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Introduzione al Marketing

Una delle parole chiave del marketing è il consumatore: al centro delle logiche di marketing
abbiamo infatti il consumatore, in particolare la soddisfazione del consumatore.
Approfondiremo questo argomento nel dettaglio nel corso delle lezioni, perché cercheremo
di capire quali sono gli strumenti che possiamo adottare per applicare il marketing a qualsiasi
campo. Il marketing alla fine è uno solo, occorre solo capire quali sono i suoi strumenti per
poterlo applicare in maniera rigorosa su ogni campo su cui lo vorremo applicare. Il marketing
è una disciplina ha degli aspetti, delle regole, degli strumenti e dei metodi che possono
essere applicati per ottenere risultati soddisfacenti. Il buon marketing, però, guarda al
mercato in una maniera critica; esso osserva e studia il mercato. Un modo per raggruppare
i consumatori, rispetto a dei criteri che stabiliamo a priori, ci permette di raggruppare i
clienti, i consumatori finali secondo cluster, ovvero gruppi omogenei al loro interno. Quando
si parla di marketing, si pensa anche alla pubblicità, che è la parte più appariscente ed
estetica del marketing; ma in realtà il marketing non è solo questo, è anche lo studio della
concorrenza, lo studio del consumatore, ma è anche vendite, nasce ed è uno strumento che
ci permette di commercializzare i nostri prodotti; nel commerciare i nostri prodotti noi
cerchiamo di renderli appetibili sul mercato e vantaggiosi rispetto a quelli dei concorrenti. Il
marketing molto spesso è promozione, scontistica, buono sconto, omaggio; oppure ci si può
soffermare sul prezzo: esso, infatti, è sicuramente un altro modo per comunicare il valore di
un prodotto (prezzo alto, qualità alta). Oggi il marketing non può considerare internet come
un canale di vendita, ma anche come un mercato dove operare, oggi infatti si parla di digital
marketing proprio per delineare le opportunità offerte da internet non soltanto in termini
di commercio elettronico, ma anche in termini di modalità per poter interfacciarsi con il
cliente. Anche il digital marketing sta veramente prendendo piede, sta potenziando il
marketing, perché rispetto alla disciplina di base, il digital marketing fa qualche passo in più,
ed è potenziato dalle opportunità offerte da internet, ma anche dalle possibilità offerte dal
consumatore che proprio nel digitale ha molto più potere di prima. Nel marketing è
importante anche il concetto e la parola target. Target è una parola tecnica che indica il
gruppo, la tipologia di consumatori che vuole essere raggiunto dall’impresa; l’impresa,
infatti, ha un target di riferimento che vuole raggiungere con la propria offerta.
Andiamo a fare un passo avanti. Parlando di marketing abbiamo già visto alcune
terminologie che ci fanno entrare nel vivo di questa disciplina. Un aspetto che oggi è molto
preso in considerazione che sta cambiando le logiche del marketing, aprendole sempre di
più al mercato, è il concetto di valore. Il marketing accresce il valore, ovvero riesce a dare
valore aggiunto all’impresa, alla domanda e alla società. All’impresa permettendogli di
raggiungere i profitti attesi; dal punto di vista della domanda il marketing aiuta a soddisfare
le esigenze della domanda dando un prodotto che abbia un valore aggiunto rispetto a quello
dei prodotti della concorrenza; per la società, perché può anche essere sostenibile, questo
se c’è una cultura aziendale che lo permetta un’apertura al mercato, da cui riceve
informazioni che incanala nell’ambiente organizzativo per trasformarle in soluzioni consone
alla soddisfazione dei bisogno del cliente, ma anche alla soddisfazione dei bisogni
dell’impresa. Il tutto in termini sostenibili; si vuole infatti rispettare le esigenze di un
ambiente in continua evoluzione. Ed ecco che oggi si parla di marketing sostenibile ovvero
di un marketing che guarda alle sensibilità legate alla cura dell’ambiente e alla riduzione
dell’inquinamento. La parola chiave qui è ambiente. Per un valore aggiunto il consumatore
è disposto a pagare un prezzo. Per valore aggiunto l’impresa sostiene costi aggiuntivi magari
migliorativi del prodotto, oppure la società per avere un maggiore valore aggiunto è disposta
a sostenere attività che sono sostenibili in termini di rispetto dell’ambiente. Il marketing è
una funzione organizzativa, un insieme di processi tesi a creare, comunicare e fornire valore
ai clienti e gestire l’interazione con il cliente, in modo da beneficiarne l’organizzazione e le
parti interessate. Questa definizione viene dall’American Marketing Association, AMA, che
definisce marketing prima di tutto come una funzione organizzativa, ma lo guarda anche
come un processo volto a creare e anche comunicare e fornire valore ai clienti, ma anche
volto a gestire una relazione duratura con i clienti. In questa definizione un po’ ci sono e
tornano parole che abbiamo visto all’inizio: clienti, relazioni, ecc. per parti interessate
abbiamo a che fare con tutti gli stakeholder, il marketing infatti ha a che fare con tutti i
portatori di interesse. Il marketing si pone nel mezzo tra l’esterno e l’interno
dell’organizzazione. All’esterno è come una finestra sul mercato, guarda osserva studia e
analizza i dati, trasformandoli in informazioni e tali informazioni poi le va a restituire
all’organizzazione sotto forma di informazioni, dati conoscitivi che permettono al processo
decisionale di prendere decisioni. Questo immagazzinamento da parte dell’organizzazione
produce delle decisioni, ad esempio l’introduzione di un nuovo prodotto sul mercato. E
quindi il marketing propone ed entra nel circuito aziendale dove le funzioni, come la
logistica, la produzione, le risorse umane, ecc, si mettono in moto per realizzare il nuovo
prodotto che soddisfa i bisogni del mercato. Poi comincia un processo di scambio con la
grande distribuzione: in questo momento possiamo parlare di marketing distributivo, ovvero
la relazione del produttore con il distributore.
Torniamo sul nostro focus, marketing ha a che fare con il valore per i clienti, con il concetto
di gestione della relazione con i clienti per dare un beneficio sia all’organizzazioni sia alle
parti interessate. In realtà il marketing si divide in due parole: market + ing; market che
denota l’ambiente dove avvengono le relazioni di scambio e ing che richiama al principio di
continuità dell’azione di investimento sul mercato. Questo ing è fondamentale perché il
compito del marketing non è solo fornire valore ai clienti e vendere il prodotto sul mercato,
ma è anche saper gestire le relazioni con i clienti, ovvero fare in modo che quel cliente diventi
un cliente fedele. Per il marketing è importante creare relazioni durature; tutta la parte del
marketing relazionale è funzionale alla realizzazione di piani mirati volti a rendere duratura
la relazione con il cliente. Anche qui abbiamo tecniche per capire quali sono i clienti su cui
investire, ma è anche importante capire quale siano le tecniche per far si che il cliente da
fidelizzato diventi proprio un “ambasciatore” del brand e dell’impresa e con il suo passa
parola inneschi un principio virtuoso di pubblicità positiva del brand. L’elemento della
continuità nel marketing è fondamentale. La continuità del marketing si sostanza
nell’innovazione dell’offerta e in questo un’area principale di investimento è la produzione.
Il marketing con la produzione va a nozze. Abbiamo numerosi esempi di prodotti di
marketing innovativo che sono riusciti ad avere un grandissimo successo sul mercato, così
come dobbiamo dire che ci sono anche degli esempi di marketing e di innovazione che non
sono andate a buon fine. Può succedere di far uscire un prodotto troppo precoce o che
invece non va a rispondere ai bisogni di mercato. Un esempio è la Colgate che aveva
realizzato la pizza surgelata; ovviamente questa è un’innovazione di marketing fallimentare,
perché quando parliamo di posizionamento del brand sul mercato, non facciamo altro che
sottolineare quale è l’immagine del brand nella mente del consumatore. Il consumatore ha
classificato in questo caso Colgate nella categoria della cura della persona e quindi la vede
in termini di questa categoria merceologica e non nella categoria food o dei surgelati. È stato
ovviamente un flop. L’altro aspetto fondamentale è che quando parliamo di continuità del
marketing noi non possiamo non tenere conto del concetto di ricordo della marca, il
cosiddetto top of mind. Ci sono dei test veri e propri: se ci dicono di pensare ad una bibita
analcolica, subito pensiamo prima a coca cola e poi alla pepsi. Nel marketing è quindi
fondamentale innestare il ricordo, ovvero fare in modo che il consumatore possa ricordare
sempre il nome del brand da dover acquistare. Questo dovrebbe essere il top per un
direttore marketing, ovvero il fatto che quello che mi ricordo non è tanto la categoria
merceologica ma proprio il nome del brand. Per farlo prioritari sono la comunicazione e
l’engagment, anche quest’ultimo è molto importante e attualissima, e significa
coinvolgimento. Più il cliente è coinvolto, più ricorderà la marca, e più sarà fedele alla marca.
L’altro elemento della continuità è la reperibilità dei prodotti e l’accesso ai servizi. Nel
marketing deve essere continuativa la possibilità per un consumatore di trovare i prodotti
che gli interessano. Un consumatore è disposto a cambiare negozio se non trova il suo
prodotto preferito sullo scaffale. La reperibilità dei prodotti e l’accesso ai servizi diventa
fondamentale, ecco perché quando decidiamo i nostri canali distributivi dobbiamo sempre
pensare alla tipologia di prodotto che stiamo vendendo e quali sono le aree che vengono
servite. Il consumatore può trovare facilmente il prodotto a scaffale o sui luoghi dove
solitamente va a acquistare il prodotto, e così via. Qui l’area di interesse sarà la logistica e la
distribuzione, in base alla tipologia di prodotto cambierà la scelta del canale distributivo e
questo anche è fondamentale. Internet dà la possibilità di disponibilità di un prodotto o di
un servizio a 360 gradi; oggi forse si pone il problema opposto, c’è una omnicanalità, ovvero
un numero di canali distributivi elevato, per cui si complica la scelta dei canali distribuitivi
più corretti, quelli a cui poi il consumatore attingerà. La profilazione online oggi è all’ordine
del giorno, perché se sanno dove spesso guardiamo e dove andiamo a guardare, sanno dove
concentrare la pubblicità. E poi un altro concetto che ritorna è la relazione con la clientela,
la relazione è fondamentale per garantire continuità della vendita del prodotto sul mercato,
ma per garantire anche reputazione e storicità del brand ed è fondamentale per avere dei
clienti fidelizzati che diventino ambasciatori del brand. È meno costoso tenere un cliente di
medio-lungo periodo che acquisirne uno nuovo: andare ad intercettare il cliente,
raggiungere il cliente, poi vai a convincerlo, ad informalo, questo comporta un investimento
di marketing molto forte, in termini di comunicazione, di ricerche di mercato e così via, ma
considerate invece un consumatore già acquisito è meno costoso non solo raggiungerlo, ma
anche convincerlo a comprare un prodotto complementare o un servizio aggiuntivo.
Quest’area che è l’area del Customer relationship management, è un’area fondamentale
oggi che prevede anche delle skill ad esempio le social capability, ovvero la capacità di
relazionarsi con il cliente, aspetto che va per la maggiore. Proprio perché parliamo di
relazione dobbiamo capire l’importanza del marketing per tutte le altre funzioni aziendali;
al marketing è affidato il compito di impostare e realizzare delle vere e proprie relazioni,
perché ad esempio con la produzione si interfaccia per stabilire volumi, per le innovazioni;
si interfaccia con i clienti intermedi o finali per capire le preferenze e soddisfarle; si
interfaccia con il canale delle vendite per quanto riguarda i piani commerciali; si interfaccia
anche con la finanza per la definizione di prezzi e margini e per quanto riguarda gli
investimenti da effettuare per arrivare all’obiettivo; si interfaccia con tutte gli stakeholder,
attraverso le pubbliche relazioni, che sono uno strumento, una leva delle comunicazioni del
marketing. Il marketing si interfaccia con tutti questi soggetti e il suo cuore è proprio lo
scambio; nello scambio sono importanti le parti dello scambio, il risultato dello scambio,
l’oggetto e l’orizzonte temporale dello scambio. Per quanto riguarda le parti e i risultati dello
scambio abbiamo 4 sistemi esistenti: mercati btb, btc, ctc, btg. In realtà le parti coinvolte
sono il compratore e il venditore, il compratore che può essere un’impresa, un consumatore,
una pubblica amministrazione e poi il venditore, che può essere l’impresa o il consumatore.
Queste due parti, compratore e venditore, possono assumere persone differenti; possiamo
avere un produttore barilla, il venditore come la persona fisica, un soggetto che vende
prodotti come abbigliamento usato e il rivenditore che può essere il distributore. Dal lato
del compratore abbiamo diverse tipologie di soggetti: l’impresa stessa, in questo caso
abbiamo a che fare con i mercati business to business, in cui un’impresa vende ad un’altra
impresa. Abbiamo poi un compratore che può essere una persona fisica, che acquista dal
produttore, parliamo quindi di mercati business to consumer; oppure abbiamo il caso in cui
anche il venditore è una persona fisica, e quindi parliamo di mercati consumer to consumer
(es. Ebay). Il compratore può essere anche la pubblica amministrazione, in questo caso ci
sono delle gare d’appalto e il tutto è molto regolamentato e in questo caso abbiamo un
mercato business to governament. Un altro compratore potrebbe essere il distributore, ma
possiamo avere una relazione distributore distributore: ad esempio il grossista che vende
prodotti alla coop. Ma quali sono le differenze tra questi tipi di mercato? Nel rapporto
business to business il rapporto tra impresa e impresa avviene in mercati di scambio molto
professionali e complessi e di importante rilevanza economica; nei mercati business to
consumer il destinatario e il consumatore finale rappresenta l’unico anello della catena di
valore. Nei mercati btb noi abbiamo pochi grossi acquirenti, in quelli btc abbiamo tanti
piccoli acquirenti e sono anche differenti le modalità di acquisto nei mercati btc è più facile
acquistare, in quelli btb è più difficile e complicato acquistare. Un’altra cosa molto
importante sono le relazioni: nei mercati btb abbiamo partnership profonde, nei mercati btc
abbiamo relazioni profonde; mentre nel btb è importante collaborare, lavorando a stretto
contatto, il mercato 1to1 è fondamentale qui e qui la relazione con il cliente impresa diventa
proprio strategico, nel btoc c’è la necessità di comunicare cercando di intercettare un
consumatore difficile da intercettare; mentre quindi nel btb è più facile instaurare una
partnership, nel btoc abbiamo bisogno di molto tempo e la fiducia si costruisce con la
presenza e con la relazione; si tratta di relazioni durature, ma è difficile che il consumatore
resti fedele. Nei mercati della telefonia, il cliente è sì fedele, ma una buona promozione
potrebbe portarlo alla concorrenza. La relazione qui è molto difficile. Tornando sempre alla
logica dello scambio abbiamo parlato sopra dei soggetti dello scambio, ora parliamo del
risultato perseguito dallo scambio, ovvero il ricavo, inteso come prezzo*quantità; il ricavo
potrebbe essere l’obiettivo, e in questo caso parliamo di organizzazione profit oriented,
dove il ricavo deve essere superiore rispetto ai costi sostenuti per la realizzazione del
prodotto, oppure in organizzazione non profit oriented, invece, dove l’obiettivo non è il
ricavo, ma è il punto di pareggio, perché ci sono altre finalità sociali che supportano e
sostengono le attività di marketing. Abbiamo qui il marketing delle imprese non profit.
L’oggetto dello scambio qui è il prodotto, ma dobbiamo distinguere in bene e servizio. Il
product offering non è altro che tutti gli aspetti di un prodotto che lo arricchiscono e che lo
impongono sul mercato con una caratteristica distintiva: è dato dal prezzo, dal packaging,
dal brand. Ognuno ha un product offering diverso, il marketing deve essere in grado di
posizionare il prodotto sul mercato in maniera distintiva. Ciascuna delle parti coinvolte in
uno scambio può interpretare l’orizzonte temporale in due modi: in maniera immediata o di
lungo termine; in maniera immediata parliamo di one shoot. Nello scambio quando è
immediato parliamo solo di transazione: il venditore che vende un prodotto ad un
consumatore. Quando invece lo scambio ha un orizzonte temporale medio lungo parliamo
di relazione, ovvero il venditore considera la vendita come principio di un rapporto si
cambio, ovvero una vera e propria relazione, ad esempio, che si instaura con un
abbonamento a teatro. Dobbiamo infine parlare di quella dinamica che ci sta dietro allo
scambio e che è legata al fatto che il produttore, il distributore o il cliente non sono dei
soggetti a sé stanti ma interagiscono in continuo tra di loro e nell’interagire hanno un loro
obiettivo da soddisfare ciascuno. Anche il consumatore ha un obiettivo, che non è il profitto
ma la soddisfazione di un bisogno; il suo ricavo, ad esempio, non sarà il ricavo del produttore
o del distributore, ma avrà a che fare con la soddisfazione di un bisogno funzionale o di un
bisogno turistico o esperienziale. La remunerazione per il distributore è il prezzo che il
consumatore è disposto a pagare per soddisfare il suo bisogno. Tra produttore e distributore
vi è il primo passaggio fondamentale, in questo caso dal punto di vista del distributore il
produttore non fa altro che approvvigionare di beni il distributore, in questo caso il
distributore seleziona i produttori per decidere con quali prodotti formare il proprio
assortimento da andare a proporre al consumatore finale e dal punto di vista del produttore,
il distributore non è altro che la domanda primaria, ovvero il primo passaggio di proprietà
avviene tra produttore e distributore. La cosa è il secondo passaggio, dal distributore si passa
al cliente finale e questa è la domanda secondaria per il produttore, il sell out, la domanda
finale. La domanda finale va simulata affinché la domanda primaria possa formarsi, ecco
perché alcune pubblicità o promozioni vengono inserite grazie alla comunicazione di
marketing perché devono stimolare la domanda primaria. Deve essere stimolata la domanda
secondaria affinché si manifesti la domanda primaria. È fondamentale che tale dinamica sia
chiara. Vedremo come il distributore è fondamentale, smista la merce in modo tale da
renderla reperibile in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo al consumatore finale; ha quindi
una funzione strategica, ma prende anche parte del ricavo del produttore.
Evoluzione del marketing: market-driven management

Per quanto riguarda l’evoluzione del marketing possiamo dire che è stata la complessità,
l’evoluzione dell’ambiente e la concorrenza stessa a creare e rinforzare la funzione del
√marketing nell’organizzazione, quindi è importante a questo punto ripercorrere la storia
del marketing al fine di comprendere meglio il suo ruolo attuale

Una variabile determinante è il fattore tempo, così come anche la concorrenza; l’evoluzione
del marketing è collegata inevitabilmente all’intensità concorrenziale. In una prima fase il
marketing ha avuto un ruolo passivo nell’organizzazione, questo perché la domanda
tendenzialmente era più alta dell’offerta, per cui c’era un orientamento alla produzione.
Questo significa che le imprese tendevano a produrre ma la domanda di questi prodotti era
superiore, non c’era quindi bisogno di spingere il prodotto sul mercato. Man mano che la
concorrenza cresce si è passati ad un orientamento al prodotto e non più alla produzione;
anche in questo caso possiamo dire che il marketing ha un ruolo passivo perché l’orientamento
dell’impresa è rivolta alla realizzazione di prodotti con specifiche caratteristiche che possano
essere efficaci ed efficienti. Si punta sulla qualità ma anche sulle caratteristiche del prodotto;
non si parla di bisogno del consumatore, non si pensa che quel prodotto potrebbe essere
necessario a soddisfare i bisogni della domanda. L’intensità concorrenziale nel tempo cresce,
si parla infatti di società dei consumi, già pensando agli anni 90’ l’intensità concorrenziale è
fortissima. Nell’orientamento alla vendita l’obiettivo è vendere il prodotto quindi fare leva
sulle promozioni, sulla scontistica. In questo caso tendenzialmente la domanda è uguale
all’offerta, ovvero siamo nel caso in cui il consumatore tendenzialmente già conosce molto
bene i prodotti che vuole acquistare e quindi è necessario stimolare la domanda tramite
apposite campagne volte a spingere l’acquisto. In questa condizione di orientamento alla
vendita ci deve essere una condizione di marketing cosiddetto operativo, ovvero azioni, piani,
tattiche, volte a conquistare il cliente con le leve della produzione. Nella fase successiva
possiamo parlare di orientamento al cliente. In questo caso siamo in una fase dove l’offerta è
superiore alla domanda e quindi è importante fare leva sui bisogni del cliente. Orientamento
al cliente vuol dire capire quelli che possono essere le sue esigenze e soddisfarle nel miglior
modo possibile. Quindi non è tanto qui utilizzare prodotti tout court, ma prodotti che possono
rispondere alle esigenze di un cliente sempre più esigente. In questo caso l’analisi del cliente,
la segmentazione del mercato, l’individuazione del target giusto per il nostro prodotto diventa
fondamentale. Qui c’è un’attenzione alla realizzazione di prodotti che sono sempre più
personalizzati. Nel dire questo c’è da dire che questa è la fase attuale della funzione marketing
oggi, dove il marketing strategico assume un ruolo determinante; ma siamo anche in una fase
di orientamento al mercato. Essere orientati al mercato non vuol dire essere orientati solo al
cliente, che è uno dei principali stakeholder di un’organizzazione, ma significa anche essere
orientati agli altri stakeholder che possono essere interessati alle attività dell’impresa, quindi
non abbiamo solo a che fare con i consumatori, ma anche con i distributori, con la società
civile, con le associazioni di categoria, con le istituzioni, con il mercato in termini più ampi;
nell’orientarsi al mercato il marketing non fa altro che svolgere quella che è una sua funzione
strategica, cioè essere una finestra che si apre all’ambiente esterno, esogeno, per recuperare
informazioni che poi rielabora sotto forma di analisi, strategie e piani di azione all’interno
dell’organizzazione. Questa è un po’ una sintesi, manca un ultimo step che inquadra quelli
che sono stati gli orientamenti.

