di realizzazione della campagna. Gli
eventi e le attività dovrebbero essere programmati in base agli obiettivi e alla strategia. Quindi, se
è necessario avviare la comunicazione nel settore commerciale specifico prima di un lancio al
pubblico, le attività legate alla strategia push dovrebbero essere programmate prima di quelle per
supportare la strategia pull. Allo stesso modo, se la consapevolezza è un obiettivo, risorse
permettendo, può essere quindi meglio utilizzare la pubblicità televisiva e i poster offline, oltre ai
banner e alla pubblicità sui motori di ricerca on-line, prima di utilizzare le vendite promozionali
(a meno che non si usino i campioni gratuiti), il direct marketing, i punti vendita e la vendita
personale.317
Risorse
Occorre stabilire quali risorse siano necessarie a sostenere il piano, facendo riferimento non solo
agli aspetti finanziari, ma anche alla qualità delle competenze di marketing disponibili. Ciò
significa che, al proprio interno, il giusto tipo di conoscenza del marketing potrebbe non essere
presente e potrebbe quindi essere necessario ricorrere all’esterno. Per esempio, se viene lanciata
un’iniziativa di sistema per la gestione delle relazioni con i clienti (CRM acronimo di Customer
Relationship Management), sarà importante disporre di persone con conoscenze e competenze
relative all’esecuzione di programmi CRM.
Controllo e valutazione
Una volta lanciate, le campagne devono essere monitorate. Questo per garantire che, nel caso in
cui si verifichino serie deviazioni dal piano, esistano opportunità di rimettersi in carreggiata il
più presto possibile. Inoltre, tutti i programmi delle comunicazioni di marketing dovrebbero
essere valutati. Esistono numerosi metodi per valutare le prestazioni dei singoli strumenti e dei
media utilizzati, ma forse le misure più importanti riguardano il raggiungimento degli obiettivi di
comunicazione.
Feedback
Il processo di pianificazione delle comunicazioni di marketing viene completato al momento del
ricevimento di un feedback. Non solo devono essere prese in considerazione le informazioni
relative all’esito complessivo di una campagna, ma anche i singoli aspetti dell’attività. Ad

148
esempio, le performance dei singoli strumenti utilizzati nella campagna, se le risorse investite
siano state sufficienti, e in primo luogo se la strategia sia stata adeguata, se siano emersi problemi
durante l’attuazione e la relativa facilità con cui gli obiettivi siano stati raggiunti. Per tutti questi
aspetti deve essere assicurato un feedback destinato a tutte le parti interne ed esterne associate al
processo di pianificazione.
CASE HISTORY 2

In che modo un’organizzazione può riuscire a realizzare il suo obiettivo non solo in termini di
riorientamento delle percezioni del pubblico, ma anche di modifica dei comportamenti? Ne
parliamo con Agathe Guerrier (nella foto), direttore per la strategia di mercato dell’agenzia
pubblicitaria Bartle Bogle Hegarty (BBH), per saperne di più sul lavoro che ha svolto per The
Guardian.
Il Guardian è un quotidiano imparziale che affonda le sue radici nei principi del giornalismo
indipendente. Lo Scott Trust (azienda che gestisce il Guardian) è stato creato per proteggere
questa indipendenza e l’unico scopo del Guardian rimane, ancora oggi, la ricerca della verità. La
filosofia alla base del suo modo di comunicare si può riassumere in: «I fatti sono sacri, ma il
commento è libero».
Il Guardian è creato dai progressisti, per i progressisti. Un progressista è un individuo curioso e
fortemente connesso con il mondo che lo circonda, che accoglie il cambiamento come forza
positiva. I progressisti non vengono definiti dal proprio reddito, dall’età o da qualsiasi altro dato
demografico.318
Il Guardian di oggi utilizza un sistema operativo aperto (OOS), incoraggia la partecipazione e il
dibattito, accogliendo i contributi e le sfide, cerca di fornire la più ampia e completa visione del
mondo. «Aperto» significa che non mette i suoi contenuti dietro una pagina a pagamento, una
posizione radicale nell’odierno panorama dei media. Ciò significa anche che non crede che i
giornalisti siano le uniche voci autorevoli o che siano in grado di completare l’intero processo
editoriale da soli; quello che invece fanno è avviare la creazione di contenuto, e quindi invitare
blogger, collaboratori, lettori e commentatori che sappiano arricchirlo e farlo crescere.
Il Guardian utilizza le comunicazioni di marketing per supportare gli attori chiave della sua
strategia commerciale. Il primo fattore consiste nel guidare le vendite del giornale, le quali,
sebbene in declino strutturale, rappresentano ancora quasi la metà dei ricavi del Guardian.
Da un punto di vista strategico la loro difesa all’interno di un mercato competitivo è quindi
cruciale.
Un secondo driver riguarda lo sviluppo digitale che il suo brand può raggiungere grazie
all’utilizzo di prodotti desktop e mobili. Trattandosi del brand di un media, il suo raggio d’azione
rappresenta un driver chiave per i ricavi derivanti dalla pubblicità digitale. Il marketing e la
comunicazione mirano a far crescere la sua presenza sia nel Regno Unito sia a livello
internazionale.
Il terzo driver è rappresentato dal coinvolgimento digitale. Utenti di prodotti digitali che siano
conosciuti, attivi e coinvolti sono più preziosi per il Guardian rispetto a visitatori anonimi e non
coinvolti. A tal fine, una parte della strategia di marketing e comunicazione è dedicata
all’aumento del coinvolgimento digitale: registrazioni, partecipazione, tempo trascorso e
frequenza. In ogni caso, il Guardian ha dovuto affrontare alcuni problemi. Il primo riguarda il
suo potenziale pubblico di progressisti. Dal monitoraggio dello stato di salute del brand era noto
che non fossero consapevoli di quanto il Guardian fosse cambiato (principalmente la filosofia
OOS), e su elementi di immagine come «moderno», «innovativo» e «dinamico» il punteggio
risultava basso. Inoltre, analizzando inserzionisti e agenzie di media, era chiaro come si stesse
scontrando con il fatto di essere percepito come il marchio di un giornale rispettabile, di sinistra,
pedante e di nicchia.
In termini di concorrenza diretta, la maggior parte del settore dei giornali tradizionali stava
effettivamente subendo un destino simile. La vera minaccia era rappresentata dai nuovi entranti
nel settore della conoscenza, quelli dell’era digitale – Twitter, TED, YouTube – che stanno
ridefinendo gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone quando si tratta di cercare,

149
consumare e comprendere i contenuti delle notizie. Per molto tempo, sono stati effettuati scarsi
investimenti su questo brand, con spese di marketing focalizzate su campagne tattiche, come la
promozione di un determinato supplemento o l’inserimento di alcune funzionalità. La sfida
consisteva nel trovare un modo per cambiare il modo in cui il Guardian veniva percepito (ovvero
come il brand di un giornale di sinistra un po’ vecchiotto) all’interno di un vasto pubblico di
potenziali lettori di notizie, curiosi e connessi in digitale.
Il Guardian desiderava che quel pubblico si rendesse conto della sua evoluzione e che
comprendesse che rappresentava a pieno titolo un leader radicalmente innovativo dell’era
digitale.
1. Quindi, il punto era come il Guardian potesse non solo riorientare il modo in cui veniva
percepito, ma anche come potesse modificare i comportamenti portando un più vasto pubblico
online verso il prodotto desktop.

CAPITOLO 9: GESTIONE DELLE COMUNICAZIONI DI MARKETING


CASE HISTORY 1
SCM Group coordina, supporta e sviluppa un sistema di eccellenze industriali operanti
nelle tecnologie per la lavorazione di una vasta gamma di materiali (legno, plastica, vetro,
pietra, metallo e materiali compositi) articolato in tre principali poli produttivi, con
4.000 dipendenti e una presenza diretta nei cinque continenti. Abbiamo parlato con Gian
Luca Fariselli, corporate communication director del gruppo, e Marco Di Pietro, digital
marketing specialist, per comprendere meglio l’azione di rebranding e l’articolazione
delle principali attività di comunicazione.
Le origini di SCM risalgono al 1952, quando Nicola Gemmani e Lanfranco Aureli affidano
a Giuseppe Gemmani, figlio di Nicola, il progetto della loro prima macchina per la
lavorazione del legno: L’Invincibile. In breve tempo, con il marchio L’Invincibile (ancora
oggi il modello di punta delle macchine per falegnameria), e con i primi Centri di Lavoro
per il massello e sistemi per il serramento, SCM conquista velocemente i mercati di tutto
il mondo. Nel tempo il Gruppo, oltre a sviluppare tecnologie internamente, acquisisce
marchi leader del settore, a completamento di tutti i processi della seconda lavorazione
del legno, confermando così la sua leadership a livello internazionale.
Negli anni 2000 viene acquisita CMS, per ampliare il proprio portafoglio con macchinari
per la lavorazione di altri materiali (materiali avanzati, plastica, vetro, pietra, metallo).
Con le diverse acquisizioni e innovazioni il Gruppo raggiunge un’ampiezza e profondità
di gamma uniche nei vari settori in cui opera, e questo determina la necessità di avviare
un processo di rebranding.
Ci racconta Gian Luca Fariselli: «Quando arrivai in SCM Group nel 2015, erano presenti
decine di marchi, ognuno con la propria identità e universalmente riconosciuti per le
proprie caratteristiche tecnologiche, cosa che riduceva drasticamente la forza del Gruppo
e la focalizzazione sui singoli settori di applicazione. Per rendere più chiara l’offerta e
rafforzare la brand equity venne avviata un’operazione di rebranding. Si decise di fare
una scelta forte, convogliando il patrimonio di tutti i brand in un unico marchio: SCM,
oggi unico marchio di riferimento del Gruppo per la lavorazione del legno. Per non
perdere il loro valore riconosciuto, i nomi dei marchi storici sono diventati parte
integrante dei nomi dei modelli macchina, mantenendo così grande visibilità e
importanza tecnologica. Il lancio ufficiale è avvenuto a maggio 2017 in occasione di Ligna
ad Hannover, la fiera internazionale più importante del settore, con una corsa contro il
tempo per arrivare all’appuntamento fieristico pronti, non solo con il materiale di
comunicazione ma anche con prodotti e listini aggiornati. Non è stato un lavoro semplice

150
nemmeno da un punto di vista di comunicazione interna, dovendo convincere
dell’importanza ed efficacia del rebranding i colleghi che storicamente provenivano dalle
aziende che avrebbero perso il proprio marchio. Alla fine, però, l’operazione è stata molto
apprezzata da tutti, compresi i mercati che hanno recepito molto bene il significato del
messaggio e il corretto posizionamento del brand SCM, spesso associato alle sole
macchine per falegnameria e non a soluzioni industriali più complesse. Nell’attività
di rebranding è stato creato il payoff ‘SCM is more’ per sottolineare che SCM si faceva
portatore dei valori di tutti i marchi storici. Sono stati usati linguaggi e parole semplici e
diretti per fare in modo che il messaggio 327fosse efficace e di facile lettura, continuando a
veicolare le caratteristiche di affidabilità e la valorizzazione del know-how propri di ogni
tecnologia che si deve confrontare con player diversi presenti nel settore».
A seguire, sfruttando l’esperienza di SCM, fu avviato con le stesse modalità il processo
di rebranding in CMS, l’azienda con sede a Zogno (BG) che produce macchine per la
lavorazione degli altri materiali. SCM Group diventa così contenitore di valori trasversali
come la solidità, le persone, il territorio, l’innovazione, rinunciando a qualsiasi
connotazione tecnologica demandata ai brand di settore, ma con una vocazione precisa:
«trasformare la materia».
Anche il brand SCM (woodworking technology) ha sempre avuto un suo posizionamento
legato al know-how e all’esperienza nella lavorazione del legno, e ciò si riflette in
soluzioni concrete cucite ad hoc sui clienti per soddisfare i trend di mercato. Oggi la
divisione legno fattura il 70% del giro d’affari totale del Gruppo, che supera i 700 milioni
di euro.
Rispetto alla concorrenza, SCM ha una gamma molto più ampia e profonda,
presentandosi al mercato come consulente qualificato verso le aziende per poter
consigliare al meglio il cliente in ogni applicazione specifica del legno (arredamento,
navale, costruzioni edili, pavimenti ecc.).
Continua Fariselli: «Il gruppo non delocalizza, crede fermamente nel suo know-how e
promuove molto la formazione. È nato così il progetto Campus SCM Group, con
l’obiettivo di rilanciare e rafforzare quella che da sempre è una priorità: sviluppare le
competenze professionali, tecniche, gestionali e manageriali delle 4.000 persone che oggi
lavorano per il Gruppo in Italia e all’estero. Ulteriore obiettivo è quello di contribuire a
sviluppare competenze che favoriscano l’innovazione tecnologica dei vari settori in cui le
società del Gruppo vengono oggi scelte come partner in tutto il mondo: dall’industria del
mobile all’edilizia, dall’automotive all’aerospaziale, dalla nautica alla lavorazione delle
materie plastiche. A tal proposito, si è scelto non a caso di inaugurare Campus alla vigilia
di un altro evento importante in termini di innovazione e formazione: l’Open House 2019
di SCM (Divisione Legno), Smart&Human Factory. Si tratta di un modello produttivo
all’avanguardia, basato su sistemi digitali e di automazione capaci di consentire
un’interazione uomo-macchina avanzata e un controllo a 360 gradi dell’intero flusso
produttivo. È basato su impianti altamente innovativi, flessibili, modulari e facilmente
riconfigurabili, studiati per rispondere in maniera sempre più efficace e veloce alle sfide
della mass customization. Una nuova fabbrica smart and human che segna anche un
progresso sul fronte lavorativo: grazie all’integrazione della robotica, l’operatore viene
sgravato da attività ripetitive e a basso valore aggiunto. Il claim You will never work
alone ben sintetizza l’obiettivo della nuova offerta SCM: favorire
un’automazione friendly nella lavorazione del pannello, con la possibilità di riconfigurare
il processo produttivo ogni qualvolta sia necessario per soddisfare lotti order to
production sempre più piccoli e in tempi sempre più veloci. Per rassicurare i nostri clienti
sull’uso degli strumenti digitali abbiamo usato anche il payoff work simple, work digital,

151
facendo toccare con mano i vantaggi dei servizi che ne derivano, come ad esempio la
realtà aumentata per l’assistenza tecnica remota».
Un ruolo importante nella divisione legno lo giocano anche le macchine per falegnameria
SCM, una gamma completa di soluzioni, manuali e automatiche a elevato contenuto
tecnologico, ideali per l’artigiano e la piccola industria. Nonostante SCM sia nata nel 1952
proprio con le macchine per falegnameria, oggi queste tecnologie necessitano di una
strategia dedicata che si differenzia dal resto dei prodotti con cui SCM si rivolge
principalmente alla media e grande industria. Proprio per questa ragione è emersa la
necessità di adottare strumenti ad hoc mai utilizzati in precedenza, per veicolare la
comunicazione di queste tipologie di macchine per falegnameria, che si rivolgono anche
all’industria, ma soprattutto a falegnamerie di 328piccole e medie dimensioni. Marco Di
Pietro ci riporta il percorso sviluppato: «Inizialmente venne creata una semplice pagina
Facebook, allo scopo di testare l’effettivo interesse sul web verso questa tipologia di
prodotto. Nel tempo i risultati non si sono fatti attendere ed è stata sviluppata la
comunicazione digitale anche su altri canali web con landing page dedicate, annunci pay
per click, parole chiave ben definite, il tutto con lo scopo di far arrivare i contenuti al
giusto target di clientela, differenziandoli dalla comunicazione rivolta ai clienti delle
macchine industriali. Per essere più vicina al suo target di riferimento, la pagina
Facebook SCM Macchine per Falegnameria utilizza un tono più informale rispetto alla
pagina corporate del Gruppo. Al fine di generare curiosità e interesse sul profilo, il piano
di comunicazione inizialmente prevedeva la pubblicazione di un post giornaliero che
parlasse del legno e delle sue applicazioni in generale. In una seconda fase, invece, si è
deciso di pubblicare un post settimanale che presentasse contenuti prevalentemente
legati a case history e ai prodotti SCM, cercando di creare interazione con i clienti.
Un’iniziativa molto interessante, studiata con lo scopo di interagire maggiormente con
l’utilizzatore finale, è stata quella del contest La tua storia, fa la storia SCM. Sono state
raccolte decine di storie di clienti i quali, grazie anche alle nostre tecnologie, hanno
potuto realizzare idee e progetti molto interessanti e spesso di alto design, dandoci
l’opportunità sia di raccogliere informazioni utili a migliorare i prodotti sia di raccontare
storie professionali e di vita basate principalmente sulla passione per il legno. Un modo
per rimanere legati alle nostre origini e al tempo stesso per comunicare la nostra
continua attenzione all’artigiano, oltre che all’industria. Successivamente si è scelto di
attivare la strategia dell’influencer, ancora poco sfruttata nel nostro settore, così abbiamo
contattato uno youtuber che nel settore della falegnameria stava riscuotendo molto
successo, Stefano il falegname (più di 105.000 iscritti al suo canale). Il riscontro ottenuto
è stato notevolmente positivo, al punto tale da attivare contatti con altri influencer anche
all’estero. In generale, il processo di ricerca delle strategie da attuare parte sempre
dall’analisi dei dati a nostra disposizione provenienti principalmente dai canali web
(forum di settore, social network, sito web ecc.), segue una fase di test, per poi applicare
le strategie che si sono rivelate più adatte al nostro business».

9.1 – INTRODUZIONE
Per coinvolgere il proprio pubblico, le organizzazioni utilizzano una varietà di strumenti,
media e messaggi che, nel loro insieme, vengono definiti il marketing
communication mix o mix delle comunicazioni di marketing, ovvero l’insieme degli
strumenti, la varietà dei media e dei messaggi che possono essere utilizzati in varie
combinazioni, e con diversi gradi di intensità, per comunicare con successo con il
pubblico di destinazione.

152
I cinque principali strumenti delle comunicazioni di marketing sono rappresentati
dalla pubblicità, dalle vendite promozionali, dalle pubbliche relazioni (PR),
dal marketing diretto e dalla vendita personale. I media vengono inoltre utilizzati
principalmente, ma non esclusivamente, per trasmettere messaggi pubblicitari al
pubblico di destinazione. Anche se «media» si riferisce a qualsiasi meccanismo o
dispositivo in grado di trasportare un messaggio, ci riferiamo a mezzi 329di informazione,
processi e sistemi a pagamento che sono di proprietà di terze parti come, ad esempio, la
News Corporation, proprietaria dei quotidiani The Sun e Sunday Times, oltre alla
piattaforma televisiva BSkyB; la Condé Nast, proprietaria delle riviste Tatler, Vanity
Fair e Vogue, tra le altre; la Singapore Press Holdings, proprietaria del Business Times di
Singapore, e la Time Warner Inc., un’importante società di comunicazione e
intrattenimento, le cui attività includono servizi interattivi, sistemi via cavo, prodotti
audiovisivi di intrattenimento, reti televisive ed editoria.
Queste organizzazioni affittano tempo e spazio alle aziende clienti, in modo che esse
possano inviare i propri messaggi e rendere disponibili i contenuti destinati a coinvolgere
vari tipi di pubblico. L’elenco dei media disponibili a pagamento è in espansione, ma è
tuttavia possibile individuarne sei: broadcast (trasmissione radiotelevisiva), stampa,
affissioni, in-store, digitale e altro (che include sia il cinema sia i media ambientali).
Saranno tutti analizzati in dettaglio all’interno del presente capitolo.
Al termine, dovreste essere in grado di comprendere le principali caratteristiche associate
ai principali strumenti, messaggi e media che compongono il mix. Dovreste anche
riuscire a capire come, riconfigurando questo mix, sia possibile raggiungere obiettivi
diversi. Il capitolo, infine, dovrebbe riuscire a chiarire come un approccio integrato alle
comunicazioni di marketing possa portare a ottenere un risultato più efficiente ed
efficace.
9.2 – IL RUOLO DEL MARKETING COMMUNICATION MIX
Il marketing communication mix consiste di cinque strumenti principali, quattro forme
di messaggio o contenuto e sei tipi di mezzo che vengono illustrati nel loro insieme
nella Figura 9.1, mentre più avanti nel presente capitolo verranno analizzati uno per
uno in dettaglio.
Le aziende, tradizionalmente, sono state in grado di utilizzare un ventaglio stabile e
abbastanza prevedibile di strumenti e media. La pubblicità è stata usata per costruire
consapevolezza riguardo al brand e ai suoi valori, le vendite promozionali per stimolare
la domanda, le PR hanno veicolato messaggi relativi alle intenzioni delle aziende e la
vendita personale è stata vista come un mezzo per acquisire ordini, in particolare nel
mercato business-to-business (B2B). Si sono registrati, tuttavia, alcuni importanti
cambiamenti nell’ambiente e nel modo in cui le aziende comunicano con il pubblico di
destinazione. La tecnologia digitale ha consentito la nascita di una serie di nuovi media e
di nuove opportunità per gli inserzionisti di raggiungere il loro pubblico. Abbiamo
attualmente accesso a centinaia di canali televisivi e radiofonici commerciali. Nei cinema
multiplex proiettano contemporaneamente più film, e Internet ha trasformato il modo in
cui comunichiamo, educhiamo, informiamo e intratteniamo noi stessi.

153
FIGURA 9.1
Gli elementi del marketing communication mix.
Questa espansione dei media viene definita frammentazione dei media. Allo stesso
tempo, le persone hanno appreso tutta una serie di nuovi modi per trascorrere il loro
tempo libero; non si limitano più a pochi media. A questa espansione della scelta dei
media da parte del pubblico viene dato il nome di frammentazione del pubblico.
Sebbene, quindi, la gamma e il tipo di mezzi si siano ampliati, la dimensione del pubblico
che ogni mezzo attiva si è generalmente ridotta.
Lo sviluppo di Internet ha creato nuove opportunità per coinvolgere i consumatori in
diversi momenti della loro giornata e in diverse fasi dei loro percorsi decisionali di
acquisto. Molte aziende hanno scoperto che i meccanismi in base ai quali determinati
strumenti funzionano offline non trovano necessariamente applicazione in un ambiente
interattivo.
Per le aziende, una delle sfide chiave è trovare il giusto mix di strumenti, messaggi e
media che consentano loro di raggiungere e coinvolgere il proprio pubblico di
destinazione in modo efficace 330ed economico. Per fare questo, hanno dovuto rivedere e
rinnovare il proprio marketing communication mix. Ad esempio, negli anni Novanta, si è
assistito a un aumento importante nell’uso dei mezzi di risposta diretta, ovvero
quando il direct marketing è emerso quale strumento nuovo e potente. Internet e le
tecnologie digitali consentono ormai nuove forme di comunicazione interattiva in cui ai
destinatari spetta una responsabilità molto maggiore per quanto riguarda la parte da loro
svolta nel processo di comunicazione. Vengono inoltre incoraggiati a interagire con il
mittente. In seguito a questi cambiamenti, molte organizzazioni stanno riducendo i loro
investimenti nei media tradizionali e investendo invece in quelli digitali (cfr. Capitolo 11).
Visitate le risorse online e completate l’Internet Activity 9.1 per saperne di più su come
Toyota utilizza un sito web interattivo per informare il proprio pubblico di destinazione
su una proposta complessa, l’Hybrid Synergy Drive.
Ne è derivato uno spostamento del ruolo dei mezzi di informazione. Il mix, in precedenza,
aveva come finalità principale, fortemente enfatizzata, quella di mettere in grado e
convincere i clienti ad acquistare prodotti e servizi nel breve periodo. Oggi, sebbene molte
aziende rimangano ancora focalizzate sul breve periodo, obiettivi quali sviluppare
comprensione e preferenze, ricordare e rassicurare i clienti e costruire il valore del
marchio sono ormai accettati come aspetti importanti delle comunicazioni di marketing.
Binet e Field (2013) hanno dimostrato che questa prospettiva di brand-building a lungo
termine rappresenta un approccio più redditizio rispetto a una risposta diretta a breve
termine incentrata sulle vendite.
9.3 – SELEZIONE DEGLI STRUMENTI GIUSTI

154
Gli strumenti principali o primari a cui si è fatto riferimento sopra presuppongono l’uso di altri
strumenti, come il brand placement o posizionamento del marchio, la sponsorizzazione e
le fiere. Anche se gli strumenti possono essere visti come entità indipendenti, ognuna con le
proprie competenze e i propri attributi, un mix veramente efficace funziona quando gli strumenti
si completano a vicenda e lavorano come un’unità che interagisce.
9.3.1 – PUBBLICITA’

Richards e Curran (2002: 74) hanno proposto una definizione di «pubblicità» quale
«forma di comunicazione mediata, a pagamento, proveniente da una fonte identificabile,
volta a persuadere il destinatario a intraprendere una qualche azione, ora o in futuro».
Dahlén e Rosengren (2016) hanno identificato tre dinamiche che devono essere
incorporate in qualsiasi definizione contemporanea di pubblicità: (nuovi) media e
formati; (nuovi) comportamenti dei «consumatori» relativi alla pubblicità; gli effetti
estesi della pubblicità.
9.3.2 – VENDITE PROMOZIONALI
Le vendite promozionali offrono premi o incentivi per incoraggiare i clienti ad acquistare un
prodotto in offerta. Questi incentivi possono essere indirizzati a consumatori, distributori, agenti
e forza vendita. Le vendite promozionali si occupano di offrire ai clienti un valore aggiunto, per
riuscire a 333ottenere una vendita immediata. Si tratta di vendite che avrebbero potuto aver luogo
anche senza la presenza di un incentivo, ma l’incentivo fa anticipare il momento della vendita. Le
forme chiave delle vendite promozionali sono il campionamento, i coupon, le offerte, i premi, i
concorsi e le lotterie e (nel commercio) varie forme di indennità.

9.3.3 - PUBBLICHE RELAZIONI


Le pubbliche relazioni vengono utilizzate per influenzare il modo in cui un’organizzazione viene
percepita dai vari gruppi di stakeholder, o portatori di interesse, quali i dipendenti, il pubblico, i
fornitori e i media. Le pubbliche relazioni non richiedono l’acquisto di tempo di trasmissione o
spazio nei media, quali magazine televisivi o online. Forniscono messaggi a basso costo e
vengono percepiti come estremamente credibili, tentano di integrare le loro politiche con gli
interessi degli stakeholder e formulano e attuano un programma d’azione volto a favorire
l’espressione della buona volontà e della comprensione reciproche. È possibile identificare
diversi tipi di PR, ma l’approccio principale è denominato «relazioni con i media» ed è costituito
da comunicati stampa, conferenze ed eventi. Altre forme di PR includono lobbying, relazioni con
gli investitori e pubblicità aziendale. Altre due attività, la sponsorizzazione e le crisis
communication o comunicazioni di crisi, saranno brevemente discusse nel prosieguo del
presente capitolo. Attraverso l’uso di PR si possono instaurare e far crescere relazioni che, a
lungo termine, sono considerate proficue per tutte le parti coinvolte.
9.3.4 – DIRECT MARKETING

Il ruolo primario del direct marketing è quello di guidare una risposta e modellare il
comportamento del pubblico di destinazione nei confronti di un brand, inviando
messaggi personalizzati e «su misura», spesso richiedendo un «invito all’azione»,
concepito per provocare un cambiamento nel comportamento del pubblico.
Il marketing diretto viene utilizzato per creare e sostenere una comunicazione personale
e senza intermediari con clienti, potenziali clienti e altri portatori di interesse

155
significativi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di un’attività basata sui media e offre
un vasto ambito di applicazione per la raccolta e l’utilizzo di dati pertinenti e misurabili.
Il direct mail, ossia la posta cartacea consegnata a domicilio, il telemarketing, la posta
elettronica e, sempre più, le comunicazioni basate su Internet, come le ricerche,
costituiscono alcune delle principali tecniche. Uno dei maggiori vantaggi del marketing
diretto è quello di comportare uno spreco limitato nella comunicazione. La precisione
associata al marketing di destinazione fa riferimento al fatto che i messaggi vengono sia
inviati che ricevuti, elaborati e rispediti dai membri del pubblico di destinazione e da
nessun altro. Si tratta di qualcosa di diverso dalla pubblicità, tramite la quale, invece, i
messaggi spesso raggiungono persone che non rappresentano i destinatari selezionati e
che sono difficilmente disponibili a un coinvolgimento nei confronti del brand.
9.3.5 – VENDITA PERSONALE

La vendita personale implica la comunicazione interpersonale attraverso la quale


vengono fornite informazioni, favorendo l’espressione di sentimenti positivi e stimolando
un comportamento. La vendita personale è un’attività che viene svolta da un singolo
individuo che rappresenta un’organizzazione, oppure collettivamente attraverso quella
che viene definita forza vendita. Si tratta di una forma di comunicazione altamente
potente, semplicemente perché è possibile adattare i messaggi in modo da soddisfare le
esigenze di entrambe le parti. Si possono superare le obiezioni e fornire le informazioni
muovendosi all’interno dello stesso ambiente in cui si muove l’acquirente; inoltre, si
possono utilizzare la convinzione e il potere della dimostrazione quando richiesto.

Vendite Pubbliche Direct Vendita


Livello Pubblicità
promozionali relazioni marketing personale
Controllo Medio Alto Basso Alto Medio
Costo Alto Medio Basso Medio Alto
Credibilità Basso Medio Alto Medio Medio
Pubblico di
Basso Medio Alto Alto Medio
consumatori
Pubblico B2B Medio Alto Alto Medio Alto
Compiti primari Differenziare le Differenziare le Persuadere
Persuadere Persuadere
DRIP informazioni informazioni Rafforzare

TABELLA 9.1
La forza relativa degli strumenti di marketing communication mix
La Tabella 9.1 fornisce una sintesi dei punti di relativa forza per ciascuno degli
strumenti secondo una serie di criteri importanti. Esaminate inoltre il modo in cui ogni
strumento mette a disposizione ciascuno dei compiti DRIP (vedi Capitolo 8). Sebbene
rappresentati singolarmente, gli elementi del mix dovrebbero essere considerati come un
insieme di strumenti complementari.