Nell’orientamento alla produzione abbiamo detto che c’è una logica legata alla value market, si dà
quindi valore al prodotto in quanto tale ma anche ai costi di produzione, l’obiettivo è quello di essere
efficaci ma soprattutto efficienti. In tale ottica abbiamo dei pro e dei contro. I contro sono che vi è
una scarsa gratificazione della domanda e poi i bassi margini unitari. Qual è invece la logica al
prodotto? L’orientamento al prodotto invece è adatto alle nicche di qualità, ovvero su una
lavorazione su commessa tipica delle produzioni artigianali. Il pro è quello di avere un prodotto di
qualità ed un miglioramento continuo delle prestazioni; di contro si trascurano le esigenze della
domanda, rischiando di perdere il contatto con il mercato. Nell’orientamento alla vendita vediamo
prodotti per lo più comuni con questo tipo di orientamento si è rivolti verso la quota di mercato,
che si riesce a far crescere; permette di raggiungere elevate economia di scala, ma di contro
troviamo l’insoddisfazione del cliente e il passaparola negativo. Nel caso di orientamento al
marketing invece c’è un orientamento al cliente, l’obiettivo è il premium market ovvero prodotti a
valore aggiunto, ci si può orientare anche a nicchie di mercato o a mercati particolarmente
competitivi. In questo caso la possibilità di avere un cliente molto soddisfatto è elevata, quindi
abbiamo una customer satisfaction elevata, una redditività elevata, ma di contro abbiamo degli
elevati costi di struttura e di gestione delle relazioni di scambio, quali le materie prime. Infine,
abbiamo un orientamento al mercato, legato oggi a quella che è la tendenza, la sostenibilità delle
strategie di marketing in un approccio di medio e lungo periodo che tenga in considerazione delle
sensibilità dei consumatori e qui potremmo aprire un mondo sull’etica del marketing, ovvero di fare
oggi un marketing basato sulla trasparenza delle informazioni e sul rispetto della privacy. In alcuni
settori potremmo ancora trovarci alla base del marketing, in cui si ha un orientamento al prodotto,
alla vendita o addirittura alla produzione, anche se ora l’auspicio è quello di avere un orientamento
al marketing o al cliente; questo accade quando si sta parlando di un settore molto statico. Questo
nel caso business to consumer; nel caso di mercato business to business un orientamento al cliente
la fa da padrona. Non dobbiamo quindi dimenticarci che abbiamo due tipi di marketing quindi, il
marketing del business to consumer, dove i prodotti sono orientati ad essere venduti ad un cliente
finale, ed un marketing business to business dove il cliente finale è un’altra impresa che utilizzerà
quel prodotto per reinserirlo nel mercato o nella sua produzione.

Come possiamo vedere dalla figura sopra, l’orientamento al marketing e l’orientamento al


mercato sono due evoluzioni differenti. Mentre nell’orientamento al marketing c’è una
centralità della funzione marketing rispetto alle altre funzioni, c’è una centralità del cliente
nel processo di sviluppo e di commercializzazione del prodotto e vi è un’attenzione al
marketing operativo anche se il marketing strategico la fa sempre da padrona,
nell’orientamento al mercato il concetto importante non è solo il cliente, ma il mercato in
quanto tale e quindi tutti gli attori che concorrono a dare feedback all’impresa in modi più
o meno diversi, per cui è necessario nell’orientamento al mercato coinvolgere tutti gli
stakeholder, vi è una maggiore interazione con questi ultimi, ma anche con tutte le altre
funzioni aziendali; la conoscenza del mercato diventa fondamentale. In realtà tutte le
imprese sono market driven oriented: questo significa che bisogna avere quella superiorità
rispetto agli altri concorrenti nel soddisfare i bisogni di mercato. Un’impresa market driven
oriented è un’impresa orientata all’innovazione ed è un’impresa che riesce ad orientare il
mercato perché ha un forte potere di mercato, avendo le risorse e la conoscenza di base che
gli permettono di gestire le dinamiche all’interno del mercato. Ha, inoltre, la capacità di
influenzare il mercato, perché ha risorse e competenze tali per poter reagire. C’è da dire
anche che un’organizzazione market driven oriented ha chiaro l’ambiente endogeno e
l’ambiente esogeno, ovvero quello interno e quello esterno che potrebbero determinare
decisioni diverse. L’ambiente esterno, quello esogeno, è importante, perché se l’impresa lo
conosce vuol dire che ha chiaro quello che succede fuori nell’ambiente politico, economico
e sociale, tecnologico, ovvero riesce ad inquadrare il mercato dal punto di vista di tutti gli
aspetti che hanno a che fare con queste dimensioni appena citate, che permettono di
definire i punti di forza e di minaccia che sono presenti sul mercato. Alla base di una realtà
di questo tipo un’azienda market driven oriented realizza un’analisi PES (politica, economica,
sociale). Ad esempio, nell’ambito politico una legge potrebbe aiutare l’impresa a sviluppare
determinati tipi di prodotti grazie a degli incentivi ad innovare, oppure la può disincentivare.
Un’impresa orientata al mercato opera attraverso il marketing, coinvolgendo anche le altre
funzioni, per capire se questa legge, ad esempio, può avere effetti positivi o negativi sulla
sua posizione di impresa; agisce in maniera reattiva a quelli che sono i cambiamenti
dell’ambiente esogeno con azioni definite con una programmazione strategica e poi
operativa. Nell’ambiente endogeno abbiamo a che fare con una capacità di comprendere il
mercato in termini di domanda e offerta, ovvero la capacità di conoscere bene il proprio
consumatore, al fine di soddisfarlo al meglio ma riesce anche a capire come stanno reagendo
i propri competitor,quindi ha un quadro chiaro dell’offerta di quel determinato
tempo/periodo; ha quindi una visione chiara di quello che accade all’interno del suo
ambiente competitivo, ma anche al suo esterno. Una gestione market oriented è un
approccio culturale che un’azienda acquisisce e che gli permette di essere efficace ed
efficiente. Nel dire questo ovviamente mettiamo a confronto capacità e comportamenti
orientati al mercato e non orientati al mercato.
Ovviamente quando noi parliamo di questo tipo di orientamento market driven, abbiamo a
che fare con la possibilità di avere prodotti migliorati, perché abbiamo la possibilità di
controllare il mercato e il suo andamento a 360 gradi, per cui possiamo anche anticipare le
mosse dei nostri competitors; con un orientamento di questo tipo riduciamo la sensibilità al
prezzo da parte dei nostri acquirenti, perché possiamo offrire prodotti ad hoc che
rispondono ai bisogno dei nostri clienti, per cui un consumatore che vede che un prodotto
dà valore aggiunto e quindi effettivamente ha la caratteristiche che vuole sarà disposto
anche a pagare un prezzo più alto. Per cui l’orientamento di questo tipo rende l’impresa più
sostenibile, significa che è l’impresa che è in grado di percepire i bisogni che provengono dai
consumatori ma anche dalla società civile. In una organizzazione market driven oriented si
ha un approccio proattivo a quelle che possono essere problematiche ambientali e sociali.
In un orientamento che non è market driven oriented, può rischiare la cosiddetta nicchia di
marketing, che è un po’ una caratteristica che riguarda per lo più l’orientamento al prodotto:
guardo soltanto alla perfezione del mio prodotto, ma non mi rendo conto che questo
prodotto potrebbe non avere mercato perché non risponde alle esigenze del consumatore.
La nicchia di marketing è quindi guardare molto alle caratteristiche del prodotto, del brand,
ma allo stesso tempo il prodotto non riesce ad essere competitivo nella misura in cui non si
ascolta quello che proviene dal mercato. Parliamo anche della differenza di ambiti di
marketing, in particolare del marketing strategico e del marketing operativo, vedendo le
differenze. Il marketing ha prima una fase di strategia e poi una di operatività. È una
disciplina complessa, un’azienda deve occuparsi sia di marketing strategico che di marketing
operativo. Il marketing strategico ha a che fare con tutto quello che riguarda la strategia, la
condotta concorrenziale, ovvero come l’impresa o il brand vuole porsi sul mercato e vuole
vendersi sul mercato. Ma per vendersi sul mercato in un determinato modo (marketing
operativo) è necessario fare un’analisi e prendere decisioni strategiche (marketing
strategico) e controllare se le nostre scelte sono effettivamente corrente. Quindi quando noi
pianifichiamo come vogliamo andare a vendere il nostro prodotto sul mercato poi dobbiamo
andare a capire il come. Il come avviene attraverso l’aspetto meramente operativo; ovvero
che tattiche noi possiamo utilizzare per far si che tutto quello che abbiamo considerato nella
parte strategica, ovvero il cosa vogliamo proporre sul mercato, a chi, quando e dove, abbia
anche un come, un risvolto in termini operativi, ovvero come vogliamo che questo prodotto
sia visto sul mercato.

Ambiti di marketing
Di solito distinguiamo due tipi di marketing: il marketing strategico e il marketing operativo. Questi
due ambiti del marketing sono tra di loro collegati e correlati, infatti, non esiste un marketing
operativo senza un marketing strategico, non esiste infatti campagna pubblicitaria senza aver prima
intercettato il target a cui tale campagna pubblicitaria è indirizzata. C’è chi identifica il marketing
analitico, il marketing strategico e il marketing operativo. Questi due aspetti del marketing devono
essere inseriti e sono parte del processo di marketing. In qualsiasi fase il marketing deve seguire
alcune sequenze o attività gestionali che sono tra di loro distinte ma logicamente e funzionalmente
connesse tra di loro. il processo di marketing non è altro che una sequenza di attività che tra di loro
sono collegate e che servono per avanzare le scelte strategiche del marketing verso il
raggiungimento di un obiettivo di marketing. Il marketing deve pensare e definire il mercato di
riferimento, deve progettare l’offerta di valore e deve governare l’offerta di valore. Mentre il
pensare e definire il mercato e il progettare un’offerta di valore sono caratteristiche del marketing
strategico, governare l’offerta sul mercato è un’attività tipica del marketing operativo. Pensare e
definire il mercato di riferimento vuol dire tendenzialmente definire e identificare l’ambiente
geografico di mercato di riferimento e identificare una domanda che sia interessata al nostro
prodotto; significa posizionare la nostra offerta di valore sul mercato in maniera chiara e coerente
con tutte le azioni che noi svolgeremo in una fase operativa. Invece, progettare l’offerta di valore
significa tendenzialmente assicurare un vantaggio competitivo difendibile sul mercato di
riferimento, ovvero progettare come vogliamo che il nostro prodotto venga percepito sul mercato.
Queste due attività fanno parte del marketing strategico. Invece, l’altro compito del marketing,
governare l’offerta del mercato che abbiamo detto essere una caratteristica del marketing
operativo, significa creare le condizioni affinché l’offerta di valore prenda vita; un’offerta di valore
che è stata progettata e pianificata a tavolino attraverso il marketing strategico si vuole che prenda
vita e si affermi sul mercato di riferimento. In questa fase, del marketing operativo, si definiscono
dei piani di azione; mentre nel marketing strategico definiamo il mercato a cui vogliamo rivolgere e
come vogliamo che il nostro prodotto venga percepito dal mercato e qual è la strategia di marketing,
ovvero come vogliamo distinguerci sul mercato, nel marketing operativo prendiamo quelle che
possono essere decisioni vincolanti e assunte nella fase di marketing strategico e le rendiamo
operative; definiamo delle tattiche che ci permettono di realizzare quanto pianificato nella fase
strategica. Un prodotto come, ad esempio, una merendina del mulino bianco è stata pensata in
target di bambino, come la merendina che viene portata a scuola, abbiamo dato a questa merendina
un posizionamento, come prodotto genuino, e con una strategia di differenziazione, in quanto la
merendina del mulino bianco è differente dal posizionamento della merendina del suo competitor
baiocchi o buondì; a livello operativo cerchiamo poi di rendere chiare ed evidenti le scelte
strategiche da realizzare. Redigeremo quindi delle pubblicità mirate a far sì che le mamme
acquisteranno il prodotto per i loro figli; cercheremo di far trovare il prodotto sulla grande
distribuzione e nello stesso tempo cerchiamo di differenziarci; quindi, il packaging del prodotto e la
scelta di determinate campagne promozionali fanno sì che si inserisca il prodotto in maniera
distintiva. Tatticamente creiamo campagne e promozioni, definendo un prezzo che rispecchi anche
la reputazione del brand e dobbiamo fare scelte distributive del prodotto, in maniera capillare
cercheremo di fare in modo che il nostro prodotto sia radicato su tutte le catene distributive. La
cosa importante è che in un processo di marketing la parte strategica diventa propedeutica a quella
operativa. La caratteristica del marketing strategico, infatti, è l’essere vincolante e decisivo rispetto
al marketing operativo. Sia nel marketing strategico che in quello operativo le singole attività di
processo si sviluppano secondo un’impostazione manageriale, ovvero secondo la logica del
management: si effettua sempre un’analisi, si prendono delle decisioni, si effettua un controllo.
Questo vale non soltanto nel marketing strategico ma vale anche nel marketing operativo. Per
qualsiasi attività di marketing strategico/operativo servono queste tra attività: analizzare, scegliere
e controllare. Ma in questa analisi fondamentale, dove facciamo un’analisi anche dei nostri
consumatori, cerchiamo di analizzare i gap di mercato. Poi prendiamo anche delle decisioni in
termini di obiettivi, di mercato da raggiungere; pensiamo ad esempio di rivolgerci a tutti i nostri
consumatori, definiamo qual è la strategia che vogliamo effettivamente raggiungere, se di
leadership di costo, se vogliamo orientarci verso nicchie di mercato, o di leadership di mercato
tramite la differenziazione. Cerchiamo quindi di scegliere il miglior posizionamento del prodotto sul
mercato. L’impresa potrebbe avere una determinata idea del posizionamento del prodotto che però
potrebbe non coincidere con quello che è il consumatore che invece ha: si parla qui di gap di
posizionamento. Anche per superare tale gap di posizionamento dovremo effettuare della analisi.
A livello di controllo poi cercheremo di controllare i risultati raggiunti, attraverso metriche di
mercato, le performance economiche e le performance aziendali. Stessa cosa facciamo nel
marketing operativo; facciamo sempre delle analisi legate ai prodotti e ai servizi dei nostri prodotti,
osserviamo quindi le leve del marketing operativo, effettuiamo una scelta di decisioni, andiamo a
definire le scelte di breve periodo e definiamo le tattiche cioè programmi di azione completi
stabilendo chi organizza cosa e anche qui controlliamo.

Il concetto che deve rimanere è che sia nel marketing strategico che in quello operativo le
singole attività del processo di marketing devono seguire un’impostazione di processo di
tipo manageriale del tipo analisi-decisione-controllo. Alla resa dei conti verrebbe anche da
chiedersi quale tra i due marketing è effettivamente quello più importante. Ci sono dei
cultori delle due fazioni. Il marketing strategico per molto tempo è stato sottovalutato in
realtà è l’insieme tecniche e strumenti necessari ad analizzare, misurare, dividere,
selezionare scenari dinamiche ed eventuali destinatari di una value proposition. Il marketing
strategico ha dei vantaggi, ovvero contribuisce a ridurre le situazioni di errore perché
necessariamente viene ad effettuare delle analisi e deve studiare il mercato, nell’aspetto sia
propriamente interno che esterno. Deve identificare i destinatari dell’offerta e deve
codificare quelli che sono gli indirizzi in grado di posizionare correttamente l’offerta di
prodotto sul mercato in maniera adeguata e competitiva. Quindi lo studio è la parola chiave
del marketing strategico ed è anche la base per la presa delle decisioni. Il marketing
strategico definisce le attività nel business e quindi raccoglie tutti gli strumenti e le tecniche
utilizzate per aiutare il prodotto ad essere inserito sul mercato. Esso segue le evoluzioni del
mercato, identifica le nuove opportunità di mercato, segue i trend di quest’ultimo, identifica
gli input e i segnali al fine di comprendere tali trend di mercato evolutivi delle dinamiche
socioeconomiche. È una finestra sul mercato di riferimento, e questa è una cosa
fondamentale del marketing strategico; alla resa dei conti questo ambito del marketing non
fa altro che analizzare i bisogni taciti o espressi del consumatore. Il mercato lo si ascolta,
interrogandolo con ricerche ad hoc, oppure lo si fa interrogando la fonte dell’innovazione in
azienda, che è la funzione ricerca e sviluppo. Il marketing strategico quindi non soltanto deve
capire il bisogno del consumatore, ma deve anche anticipare i bisogni del consumatore,
prendendo da fonti interne o esterne gli ingredienti necessari per definire una proposta di
valore competitiva sul mercato. Come ricerche di mercato cerca di capire i bisogni che non
sono ancora soddisfatti. E deve capire se tali bisogno può essere soddisfabile o meno.

Il marketing strategico si interfaccia con la parte più interna all’organizzazione, ovvero alla
funzione ricerca e sviluppo, che si occupa di creare nuovi prodotti per soddisfare i bisogni
dei consumatori. La domanda è sempre, ma c’è un bisogno che tale prodotto soddisfa sul
mercato? Anche qui il marketing strategico interroga l’ambiente più esterno per capire se
questo mio prodotto potrà andare incontro ad una domanda di mercato. In questi termini è
fondamentali il coordinamento interfunzionale tra marketing e tutte le altre funzioni
aziendali. Il marketing strategico ha quindi una funzione rilevante nel definire il prodotto e
servizio e nel posizionarlo sul mercato. Il marketing operativo ha una funzione operativa.
Non fa altro che applicare le scelte strategiche effettuate nel marketing strategico attraverso
le leve del marketing, ovvero tramite il marketing mix. Le leve del marketing sono prodotto,
prezzo, punto vendita, promozione.
Il marketing operativo non è altro che l’insieme di azioni da implementare per realizzare gli
obiettivi prospettati dalla strategia di marketing. Proprio perché si parla di leva, dire leva è
strategico. Se utilizzo, ad esempio, la leva del prezzo posso avere una maggiore o minore
propensione all’acquisto da parte del consumatore; se realizzo una migliore qualità del
prodotto posso avere diverse reazioni da parte del mio mercato obiettivo. Quando si parla
di mercato obiettivo non si fa altro che parlare del target, ovvero il consumatore a cui
effettivamente rivolgo la mia offerta. Altra cosa, io faccio leva sul punto vendita, seleziono
determinati canali di vendita rispetto ad altri e ciò mi comporterà delle reazioni da parte del
mercato. Così come con la promozione: se scelgo determinati canali di comunicazione
rispetto ad altri già do un messaggio del posizionamento del mio prodotto di mercato, ma
saprò anche che raggiungere alcuni tipi di consumatori rispetto ad altri. Parlo sempre di
consumatori perché nel marketing strategico abbiamo definito i consumatori e stabilito
quindi i target di clienti, sarà opera del marketing operativo raggiungerli. Sono importanti
anche due aspetti quando parliamo di leve del marketing operativo, perché mentre con le
leve prodotto/prezzo riesco a definire il mercato obiettivo, con il punto vendita e con la
promozione riesco ad attuare il posizionamento voluto. Questo perché il prodotto in
questione, che può essere ad esempio la merendina del mulino bianco per rimanere in tema,
ha delle caratteristiche che si rivolgeranno ad un determinato tipo di consumatore. Anche il
prezzo sarà determinante nella definizione e nel raggiungimento del mercato operativo; si
pensi ad esempio una borda di alta marca, essa definisce già il mercato obiettivo, il suo
prezzo già screma il mercato obiettivo. Siamo nel mercato del lusso. Se io selezioni per la
borsa alcuni punti vendita rispetto ad altri, addirittura monomarca, ovviamente io già
definisco il posizionamento voluto del prodotto sul mercato, così come faccio con la
pubblicità. Il marketing operativo non può operare senza quello strategico e non può non
essere presente una volta che abbiamo definito i due aspetti importanti nel mercato
strategico, il mercato obiettivo e il posizionamento voluto.
Qui sopra le differenze: nella parte strategica analizziamo i bisogni dei clienti per definire il
mercato obiettivo e poi cerchiamo di segmentarlo, ovvero di dividerlo in cluster, gruppi di
consumatori con le stesse caratteristiche, definiamo anche di capire se c’è un mercato o una
domanda potenziale tale per cui è possibile invogliare l’acquisto del nostro prodotto (analisi
di attrattività); nell’analisi strategica si fa anche un’analisi di competitività, quindi guardiamo
i nostri concorrenti sia diretti che indiretti, e infine sceglieremo la nostra strategia di
sviluppo. Ma si tratta di una strategia, perché nella parte operativa definiamo come
vogliamo che le leve di marketing operino per raggiungere l’obiettivo. Quindi si va a
selezionare i mercati-target, definiamo quelli che sono gli obiettivi di marketing che
vogliamo produrre, utilizziamo le leve dei marketing che dovrebbero permetterci di
raggiungere l’obiettivo. In questa fase di marketing operativo definiremo un programma di
marketing, avremo un budget di marketing di riferimento che ci permetterà di applicare
quello che abbiamo definito come piano operativo e il controllo.

Il marketing strategico e il marketing operativo come già detto si interfacciano. Il processo,


infatti, una volta che effettuiamo la fase di controllo nel marketing operativo, una volta che
abbiamo chiuso ad esempio una campagna di pubblicità, possiamo capire se c’è stato un
ritorno in termini di reputazione o di conoscenza del brand. Ciò ritorna al marketing
strategico sotto forma di informazioni utili per valutare quali possano essere le possibili
azioni correttive qualora l’obiettivo di marketing non sia stato effettivamente e
completamente raggiunto. Nel marketing stratetico abbiamo come attività la
segmentazione e la scelta del mercato obiettivo e la strategia adeguata (differenziazione,
leadership di costo) e definiamo il posizionamento strategico che vogliamo che poi venga
implementato nella parte operativa; da questo poi operiamo con il marketing operativo per
rendere concreto quello che abbiamo specificato precedentemente. Nella gestione del
marketing non facciamo altro che pianificare, realizzare e controllare.