9.4 – MESSAGGI DELLE COMUNICAZIONI DI MARKETING


La valutazione che abbiamo effettuato nel corso del Capitolo 8 della teoria della comunicazione
conferma l’importanza dell’invio del messaggio giusto, cioè quello che può essere compreso e al
quale è possibile rispondere all’interno di uno specifico contesto. È possibile individuare

156
quattro 335forme principali di contenuto dei messaggi che non costituiscono entità indipendenti:
contenuti informativi, emotivi, generati dagli utenti e branded.
9.4.1 – MESSAGGI INFORMATIVI

I messaggi possono essere classificati come proposition-oriented, ossia orientati alla


proposta e razionali, oppure come customer-oriented, ossia orientati al cliente e basati su
sentimenti ed emozioni. Come linea guida generale, ma non universale, quando il
pubblico sperimenta un elevato coinvolgimento (cfr. Capitolo 2), l’enfasi di un messaggio
dovrebbe essere posta sul contenuto informativo, sottolineando gli attributi chiave e i
vantaggi associati.
Ad esempio, campagne pubblicitarie per enti di beneficenza (quali Greenpeace o Oxfam),
che offrono servizi finanziari (Allianz, Banco do Brasil, Aviva) o la vendita di strumenti
per la perdita di peso e di integratori (Weightwatchers e Holland & Barrett), nonché le
campagne governative per la salute, le tasse e altri servizi statali, formulano in genere
prima una dichiarazione relativa alle caratteristiche del prodotto, poi forniscono un
motivo razionale in base al quale il destinatario dovrebbe comportarsi in un determinato
modo.
9.4.2 – MESSAGGI EMOTIVI

Nei casi in cui il pubblico sperimenti un basso coinvolgimento, i messaggi dovrebbero


invece tentare di ottenere una risposta emotiva. Ad esempio, gli annunci che
reclamizzano articoli di moda, cosmetici, fast food e bevande analcoliche spesso
coinvolgono il pubblico attraverso l’uso di ingredienti emotivi come la paura, l’umorismo,
oppure attraverso un linguaggio diverso, come l’animazione e la narrazione. Anche l’uso
di testimonial e del passaparola tra pari può servire ad amplificare questi messaggi.
Esistono naturalmente molti prodotti e servizi in relazione ai quali gli acquirenti hanno
bisogno sia di messaggi razionali che emotivi per prendere le decisioni di acquisto. Si
tratta di prodotti come auto, smartphone, servizi odontoiatrici, forniture di energia e app,
per citarne solo alcuni.
9.4.3 - IL MODELLO DI COMUNICAZIONE TWO STEP, OVVERO IN DUE PASSAGGI

Lo sviluppo dei social media ha permesso alle persone di comunicare con organizzazioni,
comunità, amici e familiari. Il contenuto del messaggio può riguardare marchi,
esperienze o eventi ed è creato e condiviso da individui. Viene definito user-generated
content ovvero contenuto generato dagli utenti (UGC) e lo si può vedere in
pratica, ad esempio, su YouTube, Snapchat, Flickr e Twitter.
Kaplan e Haenlein (2010) ritengono che l’UGC comprenda tutti i modi in cui le persone si
avvalgono dei social media, e faccia riferimento alle varie forme di contenuti
multimediali pubblicamente disponibili e creati dagli utenti finali.
Tre sono gli elementi principali che possono essere utilizzati per identificare la presenza
di UGC. Il primo è che il contenuto deve essere liberamente accessibile al pubblico; ciò
significa che dovrebbe essere pubblicato su un sito web aperto o sul sito di un social
network accessibile a un gruppo selezionato di persone. Il secondo, che il materiale deve
mostrare un certo grado di creatività; il terzo, che dovrebbe essere di natura amatoriale,
ossia non realizzato da un’agenzia o un’organizzazione professionale.
Nonostante si siano avuti casi di coinvolgimento commerciale negli UGC, la natura stessa
di questo tipo di contenuti toglie l’iniziativa della comunicazione alle organizzazioni. Gli
esperti di marketing, di conseguenza, si sono posti in ascolto e in osservazione dei

157
consumatori attraverso gli UGC. Grazie a questo approccio, molti di loro stanno
scoprendo i diversi significati che i consumatori attribuiscono ai brand, favorendo
l’espansione dei brand stessi e aiutando le aziende a riposizionare i propri.
Un UGC può tuttavia operare contro i migliori interessi di un’azienda. A seguito di un
drastico calo del valore di una licenza di taxi australiana, dopo l’arrivo di modelli peer -to-
peer come Uber, la Victorian Taxi Association ha lanciato una campagna sui social intesa
a portare i clienti a coalizzarsi per manifestare in sostegno degli autisti locali e per
condividere le loro esperienze positive di guida in un taxi – attraverso l’hashtag
#yourtaxis, inteso a motivare migliaia di utenti inferociti a dare libero corso a tutto quello
che provavano riguardo al servizio scadente e alla guida dubbia. I clienti hanno inondato
Twitter con storie che raccontavano di tariffe esose, perversione sessuale e problemi
sanitari personali, nonché dell’incapacità degli autisti di arrivare da A a B (Ritson, 2015).
9.4.4 – BRANDED CONTENT

Il branded content o contenuto di marca è l’uso di materiale di intrattenimento fornito


tramite media a pagamento o di proprietà, che caratterizza una singola azienda o brand. La
recente crescita dei branded content rappresenta una spinta a sfruttare il potenziale che i
media «di proprietà» offrono. I branded content consentono conversazioni, in particolare
sui social media, che servono a migliorare il profilo di un marchio e ad aumentarne la
credibilità. Una delle prime forme di branded content è il customer publishing, ovvero
l’editoria su commissione. Seguendo questo modello, le organizzazioni danno vita a
magazine con articoli e contenuti considerati di interesse per i loro clienti. Il magazine
include riferimenti e persino articoli e storie sul marchio che sponsorizza. La creazione e la
distribuzione di questi magazine alla clientela rappresenta un’operazione mediatica a
pagamento.
Oggi i consumatori utilizzano una varietà di piattaforme e quindi le aziende, o meglio le
loro content agency, ovvero le agenzie che si occupano di contenuti, devono creare
contenuti da utilizzare all’interno di un’ampia varietà di media digitali, inclusi i social
media. Viene in questo modo offerta l’opportunità di integrare i vari materiali,
consentendo ai clienti di formarsi un’esperienza coerente o interconnessa del marchio. Il
materiale di intrattenimento viene distribuito innanzitutto ai clienti, anche se la
distribuzione è stata estesa anche ai non clienti. La distribuzione viene interamente
effettuata attraverso media di proprietà del brand (detti anche Brand Journalism).
&n

9.5 – I MEDIA
Una volta che un’azienda ha deciso di utilizzare un particolare messaggio, è necessario
prendere decisioni su come e quando (il messaggio stesso) debba essere trasmesso per
coinvolgere il pubblico di destinazione. La Tabella 9.2 elenca i media per
classificazione, tipo e veicolo. Alcuni media sono di proprietà dell’azienda cliente, ad
esempio il suo sito web o le insegne all’esterno dell’edificio. Questi media, tuttavia, non
consentono ai messaggi di raggiungere un pubblico molto vasto o mirato, né permettono
che siano veicolati specifici messaggi, cosiddetti «orientati alla proposta», a un
particolare pubblico di destinazione. Nella maggior parte dei casi, per trasmettere i
propri messaggi, le aziende clienti devono quindi utilizzare i media di proprietà di altri,
pagando un canone per l’affitto dello spazio e del tempo. La sezione successiva considera
la terminologia e quindi il ruolo dei media, prima di passare a esaminare i media digitali
e, infine, i principi dei media a risposta diretta. 339

Classe Tipo Veicoli

158
Radio Radio FM classica, Radio Capital
Trasmissione radiotelevisiva
Televisione Coronation Street, The X Factor
Quotidiani The Sunday Times, The Mirror, The Telegraph
Stampa Riviste: consumatori Cosmopolitan, Woman
Riviste: business The Grocer, Plumbing News
Cartelloni Da 96, 48 e 6 fogli
Out-of-home (OOH) [fuori casa] Arredi urbani Stazioni della metropolitana, edifici aeroportuali
Transit Taxi, mongolfiere
Internet Siti web, e-mail
Social media Facebook, Instragram, Twitter
Media digitali Aste eBay
Manifesti pubblicitari Clear Channel
App Google Play
Punto di acquisto Bidoni, segni e display
In-store
Packaging Bottiglia sagomata di Coca-Cola
Cinema Pearl & Dean, Orange Wednesday

Fiere ed eventi Ideal Home, The Motor Show


Altro
Pubblicità indiretta Film, televisione, libri
Ambiente Cestini per lettiera, tee golf, pompe di benzina, bagni pubblici
Guerriglia Flyposting

ÙTABELLA 9.2
Classificazione sommaria dei principali media
L’espandersi dei media digitali ha avuto un profondo impatto sul modo in cui le aziende
comunicano con il loro pubblico. La tendenza è stata, in generale, quella di ridurre
l’impiego dei media tradizionali e di aumentare invece l’impiego di quelli digitali, online e
mobile.

9.5.1 – UNA PANORAMICA DI OGNI CLASSE DI MEDIA

Utilizzando la classificazione presentata nella Tabella 9.2, la sezione seguente fornisce


una breve descrizione di ciascuna classe di media. 340
Trasmissione radiotelevisiva
Gli inserzionisti utilizzano i media di trasmissione radiotelevisiva perché riescono a
raggiungere il pubblico di massa con i loro messaggi a un costo relativamente basso per
target raggiunto. I media di trasmissione radiotelevisiva permettono agli inserzionisti di
aggiungere dimensioni visive e/o sonore ai loro messaggi. Questo li aiuta a dimostrare i
vantaggi derivanti dall’utilizzo di una particolare offerta e può far sì che il messaggio di
un inserzionista acquisti vivacità ed efficacia.
Stampa
Giornali e riviste sono i due principali media nella classe della stampa; altri includono
riviste e directory personalizzate. La stampa è molto efficace nel recapitare messaggi
destinati al pubblico perché consente spiegazioni in un modo impossibile alla maggior

159
parte degli altri media. La cosa può avvenire attraverso un’immagine o una fotografia che
dimostrano in che modo deve essere utilizzata un’offerta.
Out-of-home (OOH) [fuori-di-casa]
I media out-of-home (OOH) ossia fuori-di-casa, o outdoor, o «esterni», sono costituiti da
tre formati principali: arredo urbano (come le pensiline degli autobus), cartelloni
pubblicitari (che sono costituiti principalmente da poster 96, 48 e 6 fogli) e «in transito»
(che comprendono treni, taxi e la metropolitana). La caratteristica chiave associata ai
media OOH consiste nel fatto di essere osservati dai loro destinatari in luoghi lontani da
casa e di essere in genere utilizzati per supportare i messaggi trasmessi attraverso i media
primari, vale a dire la trasmissione radiotelevisiva e la stampa.
Digitale
La maggior parte dei media tradizionali fornisce in genere comunicazioni a senso unico,
in cui le informazioni passano dalla fonte al destinatario, ma c’è poca opportunità di
feedback, per non parlare dell’interazione, praticamente assente. I media digitali
consentono una comunicazione bidirezionale e interattiva, con informazioni che
ritornano alla fonte e di nuovo al destinatario, mentre ogni partecipante adatta il proprio
messaggio per soddisfare le esigenze del suo pubblico. I banner pubblicitari, per fare un
esempio, possono provocare un click tramite il quale il destinatario viene portato su un
nuovo sito web, dove la fonte presenta nuove informazioni e il destinatario fa delle scelte,
risponde alle domande (ad esempio si registra sul sito), e la fonte fornisce nuovamente
altre informazioni. Ovviamente, in questo tipo di comunicazione, l’identità della fonte e
del destinatario si (con)fondono.
In-store
Esistono due forme principali di media in-store: l’espositore all’interno del punto vendita
(POP acronimo di point-of-purchase) e il packaging. I rivenditori controllano il primo e i
produttori il secondo. L’obiettivo primario dell’utilizzo di media in-store è quello di
attirare l’attenzione degli acquirenti e stimolarli a fare acquisti. Il contenuto dei messaggi
può essere controllato facilmente sia dai rivenditori sia dai produttori. È inoltre possibile
verificare altrettanto agevolmente sia la tempistica che il posizionamento esatto dei
messaggi in negozio. Esiste una serie di tecniche POP, ma le più utilizzate sono vetrine,
scaffali a pavimento e a parete sui quali è possibile visualizzare la merce, poster e schede
informative, oltre agli espositori da banco e da cassa. Il packaging (la confezione) ha lo
scopo di proteggere e conservare i prodotti, ma ha anche un ruolo significativo di
comunicazione e rappresenta un mezzo per influenzare le decisioni di scelta del
marchio.341
Altro
Si possono identificare due media principali: cinematografici e ambientali. La pubblicità
cinematografica presenta tutti i vantaggi dei messaggi televisivi, come le dimensioni
audio e visive di alta qualità, che si combinano per fornire un forte impatto. La
stragrande maggioranza delle persone che frequentano le sale cinematografiche, tuttavia,
ha un’età compresa tra i 18 e i 35 anni, quindi se un inserzionista desidera raggiungere
fasce di età diverse o magari un pubblico nazionale, non solo il cinema sarà
inappropriato, ma anche i costi saranno molto più elevati di quelli della televisione. I
media ambientali sono considerati come OOH che non corrispondono a nessuna delle
categorie all’aperto già definite. I media ambientali possono essere classificati in base a
una varietà di fattori. Questi includono poster (presenti soprattutto nei bagni pubblici),
distribuzione (ad esempio annunci su biglietti e borse portabagagli), supporti digitali

160
(sotto forma di schermi video e LCD), sponsorizzazioni (come nelle buche da golf e
beccucci di erogazione dei distributori di carburante) e antenne (sotto forma di
palloncini, dirigibili o striscioni trascinati a rimorchio).
9.5.2 – CREAZIONE DEL VALORE DEL BRAND E DIRECT RESPONSE

I media commerciali sono stati utilizzati a lungo per veicolare messaggi volti a sviluppare
gli atteggiamenti e i sentimenti dei consumatori nei confronti del brand; questa
manifestazione viene definita «risposta attitudinale» e riguarda la costruzione di un brand
nel medio periodo. Attualmente, molti messaggi vengono progettati per provocare il
pubblico a rispondere, fisicamente, cognitivamente o emotivamente, con una «risposta
comportamentale (diretta)» che riguarda l’attivazione comportamentale e rappresenta
essenzialmente un’attività di breve periodo. Ne consegue che le comunicazioni che siano
orientate all’atteggiamento e al comportamento richiedono media diversi.

Tipi di medium DR
(acronimo di
Spiegazione
direct response o
risposta diretta)
Si riferisce alla pubblicità recapitata personalmente attraverso il sistema postale. Può essere
personalizzata e destinata a un target accuratamente definito, ed è possibile misurarne con
Direct mail
precisione i risultati. Può essere costoso: tra £250 e £500 per 1.000 articoli spediti. Dovrebbe
pertanto essere utilizzato in modo selettivo e per scopi diversi dalla creazione di consapevolezza
Fornisce interazione, flessibilità, feedback immediati e possibilità di superare le obiezioni, il tutto
all’interno dello stesso evento di comunicazione. Permette inoltre alle organizzazioni di
Telemarketing intraprendere una ricerca di marketing sia altamente misurabile che affidabile, in quanto l’efficacia
può essere continuamente verificata e il numero di chiamate obiettivo, i contatti raggiunti e il
numero e la qualità delle risposte positive e negative sono facilmente registrati e monitorati
Consentono ai clienti di presentare delle lamentele riguardo alle prestazioni del prodotto e alle
Linee guida e centri di esperienze correlate, di chiedere consigli relativamente al prodotto, di formulare suggerimenti sullo
contatto sviluppo del prodotto stesso o della confezione e di commentare un’azione di crescita riguardo al
marchio nel suo complesso
Materiali multimediali posti all’interno di riviste o lettere recapitati tramite direct mail. Forniscono
informazioni fattuali sul prodotto o servizio e consentono ai destinatari di rispondere alla richiesta
da parte del venditore diretto di effettuare un ordine, visitare un sito web o inviare una scheda per
Inserti
ulteriori informazioni, ad esempio una brochure. È popolare dal momento che si riescono
facilmente a generare contatti, anche se il costo è sostanzialmente più alto di una pubblicità a
quattro colori posta all’interno di un magazine in cui è inserito l’inserto
Comprende due forme principali: cataloghi, riviste o magazine/quotidiani. Gli annunci di stampa
diretta ai consumatori possono talora offrire un incentivo ed essere esplicitamente progettati per
Stampa
indirizzare i clienti a un sito web, all’interno del quale è possibile completare le transazioni senza
necessità di rivolgersi a dettaglianti, rivenditori o intermediari di altro tipo

TABELLA 9.3
Formati multimediali a risposta diretta (DR)
I media a risposta diretta sono contraddistinti dal fatto che viene fornito un meccanismo di
contatto, come un numero di telefono o un indirizzo web, e sempre più dall’attività di
ricerca su Internet. Tali meccanismi mettono in grado i destinatari di rispondere ai
messaggi. Direct mail, ricerche, telemarketing e attività porta a porta costituiscono i
principali media a risposta diretta, perché mettono a disposizione strumenti più personali,
diretti e valutativi per raggiungere clienti con un target preciso. Tuttavia, in realtà,
qualsiasi tipo di media può essere utilizzato, semplicemente allegando un numero di

161
telefono, un indirizzo web, un indirizzo postale o una scheda di risposta. La Tabella
9.3 illustra i principali supporti utilizzati nell’ambito del marketing a risposta diretta.
I media a risposta diretta offrono inoltre ai clienti l’opportunità di misurare il volume, la
frequenza e il valore delle risposte del pubblico. Ciò consente loro di determinare quali
media a risposta diretta funzionino meglio e li aiuta, quindi, a divenire più efficienti ed
efficaci.
9.6 – ALTRI METODI E APPROCCI PROMOZIONALI
Esistono numerosi altri strumenti utilizzati dalle aziende per raggiungere il loro pubblico,
che possono essere considerati strumenti secondari utilizzati per supportare il mix
primario. Alcuni di questi ulteriori e diversi strumenti vengono passati brevemente in
rassegna qui.
La sponsorizzazione viene in genere associata alle pubbliche relazioni, ma in realtà ha una
forte associazione con la pubblicità. Considerata attualmente una materia importante e a
sé stante, la sponsorizzazione può essere vista come «un’attività commerciale, in cui una
parte offre a un’altra 342l’opportunità di sfruttare un’associazione con un pubblico di
destinazione in cambio di fondi, servizi o risorse» (Fill, 2009: 599). Sport, arti e
programmi di sponsorizzazione ne rappresentano i tipi principali, progettati per generare
consapevolezza e associazioni con il marchio, e per ridurre il frastuono dei messaggi
commerciali. Alcuni accordi di sponsorizzazione vengono utilizzati attivamente per
dimostrare le credenziali aziendali di un’impresa. La società di logistica DHL, ad
esempio, sponsorizza la Red Bull Air Race. Oltre alla normale esposizione e alle
associazioni, DHL fornisce anche servizi di trasporto. Mentre sposta aerei, carburante e
apparecchiature di trasmissione, il marchio è in grado quindi di dimostrare la sua
competenza funzionale e di raccontare storie sulle sue attività (Anon., 2015b).
Il brand placement, o posizionamento del marchio, costituisce a sua volta una forma di
sponsorizzazione, ed esprime una relazione tra produttori cinematografici/televisivi e
brand manager. Attraverso questo accordo, i brand manager sono in grado di presentare,
a pagamento, i loro marchi «naturalmente» all’interno di un evento cinematografico o di
intrattenimento. Tale posizionamento è progettato sia per aumentare la consapevolezza
del marchio sia per far emergere atteggiamenti positivi nei suoi confronti, nonché per
guidare potenzialmente verso l’attività di acquisto.
Il field marketing si occupa di fornire supporto alla forza vendita e al personale
addetto al merchandising. Uno dei suoi compiti è far arrivare campioni gratuiti di un
prodotto nelle mani di potenziali clienti; un altro compito consiste nel costruire
un’interazione tra il marchio e un nuovo cliente; un altro, infine, nel creare un’esperienza
personale e memorabile, sempre collegata al marchio, per i potenziali clienti.
Le fiere si tengono sia per i consumatori sia per le aziende. Le organizzazioni beneficiano
dell’incontro con i loro clienti attuali e potenziali, del fatto che nascono e vengono
coltivate relazioni, della dimostrazione dei prodotti, della creazione di credibilità
all’interno del settore, dell’immissione e dell’assunzione di ordini, della generazione di
contatti e potenzialità d’affari e della raccolta di informazioni sul mercato. Per i clienti, le
fiere rappresentano una possibilità di incontrare nuovi o potenziali fornitori, di
conoscere nuove offerte e marchi all’avanguardia e di aggiornarsi sull’evoluzione del
mercato. Nei mercati commerciali, mostre e fiere possono costituire un elemento
integrante del marketing communication mix.
Il marketing virale rappresenta il risultato di un’evoluzione abbastanza recente, si
fonda sulla credibilità ed è associato al passaparola. Porter e Golan (2006: 33) si
riferiscono al marketing virale in termini di modalità di comunicazione delle
informazioni e suggeriscono che essa implica in generale la «comunicazione non

162
retribuita tra pari di contenuti provocatori provenienti da uno sponsor identificato che
utilizza Internet per persuadere o influenzare un pubblico a trasmettere il contenuto ad
altri». Sono state proposte numerose definizioni ma, secondo van der Lans e colleghi
(2010), il «marketing virale» riguarda la reciproca condivisione e diffusione di
informazioni rilevanti per il marketing, inizialmente distribuite deliberatamente dai
professionisti del marketing al fine di stimolare e valorizzare i comportamenti
passaparola.
Le comunicazioni di crisi sono diventate sempre più necessarie visto il contemporaneo
aumento dell’incidenza delle crisi. Ciò sembra essere il risultato di un numero crescente
di semplici errori gestionali, processi decisionali scorretti, fallimenti tecnologici ed eventi
incontrollabili nell’ambiente esterno.
Ad esempio, sia Talk Talk, un fornitore di telecomunicazioni, sia AshleyMadison.com, un
sito di incontri clandestini, hanno dovuto comunicare con i propri stakeholder e cercare
di ripristinare la fiducia dei clienti e dei media in seguito alla perdita di dati dei clienti
per attacco degli hacker informatici.
Le aziende sono incoraggiate a prevedere eventi di crisi in modo da essere in grado,
eventualmente, di fornire risposte pronte grazie all’utilizzo di comunicazioni pianificate.
Utilizzando siti web, social media e tecnologie mobili, i manager di un’organizzazione in
difficoltà possono 345inviare rapidamente informazioni aggiornate; attraverso video e
notizie sui mezzi di informazione, possono tentare di rassicurare le comunità spiegando
con onestà l’accaduto, dimostrando preoccupazione e simpatizzando con qualsiasi
gruppo interessato, prima di comunicare quali azioni sono in programma allo scopo di
porre rimedio alla situazione.

9.7 – COMUNICAZIONI DI MARKETING INTEGRATE


Finora, in questo capitolo abbiamo esaminato brevemente i cinque strumenti principali,
le idee su come i messaggi dovrebbero essere creati e diffusi e il modo in cui il panorama
dei media si sta evolvendo. Per renderli il più efficaci ed efficienti possibili, tuttavia, ha
senso integrarli, affinché funzionino come un’unità. In questo modo, avranno un impatto
complessivo maggiore. A questa integrazione viene dato il nome di comunicazioni di
marketing integrate (IMC Integrated Marketing Communications).
Le comunicazioni di marketing integrate rappresentano un approccio divenuto popolare
sia tra i clienti che tra le agenzie di comunicazione. Le IMC hanno cominciato a prendere
forma nei primi anni Novanta. Esse erano inizialmente considerate un mezzo per
orchestrare gli strumenti del mix delle comunicazioni di marketing, in modo che il
pubblico percepisse un messaggio unico, coerente e unificato ogni volta che entrava in
contatto con un brand. Duncan ed Everett (1993) hanno definito questo nuovo approccio,
in gran parte orientato ai media, «orchestrazione», «uovo intero» e comunicazione
fluida, ovvero «senza soluzione di continuità».
A livello strategico, Luxton e colleghi (2015) ritengono le IMC una parte di quella
capacità complessiva di un’azienda che contribuisce alla performance del brand. Ciò si
ottiene consentendo la nascita e l’attuazione di campagne IMC che favoriscono risultati
positivi legati al marchio sul mercato e generano migliori risultati finanziari. Kerr e Patti
(2015) hanno dato vita a una misura di integrazione strategica, una misura cioè che
valuta le competenze organizzative effettuando una diagnosi dell’integrazione delle
campagne IMC – che deve tuttavia ancora essere resa operativa. 347
Immediatamente dopo che è stata valutata per la prima volta l’applicazione delle IMC e
via via che il concetto veniva analizzato e approfondito, sono emerse numerose
definizioni. Da allora Duncan (2002), Grönroos (2004), Kitchen e colleghi (2004) e

163
Kliatchko (2008) hanno fornito le definizioni più utili e gli approfondimenti più preziosi
riguardo alle IMC. Sebbene negli ultimi anni siano state avanzate meno definizioni, vi è
ancora poca conformità riguardo a che cosa costituisca e definisca le IMC (Reinold e
Tropp, 2012). Tenendo presente tale indeterminatezza, si può fornire la seguente
definizione:
Le IMC possono rappresentare un approccio sia strategico sia tattico alla gestione pianificata delle
comunicazioni di un’azienda. Le IMC richiedono che le aziende coordinino le loro varie strategie,
risorse e messaggi in modo da realizzare un significativo coinvolgimento del pubblico. Gli obiettivi
principali sono lo sviluppo di un posizionamento chiaro e l’incoraggiamento di relazioni di valore
reciproco con gli stakeholder.

Si tratta di una definizione che include in sé collegamenti a strategie sia a livello


aziendale che di marketing, oltre a confermare l’importanza di un uso coerente delle
risorse e dei messaggi. Dovrebbe essere evidente anche il fatto che le IMC possono essere
utilizzate per sostenere la nascita, la crescita e il mantenimento di relazioni efficaci, un
punto evidenziato prima da Duncan e Moriarty (1998), e poi da Ballantyne (2004) e
Grönroos (2004).
Un uso abbastanza comune di un approccio integrato può essere visto nell’utilizzo degli
strumenti. Ad esempio, invece di utilizzare la pubblicità, le PR, le vendite promozionali,
la vendita personale e il direct marketing separatamente, perché non utilizzarli in modo
coordinato? Di conseguenza, le aziende spesso utilizzano la pubblicità o le vendite
promozionali per creare consapevolezza, poi coinvolgono le PR per provocare commenti
sui mezzi di comunicazione e, quindi, rafforzano questi messaggi attraverso il direct
marketing o la vendita personale.
Anche Internet può essere utilizzato per incoraggiare commenti, interesse e
coinvolgimento in un brand, o comunque trasmettere lo stesso messaggio in modo
coerente. Le comunicazioni sui mobile sono utilizzate per raggiungere il pubblico con lo
scopo di rafforzare i messaggi e persuadere lo stesso pubblico a comportarsi in modi
particolari, ovunque si trovi. L’evoluzione dei media digitali pone in ogni caso problemi
sia per le IMC che per la pianificazione delle attività delle comunicazioni di marketing,
alcune delle quali riguardano le metriche e la misurazione delle campagne, il budgeting,
il controllo del marchio e la creazione di contenuti (Winer, 2009).
Un altro aspetto importante dell’integrazione riguarda la domanda: che cos’altro
dovrebbe essere integrato? Un elemento potrebbe essere il processo di pianificazione e
sviluppo della campagna. Utilizzare un approccio integrato durante la fase di
pianificazione può servire a integrare clienti, agenzie, fornitori e dipendenti, così come
altre risorse. Le comunicazioni di marketing integrate hanno fatto la loro comparsa per
molte ragioni, tra queste le due principali riguardano i clienti e i costi. In primo luogo, le
organizzazioni hanno cominciato a rendersi conto che i loro clienti sono più propensi a
capire un singolo messaggio, consegnato attraverso varie fonti, piuttosto che a cercare di
cogliere una serie di diversi messaggi trasmessi attraverso strumenti differenti e una
varietà di mezzi di comunicazione. Le comunicazioni di marketing integrate si occupano
quindi di armonizzare i messaggi veicolati, in modo che il pubblico percepisca un insieme
coerente di significati all’interno dei messaggi ricevuti, in tutti i punti di contatto. La
seconda ragione riguarda i costi. Se da un lato le aziende cercano di abbassare i loro costi,
dall’altro sta diventando chiaro che è molto più conveniente inviare un singolo
messaggio, utilizzando un numero limitato di agenzie e altre risorse, piuttosto che dar
vita a numerosi messaggi tramite un certo numero di agenzie. 348

164
A prima vista, le IMC potrebbero apparire un’evoluzione pratica e logica della quale
dovrebbero beneficiare tutti coloro che siano interessati alle comunicazioni di marketing
all’interno di un’azienda. Esistono tuttavia problemi riguardanti questo concetto, tra cui
il fatto che dovrebbe essere integrato, insieme e oltre agli strumenti, ai mezzi di
comunicazione e ai messaggi. Ad esempio, che dire dell’impatto su un marchio che può
essere prodotto dai dipendenti e da altri elementi del marketing mix, nonché della
struttura, dei sistemi, dei processi e delle procedure necessarie per fornire le IMC in
modo coerente nel tempo? Esiste poi un dibattito riguardo alla natura delle IMC e al
contributo che queste possono apportare a un’azienda, anche solo per il motivo che non
esiste una teoria principale nella quale il tema possa trovare le proprie fondamenta
(Cornelissen, 2003).
9.8 – PROMOZIONE E ETICA
Molte sono le questioni relative alle comunicazioni di marketing che inducono a una
riflessione etica.
Gli inserzionisti utilizzano spesso appelli emotivi per catturare l’attenzione. Ne veniamo
persuasi perché è improbabile che ci mettiamo a valutare eventuali obiezioni che
dovrebbero portarci a non essere d’accordo con il messaggio. Per Baudrillard (2005),
tutta la pubblicità ha in sé un elemento erotico, perché ci seduce inducendoci a comprare
qualcosa. Tuttavia, la questione etica si presenta maggiormente laddove le tematiche
sessuali vengano utilizzate in maniera esplicita (ad esempio modelle/i nude/i o
seminude/i) e a seconda delle circostanze. Il marchio di moda italiano Diesel ha
notoriamente utilizzato richiami sessuali, la pubblicità sulle app di incontri Tinder e
Grindr e il sito per adulti Pornhub (Allwood, 2016), che, dopo la conclusione dell’accordo
sulla pubblicità, è diventato il suo principale sito web di riferimento (Maytom, 2016).
Le critiche in proposito si fondano su argomentazioni quali il fatto che gli appelli a
sfondo sessuale sfruttano le donne, e talvolta gli uomini, come oggetti sessuali.
L’industria della moda ha deciso di non utilizzare modelle di età pari o inferiore a 16
anni, ma utilizza – spingendole a diventarlo – modelle dolorosamente magre. Nel 2013,
Israele è stato il primo Paese al mondo a vietare l’utilizzo di modelli di sesso femminil e il
cui indice di massa corporea (BMI) fosse inferiore a 18,5 (Bannerman, 2015).
Altri sostengono che gli appelli pubblicitari sessuali possano invece essere appropriati, a
seconda dell’offerta, ad esempio per reclamizzare un profumo.
Anche gli appelli pubblicitari intenzionalmente scioccanti possono suscitare polemiche.
Le associazioni benefiche, per esempio, spesso usano messaggi che agiscono sul senso di
colpa, per sostenere le campagne di raccolta fondi per i bambini malati in Africa. Slater
and Gordon, uno studio legale britannico, ha usato un appello shock con lo slogan
«Divorziare? 351Chiamaci, prima che lo faccia la tua / il tuo ex», provocando scompiglio
sui social media. Lo studio ha tuttavia sostenuto che si trattava di un approccio
necessario per diffondere consapevolezza riguardo ai servizi offerti dallo studio in un
settore nel quale i clienti hanno in genere una scarsa comprensione di ciò che gli avvocati
effettivamente offrano, compresa la mediazione per le coppie (McAlister, 2015).
L’etichettatura dei prodotti può a sua volta sollevare problemi etici qualora venga
percepita come potenzialmente fuorviante per il pubblico. Un’etichettatura corretta è
importante nell’industria alimentare, farmaceutica e cosmetica, dal momento che
consumiamo e assorbiamo attraverso il nostro organismo i prodotti proposti in queste
offerte. I prodotti alimentari, in particolare i prodotti a base di carne, in Europa e altrove,
sono tenuti a dimostrare il Paese di provenienza. Per i musulmani d’Europa, il fatto che i

165
prodotti alimentari siano etichettati halāal è importante, perché i musulmani ritengono
che gli animali debbano essere macellati secondo l’usanza di tagliare la gola dell’animale
mentre è vivo e poi lasciando sopravvenire la morte per dissanguamento. Alcuni gruppi
per i diritti degli animali condannano la pratica e Svezia, Norvegia, Islanda, Svizzera e
Polonia hanno vietato la «macellazione rituale» nonostante sia consentita dalla
legislazione dell’Unione europea (Hasan, 2012).
Un’altra area controversa delle comunicazioni di marketing è rappresentata dalla
pubblicità politica. In molti Paesi, la pubblicità politica può derogare alle regole e ai
regolamenti che disciplinano la pubblicità tradizionale. Può, di conseguenza, essere
altamente negativa, diffondendo dichiarazioni al vetriolo per danneggiare la credibilità di
altri candidati e partiti. Nel Regno Unito, la pubblicità politica sui cartelloni pubblicitari,
nei cinema e sulle riviste può derogare alle regole stabilite per la pubblicità dalla
Advertising Standards Authority (ASA), l’organizzazione autoregolamentata del settore
pubblicitario nel Regno Unito. I partiti politici non sono tenuti a essere sinceri, cioè a
comprovare le loro affermazioni, a differenza dei loro omologhi commerciali.
La campagna «No» durante il referendum sull’indipendenza scozzese è stata criticata per
un messaggio eccessivamente negativo, etichettato da alcuni come «Project Fear», ovvero
«Progetto Paura» (Pike, 2015), ma altri sostengono che il contesto politico spesso
giustifichi una posizione negativa della campagna quando i rischi per la società siano
elevati (Morris, 2008).
La questione etica si riassumerebbe quindi in: si deve accettare che i politici possano
derogare alle regole e ai regolamenti associati all’attività di marketing tradizionale,
quando molti degli annunci pubblicitari che utilizzano possono essere così negativi?
Uno degli interrogativi posti dagli studiosi è se sia giusto lasciare che i bambini siano
presi di mira dalla pubblicità, data la loro visione immatura riguardo a tempo, denaro e
identità. I ricercatori hanno individuato alcuni elementi che dimostrano come i bambini
siano i destinatari espliciti di campagne promozionali e che i genitori ne vengono
coinvolti, con i seguenti punti che lo sottolineano con particolare evidenza (Daniels e
Holmes, 2005).
•I bambini sono esposti alla comunicazione più di quanto non lo fossero in
precedenza e i genitori sentono di stare perdendo sempre più il controllo
del marketing diretto ai loro figli.
• A preoccupare i genitori sono in particolare i canali di marketing utilizzati
(ad esempio Internet, telefono cellulare, social media e advergames), che
sono destinati direttamente ai bambini.
• Un marketing diretto ai bambini in maniera inopportuna danneggia il
brand, rendendo meno probabile che i professionisti del marketing
riescano a prendere il posto del genitore nel ruolo di custodi dei bambini.
• I metodi di comunicazione più appropriati sono informativi e aiutano i
genitori a sentirsi più in grado di gestire il controllo.
• I consumatori sono disposti a sostenere le aziende che comunicano con i
bambini in modo responsabile.
• Gli esperti di marketing, in particolare gli inserzionisti, dovrebbero
utilizzare i mezzi di comunicazione in modo appropriato, ed educare
genitori e figli, allo stesso tempo, sull’uso di mezzi di comunicazione più
recenti e meno tradizionali.
Un esempio di azienda sotto pressione per le sue promozioni dirette ai bambini è
McDonald’s, le cui offerte si rivolgono in maniera particolare ai bambini ricorrendo a

166
personaggi coperti da copyright e all’approvazione di celebrità. L’obesità infantile è
considerata un problema grave in molti Paesi (ad esempio Australia, Stati Uniti e Regno
Unito, oltre all’Unione europea nel suo insieme). Tra le cause del problema troviamo
sicuramente la pubblicità di prodotti alimentari rivolta ai bambini, benché uno stile di
vita inattivo e la mancanza di esercizio fisico giochino a loro 353volta un ruolo importante.
I dettaglianti di fastfood vengono quindi sempre più bombardati di richieste affinché
rendano i loro menu più sani.
Tutte questioni che ci riportano alla discussione dei principi morali che dovrebbero
guidare il comportamento dei professionisti del marketing, di cui si è parlato nel Capitolo
1. Nella configurazione del loro mix di comunicazioni di marketing, gli esperti in materia
dovrebbero quindi considerare il potenziale danno che potrebbe essere causato dalle loro
campagne e sforzarsi di agire in modo responsabile per promuovere la fiducia nel sistema
di marketing.

CASE HISTORY 2
In che modo un marchio storico della Repubblica Ceca dovrebbe progettare una
campagna per riguadagnare posizioni nei confronti dei marchi stranieri concorrenti? Per
saperne di più, ne parliamo con Lubos Jahoda (nella foto), responsabile dell’agenzia
pubblicitaria Budweiser Budvar.
Budweiser Budvar vanta una tradizione di 750 anni nella produzione di birra nella
Repubblica Ceca. Nonostante una disputa protrattasi per anni con altri produttori di
birra che utilizzano lo stesso nome Budweiser, uno dei problemi che il marchio Budvar
deve attualmente affrontare riguarda in realtà il calo delle dimensioni complessive del
mercato ceco della birra. A partire dal 2009, si è assistito a uno slittamento verso
produttori di birra locali che hanno dimensioni inferiori e sono considerati più autentici.
Questo perché i cechi sono convinti che le multinazionali (SABMiller, Heineken, Molson
Coors) abbiano distrutto l’essenza della vera birra ceca, utilizzando ingredienti di qualità
scadente e producendo quella che viene chiamata «EuroBeer», una birra globalizzata,
priva di un suo caratteristico gusto chiaramente riconoscibile. I grandi produttori di birra
hanno cercato di ovviare al problema scegliendo l’innovazione, con il risultato che è
attualmente davanti ai nostri occhi: il mercato invaso di radler variamente aromatizzate,
bibite che mescolano il gusto di birra a quello di una bevanda analcolica.
Spiega Lubos Jahoda: «Per quanto possa sorprendere, molti clienti hanno visto in
Budvar una grande squadra di birrai, simile ai grandi produttori di birra. Abbiamo anche
visto i consumatori spostarsi da Budvar verso produttori di birra locali, di piccole
dimensioni. Come sa però chiunque abbia visitato lo stabilimento di produzione, la
Budvar è più autentica anche del più piccolo tra i produttori di birra, visto che utilizza gli
stessi ingredienti e processi produttivi da 118 anni. Un altro problema riguarda il modo
in cui veniva percepito il marchio. La Budvar è vista come una birra di qualità o
come birra ceca, ma c’è poca connessione emotiva con il marchio. Era chiaro che
dovevamo riposizionare il marchio Budvar, differenziarlo e consentire ai consumatori
cechi di stabilire con esso un legame emotivo. Il problema era quale fosse il modo
migliore per raggiungere questo obiettivo. Le ricerche hanno dimostrato che i cechi sono
generalmente più inclini ad adottare una linea di minima resistenza per evitare problemi
e questo significa dire di essere d’accordo, ovvero dire sì. Molti cechi, tuttavia, si
risentono profondamente di tali concessioni e non si identificano con questo tipo di
compromessi. La questione del dissenso ci ha fornito una piattaforma idonea da
utilizzare per riposizionare il marchio. Questo perché Budvar ha ripetutamente respinto
varie pressioni. Ad esempio, ci siamo rifiutati di calare di livello o di utilizzare dei

167
surrogati. Budvar ha inoltre respinto l’idea di ridurre i tempi di maturazione durante il
processo di produzione della birra. Ci siamo poi rifiutati di vendere il nostro marchio alla
concorrenza e abbiamo anche detto di no alla concessione di licenze di produzione al di
fuori di České Budějovice (Budweis). Partendo da questo punto di vista, abbiamo portato
avanti la campagna del No — una campagna che affonda le sue radici nella psiche ceca,
nelle fondamenta di Budvar, e che si può vedere in tutto ciò che Budvar fa, dal semplice
produrre la birra, al combattere per il suo nome e la sua reputazione in tutto il mondo. La
campagna aveva due obiettivi principali: mirava a costruire, da un lato, a livello di
prodotto, l’immagine di Budvar quale produttrice di una birra di qualità e non associata
alle multinazionali 356del settore; dall’altro, a livello di marchio, a costruire un forte
legame emotivo nei confronti dei consumatori».
1. La questione era: in che modo Budvar avrebbe dovuto portare avanti la campagna del
«No»? In che modo avrebbe dovuto interpretare e comunicare il messaggio «No» per
renderlo in maniera non negativa? Ovviamente, la pubblicità avrebbe avuto un ruolo
centrale, ma a quali altre discipline avrebbe dovuto ricorrere Budvar? Quale mix di media
sarebbe stato il più idoneo per condurre la campagna del «No», ottenendo il massimo
impatto?

168
CAPITOLO 10: GESTIONE DEI CANALI E DELLA DISTRIBUZIONE
CASE HISTORY 1
Fondata nel 1926, Pizzoli SpA è la più importante realtà agroindustriale italiana nel settore delle
patate, occupando una posizione di rilievo nel mercato delle patate fresche e surgelate, con un
fatturato nel 2018 di 86 milioni di euro. Abbiamo parlato con Boris Fort e Davide Evangelisti,
rispettivamente direttore generale e direttore vendite retail, per comprendere meglio come
l’azienda gestisca accuratamente i diversi canali di distribuzione facendone un vero e proprio
punto di forza.
Pizzoli possiede due stabilimenti industriali e una piattaforma logistica a elevata automazione
nell’area di Bologna, operando attivamente in tutte le fasi della filiera pataticola. È un’azienda
familiare a conduzione manageriale, che si distingue per aver saputo coniugare un forte
orientamento all’innovazione con l’attenzione verso la qualità dei suoi prodotti, il valore di marca
e la sostenibilità, attraverso il presidio di una filiera produttiva costruita su fondamenta solide.
Sul fronte della filiera agricola, l’azienda investe continuamente in piani di espansione
promuovendo la coltivazione di patate secondo le più avanzate pratiche agronomiche in molte
regioni italiane, mantenendo al contempo le proprie radici nella comunità nella quale
storicamente opera. Coerentemente con la sua mission, l’azienda è costantemente impegnata
nell’offrire prodotti e servizi di alta qualità, avendo cura della salvaguardia dell’ambiente e delle
risorse naturali. Attualmente, nel suo stabilimento nei pressi di Bologna, un impianto di
biomasse e un depuratore delle acque coprono quasi la totalità del fabbisogno di energia elettrica
e fino al 40% dell’acqua utilizzata nel processo produttivo. Inoltre, nella coltivazione in campo,
grazie all’utilizzo di nuove tecnologie di fertirrigazione «drip», si è ridotto il consumo di acqua
del 40% e l’uso dei concimi del 30%.
L’azienda è presente in tutti i canali distributivi attraverso un’importante rete commerciale sia
con il portafoglio prodotti a proprio marchio, Pizzoli, Patasnella e Iodì, che come produttore
di private label. Da diversi anni occupa una posizione di leadership nel mercato retail delle
patate fritte surgelate ed è in forte sviluppo anche nel canale foodservice.
Il fatturato totale di Pizzoli nel 2018 è stato di 86 milioni di euro: 23 milioni generati dalla
vendita di patate da consumo fresco e di patate da seme, 63 milioni dal settore del surgelato.
Quest’ultimo da ripartire fra il canale foodservice, che sviluppa 19 milioni, e il canale grocery, 44
milioni, di cui il 16% è rappresentato da private labels.
«Differenziarsi nel fresco è difficile in quanto categoria in cui domina una logica di commodity.
Per sostenere la marca occorre garantire con costanza elevati livelli qualitativi del prodotto e, al
contempo, importanti investimenti in termini di comunicazione» afferma Boris Fort. Per quanto
riguarda i rapporti con i fornitori racconta: «In Italia c’è una produzione rilevante di patate da
consumo, spesso presidiata da piccoli produttori, 365mentre la produzione di patate da
industria, anche per ragioni storico-culturali, non è molto comune. Negli anni abbiamo
contribuito in maniera rilevante allo sviluppo di entrambe le filiere, costruendo con i nostri
partner relazioni basate su trasparenza e fiducia. Il rapporto con le oltre 200 aziende agricole che
ci conferiscono materia prima parte dalla fornitura del seme. Abbiamo una divisione
specializzata nella commercializzazione di tuberi-seme, che ci consente di offrire ai nostri
fornitori varietà di patate di qualità certificata aventi caratteristiche specifiche per assicurare
elevate performance nel processo di trasformazione industriale».
Nel canale foodservice, approcciato dall’azienda con una linea di prodotti dedicata, la
commercializzazione solitamente avviene attraverso distributori e grossisti, i quali mediano la
relazione con gli utilizzatori finali del prodotto, principalmente ristoratori professionisti. Si tratta
di un mercato fortemente concorrenziale e difficile da stimare, visto l’elevato grado di
frammentazione degli operatori, in cui l’innovazione di prodotto rappresenta un importante
driver di crescita.
Davide Evangelisti ci parla del canale grocery surgelato: «In questo canale vigono le logiche
tipiche della GDO, con modelli di business orientati principalmente alla ricerca spasmodica del

169
miglior prezzo. I contratti con i retailer hanno una durata annuale che non si concilia
temporalmente con le quotazioni della materia prima, con rischi importanti sulla profittabilità
dell’azienda. In aggiunta, il banco del surgelato presenta grandi variazioni stagionali che, unite
all’incertezza climatica, rendono sempre più difficili le previsioni di vendita. Ad esempio, quando
arriva l’estate i gelati monopolizzano i banchi frigo e, pertanto, lo spazio di esposizione per i
vegetali si riduce considerevolmente».
Per Pizzoli, come in generale per tutte le grandi industrie, la gestione delle private label
rappresenta un’opportunità in termini di economie di scala e di rafforzamento della partnership
con i principali retailer. «La private label è fortemente soggetta alla concorrenza orizzontale sul
prezzo. Oggi la differenza media tra il prodotto di marca e la MDD è circa del 30% e si sta sempre
più assottigliando» ci dice Boris Fort. Un altro vantaggio strategico nell’essere fornitori di private
label è dato dalle opportunità di confronto e relazione che naturalmente incidono in modo
positivo anche nella gestione del proprio portafoglio di marca.
«Nel canale grocery è necessario un grande lavoro da parte del team commerciale in termini di
programmazione, al fine di indirizzare la divisione Operations a produrre ciò che realmente serve
per evitare le rotture di stock. Sono indispensabili una pianificazione e un controllo costante dei
volumi di vendita, che sono molto soggetti a variabilità a seguito dell’elevato uso della leva
promozionale da parte dei retailer. Allo stesso tempo, per negoziare con i buyer della GDO
abbiamo un sistema di pianificazione e controllo degli investimenti per cliente molto sofisticato,
che ci permette di controllare il ROI con elevata precisione» ci rivela Fort.
Evangelisti si sofferma sulla complessità della relazione con il cliente GDO: «La componente
negoziale nel settore è fondamentale, visti i compressi livelli di marginalità. Per questo nel
dialogo col cliente bisogna portare argomentazioni solide basate su informazioni oggettive. La
necessità di conciliare obiettivi diversi su assortimento, listini, contratto, piani promozionali
rende tutto ciò una delle attività più difficili, ma allo stesso tempo determinanti, per arrivare a
costruire delle relazioni di lungo termine e di valore con il proprio partner. Vi faccio un esempio:
può capitare che il cliente chieda un prodotto da poter scontare in maniera molto aggressiva
seguendo le logiche promozionali tipiche del canale. Riuscire a convincerlo che si potrebbe
ottenere lo stesso volume di vendita anche con uno sconto al consumo leggermente inferiore è un
compito difficile, quanto gratificante nella costruzione di un solido legame di fiducia e relazione
duratura».
10.1 – INTRODUZIONE
Avete mai considerato il viaggio che una bottiglia d’acqua, un computer o un sacchetto di patate
compiono a partire dalla loro origine (il produttore) per essere disponibili per l’acquisto nel
vostro punto vendita preferito? In molti casi, questo viaggio può essere complesso e coinvolgere
transazioni tra molte organizzazioni, Paesi e persone.
Le organizzazioni coinvolte in ogni singolo viaggio sono definite nel loro insieme un canale di
distribuzione, o un canale di marketing. Si tratta di catene di aziende che si occupano della
gestione dei processi e delle attività inerenti alla creazione e alla movimentazione dei prodotti dai
produttori ai clienti finali. Ogni azienda aggiunge qualcosa di valore prima di passarli all’altra, ed
è questa interazione a fornire un vantaggio reciproco (Kotler e Keller, 2009) e a essere alla base
del concetto di marketing dei canali distributivi.
In questo capitolo prendiamo in esame tre elementi principali. Il primo riguarda la gestione degli
aspetti immateriali o delle questioni di proprietà, ovvero il controllo e i flussi di comunicazione
tra le parti responsabili di rendere accessibile un’offerta ai clienti target, che viene comunemente
definita «gestione dei canali di marketing».
Il secondo elemento riguarda la gestione degli aspetti materiali o fisici della movimentazione di
un prodotto dal produttore all’utilizzatore finale. Deve essere effettuata in modo che il cliente
possa accedere liberamente a un’offerta e che l’atto finale del processo di acquisto si verifichi
nella maniera più conveniente e semplice. Si tratta di una parte della gestione della catena di
approvvigionamento (supply chain management, da cui l’acronimo SCM), che include
la logistica associata alla movimentazione dei prodotti verso la destinazione più vicina agli
utilizzatori finali.

170
Il terzo e ultimo elemento riguarda la vendita al dettaglio, un elemento determinante riguardo
al modo in cui i consumatori accedono ai prodotti che desiderano.
10.2 – GESTIONE DEL CANALE DI MARKETING
Inditex, il più grande produttore e rivenditore di abbigliamento al dettaglio in Europa, ha visto
aumentare costantemente le vendite di abbigliamento negli ultimi anni, perché aggiunge due
volte a settimana nuovi stock ai suoi negozi di moda (ad esempio Zara, Pull&Bear e Massimo
Dutti) mantenendo in questo modo il suo magazzino al passo con le ultime tendenze della moda.
Ciò è possibile grazie alla produzione di oltre il 50% delle sue scorte in Spagna o in Portogallo;
sebbene la produzione sia più costosa, Inditex è in grado di introdurre nuovi modelli nei negozi
europei e americani con una velocità doppia rispetto a quella che risulterebbe dal dover aspettare
la consegna delle scorte se fossero prodotte in Asia. Ciò dimostra che, gestendo i suoi canali di
marketing, Inditex ha migliorato la sua performance commerciale complessiva.367
Se consideriamo le competenze necessarie a Inditex per l’esecuzione del disegno e dei modelli di
una collezione di capi di abbigliamento, per reperire i materiali e per produrre, confezionare, e
poi distribuire i suoi capi di abbigliamento alla moda nei suoi negozi e ad altri clienti, a livello
globale, è evidente che quello di cui ha bisogno è un considerevole insieme di operazioni
complesse. La possibilità di farsi carico di tutte queste operazioni rappresenta per molte
organizzazioni qualcosa che va al di là delle proprie competenze o comunque del proprio core
business. Ogni organizzazione è soggetta a un rischio sostanziale associato al produrre troppo o
troppo poco, troppo presto o troppo tardi, per il proprio mercato di riferimento. Esistono rischi
associati al cambiamento di comportamenti degli acquirenti, alle giacenze di magazzino, ai
mercati finanziari e alle azioni dei concorrenti, per citare solo alcune variabili critiche.
Attraverso la collaborazione con altre organizzazioni che dispongono delle competenze e delle
conoscenze necessarie, le aziende possono ridurre l’incertezza. Lavorare con società che possono
creare la domanda o accedere e gestire questioni finanziarie specialistiche, giacenze o trasporto,
aggiunge valore e produce un vantaggio competitivo. Ad esempio, Samsung ha creato una
partnership con l’Indian Farmers Fertiliser Cooperative Ltd per riuscire a raggiungere i 600.000
villaggi rurali dell’India e vendere i propri telefoni. Grazie a questo nuovo canale di marketing,
Samsung è ora in grado di raggiungere oltre il 90% dei villaggi in India.
Le imprese che si associano per consentire alle offerte di raggiungere i clienti finali in modo
rapido ed efficiente costituiscono un «canale di marketing», talvolta definito «canale di
distribuzione». Le imprese che si associano per ridurre il rischio e l’incertezza lo fanno
scambiando offerte dotate di valore per ognuna delle controparti. I canali di marketing
consentono quindi alle aziende di condividere o ridurre l’incertezza. Se si riduce l’incertezza
condivisa da tutti i membri di un canale, ognuno viene a trovarsi in una posizione migliore e può
concentrarsi su altre attività.
10.2.1 – IN CHE MODO I CANALI DI MARKETING AIUTANO A RIDURRE
L’INCERTEZZA
I canali di marketing possono ridurre in vari modi l’incertezza (Fill e McKee, 2012) e la
complessità, aumentando il valore e il vantaggio competitivo, la routinizzazione e la
specializzazione.
Ridurre la complessità
Il potenziale numero di transazioni e la frequenza di contatti che, in teoria, un produttore potrebbe
avere con ogni singolo cliente finale potrebbero essere così elevati da impedire la redditività del
processo. Tale volume di attività è illustrato nella Figura 10.1.

171
FIGURA 10.1
La complessità degli scambi tra i canali in assenza di intermediari.
Se, invece, all’interno del processo si introduce un intermediario, il numero di transazioni
diminuisce drasticamente, come dimostrato nella Figura 10.2.

FIGURA 10.2
L’impatto degli intermediari sugli scambi tra i canali.
Il calo del numero di transazioni indica non solo che i costi sono ridotti, ma anche che i produttori
sono in una posizione migliore per riorientare la loro attenzione sulle esigenze degli intermediari.
Sono così nuovamente in grado di concentrarsi sulle loro attività principali, ovvero la produzione o
la manifattura. Più o meno allo stesso modo, i clienti finali possono ottenere dagli intermediari del
canale un supporto individuale molto migliore rispetto a quello che potrebbero ottenere dal
produttore.
Valore crescente e vantaggio competitivo
Ricorrendo all’impiego di intermediari, i produttori possono riuscire a ridurre il rischio di acquisto,
vale a dire l’incertezza che i clienti possano rifiutare l’offerta. Gli intermediari dispongono delle
capacità e delle competenze fondamentali necessarie per soddisfare le esigenze degli utenti
finali, 368ad esempio la vendita al dettaglio. Migliorando il valore complessivo che i clienti
percepiscono in un’offerta, rispetto ai prodotti concorrenti e all’esperienza del cliente, è possibile
sviluppare un vantaggio competitivo.
Routinizzazione
Il performance risk o rischio di risultato può essere ridotto migliorando l’efficienza delle
transazioni. Si possono ridurre i costi di distribuzione grazie alla standardizzazione o alla
«routinizzazione» del processo di transazione, magari regolando le dimensioni degli ordini,
automatizzando le operazioni o gestendo i cicli di consegna e le frequenze di pagamento.
Specializzazione
Fornendo servizi di formazione specialistica, manutenzione, installazione, consegne su misura o
agevolazioni di credito, gli intermediari possono sviluppare un servizio che abbia un valore reale
per altri 369membri del canale o per i clienti finali. Il valore può essere migliorato anche per i
clienti permettendo loro di individuare le offerte più corrispondenti a quello che desiderano. Gli
intermediari possono mettere a disposizione tali risorse specialistiche, mentre i produttori non
sono normalmente interessati a farlo o in grado di farlo. Questo perché preferiscono produrre
grandi quantità di una piccola gamma di prodotti. Purtroppo, i clienti finali desiderano, invece,
soltanto una quantità limitata di un’ampia varietà di prodotti.
La soluzione fornita dagli intermediari consiste nel riunire e selezionare tutte le merci fabbricate da
produttori diversi all’interno della categoria. Essi presentano quindi queste merci in quantità e

172
formati che consentono ai clienti finali di acquistare le quantità che desiderano, con la frequenza
che preferiscono.
Gli intermediari forniscono altri benefici che si basano sull’utilità. Assistono, ad esempio, gli utenti
finali trasferendo per l’acquisto e il consumo un prodotto che è stato fabbricato molto lontano in
una sede più conveniente, vale a dire offrono un’utilità di luogo. Il prodotto potrebbe essere
fabbricato durante il giorno, ma acquistato e consumato durante il fine settimana. Qui, la
produzione, l’acquisto e il consumo si verificano in diversi momenti nel tempo, e gli intermediari
forniscono un’utilità di tempo.
La disponibilità immediata dei prodotti attraverso i rivenditori al dettaglio consente che la
proprietà passi al consumatore in un breve lasso di tempo, vale a dire l’utilità di possesso. Gli
intermediari possono, infine, anche fornire informazioni sul prodotto per facilitarne la vendita e
l’utilizzo. Internet ha portato alla nascita e allo sviluppo di un nuovo tipo di intermediario, un
intermediario dell’informazione (ad esempio Expedia, Google). Il ruolo chiave in questo caso
consiste nel gestire le informazioni per migliorare l’efficienza e l’efficacia del canale di
distribuzione, vale a dire l’utilità di informazione.

10.3 – TIPI DI INTERMEDIARI


Dopo aver visto che gli intermediari svolgono un ruolo significativo nei canali di marketing,
dobbiamo ora esaminarne i diversi tipi.
• Agenti o broker: fungono da intermediario principale tra il venditore e gli
acquirenti, mettendoli in contatto senza assumere la proprietà dell’offerta. Tali
intermediari dispongono della rappresentanza e dei poteri legali per agire per
conto del fabbricante. Le università, ad esempio, spesso utilizzano agenti per
individuare studenti da immatricolare sui mercati esteri (come Cina, India).
• Commercianti: un commerciante esegue le stesse azioni di un agente, ma
assumendo la proprietà di un prodotto.
• Distributori o concessionari: sono coloro che si occupano della distribuzione del
prodotto. Offrono valore attraverso i servizi associati al magazzino dei prodotti, la
concessione di facilitazioni di credito e il servizio post-vendita. Spesso utilizzati
nei mercati business-to-business (B2B), possono anche trattare direttamente con i
consumatori, ad esempio i distributori di automobili.370
• Franchising: un franchisee o affiliato detiene un contratto per fornire e
commercializzare un’offerta in base ai requisiti o al modello del franchisor o
affiliante, vale a dire il proprietario dell’offerta originale. Il contratto potrebbe
contemplare molti aspetti della progettazione dell’offerta, come la comunicazione,
l’assortimento di prodotti o la fornitura di servizi. L’uniformità delle diverse filiali
di McDonald’s e KFC corrisponde a quanto previsto dai contratti di franchising;
gli accordi di franchising non vengono tuttavia utilizzati esclusivamente nei settori
del fast-food o dei prodotti di consumo.
• Grossisti: un grossista immagazzina le merci prima del livello successivo di
distribuzione, e assume sia il titolo legale che il possesso fisico della merce. Nel
mercato dei beni di consumo, i grossisti di solito non si occupano del consumatore
finale, ma di altri intermediari (ad esempio i rivenditori al dettaglio). Nei mercati
B2B, le vendite sono effettuate direttamente ai clienti finali. Ne sono un esempio
Costco Wholesale negli Stati Uniti e Makro in Europa.
• Rivenditori al dettaglio: intermediari che vendono direttamente ai consumatori
finali e possono acquistare direttamente dai produttori o trattare con i grossisti, a
seconda sia del loro potere d’acquisto sia del volume acquistato. Tra i principali
rivenditori al dettaglio figurano Walmart, Marks and Spencer, Carrefour e
dettaglianti di elettronica come Media-Saturn.

173
• Infomediari: si tratta di organizzazioni che operano via Internet e agiscono come
intermediari che mirano a fornire informazioni ai membri del canale, compresi gli
utenti finali.

10.4 – GESTIONE DEI CANALI DI MARKETING


Due sono le principali problematiche legate alla gestione dei canali distributivi: la progettazione
del canale, vale a dire struttura e attività, e le relazioni tra i membri del canale. Esaminiamoli uno
per uno.
10.4.1 – PROGETTAZIONE DEL CANALE
La progettazione di un canale, ovvero della sua struttura, lunghezza, scelta dei membri e dei loro
ruoli, varia a seconda del contesto. I canali necessari al supporto di un nuovo prodotto o di
un’azienda start-up sono diversi da quelli necessari quando una struttura esistente deve adattarsi
ai cambiamenti delle condizioni di mercato. Il processo decisionale per la progettazione del
canale richiede che venga tenuto conto di tre principali fattori:
1. il livello di comodità d’acquisto richiesto dai diversi segmenti di clienti finali, noto
come «decisione sull’intensità di distribuzione o copertura distributiva»;
2. il numero e le tipologie di intermediari necessari per la consegna dei prodotti al
numero ottimale di punti vendita, noti come «decisione di configurazione del
canale»;
3. il numero dei diversi tipi di canale da utilizzare, noto come «decisione
multicanale».
Questo ci aiuta a determinare qual è il modo più efficace ed efficiente di far arrivare l’offerta al
cliente.
10.5 – STRATEGIA DEL CANALE DI MARKETING
Quando si definisce una strategia per il canale di distribuzione, è necessario assumere diverse
decisioni chiave al fine di servire i clienti e stabilire e mantenere appropriate relazioni
acquirente-venditore. Queste sono riassunte nella Figura 10.3. Si tratta di scelte importanti
perché esse potrebbero influenzare i vantaggi offerti ai clienti.

FIGURA 10.3
Decisioni relative alla strategia del canale di distribuzione.

10.5.1 – STRUTTURA DEL CANALE


I canali di distribuzione possono essere strutturati in diversi modi. Esistono tre configurazioni
principali che coinvolgono produttori, intermediari e clienti: una struttura a canale
diretto prevede la vendita diretta ai clienti finali con scarso coinvolgimento di altre
organizzazioni; una struttura a canale indiretto utilizza intermediari; e una struttura

174
multicanale le abbina entrambe (vedi Figura 10.4). Consideriamo ora i vantaggi e gli
svantaggi di ciascun tipo di struttura di canale.373
Struttura a canale diretto
Nei canali diretti, il produttore utilizza strategie per raggiungere direttamente gli utenti finali
piuttosto che passare attraverso un intermediario, quale può essere un agente, un broker, un
rivenditore al dettaglio o un grossista (cfr. Figura 10.4). Siete mai stati in un mercato agricolo e
avete acquistato prodotti direttamente da un agricoltore, o avete scaricato musica direttamente
dal sito web di una band locale? Questi sono esempi di distribuzione diretta. Tra i vantaggi di
questa struttura troviamo il fatto che il produttore o il fabbricante mantenga il controllo sul suo
prodotto e sulla sua redditività, e che si costruiscano relazioni forti con la clientela. Questa
struttura, tuttavia, non è adatta a tutti i prodotti. È ideale per quelli che richiedono considerevole
personalizzazione, competenza tecnica o l’impegno da parte del produttore a completare una
vendita (Parker et al., 2006).