È importante per quello che ci siamo detti all’inizio con l’orientamento al mercato che ci
porta a dire che non siamo soli ma abbiamo bisogno di interfacciarci con tutti gli stakeholder
che possono avere un qualche interesse nell’impresa. E quindi nell’operare nel processo di
marketing ci dobbiamo continuamente interfacciare con tutti gli stakeholder. Dobbiamo alla
fine realizzare un controllo che tramite sintesi e report ci permette di avere informazioni utili
da girare al marketing strategico.
Anche qui un passaggio si aggiunge; questo è il flusso da sinistra verso destra che porta alla
creazione del valore per il cliente ed è quello che ci siamo detti precedentemente, ed è
comprendere il mercato e realizzare strategie tramite piani di azione, ma quello che si
aggiunge qui è questo concetto di creazione di valore per il cliente. L’obiettivo primario per
il lavoro del marketing è quello di creare valore per il cliente, significa far sì che il nostro
cliente sia effettivamente soddisfatto e reputi vantaggioso l’acquisto del nostro prodotto
rispetto a quello di un altro perché il nostro prodotto soddisfa i fattori critici di successo del
mercato. Nel fare questo il marketing si occupa di fare emergere il valore aggiunto del
prodotto sul mercato, sia in termini strategici che in termini operativi. L’effetto della
creazione del valore aggiunto per il cliente è il continuo passaparola, il fatto che continua ad
acquistare il nostro prodotto e poi ovviamente l’aumento di quello che è il ciclo di vita del
cliente, sappiamo che il cliente ha un suo ciclo di vita, per cui per evitare di perdere il cliente,
l’obiettivo del marketing è quello di far si che la relazione con il cliente duri nel tempo, in
questo ci viene incontro la customer relationship management, ovvero la capacità di creare
relazioni durature con il cliente attraverso apposite strategie e tattiche legate ad un
contatto, ad una relazione con il cliente.

Analisi dell’offerta
Abbiamo parlato nella lezione precedente di marketing strategico e di come il marketing strategico
svolge una serie di attività propedeutiche al marketing operativo. Una delle attività che il marketing
strategico svolge è proprio l’analisi della competitività, l’analisi cosiddetta competitiva. L’analisi
competitiva è volta ad analizzare la situazione competitiva di ciascun mercato e di valutare la natura
e la portata del vantaggio competitivo dei concorrenti e dell’impresa, su ciascun prodotto mercato.
L’analisi della competitività si propone di identificare il tipo di vantaggio competitivo su cui l’impresa
o la marca può contare nel medio-lungo periodo e poi valutare la misura in cui questo vantaggio è
difendibile, tenendo conto della situazione competitiva, dei punti di forza e dei punti di debolezza.
Infatti, l’analisi competitiva ci permette di dire dove siamo più forti cioè dove riusciamo ad ottenere
una superiorità rispetto agli altri concorrenti per alcuni aspetti o attributi del prodotto e dove invece
siamo più deboli, ovvero dove i nostri concorrenti hanno acquisito superiorità per altre determinate
caratteristiche. Quindi è un’analisi fondamentale che permette di inquadrare la nostra posizione sul
mercato. Il vantaggio competitivo è la superiorità che una marca o un’impresa ha rispetto ai propri
concorrenti grazie al fatto che la sua value proposition è valutata in maniera superiore rispetto a
quella dei proprio concorrenti. La value proposition è la somma dei benefici complessivi promessi
dal venditore o dal produttore all’acquirente in cambio del pagamento di un prezzo. Quindi la
capacità dell’impresa di soddisfare i bisogni del cliente fa si che meglio e in maniera superiore
rispetto agli altri, garantisce un vantaggio superiore rispetto agli altri, che poi si traduce in una
maggiore superiorità economica. È una superiorità che l’impresa acquisisce e che gli permette di
restare sul mercato in maniera duratura. Bisogna capire quelle che però sono le fonti del vantaggio
competitivo. La fonte del vantaggio competitivo tendenzialmente è la strategia competitiva. Il
vantaggio competitivo deve essere pero sostenibile, significa che è quel vantaggio, superiorità che
l’impresa, il prodotto ha rispetto alla concorrenza che è duratura nel tempo. La capacità di
mantenere questa posizione di superiorità nel medio e lungo periodo, quindi sostenibile in questo
senso. Per essere sostenibile deve essere sostenuta da alcune fonti; una fonte di vantaggio
competitivo è la strategia competitiva: il vantaggio proviene sempre da una strategia. Queste
strategie che vedremo sono essenzialmente di due tipi: la differenziazione e la leadership di costo;
se però ci riferiamo ad una specifica nicchia di mercato; quindi, il nostro prodotto è orientato ad
essere venduto ad un mercato molto ristretto e circoscritto, la strategia di costo o di differenziazione
sarà applicata ad un mercato più ristretto e si parlerà di focalizzazione (di costo o di
differenziazione). Ma la fonte del vantaggio competitivo proviene anche dall’ambiente competitivo.
Un ambiente competitivo con dei concorrenti che non riescono ad imporre le proprie azioni ed il
proprio prezzo sul mercato, perché hanno un’offerta debole, fanno sì che l’impresa e gli altri
concorrenti abbiano un vantaggio competitivo rispetto agli altri concorrenti. Un’altra fonte di
vantaggio competitivo sono le risorse, le competenze, il know how, gli aspetti tangibili e intangibili
che permettono all’impresa di sostenere sul medio e lungo periodo la propria strategia, che risulta
così sostenibile. Un brevetto, ad esempio, può essere fonte del vantaggio competitivo sostenibile.
Ci sono alcuni fattori all’interno dell’organizzazione, quindi, che permettono di sostenere nel tempo
la propria superiorità sul mercato. Un’altra fonte del vantaggio competitivo è l’offerta, ovvero la
value proposition, ciò che il prodotto promette al consumatore che acquista. Quando parliamo di
vantaggio sostenibile, ovvero la capacità di avere questa superiorità rispetto ai concorrenti, che
permette di agire sul mercato in maniera indisturbata, è determinato dal potere di mercato e dalla
produttività; il potere di mercato è la possibilità di mettere nelle condizioni di far accettare ad un
mercato un prezzo di vendita superiore rispetto a quello del principale concorrente; la produttività
è la capacità di sfruttare le economie di scala, di esperienza e di scopo per essere poi più competitivi
poi sul costo per unità di prodotto. Questi due aspetti permettono all’impresa di essere più
competitiva. Noi possiamo quindi distinguere tra un vantaggio competitivo interno, un vantaggio
competitivo esterno basato sulla qualità oppure sulle competenze chiave e un vantaggio
competitivo strategico operativo. Quando parliamo di un vantaggio competitivo interno, basato sul
costo, noi parliamo di una superiorità dell’impresa rispetto ai concorrenti nel controllo dei costi di
produzione e di amministrazione e di gestione; il risultato è una maggiore produttività. Possiamo
ottenere un vantaggio competitivo anche dalla qualità dei prodotti e quindi la superiorità
dell’impresa si basa su alcune qualità distintive del prodotto; occorre qui un maggiore know how,
ovvero occorre conoscere meglio i propri clienti consumatori, in maniera da soddisfare al meglio le
loro richieste. Il risultato è un maggiore potere di mercato, ovvero la possibilità di imporre un prezzo
superiore alla media e superiore a quello dei concorrenti; lo possiamo fare perché per le
caratteristiche distintive il nostro prodotto sarà acquistato rispetto a quello dei concorrenti.
Abbiamo detto però che c’è un vantaggio competitivo esterno basato su know how, ovvero un
vantaggio che si basa su alcune competenze chiave; una particolare tecnologia o un particolare
know how. Abbiamo, infine, un vantaggio competitivo strategico operativo; in questo caso abbiamo
una superiorità rispetto ai concorrenti per la capacità di svolgere le stesse attività ma meglio, oppure
svolgiamo attività differenti ma in modo differente. Il nostro vantaggio in questo caso è legato alla
capacità di saper operare con le leve del marketing mix o con gli strumenti connessi al marketing
strategico, magari un miglior posizionamento o una migliore scelta delle caratteristiche distintive
del prodotto; quindi, la capacità di saper analizzare il mercato non ancora coperto dai nostri
concorrenti.
La condotta concorrenziale ci permette di scegliere come vogliamo operare sul mercato. Ora
facciamo una distinzione tra le fonti del vantaggio competitivo che potrebbero essere il puntare su
una riduzione dei costi della produzione, oppure il puntare alla differenziazione. Facendo un esame
delle fonti del vantaggio competitivo rispetto all’ambito, possiamo considerare il rivolgersi ad un
intero settore; possiamo infatti utilizzare le fonti del vantaggio competitivo su un settore oppure su
un singolo segmento di quel settore. Se incrociamo le due variabili di ambito competitivo e fonti del
vantaggio competitivo noi avremo quattro tipi di possibili strategie del vantaggio competitivo.
- La leadership di costo: in questo caso cerchiamo di essere più efficienti possibili, rivolgendoci
all’intero mercato, cercando di minimizzare il costo medio per unità di prodotto e lavoriamo sul
prezzo; lo possiamo fare perché avendo lavorato su costi di produzione più bassi possiamo
permetterci di imporre sul mercato un prodotto con un prezzo più basso, e quindi più
competitivo. Qui torniamo sul concetto di orientamento d’impresa, in questo caso
l’orientamento è o alla produzione o al prodotto, siamo molto focalizzati sui costi di produzione.
- La differenziazione: dal lato opposto potremmo decidere di non puntare più di tanto al costo di
produzione, ma di puntare alla distintività del prodotto sul mercato, per alcune caratteristiche;
possiamo ad esempio puntare su determinati ingredienti, sul ruolo e sull’importanza della
marca, soprattutto in mercati estremamente ricchi di competitor la marca aiuta la
differenziazione. Qui la differenziazione ci permette di proporre il nostro prodotto sul mercato
ad un prezzo più alto, perché il prezzo più alto dovrebbe essere giustificato dal valore aggiunto
che il prodotto riesce a dare al consumatore. Qui l’orientamento è al cliente, cioè differenziamo
il prodotto a partire dalla conoscenza del consumatore, dall’utilizzo che esso fa del prodotto e
cerchiamo di personalizzare e migliorare il prodotto in maniera da rispondere il più possibile
alle richieste e alle esigenze del cliente.
Quando ci rivolgiamo ad un mercato molto ristretto noi potremmo avere gli stessi tipi di strategie
di costo o di differenziazione, però rivolta a mercati più ristretti, dove in questo caso la
competizione avviene tra poche imprese. La sensibilità dell’impresa ad affrontare questo tipo di
mercato è sicuramente rilevante. Possono essere mercati molto redditizi; pensiamo ad esempio a
nicchie di mercato nell’ambito del lusso o nel settore del pet. Non tutti possono entrare in mercati
di questo genere perché le barriere all’entrata sono elevate. Mettendo sull’asse verticale la
produttività, ovvero la capacità di realizzare prodotti a costi unitari molto bassi e sull’asse
orizzontale il potere di mercato, ovvero la capacità di imporre un prezzo superiore rispetto alla
media ci permette di avere i 4 quadranti che si rintracciano nell’immagine sopra. Qual è la zona
ideale?
Quando riusciamo non
soltanto ad avere un potere di mercato molto alto, ma anche quando riusciamo a produrre un
nostro prodotto con un costo unitario molto basso; la zona di disinvestimento è invece quando non
soltanto ci costa produrre il nostro prodotto, ma non riusciamo neppure ad imporci sul mercato
con un prezzo competitivo. Altra situazione che possiamo riscontrare è che abbiamo un costo
unitario elevato, ma possiamo lavorare sulla differenziazione, per avere una redditività maggiore
rispetto alla concorrenza; invece, nel quadrante in basso a sinistra, lì dobbiamo lavorare sulla
leadership di costo per ottenere un vantaggio competitivo, proprio perché non abbiamo un potere
di mercato tale per cui possiamo imporre un prezzo di vendita superiore a quello dei principali
concorrenti e per cui lavoriamo sul costo di produzione per riuscire a ridurlo. In funzione del settore
di riferimento, noi potremmo avere una differente situazione del vantaggio competitivo.

Se il numero di opportunità di differenziazione è alto o basso e se la difendibilità del vantaggio


competitivo è limitata o notevole, ci permette di identificare settori più o meno difendibili e
differenziabili. Poniamo il caso del settore dei microprocessori, per cui la difendibilità del vantaggio
competitivo è molto alta, ma il numero di opportunità di differenziazione è molto basso (settori di
volume); sono aziende che lavorano molto sul vantaggio di costo, per cui sono impostate su una
strategia di leadership di costo, ma in questo caso la difendibilità del vantaggio competitivo è
notevole nella misura in cui ci sono molte barriere all’entrata. Queste barriere all’entrata le
troviamo anche in settori quali i settori specializzati, come quello farmaceutico o dell’automotive,
dove la differenziazione non è soltanto molto alta, ma il vantaggio competitivo è notevole e molto
difendibile perché per avere i macchinari per produrre quei prodotti sono necessari investimenti
ingenti in macchinari specializzati; mentre in settori come ad esempio l’abbigliamento e la
ristorazione è vero che si gioca molto sulla differenziazione, ma la difendibilità del vantaggio
competitivo è molto bassa. Il vantaggio competitivo, infatti, non può essere così tanto sostenibile
nella misura e nel numero in cui abbiamo una portata di concorrenza, che risulta molto elevata.
Cosa diversa peri cosiddetti settori bloccati o in stallo, come quello della carta e della chimica di
base, dove si lavora molto sul vantaggio di costo e la difendibilità è molto alta, nella misura in cui
oggi, ad esempio, nella carta si sta perdendo l’uso, per quello sta diventando una nicchia di mercato
molto interessante.

Quando parliamo di analisi del vantaggio competitivo abbiamo detto che non possiamo non fare
riferimento ai nostri concorrenti, in quanto la limitazione del nostro vantaggio competitivo deriva
dal numero di concorrenti che operano sul nostro stesso mercato e dal valore del prodotto
percepito dal nostro consumatore. Mettendo a confronto due variabili, il n. di competitors e la
differenziazione dei prodotti, avremo 5 tipologie di concorrenza. Parliamo di situazione di assenza
di concorrenza o di monopolio quando il competitor è uno, non vi è distinzione tra prodotti
standardizzati o differenziati e un solo operatore opera su quel mercato offrendo il suo unico
prodotto. Invece quando il n. dei competitors è molto basso si parla di oligopolio, forma di mercato
in cui poche imprese con eguale struttura di costo producono un bene che può essere omogeneo
(prodotti standardizzati) o differenziato (oligopolio differenziato, quindi prodotti che vengono
realizzati da poche imprese tra di loro differenti). Nell’oligopolio i competitor si fanno guerra per
cercare di imporre la propria strategia di vendita rispetto a quella dei concorrenti, per cui c’è una
guerra di prezzi. La strategia di un competitor si ripercorre su quello di tutti gli altri. Quindi qui entra
in gioco la barriera all’entrata e la capacità strategia/operativa di poter imporre il proprio prezzo
rispetto ai concorrenti. Abbiamo una situazione opposta invece, quando abbiamo la concorrenza
perfetta. In quest’ultimo caso nessun competitor ha la forza per poter imporre la propria strategia
agli altri e qui il prezzo si stabilisce nell’incontro tra la domanda e l’offerta, chi ne beneficia è sempre
il consumatore. Infine, abbiamo una concorrenza monopolistica quando in realtà il n. di competitor
è alto e i prodotti sono differenziati.
La concorrenza diretta non è altro che l’insieme di concorrenti che operano sul mercato offrendo
prodotti e servizi che sono simili nella funzione e nelle caratteristiche, rispetto a quella dell’impresa
concorrente. Diversi soggetti di impresa competono per conquistare la scelta del consumatore in
condizioni di elevata omogeneità di offerta. In questo caso contano le differenze percepite dei
prodotti offerti. Nella concorrenza diretta ci troviamo in un mercato in cui i concorrenti propongono
prodotti simili con funzioni simili. Ad esempio, la concorrenza tra coca cola e pepsi, nell’ambito del
mercato delle bibite analcoliche, prodotti simili competono per accaparsi il potere di mercato e la
preferenza del consumatore. Nella concorrenza indiretta invece i diversi soggetti che competono
lo fanno per accaparrarsi una scelta di un consumatore in condizioni di elevata disomogeneità di
offerta; in questo caso parliamo di prodotti diversi per funzioni diverse e prodotti diversi per
funzioni simili. Ad esempio, un prodotto diverso per funzioni diverse potrebbe essere il frigorifero
vs il divano. La possiamo chiamare concorrenza indiretta perché la concorrenza si effettua sul
potere di acquisto del consumatore; i concorrenti cercano di accaparrarsi il potere d’acquisto del
consumatore. Un’altra tipologia di concorrenza indiretta è quando le imprese competono con
prodotti diversi ma che svolgono funzioni simili e questo noi lo possiamo riscontrare ad esempio
tra la bicicletta e lo scooter: i prodotti sono diversi, realizzati con tecnologie diverse, ma la funzione
d’uso è simile.
Un altro modo di differenziare la concorrenza è tra concorrenza verticale e orizzontale. Significa
che in pratica noi possiamo avere una rivalità per quanto riguarda la concorrenza verticale che si
instaura tra imprese che competono per il controllo degli scambi e dell’acquisizione del prodotto
all’interno di un canale distributivo. Invece nella concorrenza orizzontale la rivalità è quella che si
instaura tra imprese che competono per fornire beni e servizi ad un medesimo gruppo di clienti di
cui mirano proprio alla soddisfazione dei loro bisogni. Cercano quindi di soddisfare lo stesso tipo di
bisogno. La concorrenza qui si sviluppa all’interno del settore industriale, secondo appunto il
numero delle imprese e la concentrazione/distribuzione della quota di mercato e la differenziazione
del prodotto. Tendenzialmente abbiamo la possibilità di capire quanto è più o meno concentrata la
concorrenza di mercato grazie alla misurazione ad esempio della quota di mercato, che non è altro
che il rapporto tra le vendite dell’impresa e le vendite dei principali concorrenti o del principale
concorrente e in questo caso parliamo di quota di mercato relativa. Ma ovviamente un altro modo
di differenziare o di capire la concorrenza per l’impresa che vuole posizionarsi sul mercato è la
concorrenza allargata di Porter.

Porter dà un contributo alla comprensione dell’ambiente competitivo dell’impresa individuando


non soltanto come importanti nella valutazione dei competitor i concorrenti diretti, ovvero quelli
su cui effettivamente si concentra l’analisi competitiva, ma suggerisce anche di vedere altri
potenziali competitor che potrebbero minare le scelte strategiche dell’impresa. Egli pensa ai
concorrenti potenziali perché possono minacciare la concorrenza attuale con prodotti che svolgono
la stessa funzione e quindi prodotti simili oppure un’altra possibile concorrente sono le imprese che
producono prodotti sostitutivi. In questo caso la minaccia di prodotti sostitutivi può minare quella
che è la performance dei prodotti attuale dell’impresa. Se pensiamo ad esempio al mercato del
tempo libero, la minaccia dei prodotti sostitutivi è infinita. Ma Porter considera anche come
potenziali concorrenti i fornitori e i clienti, di cui definisce il potere contrattuale che essi possono
avere nel minare il vantaggio competitivo dell’impresa. Questo perché i clienti possono avere il
potere di cambiare e di scegliere un prodotto della concorrenza, rispetto ad un altro, e questo
avviene quando il concorrente ha una forte conoscenza del prodotto, ci sono molti concorrenti sul
mercato e i costi di transazione sono molto bassi, si tratta praticamente del mercato delle
commodity. Se pensiamo alla telefonia mobile il cliente ha un fortissimo potere contrattuale; qui
entra in gioco l’importanza di strategie di prezzo per venire incontro alle esigenze del cliente, la leva
della promozione la fa da padrona. Per quanto riguarda invece la concorrenza allargata, che ha a
che fare con il potere contrattuale dei fornitori, anche qui i fornitori possono avere una posizione
di vantaggio rispetto all’impresa che forniscono, perché, ad esempio, quel prodotto che forniscono
è unico, per cui il fornitore è tranquillo perché l’impresa potrà rifornirsi solo da loro essendo l’unico
fornitore che fornisce quella tipologia di prodotto, oppure perché il fornitore ha un know how
specifico che l’impresa non può necessariamente non tenere in considerazione.