FIGURA 10.4
Struttura del canale di distribuzione.
Internet ha permesso a un maggior numero di produttori manifatturieri di raggiungere
direttamente i clienti ed è in grado di migliorare l’efficienza all'interno della struttura dei canali
diretti. Gli ordini possono essere elaborati direttamente insieme ai clienti e anche la
comunicazione delle informazioni di supporto è più efficiente. Ad esempio, Dell Computer Corp.
vende apparecchiature 374informatiche attraverso il proprio sito web, utilizzando televendite per
gli ordini dei prodotti, dei clienti e dei fornitori, database per l’elaborazione degli ordini stessi, il
monitoraggio, l’inventario e la gestione delle consegne.
Tra gli svantaggi del canale diretto troviamo principalmente l’ingente quantità di capitale e di
risorse necessari per raggiungere i clienti. Ciò significa che non esistono praticamente economie
di scala. I produttori potrebbero anche soffrire di una bassa varietà di offerte, che potrebbe non
soddisfare le esigenze degli acquirenti. Ciò è particolarmente evidente nei mercati di beni di
consumo, quali gli FMCG, acronimo di fast-moving consumer goods, vale a dire i beni di largo
consumo. Immaginate di dover andare a fare la spesa e di acquistare pane, latte e una bevanda
non alcolica in tre diversi punti vendita di proprietà produttori di ciascun prodotto. Oggi sono
pochi i consumatori che acquisterebbero dai singoli produttori a causa della scomodità e dei costi
che ciò comporta in termini di tempo. I venditori al dettaglio rispondono quindi alle esigenze dei
consumatori finali in materia di varietà, cosa che un canale di distribuzione diretto non è
necessariamente in grado di fare.
Struttura a canale indiretto
I canali indiretti consentono ai produttori di concentrarsi sulle competenze e sui processi
necessari per presentare la loro offerta e di utilizzare uno o più intermediari per la distribuzione.
Ad esempio, Procter & Gamble (P&G) concentra le proprie risorse e competenze nello sviluppo di
nuovi tipi di beni di largo consumo, mentre l’attività principale di vendita al dettaglio di
Sainsbury’s consiste nel mettere a disposizione dei consumatori i prodotti di P&G (e non solo).
Struttura multicanale

175
Un numero crescente di organizzazioni adotta una struttura ibrida, o multicanale, per distribuire
beni e servizi (Park e Keh, 2003). In questo caso, il produttore controlla direttamente alcuni
canali di marketing mentre gli intermediari ne controllano altri. Molte compagnie aeree, per fare
un esempio, vendono i loro biglietti direttamente ai consumatori su Internet, ma si affidano
anche alle agenzie di viaggio. A loro volta, le case discografiche vendono i loro CD direttamente,
utilizzando cataloghi e Internet, così come fanno rivenditori di musica indipendenti quali Rise on
the Clifton Triangle di Bristol. L’acquisto di un dispositivo mobile potrebbe essere effettuato
direttamente sul sito web Samsung, tramite un fornitore di servizi come EE, o forse da Tesco,
mentre si mettono nel carrello della spesa il pane e il latte. Samsung, Lenovo e LG Electronics
utilizzano dettaglianti di elettronica e club di grossisti discount, ossia a prezzo ribassato, insieme
ai propri canali diretti Internet e di televendita per commercializzare e consegnare i propri
telefoni cellulari.
Tra i vantaggi di una struttura multicanale troviamo quanto segue.
• Maggiore estensione: utilizzando le reti dirette esistenti e le relazioni degli
intermediari, le organizzazioni possono raggiungere un pubblico di destinazione
più ampio.
• Controllo del produttore: i produttori dispongono di un maggiore controllo sui
prezzi e sulla comunicazione e possono raggiungere i clienti direttamente.
• Maggiore rispetto: gli intermediari possono percepire i produttori come
concorrenti e quindi rispettare le regole del canale.
• Ottimizzazione dei margini: i produttori possono migliorare i margini del canale
diretto e aumentare il proprio potere contrattuale via via che diventano meno
dipendenti dagli intermediari.
• Migliore panoramica del mercato: dall’ampliamento delle relazioni con i propri
clienti diretti, i produttori possono ricavare una migliore comprensione delle loro
esigenze e delle problematiche di mercato.
L’adozione della strategia multicanale è stata favorita dalla crescita di Internet, che ha aumentato
l’efficienza dell’interazione tra i consumatori e i produttori (Park e Keh, 2003).
Contemporaneamente, le tecnologie aumentano l’efficienza dello scambio di informazioni tra i
produttori e gli intermediari, per esempio attraverso lo scambio elettronico di dati (EDI,
acronimo di electronic data interchange) e le extranet. La condivisione dei profitti tra i membri
del canale può tuttavia costituire una fonte di conflitto, soprattutto quando gli intermediari
percepiscono il produttore non solo come fornitore ma anche come concorrente. È una struttura
che può anche confondere e allontanare i clienti che sono incerti riguardo a quale canale
utilizzare.
10.6 – INTENSITA’ DEL CANALE
Chiamata anche «copertura del canale», l’«intensità del canale» si riferisce al numero e alla
distribuzione sul territorio dei punti vendita che un cliente finale può utilizzare per acquistare
una determinata offerta. Questa decisione riguarda il livello di comodità che si aspettano i clienti
e che i fornitori devono garantire per essere competitivi. Più ampia è la copertura, maggiore è il
numero di intermediari, il che comporta costi più elevati relativamente al controllo della gestione
degli intermediari. Esistono tre livelli di copertura: intensiva, selettiva ed esclusiva (cfr. Figura
10.5).376

FIGURA 10.5
Intensità del canale di distribuzione.

176
• La distribuzione intensiva comporta l’inserimento di un’offerta nel maggior
numero possibile di punti vendita. Viene più comunemente utilizzata per i
prodotti per i quali i consumatori non effettuano una ricerca, ma che solitamente
acquistano per comodità o d’istinto, come le riviste e le bevande analcoliche o i
dolciumi.
• Ci troviamo davanti a una distribuzione selettiva quando viene utilizzato un
numero limitato di punti vendita. Questo avviene perché, quando i clienti sono
attivamente coinvolti nell’acquisto, sperimentano e percepiscono i livelli di rischio
da moderati a elevati, e sono disposti a cercare fornitori adeguati. A essere
prescelti saranno quelli che meglio soddisfano le loro esigenze complessive. Sono i
produttori a determinare e controllare quali siano gli intermediari, a fornire i
prodotti e il livello di servizi offerti. Le apparecchiature elettriche, i mobili,
l’abbigliamento e i gioielli costituiscono categorie per le quali la distribuzione
selettiva risulta appropriata.
• Ci troviamo di fronte a una distribuzione esclusiva quando gli intermediari
hanno i diritti esclusivi di commercializzazione di un’offerta, all’interno di un
«territorio» definito. Ciò è utile laddove sia richiesto un sostegno significativo da
parte dell’intermediario, in questo modo l’esclusività vale a titolo di «rimborso»
per l’investimento e il sostegno offerti dagli intermediari. Beni di alto prestigio,
come le Ferrari, e i brand dell’alta moda, come Chanel e Gucci, adottano questo
tipo di distribuzione.

Su Internet, quasi tutta la distribuzione è intensiva, data l’imponente portata di massa del web.
Anche il più piccolo produttore può pubblicizzare e vendere in tutto il mondo, utilizzando gli
stessi servizi di corriere per consegnare le proprie offerte così come fanno le grandi aziende.

Caratteristiche Esclusiva Selettiva Intensiva


Forte controllo e Copertura moderata del Copertura capillare del
fidelizzazione mercato; immagine solida; mercato; accettazione
Obiettivi
dell’immagine del canale; controllo e fidelizzazione dei dei canali; volume delle
stabilità dei prezzi canali vendite
Tutti i tipi di punti
Negozi rinomati; numero Negozi migliori; numero
Membri del canale vendita; numero
ristretto; ben consolidati moderato; ben consolidati
elevato
Numero ristretto; Numero moderato;
trendsetter; disposti a consapevoli del marchio;
Numero elevato;
Clienti spostamenti per abbastanza disposti a
orientati alla comodità
raggiungere il negozio; spostamenti per raggiungere
fedeli al marchio il negozio
Vendita personale; Mix promozionale; condizioni Pubblicità di massa;
Importanza del
condizioni di shopping di shopping piacevoli; buon sede nelle vicinanze;
marketing
piacevoli; buon servizio servizio articoli in magazzino
Automobili; capi di
Mobili; abbigliamento; Alimentari; prodotti
Esempi abbigliamento firmati;
orologi per la casa; riviste
caviale

TABELLA 10.1
Intensità di copertura del canale
La decisione sul numero di intermediari è spesso guidata da considerazioni di costo. I costi della
distribuzione intensiva sono più elevati a causa del numero di punti vendita da rifornire. Le
implicazioni di queste tre strategie di distribuzione sono riassunte nella Tabella 10.1.

177
10.7 – GESTIONE DELLE RELAZIONI DEL CANALE
Le relazioni di canale costituiscono una questione manageriale di dimensioni non trascurabili.
Poiché i canali sono sistemi sociali aperti (Katz e Kahn, 1978), un certo livello di conflitto tra i
membri del canale è inevitabile. Il conflitto si origina da una rottura nei livelli di cooperazione tra
i partner di canale (Shipley ed Egan, 1992) e può influire sulle prestazioni del canale stesso. Gaski
(1984: 11) ha definito il «conflitto di canale» «la percezione da parte di un membro del canale che
il raggiungimento dell’obiettivo a lui assegnato sia ostacolato da un altro membro, avendo come
risultato stress o tensione».
Il conflitto di canale può coinvolgere intermediari allo stesso livello, ad esempio tra dettaglianti o
tra agenti (parliamo, cioè, di conflitto orizzontale). Può verificarsi anche tra membri a livelli
diversi, e coinvolgere un produttore, un grossista e un rivenditore al dettaglio (e in questo caso
parleremo di conflitto verticale).

Strategia
Spiegazione
promozionale
Accomodare Modificare le aspettative per integrare le esigenze degli altri
Discutere Cercare di convincere gli altri della correttezza della propria posizione
Evitare Spostare se stessi dal punto di conflitto
Mediare Venire incontro alle esigenze degli altri a metà strada
Cooperare Riconciliazione reciproca attraverso la cooperazione
Concordare su richieste minime per garantire un accordo a breve
Uso strumentale
termine
Ricerca di un accordo alle proprie condizioni o rifiuto di ulteriore
Self-seeking
cooperazione

TABELLA 10.2
Strategie di risoluzione dei conflitti
Se le strategie per prevenire o evitare il conflitto non hanno avuto esito favorevole, è necessario
risolvere il conflitto quando è ormai in fase deflagrante. Le strategie illustrate nella Tabella
10.2 partono dall’egoismo o resistenza e dal rifiuto di lavorare con altri membri, e passano
attraverso la cooperazione e il compromesso, fino ad arrivare al tentativo di accogliere tutte le
opinioni delle altre parti, anche a costo di mettere a repentaglio la propria posizione. La cultura
aziendale prevalente, l’atteggiamento nei confronti del rischio e il senso di potere che esiste
all’interno delle partenrship determineranno la strategia prescelta.
Visitate le risorse online e leggete del conflitto nato nel settore della grande distribuzione nel
Regno Unito.

10.8 – GESTIONE DELLA CATENA DI APPROVVIGIONAMENTO


La seconda importante questione legata ai canali di marketing riguarda la movimentazione delle
componenti, dei materiali di consumo e dei prodotti finiti. Melnyk e colleghi (2009) ritengono
che la «gestione della catena di approvvigionamento» (SCM, acronimo di supply chain
management) riguardi la creazione del valore di tutte le attività collegate alla distribuzione fisica.
Essa comprende tutta la catena di fornitori a partire da quelli che mettono a disposizione le
materie prime (a monte), passando per quelli che si occupano delle fasi di assemblaggio e
produzione, fino alla distribuzione ai clienti finali (a valle). Questo collegamento viene

178
attualmente definito una «catena di approvvigionamento», mentre in precedenza veniva
chiamato comunemente «logistica» e, prima ancora, «distribuzione fisica».

Obiettivo Spiegazione
Riducendo il livello delle scorte duplicate ed eccedenti nella catena, è possibile
Riduzione dei
armonizzare le operazioni tra le organizzazioni per raggiungere nuovi livelli di uniformità e
rifiuti
standardizzazione
Ridurre i tempi del ciclo dall’ordine-alla-consegna migliora l’efficienza e i risultati del
Compresisone servizio clienti. Un ciclo più veloce è indice di un’operatività e di processi più fluidi ed
dei tempi efficienti. Tempi più rapidi significano minori scorte,flussi di cassa più veloci e più elevati
livelli di output del servizio
Gestendo gli elementi di elaborazione dell’ordine (dimensioni, tempi, configurazione,
Risposta
gestione), è possibile soddisfare specifiche esigenze del cliente senza causare
flessibile
inconvenienti, e ciò favorisce l’efficienza e l’erogazione del servizio
Riduzione dei Comprendendo il livello di output del servizio richiesto dai clienti finali, diventa quindi
costi unitari possibile ridurre al minimo i costi derivanti dalla fornitura allo standard richiesto

TABELLA 10.3
Obiettivi della gestione della catena di approvvigionamento
A differenza dei canali di marketing, che si occupano della gestione del comportamento dei
clienti, dei prodotti finiti e delle relazioni inter-organizzative, il SCM si prefigge di migliorare
l’efficienza e l’efficacia della movimentazione fisica dei prodotti. La gestione della catena di
approvvigionamento riguarda essenzialmente tutte le attività aziendali necessarie per ottenere il
prodotto giusto, nel posto giusto, e affinché il cliente giusto vi possa accedere al momento
opportuno e in maniera conveniente (Fill e McKee, 2012).380
La gestione della catena di approvvigionamento comprende quattro attività
principali: esecuzione/evasione, trasporto, gestione delle
scorte e immagazzinamento. Brewer e Speh (2000) sostengono che questa gestione mira
anche a raggiungere quattro obiettivi principali: la riduzione dei rifiuti, la compressione dei
tempi, una risposta flessibile e la riduzione dei costi unitari (cfr. Tabella 10.3).381

FIGURA 10.6
Sviluppo di catene di approvvigionamento ad alte prestazioni.
Se questi quattro obiettivi vengono raggiunti, viene migliorata l’efficienza di una catena di
approvvigionamento e, di conseguenza, i clienti finali possono sperimentare migliori livelli di

179
prestazioni del canale. La Figura 10.6 illustra queste attività e la somma degli obiettivi volti a
promuovere una prestazione di più alto livello della catena di approvvigionamento.
La gestione della catena di approvvigionamento di ASDA Walmart si basa sulla scansione
computerizzata, che permette di informare molto rapidamente i fornitori su quali prodotti
debbano essere consegnati e in quali quantità.
I più recenti sviluppi delle tecnologie elettroniche, come i tag di identificazione a radiofrequenza
(RFID), migliorano l’efficienza e l’efficacia con cui vengono gestite le attività della catena di
approvvigionamento.
Il controllo dei costi è un’attività centrale del SCM, dal momento che le sole spese di spedizione e
di trasporto costituiscono circa il 15% del prezzo medio di un prodotto. Ikea può vendere i suoi
mobili al 20% in meno rispetto alla concorrenza perché vende componenti pronte per
l’assemblaggio, risparmiando così sui costi di trasporto e magazzino. Il centro di
distribuzione Benetton in Italia è gestito in gran parte da robot, che consegnano numerosi
prodotti in 120 Paesi entro 12 giorni.
Benetton utilizza anche la produzione just-in-time (JIT), che prevede che alcuni capi vengano
realizzati in colori neutri e poi tinti su ordinazione, 382con tempi di consegna molto rapidi per
soddisfare le esigenze del cliente. Al di là della riduzione dei costi, tuttavia, molte organizzazioni
hanno iniziato a dedicare una maggiore attenzione alla gestione delle attività volte a migliorare il
servizio clienti, a far fronte all’esplosione della varietà di prodotti e a sfruttare i miglioramenti
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC).

10.8.1 – ESECUZIONE/EVASIONE
L’esecuzione/evasione dell’ordine e la movimentazione dei materiali riguardano l’individuazione
e la gestione delle scorte, l’imballaggio e la messa in sicurezza, e quindi la spedizione al membro
successivo del canale degli articoli o dei pacchetti selezionati. Il crescente uso di software, dell’IT
e di attrezzature specializzate permette alle aziende di gestire una serie di attività di
esecuzione/evasione. La movimentazione delle scorte all’interno del magazzino deve essere
ridotta al minimo, mentre la movimentazione inter-magazzino viene ottimizzata (Fill e McKee,
2012). Le e-mail automatiche vengono inviate ai clienti successivamente all’acquisto online, ad
esempio, di musica da iTunes, di un libro su Amazon o di un biglietto del treno. Anche
l’accuratezza e la velocità di emissione delle ricevute o delle fatture dei clienti sono di vitale
importanza, soprattutto per le relazioni con i clienti stessi.
10.8.2 – TRASPORTO E CONSEGNA
Il trasporto è considerato l’attività più importante all’interno del SCM e comporta il movimento
fisico di prodotti utilizzando, ad esempio, strade, ferrovie, aerei, gasdotti e navi. Il trasporto è
talora considerato esclusivamente un modo di fornire beni materiali, ma può anche essere
rilevante per molte aziende di servizi e per la consegna di prodotti elettronici (o digitali). I
consulenti, le aziende IT e le organizzazioni sanitarie hanno la necessità di far effettuare
spostamenti al personale: questo comporta spese di trasporto e alloggio delle quali devono farsi
carico. La gestione del trasporto comporta di solito decisioni per la scelta tra una o più modalità e
che sia garantita la capacità del veicolo. Le modalità di trasporto includono anche modi di
consegna elettronica, come i distributori elettronici automatici, telefono, Internet o EDI.
10.8.3 – GESTIONE DELLE SCORTE
La gestione delle scorte, detta anche inventario, comporta che si cerchi di bilanciare la capacità di
risposta alle esigenze dei clienti con le risorse immagazzinate. La gestione dei prodotti sia finiti
che non finiti per molte organizzazioni può essere determinante. È necessario raggiungere un
equilibrio tra il numero di prodotti finiti disponibili quando i clienti ne hanno bisogno (la
cosiddetta «congettura») e un magazzino di prodotti non finiti che può essere utilizzato per

180
assemblare i prodotti e garantire la capacità di risposta quando le scorte di prodotti finiti sono in
esaurimento (il cosiddetto «rinvio»).
10.8.4 – MAGAZZINAGGIO E MOVIMENTAZIONE MATERIALI
Le catene di approvvigionamento coinvolte nello scambio di merci richiedono solitamente
impianti di stoccaggio per i periodi che intercorrono tra produzione, trasporto, acquisto o
consumo. 383Libri, prodotti secchi come lo zucchero e le conserve e persino gli indumenti
richiedono tutti un certo livello di stoccaggio tra il momento in cui lasciano il produttore o il
fabbricante e quello in cui devono essere consegnati ai clienti finali.
10.8.5 – MAGAZZINAGGIO DI BENI MATERIALI E PRODOTTI DIGITALI
Per lo stoccaggio dei beni materiali, un’azienda può utilizzare sia magazzini di stoccaggio che
centri di distribuzione. I magazzini di stoccaggio immagazzinano le merci per periodi medio-
lunghi (vale a dire prodotti che hanno una durata di conservazione lunga), mentre i centri di
distribuzione sono progettati per la movimentazione piuttosto che per il semplice stoccaggio delle
merci. Per i prodotti altamente deperibili con una durata di conservazione breve, quali la frutta e
la verdura, i centri di distribuzione risultano più appropriati.
I sistemi di magazzinaggio elettronico, o sistemi di database, vengono sempre più utilizzati per lo
stoccaggio di prodotti (o componenti di prodotto) che possono essere digitalizzati. Ad esempio,
emerald-library.com, ABI-Inform o ScienceDirect sono database elettronici accessibili tramite
Internet che consentono lo «stoccaggio» di una vasta gamma di documenti attraverso la loro
memorizzazione elettronica per facilitare la ricerca di informazioni da parte dei clienti. Molte
organizzazioni utilizzano inoltre strutture di data warehousing o archiviazione dati, tramite le
quali le informazioni sui prodotti, o anche gli stessi prodotti, vengono stoccati in formato digitale
in attesa della distribuzione. Apple iTunes è il più grande dettagliante di musica al mondo. A
febbraio 2013, il negozio online aveva catalogato oltre 26 milioni di canzoni, 190.000 episodi
televisivi, 45.000 film e 1.500 libri. Senza contare le decine di migliaia di giochi e podcast. I
clienti hanno la possibilità di trovare giochi, scaricarli, giocare e sincronizzare i dispositivi in
pochissimo tempo rispetto a quello che impiegherebbero per arrivare in un negozio.
Esamineremo ora più da vicino un particolare tipo di intermediario utilizzato nel mercato dei
beni di consumo: il dettagliante o rivenditore al dettaglio.
10.9 – VENDITA AL DETTAGLIO
La vendita al dettaglio comprende tutte le attività direttamente connesse alla vendita di prodotti
e servizi ai consumatori per il loro uso personale. I dettaglianti si differenziano dai grossisti
poiché questi 385ultimi distribuiscono il prodotto alle aziende, non ai consumatori. Che si tratti
di grandi rivenditori al dettaglio, come Lotte (Corea del Sud), Extra (Brasile), Carrefour
(Francia), o di uno tra le migliaia di piccoli dettaglianti proprietari in India, tutti i rivenditori al
dettaglio offrono un collegamento a valle tra produttori e consumatori finali.

Elemento Descrizione
• I fattori di accessibilità includono l’ubicazione, la disponibilità, gli orari di
funzionamento, il parcheggio e la vicinanza ad altri punti vendita, oltre a telefono, posta
e Internet
Comodità di • Non esiste comodità se non esiste possibilità di accesso
accesso • I clienti richiedono sempre più di frequente di poter accedere a prodotti e servizi nella
maniera più rapida e diretta possibile, e con il minimo di seccature
• Una tendenza globale, ad esempio l’aumento dei minimarket in Giappone
• Shopping diretto guidato da utilità di tempo e luogo
Comodità di • Identificare e selezionare i prodotti desiderati è collegato alla messa a fuoco del
ricerca prodotto, alla progettazione e al layout dell’intelligence del punto vendita (servicescape),

181
al personale esperto, ai sistemi interattivi, ai display dei prodotti, al tipo di confezione e
alle indicazioni ecc.
• Le soluzioni possono essere fornite sotto forma di chioschi in-store, prezzi ben in
evidenza e telefoni cellulari per il personale di vendita, con i quali comunicare con i
centri di competenza [knowledge centre]
• Un esempio di buona pratica è la catena di discount tedesca Adler Modemärkte AG,
che utilizza etichette con codice colore per aiutare i clienti a individuare rapidamente le
taglie
• Consiste nell’avere merce in magazzino e disponibile al momento opportuno, ad
esempio il negozio di abbigliamento Nordstrom garantisce la disponibilità dei prodotti
pubblicizzati
Comodità di
• Presenta limitazioni per determinati canali, ad esempio i prodotti altamente
possesso
personalizzati
• Internet totalizza un punteggio elevato per comodità di ricerca, ma in genere basso in
termini di comodità di possesso
• Velocità e facilità con le quali i consumatori possono effettuare e modificare le
transazioni prima e dopo l’acquisto
• Esistono numerose innovazioni, ad esempio l’autoscansione in Carrefour, Tesco e
Metro
• Sistemi di servizio ben progettati possono mitigare i picchi e i minimi nel traffico dei
Comodità della
negozi, come avviene da Sainsbury’s dove vengono utilizzati contatori di traffico in-store
transazione
per monitorare il traffico del negozio
• La progettazione delle code, le code singole negli uffici postali e nelle banche
differiscono da quelle dei supermercati grazie al design di spazio e servizi.
• Una questione importante per i dettaglianti che vendono esclusivamente via Internet
riguarda i resi e i clienti non disposti a pagare i costi di spedizione e trasporto

TABELLA 10.4
La comodità dal punto di vista del cliente
I rivenditori al dettaglio consentono ai consumatori l’accesso ai prodotti: è quindi molto
importante che i dettaglianti, se il loro obiettivo è di offrire davvero un valore aggiunto, scoprano
cosa vogliono realmente i consumatori. Comodità ed efficienza in termini di tempo
rappresentano la preoccupazione primaria per la maggior parte dei consumatori, con persone
sempre più «povere di tempo libero» e desiderose di scambiare il tempo dello shopping con il
tempo libero (Seiders et al., 2000). Sarà quindi la comodità a determinare la maggior parte delle
innovazioni nel commercio al dettaglio, che si tratti di supermercati, grandi magazzini, centri
commerciali, Internet o chioschi a scansione automatica, con l’obiettivo di garantire la comodità
del cliente. Come osservato da Seiders e colleghi (2000), dal punto di vista del cliente,
«comodità» significa velocità e facilità di acquisto di un prodotto e consiste in:
• comodità di accesso, vale a dire facile da raggiungere;
• comodità di ricerca, ovvero facile da identificare da parte del cliente;
• comodità di possesso, vale a dire facile da ottenere;
• comodità di transazione, facile da acquistare o restituire.
Li trovate descritti in maniera più approfondita nella Tabella 10.4.

10.9.1 – TIPOLOGIE DI RIVENDITORI AL DETTAGLIO


Esistono numerose tipologie di rivenditori al dettaglio che possono essere classificate in base alla
strategia di marketing utilizzata (vale a dire, prodotto, prezzo e livello di servizio) e alla presenza
del negozio (vale a dire, negozio o non negozio al dettaglio).
La Tabella 10.5, sebbene non esaustiva, fornisce un utile riepilogo di questi elementi nelle
diverse tipologie di canali di vendita al dettaglio.

182
Tipo di Assortimento
Prezzi Servizio clienti Esempio
negozio prodotti
Molto ampio e profondo, David Jones
Ridurre al minimo la Ampia gamma e
Dipartimento con layout e presentazione Debenhams
concorrenza sui prezzi buona qualità
dei prodotti chiave Harrods
Dollar Dazzlers
Posizionamento a basso Pochi servizi ai
Discount Ampio e poco profondo poundstretcher
prezzo clienti
Poundland
Se di alta qualità,
7-Eleven
Comodità Ridotto e poco profondo Prezzi elevati può rappresentare
Co-op
un vantaggio
Prodotti tradizionali = Negozi di
evita la concorrenza sui biciclette
Linea limitata Ridotto e profondo Varia in base al tipo
prezzi; nuovi prodotti = Moda Donna
prezzi bassi Negozi di sport
Boutique abiti da
Evita la concorrenza sui Standard; ampio in
Specializzato Molto ridotto e profondo sposa
prezzi alcuni
Negozi sportivi
Ikea
In numero da Staples
Category killer Ridotto e molto profondo Prezzi bassi
ridotto a moderato Forniture per
ufficio
Carrefour
(Europa)
Prodotti = prezzo basso;
Tesco plc (Regno
Supermercato Ampio e profondo altri = evitare svantaggi di Pochi e self-service
Unito)
prezzo
Woolworths Ltd
(Australia)
Molto ampio e molto ASDA Walmart
Ipermercato Prezzi bassi Pochi e self-service
profondo Tesco Extra

TABELLA 10.5
Strategia di marketing e classificazione dei negozi al dettaglio
Le tipologie di esercizi di vendita al dettaglio possono essere ulteriormente distinte nel modo che
segue.
• I grandi magazzini sono organizzazioni di vendita al dettaglio su larga scala che
offrono un vasto e approfondito assortimento di articoli (prodotti sia hard sia soft
goods), mettendo a disposizione una vasta gamma di servizi di assistenza clienti.
Debenhams, ad esempio, dispone di una vasta gamma di prodotti, tra cui
arredamento per la casa, alimenti, cosmetici, abbigliamento, libri e mobili, e offre
inoltre diverse varietà all’interno di ogni categoria (di marca, di caratteristiche
ecc.).
• I discount sono i rivenditori al dettaglio a prezzo ribassato, si fondano
sullabbinamento di prezzi bassi e riduzione dei costi di gestione. Le caratteristiche
principali riguardano un ampio ma poco approfondito assortimento, prezzi bassi e
un servizio clienti molto limitato. Matalan nel Regno Unito, per esempio, Kmart in
Australia e Target negli Stati Uniti presentano tutti un vasto assortimento di
articoli soft (come l’abbigliamento), abbinati a prodotti hard (quali
elettrodomestici e arredamento). Per mantenere bassi i prezzi, i dettaglianti

183
conducono ampie trattative con i fornitori perché restino ugualmente bassi i costi
di acquisto della merce.389
• I dettaglianti limited-line, ossia a linea limitata, dispongono di un assortimento di
prodotti ristretto, ma approfondito, e i servizi ai clienti variano da negozio a
negozio. Ne sono esempi i rivenditori al dettaglio di abbigliamento, le macellerie,
le panetterie e i negozi di prodotti da forno, nonché quelli di mobili, che si
specializzano in un piccolo numero di categorie di prodotti correlati tra loro.
L’ampiezza della varietà di prodotti nei negozi di linea limitata varia da un
esercizio all’altro e un negozio può scegliere di concentrarsi su più linee di
prodotti correlati (ad esempio scarpe e accessori di abbigliamento), su una singola
linea di prodotto (ad esempio scarpe) o su una parte specifica di un’unica linea di
prodotto (ad esempio scarpe sportive).390
• I negozi category killer, ovvero «killer di categoria», sono progettati, come il
nome suggerisce, per eliminare la concorrenza e sono contraddistinti da un
assortimento di prodotti ristretto ma molto approfondito, da prezzi bassi e dalla
presenza di servizi alla clientela da pochi a moderati. Esempi di successo
includono Ikea nell’arredamento della casa, Staples nella fornitura di prodotti per
ufficio e B&Q nell’hardware.
• I supermercati, un’invenzione degli anni Trenta, sono grandi ambienti di vendita
al dettaglio self-service, che mettono a disposizione un’ampia varietà di prodotti
diversi a un’ampia base di consumatori. Tesco Extra nel Regno Unito dispone di
prodotti che spaziano dall’abbigliamento all’hardware, dalla musica ai generi
alimentari, dai prodotti lattiero-caseari fino agli articoli soft di arredamento.
Operando in gran parte su base self-service, con un servizio clienti minimo e
terminali di registro e transazione centralizzati, i supermercati mettono a
disposizione i vantaggi di un vasto assortimento di prodotti in un’unica sede,
offrendo comodità e varietà. Oggi, i supermercati costituiscono l’istituzione
dominante per la vendita al dettaglio dei prodotti alimentari.
• I minimarket, o «corner shop», offrono una gamma di generi alimentari e articoli
per la casa che soddisfano le esigenze di comodità e di acquisto dell’ultimo
minuto. Le caratteristiche principali includono lunghi orari di apertura (ad
esempio 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana indicato anche come 24/7), il
fatto di essere a conduzione familiare o di appartenere a un gruppo commerciale.
Ne sono esempi 7-Eleven, Spar e Coop. Sempre più spesso, vediamo i minimarket
più piccoli minacciati da grandi catene di supermercati come ASDA Walmart e
Tesco, soprattutto in seguito all’emanazione di normative che consentono orari di
apertura più lunghi per i negozi più grandi (come l’orario di vendita domenicale
nel Regno Unito).

CASE HISTORY 2
Poiché il comportamento degli acquirenti diventa sempre più digitale, i venditori al dettaglio
affermati devono adattare le loro strategie di canale. Ne parliamo con Lotta Bjurhult (nella foto),
business developer per le operazioni al dettaglio, presso la più grande catena di grandi magazzini
della Svezia, Åhléns, per scoprire che cosa serve per aggiungere un canale online a una rete di
grandi magazzini già esistente.
«Åhléns è la principale catena di grandi magazzini della Svezia. Si potrebbe dire che occupiamo
una posizione simile a quella di John Lewis nel Regno Unito o Karstadt in Germania. Nel 2015
abbiamo registrato un fatturato di circa 5 miliardi di corone svedesi, impiegato 3.000 dipendenti
e servito un totale di 65 milioni di visitatori nei nostri 70 grandi magazzini distribuiti in tutta la
Svezia. Disponiamo di una clientela di base molto fidelizzata, con oltre 2,2 milioni di soci del club
che effettuano acquisti, in media, 8,5 volte l’anno nei nostri magazzini. La nostra missione è
offrire soluzioni accuratamente selezionate, convenienti e sostenibili, che crediamo possano
soddisfare le esigenze delle persone in modo semplice, stimolante e accessibile. Come per la
maggior parte dei grandi magazzini, offriamo un vasto assortimento di prodotti e mettiamo a

184
disposizione un’ampia gamma di servizi di assistenza per i clienti del negozio. Nei nostri grandi
magazzini viene messa a disposizione dei clienti una scelta attentamente valutata di brand
selezionati e di private labels, tutto all’interno dello stesso magazzino. I nostri clienti sono in
grado di navigare all’interno di una stimolante varietà di prodotti value-for-money, che spaziano
dall’home styling all’interior design, alla moda, ai cosmetici, ai prodotti alimentari e di
intrattenimento. Aggiungere un canale online a un’operatività già esistente all’interno di un
grande magazzino è un’azione complessa. La sfida è quella di mantenere l’esperienza complessiva
di Åhléns, che è molto incentrata sull’esperienza d’acquisto all’interno del negozio, adattandola al
tempo stesso a un ambiente online. I clienti considerano Åhléns un grande magazzino: non fa
differenza se acquistano qualcosa offline o online. Nello sviluppare la nostra offerta online,
abbiamo preso in considerazione una serie di questioni. Per quanto riguarda l’assortimento,
siamo partiti utilizzando i database su ciò che i clienti stanno già acquistando online. Abbiamo
poi valutato quali prodotti non sono attualmente disponibili in tutti i nostri grandi magazzini a
livello locale. Alla fine del 2016, il nostro canale online è arrivato a contenere circa 50.000
prodotti diversi, mettendo, di fatto, a disposizione un assortimento più ampio rispetto alla
maggior parte dei nostri grandi magazzini, ma di dimensioni uguali all’assortimento dei
magazzini di Uppsala e Malmö, che sono i nostri due più estesi. E, con il tempo, abbiamo fornito
online lo stesso assortimento presente nel nostro flagship store Åhléns City a Stoccolma.
Abbiamo inoltre sviluppato un sistema informatico su misura per supportare il canale online. Nel
creare il nostro negozio online, abbiamo riesaminato e sviluppato tutti i nostri processi interni, a
partire da come gestire le relazioni con i for394nitori e con i venditori, definendo dove
approvvigionarci e in che modo consegnare i prodotti, fino a esaminare il ruolo dei dipendenti
del negozio. Andare online ti espone a qualsiasi debolezza presente all’interno dei processi
dell’azienda. Se qualcosa non funziona davvero in un negozio, si può disporre di dipendenti che
risolvono il problema. Cose come pagamenti e resi, abbastanza facilmente gestibili in un grande
magazzino fisico, sono molto più complesse online. Un’altra considerazione chiave per noi è stata
in che modo riuscire a coinvolgere i dipendenti del negozio e far sì che vedano il canale online
come parte della complessiva proposta di valore di Åhléns. Il canale online porta con sé effetti
profondi e duraturi sul ruolo che i dipendenti rivestono nella creazione di un’esperienza di alta
qualità per il cliente. Uno dei miei compiti principali è stato quello di fare in modo che
dipendenti e servizio clienti in-store sposassero il progetto del canale online e che lo rendessero
parte dell’esperienza offerta ai clienti giorno per giorno. Si tratta di un must se vogliamo
proporre ai nostri clienti un’offerta senza soluzione di continuità».

185
CAPITOLO 11: MARKETING DIGITALE E SOCIAL MEDIA
MARKETING
CASE HISTORY 1: SPOTIFY
Qual è il ruolo svolto dai social media e in che modo le aziende dovrebbero inserirli nelle loro
campagne di comunicazione? Per saperne di più, ne parliamo con Chug Abramowitz (nella foto),
vicepresidente del servizio clienti globali e dei social media di Spotify.
«Il sogno di Spotify è quello di rendere immediatamente disponibile tutta la musica del mondo a
tutti. Il nostro servizio di streaming è stato lanciato in Svezia nel 2008 e, a partire dal 2015,
siamo disponibili in 58 mercati, con oltre 75 milioni di utenti attivi. Di questi, oltre 20 milioni
sono utenti a pagamento. Oggi, Spotify ti mette a disposizione la musica giusta per ogni
momento: sul computer, sui cellulari, sui tablet, sui sistemi di home entertainment, in auto, sulle
console di gioco e altro ancora. I social media sono stati una parte importante della crescita di
Spotify per due ragioni: il team di marketing ha lavorato insieme alle agenzie per creare
campagne sui social che coinvolgessero i clienti e li attraessero verso il marchio Spotify, mentre il
team di assistenza clienti ha monitorato i canali dei social media e li ha utilizzati come strumenti
per venire incontro ai clienti insoddisfatti. Ultimamente, abbiamo notato che il team di supporto
ai clienti che opera attraverso i social media riesce a coinvolgerli in maniera più efficace delle
nostre agenzie. Le agenzie sono in genere meno in sintonia con ciò che Spotify realmente
rappresenta e con il nostro tono. E se il servizio clienti consiste principalmente nel rispondere
alle loro preoccupazioni e ai loro elogi, le nostre reazioni contribuiscono alla costruzione del
brand Spotify. Ad esempio, dopo aver risolto il problema di qualcuno, il nostro team social di
assistenza alla clientela invia regolarmente come replica un messaggio sotto forma di playlist.
Jelena Woehr, una cliente soddisfatta, ha condiviso online la sua esperienza di una playlist in cui
il testo del messaggio riportava, insieme ai titoli delle canzoni, ‘Jelena/You Are Awesome/
Thanks a Lot/For These Words/It Helps Me/Impress/ The Management’. La lista è diventata
virale in un attimo. Noi li chiamiamo RAK, che sta per Random Acts of Kindness, vale a dire Atti
casuali di gentilezza. Questo è il nostro modo di fare qualcosa di speciale per i nostri clienti,
mette in risalto la musica e il nostro prodotto in un modo molto Spotify. I nostri consulenti
interni del supporto hanno ideato i RAK, motivo per cui credo siano particolarmente efficaci
relativamente al nostro tono di voce. Il mio obiettivo ora è quello di ideare una strategia che
integri nelle nostre campagne di marketing lo stesso identico tono che utilizza il nostro team di
supporto ai social. Molto probabilmente, le campagne continueranno a essere create da
un’agenzia, ma dovranno passare attraverso il filtro della nostra squadra social media interna.
Dobbiamo anche essere in grado di utilizzare meglio ciò di cui disponiamo al nostro interno, in
termini sia di con405tenuti sia di collaboratori. In Spotify creiamo tonnellate di contenuti e non
sappiamo metterne in risalto il valore. Perché un’agenzia dovrebbe creare i contenuti, quando i
team interni stanno già sviluppando materiali che sposano perfettamente l’essenza del marchio
Spotify? Tra l’altro, i dipendenti di Spotify amano la musica e vanno ai concerti tutte le
settimane. Stiamo perdendo un’opportunità con un enorme potenziale di coinvolgimento, se non
mostriamo chi siamo e tutto l’amore della nostra azienda per la musica.
È chiaro che i social media offrono tantissime possibilità, soprattutto a un marchio come Spotify
che è incentrato sulla musica, una parte integrante della vita di molte persone. I social media
offrono il potenziale per mostrare la passione di un’impresa per quello che fa e nessuno ne sta
ancora traendo profitto appieno. Là fuori, ci sono molti brand che stanno già facendo cose
interessanti, anche se in maniera casuale, ma nessuno è ancora riuscito a mettere tutto insieme
su una base coerente. Saremo noi a farlo per primi».
11.1 – INTRODUZIONE
Fermatevi un attimo e considerate il modo in cui voi stessi fate uso della tecnologia digitale e dei
social media. Con quale frequenza vi connettete? Che dispositivo usate? Molto probabilmente
noterete che i vostri comportamenti sono cambiati in modo piuttosto impressionante negli ultimi
cinque anni. Dispositivi come l’iPhone e l’iPad, ormai parte integrante della vita quotidiana di
molte persone, sono stati introdotti sul mercato rispettivamente nel 2007 e nel 2010. Lo stesso

186
vale per molti dei servizi e delle app che utilizziamo. Airbnb (fondata nel 2008), Spotify (fondata
nel 2006) e Uber (fondata nel 2009), che hanno usato la tecnologia digitale per trasformare il
luogo in cui soggiorniamo quando viaggiamo, il modo in cui ascoltiamo la musica e quello in cui
ci muoviamo per le città, tutti hanno iniziato le loro espansioni internazionali nella prima decade
di questo secolo.
Nel 2015, l’economia più «pronta alla rete» del mondo, – la «disponibilità alla rete» ovvero il
grado in cui le economie sfruttano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT)
per migliorare la competitività – è risultata essere Singapore, con la Finlandia al secondo posto e
la Svezia al terzo. Il Regno Unito si è classificato all’ottavo posto, i Paesi Bassi al quarto, gli
Emirati Arabi Uniti al 30°, la Cina al 51°, e l’India al 69°, su 142 Paesi valutati, secondo uno
studio condotto dalla business school INSEAD e dal World Economic Forum (Dutta et al., 2015).
Con l’aumento della penetrazione della banda larga (in gran parte tramite i dispositivi mobile), è
di vitale importanza l’adozione di tecniche di marketing digitale e social media marketing. App,
blog, microblog, siti di social networking, wiki e altri servizi di condivisione multimediale sono
diventati di uso comune. Lo sviluppo tecnologico sta rapidamente cambiando il modo di
comportarsi dei consumatori e gli esperti di marketing devono adattarsi di conseguenza.
Con il modificarsi del modo in cui le persone comunicano, la professione del marketing è ricorsa
al marketing digitale e al social media marketing per integrare, e talvolta sostituire, i canali e le
attività di marketing tradizionali. Tuttavia, la digitalizzazione non sta soltanto modificando le
aspettative dei consumatori riguardo alla loro interazione con le aziende online, ma sta anche
cambiando il marketing in tutte le forme.406
In questo capitolo, ci concentreremo sul marketing digitale e sul social media marketing come
strumenti per comunicare e interagire con i consumatori. Diamo innanzitutto una definizione del
marketing digitale e del social media marketing e seguiamo il percorso della loro evoluzione.
Passeremo quindi a discutere le aree chiave delle comunicazioni di marketing digitale, la
pubblicità su Internet, le ricerche di mercato, l’e-mail marketing, il content marketing e
il mobile marketing. Daremo successivamente una definizione di che cosa sia il
«crowdsourcing» e spiegheremo in che modo venga utilizzato nel marketing. Per concludere,
esamineremo alcune considerazioni di più ampia portata riguardo allo sviluppo della strategia del
marketing digitale.

11.2 – MARKETING DIGITALE


Il marketing digitale consiste nella gestione e nella realizzazione delle politiche del marketing
attraverso l’utilizzo di tecnologie e canali elettronici digitali (ad esempio web, e-mail, televisione
digitale, media wireless) e dati digitali sulle caratteristiche e sul comportamento dei
clienti/utenti. Si tratta di un sotto settore di marketing consolidato e sempre più importante,
generato dai progressi nelle tecnologie dei media digitali e negli ambienti dei media digitali. Il
marketing digitale va oltre il marketing su Internet, che è una forma di marketing digitale
caratterizzata dall’uso di tecnologie applicate a Internet (come il web, la posta elettronica, le
intranet ed extranet), in quanto si avvale di una serie di tecnologie e canali elettronici diversi,
come la telefonia mobile, la pubblicità con display digitale e l’Internet degli oggetti (Internet of
Things – IoT).
In relazione al marketing digitale viene utilizzata una varietà di termini diversi, quali, fra i tanti,
«e-marketing», «Internet marketing», «direct marketing», «interactive marketing», «mobile
marketing» e «social media marketing». Sebbene tali termini siano talvolta utilizzati
erroneamente in modo intercambiabile, ciascuno ha un proprio significato specifico
(cfr. Tabella 11.1). «Social marketing» viene talora usato come sinonimo di «social media
marketing». Non è tuttavia corretto, perché social marketing è un termine che si riferisce all’uso
del marketing per influenzare il comportamento di un determinato pubblico, per il quale i
benefici di tale comportamento vengono intesi dagli esperti del marketing come destinati a
maturare principalmente a favore dei destinatari o della società in generale (quindi non solo
social) e non dei venditori. Il social media marketing rappresenta invece uno strumento sempre

187
più utilizzato, ad esempio, dalle organizzazioni non-profit e dalle organizzazioni pubbliche per
ottenere vantaggi sociali.

Termine Definizione
Gestione ed esecuzione del marketing attraverso l’utilizzo di tecnologie e canali elettronici
Marketing
digitali (ad esempio Internet, e-mail, televisione digitale, media wireless) e dati digitali sulle
digitale
caratteristiche e sul comportamento dei clienti/utenti
«Una forma specifica di marketing che tenta di inviare le proprie comunicazioni direttamente
Direct
ai consumatori utilizzando mezzi di comunicazione quali posta, Internet, e-mail e messaggi
marketing
telefonici e testuali» (Harris, 2009: 70)
Processo di marketing realizzato o facilitato attraverso l’uso di dispositivi, applicazioni,
strumenti, tecnologie, piattaforme e/o sistemi elettronici. Non si limita a un tipo o categoria
E-marketing specifica di tecnologia elettronica (ad esempio Internet), ma comprende sia le tecnologie
analogiche meno recenti che le tecnologie elettroniche digitali che vengono attualmente
sviluppate
Il marketing che sposta l’obiettivo da un risultato finalizzato alla transazione a uno finalizzato
Marketing alla relazione e può essere descritto come una situazione o un meccanismo attraverso il
interattivo quale gli esperti di marketing e un cliente interagiscono, in genere in tempo reale. Non tutto il
marketing interattivo è elettronico (ad esempio le vendite frontali)
Internet Processo di marketing realizzato o facilitato attraverso l’uso delle tecnologie online (ad
marketing esempio web, e-mail, intranet, extranet)
«Una serie di pratiche che consentono alle aziende di comunicare e interagire con il proprio
Mobile
pubblico in modo interattivo e pertinente attraverso qualsiasi dispositivo o rete mobile» (MMA,
marketing
2009)
«Marketing pensato per influenzare il comportamento di un pubblico target e nel quale i
Social benefici di tale comportamento vengono intesi dai professionisti del marketing come destinati
marketing a maturare principalmente solo a favore del pubblico, o della società in generale (quindi sono
sociali), e non dei professionisti del marketing stessi» (AMA, 2015)
Una forma di marketing digitale che descrive l’uso del social web e dei social media (ad
Social media
esempio social network, community online, blog, wiki) o di qualsiasi tecnologia di
marketing
collaborazione online per le attività di marketing

11.2.1 – EVOLUZIONE DI INTERNET


A partire dall’inizio degli anni Novanta, si è assistito a un’evoluzione di Internet e, insieme, del
marketing digitale. L’ascesa dei social media ha portato il marketing a evolversi da un modello
gerarchico di comunicazione unilaterale di massa verso tecnologie più partecipative (come i
canali sociali e le comunità online). Queste tecnologie hanno facilitato la generazione dei
contenuti da 407parte degli utenti, co-creati e condivisi dagli utenti, riservando una particolare
attenzione all’utente/partecipante attivo (non passivo).
Facilitando la partecipazione degli utenti, si è contribuito a uno sviluppo digitale che ha
allontanato questi ultimi dal modello unidirezionale di informazione per spingerli verso un
approccio multicanale e multiutente, nel quale agli utenti web è stata data la facoltà di estrarre le
informazioni e/o di interagire con l’azienda e i contenuti, nonché tra loro (vale a dire
consumatore-consumatore o tra pari).408
Questo sviluppo significa che i consumatori fanno sempre più affidamento sugli strumenti
digitali per farsi guidare nei loro comportamenti. Significa anche che i consumatori sono sempre
più abituati a stabilire quali siano le informazioni che vogliono, quando le vogliono e come le
vogliono. Il web consente al consumatore di ricercare (i siti devono riuscire ad attirare
l’attenzione dei clienti con una strategia di tipo «pull») anziché di farsi indirizzare (strategia di
tipo push), favorendo una partecipazione sempre maggiore dei clienti, la co-creazione di offerte

188
(non solo di produzione di massa), il dialogo e il controllo condiviso sulla forma e il contenuto di
un brand. Questo, a sua volta, sta cambiando il modo in cui i professionisti del marketing
comunicano, condividono informazioni, interagiscono e creano (o producono) un’offerta. Le
implicazioni per il marketing digitale saranno discusse più avanti nel corso del capitolo.
11.2.2 – EVOLUZIONE DEI SOCIAL MEDIA
I social media hanno avuto un impatto significativo sul marketing nel corso degli ultimi 15 anni.
Per «social media» si intende un’ampia gamma di forum e passaparola online, che includono
blog, bacheche di discussione sponsorizzate dalle aziende e chat room, nonché servizi di
messaggistica tra consumatori, siti web e forum di valutazione di prodotti o servizi di consumo,
forum e bacheche di discussione su Internet, moblog (siti con contenuti audio, immagini, film o
fotografie digitali) e siti web di social network (Mangold e Faulds, 2009). I social media mettono
in grado individui e aziende di connettersi tra loro tramite dispositivi digitali come laptop, tablet
e smartphone. Dal momento che le interazioni sociali sono sempre state centrali per gli esseri
umani, e per i consumatori e il loro comportamento, i social media mettono in grado tali
interazioni di espandersi nel tempo e nello spazio. E le mettono inoltre nelle condizioni di
rendersi visibili a più persone, esperti di marketing inclusi.
Nel 2019 il numero di persone connesse a Internet è pari a 4,54 miliardi, con un incremento del
9% rispetto all’anno precedente, e 3,8 miliardi di persone utilizzano regolarmente i social
network. Il 43% degli utilizzatori di Internet fanno ricerche attraverso i comandi vocali, mentre
sono quattro su cinque quelli che scelgono il gaming come forma di intrattenimento almeno una
volta al mese. Mediamente sono online per oltre 100 giorni all’anno (6 ore e 43 minuti al giorno)
e oltre un terzo di questo tempo (pari a 2 ore e 24 minuti al giorno) è trascorso sui social. Il 74%
degli utenti Internet ha acquistato prodotti online nell’ultimo mese e per la prima volta i
device 409mobili hanno superato i desktop e i laptop come strumenti per la navigazione (fonte:
We Are Sociale - Hootsuite report 2020). Facebook è di gran lunga il social network più grande,
con oltre 2.440 milioni di utenti in tutto il mondo (per una panoramica delle dieci principali reti
di social media nel 2019, cfr. Tabella 11.2). Rispetto al 2018 la classifica è quasi invariata anche
se ci sono alcune new entry molto interessanti. La più grande novità è Tik Tok, che è entrato in
classifica direttamente in settima posizione con 800 milioni di utenti attivi, un numero davvero
rilevante. Il canale YouTube è in grande ascesa con 400 milioni di utenti attivi in più, seguito da
Instagram (più 200 milioni). Un buon incremento l’hanno avuto anche LinkedIn (più 40 milioni)
e Pinterest (più 50 milioni), anche se per via della loro «verticalità tematica» restano parecchio
sotto ai social generalisti. In calo Twitter, che sembra aver perso gran parte del proprio fascino.

I social media hanno avuto un considerevole impatto sul marketing. In effetti, molti sostengono
che abbiano capovolto la pratica del marketing. Le precedenti convinzioni non risultano più
fondate e gli esperti di marketing si stanno adoperando per adattarsi a questi cambiamenti, due
dei quali appaiono particolarmente degni di nota.
Il primo grande cambiamento ha a che fare con il potere. I social media mettono in grado gli
utenti di generare, condividere e commentare i contenuti a propria discrezione (van den Bulte e
Wuyts, 2007). I contenuti nei social media vengono co-creati dai consumatori piuttosto che
(come avveniva nei media tradizionali offline) creati principalmente da società di media ed
esperti di marketing.
La proliferazione dei contenuti generati dagli utenti (UGC), ovvero dei contenuti resi
disponibili tramite Internet, che riflettono uno sforzo creativo e sono creati al di fuori della
routine e delle pratiche professionali (Wunsch-Vincent e Vickery, 2007), quali siti di recensioni
(ad esempio Epinions.com, TripAdvisor.com e le recensioni su Amazon.com) e feedback di prima
mano, ampiamente 410condivisi, sulle esperienze dei consumatori (ad esempio con una foto e un
commento su Instagram), significa che i consumatori sono diventati sempre più influenti. I social
media consentono ai consumatori di condividere tra loro le esperienze a propria discrezione,
rendendo ampiamente disponibili le valutazioni riguardo alla qualità dei servizi e dei prodotti, e
spostando così il potere dai professionisti del marketing ai consumatori.

189
Il secondo spostamento ha a che fare con il controllo. Se in passato sono stati i professionisti del
marketing a essere tradizionalmente responsabili dei messaggi comunicati, oggi non è più così.
In un ambiente mediato dal computer, i consumatori non solo sono in grado di creare e
modificare i contenuti in base alle loro esigenze, e poi condividerli con altri consumatori, aziende
o terze parti, ma hanno anche voce in capitolo nell’esprimere la loro approvazione (o meno)
rispondendo alle offerte di prodotti, così come a un determinato tipo di marketing. Ad esempio,
la scelta di modelle/i (estremamente magre o rese «oggetti») utilizzate dai rivenditori di moda al
dettaglio nelle loro pubblicità è spesso oggetto di dibattito e di interrogativi sui social media
(esempi recenti includono H&M e American Apparel), costringendo in questo modo i rivenditori
stessi a ripensare il modo in cui vengono selezionate le/i modelle/i per le loro comunicazioni di
marketing. Inoltre, sui social media si riscontra una maggiore trasparenza e i professionisti del
marketing possono esercitare un minor controllo su come la loro comunicazione venga ricevuta e
ritrasmessa a sua volta.

11.2.3 – IN CHE MODO LA DIGITALIZZAZIONE STA TRAFORMANDO LA PRATICA


DEL MARKETING
La tecnologia digitale ha le potenzialità per trasformare il marketing. Secondo uno studio di
McKinsey & Co., le aziende che stanno integrando la tecnologia digitale nelle loro attività
registrano prestazioni significativamente migliori dal punto di vista finanziario rispetto alle altre
(Alldredge et al., 2015). Secondo lo stesso studio, le caratteristiche chiave di tali società
digitalmente avanzate sarebbero le seguenti.
• Strategia: circa il 90% dei leader online ha iniziative digitali pienamente integrate
nel processo di pianificazione strategica, non come opzione secondaria («bolt-
on»).
• Cultura: mentre l’84% delle aziende indica che la loro cultura teme l’assunzione
del rischio, aziende come Amazon e Google sposano una mentalità diversa:
«Pensiamo in grande e non abbiamo paura di fallire» (citato in Alldredge et al.,
2015). Anziché aspettare di raggiungere la perfezione, i leader digitali adottano
una mentalità di «fail – fast forward» [cadi, rialzati e vai avanti].
• Azienda: le aziende leader utilizzano strutture organizzative non tradizionali,
ricorrendo 411all’acquisizione di talenti digitali e di un management atto a mettere
in pratica la loro visione digitale. Circa il 65% dei leader digitali dispone di un
budget digitale aggregato e di una dotazione di bilancio sufficiente a sostenere le
proprie iniziative digitali.
• Capacità: i leader digitali prendono decisioni basate sui dati e generano
competenze che collegano le persone, i processi e la tecnologia attraverso tutti i
canali che coinvolgono i consumatori. Circa l’80% dei leader digitali effettua
investimenti efficaci nella propria infrastruttura digitale per sostenere la crescita.
Ciò significa andare non solo verso la costruzione di modelli, ma verso processi di
implementazione che permettano la rapida attivazione delle risorse interne ed
esterne.

11.3 – COMUNICAZIONI DI MARKETING DIGITALE


Nell’ambito delle comunicazioni di marketing digitale, gli investimenti sono in rapida crescita.
L’attenzione si concentra principalmente sulle comunicazioni che utilizzano tecnologie
esclusivamente Internet (come il web, la posta elettronica, l’intranet, l’extranet), a cui si accede
utilizzando desktop, laptop, tablet e/o smartphone. Anche diversi tipi di display digitali e
dispositivi di localizzazione sono sempre più utilizzati per commercializzare prodotti e marchi.
Se i media tradizionali vengono facilmente suddivisi in formati basati sulla logica che li sottende,
il caso delle comunicazioni di marketing digitale è diverso. I confini tra i media a pagamento
(«pubblicità – adverstising»), quelli dovuti a «diffusione» e «passaparola» e i media di proprietà
(ad esempio siti web, profili sui social media, e-mail) sono sfocati e difficili da stabilire.

190
Nelle sezioni seguenti, discuteremo in modo più dettagliato alcune delle attività di
comunicazione di marketing digitale che vengono più frequentemente utilizzate.
11.3.1 – PUBBLICITA’ SU INTERNET
Per «pubblicità su Internet» si intende una forma di comunicazione di marketing che utilizza
Internet per scopi pubblicitari indipendentemente dal dispositivo impiegato per accedervi.
In genere, si tratta di professionisti del marketing che pagano i proprietari di media per la
pubblicazione dei messaggi pubblicitari sui siti web di loro proprietà. Il pagamento può
essere 414calcolato sul numero di impressioni, ovvero su ogni singolo inserimento di annuncio
(ad esempio costo per mille o CPM), sulla performance (ad esempio costo per clic, vendita, lead,
acquisizione o applicazione), o sulla quota di fatturato diretta (ad esempio commissione
percentuale pagata sulla vendita). L’obiettivo della pubblicità su Internet consiste nell’aumentare
il traffico sul sito web e/o nell’incoraggiare la sperimentazione, l’acquisto o anche l’attività di
acquisto ripetuto dei prodotti (Cheng et al., 2009), e il formato pubblicitario e il pagamento
dovrebbero essere adattati di conseguenza.
La Tabella 11.3 fornisce un elenco dei diversi formati pubblicitari utilizzabili su Internet e delle
loro definizioni. La pubblicità su Internet nel Regno Unito ha totalizzato 7,194 miliardi di sterline
nel 2014 e, nei primi sei mesi del 2015, è cresciuta del 13,4% rispetto allo stesso periodo del 2014
(IAB e PwC, 2015a), con gran parte della crescita guidata dal mobile, dai video digitali e dai social
media.415

Quota degli
investimenti in
Formato
Descrizione annunci
annuncio
pubblicitari su
Internet (%)*
L’inserzionista paga un’azienda online per lo spazio su una o
Pubblicità su
più pagine online della società, per visualizzare un logo o un 16
banner
banner statico o collegato
L’inserzionista paga per contenuti e/o esperienze
personalizzati, che possono includere o meno elementi
Sponsorizzazione 2
pubblicitari come spazi a pagamento, loghi, «advertorial» o
video pre-roll (anticipazioni)
Gli inserzionisti pagano le società online per pubblicare e/o
collegare i nomi di dominio del sito dell’impresa a una parola o
Ricerca frase di ricerca specifica (inclusi esiti di ricerca a pagamento). 38
Le categorie di ricerca includono annunci – listings –, ricerca
contestuale, inserimenti a pagamento e ottimizzazione del sito
Tariffe pagate dagli inserzionisti alle società online che fanno
riferimento a potenziali clienti qualificati (ad esempio
concessionari auto che pagano una commissione in cambio del
ricevimento di una richiesta di acquisto qualificata online) o per
fornire informazioni ai consumatori (demografiche, contatti,
comportamentali), in base alle quali il consumatore sceglie di
Lead generation 4
essere contattato da un consulente di marketing (per e-mail,
posta, telefono, fax). Questi processi prevedono una tariffa
stabilita in base alla performance (ad esempio costo per
azione, lead o richiesta) e possono includere applicazioni
utente (ad esempio per una carta di credito), sondaggi,
concorsi (ad esempio lotterie) o registrazioni

191
Tra le principali considerazioni che emergono quando si utilizza la pubblicità su Internet
troviamo le seguenti.
• Costi: gli annunci su Internet sono ancora relativamente economici rispetto alla
pubblicità tradizionale.
• Tempestività: le inserzioni su Internet possono essere aggiornate in qualsiasi
momento, con costi minimi.
• Formato: gli annunci su Internet sono più ricchi, perché utilizzano testo, audio,
grafica e animazione. È inoltre possibile inserire giochi, intrattenimento e
promozioni.
• Personalizzazione: gli annunci su Internet possono essere interattivi e mirati a
specifici gruppi di interesse e/o individui.
• Localizzione: utilizzando la tecnologia wireless e la tecnologia di geolocalizzazione
(un sistema di posizionamento globale, o GPS, secondo l’acronimo inglese), la
pubblicità su Internet può essere indirizzata ai consumatori ovunque si trovino
(ad esempio vicino a un ristorante o a un teatro).
• Invadenza: alcuni formati pubblicitari su Internet (come i pop-up) sono
considerati invasivi e sono maggiormente oggetto di reclamo da parte dei
consumatori rispetto ad altri formati.

11.3.2 – SEARCH MARKETING O MOTORI DI RICERCA


La crescita dei contenuti digitali disponibili attraverso il web ha dato origine a una serie di ausili
decisionali interattivi che vengono utilizzati per aiutare gli utenti web a individuare dati,
informazioni e/o oggetti digitali relativi a un’azienda (ad esempio immagini, video). I due tipi
principali di aiuto decisionale consistono in una directory di ricerca (web directory) e in
un motore di ricerca.
Una directory di ricerca è un database di informazioni modificato dall’uomo. Crea un elenco dei
siti web per categoria e sottocategoria, con categorizzazione generalmente basata sull’intero sito
web piuttosto che su una pagina o su un insieme di parole chiave. Le directory di ricerca spesso
consentono ai proprietari del sito di inviare un sito direttamente per l’inserimento e gli editori li
esaminano in base ai requisiti per l’idoneità. Esempi di directory di ricerca sono le pagine Yahoo!
e il progetto The Open Directory Project (http://www.dmoz.org). Data la sua ampia portata, si
potrebbe ritenere che anche Amazon offra una specifica directory di ricerca per lo shopping.
Un motore di ricerca opera, viceversa, in modo algoritmico o utilizza una combinazione di input
algoritmici e umani, per raccogliere, indicizzare, archiviare e recuperare informazioni sul web (ad
esempio pagine web, immagini, informazioni e altri tipi di file), rendendo queste informazioni
disponibili agli utenti in modo gestibile e di senso compiuto in risposta a una query di ricerca. Le
informazioni vengono recuperate da un web crawler (noto anche come «ragno»), ovvero un
browser web automatizzato che segue ogni link sul sito, valutando in che modo dovrebbe essere
indicizzato, utilizzando parole estratte da titoli di pagina e file, intestazioni o campi speciali
chiamati «meta-tag». I dati indicizzati vengono quindi archiviati in un database di indicizzazione
per l’utilizzo in query successive. Quando un utente inserisce una query in un motore di ricerca
(in genere utilizzando parole chiave), il motore analizza il suo indice e fornisce una pagina dei
risultati del motore di ricerca (ovvero search engine result page, da cui l’acronimo SERP), vale a
dire un elenco di pagine web ordinate in base alla migliore corrispondenza con i criteri di input.