È possibile misurare la capacità competitiva attraverso una matrice che noi possiamo
tranquillamente realizzare a partire dall’individuazione di alcuni fattori critici di successo per quella
tipologia di mercato. Questa è un’analisi dei concorrenti diretti; in questo caso parliamo di
identificazione di fattori specifici, individuati dall’impresa ma che hanno a che fare con l’importanza
che il consumatore attribuisce ad alcuni fattori rispetto che ad altri, come ad esempio la notorietà
e l’immagine nel mercato del lusso è molto importante. Il consumatore acquista prodotti di lusso
solo se questi hanno una notorietà elevatissima, o una qualità del prodotto estremamente elevata.
L’impresa attribuisce quindi un peso a tali fattori ed effettua una valutazione di questi fattori e sulla
loro capacità di saperli soddisfare. Il risultato è una media ponderata del valore ottenuto e del
giudizio personale rispetto al peso che il giudizio ha. Tale analisi si fa anche sui concorrenti; la
differenza dei valori pesati permette di capire i punti di debolezza della propria marca, ad esempio,
rispetto a quelli dei concorrenti. Infatti, è possibile creare una matrice di criticità che tenga conto
proprio della differenziazione di performance rispetto al proprio concorrente. Questo significa che
ad esempio se il differenziale di performance è positivo e l’importanza del fattore è alto, abbiamo
allora un vantaggio competitivo. Se invece il differenziale di performance è molto bassa ma
l’importanza di quel fattore è molto alta, allora dobbiamo cercare di recuperare il prima possibile,
cercando di definire una strategia di marketing che ci permetta di recuperare questo gap. Se
l’importanza di tale fattore è alta ed è anche negativa, questo recupero non è un recupero
prioritario. Dobbiamo invece presidiare la nostra posizione quando il fattore non è importante, ma
siamo eccellenti in quel fattore; in questo caso dobbiamo solo presidiare quella posizione e magari
nel tempo fa diventare quel fattore non importante per il consumatore, un fattore importante,
perché è proprio quello dove siamo più forti.
Analisi della domanda
Precedentemente abbiamo parlato di analisi della competitività come uno dei compiti che in realtà
deve svolgere il marketing strategico per definire poi quella che è la strategia di marketing e un altro
compito del marketing strategico è analizzare la domanda. L’analizzare la domanda è un concetto
molto ampio che ci permette di inquadrare effettivamente le caratteristiche del nostro potenziale
o attuale cliente. La domanda è costituita dalla quantità e dalla qualità dei prodotti richiesti dai
clienti, che nell’acquistare questo loro prodotto esprimono esigenze, bisogni e desideri che poi si
traducono in beni e servizi e in valore aggiunto. Un bisogno spinge il consumatore a cercare un
prodotto e un servizio che riesce a soddisfarlo, la soddisfazione del consumatore non fa che
generare valore per l’impresa; infatti, tale soddisfazione si traduce in fidelizzazione e soddisfazione
del cliente. L’evoluzione della domanda va di pari passo con l’evoluzione dell’offerta. Quindi
parliamo di una domanda che all’inizio era inattiva, ovvero il modo di consumare era la sussistenza,
si acquista il minimo indispensabile che ci permette di sopravvivere. Dall’altro lato abbiamo
un’offerta che prima della rivoluzione industriale era basata sull’artigianato, su prodotti fatti a mano
disponibili per una determinata élite, molto costosi. Con la rivoluzione industriale parliamo proprio
di potere d’acquisto, alcuni prodotti diventano degli status simbol. L’offerta diventa un’offerta
molto più ampia, il modo di produzione dominante è quindi quello di massa con prodotti
standardizzati disponibili sul mercato, ma la personalizzazione avveniva solo per una cerchia di
persone che avevano un potere d’acquisto superiore e potevano permettersi di pagare anche un
servizio di personalizzazione.
Con la rivoluzione digitale parliamo sempre di più di una domanda esigente, che richiede la
personalizzazione, e che permette un potere contrattuale maggiore lato consumatore. Quest’ultimo
infatti, data l’ampia offerta, può scegliere ciò che effettivamente più lo aggrada e sulla base di alcune
variabili che precedentemente nel tempo non erano rilevanti, ovvero ad oggi la sostenibilità o un
prodotto etico. Oggi questi due aspetti, sono molto rilevanti, sono fattori critici di successo. Il
consumatore oggi nell’era post-moderna è molto più esigente; l’offerta risponde non soltanto
attraverso la personalizzazione e il just in time, ma ti produco anche dei servizi aggiuntivi, ovvero
tutto si è spostato sui servizi, c’è una customizzazione crescente e i prodotti sono sempre per un
consumatore sempre più esigente. Entriamo ora in una logica molto interessante. Abbiamo capito
che la domanda nel tempo ha cambiato le sue caratteristiche, ma non solo il suo potere d’acquisto
è cambiato, bensì anche il potere contrattuale.

Nel parlare dell’importanza di conoscere il nostro consumatore secondo le logiche del marketing
strategico, dobbiamo anche cercare di capire le logiche di acquisto che un consumatore adotta
quando acquista un prodotto. Tale processo è distinto e diviso in cinque fasi ed è quello canonico.
Questo non vuol dire che ogni volta che acquistiamo un prodotto si verificherà tale processo di
acquisto. Molto probabilmente potranno verificarsi solo alcune fasi, tutto dipende dalla tipologia di
prodotto. La prima fase che scatena il processo di acquisto, ovvero il percorso che il consumatore fa
per arrivare ad avere un prodotto che soddisfa un suo bisogno è proprio la percezione del bisogno;
il consumatore per poter avviare il processo che lo porta ad acquistare un prodotto deve proprio
vedere che c’è un bisogno espresso o inespresso che deve essere soddisfatto. Il bisogno di svago, di
maggiore efficienza, di mangiare, ecc. Dalla percezione del bisogno si passa poi alla ricerca delle
informazioni: l’acquirente in questo caso si attiva per cercare tutte le informazioni che gli
permetteranno di scegliere quella tipologia di prodotto che soddisfa al meglio il suo bisogno. Quindi
che cosa fa, valuta diverse alternative, dopo la ricerca delle informazioni avrà un set da valutare, tra
cui trovare l’alternativa migliore per lui; deciderà poi il prodotto e il servizio che soddisfa il suo
bisogno in maniera superiore rispetto agli altri, considerando le sue necessità. Acquista il suo
prodotto, per cui poi si considera il post acquisto: infatti, una volta acquistato il prodotto, egli
attiverà una serie di meccanismi che confermano la sua scelta e che gli permetteranno di acquistare
nuovamente il prodotto, di effettuare il passaparola o di confermare quanto effettivamente la sua
scelta è stata operata. Gli operatori del marketing devono dunque soffermarsi e concentrarsi
sull’intero processo di acquisto e non solo sull’acquisto in quanto tale; tale processo di acquisto del
consumatore come vedremo è molto molto complesso.

La cosa importante da dire è che il passaggio da uno stato all’altro può variare nel tempo, ovvero
non è detto che tale processo di acquisto sia così lungo, potrebbe essere anche molto breve. Magari
sarà lungo all’inizio e più corto verso la fine. Saper distinguere l’acquirente dal consumatore
effettivo del prodotto risulta determinante. Ad esempio, il processo d’acquisto è tenuto dalla
moglie, pagato dal marito e destinato al bambino.

Il contesto all’interno di cui poi avviene il processo di acquisto condiziona il consumatore; questo lo
possiamo pensare all’interno di un supermercato quando andiamo a fare la spesa.
Ci sono altri fattori legati al consumatore e al contesto di riferimento che complicano le scelte di
acquisto del consumatore.
Se l’acquirente si trova in un contesto culturale molto elevato, il suo reddito è anch’esso elevato,
sarò più propenso a scegliere determinati marchi di prodotti rispetto che altri, ma se consideriamo
che poi il soggetto ha stimoli di marketing sul punto vendita o anche tramite il web, tali stimoli di
marketing fanno si che il nostro consumatore sia stimolato in maniera più o meno differente; se poi
consideriamo che dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti dell’acquirente, ciò fa si che
la famosa scatola nera dell’acquirente sia una incognita per l’impresa che deve vendere il prodotto
e quindi la risposta dell’acquirente è tutto un punto interrogativo molto grande, perché l’acquirente
potrebbe decidere di acquistare il prodotto che già aveva deciso di acquistare, ma anche attraverso
determinati stimoli di marketing potrebbe individuare altre differenti risposte. La risposta quindi
dell’acquirente, potrebbe essere uno specifico comportamento, una preferenza di acquisto più o
meno razionale e poi ovviamente un approccio alla marca e all’impresa che potrebbe essere più o
meno duraturo. Queste sono le risposte dell’acquirente a seguito di un processo di acquisto che
potrebbe essere breve o lungo in funzione della tipologia di prodotto e dei fattori esterni che lo
possono condizionare e ovviamente un’ambiente che può stimolare o meno processi di acquisto più
o meno stabiliti a priori. Il comportamento del consumatore nel suo processo di acquisto come già
detto può essere condizionato da stimoli di marketing o da fattori esterni quali quelli sociali
economici e politici, tale processo è condizionato anche dalle caratteristiche personali del
consumatore. Quali sono questi fattori interni al consumatore, ovvero caratteristiche distintive del
consumatore che lo portano a scegliere un prodotto piuttosto che un altro? Sono i fattori culturali,
quindi la cultura, la subcultura, la classe sociale; quelli sociali, i gruppi di riferimento, la famiglia, il
ruolo e status; quelli personali, età e stadio del ciclo di vita, occupazione, condizioni economiche,
stile di vita, personalità e concetto di sé; fattori psicologici, motivazione, percezione,
apprendimento, convinzioni e atteggiamenti. Ma allora se gli acquirenti sono così differenti gli uni
dagli altri, come facciamo a vendere elevati volumi di prodotto? Lo facciamo attraverso la
segmentazione del mercato, che è un altro compito e attività che il marketing strategico deve
effettuare per cercare di intercettare in maniera efficace ed efficiente il proprio consumatore. A
partire da questi fattori, gli uomini e le donne di marketing hanno la capacità di raggruppare gruppi
di persone in segmenti. L’età, ad esempio, potrebbe essere un fattore che discrimina il segmento.
Una volta che riusciamo a capire tale aspetto siamo poi in grado di mirare le azioni di marketing
operativo rispetto alle caratteristiche specifiche.
Il processo di acquisto porta poi alla scelta, l’acquirente fa degli acquisti anche in base all’ambiente
che ha intorno e che il processo di acquisto si verifica nello spazio e nel tempo. Ci sono comunque
delle domande da porsi: chi interviene nella scelta, cosa si sceglie, quando si sceglie, dove si effettua
la scelta, le motivazioni che ci sono dietro alla scelta e in che modo si perviene alla scelta.
Qui ora parliamo di tipologie di domanda, nel senso del fatto che la domanda si esprime in diversi
modi a seconda del mercato di riferimento. Nel mercato BTC parliamo di domanda di beni di
consumo, dove la domanda è altamente frammentata ed è articolata rispetto alle caratteristiche dei
prodotti e l’aspetto di questa domanda di beni di consumo è la frequenza di acquisto e la familiarità
di consumo. È la domanda che si sviluppa a partire dal consumatore finale che esprime un bisogno.
La domanda dei consumatori industriali è tipica dei mercati BTB, ovvero dei mercati in cui il nostro
cliente è un’altra impresa che utilizzerà il prodotto acquistato o per rivenderlo o per inserirlo nel
suo processo produttivo. La domanda di beni industriali è una domanda derivata, ovvero deriva da
quello che è la richiesta del consumatore finale ed è concentrata: proprio nei mercati BTB sono
pochi clienti ma che solitamente acquistano pochi volumi di prodotto ed il prodotto è un bene di
tipo funzionale. Nella domanda di servizi, questa è indirizzata ai consumatori finali ma anche alle
imprese e questi hanno natura intangibile.

La domanda derivata è una domanda interessante: le imprese che operano nel mercato del BTB
cercheranno di spingere verso il consumatore finale il prodotto, sapendo che se il consumatore
finale richiederà questa tipologia di prodotto, l’impresa che si rifornisce presso l’impresa fornitrice
richiederà quel prodotto piuttosto che un altro. Ad esempio, la KeraKoll che produce prodotti per
l’edilizia, vende a ditte di ristrutturazione, ovviamente le imprese di ristrutturazione avranno i
proprietari di immobile. KeraKoll per spingere i suoi prodotti stimolerà il cliente finale ad acquistare
la sua marca piuttosto che un’altra. Nella logica di tipo pull, di tiraggio del consumatore a sé, si
cercherà di lavorare sulla pubblicità, per far conoscere il proprio prodotto, in maniera tale che il
consumatore voglia quel prodotto. Ma è una domanda derivata, nel senso che se non c’è la
domanda di ristrutturazione della casa, l’impresa di ristrutturazione non chiederà il prodotto a
KeraKoll con cui opera per ristrutturare.
Dobbiamo infine distinguere tra domanda prima, secondaria e potenziale.

La domanda potenziale è la quantità domandata da coloro che potrebbero essere interessati al


prodotto all’interno di un mercato geograficamente definito. La domanda primaria è la domanda
effettivamente espressa per la cartegoria del prodotto nel complesso e che si rivolge a tutti i
produttori operanti su quel mercato. La domanda secondaria è la domanda primaria che si rivolge
all’impresa e che si realizza con le vendite. All’aumentare del tempo aumenta la quantità richiesta,
la domanda potenziale è il limite massimo a cui tende la domanda una volta che sono stati attivati
tutti i discorsi del marketing messi in campo per stimolare l’acquisto del prodotto. La domanda
primaria è quella che effettivamente viene chiesta effettivamente dall’insieme di clienti che
veramente acquistano quel prodotto in un determinato tempo e in un determinato luogo. La
domanda secondaria non è altro che la domanda effettivamente acquistata dai clienti dell’impresa.
Qui potrebbe esserci un gap di potenziale: rispetto alla domanda primaria c’è uno spazio di ancora
domanda da soddisfare che permetterebbe di pensare che il mercato sia un mercato attrattivo.
Infine, come facciamo a misurare la domanda potenziale. Lo facciamo semplicemente con
un’operazione dove moltiplichiamo la consistenza numeri della popolazione obiettivo per la
percentuale di individui che possono essere interessati al prodotto, a loro volta moltiplicati per le
occasioni di consumo del lasso di tempo considerato e la quantità consumata per occasione.
Poi vi è il calcolo della domanda potenziale di beni durevoli, dove si moltiplica la consistenza
numerica della popolazione obiettivo per la popolazione che non presenta impedimenti oggettivi
all’acquisto raffigurata percentualmente meno l’unità di prodotto già in uso più le unità di prodotto
da sostituire.

La segmentazione del mercato


La segmentazione è una fase strategica all’interno del marketing strategico. Una volta analizzato
l’ambiente interno ed esterno (impresa, offerta) è opportuno selezionare i clienti da servire, e tale
azione la facciamo mediante il processo di segmentazione; quest’ultimo è diviso in due parti:
potremmo dire un’ampia analisi della domanda al fine di individuare dei possibili segmenti a cui
rivolgersi e una individuazione successiva del segmento target, ovvero il segmento o i segmenti a
cui vogliamo rivolgerci mediante un programma di marketing operativo. Sulla scorta
dell’individuazione di quali clienti servire cercheremo poi nell’ambito del marketing strategico di
capire come servire tali clienti e come ci poniamo rispetto ai nostri competitors per offrire un
prodotto o un servizio che può essere acquistato dai nostri clienti. Quindi noi dobbiamo individuare
un posizionamento, come vogliamo essere percepiti nella mente del consumatore rispetto agli altri,
e a come vogliamo proporre la nostra offerta rispetto al mercato, per creare valore superiore per il
cliente. Qui rientra il processo di value proposition, ovvero la promessa di valore che l’impresa offre
e propone al cliente. Ha a che fare con i vantaggi percepiti del prodotto e del servizio; per definire
una value proposition adeguata occorre portare, fornire argomentazioni valide del perché il
consumatore dovrebbe acquistare il nostro prodotto rispetto a quello della concorrenza. E qui
possiamo pensare a tutte le attività di comunicazione per aiutare il cliente a capire tutto ciò che il
prodotto può fornirgli, oltre l’esperienza che il prodotto gli fornirà una volta consumato. La value
proposition può essere declinata e dimostrata al nostro cliente attraverso le altre leve del
marketing. Questa che si vede è solo una mappatura che racchiude le decisioni all’interno del
marketing strategico. Andando nel merito della segmentazione, questa operazione di
segmentazione della domanda è soggettiva, anche se tramite metodi e scelte si cerca di essere il
meno soggettivi possibili, evidentemente è una scelta che richiede attenzioni e cura, anche la
presenza di soggetti esterni che aiutino nella scelta dei segmenti target. E quindi potremo dire che
una medesima domanda potenziale potrebbe essere oggetto di diverse segmentazioni, ovviamente
dipende dal criterio di segmentazione che adottiamo. È proprio questa la logica che sta dieto la
segmentazione della domanda potenziale. La segmentazione può essere vista in due modi diversi,
ciascuno corrispondente ad un diverso metodo di lavorazione; possiamo vedere la segmentazione
come il raggruppamento di individui, che compongono la domanda potenziale, in insiemi omogenei
al loro interno per determinate caratteristiche. Potremmo vedere la segmentazione della domanda
potenziale come la frammentazione di tale domanda in insiemi che sono distinti tra di loro per
determinate caratteristiche rilevanti e che ovviamente collocano gli individui in segmenti differenti
rispetto a tali criteri. Il concetto di segmentazione ha a che fare con il raggruppamento ma anche
con la frammentazione della domanda, tutto dipende dal punto di vista che adottiamo per
osservarla. Nel concetto di segmentazione noi non possiamo non fare i conti con due aspetti della
segmentazione che sono l’ipersegmentazione e la controsegmentazione. La prima non è altro che il
processo di segmentazione della domanda attraverso l’adozione di criteri di segmentazione molto
specifici. Noi quindi andiamo ad utilizzare volta per volta differenti criteri che vanno a ridurre e a
restringere i segmenti al loro interno. Questo ha a che fare con un processo di segmentazione mista,
ovvero io utilizzo molti criteri di segmentazione tali per cui arriverò a trovare dei segmenti molto
specifici che potremmo definire anche di nicchia. Questo dell’ipersegmentazione è un’arma a
doppio taglio perché se da una parte ci permette di avere un identikit molto target e molto chiaro
del segmento target, dall’altra parte limita la possibilità di raggiungere altri segmenti che
potrebbero essere interessati al nostro prodotto. Ad esempio, se oltre ai criteri sociodemografici
utilizzo criteri legati allo stile di vita o a quello comportamentale o a quello legato ai benefici ricercati
nel prodotto mi ritroverò ad avere dei segmenti molto specifici. Ma sono in grado di raggiungere
questo segmento target? E una delle caratteristiche dell’individuazione del segmento target è
proprio la raggiungibilità di quest’ultimo, ovvero questi individui dove li intercetto. E quindi è uno
dei pericoli a cui potremmo incorre se utilizziamo lo stile di vita come criterio di segmentazione,
perché è un concetto che ha a che fare con dimensioni difficili da analizzare. E poi abbiamo la
controsegmentazione, ovvero la riduzione del numero di segmenti ottenuta riaccorpandone alcuni
o cambiando le chiavi di analisi. Questo significa che una volta che ho effettuato una segmentazione,
posso retrocedere su criteri di segmentazione inferiore, tali per cui accorpo segmenti che prima
avevo individuato come separati grazie all’utilizzo di criteri di segmentazione. E quindi qui
rientriamo in una di questi aspetti che emergono dalla nostra discussione, ovvero quali sono i
requisiti per la determinazione di un segmento: ci deve essere la massima similitudine e omogeneità
all’interno del cluster, ovvero la risposta dei gruppi deve essere omogenea al loro interno; massima
distanza ed eterogeneità esterna; rilevanza economica, il segmento deve essere remunerativo;
misurabilità, il segmento deve poter essere misurabile, devo sapere il suo potere di acquisto, le sue
abitudini di uso e di consumo del prodotto; sostenibilità; operatività. L’accessibilità non è banale ed
è un criterio necessario, un requisito minimo, per individuare quel segmento come un segmento da
scegliere. Dalla segmentazione al targeting è un processo importantissimo. Mentre la
segmentazione è un processo di segmentazione in gruppi omogenei internamente ed eterogenei
esternamente, il targeting è l’individuazione del segmento obiettivo a cui voglio rivolgermi.
Ovviamente questa attività di scelta dipenderà dall’attrattività del mercato, dall’accessibilità del
mercato, dalla potenzialità della domanda primaria (quanto questa è espandibile).

Qua troviamo in questa figura i criteri di segmentazione, ovvero le variabili che possiamo utilizzare
per segmentare il mercato. Molto spesso possiamo sentire parlare di segmentazione mista: cioè
posiamo utilizzare più criteri per segmentare il mercato che ci permettono di affinare
l’individuazione dei segmenti target. Le variabili di segmentazione sono le variabili
sociodemografiche, gli stili di vita, i benefici ricercati e poi i comportamenti di consumo. Potremmo
individuare a livello di strategia nella segmentazione di mercato dei possibili utilizzi del prodotto che
potrebbero aprirci nuove possibilità per sviluppare varianti di prodotto. La segmentazione secondo
criteri di segmentazione demografica può avvenire per età, staio del ciclo di vita del nucleo familiare,
esso, professione, reddito, religione, razza e nazionalità.
Ovviamente si presta ad una misurabilità facile, possiamo misurare il nostro segmento target grazie
anche solo a fonti secondarie. L’istat è una fonte utilizzatissima, perché ci dà un quadro degli italiani
e della situazione italiana. Qua ad esempio nivea, è la prima ad aprire ad un’intera linea, gamma di
prodotti interamente dedicata alla figura maschile. Se pensiamo alla variabile età possiamo
considerare la società original marines.
Se utilizzando come criterio il comportamento dei consumatori nella conoscenza e nell’utilizzo del
prodotto noi possiamo avere diversi segmenti in base alle occasioni d’uso. In base ai benefici
ricercati possiamo individuare clienti differenti. E poi anche in base all’utilizzatore, noi possiamo
avere gli utilizzatori, i regolati utilizzatori, gli ex utilizzatori e i potenziali utilizzatori. Potrebbe esserci
un criterio di base dell’utilizzatore, infatti noi abbiamo l’acquirente, ovvero colui che paga, colui che
sceglie il prodotto, chi invece decide alla fine poi concretamente quale tipologia di prodotto
scegliere e poi chi paga che potrebbe essere il papa. Abbiamo quindi diversi ruoli all’interno della
fase di acquisto. Potremmo anche fare questo tipo di segmentazione sulla base del comportamento
nella fase di acquisto, questo perché se dobbiamo fare una campagna promozionale sui pannolini,
ci rivolgeremo sicuramente ai genitori e non direttamente al bambino, la pubblicità quindi è rivolta
a chi dovrà scegliere quel brand piuttosto che un altro, ma il beneficio è del bambino. Una cosa è la
value proposition, ovvero quello che promette di dare al bambino, l’altra cosa è l’acquirente.
Toccherà la pubblicità aspetti sensibili per conquistare l’attenzione della mamma e del papà. Questo
è molto importante come segmentazione comportamentale, perché come detto nel processo di
acquisto potremmo avere diversi ruoli. Infine, l’intensità d’uso, ad esempio per McDonald la
frequenza con cui si utilizza il prodotto/servizio. Un esempio di segmentazione è l’intensità quindi
d’uso, ad esempio, per il prodotto dentifricio. E poi il livello di fedeltà, criterio di segmentazione
molto importante, nella customer relationship management. Una volta che abbiamo capito il nostro
target, noi non possiamo abbandonarlo, ma anche li nel post acquisto noi individuiamo un processo
di segmentazione, per intercettare quelli su cui conviene investire. Il livello di fedeltà è un altro
criterio nella segmentazione comportamentale utilizzata non solo all’inizio, ma anche alla fine,
quando dobbiamo decidere quali sono effettivamente i segmenti su cui conviene investire il proprio
budget di marketing per mantenere duratura la relazione con il cliente. La segmentazione
psicografica prevede la visione del mercato in base a variabili quali la classe sociale, lo stile di vita,
la personalità. Ad esempio, i salutisti sono coloro che hanno un determinato comportamento e
svolgono determinate attività e hanno un’opinione molto chiara. Individuare i consumatori rispetto
allo stile di vita, in funzione della tipologia di prodotto, ci permette di posizionarci nella mente dei
nostri consumatori.
Nell’individuazione di quelli che possono essere i criteri diversi per la definizione dei principali
segmenti a cui possiamo rivolgerci, poi dobbiamo scegliere il segmento target; la scelta tutto
dipende non solo dai requisiti minimi che un segmento dovrebbe avere, ma anche dall’attrattività
del mercato, ovvero di quanto la domanda primaria è espandibile. Sarà necessario capire e misurare
la domanda primaria attuale, ovvero la quantità di prodotti e servizi che vengono acquistati in un
determinato tempo e in un determinato luogo, dobbiamo capire i tassi di crescita e la profittabilità
di ogni segmento, ovvero quanto è effettivamente remunerativo rivolgersi ad un segmento
piuttosto che ad un altro. Dobbiamo guardare molto all’accessibilità del mercato:
fondamentalmente dobbiamo capire quanti concorrenti abbiamo e qual è la loro posizione sul
mercato, tale analisi deve espandersi anche ad un’analisi dei fornitori, per capire il loro potere
contrattuale nei nostri confronti, ed infine la strategia di marketing non può prescindere dalla
strategia d’impresa. Una delle segmentazioni è la segmentazione internazionale che ci permette di
individuare segmenti transnazionali, ovvero il cluster dei consumatori che sono presenti in tutto il
mondo ma che possiedono le medesime caratteristiche; una piccola impresa non penserà
conveniente effettuare una segmentazione internazionale se nella sua programmazione strategica
non c’è la scelta di internazionalizzazione.