I motori di ricerca dominanti sul mercato sono pochi, con Google che guida la quota di mercato
globale al 73,05%, seguito da Bing al 11,58% e Baidu al 10,43%. Quest’ultimo è nato nel 2000 e
viene considerato il motore di ricerca più popoloare in Cina. Seguono Yahoo! con il 2,50%,
conosciuto principalmente per il servizio di posta elettronica, e Yandex con 1,19%, utilizzato
prevalentemente in Russia (Net Marketshare, febbraio 2020).
I motori di ricerca si sono notevolmente evoluti nel corso degli anni. Considerando che, nei primi
anni di Internet, le ricerche si sono concentrate sulle parole chiave, oggi l’analisi semantica
assicura che esse tengano conto anche del precedente comportamento di ricerca e della

192
conoscenza del contesto nel quale essa è stata effettuata (ad esempio quando, dove, come e da
chi). Un esempio di adattamento contestuale è costituito dalle ricerche locali, tramite le quali i
risultati della ricerca vengono adattati al luogo in cui la ricerca stessa viene effettuata.
Dato il ruolo centrale del motore di ricerca sul comportamento online dei consumatori, non
sorprende che esso occupi un posto centrale nella maggior parte delle strategie di marketing
digitale. Secondo l’Advertising Expenditure Forecasts di Zenith, pubblicato nel 2019, emerge che
nel 2021 gli investimenti su Internet arriveranno a superare per la prima volta la soglia
psicologica del 50% della spesa pubblicitaria globale (oltre 320 miliardi di dollari). Questa
crescita sarà favorita dallo sviluppo dei canali video online e dei social media, che, grazie alla
velocità di connessione, ai miglioramenti tecnologici continui e al targeting pubblicitario,
diventeranno sempre più interessanti per l’investitore pubblicitario. La ricerca, spesso indicata
come «search engine marketing» (SEM), nel 2018 ha rappresentato il 37% della spesa in Internet
e crescerà ancora di un 7% nel 2021. Un’innovazione importante sicuramente sarà quella legata
alla ricerca vocale (Alexa, Google, Siri), che al momento non è ancora stata quantificata.
L’obiettivo è promuovere i siti web aumentando la loro visibilità nelle SERP. I metodi di
marketing dei motori di ricerca includono quanto segue.
• Elenchi a pagamento: i pagamenti vengono effettuati sulla base dei clic sui
collegamenti di testo visualizzati nella parte superiore o laterale dei risultati di
ricerca per parole chiave specifiche. Più il professionista del marketing paga, più
alta è la posizione che il collegamento ottiene. I clienti pagano solo quando un
utente fa clic sul collegamento testuale. Con il termine «elenchi a pagamento
o pay per click (PPC)», si fa in genere riferimento al fatto che gli inserzionisti
fanno offerte per parole chiave o frasi pertinenti al loro mercato di destinazione,
con elenchi sponsorizzati o a pagamento di motori di ricerca che mirano a
indirizzare il traffico verso il sito web dell’inserzionista. Il motore di ricerca
classifica gli annunci sulla base di un’asta competitiva e altri criteri correlati (per
esempio popolarità, qualità). Google AdWords, Yahoo! Search Marketing e Bing
Ads sono i tre maggiori operatori della rete pubblicitaria e tutti e tre operano
secondo un modello basato sulle offerte.
• Ricerca contestuale: si tratta di una forma di pubblicità mirata, con annunci
pubblicitari (ad esempio banner, pop up) che appaiono sui siti web, e gli annunci
stessi che vengono selezionati e gestiti da sistemi automatizzati basati sui
contenuti visualizzati dall’utente. Un sistema di pubblicità
contestuale scansiona il testo di un sito web per parole chiave e rinvia
inserzio418ni alla pagina web in base a ciò che l’utente sta visualizzando. Google
AdSense è stato il primo importante programma di pubblicità contestuale. I
pagamenti vengono in genere effettuati solo per i clic (PPC) sui collegamenti di
testo che appaiono in un articolo in base al contenuto del contesto, anziché in base
a una parola chiave inviata dall’utente.
• Inserimento a pagamento: è quello che si realizza quando una società di motori di
ricerca addebita le commissioni relative all’inserimento di siti web nel suo indice
di ricerca. Alcune organizzazioni utilizzano l’inserimento a pagamento insieme
agli organic listings o elenchi naturali (per esempio Yahoo!), mentre in altri non è
possibile che l’inserimento a pagamento sia elencato insieme agli elenchi naturali
(per esempio Google e Ask.com). I pagamenti sono effettuati per garantire che
l’URL del professionista di marketing sia indicizzato da un motore di ricerca (cioè,
non viene pagato solo per i clic, come negli elenchi a pagamento).
• Search engine optimization o Ottimizzazione dei motori di ricerca (SEO) si
riferisce a un processo attraverso il quale la struttura e il contenuto di un sito web
vengono migliorati per aumentare al massimo la sua quotazione in SERP naturali,
utilizzando parole chiave o frasi di ricerca pertinenti. I pagamenti possono anche
essere effettuati per ottimizzare un sito al fine di migliorarne il posizionamento
nelle SERP.

193
Sempre più spesso, si riconosce che SEO e social media sono interconnessi. Dunphy (2012)
sostiene:

Ogni condivisione, like, ri-tweet, +1, abbonamento e pin significano un’ulteriore approvazione per
il tuo sito web, aumentando contemporaneamente la tua credibilità nelle ricerche degli utenti.
Ottenendo un enorme numero di condivisioni sui social, non stai solo aumentando i tuoi segnali
di SEO e la visibilità del tuo sito, ma stai anche creando contenuti di valore per tutta la base dei
tuoi clienti.

11.3.3 – EMAIL MARKETING O MARKETING PER POSTA ELETTRONICA


L’e-mail è uno degli strumenti di marketing digitale più utilizzati. L’e-mail marketing include
mailing list «opt-in» e «opt-out», newsletter via e-mail e sottoscrizioni nelle liste di discussione.
È importante sottolineare che, con l’e-mail marketing, il comunicatore invia il messaggio solo a
coloro che hanno acconsentito a ricevere i messaggi. L’e-mail marketing basato sulle
autorizzazioni rappresenta una forma altamente conveniente di marketing digitale (Waring e
Martinez, 2002; Cheng et al., 2009). Come strumento di marketing, è facile da usare e i costi di
invio sono limitati. Tuttavia, il costo può aumentare se si personalizzano i messaggi e se deve
essere sviluppato o acquistato uno specifico database.
In ogni caso, la posta elettronica può raggiungere milioni di potenziali interessati in qualche
minuto. Le e-mail non richieste, che ingorgano i server di posta elettronica e usano la larghezza
di banda Internet tanto necessaria, vengono definite spam.
Nel progettare una campagna e-mail di successo, gli esperti di marketing devono riflettere
attentamente sul pubblico di destinazione e sulla sua disponibilità a ricevere e-mail. Ciò significa
che dovrebbero fornire un meccanismo per consentire ai membri della lista di scegliere
(cosiddetto opt-in o opt-out) il tipo di offerte e-mail che sono interessati a ricevere (ad esempio
newsletter, offerte di sconto e aggiornamenti specifici). Per quanto possibile, le e-mail
dovrebbero essere personalizzate. L’utilizzo di un sistema di e-mail marketing che permette di
tracciare e riportare tutti gli elementi della campagna (inclusi aperture, clic, pass-alongs,
cancellazioni e bounce back) consente agli esperti di marketing di testare e monitorare da vicino
le diverse strategie di e-mail marketing in termini di quando inviarle e con quale frequenza,
nonché di cosa offrire, scrivere ed 419evidenziare. Le conoscenze acquisite attraverso questi
esercizi di estrazione di dati possono essere inestimabili. Ad esempio, uno studio su larga scala su
oltre un miliardo di e-mail lungo un periodo di due anni mostra che le persone hanno il 38% in
più di probabilità di fare clic – e il 47% in più di probabilità di accettare (covert, verif) – quando
le e-mail che ricevono presentano una percentuale di sconto piuttosto che un’offerta di denaro
(O’Brien, 2015). Secondo lo stesso studio, brevi righe sull’oggetto (da sei a dieci parole), messaggi
visivi e personalizzati e chiari inviti ad agire sono la chiave di un’e-mail di successo.

11.3.4 – SOCIAL MEDIA MARKETING


«Social media marketing» indica l’uso del social web e dei social media (ad esempio social
network, community online, blog, wiki) o di qualsiasi tecnologia collaborativa online per attività
di marketing (come vendite, pubbliche relazioni (PR), ricerca, distribuzione, servizio clienti). Il
social media marketing include sia la creazione e la cura di profili aziendali e/o di brand, sia i
contenuti sui social media e la pubblicità. Per «social media advertising» (SMA) si intende la
pubblicità distribuita sulle piattaforme social, compresi i siti web e le app di social networking e
social gaming, su tutti i tipi di dispositivi.
I professionisti del marketing investono sempre più nei social network (ad esempio Facebook,
LinkedIn e QQ in Cina), nei siti di condivisione di video (ad esempio YouTube), nei siti di
condivisione di immagini (come Flickr, Pinterest), nelle piattaforme di blog (come WordPress) e
nei microblog (ad esempio Twitter) per i loro obiettivi di marketing.

194
Il social web non fa sì che le conversazioni avvengano, le supporta soltanto. Mangold e Faulds
(2009) offrono i seguenti esempi di attività di marketing volte a stimolare le conversazioni:
• piattaforme di networking (ad esempio, le beauty insider di Sephora, Nike+);
• blog e strumenti di social media per coinvolgere i clienti, perché ai clienti piace
fornire feedback su una vasta gamma di questioni (vedi «content marketing»);
• sia Internet sia gli strumenti promozionali tradizionali per coinvolgere i clienti;
• informazioni relative, ad esempio, all’uso corretto o alternativo del prodotto;
• esclusività, perché alle persone piace sentirsi speciali;
• offerte progettate dal punto di vista delle immagini che i consumatori desiderano
avere di sé e con punti di discussione per facilitare le recensioni positive, ad
esempio JetBlue, la compagnia aerea low-cost statunitense, che mette a
disposizione dei propri clienti televisori e sedili in pelle;
• sostegno alle cause a cui le persone danno importanza;
• storie/aneddoti facili da ricordare.
Un esempio di queste ultime è offerto dall’azienda di alimentari e bevande del Regno Unito
Innocent, che riassume in breve la storia della sua fondazione sul suo sito web. Innocent racconta
che tre amici hanno messo su una bancarella per vendere frullati a un festival musicale di
Londra. Un cartello sopra la bancarella diceva «Dovremmo lasciare il nostro lavoro per metterci
a fare questi frullati?» e alla gente veniva chiesto di buttare i loro vuoti in uno dei due bidoni
contrassegnati da «Sì» o «No». Inutile dire che «Sì» ha vinto.
Valutare i social media
Anche se gli esperti di marketing concordano sul fatto che il social media marketing è la chiave
per il successo nel mercato contemporaneo, molti di loro si stanno ancora scontrando con la
difficoltà di riuscire a valutare correttamente queste attività. Nel 2015, solo il 15% delle CMO era
stato in grado di dimostrare quantitativamente l’impatto dei loro investimenti, mentre il 44,5 %
era riuscito a ricavarne una valutazione qualitativa e il 41,5 % non era stato in grado di
dimostrarlo (Moorman, 2015). Questo dimostra chiaramente che, se l’impegno sulle piattaforme
social da un lato può offrire opportunità, dall’altro può anche rappresentare una sfida
impegnativa.421
La misurazione dell’efficacia dei social media richiede una procedura articolata in sette fasi, come
illustrato di seguito (CIM, 2013).
1. Iniziate esaminando le metriche di misurazione (la Tabella 11.4 fornisce un
elenco dettagliato delle misure di social media utilizzate più frequentemente e
illustra il modo in cui è mutato il loro utilizzo nel tempo).
2. Rivedete gli obiettivi della vostra campagna sui social media. Ad esempio, la
vostra motivazione è stata (a) costruire traffico sul vostro sito web, (b) migliorare
le percezioni del marchio, (c) approfondire le relazioni con i clienti, (d) imparare
dalla comunità, (e) favorire l’intenzione di acquisto, (f) promuovere il dialogo, (g)
promuovere le recensioni positive, (h) facilitare il supporto o (i) stimolare
l’innovazione? (Vedi Murdough, 2009; Owyang e Lovett, 2010).
3. Mappate la vostra campagna, ovvero mostrate in che modo il brand viene
conosciuto sul web mediante (a) contenuti generati dal marchio, (b) contenuti
generati dai consumatori, (c) contenuti fortificati dai consumatori (ad esempio
mostrando posizioni online sulle quali i consumatori possono recarsi per
distribuire contenuti relativi al marchio) e (d) l’esposizione dei contenuti prodotti
dai consumatori (ad esempio recensioni positive di prodotti sui siti web).422
4. Scegliete i criteri e gli strumenti di misurazione (a) determinando i criteri di
valutazione dell’efficacia e (b) selezionando gli strumenti di misurazione software
più appropriati.
5. Stabilite un benchmark (ad esempio misurando dove sia posizionata la vostra
azienda rispetto ad alcune delle metriche della Tabella 11.4).
6. Avviate la campagna, quindi analizzate gli esiti, confrontateli con i benchmark
della vostra proposta per valutare il divario tra i due e proporre modifiche.

195
7. Continuate a misurare su base giornaliera, settimanale, mensile e trimestrale.

% del totale degli % del totale degli


Ordine Misura
intervistati, 2010 intervistati, 2014
1 Hits/visite/pagine viste 48 60
2 Numero di follower e amici 24 45
3 Visite ripetute 35 39
Tassi di conversione (da visitatore
4 25 31
ad acquirente)
5 Indicatori Buzz (quote, richiami) 16 24
6 Livelli di vendita 18 17
7 Valutazioni online di prodotti/servizi 8 14
8 Costi di acquisizione clientela 12 14
9 Punteggio netto promotore 8 13
10 Ricavi per cliente 17 13
11 Valutazioni analisi del testo 7 12
12 Costi fidelizzazione clientela 8 6
13 Carrelli della spesa abbandonati 4 6
14 Utili per cliente 9 6

Misure dei social media utilizzate dagli esperti di marketing


Non esistono standardizzazioni in questo processo formale, molte nuove offerte arrivano sul
mercato attraverso percorsi diversi, a diverse velocità e con diversi livelli di preparazione.
11.3.5 – CONTENT MARKETING
Il content marketing rappresenta un approccio alla comunicazione di marketing nel quale i brand
creano e disseminano contenuti per i consumatori con l’intenzione che il contenuto generi
interesse, coinvolga i consumatori e ne influenzi il comportamento (Stephen et al., 2015).
Sebbene i contenuti relativi ai brand siano in circolazione da oltre cento anni, questa attività di
marketing ha subito un’accelerazione all’interno dello spazio digitale.
I professionisti del marketing sono quindi sempre più attenti a creare contenuti online che
possano andare a beneficio del loro pubblico di destinazione, adattando le tecniche tradizionali
del giornalismo e dell’editoria. Queste attività vengono spesso definite «content marketing»
(Tabella 11.5).

Ordine Tattica Utilizzo (% delle imprese B2B)


1 Social media content 92
2 E-newsletter o newsletter via e-mail 83
3 Articoli sul proprio sito web 81
4 Blog 80
5 In person event 77
6 Casi di studio 77
7 Video 76

196
8 Illustrazioni/fotografie 69
9 Libri bianchi (report e compendi) 68
10 Presentazioni online 65

Le migliori tattiche di content marketing B2B, 2015


Lo scopo del content marketing è quello di creare contenuti che abbiano valore per il destinatario
(che siano ad esempio utili, educativi o divertenti in sé), spingendo così il consumatore verso il
brand. Il content marketing è comunemente destinato sia al consumatore al dettaglio sia al
cliente 423business-to-business (B2B) . Ad esempio, la Red Bull ha trasformato il processo di
definizione dei contenuti in una vera e propria media house, specializzata nella copertura di alta
qualità degli sport estremi. Esistono quindi innumerevoli opportunità per fornire valore in un
modo che può essere reciprocamente vantaggioso sia per il marchio sia per il destinatario.

11.3.6 – MOBILE MARKETING


Il mobile marketing rappresenta l’insieme delle pratiche che consentono alle aziende di
comunicare e interagire attivamente con il proprio pubblico attraverso qualsiasi dispositivo o rete
mobile (MMA, 2009). Grazie agli ulteriori vantaggi messi a disposizione dalla tecnologia store-
and-send, che offre la possibilità di archiviazione dei messaggi, il mobile marketing è veloce,
economico e raggiunge i mercati ovunque si trovino, nonostante le limitazioni nel contenuto dei
messaggi.
Gli investimenti in telefonia mobile vengono effettuati sia attraverso mezzi di comunicazione a
pagamento (mobile advertising o pubblicità mobile) sia attraverso lo sviluppo di mezzi di
comunicazione di proprietà, come le app. Nel 2019 si prevede che la spesa globale per gli annunci
Internet per dispositivi mobili raggiungerà i 196 miliardi di dollari, pari a circa il 70,1% del totale
della spesa pubblicitaria digitale e a circa il 26,8% del totale della spesa mediatica (eMarketer,
2015).
Gli attuali cambiamenti nei comportamenti mostrano chiaramente come il cellulare stia
assumendo sempre più spesso il controllo delle ricerche online dei consumatori, di conseguenza
gli esperti di marketing devono occuparsi di essere focalizzati e raggiungibili nelle diverse fasi del
processo decisionale del consumatore.
Sempre più spesso, l’uso di app per smartphone è il meccanismo predefinito per le ricerche
online. Queste app utilizzano una combinazione di scansione di codici a barre e servizi di
localizzazione per fornire informazioni pertinenti, ad esempio mostrando solo i negozi vicini a un
consumatore ed effettuando un confronto dei prezzi. Queste app sono quindi adatte a fornire
informazioni specifiche sul contesto e molto rilevanti per i consumatori.
Si è a lungo ritenuto che il «location-based marketing» o marketing basato sulla localizzazione
avrebbe rappresentato il prossimo fenomeno importante nella pubblicità mobile. Tuttavia,
l’adattamento è risultato lento e il location-based marketing assorbe per il momento soltanto una
piccola parte degli investimenti totali nel mobile marketing. In parte, ciò potrebbe essere
spiegato da problemi tecnologici che portano le valutazioni basate sulla localizzazione a essere
poco accurate. Ci 424si aspetta, quindi, che il marketing basato sulla localizzazione prenda il volo
nei prossimi anni grazie al progressivo miglioramento della precisione delle
tecnologie mobile (Johnson 2014, 2015).

11.3.7 – CROWSOURCING
Il «crowdsourcing» viene comunemente definito come segue:

[…] coinvolgere un vasto gruppo di persone per proporre un’idea o risolvere un problema. Alcune
aziende utilizzano il processo per ottenere la conoscenza e le opinioni di un ampio corpus di utenti
Internet al fine di creare prodotti e piani di marketing migliori o risolvere altri problemi.

197
(Vallone, 2011: 5)
Il crowdsourcing viene utilizzato nel marketing perlopiù in quattro categorie principali: attività
di routine, contenuti, attività creative e finanziamenti (vedi Tabella 11.6).

CS di
CS delle attività di
Considerazione CS di contenuto attività CS di fondi
routine
creative
Fornitura – Messa a
Fornitura di
disposizione Fornitura di
Ruolo del gruppo contenuti (in Fornitura di risorse
[scegliere] di tempo; soluzioni, idee,
(Crowd) particolare monetarie
capacità di elaborare conoscenze
informazioni)
le informazioni
Chi vince
Divisione del lavoro Divisione del lavoro
Obiettivo prende tutto Raccolta di fondi
(integrativa) (integrativa)
(selettivo)
Micro-pagamenti o Pagamenti da
Remunerazione Micro-pagamenti Equity/prestiti/ricompense
attività volontarie micro a elevati
Dimensioni del Di scarsa
Molto importante Molto importante Molto importante
gruppo importanza
Diversificazione Molto
Non importante Molto importante Non importante
gruppo (Crowd) importante
iStockphoto
Esempi commerciali reCAPTCHA InnoCentive FundedByMe
OpenStreetMap

Forme di crowdsourcing (CS)


• Un esempio di crowdsourcing delle attività di routine è stato reCAPTCHA (che sta
per Completely Automated Public Turing test to tell Computers and Humans
Apart, ossia «test di Turing pubblico e completamente automatico per distinguere
computer e umani»), l’iniziativa che mira a digitalizzare i libri fornendo ai siti web
la protezione CAPTCHA dai bot che tentano di accedere a siti riservati. Il test
richiede agli utenti di ridigitare le immagini di parole non riconosciute da
macchine di riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) e, in tal modo, ha
contribuito a digitalizzare l’archivio Internet e gli archivi del New York Times.
• iStockphoto e OpenStreetMap sono buoni esempi di aziende che fanno
crowdsourcing di contenuti.
• Tra le imprese che hanno utilizzato il crowdsourcing per attività
creative troviamo InnoCentive e Wilogo, che utilizzano meccanismi di
crowdsourcing sia per progetti di ricerca e sviluppo (R&S) sia per creare il design
di loghi aziendali.
• Riguardo al finanziamento in crowdsourcing, o crowdfunding, esistono diversi siti
web che offrono questa possibilità alle aziende. Secondo un recente rapporto di
uno di loro, il successo delle campagne di crowdfunding dipende in larga misura
dalla condivisione dei social media, nonché dall’accuratezza e affidabilità delle
valutazioni di mercato e delle previsioni finanziarie (Lundquist e Gromek, 2015).
Il crowdsourcing è sempre più onnipresente nel marketing in quanto le organizzazioni cercano di
utilizzarlo per ridurre i costi di marketing e il tempo necessario per eseguire un determinato
compito, per trovare e utilizzare risorse (competenze, manodopera, denaro) che non esistono
al 426proprio interno, per ottenere informazioni e una comprensione approfondita del mercato,
per la progettazione di nuovi prodotti e servizi, per il design di materiale promozionale. Una delle
considerazioni chiave quando si imposta un’attività di crowdsourcing riguarda il modo in cui
riuscire a motivare le persone a partecipare. Una regola generale suggerisce che il 90% dei

198
visitatori del sito vedrà il contenuto, il 9% si impegnerà parzialmente (cioè, leggerà l’attività e
prenderà in considerazione la partecipazione o richiederà ulteriori informazioni) e l’1% si
impegnerà pienamente (cioè fornirà una presentazione).

11.3.8 CONSIDERAZIONI LEGALI ED ETICHE


Insieme all’aumento delle risorse digitali e al loro crescente utilizzo per le attività di marketing, si
affacciano anche complicazioni e necessità di modifiche alla legislazione e alle pratiche
commerciali regolamentate. Le tipologie di questioni legali, etiche e normative che i
professionisti del marketing devono prendere in considerazione comprendono:
• giurisdizione: dove ha [realmente] luogo l’attività di marketing digitale? Il diritto
commerciale si basa su transazioni all’interno dei confini nazionali, ma il
marketing digitale espone sia le singole aziende sia la comunità a informazioni,
transazioni e attività sociali al di fuori di questi confini (ad esempio la legislazione
dell’Unione europea e Microsoft);427
• proprietà: chi è il proprietario dei contenuti che creiamo e condividiamo? La legge
sul copyright è una questione nazionale e le leggi sul copyright (cioè cosa possa e
non possa essere utilizzato senza l’autorizzazione dell’autore) differiscono da un
Paese all’altro. Anche il valore del diritto d’autore viene messo in discussione con
l’aumento di UGC (contenuti creati dai consumatori), di contenuti co-creati
(CCC) e del sistema di licenze libere Creative Commons (CC);
• autorizzazioni: disponiamo dei permessi giusti per caricare e condividere i
contenuti? La legislazione sulla privacy è anche nazionale o regionale e il diritto di
un individuo o organizzazione di utilizzare le informazioni è soggetto a questa
legislazione;
• sicurezza: quanto sono sicuri i dati e le informazioni che condividiamo? La
sicurezza dell’informazione e delle transazioni e la protezione dalle frodi e dai furti
d’identità sono altri settori che registrano un crescente cambiamento;
• accessibilità: Chiunque desideri avere accesso lo ha? A questo proposito, deve
essere tenuta presente anche la legislazione in materia di disabilità e
discriminazione. Dal momento che sempre più servizi e informazioni di marketing
vengono condivisi in ambiente digitale, il diritto di accesso e di fruibilità per tutti
diviene un importante punto all’ordine del giorno per quanto riguarda la
diffusione delle informazioni e dei servizi.

199
CAPITOLO 12: MARKETING DEI SERVIZI E CUSTOMER EXPERIENCE
CASE HISTORY 1
FICO Eataly World, nato a Bologna nel 2017 da un’idea di Oscar Farinetti e Andrea
Segrè, è il parco del cibo più grande al mondo. Racchiude in dieci ettari la
meraviglia della biodiversità naturale e agroalimentare italiana, attraverso due
ettari di campi e stalle all’aria aperta con più di 200 animali, 2.000 coltivazioni e
otto ettari coperti con vere fabbriche produttive, ristoranti e spazi dedicati alle
esperienze legate al cibo. Abbiamo parlato con Sara Liparesi (foto), responsabile
della gestione, per comprendere il sistema di erogazione e come si creano
esperienze d’eccezione.
Il parco è stato creato a Bologna per promuovere un’educazione alimentare, i saperi del cibo, il
consumo consapevole e la produzione sostenibile. All’interno della struttura ritroviamo: 40
fabbriche, oltre 45 luoghi ristoro, botteghe e mercato, sei aule didattiche, sei grandi giostre
educative (dedicate al fuoco, alla terra, al mare, agli animali, alla produzione in bottiglia e al
futuro), aree dedicate allo sport, ai bimbi, alla lettura e ai servizi.
L’idea è uno sviluppo del concept di Eataly, catena dell’agroalimentare italiana, che ha colmato il
vuoto fra i piccoli produttori italiani di eccellenze e il consumatore finale, mettendoli in contatto
diretto grazie ai negozi Eataly. FICO aggiunge al format Eataly la possibilità di vedere, in un
unico luogo, tutte le fasi della catena alimentare grazie a oltre 50 operatori interni, ognuno
dedicato a un’eccellenza dell’agroalimentare italiano: la coltivazione della materia prima, la
trasformazione nelle fabbriche produttive, la ristorazione e la vendita dei prodotti nelle diverse
botteghe. Gli operatori interni vengono considerati i partner principali che, di fatto,
rappresentano il biglietto da visita e determinano l’immagine di FICO impattando sull’esperienza
del visitatore. La capacità degli operatori di creare valore per il cliente e di soddisfarne le
aspettative è cruciale, poiché la percezione dell’intera struttura. è strettamente legata a quanto
loro riescano a soddisfare l’ospite. La general manager è soddisfatta dei risultati raggiunti: «A
fine 2018 il parco ha registrato 3.100.000 di visitatori, e a fine 2019 abbiamo raggiunto i
3.800.000, per arrivare a tre anni dall’apertura ai 4.300.000. 6 milioni è il traguardo di lungo
periodo». La grande novità in FICO è legata alla customer experience, ovvero il coinvolgimento
del visitatore nel processo produttivo delle aziende che sono ospitate nel parco. La presenza delle
«fabbriche» all’interno del parco è la peculiarità che consente di aumentare il coinvolgimento e
valorizzare le eccellenze italiane dell’agroalimentare in un unico luogo, dando spazio a ogni
tipologia di azienda, da quelle più piccole alle più grandi, da quelle a conduzione familiare alle
più strutturate. «FICO si sta integrando nel sistema città e le sue performance sono direttamente
collegate al supporto che può derivare da tutti gli stakeholder, in particolare dal Comune di
Bologna, dalla Regione Emilia Romagna e dalle varie associa439zioni» afferma la general
manager. «La logica è cercare di fare sistema per integrare le varie offerte del territorio e
aumentare la permanenza media del turista in città (2,1 notti a fine 2018), puntando su tre
cruciali asset: il centro città, la motor valley e FICO, che raccoglie e valorizza tutti gli aspetti
enogastronomici italiani in un concetto di esperienza unico al mondo».
I target principali sono cinque: le famiglie e gli individui che possono raggiungere il parco entro
l’ora di viaggio (visitatori ricorrenti), le scuole (Scuola dell’Infanzia, Primaria, Secondaria di I e di
II grado), i gruppi organizzati italiani attraverso le varie associazioni, i gruppi organizzati
stranieri attraverso i tour operator specializzati e le aziende. È anche presente un team dedicato
che segue le associazioni per persone con disabilità, per Le quali vengono organizzate delle
esperienze ad hoc. Il parco consente la perfetta mobilità, visto che è completamente pianeggiante
e con tutte le fabbriche a vista. «I visitatori ricorrenti vengono attratti con eventi e iniziative di
fidelizzazione. Inizialmente abbiamo avuto un po’ di difficoltà con il mercato bolognese, ma da
quando abbiamo sviluppato un palinsesto molto ricco di eventi la situazione è decisamente
migliorata» dice Sara Liparesi.