La strategia di copertura del mercato dipenderà da ciò che l’impresa ha a disposizione. In base alle
caratteristiche di mercato noi potremmo effettuare un marketing indifferenziato o di massa, ovvero
cerchiamo di coprire con il prodotto/servizio tutti i possibili clienti, la segmentazione quindi è
minima; un marketing differenziato o segmentato, per cui ci rivolgiamo ad alcuni specifici segmenti;
marketing concentrato o di nicchia, ci rivolgiamo soltanto a pochi segmenti o un solo segmento
remunerativo; micromarketing o locale/individuale, in questo caso ci rivolgiamo al cliente in un
rapporto one to one.
Possiamo quindi capire quali sono gli approcci che vogliamo adottare in base al prodotto che
produciamo. Nell’approccio segmentato cerchiamo di differenziare il prodotto rispetto alla
concorrenza; quindi, ritagliamo il prodotto e il servizio in base a determinati clienti target, facciamo
leva sulle caratteristiche del prodotto. Nel caso del focalizzato, ci si rivolge ad una nicchia di mercato.
Quello personalizzato un esempio tipico è l’ambito della sartoria: anche qui i prezzi sono medio alti,
il brand è poco rilevante, quello che conta è la qualità e i servizi del prodotto. Nel segmentato invece
il brand ha un ruolo fondamentale, più adottiamo approcci segmentati, più il brand diventa una leva
strategica che ci permette di ottenere dei guadagni.
Copertura del mercato e posizionamento
Per quanto riguarda le strategie di copertura del mercato di riferimento questo è un concetto che
collega a quello che abbiamo visto nelle lezioni precedenti quando parlavamo di segmentazione del
mercato. Una volta che abbiamo scelto la segmentazione e diviso il mercato in gruppi omogenei al
loro interno ed eterogenei all’esterno per queste stesse caratteristiche, poi è il caso di andare ad
individuare come noi vogliamo coprire il mercato di riferimento, ovvero a quanti e quali segmenti
vogliamo offrire il nostro prodotto e servizio. In questa slide vengono descritte alcune strategie. Noi
possiamo adottare una strategia di focalizzazione del mercato, in questo caso ci si concentra sui
bisogni di pochi segmenti; l’impresa adotterà una strategia così specialistica o per funzione o per
clienti, per funzione vuol dire che l’impresa si rivolgerà a molti clienti però con una quantità limitata
di prodotti da servire, ad esempio, il caso dell’impresa che produce bulloni. Oppure una strategia di
focalizzazione può riguardare un cliente, quindi in questo caso mi rivolgo ad un solo tipo di cliente
con una bassa gamma di prodotti che possono interessare.

Vediamo ad esempio il caso dell’impresa sopra riportata, la Winterhalter che si rivolge agli alberghi,
ai ristoranti con una vasta gamma di prodotti. La linea dei prodotti è vasta e quindi molto profonda;
qui torniamo con il concetto di segmentazione, abbiamo segmentato il mercato per tipologie di
imprese e noi in questo caso ci rivolgiamo solo ad uno specifico segmento di mercato offrendo
varietà di prodotti possibili.
L’altra modalità di copertura di mercato è la strategia di copertura totale del mercato; qui il nostro
obiettivo è aumentare la quota di mercato attraverso un’offerta che possa essere standardizzata e
vada bene per un numero maggiore di clienti; guardiamo quindi in questo caso ai bisogni comuni
dei clienti, non andiamo a personalizzare il prodotto. Questa strategia ci permette di ottenere dei
vantaggi, andando a sfruttare, ad esempio, le economie di scala. Anche qui però possiamo dire che
in questa strategia possiamo agire con una strategia di leadership di costo o con una strategia di
differenziazione: possiamo rivolgersi sia all’intero mercato con un prodotto che può essere comune
a tutti e quindi standardizzato e uguale per tutti, ma l’obiettivo è quello di tenere dei prezzi bassi in
virtù del fatto che il prodotto è reso al minimo delle sue caratteristiche, oppure possiamo utilizzare
una strategia di differenziazione, e qui sì ci rivolgiamo all’intero mercato, ma con una varietà delle
tipologie di prodotto che ci permette di soddisfare una varietà maggiore dei bisogni dei clienti,
aumenteremo i colori di prodotto, le varianti del prodotto… Questa strategia è una strategia più
costosa e non è sempre percorribile. Infine, abbiamo una strategia cosiddetta mista, in questo caso
la nostra azienda diversifica le sue funzioni e i gruppi di clienti. In questo caso non soltanto cercherà
di ampliare l’offerta di prodotti, ma anche di ampliare i clienti a cui rivolgersi e questa, infatti, è una
slide che sintetizza le varie alternative di copertura di mercato.

Partiamo da un approccio ad un mercato di massa in cui non c’è alcuna strategia di segmentazione
applicata poi ad una strategia per segmenti ampi fino ad arrivare ad una strategia di customizzazione
di massa che permette di rivolgersi si a tutto il mercato ma segmentando il mercato in maniera
massiccia, per cui facciamo un’ipersegmentazione. Al centro abbiamo diverse possibilità, quali una
strategia per segmenti ampi, segmenti raggruppati in maniera ampia; poi abbiamo una strategia per
segmenti adiacenti, per cui scegliamo segmenti molto affini per determinate caratteristiche quindi
sarà facile soddisfarle non modificando estremamente il prodotto ma solo alcune varianti; e poi la
strategia multisegmento, ci rivolgiamo a più segmenti di mercato con strategie operative di
marketing differenti per ogni segmento, questa è una strategia molto costosa. E poi strategia per
piccoli segmenti e strategia di nicchia, che si basa su un segmento molto ristretto ma anche molto
remunerativo.
Ovviamente noi una volta che abbiamo capito e preso delle decisioni sulla copertura di mercato
possiamo anche scegliere il posizionamento strategico che vogliamo adottare. Il posizionamento
non è altro che come vogliamo che il nostro cliente percepisca il brand o il prodotto che stiamo
vendendo, e significa collocare il prodotto nella mente del consumatore e questo è un processo non
di facile e immediato raggiungimento e di immediata attuazione ma richiede un investimento di
marketing molto massiccio. Se noi investiamo in attività e azioni di marketing e il nostro
posizionamento sarà di successo, la regola è la coerenza: una volta che scegliamo come vogliamo
collocarci nella mente del consumatore, tutte le leve del marketing mix dovranno adeguarsi per
rispondere e cercare di dare evidenza del posizionamento che abbiamo scelto sul mercato. Coerenza
vuol dire che non dobbiamo modificare il nostro posizionamento nel corso del tempo, a meno che
non ci siano situazioni di mercato che ci costringano a riposizionare il nostro prodotto o il nostro
brand. Una volta che scegliamo come vogliamo essere visti dai nostri clienti poi dobbiamo utilizzare
le leve del marketing mix, quindi il prodotto stesso, la distribuzione, la comunicazione per cercare
di dare evidenza del nostro posizionamento, dobbiamo renderlo operativo. Ad esempio sono un
produttore di abbigliamento di lusso, mi voglio collocare nella mente del cliente come un brand di
eccellenza, potrebbe fare leva sul made in italy e che cosa farà, ovviamente il prodotto dovrà essere
di qualità, la distribuzione non distribuirò ovunque il mio prodotto ma sceglierò catene distributive
ad hoc oppure addirittura ho un mio franchising per vendere il mio prodotto sul mercato con il mio
brand. Poi a livello di comunicazione utilizzare le leve della comunicazione. Non sarà una pubblicità
da manuale, ma una pubblicità con testimonial. E poi infine il prezzo, che sarà un prezzo tale da
rispecchiare la qualità del prodotto. Questo è un modo di operazionalizzare un posizionamento. Il
processo di posizionamento però non è banale, perché è frutto sempre di analisi. Quando
posizioniamo un prodotto sul mercato dobbiamo sempre ricordarci che dobbiamo analizzare chi, la
domanda e l’offerta; dobbiamo dunque analizzare il competitor che come noi posizionano i loro
prodotti sul mercato, e dobbiamo analizzare anche il consumatore, come il consumatore vede il mio
brand sul mercato e come invece vede il brand della mia concorrenza. E questo è sempre alla base
del marketing strategico, perché in questa fase siamo ancora nel marketing strategico. Per
posizionare il brand sul mercato utilizziamo dei criteri di posizionamento, che possono far leva su
aspetti tangibili del prodotto o intangibili, simbolici del prodotto. Solitamente sono quattro le
principali domande che ci dobbiamo porre per posizionare bene il nostro prodotto sul mercato. La
prima, ad esempio, che cosa offre la marca, noi possiamo posizionare il nostro brand rispetto ai
benefici ricercati dal prodotto. Activia, ad esempio, dichiara che aiuta il transito. Un altro modo è
rivolgersi ad un segmento specifico di mercato. Prenatal ha fatto così ha posizionato tutta la sua
linea di prodotti rivolgendosi ai bambini e alle donne incinte. Abbiamo a che fare con un altro tipo
di posizionamento riguardante la condizione di uso e di consumo, ed è il caso dei baci perugina.
Possiamo posizionare il nostro prodotto su un mercato rispetto ad un nostro concorrente principale
di riferimento, come ha fatto pepsi, rivolgendosi ai consumatori in contrapposizione a coca cola.
Questa è proprio una tabellina che permette di sintetizzare i criteri di posizionamento. Fino ad ora
abbiamo visto criteri di posizionamento basati prevalentemente su aspetti funzionali e materiali,
ma noi possiamo anche rivolgerci ad altri tipi di criteri di posizionamento basati su aspetti simbolici
e immateriali, come ad esempio ha fatto Harley Davidson, con testimonial oppure imprimendo l’idea
del prodotto e servizio rispetto al paese d’origine.
Noi vediamo il posizionamento con il pay-off del brand; con questo piccolo trucchetto.
Questo posizionamento deve essere unico: il posizionamento scelto dall’impresa non deve essere
già scelto da qualche altro concorrente, a meno che non abbiamo la possibilità di contrastare con la
pubblicità o con altri mezzi del marketing operativo il nostro concorrente. Deve essere sostenibile:
deve poter essere supportato nel tempo attraverso le azioni di marketing mix. Poi deve essere
comunicato: non devo trovare fatica o difficoltà ad inquadrare o identificare con un testimonial il
mio brand. Infine, deve essere accessibile: deve poter essere raggiungibile cognitivamente parlando
dal nostro consumatore. Ci possono essere problemi di credibilità del posizionamento quindi il
consumatore potrebbe avere confusa la value proposition. Possiamo qui di seguito descrivere
alcune criticità. Potrebbe esserci un cosiddetto sottoposizionamento: il posizionamento non è ben
compreso e qualificabile dal nostro cliente, significa che non è ben marcato dalle leve del marketing
mix. Poi c’è un sovrapposizionamento: il cliente vede troppo specifico questo posizionamento;
oppure abbiamo un posizionamento confuso: nel senso che ci sono troppe immagini che noi
restituiamo del nostro brand per cui si passa da un posizionamento all’altro ed il nostro
consumatore non riesce bene ad inquadrare l’immagine del brand rispetto degli altri competitor.
Infine, il posizionamento ambiguo: significa che il cliente non si fida tendenzialmente del
posizionamento dichiarato dal brand, nel senso che non riesce a credere ai vantaggi che esso
promette attraverso le leve del marketing mix e in particolare attraverso la pubblicità.
Possiamo avere quattro comportamenti di risposta del cliente al posizionamento dell’impresa:

Possiamo avere il cosiddetto apprendimento, l’affettività, la routine e l’edonismo. Questo è un


quadrante che deve essere chiarito. Fa leva su quello che è il modello di apprendimento di () nel
quale gli autori cercano di spiegare qual è il processo sequenziale che porta il consumatore ad
apprendere e ad agire rispetto ad uno stimolo a cui viene sottoposto, molto spesso una pubblicità.
In tale modello troviamo una prima fase, il learning, in cui la risposta del cliente è una rispsota
cognitiva, poi abbiamo una risposta affettiva, poi una risposta feel e poi una risposta
comportamentale. Il cliente una volta che vedeva una pubblicità prima acquisiva un’informazione,
una volta che capiva e sentiva un’emozione che poteva essere positiva o negativa, decideva o meno
se acquistare un prodotto. Ora cosa fa, va a mettere insieme il modello di kaferenz insieme ad una
variabile, oggi importantissima, che è il coinvolgimento del consumatore. Rispetto al coinvolgiemnto
del consumatore nell’acquisto, se è alto o basso, e rispetto al processo di risposta del cliente, se è
legato al livello cognitivo, affettivo, se prima cerca di capire e poi agisce o se prima cerca di sentire
e poi agisce, noi troviamo quattro modelli di risposta al posizionamento che l’impresa può fornire
sul prodotto che mette sul mercato. Ad esempio, se c’è un alto coinvolgimento e c’è un
apprendimento di tipo intellettuale, abbiamo una risposta chiamato apprendimento (caso
televisori, comunque elementi ad acquisto programmato), per cui il processo di acquisto sarà lungo
perché il consumatore prima di acquistare vorrà informarsi su caratteristiche dei prodotti e altro.
Quando il coinvolgimento prevale il feel, ovvero il sentimento, siamo invece con una tipologia di
risposta chiamata affettività. In questo caso significa in pratica che se dobbiamo acquistare un
profumo o un capo di abbigliamento, facciamo prevalere il feel che dovrebbe portarci a scegliere il
prodotto. E poi abbiamo altre due tipologie di risposta che sono di routine o di edonismo. In questo
caso abbiamo un basso coinvolgimento del consumatore perché il costo del prodotto è molto basso.
Nella routine non sono prodotti sempre d’acquisto programmato ma sono prodotti commodity che
frequentemente acquistiamo, cercheremo di essere più veloci nell’acquisto. Siamo soggetti qui
all’esperienza. Invece nell’edonismo la risposta del consumaotre è legata sì all’acquisto di un
prodotto a basso prezzo, ma qui prevale il feel piuttosto che il learn, è l’impulso di acquistare questo
prodotto che ci porta ad agire. Questo è un modello molto interessante perché mette insieme il
comportamento d’acquisto del consumatore con la tipologia di prodotti che vengono acquistati.

Infine, dobbiamo riuscire a spiegare che cosa è la mappa percettiva. Una volta che noi abbiamo
capito che vogliamo posizionarci nella mente del consumatore con determinati prodotti e servizi
che soddisfano determinati bisogni d’uso, dobbiamo anche pensare che sul mercato ci sono altri
competitor; quindi, la mappa percettiva è un modo mediante il quale fotografiamo il
posizionamento non soltanto nostro ma anche degli altri concorrenti. Ed è una mappa molto pratica
come si può vedere è formata da quattro quadranti che sono frutto dell’analisi di due variabili che
vengono scelte sulla base di quanto riescono a discriminare la categoria o il mercato di riferimento.
In questo caso siamo in una mappa percettiva delle compagnie aeree e due sono le variabili utilizzate
dicotomiche: se i voli sono internazionali o nazionali e se il prezzo è basso o alto. Sulla base di queste
due caratteristiche i brand si collocano nella mappa. Per ottenere questi valori solitamente si
effettua un questionario al consumatore a cui si chiede di valutare ciascun brand su determinate
variabili scelte, in una scala. I vantaggi di questa mappa: innanzitutto vediamo come noi veniamo
collocati in questa mappa rispetto ai competitors e poi vediamo anche come i competitors vengono
collocati rispetto a noi, riusciamo a vedere i competitor che sono molto simili a noi per quanto
riguarda il posizionamento, ovvero se è necessario o no rafforzare il nostro posizionamento per
fronteggiare la concorrenza rispetto agli altri. Ci fa anche capire se il nostro posizionamento
percepito è quello che vorremmo venga percepito, per capire se ci sono gap di potenziale, ovvero
una differenza tra come il consumatore mi percepisce e come invece vorrei essere percepito. Se si
verificano questi gap occorre migliorare oppure cercare innanzitutto capire perché c’è questo gap
ed eventualmente riposizionare il prodotto sul mercato con determinate strategie. Tali strategie
sono modificare il posizionamento o modificando il prodotto, modificare il peso degli attributi, dare
più peso ad un aspetto; oppure modificare le convinzioni relative alla marca, modificare le
convinzioni relative alle marche dei concorrenti, attraverso ad esempio la pubblicità comparativa,
oppure potremmo attrarre l’attenzione verso attributi finora ignorati, oppure modificare il livello
degli attributi richiesti.

Il posizionamento richiede sempre una strategia per differenziarmi dalla concorrenza. Per farlo non
è detto che lo debba fare solo attraverso la funzione di marketing e vendita. Posso differenziarmi
sul mercato sia che la mia strategia sia di leadership di costo che di diversificazione, utilizzando altre
attività della catena di valore, sia primarie che di supporto. Ad esempio, posso creare
diversificazione sfruttando il valore generato dalla produzione: potrei avere una produzione molto
efficiente che produce in tempi molto brevi in base alle specifiche dei clienti.
La formulazione della strategia di mercato
Stiamo seguendo in questo momento un flusso logico che ci porta dall’analisi ad alcune scelte
importanti in relazione al target di mercato su cui vogliamo operare fino alla vera e propria strategia
di marketing che ci aiuterà ad essere competitivi sul mercato.
Quando noi cerchiamo di affrontare un nostro essere competitivi dobbiamo guardare a due aspetti
che sono fondamentali: l’attrattività dei segmenti di mercato e la competitività dell’impresa nei
prodotti mercati. Qualsiasi tipo di strategia noi vogliamo adottare la prima cosa che dobbiamo fare
è cercare di capire quanto è attrattivo il nostro mercato di riferimento: quindi l’attrattività non
dipende tanto dalle caratteristiche dell’impresa e dalla sua capacità di essere competitiva quanto
dai fattori di attrattiva che potrebbero essere legati ad opportunità di mercato o legati alle
caratteristiche di segmenti di domanda non ancora saturati completamente dai prodotti della
concorrenza. Dall’altro lato la competitività dell’impresa nei prodotti mercato ha a che fare con
l’analisi dei competitors, ovvero l’analisi di come gli altri nostri concorrenti diretti e indiretti agiscono
sul mercato per acquisire quote di mercato. Quindi la competitività riguarda anche la capacità
interna dell’impresa di ottenere un vantaggio competitivo e quindi una maggiore competitività
grazie al suo operare in maniera differente sul mercato. Tali due concetti sono fondamentali per
individuare poi una strategia. Nell’individuare una possibile strategia di crescita nei mercati target
noi effettuiamo un’analisi della cosiddetta crescita/quota di mercato relativa, della Boston
Consulting Group.