200
«Per coinvolgere i turisti e gli operatori esteri puntiamo sulle esperienze che si possono fare a
FICO, davvero uniche nel loro genere e molto diverse tra loro. Avere la possibilità di farle tutte
nello stesso luogo è molto apprezzato dai visitatori stranieri».
L’estero è un mercato potenziale molto ampio, ma andrebbe sostenuto con investimenti
pubblicitari notevoli, al di fuori degli attuali budget disponibili. In Italia la pubblicità in TV ha
avuto un ottimo riscontro, con risposte positive e immediate in termini di numero di visitatori e
awareness del brand. Il sistema di erogazione si sviluppa su due principali tipologie di offerta,
con una forte customizzazione sui cinque target principali visti in precedenza: una BtoC di
ristorazione, di vendita prodotti e di erogazione di esperienze (corsi, tour guidati, attività per
bambini, eventi), una BtoB legata al centro congressi (1.000 posti disponibili), alla didattica per
le scuole e alle attività di meeting, team building e cooking show per le aziende.
La didattica è un aspetto importante del sistema di erogazione: per la scuola è prevista un’ampia
proposta di attività didattiche e ricreative per imparare in maniera innovativa, conoscere e
approfondire le principali filiere del cibo. Vi è un team dedicato che si occupa di quest’area,
promuove le attività nelle diverse occasioni e tiene costantemente i contatti con i docenti e gli
istituti. «Dall’apertura, 100.000 studenti hanno visitato FICO» dichiara con gran soddisfazione
Sara Liparesi. «100.000 ragazzi e ragazze delle scuole hanno osservato, toccato, assaggiato,
scoperto, sperimentato, esplorando gli otto ettari al chiuso e i due ettari all’aperto, tra animali e
coltivazioni didattiche, fabbriche, padiglioni multimediali, laboratori, corsi». Da ricerche
condotte sui visitatori, si evince che il cliente si rende conto dei fattori differenzianti del parco se
vive un’esperienza (eventi, mostre, corsi) e questo aumenta notevolmente la soddisfazione. Chi
viene solo a fare una passeggiata con una sosta ristorativa rimane colpito dalla location, ma il
grado di soddisfazione risulta essere inferiore. Asserisce la general manager: «Il cliente si rende
conto del valore di FICO se entra in contatto diretto con il mondo dell’agroalimentare. Vivendo
l’esperienza aumenta la soddisfazione ed è grazie all’esperienza che è possibile cogliere la
differenza e l’unicità di questo parco, dov’è possibile conoscere i passaggi delle filiere produttive
legati al mondo del cibo, le specialità regionali d’Italia, i mestieri, dai più tradizionali alle
professioni più innovative del settore, e la ricchezza della biodiversità italiana».
Attualmente il 50% del fatturato si registra durante il weekend: l’obiettivo è quindi quello di
incrementare l’afflusso durante la settimana, puntando sugli eventi serali per la clientela della
città metropolitana, sulla promozione delle esperienze e sulla valorizzazione di FICO per chi
ancora non lo conosce. Nei luoghi dove già opera Eataly si sfrutta la conoscenza di questo
marchio per attrarre i turisti stranieri in visita in Italia, portandoli nel parco.440
Sara Liparesi conclude evidenziando i principali dati di afflusso e gli sviluppi futuri: «Il 30% dei
visitatori proviene da Bologna e dintorni e torna a FICO 2,5 volte all’anno, il 10% arriva
dall’estero e il restante 60% dalle altre aree italiane. Sul territorio bolognese la penetrazione è del
48%. È necessario dare ancora maggiore autonomia a FICO per renderlo una vera e propria
destinazione turistica. Continueremo a lavorare sul tema della sicurezza, della stabilità, del
comfort per i turisti esteri e sugli eventi per quelli del territorio. A novembre 2019 abbiamo
aperto «LUNAFARM», un parco giochi al coperto climatizzato per bambini dai tre ai dieci anni,
di circa 3.000 metri quadri, progettato da Zamperla, specialista di settore. Si tratta di un Family
Entertainment Center (FEC) a tema, dove gli ospiti entrano dal retro di una fattoria e si trovano
in una tipica struttura italiana, con un personaggio eccentrico e i suoi strani animali felici di
coinvolgere gli ospiti con giochi e scherzi divertenti. Per il 2020 si prevede l’apertura di un hotel
con circa 200 camere all’interno dell’area del parco, sarà gestito da StarHotel, un 4 Stelle
Superior che nascerà dall’attento recupero strutturale e funzionale dell’ex Mercato
Florovivaistico di Bologna». Tutti segnali della volontà di migliorare ancora la customer
experience, obiettivo centrale della strategia di FICO.

12.1 – INTRODUZIONE
Servizi e prodotti sono diversi. Una delle dimensioni che contraddistinguono i prodotti è il fatto
di avere una presenza fisica. I servizi, invece, non hanno una presenza fisica e non sono tangibili,
non possono essere toccati. Questo perché a contraddistinguerli è il fatto di essere un atto o una

201
performance (Berry, 1980). Un servizio non può essere messo in una borsa, portato a casa,
conservato in un armadio e utilizzato in un secondo momento. Un servizio viene consumato nel
momento in cui viene prodotto. Per esempio, assistere a uno spettacolo teatrale, imparare la
matematica a scuola o fare una vacanza, sono tutte azioni che implicano la produzione e il
consumo simultaneo dello spettacolo, di nuove conoscenze e di tempo libero.
Il settore dell’industria dei servizi costituisce una parte sostanziale delle economie più avanzate.
Non sorprende che la gamma di servizi sia enorme e che noi consumiamo servizi in quasi tutte le
aree delle nostre attività lavorative, commerciali, domestiche e del tempo libero. La Tabella
12.1 indica la varietà dei settori e alcune delle aree all’interno delle quali consumiamo diversi tipi
di servizi.

Settore Esempi
Business Finanziario, compagnie aeree, hotel, consulenti legali e avvocati
Produzione Operatori finanziari e commercialisti, operatori informatici, amministratori, formatori
Commercio al dettaglio Personale addetto alle vendite, cassieri, consulenti di assistenza clienti
Istituzioni Ospedali, educazione, musei, enti di beneficenza, chiese
Governo Sistema giudiziario, carceri, militari, dogane e accise, polizia

Il mero numero di servizi disponibili è cresciuto, in parte perché non è sempre facile distinguere i
prodotti solo sulla base di funzionalità, benefici, qualità o prezzo. La concorrenza può essere
molto intensa e la maggior parte delle innovazioni o degli sviluppi dei prodotti viene in breve
copiata. I servizi offrono l’opportunità di aggiungere valore senza il rischio di essere copiati,
poiché ogni servizio rappresenta un’esperienza unica. La maggior parte dei prodotti contiene un
elemento di servizio: è presente una combinazione prodotto-servizio progettata per fornire un
mezzo per aggiungere valore, differenziare e ottenere maggiori profitti. La misura in cui un
servizio fa da involucro a un prodotto varia a seconda di una serie di fattori, vale a dire il livello di
tangibilità associato al tipo di prodotto, il modo in cui il servizio viene fornito, le variazioni
dell’offerta e della domanda, il livello di personalizzazione, il tipo di rapporto tra i fornitori di
servizi e i clienti, nonché il grado di coinvolgimento con il servizio che le persone sperimentano
(Lovelock et al., 1999).
Molti negozi di alimentari dispongono di pochi servizi di supporto, fatti salvi quelli per il
magazzino e per il checkout. Comprare nuovi mobili per la camera da letto montati su misura,
comprende l’acquisto non solo di elementi come armadi a muro, cassettoni, guardaroba, ma
anche il servizio di installazione professionale necessario per rendere i mobili utilizzabili. All’altra
estremità dello spettro, una visita dal dentista o una lezione serale comportano poco supporto
fisico relativamente all’erogazione del servizio, perché il medesimo è fornito dalla persona, ovvero
dal dentista o tutor.
12.2 – LA NATURA DEI SERVIZI
Arrivati a questo punto, viste le precedenti osservazioni sulla gamma e la varietà dei servizi, prima
di andare avanti è necessario dare una definizione di che cosa sia un «servizio». Come riguardo a
una varietà di altri argomenti, non esiste un accordo totale in materia: per quelli che sono i nostri
obiettivi, tuttavia, utilizzeremo la definizione seguente, comune a diversi autori:

Un servizio è un qualsiasi atto o prestazione messo a disposizione da una parte ad un’altra, che sia
essenzialmente intangibile. Il consumo del servizio non comporta alcun trasferimento di proprietà
neanche nell’eventualità in cui il processo di servizio possa essere collegato a un prodotto fisico.
Gran parte di questa definizione è tratta dal lavoro di Grönroos (1990), che ha preso in esame una
serie di definizioni e interpretazioni. Questa definizione fornisce un’indicazione delle diverse
caratteristiche e proprietà che distinguono i servizi dai prodotti.

202
12.2.1 – CARATTERISTICHE DISTINTIVE
I servizi sono caratterizzati da cinque caratteristiche
distinte: intangibilità, deperibilità, variabilità, inseparabilità e mancanza di
proprietà (cfr. Figura 12.1). Si tratta di aspetti importanti che danno forma al modo in cui gli
esperti di marketing progettano, forniscono e valutano il marketing dei servizi.
Intangibilità
L’acquisto di prodotti implica l’uso della maggior parte dei nostri sensi. Possiamo toccare,
vedere, annusare, udire o addirittura assaggiare i prodotti prima di acquistarli, oltre a poterli
usare. Quando 443si acquista un tablet o uno smartphone, ad esempio, è possibile vedere
realmente il prodotto fisico e le sue specifiche caratteristiche, come la dimensione e il colore, per
testarne la funzionalità, sentirne il peso e toccarlo. Si tratta di importanti indicazioni per arrivare
alla decisione di acquisto e, anche nel caso in cui l’apparecchiatura non dovesse funzionare
correttamente, è sempre possibile riconsegnarla per una sostituzione.

FIGURA 12.1
Le cinque caratteristiche «core» (centrali) dei servizi.
Se si decide, invece, di acquistare un’assicurazione o un servizio di assistenza supplementare, se
ne troverà il dettaglio sulla ricevuta, ma non sarà possibile toccarlo, assaggiarlo, vederlo, udirlo o
annusarlo. I servizi sono intangibili e vengono forniti e sperimentati solo dopo l’acquisto.
Intangibilità non significa che i clienti acquistano servizi senza usare i sensi. Al contrario,
significa che utilizzano indicazioni sostitutive che li aiutano a prendere le decisioni di acquisto e a
ridurne l’incertezza derivante dal fatto che non possono toccare, vedere, annusare o udire il
servizio. Le persone emettono giudizi sulla base di una serie di indicazioni relative alla qualità.
Tali indicazioni servono a rendere tangibile il servizio intangibile. Si possono evidenziare due tipi
di indicazione: intrinseca ed estrinseca (Olson e Jacoby, 1972). Le indicazioni intrinseche sono
tratte direttamente dal «prodotto servizio» stesso e vengono considerate difficili da cambiare. Le
indicazioni estrinseche, d’altra parte, si dice che circondino il «prodotto servizio» e possano
essere modificate in maniera relativamente facile. Brady e colleghi (2005) hanno messo in luce
come diversi tipi di brand di servizi necessitino di diversi tipi di indicazioni.
I marchi finanziari e d’investimento prosperano grazie all’utilizzo di indicazioni intrinseche, che
mettono in risalto fonti di informazione oggettive, come una forte reputazione, classifiche di
settore e recensioni favorevoli dei media. È vero il contrario per i servizi che hanno un elemento
più tangibile, come gli alberghi e i servizi di trasporto. In queste circostanze, modalità di
comunicazione più soggettiva, come la pubblicità e le referenze attraverso il passaparola, sono
più efficaci.
Deperibilità
Una bottiglia di shampoo sullo scaffale di un supermercato dispone di tutta una serie di richiami
per indurre l’acquisto e il consumo. Quando il negozio chiude e riapre il giorno successivo, la
bottiglia è ancora disponibile per la vendita e rimane disponibile fino all’acquisto o al
raggiungimento della data di scadenza. Con i servizi è diverso. Una volta che un treno esce da una
stazione, o un aereo decolla, o un film inizia, i posti che non sono stati venduti vanno persi e
rimarranno invenduti per sempre. È a questo che ci si riferisce parlando di «deperibilità» e
rappresenta un aspetto importante del marketing dei servizi. La produzione e il consumo dei

203
servizi avviene in simultanea; i servizi non possono essere stoccati né prima né dopo il service
encounter.
Il motivo per cui quei sedili rimangono vuoti è un riflesso delle variazioni nella domanda. Può
essere dovuto a cambiamenti nell’ambiente in senso lato e può seguire modelli (pattern) di
comportamento facilmente prevedibili, ad esempio viaggi per le vacanze in famiglia. Uno dei
compiti dei professionisti del marketing dei servizi consiste nel garantire che il numero di posti
vuoti e di entrate perdute per sempre sia ridotto al minimo. Nei casi di domanda prevedibile, i
gestori dei servizi possono modificare il livello di capacità di servizio, ad esempio: un tre no più
lungo, un aereo più grande o proiezioni extra di un film (impianti multiplex). La domanda può
comunque variare in modo imprevedibile, nel qual caso i gestori dei servizi sono tenuti a fornire
livelli variabili di capacità di servizio con breve preavviso.
Uno dei principali modi in cui è possibile influenzare i pattern di domanda è attraverso la
determinazione di prezzi differenziati. Abbassando i prezzi per attirare i clienti nei periodi più
tranquilli e aumentando i prezzi quando la domanda è al massimo, la domanda può essere
livellata e le entrate marginali incrementate. I sistemi di prenotazione alberghiera e dei trasporti
sono diventati molto sofisticati, rendendo più facile la gestione della domanda e migliorando
l’efficienza e, naturalmente, il servizio clienti. Alcune squadre di calcio suddividono le partite in
base al prestigio 444o alla posizione in classifica dell’avversario e regolano i prezzi di
conseguenza per riempire lo stadio. Oltre a differenziare i prezzi, è possibile introdurre servizi
supplementari per incidere sulla domanda. Gli hotel mettono a disposizione soggiorni a tema
speciale per il fine settimana, quali il golf o la pesca e le mini vacanze, per attrarre i pensionati al
di fuori della stagione delle vacanze. I parchi ricreativi offrono sconti per le famiglie e pacchetti
gratuiti a prezzi che stimolano la domanda.
Variabilità
Come già rilevato, una caratteristica importante dei servizi è il fatto di essere prodotti e
consumati dalle persone, contemporaneamente, come un unico evento. Uno dei risultati di
questo processo unico nel suo genere è che è estremamente difficile standardizzare l’erogazione
dei servizi sulla base del modello di riferimento citato in precedenza. È anche difficile fornire
servizi che soddisfino sempre la promessa dell’impresa, soprattutto perché queste promesse
spesso aiutano a inquadrare le aspettative dei clienti. Se la domanda aumenta inaspettatamente e
non vi è sufficiente capacità di gestire l’eccesso di clienti, è possibile che si verifichi
un’interruzione del servizio. Un’ondata di clienti in un ristorante può far ritardare l’arrivo dei
pasti per i clienti che sono già seduti e hanno già fatto le ordinazioni; troppi passeggeri sul treno
possono comportare che non vi siano posti sufficienti: in entrambi questi casi, non è possibile
fornire un livello di servizio che possa essere riprodotto coerentemente.
Un modo diverso di guardare alla variabilità consiste nel considerarla un teatro. Lo spettacolo
potrebbe andare bene e gli attori principali esibirsi con grande successo di critica.
L’interpretazione effettiva che ciascun attore offre ogni sera sarà di volta in volta leggermente
diversa. Può trattarsi di un cambiamento sottile, come una variazione nel tono di voce o di
un’inflessione, e passare relativamente inosservato.
All’altro estremo, alcuni attori fanno di tutto per rendere le loro interpretazioni molto diverse. Si
racconta che in un’occasione l’attrice Jane Horrocks abbia affermato di avere, durante la
rappresentazione di un certo spettacolo teatrale, deliberatamente modificato la recitazione ogni
sera per arginare la propria noia.
Si sono avute critiche sostanziali nei confronti di alcune aziende che, nel tentativo di ridurre i
costi, hanno delocalizzato alcune o tutte le loro attività di call center offshore. Tali strategie a
volte hanno un esito infelice perché il nuovo fornitore manca di una formazione e di conoscenze
del luogo o del prodotto sufficienti, o perché, in alcuni casi, è semplicemente impossibile
comprenderle. Questo tipo di esperienza di servizio varia tra i clienti e per ogni singolo cliente. Il
conseguente calo della soddisfazione della clientela può portare a un incremento del numero di
quelli che passano alla concorrenza.

204
La variabilità dei servizi non significa che la pianificazione sia un’attività priva di valore.
Riuscendo a prevenire le situazioni in cui potrebbe verificarsi un’interruzione del servizio, i
gestori del servizio stesso possono mettere a disposizione attività o strutture. Per le code nei
cinema o nei parchi a tema, ad esempio, possono essere rese disponibili attività di
intrattenimento, in modo da modificare la concezione del tempo necessario a fare esperienza del
servizio (assistere alla proiezione del film o andare a cavallo).
Inseparabilità
Come detto in precedenza, i prodotti possono essere costruiti, distribuiti, immagazzinati e infine
consumati in un momento specificato dal cliente finale. I servizi, invece, sono consumati nel
momento in cui vengono prodotti. In altre parole, l’erogazione del servizio non può essere
separata o divisa dalla prestazione del servizio o dal consumo del servizio medesimo. L’evento nel
quale la consegna coincide con il consumo mostra come non solo i clienti entrino in contatto con
i fornitori di servizi, ma anche come sia necessaria un’interazione tra le due parti. Interazione che
è di particolare importanza non solo per la qualità nella produzione del servizio, ma anche per
l’esperienza vissuta dal cliente. Per continuare, quindi, con l’esempio precedente dello spettacolo
teatrale, lo spettacolo stesso può fornire un intrattenimento adeguato, ma l’esperienza può essere
notevolmente migliorata se l’attore protagonista – Jane Horrocks, Judi Dench o Scarlett
Johansson – si esibisce effettivamente, piuttosto che se capita che salti la serata perché non si
sente bene. In alternativa, i medici privati possono sviluppare una forte reputazione e, in caso di
aumento della domanda oltre i livelli gestibili, si possono utilizzare le tariffe per ridurre o
riprogrammare la domanda di servizi.
Esempi di esperienze di servizio come questi mettono in rilievo l’erogazione del servizio intesa
come esperienza di servizio di massa (lo spettacolo teatrale) e come esperienza individuale (il
medico). Le differenze incidono sulla natura del processo di interazione. Nell’esperienza del
servizio di massa, gli altri membri del pubblico possono influenzare la qualità percepita
dell’esperienza. Il pubblico crea atmosfera e questo può incidere positivamente o negativamente.
Una buona produzione può coinvolgere il pubblico in uno spettacolo teatrale e tenerlo
concentrato per l’intera performance. Una performance scadente può invece frustrare l’ascolto,
spingendo alcuni spettatori a uscire, e quindi influenzando la percezione che altri hanno della
performance e dell’esperienza dello spettacolo.
L’interazione all’interno dell’esperienza individuale (medico-paziente) consente un maggiore
controllo da parte del fornitore di servizi, anche solo per il fatto di essere in grado di gestire il
contesto immediato in cui avviene l’interazione e di non venire indebitamente influenzato da
questioni ambientali più ampie. Esistono opportunità di flessibilità e adattamento mano a mano
che il servizio viene erogato. Ad esempio, un operatore di check-in per una compagnia aerea
opera all’interno di un particolare contesto, non viene influenzato da altri eventi importanti
mentre interagisce con il cliente, e può adattare il tono della voce, il linguaggio del corpo e
l’approccio generale per soddisfare le esigenze di particolari viaggiatori.
Un ultimo aspetto della variabilità riguarda l’influenza che viene generata dal mix della clientela
presente durante la fornitura del servizio. Se il mix di tipologie di clienti presenti è vasto,
l’erogazione del servizio può risultarne influenzata perché il fornitore di servizi deve far fronte
alle esigenze di gruppi diversi. Una composizione variegata della clientela può diluire l’impatto
del servizio effettivamente fornito.
Mancanza di proprietà
La caratteristica finale associata al marketing dei servizi deriva naturalmente anche dalle altre
caratteristiche: i servizi non possono essere di proprietà perché non si realizza alcun
trasferimento durante l’interazione o l’esperienza di consegna. Sebbene una transazione legale
venga spesso attuata con un servizio, non vi è alcun trasferimento fisico di proprietà come
avviene invece all’acquisto di un prodotto. Il posto a sedere in un teatro, o su un treno, aereo o
traghetto viene affittato su base temporanea in cambio di un compenso. I termini associati al
noleggio del posto determinano l’ora e l’uso o l’esperienza a cui il posto può essere assegnato. Il
posto rimane tuttavia di proprietà, rispettivamente, o del proprietario del teatro, dell’operatore

205
ferroviario, della compagnia aerea o della compagnia di traghetti, perché deve essere disponibile
per venire affittato ad altre persone per ulteriori esperienze.
Un ultimo punto riguarda i programmi di fidelizzazione, come i programmi frequent flyer e i
membership club, tramite i quali il fornitore di servizi promuove attivamente un senso di
appartenenza. Creando coinvolgimento e partecipazione da parte dei clienti, anche se non vi è
nulla da possedere realmente, i clienti possono sviluppare un atteggiamento basato sul loro
diritto percepito di essere parte del fornitore di servizi.

12.3 – SERVICE ECOUNTER O INCONTRI DI SERVIZIO


Lo sviluppo di strategie di marketing dei servizi comporta la comprensione della frequenza e
delle modalità con le quali i clienti contattano i fornitori di servizi. Una volta compreso questo, si
possono sviluppare strategie che mantengano i livelli di servizio richiesti, ma si possono
riformulare anche i processi e i collegamenti che uniscono gli elementi del marketing mix dei
servizi e dei sistemi associati. La strategia di marketing dei servizi dovrebbe pertanto basarsi su
informazioni dettagliate sui modi in cui i clienti interagiscono con un servizio o lo contattano. La
forma e la natura dell’incontro con il cliente rivestono un’importanza fondamentale. Con service
encounter o incontro fisico o virtuale tra l’erogatore del servizio e il cliente si fa riferimento a un
periodo di tempo durante il quale un cliente interagisce direttamente con un servizio (Shostack,
1985). Queste interazioni possono essere brevi e comprendere tutte le azioni necessarie per
completare l’esperienza di servizio. In alternativa, possono essere prolungate, prevedere
numerosi incontri con vari rappresentanti del fornitore di servizi, e in diverse sedi, affinché
l’esperienza di servizio possa essere portata a termine. Qualunque sia la sua durata, la qualità di
un service encounter ha un impatto sul valore percepito del servizio, che, a sua volta, influisce
sulla soddisfazione del cliente (Gil et al., 2008). Il termine «incontro», in origine, veniva
utilizzato per descrivere l’interazione personale tra un fornitore di servizi e la clientela.
Un’interpretazione più al passo con i tempi deve tener conto di tutte le interazioni che si
stabiliscono tra le persone e le loro attrezzature e macchine e le persone e le apparecchiature
appartenenti al fornitore di servizi (Glyn e Lehtinen, 1995), come indicato nel Market Insight
12.2. Il risultato è che si possono osservare tre livelli di contatto con i clienti: servizi ad alto
contatto, servizi a medio contatto, e servizi a basso contatto (cfr. Tabella 12.2).

Livelli di
Spiegazione
contatto
I clienti visitano la struttura di servizio e rimangono quindi coinvolti personalmente durante
Servizi ad alto
tutto il processo di erogazione del servizio, ad esempio nel settore bancario retail e
contatto
nell’istruzione superiore
I clienti visitano la struttura di servizio, ma non vi rimangono per tutta la durata
Servizi a medio
dell’erogazione del servizio, nel caso ad esempio di servizi di consulenza, consegna e raccolta
contatto
di articoli da riparare
Scarso o inesistente contatto personale tra cliente e fornitore di servizi, con servizi forniti da
Servizi a basso
una postazione remota, spesso attraverso mezzi elettronici, ad esempio riparazioni di
contatto
software, e intrattenimento televisivo e radiofonico

Uno degli sviluppi interessanti degli ultimi anni è stata la decisione da parte di alcune
organizzazioni di spostare i propri clienti da servizi ad alto contatto a servizi a basso contatto. Ne
forniscono un chiaro esempio il settore bancario, con i primi sportelli automatici (ATM), poi il
telefono cellulare e ora l’Internet banking, tutti strumenti che riducono o eliminano i contatti
personali con i dipendenti della banca. Ulteriori esempi si possono poi trovare nei distributori
automatici, nei servizi self-service o di checkout rapido negli alberghi e nell’acquisto di biglietti
online. Sirianni e colleghi (2013) suggeriscono che, attraverso un attivo branding dei service
encounter, le aziende possono rafforzare il significato e il posizionamento del marchio,

206
influenzando con449temporaneamente le risposte della clientela nei confronti del brand.
Definiscono i «branded service encounter» o «incontri di servizio a marchio» come: ...interazioni
di servizio all’interno delle quali il comportamento dei dipendenti è strategicamente allineato con
il posizionamento del marchio. Questo allineamento strategico può essere 450evidente in vari
elementi del comportamento, dell’aspetto e delle modalità di presentazione del dipendente, che
possono rafforzare il significato del marchio durante le interazioni di servizio con la clientela
Questo suggerisce che i «branded service encounter» dovrebbero costituire parte integrante di
qualsiasi attività di comunicazione di marketing integrata.
12.4 – DIMENSIONI CHIAVE DEL MARKETING DEI SERVIZI
Il marketing dei servizi può essere affinato comprendendo in che modo i clienti valutino la
prestazione del servizio. Questo fa sorgere la domanda: in che modo i clienti giudicano la qualità
dei servizi di una banca o di una compagnia aerea? Si tratta di qualcosa di potenzialmente molto
difficile, perché servizi complessi come la chirurgia o l’intermediazione finanziaria dispongono di
pochi indizi tangibili sui quali basare un giudizio riguardo al fatto che il servizio sia estremamente
buono, buono, soddisfacente, scadente o squalificante. I clienti che acquistano beni fisici possono
esprimere giudizi sulle caratteristiche, lo stile e il colore, prima dell’acquisto, durante l’acquisto e
anche dopo l’acquisto, restituendo beni difettosi o semplicemente indesiderati. Ciò non è possibile
con alcuni tipi di servizio, in particolare i servizi «people-processing», vale a dire quelli in cui il
servizio è rivolto alla persona.
Le prestazioni di servizio vengono considerate un importante contributo ai risultati finanziari di
un’impresa. Heskett e colleghi (1994) hanno dimostrato che un servizio clienti di elevata qualità, in
un contesto di consumo, porta a un risultato finanziario migliore. La nozione di tempo di servizio
come indicatore della prestazione (Lund e Marinvova, 2014) ha attirato crescente attenzione anche
perché i fornitori di servizi in generale, e i dettaglianti in particolare, cercano continuamene di
ottenere un vantaggio competitivo.
Zeithaml (1981) ha stabilito un framework che categorizza i diversi servizi e che, quindi, influenza il
grado di valutazione delle offerte di mercato, identificando le tre proprietà principali descritte di
seguito.
Le proprietà di ricerca rappresentano gli elementi che aiutano i clienti a valutare un’offerta
prima dell’acquisto. Come accennato in precedenza, i prodotti fisici tendono ad avere elevate
caratteristiche specifiche di ricerca, che servono a ridurre il rischio per la clientela e a
incrementare la fiducia nell’acquisto.

Le proprietà di esperienza non consentono di effettuare una valutazione antecedentemente


all’acquisto. Eventi sportivi, vacanze e intrattenimento dal vivo possono essere immaginati,
spiegati e illustrati, ma è solo facendo l’esperienza della prestazione o stando seduti tra un
pubblico di 100.000 persone che un cliente può valutare l’esperienza di servizio.

Le proprietà di credence («attribuzione di fiducia») fanno riferimento a quelle caratteristiche di


servizio rispetto alle quali, anche dopo l’acquisto e il consumo, i clienti hanno difficoltà a
fornire una valutazione. Zeithaml (1981) utilizza come riferimenti la chirurgia complessa e i
servizi legali per argomentare questo punto.

Come dimostrato in precedenza, la maggior parte dei beni fisici ha elevate proprietà di ricerca.
Mentre i servizi riflettono la forza dell’esperienza e le caratteristiche di credence che, a loro volta,
evidenziano la loro intangibilità e variabilità.4
Garry e Broderick (2007), tuttavia, contestano questa classificazione argomentando che non
rispecchia completamente i mercati contemporanei dei servizi. Mentre la classificazione originale
ha assegnato tutta la competenza al fornitore di servizi, la ricerca attuale riconosce la competenza e
l’incidenza del cliente. Disponendo di maggiori informazioni, i clienti hanno acquisito sempre più
competenze e capacità di esprimere giudizi sulla qualità dei servizi, ancor prima dell’acquisto.

207
Secondo Garry e Broderick (2007), questa maggiore attenzione agli elementi che
contraddistinguono i clienti dovrebbe anche essere accompagnata da una considerazione degli
elementi distintivi che si associano ai service encounter. In questo caso, si prendono in
considerazione le questioni relative all’accessibilità alle informazioni, al tempo e all’interattività,
oltre al livello di centralità del cliente presente all’interno della customer experience.
Molte aziende riconoscono l’importanza e la complessità associate alla commercializzazione dei
servizi. Di conseguenza, sviluppano e pianificano spesso le loro attività di marketing in maniera
tale da aiutare e rassicurare i clienti prima, durante e dopo l’acquisto. Questo obiettivo viene
raggiunto attraverso la fornitura di diversi livelli di informazione per ridurre il rischio
percepito e migliorare l’esperienza del servizio. Due tecniche, tra quelle proposte dal marketing
dei servizi, ovverosia il branding e il marketing interno, rivestono un ruolo fondamentale per il
raggiungimento di questi obiettivi.
Comprendere i service encounter, la customer statisfaction e le relative tecniche di misurazione,
non consente una comprensione che vada oltre il momento della verità, cioè il momento nel quale
il servizio viene prestato. Comprendere e misurare, invece, il vissuto dei clienti rispetto a
un’interazione è molto più pertinente e consente valutazioni più approfondite.

12.5 – PRINCIPI DEL MARKETING RELAZIONALE


Rivolgiamo ora la nostra attenzione ai concetti relativi al marketing relazionale. Esaminiamo
innanzitutto le idee alla base degli scambi che avvengono tra una coppia di acquirenti e venditori,
due tipi principali, gli scambi di mercato (o distinti) e gli scambi collaborativi.
Con scambi di mercato si intendono quelli che si verificano quando non vi è alcuna precedente
storia di scambio e non sono previsti scambi futuri tra l’acquirente e il venditore. In transazioni
di questo tipo, gli obiettivi principali sono il prodotto e il prezzo. Spesso definito «marketing
transazionale», l’approccio 4Ps alle variabili del marketing mix (la scuola di pensiero «marketing
management o gestione del marketing») viene utilizzato per guidare e costruire il
comportamento da tenere nel corso delle transazioni. All’interno di questi scambi a breve
termine, sono considerati gli acquirenti passivi e i venditori attivi. L’ipotesi, tuttavia, che gli
acquirenti siano passivi è stata presto messa in discussione dall’idea che, in realtà, gli acquirenti
sono dei problem-solver attivi, alla ricerca di soluzioni che siano al tempo stesso efficienti ed
efficaci. Studi effettuati nei mercati business hanno stabilito che acquistare non consiste in un
singolo evento distinto, rappresenta, semmai, un flusso di attività tra due aziende. Tali attività
vengono talora definite «episodi». Si tratta soprattutto di trattative sui prezzi, di appuntamenti
alle fiere o di una decisione di acquisto, ma tutti si svolgono all’interno del contesto generale di
una relazione. È in questo ambito che è stata inquadrata la scuola di pensiero del «marketing
relazionale», nella quale il rapporto acquirente-venditore costituisce l’elemento centrale
dell’analisi. Il focus non è quindi più rappresentato dal prodotto, né dall’acquisto individuale o
dalla vendita effettuata dall’impresa, ma piuttosto dalla relazione e dalle sue particolari
caratteristiche nel tempo. Il marketing relazionale si basa quindi 452sul principio della presenza
di una storia di scambi e dell’aspettativa di ulteriori scambi in futuro. La prospettiva è inoltre di
medio periodo, prevedendo una forma di lealtà o di attaccamento prolungato dell’acquirente al
venditore. Il prezzo, quale meccanismo di controllo chiave, viene sostituito dal servizio clienti e
dalla qualità dell’interazione tra le due entità. Lo scambio viene definito «collaborativo» perché
l’attenzione è focalizzata su entrambe le entità, nella ricerca del raggiungimento dei loro obiettivi
in un modo che sia di reciproca soddisfazione e non a scapito l’una dell’altra. La Tabella
12.3 offre un elenco più completo delle differenze fondamentali tra scambi basati sul marketing
transazionale e scambi collaborativi.

Elemento caratteristico
Scambio di mercato Scambio collaborativo
(attributo)
Durata della relazione A breve termine A medio-lungo termine

208
Fino a chiusura della Processo continuo
trattativa
Conflitti di obiettivi Conflitti di interesse
Aspettative in merito alla Pagamento immediato Pagamento differito
relazione Nessun problema futuro I problemi attesi in futuro si ritiene saranno
(non c’è futuro) superati dall’impegno comune
Bassa frequenza di
comunicazione Comunicazione a intervalli frequenti
Comunicazione
Predominio della Predominio della comunicazione informale
comunicazione formale
Nessuna cooperazione
Cooperazione Progetti di cooperazione congiunta
congiunta
Responsabilità distinte Responsabilità condivise
Responsabilità
Obblighi unilaterali Obblighi reciproci

Sebbene gli scambi di mercato si concentrino sui prodotti e sui prezzi, esiste comunque una
componente relazionale, se non altro per il fatto che l’interazione richiede l’esistenza di una
relazione di base tra le parti affinché la transazione sia portata a termine.
Dwyer e colleghi (1987) fanno riferimento al marketing relazionale come a un approccio che
comprende un’ampia gamma di relazioni, non solo quelle con i clienti, ma anche quelle che le
aziende mettono in atto con i fornitori, con le autorità di regolamentazione, con gli enti pubblici,
i concorrenti, i dipendenti e altri soggetti.
In questo senso, il marketing relazionale potrebbe essere visto come l’insieme di tutte le attività
di marketing associate alla gestione di scambi relazionali di successo.
Theron e colleghi (2013), tra gli altri, riconoscono l’importanza del ruolo che riveste la
collaborazione all’interno del marketing relazionale. Molte aziende, tuttavia, mantengono
relazioni di 453vario tipo con i loro diversi clienti e fornitori, alcune altamente collaborative e
alcune orientate al mercato o, come Spekman e Carroway (2005: 1) suggeriscono, «laddove
queste abbiano un senso».

12.6 – FIDUCIA, IMPEGNO E SODDISFAZIONE NELLE RELAZIONI


La fiducia rappresenta una caratteristica chiave delle relazioni personali, di quelle interne alle
organizzazioni e alle aziende nonché delle organizzazioni e aziende tra loro, ed è necessaria
affinché continuino. Gambetta (1988) sostiene che la fiducia è un mezzo per ridurre l’incertezza
in modo che si possano sviluppare relazioni efficaci.
Cousins e Stanwix (2001) suggeriscono inoltre che, sebbene «fiducia» sia un termine usato per
spiegare come funzionano le relazioni, spesso fa invece riferimento a idee che hanno a che fare
con il rischio, il potere e la dipendenza, e queste affermazioni vengono utilizzate in modo
intercambiabile.
Dalla loro ricerca sui produttori di veicoli, emerge che le relazioni B2B riguardano la creazione di
vantaggi commerciali reciproci e il grado di fiducia che un’organizzazione nutre nei confronti di
un’altra.
La fiducia implica giudizi sull’affidabilità e l’integrità e ha a che fare con il grado di stima che una
parte nutre riguardo al fatto che l’altra adempirà ai propri obblighi e si assumerà le proprie
responsabilità. La presenza di fiducia all’interno di una relazione è importante perché riduce sia
la minaccia di opportunismo sia la possibilità di conflitto, e aumenta di conseguenza le
probabilità di soddisfazione dell’acquirente. Favorendo lo sviluppo della fiducia all’interno delle
relazioni si ottengono tre principali risultati: la soddisfazione, la riduzione del rischio percepito e
la continuità (Pavlou, 2002).

209
• Il rischio percepito ha a che fare con la previsione di perdita ed è quindi
strettamente legato alla performance organizzativa.
• La fiducia si riferisce al fatto che un venditore non approfitterà dello squilibrio di
informazioni tra acquirente e venditore.
• La continuità è collegata ai volumi di attività, indispensabili nei mercati B2B
online, e allo sviluppo di relazioni durature sia online sia nel mondo fisico. La
fiducia è associata alla continuità e, quando presente, è quindi indicativa di
relazioni a lungo termine.
La fiducia all’interno di un contesto di consumatori è importante perché può ridurre l’incertezza.
RAKBANK, una banca retail e d’affari con sede negli Emirati Arabi Uniti (EAU), ad esempio, ha
capito che molti dei suoi potenziali clienti diffidavano delle banche a causa delle commissioni
annuali occulte e delle inaccettabili spese implicite caricate nelle carte di credito. I marchi forti
forniscono sufficienti informazioni affinché i consumatori siano messi in condizioni di assumere
decisioni di acquisto calcolate pur non disponendo di una conoscenza completa. In un
certo 454senso, i consumatori trasferiscono al brand stesso la loro responsabilità nel processo
decisionale. Attraverso acquisti regolari presso uno stesso brand si sviluppano abitudini o
«comportamenti di risposta routinizzati». Questo è importante non solo perché viene
semplificato un processo decisionale complesso, ma anche perché, in questo modo, la quantità di
comunicazione necessaria per assistere e generare l’acquisto risulta considerevolmente ridotta.

FIGURA 12.2
Il modello KMV di marketing relazionale.
La presenza di fiducia all’interno di una relazione è influenzata da quattro fattori principali: la
durata della relazione, il potere relativo dei partecipanti, la presenza di cooperazione e vari fattori
ambientali che possono incidere in qualsiasi momento (Young e Wilkinson, 1989). Anche se
pertinenti, si tratta di fattori abbastanza generali, mentre Morgan e Hunt (1994) hanno stabilito
quelle che oggi sono considerate le dimensioni principali alla base del marketing relazionale.
All’interno di un loro articolo di rilievo, hanno sostenuto che la coesistenza dell’impegno e della
fiducia conducano al comportamento cooperativo, alla soddisfazione del cliente e, in ultima
analisi, al successo del marketing relazionale.
L’impegno è importante perché implica il desiderio che una relazione continui e sia rafforzata per
il suo valore intrinseco. Secondo Morgan e Hunt (1994) l’impegno e la fiducia sono le key
mediating variables o variabili chiave di mediazione (KMV) tra le cinque menzionate
prima e quelle che seguiranno (vedi Figura 12.2).
Secondo il modello KMV, maggiori sono le perdite previste a seguito della cessazione di un
rapporto, maggiore è l’impegno espresso dai partner nello scambio. Quando i partner
condividono valori simili, l’impegno aumenta. Sempre secondo la visione di Morgan e Hunt
(1994), la creazione di un rapporto basato sulla fiducia e l’impegno può dare luogo a una serie di
vantaggi, tra cui lo sviluppo di un insieme di valori condivisi, la riduzione dei costi al termine
della relazione e l’aumento della redditività, in quanto viene mantenuto un numero maggiore di
clienti finali, quale risultato del valore intrinseco e della soddisfazione che sperimentano. La
cooperazione nasce da un rapporto guidato da alti livelli di fiducia e impegno (Morgan e Hunt,
1994).

210
Ryssel e colleghi (2004: 203) riconoscono come la fiducia (e l’impegno) abbia un «impatto
significativo sulla creazione di valore e sostengono che questa possa essere vista come una
funzione della qualità di una relazione piuttosto che della tecnologia impiegata». Fiducia e
impegno sono concetti fondamentali per il marketing relazionale.
12.6.1 – CUSTOMER SATISFACTION
La soddisfazione dei clienti è il risultato dell’impegno e della costruzione della fiducia. È qualcosa
che viene considerato importante perché la soddisfazione è positivamente collegata alla
fidelizzazione dei clienti o customer retention, e questa, a sua volta, porta a un migliore
ritorno sull’investimento (ROI) e, quindi, a una migliore redditività. Non sorprende che molte
organizzazioni cerchino di migliorare i livelli di soddisfazione dei clienti, con l’intenzione di
rafforzare le relazioni con i clienti stessi e di aumentare i livelli di fidelizzazione (Ravald e
Grönroos, 1996). Si tratta di un’equazione semplice: costruire la fiducia, stimolare la
soddisfazione, migliorare la fidelizzazione e incrementare i profitti.
La soddisfazione del cliente, tuttavia, non è guidata solo dalla fiducia; anche le aspettative della
clientela rivestono un ruolo importante e contribuiscono a plasmare la percezione che il cliente
ha rispetto alle prestazioni del prodotto o del servizio. I clienti confrontano le prestazioni con le
loro aspettative ed è attraverso questo processo che si determina il senso di soddisfazione o
insoddisfazione che i clienti provano. Idee relativamente più recenti suggeriscono che, nella
costruzione della soddisfazione del cliente, il valore percepito relativamente di una relazione
possa essere anche più importante della stessa fiducia (Ulaga e Eggert, 2005).
Se le aspettative vengono soddisfatte, si ottiene anche la soddisfazione del cliente. Se Withers
Worldwide, per esempio, è in grado di superare le aspettative dei suoi clienti, a esserne
soddisfatte 456saranno entrambe le parti. Se le aspettative non sono soddisfatte, saranno i clienti
a non ritenersi soddisfatti. Questa interpretazione semplicistica può essere fuorviante, perché la
soddisfazione non sempre implica fedeltà (Mittal e Lassar, 1998): ad esempio, può essere
scambiata per fedeltà quella che in realtà è semplicemente convenienza, o addirittura inerzia, e
questo di contro significa che anche l’insoddisfazione non porta necessariamente all’abbandono
del marchio (O’Malley, 1998).
Cumby e Barnes (1998) forniscono un’utile panoramica su ciò che contribuisce alla soddisfazione
del cliente:
• core product/service: l’insieme di tratti distintivi, caratteristiche e vantaggi che
devono raggiungere livelli competitivi se l’obiettivo è quello di sviluppare una
relazione;
• servizi e sistemi di supporto: la qualità dei servizi e dei sistemi utilizzati a
supporto del prodotto/servizio di base;
• prestazioni tecniche: la sincronizzazione del prodotto/dei servizi di base con
l’infrastruttura di supporto per mantenere la promessa;
• elementi di interazione con il cliente: la qualità della customer care dimostrata
attraverso la comunicazione sia frontale sia mediata dalla tecnologia;
• dimensioni affettive dei servizi: interazioni sottili e non fondanti che dicono
qualcosa su come l’azienda si senta nei confronti del cliente.
Questa visione di come si determini la soddisfazione del cliente è più efficace, in quanto
incorpora un’ampia gamma di fattori e riconosce l’importanza del contatto personale. La
soddisfazione del cliente e la qualità delle relazioni con i clienti sono collegate, in modi diversi,
con persone e contesti diversi. Rappresenta tuttavia un fattore comune a entrambi il valore
percepito dell’interazione tra le parti.
12.6.2 – MISURARE LA QUALITA’ DEL SERVIZIO OFFERTO
Misurare la qualità di un service encounter costituisce un fattore importante nella gestione delle
aziende la cui attività principale è costituita dai servizi. Per definire la qualità di un servizio è
necessario tenere presente che saranno le aspettative dei clienti a dare forma alla loro percezione
di quello che sarà realmente il loro service encounter. I clienti, quindi, confrontano il servizio
percepito con il servizio atteso.

211
Se il servizio percepito soddisfa o addirittura supera le aspettative, i clienti ne risulteranno
soddisfatti e saranno molto più propensi a ritornare in futuro. Se il servizio percepito scende al di
sotto di quanto previsto, viceversa, potrebbero risultarne delusi e non ritornare.
Sono stati proposti diversi modelli per aiutare le aziende a raggiungere livelli di servizio coerenti,
tra i quali per esempio la richiesta ai clienti di valutare le prestazioni di un incontro di servizio,
che cosa si attendessero da un servizio rispetto a ciò che era stato loro fornito, e di confrontare le
prestazioni di ciascuno degli elementi che componevano il servizio con la percezione della
rilevanza di ciascuno di questi. Ogni approccio presenta punti di forza e di debolezza, ma
l’approccio che ha ricevuto maggiore attenzione è SERVQUAL (o modello dei gap) sviluppato da
Parasuraman et al. (1988). Per alcuni, rappresenta l’approccio di riferimento per la gestione della
qualità del servizio.
SERVQUAL si basa sulla differenza tra il livello di servizio atteso e il livello di servizio
effettivamente percepito. Questo approccio presuppone l’esistenza di un divario complessivo di
qualità del servizio che si suddivide in cinque sottovarianti, vale a dire:457
• GAP 1: il divario tra le aspettative del cliente e la percezione da parte
del management. Non comprendendo correttamente le esigenze dei clienti, il
management indirizza le risorse verso aree inappropriate. Ad esempio, gli
operatori dei servizi ferroviari possono pensare che i clienti vogliano spazi per
riporre i bagagli a mano, mentre in realtà quello che vogliono è un posto a sedere
in un ambiente confortevole e sicuro.
• GAP 2: il divario tra la percezione del management e le specifiche di
qualità del servizio. In questo caso, il management percepisce correttamente i
desideri del cliente ma non riesce a stabilire uno standard di prestazione, non
riesce a definirlo con chiarezza oppure ne definisce uno irrealistico e
irraggiungibile. Ad esempio, l’operatore ferroviario comprende il desiderio dei
clienti di avere un posto comodo, ma non specifica il numero di posti da fornire in
relazione al numero previsto di passeggeri su ogni tratta.
• GAP 3: il divario tra le specifiche di qualità del servizio e l’erogazione
del servizio stesso. In una situazione di questo tipo, l’erogazione dei servizi non
corrisponde alle specifiche di servizio. Ciò può essere dovuto a errore umano, a
una scarsa formazione, a un guasto o a una carenza nella tecnologia necessaria per
la fornitura di alcuni elementi del servizio. Ad esempio, il servizio a buffet su un
treno può essere percepito come scadente in quanto l’operatore del carrello è stato
maleducato perché non aveva ricevuto una formazione adeguata o perché il
fornitore non aveva consegnato i panini in tempo.
• GAP 4: il divario tra l’erogazione dei servizi e le comunicazioni esterne.
La promessa di servizio presentata negli annunci pubblicitari, sul sito web e nella
documentazione di vendita aiuta a stabilire quali possano essere le aspettative dei
clienti. Se tali promesse non vengono realizzate nell’erogazione del servizio, i
clienti ne traggono insoddisfazione. Ad esempio, se un annuncio pubblicitario
mostra l’interno di un treno con sedili comodi e molto spazio e il cliente salendo
sul treno trova invece soltanto carenza di spazio e mancanza di posti a sedere,
significa che la comunicazione ha fuorviato i clienti e distorto la loro visione di ciò
che si sarebbero potuti realisticamente aspettare.
• GAP 5: il divario tra servizio percepito e servizio atteso. Si tratta di un
divario causato da un fraintendimento da parte dei clienti della qualità del servizio
in relazione a ciò che si aspettano. Ciò può essere dovuto alla presenza di uno o
più dei gap precedentemente elencati. Un cliente potrebbe per esempio presumere
che la mancanza di informazioni nel momento in cui un treno si ferma per un
periodo di tempo inaspettatamente lungo sia dovuta all’ignoranza o a un
atteggiamento espresso nel commento «non ci dicono mai nulla». Questo silenzio
può essere in realtà dovuto a un guasto o a una carenza nel sistema di
comunicazione interna.
Tramite questo approccio fondato sui «GAP» sono state stabilite cinque diverse dimensioni della
qualità del servizio.

212
1. Affidabilità: l’accuratezza e la garanzia della qualità di erogazioni ripetute del
servizio.
2. Reattività o capacità di risposta: la disponibilità e la volontà del personale a
fornire un servizio tempestivo.
3. Garanzia: la cortesia, la fiducia e la competenza dei dipendenti.
4. Empatia: la facilità e la cura personalizzata mostrate nei confronti dei clienti.
5. Aspetti tangibili: l’aspetto dei dipendenti, l’ubicazione fisica e ogni struttura e
attrezzatura, nonché i materiali di comunicazione.
Il modello SERVQUAL prevede l’utilizzo di un questionario contenente domande basate su
queste cinque dimensioni. Sono predisposte 22 domande riguardanti le aspettative e altre 22
domande identiche che riguardano le percezioni. Una volta completato dai clienti, offre al
management 458l’opportunità di adeguare le aree in cui le prestazioni del servizio sono percepite
come meno soddisfacenti e di imparare dalle persone, congratulandosi con loro per i vari
elementi di successo. Sebbene il SERVQUAL sia stato ampiamente utilizzato, non è privo di
problemi. Le difficoltà riguardano le diverse dimensioni che i clienti utilizzano per valutare la
qualità, che variano a seconda delle situazioni. Possono esserci, inoltre, incoerenze statistiche
associate alla misurazione delle differenze e delle tecniche di punteggio e dei problemi di
affidabilità associati alla richiesta rivolta ai clienti riguardo alle loro aspettative successivamente
al consumo di un servizio (Gabbott e Hogg, 1998). Le idee riguardo alla misurazione della
soddisfazione vengono infine superate man mano che la comprensione dell’esperienza del cliente
diventa sempre più nota. All’analisi di questi aspetti è dedicata la prossima sezione.
12.7 – ESPERIENZA DA PARTE DELLA CLIENTELA
Il percorso di questo capitolo è iniziato con l’esplorazione dell’evoluzione delle pratiche di
marketing legate al marketing dei servizi, per poi passare a considerare le relazioni con i clienti.
Il capitolo si conclude con un’analisi delle esperienze dei clienti (Maklan e Klaus, 2011).
Molte aziende, tra cui Withers Worldwide, ora tengono in considerazione l’idea che fornire un
servizio clienti di qualità superiore sia di sostegno nel processo decisionale dell’acquisto e della
sua ripetizione. Per molto tempo si è ritenuto che la qualità del prodotto e il prezzo fossero
sufficienti a differenziare i prodotti stessi. Ormai la qualità del prodotto non costituisce più
l’unico modo per stabilire un vantaggio competitivo, a causa dell’accorciamento dei cicli di vita
dei prodotti e dell’evoluzione delle tecnologie. Il servizio, sebbene difficile da fornire in maniera
coerente, è difficilissimo da replicare ed è divenuto un aspetto importante della gestione del
cliente. Sebbene importante, la soddisfazione del cliente da sola non è sufficiente a fornire un
quadro completo. Di altrettanto interesse è la «customer experience». Come Prahalad e
Ramaswamy (2004: 137, citato da Iyanna et al., 2012) suggeriscono, la letteratura sul valore non
è più rappresentata dai beni e servizi, o dalle relazioni, ma «ora è incentrata sulle esperienze dei
consumatori».
Il valore del cliente è considerato da un numero crescente di accademici e professionisti come
l’attività centrale del marketing (Iyanna et al., 2012) e tale valore è ora al centro dell’esperienza
dei clienti. Le implicazioni per il marketing sono esposte in modo chiaro da Meyer e Schwager
(2007: 118) quando affermano che «l’esperienza del cliente comprende ogni aspetto dell’offerta
di un’impresa – la qualità della customer care, ma anche gli annunci pubblicitari, il packaging, le
caratteristiche dei prodotti e servizi, la facilità di uso e l’affidabilità (per una comprensione più
approfondita delle problematiche derivanti dall’adozione di una prospettiva di customer
experience)

L’importanza e il significato della customer experience, sia per gli individui sia per la società, è
stata definita per la prima volta da Pine e Gilmore (1998) laddove fanno riferimento
all’«experience economy» o economia esperienziale, termine che viene usato frequentemente
dagli autori e dai ricercatori in quest’area. Chang e Horng (2010) suggeriscono che i ristoranti a
tema, come Starbucks e Hard Rock Cafe, costituiscono i migliori esempi di customer experience.
Questi marchi non hanno solo a che fare con il consumo di caffè, ma anche con una situazione o
un ambiente nei quali il consumo dei servizi ha luogo e in cui si sviluppano le relazioni, fornendo
nel complesso al cliente un’esperienza significativa e di valore. Ismail e colleghi (2011) fanno

213
invece riferimento alla tendenza a creare esperienze uniche per i clienti al fine di sviluppare un
vantaggio competitivo, qualcosa che sia sostenibile soprattutto per coloro che operano nel settore
dei servizi, dove la replica è molto difficile.
Prima di passare a esplorare le caratteristiche e le problematiche collegate all’esperienza del
cliente, è utile considerare il modo in cui viene definito il concetto rispetto al quale il consenso è
stato scarso. Alcuni dei tentativi più significativi sono riportati nella Tabella 12.4.

Fonte Definizioni
L'individuo sta sperimentando il processo nel momento in cui dispone di:
Csikszentmihalyi (1977: […] un fluire unificato da un momento all’altro, nel quale ha il controllo delle
36) sue azioni e nel quale è presente una scarsa distinzione tra sé e l’ambiente, tra
stimolo e risposta, tra passato, presente e futuro
Holbrook e Hirschman L’esperienza è definita come un evento personale, spesso con un importante
(1982), citati in Carù e significato emotivo, fondato sull’interazione con stimoli rappresentati dai
Cova (2003) prodotti o servizi consumati
L’impressione di take-away prodotta dagli incontri delle persone con prodotti,
Carbone e Haeckel
servizi e aziende, una percezione che si produce quando gli esseri umani
(1994: 8)
consolidano le informazioni sensoriali […]
Dal punto di vista del cliente:
Le esperienze coinvolgono l’intero essere vivente. Spesso sono il risultato
Schmitt (1999: 60)
dell’osservazione diretta e/o della partecipazione all’evento, che siano reali,
oniriche o virtuali
[…] un’interazione tra un’organizzazione e un cliente. Si tratta di un mix delle
prestazioni fisiche, delle stimolazioni sensoriali e delle emozioni evocate da
Shaw e Ivens (2002: 6)
parte di un’azienda, ciascuna misurata intuitivamente rispetto all’esperienza del
cliente in tutti i momenti di contatto
L’esperienza del cliente deriva da una serie di interazioni tra un cliente e un
prodotto, un’impresa o parte della sua organizzazione, che provocano una
reazione. Questa esperienza è strettamente individuale e implica il
Gentile et al. (2007: 397) coinvolgimento del cliente a diversi livelli (razionale, emotivo, sensoriale, fisico
e spirituale). La sua valutazione dipende dal confronto tra le aspettative del
cliente e gli stimoli provenienti dall’interazione con l’impresa e la sua offerta in
corrispondenza dei diversi momenti di contatto o touch-point
[…] risposte soggettive, risposte interne al consumatore (sensazioni, sentimenti
e cognizioni) e risposte comportamentali evocate da stimoli collegati al brand
Brakus et al. (2009: 53)
che fanno parte del design e dell’identità di un marchio, del packaging, delle
comunicazioni e degli ambienti […]
Emozioni provocate, sensazioni provate, conoscenze ottenute e competenze
Ismail et al. (2011) acquisite attraverso il coinvolgimento attivo con l’impresa, prima, durante e
dopo il consumo

Definizioni di esperienza
Esistono alcune somiglianze tra molte di queste sfide. L’esperienza del cliente è vista come un
evento individuale e come una reazione emotiva successiva a un’interazione diretta e indiretta
con un’azienda. Si riferisce anche a eventi che avvengono o sono avvenuti prima, durante o
avverranno dopo il consumo. Il punto cruciale sta forse nel fatto che non è possibile per due
persone avere o condividere la stessa esperienza (Pine e Gilmore, 1998). Di conseguenza, il
compito di gestire e misurare le esperienze dei clienti risulta intrinsecamente complesso.
Per aiutarci a districare una parte di questa complessità, Pine e Gilmore (1998) distinguono
quattro diversi campi di esperienza, basati su due dimensioni, che riguardano la partecipazione

214
di un cliente a un’esperienza (debole/passiva o attiva/forte) e la connessione del cliente con
l’ambiente dell’esperienza o con la relazione ambientale (dall’assorbimento/debole
all’immersione/forte).
I quattro campi di esperienza che emergono da queste dimensioni sono i seguenti.
• Reame educativo: emerge quando gli individui imparano e migliorano le proprie
abilità e conoscenze a seguito di eventi che si svolgono prima di loro (Pine e
Gilmore, 1999; Oh et al., 2007).
• Reame di intrattenimento: emerge quando un individuo assiste a una
performance, ascolta musica o legge per svago, azioni durante le quali l’esperienza
viene assorbita passivamente (Pine e Gilmore, 1999).460
• Reame estetico: emerge quando un individuo apprezza passivamente un evento o
un ambiente, ma se ne allontana senza influire o alterare la natura dell’ambiente
(Pine e Gilmore, 1999; Oh et al., 2007).
• Reame di evasione: emerge quando gli individui si immergono completamente
nell’ambiente e partecipano attivamente, così da influire sulle reali prestazioni o
eventi dell’ambiente stesso (Pine e Gilmore, 1999; Oh et al., 2007).461
Questo approccio ha in seguito portato a una ricerca focalizzata sui modi in cui le esperienze
vengono prodotte, raccontate e mediate (Lofgren, 2008).
Diversi autori hanno contribuito a quelle che potrebbero essere definite le dimensioni chiave
della customer experience. Tra questi, Nysveen e Pedersen (2014) hanno utilizzato le dimensioni
evidenziate da Brakus e colleghi (2009) – ossia sensoriali, affettive, intellettuali e
comportamentali – e hanno aggiunto un’ulteriore dimensione relazionale, come determinato da
Nysveen e colleghi (2013).
• La dimensione sensoriale fa riferimento alla misura in cui un marchio attrae e
lascia impressioni sui sensi dei consumatori.
• La dimensione affettiva fa riferimento a quanto sia forte l’effetto emotivo e
sentimentale che un marchio suscita sui consumatori.
• La dimensione intellettuale (o cognitiva) fa riferimento alla capacità di un
marchio di stimolare la curiosità, il pensiero e la capacità di risoluzione dei
problemi da parte del consumatore.
• La dimensione comportamentale fa riferimento alla maggiore efficacia di un
marchio nel coinvolgere i consumatori nelle loro attività.
• La dimensione relazionale fa riferimento alla maggiore o minore capacità di
un’esperienza di creare valore per i clienti guidando l’impegno sociale, fornendo
un’identità sociale e un senso di appartenenza.
I dati che Nysveen e Pedersen (2014) hanno ricavato dalle loro indagini hanno convalidato
l’importanza di tutte queste dimensioni. Essi hanno tuttavia sottolineato l’importanza della
dimensione relazionale e la sua forte influenza positiva sia sulla soddisfazione rispetto al marchio
sia sulla stessa fedeltà al marchio.
CASE HISTORY 2
Fondata a Londra nel 1896, Withers Worldwide ha un fatturato globale di oltre 200
milioni di dollari, 163 partner, impiega più di 1.000 persone, ha clienti in oltre 80
Paesi, il 42% dei quali è presente nella top 100 della Rich List, o lista dei ricchi
del Sunday Times, mentre il 20% è presente nella top 100 di quella di Forbes. Ne
parliamo con Laura Boyle (nella foto), responsabile marketing e sviluppo dell’UE,
per scoprire in che modo Withers lavora per migliorare la qualità delle sue
relazioni con i clienti.
«Predicendo la natura globale del capitale privato, oltre un decennio fa Withers, che era allora
soltanto uno studio legale di Londra, ha iniziato a fare qualcosa che gli studi legali non avevano
mai fatto prima: sviluppare un’offerta veramente internazionale per la ricchezza globale.
Scegliendo i centri globali della ricchezza privata, come studio intendiamo soddisfare le esigenze

215
in continua evoluzione dei nostri clienti. Oggi, siamo il più grande studio legale focalizzato sulle
esigenze della ricchezza privata del mondo, con 18 uffici negli Stati Uniti, in Europa, nell’Asia
Pacifica e nei Caraibi. Altri studi legali concentrati su questo mercato hanno, fino a poco tempo
fa, operato su base nazionale. Come organizzazione professionale di servizi, assicurarsi che i
nostri dipendenti comprendano la nostra strategia e il nostro marchio è fondamentale, dal
momento che essi sono in contatto con i nostri clienti e incarnano l’esperienza del cliente.
Considerata la rapidità della nostra espansione, mantenere tutti informati sugli sviluppi ha
rappresentato una vera sfida. Oltre alle consuete comunicazioni 465interne, come newsletter,
intranet e leadership briefing, abbiamo dato vita alla Withers television ovvero schermi televisivi
collocati in punti bene in vista nei nostri uffici. Attraverso questi condividiamo gli aggiornamenti
delle daily news, su clienti e sul nostro personale, in modo che ognuno si trovi nella posizione
migliore per sentirsi parte del marchio Withers Worldwide e sapere come parlarne all’esterno.
Ciò favorisce inoltre una maggiore comunicazione personale, ad esempio con la comunicazione
delle sessioni annuali dell’Assemblea generale per tutto lo staff. Eseguiamo dei programmi di
inserimento standardizzati per i nuovi iscritti e a ogni team viene assegnato un business
development manager, che agisce come un key account manager per i clienti interni, collegandoli
alla strategia centrale, al marchio e al nostro approccio di best-practice o migliori pratiche. La
variabilità della nostra offerta di servizi in tutto il mondo è un vero vantaggio per i nostri clienti:
rappresenta il nostro modo di fornire servizi su misura. Abbiamo bisogno di avvocati che
dispongano di supporto legale associato, che operino in diverse aree di specializzazione e a
diversi livelli di esperienza, per fornire un servizio completo e al miglior prezzo possibile per la
clientela. Qualsiasi conversazione avviata con un potenziale cliente prende, prima di tutto, in
considerazione le sue esigenze. Successivamente provvediamo a calibrare l’input del tempo
richiesto per i senior partner, insieme al supporto di cui avvocati e consulenti e assistenti legali
più giovani avranno bisogno. Evitiamo il più possibile ogni potenziale problema derivante dalla
variabilità della qualità del servizio, attraverso la nostra funzione di marketing, che ha al suo
interno specialisti nella gestione delle relazioni con i clienti. Richiediamo un feedback ai nostri
clienti, ma anche a coloro che ci referenziano e ci raccomandano ai propri clienti. Il nostro team
di apprendimento e sviluppo offre un programma globale di formazione dei dipendenti,
assicurando che, man mano che cresciamo e acquisiamo nuovi team di avvocati, vengano guidati
a lavorare secondo il nostro stile, il Withers way of working. Lavoriamo duro anche per garantire
che la conoscenza che abbiamo collettivamente accumulato nel corso degli anni venga condivisa
in tutti gli uffici, attraverso un sistema globale. Il problema che abbiamo avuto è stato sul modo
in cui cercavamo il feedback dei clienti. Siamo sempre stati focalizzati sul rapporto personale
ricercando feedback specifici sulla situazione e abbiamo definito una qualità su misura incentrata
sul consulente di fiducia e sulla relazione cliente-avvocato. Ma se avevamo una buona idea di
dove eravamo competenti e di dove invece esistessero dei problemi, non avevamo una visione
centrale del modo in cui i clienti percepissero la qualità del nostro servizio».

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