Tale matrice analizza il portafoglio di prodotti di un’impresa: essa ha a che fare con le ASA-aree
strategiche d’affari, date dall’incontro tra prodotto-segmento-tecnologia; bisogno che riesco a
soddisfare, a chi lo soddisfo e come lo soddisfo. L’incrocio di questi tre aspetti è l’ASA. In questa
matrice troviamo le ASA, i singoli business dell’impresa e sono rappresentati da dei cerchi all’interno
di questa matrice. Mette in relazione due variabili: il tasso di crescita del mercato e la quota di
mercato relativa; la quota di mercato è il rapporto tra le vendite dell’impresa e le vendite o del
principale concorrente o del mercato di riferimento. Questa quota di mercato la chiamiamo relativa
perché in questo caso il rapporto viene effettuato sul principale concorrente, ma la potremmo
chiamare quota di mercato assoluta perché il confronto che stiamo facendo lo facciamo su tutto il
mercato. Questo concetto di quota di mercato dobbiamo vederlo anche in termini di unità: questa
quota di mercato può essere misurata a valore o a volume. A valore significa noi facciamo un calcolo
rispetto alle quantità volute, i pezzi, oppure lo facciamo a valore, quindi in realtà effettivamente in
termini di prezzo per le quantità, ovvero a quanto effettivamente siamo riusciti a vendere in quel
mercato. Lo facciamo quindi in termini di ricavi. Questo per quanto riguarda la quota di mercato, la
mettiamo a confronto, cioè teniamo in considerazione questa variabile e la confrontiamo con il tasso
di crescita di mercato, ovvero quanto effettivamente il mercato si sta sviluppando in quell’arco di
tempo considerato. Non fa altro che essere un’indicazione di attrattività del mercato, non dipende
dalle azioni dell’impresa, ma da quelle del mercato. Ad esempio, pensiamo un leader di mercato che
riesce a rivitalizzare il mercato con un nuovo utilizzo di un prodotto o con una nuova tecnologia che
migliora. Il tasso di crescita, che non è altro che il rapporto tra le vendite di oggi meno le vendite di
ieri sulle vendite di ieri, è un indicatore di attrattività; mentre la quota di mercato è un indicatore di
competitività, ovvero la capacità dell’impresa di avere un vantaggio competitivo. Mettendo insieme
queste due variabili noi abbiamo quattro quadranti: prodotti o ASA nelle star, nella cash cow, nei
Dog o nelle problem child. Tale matrice mi permette di capire le potenzialità ed il destino che
potrebbe avere ciascuna ASA nel mercato di riferimento. Possiamo dire che è una matrice statica
perché fotografa la situazione e la posizione che il portafoglio ha rispetto alla performance e rispetto
all’attrattività. Nello stesso tempo è definibile anche come dinamica, perché in prospettiva rispetto
anche alla pianificazione strategica di impresa, questa mappatura ci permette di individuare le
possibili strategie future per i vari prodotti dell’impresa. Quindi ci troviamo con un alto tasso di
crescita e una quota di mercato molto alta, abbiamo a che fare con dei prodotti star, molto attrattivi
che hanno ottime potenzialità di acquisire fette di mercato e quindi è necessario investire su questa
tipologia di prodotti; all’opposto abbiamo le cash cow, prodotti dove il tasso di crescita è molto
basso, per cui siamo in settori già molto maturi del mercato, dove il consumatore conosce molto
bene i prodotti e i prodotti dei concorrenti, quindi sa bene quello che vuole. In questo caso si aspetta
delle promozioni per acquistare tendenzialmente il prodotto, ma la quota di mercato su questa
tipologia di prodotto è molto alta; quindi, tendenzialmente questa tipologia di prodotto può essere
utilizzata per degli investimenti sulle star. Troviamo poi i cosiddetti prodotti dog, dove il tasso di
crescita è ancora basso e la quota di mercato è bassa, sono prodotti che molto probabilmente
dovranno essere dismessi o tenuti in maniera marginale. In questo caso non dovrebbe essere utile
investire su questa tipologia di prodotti perché sono prodotti che non vedono più di tanto il mercato
già predisposto al loro acquisto. Invece i problem child sono prodotti problematici perché
nonostante l’impresa abbia delle quote di mercato molto basse però siamo in presenza di un
mercato molto attrattivo, con la possibilità di espandere la domanda primaria. Questo significa che
il numero di acquirenti attuali del prodotto potrebbe aumentare e quindi addirittura anche i
consumatori attuali che acquistano un prodotto potrebbero aumentare la quantità acquistata o la
frequenza di acquisto.
Tendenzialmente tale matrice è legata al ciclo di vita del prodotto e al cosiddetto effetto esperienza:
l’impresa tendenzialmente dovrebbe, grazie all’esperienza acquisita e maturata in un determinato
mercato, può riuscire a migliorare non solo la qualità di prodotto, ma anche a diminuirne i costi di
produzione ma anche di marketing, dovrebbe essere in grado di migliorare la performance in tutte
le tipologie di prodotto che si trovano in questa matrice. Tale matrice è collegata al ciclo di vita del
prodotto perché ad esempio una mucca da mungere si trova in un ciclo di vita maturo, mentre la
star nella fase di sviluppo. È molto importante in questo caso capire che questa matrice è una
matrice che in base alle caratteristiche e alle situazioni del mercato ma anche in base alle
caratteristiche dell’impresa potrebbe prevedere strategie o di disinvestimento o di investimento in
funzione degli obiettivi che l’impresa si prefigge di raggiungere.

Possiamo anche intercettare degli scenari alternativi. Ovvero potremmo adottare delle strategie da
imitatore, da follower e in base alle prestazioni dei nostri prodotti mercati agire di conseguenza. Ad
esempio, una star in futuro potrebbe diventare una mucca da mungere; un problem child potrebbe
un giorno diventare una dog. Tutto dipende dalla capacità di sfruttare le potenzialità dei prodotti e
saper leggere l’andamento del mercato. Ovviamente in questo caso questi scenari di sviluppo
prevedono una traiettoria dell’innovatore, ad esempio nel caso in cui utilizziamo la liquidità
generata dalle mucche da mungere (cash cow) per le star e possiamo adottare una traiettoria invece
dell’imitatore, quindi utilizziamo la liquidità generata dalle mucche da mungere per imitare i nostri
principali concorrenti; una traiettoria disastrosa è quella, ad esempio, di star che stanno divendando
degli enigmi o delle question market; oppure la traiettoria della mediocrità permanente dove una
problem child evolve fino a diventare un peso morto o una dog.
I limiti di tale matrice Boston Consulting Group sono:
- Si prevede che sussista l’effetto esperienza, ma non è detto che le imprese possano beneficiare
di economie di esperienza per operare sul mercato e non è detto che l’effetto esperienza si
verifichi;
- Se si basano esclusivamente sul vantaggio competitivo interno esclusivamente, per cui non c’è
un raffronto con il mercato di riferimento ovvero in questa mappatura troviamo il portafoglio
di prodotti dell’impresa e non troviamo un confronto con i prodotti della concorrenza;
- È più difficile trovare informazioni sulla concorrenza e non sempre abbiamo informazioni
dettagliate sui prodotti della concorrenza
- Uno dei limiti, quindi, è la difficoltà di misurazione
- Inoltre, le raccomandazioni che noi ricaviamo sono generiche e sono rappresentanti di
orientamenti che devono essere maggiormente precisati; questo perché fa riferimento a due
tipologie di variabili, l’attrattività e la competitività, ovvero mette assieme un aspetto più
finanziaria con un aspetto più strategico.
Un’altra matrice che cerca di superare le problematiche della matrice Boston Consulting Group è la
General Electric. Anche qui il confronto viene effettuato attraverso l’attrattività di mercato e la
competitività del mercato, ma qui non si utilizzano due variabili soltanto, quindi la quota di mercato
relativa e il tasso di crescita di mercato, ma vengono utilizzate altre variabili perché si cerca di
superare il problema, pensando che l’attrattività e la competitività devono essere misurate
attraverso più indicatori. Quindi per l’attrattività possiamo misurare l’assenza o la presenza di
potenziali concorrenti (n. di concorrenti), l’accessibilità di questi mercati; per la competitività
abbiamo a che fafre con altri aspetti legati alla marca dell’impresa, quindi la competitività può
essere legata alla brand equity, ovvero al valore della marca copmplessivo al netto degli investimenti
effettuati per migliorare o potenziare la marca dell’impresa nel corso degli anni, alcuni fattori
collegati ai fattori commerciali oltre che alla quota di mercato.
Qui ci ritroviamo una serie di variabili prese in considerazione per misurare l’attrattività del mercato:
Per la competitività del business, invece, noi guardiamo ad alcuni elementi quali:

Questa è una matrice che possiamo sviluppare: sulla base degli indicatori a ciascuna di esse non
diamo solo un peso, ma per ciascuno indicatore diamo un peso in base all’importanza e a ciascun
indicatore attribuiamo un punteggio (1 per nulla presente, 5 assolutamente presente). Noi facciamo
questa analisi non soltanto per noi impresa ma anche per tutti gli altri concorrenti; cerchiamo di
capire con un punteggio ponderato in funzione del peso che ciascun indicatore ha nel panorama
della nostra matrice, cerchiamo di capire come i nostri prodotti si collocano nella nostra matrice.
Questa matrice ha nove quadranti e mentre le parti centrali sono parti neutre, nelle altre quattro
estreme noi ci troviamo in quattro situazioni con relative strategie differenti. Quindi se ad esempio
l’attrattività di mercato è debole e la forza della marca o competitività è debole, quindi ha ottenuto
sui vari indicatori valori molto bassi, ovviamente converrebbe il disinvestimento, invece se la
competitività del prodotto è molto alta ma l’attrattività del mercato è bassa in questo caso conviene
tenere la posizione attuale senza ulteriormente investire sul prodotto. Invece, un gruppo di sviluppo
selettivo lo abbiamo quando l’attrattività del mercato è alta ma la forza della marca è ancora bassa;
in questo caso occorrerà fare una scelta di investimento su come meglio affrontare il mercato per
poter essere più competitivi. Quando la competitività è alta e l’attrattività è alta, la crescita deve
essere aggressiva; quindi, bisogna penetrare il mercato cercando di approfittare quello che è il
nostro vantaggio competitivo, magari in un mercato di piccole dimensioni. Allora qui occorre
spingere su determinate leve del marketing quali la distribuzione e la comunicazione. Il limite di
questa matrice è che anche qui potrebbe essere soggettiva: la valutazione che diamo a ciascun
indicatore potrebbe essere non oggettiva e quindi occorrerebbe fare uso di professionisti ed esperti
che supportano e sostengono questa nostra analisi e dei nostri principali competitors. Tale matrice
riesce a superare quella precedente andando a considerare altri indicatori per l’analisi
dell’attrattività e della competitività del mercato.
Una matrice di sintesi di quella che potrebbe essere la possibile strategia di sviluppo è la SWOT
analysis.

È solitamente una matrice presente nei piani di marketing; è semplice, qualitativa ma che se fatta
bene aiuta a minimizzare i punti di debolezza e massimizzare i punti di forza, oltre che evitare le
minacce e sfruttare le opportunità del mercato. È quindi un’analisi dei punti di forza, punti di
debolezza, minacce e opportunità del mercato. Prende in considerazione i fattori interni e i fattori
esterni del mercato e li confronta o positivi o negativi: fatto che sono positivi interni sono i punti di
forza di un’impresa, fattori positivi ma esterni sono le opportunità che noi possiamo recuperare dal
mercato, fattori negativi interni sono i nostri punti di debolezza e fattori negativi esterni sono le
minacce. Mentre i nostri fattori esterni li subiamo e non possiamo intervenire, sono costatazioni di
fatto che possono essere per noi opportunità e minacce. L’atteggiamento che l’impresa ha rispetto
a questi aspetti esterni può essere attivo o reattivo molto spesso, proattiva nella misura in cui
anticipa il mercato e quindi anticipa soprattutto le tendenze del mercato. I fattori interni invece
sono fattori che hanno a che fare con l’individuazione di forza dell’impresa, anche qui si rischia la
soggettività nella valutazione i punti di forza possono essere le leve competitive su cui possiamo
fare leva per innovare la nostra tipologia di prodotti per sfruttare le leve del marketing operativo.
Sui punti di debolezza ci dobbiamo lavorare: se individuiamo che il nostro brand, ad esempio, è poco
conosciuto, un punto sarebbe quello di debolezza da colmare ad esempio con la leva della
comunicazione. È una tecnica utilizzata da molte organizzazioni per recuperare informazioni, che
provengono dal sistema informativo di marketing per quanto riguarda i fattori interni che ci
permettono di monitorare il nostro prodotto all’esterno del mercato su tutti i punti di vista;
consideriamo la catena di valore come un importante elemento con cui il marketing si interfaccia
sempre di continuo per ricavare informazioni. E poi abbiamo detto che le informazioni dai fattori
esterni le prendiamo dall’analisi PEST del mercato di riferimento. Tale analisi la facciamo utilizzando
fonti secondarie, oppure acquistiamo ricerche ad hoc su siti in cui le istituzioni pubbliche e gli istituti
realizzano mensilmente, trimestralmente o annualmente; quindi, noi i report li possiamo acquisire
per una lettura del mercato di riferimento. I fattori interni, invece, li acquisiamo interrogando il
sistema informativo di marketing, mentre quelli esterni tramite l’analisi PEST.
E qui praticamente la strategia la possiamo concepire in due modi differenti, ovvero conquistando i
mercati già esistenti o conquistando i mercati futuri; nel primo caso lavorando su mercati su cui
stiamo già lavorando.

È una matrice di sviluppo del prodotto mercato, ovvero la matrice prodotto mercato, nome con cui
è anche conosciuta, o matrice di Ansoff. Troviamo le possibilità di strategia di come operare nel
mercato mettendo in relazione i mercati/prodotti esistenti con i nuovi mercati. Quindi mettendo in
considerazione il mercato con il prodotto. Incrociando le variabili abbiamo quattro tipologie di
strategie: la penetrazione di mercato; quindi, operiamo con prodotti esistenti su mercati esistenti;
lo sviluppo del prodotto, per cui operiamo con prodotti nuovi in mercati già esistenti; operiamo
invece lo sviluppo nel mercato quando abbiamo a che fare con mercati nuovi con prodotti già
esistenti; una diversificazione e sviluppo integrato quando invece abbiamo a che fare prodotti nuovi
in mercati nuovi. La penetrazione di mercato non è altro che la realizzazione di varianti di prodotti
magari per colore, per il packaging, ma il prodotto è sempre lo stesso con le stesse caratteristiche
ed è rivolto allo stesso tipo di mercato. Per penetrare il mercato operiamo sulla leva della
comunicazione e della promozione; cerchiamo di spingere i prodotti su mercati già esistenti. Lo
facciamo principalmente quando ci troviamo in mercati maturi, dove il consumatore conosce il
nostro prodotto, quello dei concorrenti ed è molto sensibile al prezzo. Invece nel caso di prodotti
esistenti in mercati nuovi abbiamo uno sviluppo di mercato: in questo caso ci rivolgiamo sempre a
mercati nuovi con prodotti già esistenti; questa può essere una strategia volta a penetrare nuovi
segmenti di mercato, ad esempio, il segmento degli old, degli anziani che è un nuovo segmento che
oggi è preso in considerazione nel mercato del settore turistico, perché hanno tanto tempo libero e
possibilità di spesa (potere di acquisto molto elevato). Un esempio tipico dello sviluppo di mercato
è entrare in mercati internazionali. Lo sviluppo del prodotto non è altro che rivolgersi alla stessa
tipologia di mercato con segmenti nuovi: nuovi servizi vengono ad esempio offerti ai più piccoli;
questo è per soddisfare nuove esigenze dello stesso segmento di mercato. La diversificazione è
quando entriamo in mercati nuovi con prodotti nuovi; potrebbe essere una diversificazione
conglomerata oppure pura, un esempio ad ad esempio entrando in mercati completamente nuovi.
Per poter entrare nei mercati nuovi è necessario avere qualcosa di comune a tutti i mercati. Spesso
è la cultura di impresa o la gestione di impresa a fare la differenza. Nella diversificazione
conglomerata cerchiamo di entrare in mercati complementari dove non necessariamente c’è uno
stravolgimento delle tecnologie utilizzare per la produzione dei prodotti. Nell’elaborazione di una
strategia dobbiamo vedere punti di vista diversi.

La strategia di base che abbiamo già descritto precedentemente, è la strategia di Porter; quindi, con
un approccio al mercato che ha a che fare con o una capacità di saper produrre a costi molto bassi,
per cui ci permette di essere sui mercati con prezzi molto vantaggiosi rispetto alla concorrenza che
dovrebbe farci aumentare la quota di mercato, permettendoci di implementare delle economie di
scala che dovrebbero permetterci di aumentare le quantità prodotte riducendo i costi. Questa
riduzione dei costi si tramuta in un vantaggio per il consumatore che può acquistare a prezzi più
bassi. Tutto dipende dal mercato di riferimento, dal n. di concorrenti che operano sul mercato.
Differenziazione, invece, puntiamo sulla qualità del prodotto, sulle sue caratteristiche e sulla marca;
una strategia del genere cerca di puntare sulla marca, cercando di vendere così a prezzi più bassi. Il
consumatore sarebbe disposto a spendere di più perché il prodotto dà un valore aggiunto in più. E
poi abbiamo detto la focalizzazione che può essere vantaggio di costo o differenziazione in funzione
di nicchie di mercato all’interno di cui operiamo. Una differenza la dobbiamo fare con la strategia di
crescita, che è un po’ quella che abbiamo visto con la matrice di Janson, ovvero una crescita
intensiva la faccio attraverso la penetrazione del mercato o lo sviluppo di un prodotto e la crescita
integrata o diversificazione, ovvero entro in mercati nuovi con prodotti nuovi. Oppure
diversificazione. Una strategia competitiva non è altro che una condotta concorrenziale, ovvero
come io impresa mi impongo sul mercato rispetto ai concorrenti. Qui il libro definisce diverse
tipologie di strategie. Ovviamente di leadership non è detto che sia il pioniere, ma è il leader del
mercato, colui che ha un’alta quota di mercato e che quindi dominandolo ne detta le regole di
mercato. Un leader come potrebbe essere Barilla o Ferrero nell’ambito dei prodotti di acquisto di
impulso, dettano le regole, ma aiutano e sostengono tutti gli altri concorrenti; quello che ha fatto
ad esempio Barilla con la dieta Mediterranea, con una politica di uso corretto della pasta ha
ovviamente aiutato tutti i concorrenti che sono rientrati nella produzione di prodotti che aiutano il
benessere psico fisico delle persone. Stessa cosa Ferrero quando ha rivitalizzato il mercato
destagionalizzando la cioccolata, non è soltanto un prodotto snack, ma è anche un prodotto che
durante le feste natalizie può essere tranquillamente acquistato. Abbiamo anche l’imitatore, colui
che segue il leader e lo imita e cerca di acquisire quote di mercato recuperandole dal leader. La
strategia d’attacco è una strategia di implementazione aggressiva nei confronti del leader, questo è
perché vuole acquisire quote di mercato del leader con un approccio aggressivo al mercato e qui
dobbiamo richiamare le tecniche di tattiche che in guerra vengono utilizzate: l’accerchiamento, la
guerriglia, ovvero il leader può decidere di operare con tutte le leve del marketing mix per
destabilizzare il leader, indebolendolo su più fronti. Oppure può decidere di prendere in
considerazione determinati segmenti target che il leader non ha ancora preso in considerazione. E
questo noi potremmo chiamarlo attacco laterale, opure c’è l’attacco diretto per cui io opero sugli
stessi segmenti di mercato del leader. Questo si può fare quando ci sono delle capacità del follower
che sono in grado di reagire a quello che è l’attacco del leader.

La leva del prodotto


Il prodotto è qualsiasi entità tangibile o intangibile che può essere acquistata per essere vista,
utilizzata, consumata da parte del cliente, soddisfacendo un bisogno o una richiesta. Il servizio è una
tipologia di prodotto ed è qualsiasi attività o beneficio che può essere offerto al mercato, è
sostanzialmente intangibile e non indica alcuna forma di possesso. La differenza tra prodotto e
servizio è che il servizio è tendenzialmente un prodotto intangibile che non ci portiamo a casa ma
che viviamo in quel momento. Il cliente che riceve un servizio è parte di quel prodotto del processo
di esperienza.

Secondo Shostack che è uno studioso di marketing, il prodotto segue una linea che va da una base
tangibile a una intangibile. Un prodotto Disney, quale Disneyland, è un prodotto, soltanto che
viviamo un’esperienza e quell’esperienza è il nostro prodotto/servizio; quindi, passiamo da un
prodotto tangibile quale potrebbe essere l’acqua o il sale ad un prodotto intangibile quale ad
esempio l’insegnamento. Nell’ambito del marketing operativo ci troviamo all’interno di una delle
leve più importanti del marketing mix, il prodotto non fa altro che rendere concreto e
operazionalizzare il posizionamento di un brand. Tendenzialmente se voglio posizionare il mio brand
come un brand id lusso, il mio prodotto di corrispondenza dovrà rispondere e rappresentare quel
posizionamento. Utilizzerò allora una serie di variabili che aiuteranno a rendere concretamente
visibile la caratteristica e quindi il posizionamento di quel brand.
Stessa cosa sarà necessaria da tenere in considerazione quando parleremo delle altre leve del
marketing mix, quindi il prezzo, la comunicazione e la promozione del prodotto/brand. Anche questi
vedremo operazionalizzano quello che è il posizionamento che abbiamo deciso per quel brand e
quel prodotto e si destinano ad un determinato target. Anche il prodotto deve rispecchiare il target
di riferimento. In questo caso guardando la panda il prodotto è la macchina ma poi in realtà ci sono
una serie di altri modi per dare visibilità del marketing mix; quindi, ci sarà una pubblicità che farà
vedere le caratteristiche distintive del brand, ci sarà la distribuzione, quindi i concessionari che
opereranno nel mercato locale per la distribuzione di questo prodotto. Quindi ogni leva del
marketing aiuta e sostiene il posizionamento e l’obiettivo di raggiungere il target di riferimento.
Quindi quando parliamo di prodotto intendiamo qualsiasi cosa che possa essere offerta dal mercato,
al fine di soddisfare un bisogno, una richiesta del cliente, quindi di far acquistare questo prodotto,
di farlo consumare.

Si tratta, abbiamo detto, non soltanto di un bene intangibile ma anche di un bene tangibile. In tutti
i settori, anche in quello dell’intrattenimento, parliamo di prodotto.
Quando parliamo di prodotto dobbiamo considerare che il prodotto è un mix di aspetti tangibili e
aspetti intangibili. Il prodotto soddisfa un bisogno del cliente.
Quando parliamo di servizio, il servizio è un prodotto, soltanto che la sua caratteristica è
l’intangibilità. Se devo aprire un conto corrente bancario io non posso vedere gustare o toccare il
conto corrente bancario, ma è comunque qualcosa che sto toccando; l’altra caratteristica del
servizio è l’inseparabilità: i servizi non possono essere separati da chi li eroga. Il cliente del servizio
è parte stesso del servizio che acquista. La variabilità, nel senso che la qualità dei servizi dipende dal
fornitore, ma anche dal tempo, dal luogo e dalle modalità di azione. Non è detto che se io apro un
conto corrente bancario, in uno sportello trovo un dipendente e questo dipendente mi offrirà lo
stesso servizio che ha offerto al cliente successivo. Questo perché dipende dalla situazione, dal
contesto e anche dalle informazioni che erogo e che chiedo al mio interlocutore. La variabilità sta a
considerare che ci sono delle caratteristiche che non dipendono dal cliente ma neanche dal
dipendente che eroga il servizio, che possono alterare la qualità e la resa del servizio stesso offerto.
E poi l’ultima caratteristica del servizio è la sua deperibilità. Noi non possiamo accantonare e
depositare un servizio, quindi la deperibilità del servizio è che nel momento in cui finisce
l’erogazione del servizio, quest’ultimo si chiude ed il consumatore non porterà tendenzialmente e
concretamente nulla a casa. Il servizio, quindi, è qualunque attività o beneficio che può essere
offerto, la cui natura è sostanzialmente intangibile e non implica alcuna natura di possesso. I servizi
sono intangibili, la loro produzione è contestuale alla vendita e alla loro fruizione, non sono
ovviamente struccabili e sono difficilmente standardizzabili; non è possibile pensare che tutti
possano ricevere nella stessa maniera il servizio richiesto. È poi difficile stabilirne la qualità prima
della fruizione, perché questa dipenderà non solo da chi lo eroga ma anche da chi ne fruisce; e poi
la l’inseparabilità dal produttore. Ora guardiamo al prodotto in quanto tale, quando parleremo di
prodotto lo intenderemo nella sua genericità, senza fare riferimento al prodotto come bene o come
servizio. In realtà possiamo già capire che il prodotto non è un qualcosa di facilmente definibile. Il
prodotto infatti è un paniere di attributi non è soltanto un bene che soddisfa un bisogno che viene
espresso dal consumatore, ma necessariamente il prodotto ha bisogno di essere rivestito di sue
caratteristiche che arricchiscono il valore
restituito al cliente. Noi possiamo dire che
abbiamo il cuore del prodotto che è
essenziale per il cliente, la core customer
value; poi abbiamo il prodotto effettivo,
quello che effettivamente acquistiamo e
poi il prodotto ampliato, una serie di
servizi che al suo interno vanno ad
aumentare il valore offerto al cliente. Ogni
livello non fa altro che aggiungere valore
al prodotto; quindi, se abbiamo un bene
che soddisfa un bisogno, il prodotto
effettivo è quella serie di caratteristiche
che valorizzano il prodotto.
Ad esempio, soddisfatti o rimborsati è un
modo di garantire l’affidabilità del
prodotto, oppure l’assistenza post
acquisto nel settore tecnologico, per i
beni di alta tecnologia, un supporto prima, durante e dopo l’acquisto del prodotto. Se guardiamo
bene il prodotto non è solo il semplice bene che acquistiamo, ma la percezione che diamo del
prodotto è frutto degli anelli e dei livelli che lo compongono; questo significa che posso avere una
percezione del diversivo Dash e un altro in maniera diversa, che dipenderà dal posizionamento che
ciascuno ha raggiunto sul mercato.
Parliamo di classificazione dei prodotti: possiamo classificare i prodotti sulla base delle utilizzazioni,
quindi abbiamo i beni di consumo, significa che si rivolge al consumatore finale, e i beni industriali,
che sono invece quei beni che sono rivolte alle altre organizzazioni che acquistano il bene per
inserirlo nel loro processo produttivo oppure per rivenderlo a loro volta sul mercato. Infine, i beni
di consumo si suddividono in base al comportamento del consumatore. Quindi possiamo distinguere
tra prodotti convenience, prodotti shopping e prodotti specialty. In base alla tipologia di prodotto
cambieranno le scelte sulle leve di marketing mix. I prodotti convenience, convenienti appunto,
sono prodotti di largo consumo come il pane, il latte, dove il comportamento del consumatore è un
comportamento che non richiede un grosso impegno d’un dispendio di energie per la raccolta di
informazioni sulla tipologia di prodotto, perché si va solitamente su prodotti che si acquistano
frequentemente. Per i prodotti shopping, o anche chiamati ad acquisto programmato, viene
richiesto al consumatore un impegno maggiore, non solo dal punto di vista economico, perché sono
dei prodotti che ovviamente costano, ma sono anche prodotti che richiedono una raccolta di
informazioni per il processo decisionale che potrebbe essere costosa e quindi il processo di acquisto
in questo caso è molto più lungo. I prodotti invece specialty si rifanno alle caratteristiche speciali del
prodotto e in questo caso il consumatore ha una preferenza per quella tipologia di prodotto perché
è legata ad una determinata marca a cui il consumatore è molto legato. Questa sotto è una
interessante slide che fa il punto della situazione su quanto abbiamo appena detto. In funziona della
tipologia di prodotto rispetto al comportamento di acquisto del cliente e alle altre leve del marketing
mix noi possiamo avere prodotti differenti. Quindi, ad esempio, possiamo avere prodotti
convenience, per cui il comportamento d’acquisto sarà frequente, per cui avremo un basso
coinvolgimento del consumatore nel processo di acquisto, il prezzo sarà basso, la distirbuzione sarà
diffusa e di massa su più punti vendita possibili, e la promozione sarà quella di massa, perché
dobbiamo riuscire a raggiungere il numero più alto di consumatori. Per quanto riguarda prodotti ad
acquisto ponderato o di tipo chiamato shopping, questi prodotti hanno un prezzo molto più alto,
ma la distribuzione sarà più selettiva con un minor numero di canali distributivi, perché qui c’è anche
un fattore di posizionamento del brand: mentre le patatine cercano di raggiungere più punti vendita
differenti con formati differenti per adattarsi alle tipologie distributive, per i prodotti ad acquisto
programmato la selezione della distribuzione è selettiva, in quanto ogni punto vendita ha un suo
posizionamento.

Anche la promozione sarà una promozione dedicata, molto spesso diretta e molto spesso verranno
nominati i rappresentati del brand. Un esempio sono i grandi elettrodomestici. I prodotti specialty,
per cui abbiamo visto c’è una forte preferenza per la marca da parte del cliente: qui c’è una bassa
sensibilità verso il prezzo che sarà elevato e la distribuzione è esclusiva e selettiva.
Poi abbiamo i prodotti non previsti, non era nell’elenco di quelli visti prima, ma sono quelli dove c’è
scarsa consapevolezza e conoscenza del prodotto. Anche qui il prezzo e la distribuzione sono
variabili e la pubblicità è di tipo aggressiva. Ad esempio, è l’assicurazione della vita o la donazione
del sangue.
Le decisioni sui prodotti o servizi che vogliamo destinare al consumatore possono riguardare il
singolo prodotto, la linea di prodotti e la gamma; la politica di prodotto è l’insieme delle decisioni
riguardanti l’innovazione, lo sviluppo, la gestione e l’eliminazione dei prodotti intesi sia come entità
singole sia come parte di una gamma assortimento. Le decisioni di prodotto ovviamente discendono
sempre da scelte di posizionamento. Anche qui la scelta del posizionamento è una scelta
delicatissima, perché da questa scelta derivano tutte le scelte del marketing operativo, in primis il
prodotto.
Dobbiamo riprendere il discorso sul marketing strategico per capire come questo si adatta molto
bene alla nostra gestione del prodotto. In realtà quando parliamo di posizionamento del prodotto
noi facciamo sempre riferimento al concetto di segmentazione. Prima abbiamo dovuto segmentare
il nostro mercato per cercare di raggruppare il nostro mercato in segmenti, quindi abbiamo
individuato dei criteri di segmentazione che ci hanno permesso di dividere il mercato in segmenti
che sono al loro interno omogenei e al loro esterno eterogenei per determinate caratteristiche. Poi
abbiamo scelto il segmento target, ovvero uno dei segmenti a cui vogliamo avvicinare e rivolgere il
nostro prodotto; poi abbiamo individuato il nostro posizionamento di questo prodotto, ovvero per
ogni segmento target abbiamo posizionato il nostro prodotto in funzione delle attese degli
acquirenti e in funzione delle posizioni occupate dalla concorrenza. Abbiamo visto che la mappa
percettiva può essere un ottimo strumento per capire come il nostro prodotto potrebbe essere
percepito dai consumatori rispetto ai prodotti della concorrenza. Abbiamo detto che dopo aver
definito quale è la strategia così di marketing che vogliamo adottare, dobbiamo alla fine
programmare le attività operative che ci permetteranno di raggiungere effettivamente il nostro
cliente; quindi, cerchiamo di definire effettivamente un programma di marketing, sviluppiamo un
piano di marketing, che nella parte finale è operativo, che ci permetterà di capire come il nostro
consumatore possa arrivare ad acquistare il nostro prodotto. Quindi noi possiamo prendere
decisioni sul singolo prodotto, sulla linea o sulla gamma. Sul singolo prodotto ci troviamo di fronte
a cinque decisioni che dobbiamo prendere:

Noi possiamo prendere decisioni sugli attributi del prodotto, sulla marca, sulla confezione,
sull’etichetta e sui servizi di supporto. L’ultimo anello che rende il prodotto amplificato e che ci
permette di arricchire quindi il valore del prodotto è proprio dato dai servizi di supporto.
Uno degli attributi di prodotto è la qualità, la totale assenza di difetti per eccesso. Tutto dipende dal
livello che vogliamo dare a questo attributo e quanto effettivamente siamo continuativi, ovvero
quanto siamo costanti nel tenere la qualità del prodotto ad un certo standard. Tutto dipende anche
qui dal posizionamento che abbiamo dato al nostro prodotto e quindi dalla percezione che vogliamo
che i consumatori abbiano del prodotto in quanto tale. È giusto precisare e inserire il prodotto in
una maniera tale da dare l’idea che il prodotto è di qualità ma se poi il consumatore che acquista il
prodotto non ritrova questa qualità, è una strategia che è a perdere, perché il consumatore sulla
qualità non può non tenere in considerazione. Dal punto di vista del cliente, quest’ultimo percepisce
la qualità in termini di prestazioni di prodotto, di caratteristiche del prodotto, di affidabilità del
prodotto, di conformità dello stesso e di durabilità. Infine, l’assistenza è di fondamentale
importanza. Altri attributi del prodotto sono il design, i materiali, la sicurezza e il servizio ai clienti.
Altre decisioni che possono essere prese sono anche sull’etichettatura: la sua funzione è quella di
identificare, descrivere e promuovere un prodotto. Le decisioni sui servizi di supporto al prodotto
possono anche essere valore aggiunto che arricchisce il prodotto acquistato e la sua percezione.

Nell’etichetta sopra troviamo una serie di informazioni obbligatorie, e poi una serie di informazioni
che sono volte a convincere il consumatore acquirente sulla bontà del prodotto offerto; diciamo che
è un modo per descrivere le caratteristiche del prodotto ed ecco perché l’etichettatura non si deve
sottovalutare. Ad esempio, nel settore vinicolo le bottiglie molto pregiate puntano molto
sull’etichettatura che è una componente che veste il prodotto che verrà servito.
Le decisioni su più prodotti (linea o gamma) si effettuano su vari livelli: a livello più alto abbiamo la
gestione di un portafoglio di marche di un’impresa multi-brand, che opera su mercati diversi con
marchi diversi; poi abbiamo la scelta di una brand extension, ovvero la stessa marca viene estesa ad
altre categorie di prodotto; poi vi è l’esistenza di marche diverse operanti nella stessa categoria (il
PM deve conoscere effetti e potenziale cannibalizzazione). E poi ovviamente la gestione della
gamma di prodotto, ovvero la varietà con cui un determinato prodotto viene offerto sul mercato. In
questo caso proprio questo è il cuore del product manager e anche questo ha risvolti strategici.
Quindi quando parliamo della decisione su più prodotti non possiamo non parlare di linea di
prodotti.
Una linea di prodotto è un gruppo di prodotti che sono strettamente correlati tra loro per il
funzionamento simile, per vendita ai medesimi gruppi di clienti, per commercializzazione negli stessi
sbocchi commerciali o appartenenza alla stessa classe di prezzo. Quindi una linea di prodotto
tendenzialmente è un insieme di prodotti che vengono venduti nelle stesse modalità commerciali e
hanno la stessa categoria di prezzo, ad esempio, la linea per bambini, per il fresco. Abbiamo una
serie di varianti che si differenziano per il gusto, ma alla resa dei conti il prezzo è lo stesso e viene
collocato nella stessa categoria merceologica. Le decisioni principali sulle linee di prodotti
riguardano la lunghezza della linea, e in questo caso significa il numero di prodotti che compongono
la linea: in questo caso l’obiettivo è quello di realizzare l’upselling e il cross-selling, ovvero spingere
il consumatore verso l’acquisto di un prodotto più caro o l’acquisto incrociato di prodotti simili che
possono essere acquistati insieme. Ad esempio, la crema per le mani insieme alla crema viso. Un
altro modo per allungare la linea è il completamento della linea, cioè aggiungo ulteriori prodotti
nelle stesse fasce di mercato dei prodotti attuali. Possiamo quindi allungare la linea basandoci sul
prezzo, imporre un prezzo più alto o più basso o posso completare il mio prodotto aggiungendo
ulteriori prodotti nella stessa fascia di mercato. Tendenzialmente è solo un modo per allungare la
linea e completarla. Gli obiettivi sono: conseguire più profitti, soddisfare i consumatori e poi
sfruttare la capacità produttiva in eccesso. Infine, l’obiettivo è diventare leader di tutta la linea ed è
un modo per tenere lontano i concorrenti. L’altra decisione che può essere utilizzata sul prodotto è
l’allungamento della linea di prodotto; significa ampliare la linea di prodotto rispetto al livello
esistente o verso il basso o verso l’altro. È un modo per crescere il prestigio dei prodotti esistenti
verso l’alto ed è un modo per cercare di completare e soddisfare e conquistare segmenti di mercato
che altrimenti sarebbero attirati dal mio concorrente verso il basso. Verso l’alto ci permette di
migliorare la percezione del nostro brand, verso il basso ci permette di rispondere all’attacco di un
possibile competitor. È quello che ha fatto Toyota, allungando la linea del prodotto automobilistico
su più linee che si differenziano per il prezzo e per caratteristiche distintive del prodotto stesso.
Infine, dobbiamo parlare di decisioni che possono essere presi su gamma o mix dei prodotti
(portafoglio di prodotti di un’impresa). Significa che il mix dei prodotti non è altro che tutte le linee
di prodotto che sono offerte dall’impresa. Parliamo di assortimento, mix di prodotto o gamma di
prodotto; le dimensioni della combinazione di prodotto sono l’ampiezza, la lunghezza e la
profondità. L’ampiezza non è altro che il n. delle diverse linee di prodotto dell’impresa; la lunghezza
è il n. degli articoli all’interno delle singole linee di prodotto e la profondità è il n. di varianti offerte
per lo stesso prodotto nella stessa linea. Infine, la coerenza che è il rapporto più o meno stretto tra
le varie linee di prodotto quanto all’utilizzo finale, requisiti di produzione, canali di distribuzione.
Altro esempio che possiamo utilizzare per cercare di capire come utilizzare la terminologia sulla linea
di prodotto; questo sotto è un esempio di gamma di prodotti

Questo è collegato alla matrice quando abbiamo parlato della matrice di ansuf, quando abbiamo
parlato di sviluppo di prodotto possiamo collegarci al mix di prodotti, ovvero alla gamma di prodotti
offerti dall’impresa.
Le strategie di prodotto dell’impresa sono: possiamo aggiungere tipologie di prodotto per arricchire
l’offerta dell’impresa, possiamo allungare i prodotti esistenti aumentando la copertura del mercato,
oppure possiamo introdurre ulteriori versioni del prodotto già esistente per rendere più profondo il
mix di prodotto.

La marca
La marca è un nome, un termine, un simbolo, un disegno o una combinazione di questi elementi
che ha l’obiettivo di identificare beni e servizi di un venditore o di un gruppo di venditori
differenziandoli da quelli dei concorrenti. La marca si vede come non sia solo un insieme di attributi
tangibili, ma sia anche un insieme di attributi intangibili e di associazioni mentali che vengono
registrati nella mente del consumatore e che definisco l’identità di marca. Abbiamo parlato nella
lezione precedente di prodotto come insieme di attributi tangibili e intangibili, qui diciamo che la
marca non è altro che un prodotto con una personalità, un’identità, una immagine, con una
reputazione; gestire la marca vuol dire nel medio e lungo periodo avere una fonte di redditività che
permette ad un prodotto di restare nel mercato nel tempo. La marca è una risorsa strategica per
un’impresa che gli consente di ottenere un vantaggio competitivo: una marca forte è una marca che
riesce ad essere ben riconosciuta sul mercato e molto probabilmente sarà scelta dai consumatori
rispetto alle marche degli altri concorrenti. Riuscire a creare una marca forte, con un’identità forte,
un’immagine altrettanto chiara permette all’impresa di ottenere nel medio e lungo periodo dei
clienti fedeli. Perché si rivedono e si riconoscono nelle caratteristiche e nei messaggi che la marca
restituisce al consumatore che li acquista. Il prodotto marca è quindi qualcosa di più della semplice
marca e quindi creare un prodotto con un’etichetta, un brand, è un obiettivo che l’impresa cerca di
raggiungere. Far diventare un prodotto con un’etichetta una marca, significa creare su di essa ed
effettuare degli investimenti in termini di comunicazione, di distribuzione e di caratteristiche di
prodotto per cercare di rendere questa marca distinguibile sul mercato con una propria personalità
e delle proprie caratteristiche. Quindi essa non è soltanto un termine o un simbolo o un’immagine
ma troviamo qualcosa di più, ovvero una serie di associazioni mentali positive che restituiscono un
valore aggiunto al consumatore che le acquista. Quando quindi acquisto un prodotto con un brand
sono disposto anche a pagare di più per quel prodotto e quel servizio. La marca è importante per
una serie di motivi: la prima è che è una fonte di redditività: se riesco a creare una marca, mi posso
permettere di mettere un prezzo superiore rispetto alla concorrenza perché su quel brand io ho
creato un valore aggiunto che non è solo di natura tangibile (la qualità) ma anche intangibile (lo stile,
ad esempio). Ottengo una redditività anche perché ottengo dei clienti fedeli. Se so gestire la marca
in ermini di immagine, di identità e di equity, io ho la possibilità di ottenere consumatori che non
rinunceranno all’acquisto del mio prodotto e continueranno ad acquistarlo perché su quel prodotto
vedono che riescono a soddisfare al meglio le loro esigenze, non solo di natura tangibile, ma anche
intangibile. Grazie alla marca io riesco a creare delle barriere all’ingresso. Se c’è un brand molto
forte, un leader di mercato, molto probabilmente saremo in grado di impedire a potenziali
concorrenti di entrare nel mercato. Pensiamo a Barilla che intorno a sé ha creato un brand fortissimo
per cui inserirsi nel mercato della pasta è problematico nella misura in cui Barilla riesce per la sua
capacità a gestire il business la possibilità di un brand di poter essere inserito nel mercato.
Di solito la marca è fonte di vantaggio competitivo; la fonte del vantaggio competitivo nasce da una
strategia che in questo caso è una strategia di differenziazione: una marca che riesce a distinguersi
bene, con una definita e decisa personalità è una marca che probabilmente riesce ad ottenere una
redditività superiore rispetto agli altri. Creare una marca intorno ad un prodotto è sicuramente un
obiettivo che molte imprese si pongono e che se si riesce a mantenere nel tempo permette al
prodotto di restare sul mercato. È necessario capire come fare per cercare di evitare la fase di
declino, ovvero il momento in cui la marca perde la propria potenza e comincia il proprio declino.
Ora dovremmo cercare di capire la funzione della marca. Abbiamo capito la sua importanza, ora
cerchiamo di capire le sue funzioni. Essa è importante non solo per il cliente ma anche per il
produttore in mercati BTC; ma la marca ha la sua importanza, assolve a determinate funzioni anche
nei mercati BTB. La funzione della marca per il cliente nei mercati BTC qual è? La marca ha la sua
importanza e sono cinque le funzioni che assolve: la marca per il cliente assolve una funzione di
orientamento, ma anche di praticità, di garanzia, di personalizzazione e infine, una funzione ludica.
Funzione di orientamento significa che la marca è un paniere di attributi tangibili e intangibili, anche
di caratteristiche legate all’identità di marca, per cui il cliente usa questa informazione per orientare
le sue scelte di acquisto in funzione che i bisogni esso esprime durante il processo di acquisto. Quindi
conoscere, attraverso la marca, quali sono le caratteristiche del prodotto che poi riusciranno a
soddisfare i suoi bisogni è una funzione che orienta il cliente verso la scelta del prodotto marca che
soddisfa i suoi bisogni. La marca dà una serie di informazioni utili al cliente per orientarsi nel vasto
assortimento di attributi e di prodotti che il mercato e l’offerta potrebbe soddisfare. L’altra funzione
è una funzione di praticità, ovvero la marca non fa altro che migliorare il processo di acquisto,
velocizza il processo di acquisto sintetizzando le caratteristiche in quello che è un processo che senza
la marca dovremmo ripetere durante i nostri acquisti in un supermercato. La marca in questo caso
ha una funzione di praticità perché permette al cliente di semplificare il suo processo di acquisto,
rendendolo quasi abitudinario. Tendenzialmente la marca è importante che riesca a generare una
comunicazione chiara delle sue caratteristiche distintive per questo è importante fissare nella
mente del consumatore determinate caratteristiche della marca. Ha anche una funzione di garanzia,
perché tendenzialmente riconosce il produttore, lo identifica e lo responsabilizza. Infine, la funzione
ludica: la marca permette al consumatore di vivere un’esperienza. Vediamo ora la marca che
funzionalità ha nel mercato business to consumer per il produttore; anche per il produttore, infatti,
investire sulla marca significa riuscire ad avere alcune agevolazioni che gli permettono nel breve e
medio periodo sia ad avere una redditività ma anche di avere la sicurezza di poter sopravvivere nel
mercato; ad esempio, investire sulla marca significa ottenere delle agevolazioni che provengono dal
ruolo che la marca svolge. Un esempio una marca molto chiara, con una determinata identità,
assolve ad un chiaro posizionamento. La marca inoltre ha una funzione di comunicazione, perché
permette di instaurare in maniera diretta una relazione diretta al cliente grazie alla leva della
comunicazione. Questo come lo fa, aiutandosi con la leva della comunicazione indipendentemente
dalla leva della distribuzione. Quando nei mercati internazionali abbiamo una marca forte e
riconosciuta, il nostro prodotto risulta un prodotto spoglio; infatti, se la gestione non è diretta ma è
seguita da intermediari, perdiamo il controllo del prodotto e quindi succede che non sappiamo come
il prodotto verrà venduto sul mercato internazionale. Se noi invece abbiamo un brand molto forte,
riusciremo ad imporre le nostre decisioni di marketing operativo sull’intermediario, ed ecco perché
spesso si fa leva sul made in italy. La funzione di comunicazione è fondamentale, perché permette
una relazione con il cliente, indipendentemente da altri attori che lungo la filiera produttiva ma
anche lungo la filiera commerciale potrebbero intervenire, ma ci permette anche di creare quella
relazione e quel legame che fidelizza il cliente. Poi ha una funzione di protezione, perché la
possibilità di poter registrare il marchio aiuta il produttore a potersi salvaguardare da azioni di
imitazione e plagio che non vanno a beneficio del produttore. Poi parliamo della funzione di
capitalizzazione, nel senso che la marca permette di cristallizzare tutti gli investimenti che sono stati
fatti sul prodotto e permette di creare un capitale che nel medio e lungo periodo permetterà di
avere la forza della marca, o brand equity. La funzione di capitalizzazione non fa altro che
cristallizzare tutti gli investimenti che sono stati fatti sulla marca, investimenti pubblicitari o in
generale di comunicazione e di rendere questa marca molto più forte rispetto a marche che non
hanno ricevuto un quantitativo di investimento tali da essere effettivamente note. L’investimento
sulla marca in termini di comunicazione e di pubbliche relazioni crea maggiore notorietà che a sua
volta aumenta il valore del brand; quest’ultimo è insito nel brand stesso e si riversa su un prezzo
maggiore, sulla possibilità di creare delle partnership e il produttore. All’interno di questa
capitalizzazione capitalizziamo anche la soddisfazione del cliente. Poi abbiamo detto la funzione di
fedeltà; significa riuscire a legare a sé il cliente, creando una relazione duratura. Poi la funzione di
barriera all’entrata: la barriera all’entrata non è altro che la funzione della marca, grazie al fatto che
svolge tutte queste funzioni, di creare una barriera all’ingresso che non permette a potenziali
concorrenti di entrare nel mercato di riferimento. Infine, dobbiamo parlare della funzione della
marca nei mercati BTB; questa tipologia di funzione della marca è molto simile a quella del
marketing brand di largo consumo, ad eccezione della funzione ludica. Le caratteristiche dei mercati
industriali (BTB) sono l’acquistabilità e la visibilità, nel senso che il brand nei mercati BTB può essere
acquistabile anche singolarmente, possiamo conoscere il produttore di questi beni industriali, li
potremmo acquistare anche separatamente e non per forza associarli al prodotto finale. Li
potremmo acquistare un pezzo, ad esempio un freno della Brembo e noi sappiamo che quello è un
pezzo di ricambio e che quella marca è una marca distinguibile sul mercato di fama internazionale;
e poi l’altra funzione, quella della visibilità globale: una marca nel BTB ha la possibilità di comunicare
le proprie caratteristiche non soltanto in una visione diretta ma anche nell’attività di comunicazione.
Questo accade anche per la Michelin. Questo è importante per una marca BTB perché allarga il suo
mercato di riferimento. Infine, ha una funzione di rintracciabilità e di facilitazione; nel caso della
rintracciabilità significa la possibilità di seguire le tracce del prodotto incorporato, nel senso che
possiamo riconoscere il marchio e il produttore del pezzo quindi inserito nel prodotto finale; nella
funzione di facilitazione la marca faciliterebbe il processo di acquisto di un produttore, ma potrebbe
creare un valore aggiunto che la marca attribuirebbe al prodotto finale. Ad esempio, i PC che
montano processori Intel hanno un valore aggiunto, aggiunto proprio dal pezzo Intel nel mio PC.
Siamo in una fase che avanza il concetto di marca, e che ci porta a ragionare sulla gestione della
marca. Una volta che abbiamo capito che la marca è importante perché crea delle barriere
all’entrata nel mercato, perché genera un vantaggio competitivo che ci differenzia dai nostri
competitors e perché ci genera valore aggiunto, dobbiamo ora capire come possiamo far sì che
queste funzioni siano efficaci ed utili per i consumatori e per le imprese che investono sulla marca.
Quando noi andiamo a gestire una marca noi dobbiamo gestire il posizionamento della marca, la
sua identità, la sua immagine e la sua forza (brand equity). Tali concetti sono collegati tra di loro.
una volta che abbiamo definito i segmenti, dobbiamo capire come andare a posizionarci, ovvero
capire quali sono i benefici che noi vogliamo restituire a chi acquisterà i nostri prodotti e qual è
l’immagine che vogliamo che il consumatore abbia di noi quando vedrà il nostro prodotto. il
posizionamento deve essere chiaro e deve essere nettamente chiaro il prodotto mio rispetto al
prodotto della concorrenza. Nel posizionamento della marca noi non facciamo altro che ragionare
in termini di caratteristiche tangibili e intangibili che il brand riesce a restituire grazie anche alle
caratteristiche distintive di personalità che siamo riusciti a costruire grazie alla comunicazione nel
corso degli anni. Quando posizioniamo la marca rispondiamo ad una serie di domande: per cosa una
marca dovrà essere acquistata, per cui, per quando e contro chi.
Il problema è che posizionare la marca sul mercato oggi non è facilissimo soltanto rispondendo a
queste domande, ma oggi con una fortissima concorrenza richiede uno sforzo in più nel gestire la
marca, in maniera da renderla differente rispetto a quella dei concorrenti. Nel corso degli anni e in
particolare negli anni ’80 si è pensato bene di parlare di identità di marca come un potenziamento
del posizionamento di marca che contempla la personalizzazione e la comunicazione di elementi
tangibili che permettono di distinguere più chiaramente la marca rispetto a quella della
concorrenza. Potremmo dire, pertanto, che il concetto di identità di marca si avvicina al concetto di
posizionamento, ma aggiunge altri elementi, arricchisce il posizionamento del brand aggiungendo
altri aspetti che permettono ad un prodotto/servizio di distinguersi nel mercato di riferimento.

La marca aiuta il consumatore ad esprimere se stesso e la sua diversità; quindi, attraverso la marca,
i valori e le sue caratteristiche di personalità della marca, noi che acquistiamo il brand riusciamo a
rispettare noi stessi e l’immagine che vorremmo dare di noi. Kapferer ha ideato il prisma
dell’identità di marca, un prisma a sei facce, all’interno del quale ogni elemento, ogni lato del prisma
esprime un carattere, un aspetto della marca. Questi aspetti della marca, alcuni sono espressioni
dell’esternalizzazione della marca, altri sono aspetti dell’internalizzazione della marca. Ci sono
alcuni aspetti che hanno a che fare con la relazione che la marca ha con il consumatore, altri invece
sono aspetti che in realtà vengono espressi molto spesso attraverso la comunicazione e attraverso
azioni di marketing operativo, ma che strutturano, costituiscono e consolidano l’immagine della
marca. In questo prima ci sono aspetti propriamente legati all’immagine del prodotto e aspetti legati
all’immagine del consumatore. Questi sei aspetti che caratterizzano l’identità di marca e aiutano a
potenziare il posizionamento del brand del mercato sono: l’aspetto fisico, la personalità, la
relazione, la cultura, la riflessione e l’immagine di sé. L’aspetto fisico non ha altro a che fare con gli
attributi tangibili del prodotto, ha a che fare con gli aspetti più fisici del prodotto; ad esempio
bottiglie di liquore hanno una particolare forma che aiutano la differenziazione fisica del prodotto.
poi abbiamo la personalità, ovvero i tratti del carattere del brand che molto spesso sono raccontati
attraverso i caratteri all’essere umano. Altro aspetto è la cultura, ovvero tutti quei valori che
costituiscono la marca, etici, morali, ecc. Ad esempio, McDonadl ha collegato la propria marca allo
stile di vita americano. Un’altra caratteristica è la relazione: capacità di comunicazione con il cliente
che la marca riesce ad instaurare nel corso degli anni. Un’altra faccia è la riflessione e ha a che fare
con il modo con cui i consumatori vogliono essere visti quando usano la marca. La riflessione non è
altro che il modo in cui il consumatore che usa la marca vuole essere visto, mentre l’immagine di sé
è l’immagine del consumatore quando usa la marca. Ci sono aspetti che hanno a che fare con
l’aspetto del brand, ma ci sono anche altri aspetti che caratterizzano il consumatore, ovvero ad
esempio, la riflessione e l’immagine di sé. È fondamentale a questo punto tutte le scelte che
verranno fatte sulla comunicazione di marca, perché queste restituiranno una serie di messaggi che
creeranno valore per il consumatore, e che vedendoli potrebbe sentirsi più o meno rappresentato
da quel brand. Ora andiamo a vedere l’esempio di identità di marca applicata a waffer Loacher.

Questo è un esempio importante per capire come il prisma è una fonte di marketing
importantissima, perché ci permette di posizionare in maniera corretta il nostro brand in una platea
di brand che sul mercato cercheranno di ritagliarsi uno spazio di vantaggio competitivo. Ciò significa
che abbiamo la possibilità, combinando le facce del prisma, di dare una conformazione al nostro
brand che sarà posizionato sul mercato con un determinato prodotto e servizio, rivolgendosi ad un
determinato mercato target.

La marca può essere costruita, abbiamo visto, attraverso una serie di variabili che la delineano in
maniera più definitiva e poi può essere collocata sul mercato in modo che si noti la differenza con
la concorrenza. Però questo è il punto di vista del consumatore; l’identità di marca, così come il
posizionamento, non possono essere però così confuse con il concetto di immagine di marca, che
invece adotta un punto di vista esclusivamente legato al consumatore. Il consumatore, cioè, non fa
altro che avere un’idea della marca e questo ovviamente poi può avere degli effetti negativi o
positivi sull’acquisto del prodotto stesso. L’immagine di marca non è altro che la percezione
dell’identità di marca nella mente del consumatore. Ovviamente non è da confondere ed è anche
da analizzare e approfondire e da tenere sotto controllo; un conto è come costruiamo la marca, un
conto è come viene recepita dal consumatore, è fondamentale un monitoraggio della percezione
del brand nel mercato. Potremmo definire le immagini di marca come l’insieme delle
rappresentazioni mentali, cognitive e affettive che un gruppo di persone si fa di una marca o di
un’impresa. Rappresentazioni cognitive perché la percezione del consumatore non soltanto
intervengono aspetti di natura puramente cognitiva, ma entrano in processo di elaborazione del
messaggio anche aspetti di natura affettiva. Questo è un aspetto molto importante poiché su questo
si basano molte pubblicità, ad esempio la pubblicità dei profumi, che basano il raconto del brand su
concetti legati alla dimensione affettiva/emotiva, affidano quindi la comunicazione del brand a dei
testimonial che già hanno in sé alcune immagini positive, alcuni valori e un’identità chiaramente
definita e mettono in queste pubblicità delle emozioni che dovrebbero essere suscitate nel
consumatore e che dovrebbero poi far desiderare l’acquisto del prodotto.
Qualsiasi costruzione dell’identità di marca e qualsiasi posizionamento noi effettuiamo sul mercato
può prescindere da un’analisi della marca nella mente del consumatore. Ci sono tre livelli di
immagine di marca: un primo livello che è l’immagine percepita, un secondo livello che è l’immagine
reale e un terzo livello che è l’immagine desiderata. L’immagine percepita non è altro che
l’immagine di come il segmento percepisce la marca; l’immagine reale non è altro che la marca
com’è, ovvero la realtà della marca con i suoi punti di forza e di debolezza e poi l’immagine
desiderata è l’immagine che il brand manager vorrebbe che il consumatore avesse del brand.
Tendenzialmente l’immagine desiderata si comunica attraverso il posizionamento, ed è come il
brand manager vorrebbe che il brand venisse percepito nella mente del consumatore, ed è un
ragionamento che si fa a livello interno, l’immagine percepita non è altro che l’immagine che guarda
effettivamente a come il consumatore percepisce il brand; l’immagine reale è quello che
effettivamente il brand è. Non è detto che l’immagine percepita corrisponda con quella reale e non
è detto che l’immagine reale corrisponda con quella desiderata. Ovviamente l’immagine percepita
e l’immagine desiderata noi abbiamo attori differenti: l’immagine percepita può essere differente
dall’immagine reale e questo potrebbe essere sia positiva come cosa sia negativa: se infatti
l’immagine percepita è diversa da quella reale ma è positiva, significa che la comunicazione in
questo caso ha giocato un ruolo molto importante nel rafforzare l’immagine del brand; quando
invece è negativa, significa che c’è da rivedere il concetto stesso del brand. Invece se l’immagine
reale è differente rispetto a quella desiderata, questo si chiama gap di potenziale, e significa che
tendenzialmente c’è da rivedere la strategia di riposizionamento, c’è da rivedere le caratteristiche
del brand che potrebbero essere potenziate per cercare di fare in modo che si possa migliorare
l’immagine reale. Quando l’immagine reale non coincide con quella desiderata? Questo può
accadere nei mercati dei servizi, diciamo che nei servizi, quando in realtà è il personale front office
che si relazione direttamente con il consumatore, visto che è il personale che presenta il brand,
ovviamente diventa molto importante cercare di gestire nella maniera più adeguata possibile.
Parliamo della brand equity, o patrimonio di marca; è collegato al discorso di gestione della marca.
Infatti, quando andiamo a gestire la marca, andiamo a valutare qual è il valore, la forza della marca
che è riuscita a essere accumulata nel corso del tempo. La prima definizione di brand equity non è
altro che collegata ad un valore economico che iul brand ha nella gestione del business aziendale e
l’altra definizione di brand equity è collegata per lo più alle relazioni con il consumatore;
tendenzialmente sono due definizioni complementari. Per brand equity si intende il capitale
accumulato da una marca derivante dai suoi precedenti investimenti in marketing. L’altra
definizione è che il brand equity è il valore supplementare percepito dal consumatore che si
aggiunge al valore funzionale di un prodotto e servizio quando questo è associato ad una marca
specifica. Significa che il patrimonio di marca, che esprime la forza di marca è legato
tendenzialmente al concetto di notorietà di marca, ma anche di capacità della amrca di aver creato
una fiducia nei confronti del consumatore tale per cui sarebbe disposto ad acquistare il prodotto ad
un prezzo elevato, perché il brand è un brand che gli ispira fiducia. Dal punto di vista della definizione
economica, la brand equity ci aiuta a valutare il valore finanziario della marca, ci permette di
monetizzare tutti quelli che sono gli investimenti che nel tempo sono stati effettuati nella marca e
che poi si concretizzano in un brand forte e quotato. Dall’altro lato, dal punto di vista del
consumatore, il patrimonio di marca non è altro che la capacità del brand di aver costruito nella
mente del consumatore delle immagini che sono coerenti e tutte positive, e quindi la capacità del
brand di aver accumulato stock di soddisfacimenti del cliente che poi si concretizzano in una marca
molto forte, che poi non fa altro che misurare il valore totale della marca che rappresenta un
elemento attivo di bilancio che può essere venduto separatamente. Ma è visto anche come la forza
dell’attaccamento del cliente che acquisterebbe il prodotto ad un prezzo più elevato pur di averlo.
Quando parliamo di architettura noi non facciamo altro che fare riferimento alla marca e alle
sottocategorie della marca che ci permettono di gestire il brand e di aumentare il valore, e trasferire
questo valore tra prodotti differenti tra di loro ma che hanno in comune un unico logo, brand.
Definiamo architettura di una marca come il modo in cui le marche che costituiscono il portafoglio
di un’impresa sono legate poi alla fine tra di loro; l’architettura, quindi, specifica il ruolo della marca
e la relazione che essa ha con le altre marche e con gli altri brand. Per creare il nome di una marca,
secondo Aaker ci possono essere tre strategie: la strategia della marca aziendale, la strategia della
famiglia di marche e la strategia della marca garantita. La strategia della marca aziendale consiste
nell’usare lo stesso nome o dell’impresa o del brand capofila per tutti i prodotti offerti dall’impresa.
È, ad esempio, una strategia adottata da Virgin: essa utilizza un descrittore funzionale per
differenziare i suoi brand: in realtà la marca aziendale è sempre quella del brand capofila, Virgin, e
questa viene attribuita su tutti i business dell’impresa, soltanto che gli viene affiancato un piccolo
descrittore che la differenzia rispetto al settore di appartenenza (Virgin Radio, Virgin fitness, ecc.).
Stessa cosa Google (Google Libri, Google Play, ecc.). È importante farlo perché ci sono una serie di
vantaggi nell’utilizzare la stessa denominazione. In primis riduco i costi di comunicazione e di
promozione; lo svantaggio è che se c’è una crisi manageriale o un problema legato all’immagine di
uno dei business dell’impresa, questo si riversa su tutti i business associati al brand e questo
ovviamente è un punto di debolezza che va a scapito del brand. In realtà è una strategia molto
adottata dalle multinazionali che ha i suoi vantaggi proprio nella possibilità di effettuare economie
nell’ambito della comunicazione. La forza della marca fa da garanzia a tutti i prodotti associati ad
essa.

Un’altra tipologia di strategia che potrebbe essere utilizzata è la famiglia di marche; questa strategia
viene utilizzata ad esempio da multinazionali, quali Procter and Gamble, e che prevede la creazione
di sottomarche indipendenti le une delle altre, ma la marca madre fa da sostegno ombra oppure fa
si che non ci sia nessuna connessione con la famiglia di marche. Anche qui abbiamo dei vantaggi e
degli svantaggi. Sicuramente la possibilità di utilizzare delle sottomarche permette di ampliare la
possibilità di estendersi verso i leader del mercato con brand differenti. Il vantaggio è che quindi se
c’è un problema delle marche, le altre non ne risentono, ma lo svantaggio è legato ai costi, perché
è molto costoso tenere più marche con identità differenti e mantenere queste marche con delle
campagne pubblicitarie ad hoc. Le marche, pur essendo indipendenti sono sostenute dalla marca
capofila o dal brand dell’impresa. Possiamo trovare la marca d’impresa funge da garanzia del brand,
quindi sostiene il brand, nell’altro caso possiamo avere un tipo di sostegno di legame, in questo caso
facciamo l’associazione tra il brand capofila e il sotto brand e questo lo facciamo quando ancora il
brand sotto categoria non è ancora ben posizionato sul mercato e quindi lo aiutiamo sostenendolo
con la marca capofila, oppure con il cosiddetto sostegno ombra, noi non dichiaratamente associamo
il brand al brand capofila, ma comunque si sa che c’è un legame, tramite una garanzia celata. Questo
permette di ridurre i costi di supporto. Rispetto ad un prodotto la marca ha più possibilità di non
cadere nella fase di declino nella misura in cui siamo in grado di sviluppare continuamente il suo
potenziale.

Caron individua le possibili azioni che dovrebbero essere attuate per cercare di restare in quella fase
e ottenere una maggiore redditività. Ad esempio, siamo in una fase di lancio, la nuova marca viene
lanciata sul mercato, occorre chiarire il beneficio e la promessa che la marca darà al consumatore e
quindi sarà necessario definire il posizionamento ricercato. Una volta che il consumatore conosce il
prodotto e inizia ad acquistare il prodotto conoscerà anche il brand e se ne farà un’idea. La marca
con un suo potenziale è una marca che può crescere nella sua fase di consolidamento quando cioè
c’è un maggiore investimento in attività di marketing operativo che gli permettono di spingere la
vendita del prodotto sul mercato. Nella fase di conferma occorrerà definire il territorio della marca,
definire le caratteristiche distintive della marca, la sua identità, rispetto a quelle della concorrenza.
Nella fase di lancio potremmo avere una marca che può avanzare consolidando la sua posizione sul
mercato con un aumento della quota di mercato, o una marca in declino, che esce dal mercato
perché non ha potenzialità, che non è riuscita a delineare il suo posizionamento chiaro e quindi il
segmento di mercato che può essere soddisfatto dalla sua promessa di valore. Nella fase di
consolidamento la marca è riconosciuta ad ha una notorietà molto alta. Succede che anche dopo
questa fase se non si opera attraverso il marketing mix si rischia che la marca perda quota. In questo
caso si parla di marca incidentata. Riusciamo a sostenere la marca e quindi un ampliamento della
copertura del mercato di riferimento quando lavoriamo con le leve del marketing mix. Lavoriamo
ad esempio sul packaging, su un ritocco sul prezzo oppure possiamo lavorare sulla comunicazione
per cercare di mantenere vivo il ricordo del brand. Se non si riesce a lavorare attraverso le leve del
marketing mix per sostenere la marca, quest’ultima rischia una fase di declino. Se invece la marca
ha un fortissimo potenziale, con attività di ricerca e sviluppo è possibile rinnovare e far diventare
una marca di riferimento. Passiamo ora alle possibili strategie che possono essere adottate
nell’ambito del portafoglio prodotti offerti all’impresa.

Quello che ci richiama questa slide è un concetto che avevamo già visto qualche lezione precedente
sulla matrice di ansof; parliamo delle possibilità di sviluppo di un prodotto quando ci troviamo in
una situazione di un mercato conosciuto/non conosciuto quindi attuale/nuovo, e ci troviamo con
prodotto conosciuto o nuovo. Stessa cosa la possiamo proporre nell’ambito della marca. Noi
possiamo sfruttare il portafoglio di marca adottando queste possibili strategie. In questo caso
incrociamo la categoria di prodotto (esistente/nuova) con il nome di marca (esistente/nuovo).
Rispetto alla matrice di ansof manca il confronto con l’elemento mercato che in questo caso non è
preso in considerazione, ma che è una terza dimensione da non sottovalutare che ci permetterebbe
di portare più in profondità il nostro brand sul mercato di riferimento. Quando la categoria del brand
è attuale, quindi esistente e ci troviamo con un nome di marca esistente, noi non possiamo fare
altro che adottare una strategia cosiddetta estensione di linea, ovvero noi non facciamo altro che
aumentare in forma, in gusti, la varietà dei prodotti della marca, nell’estendere la linea non facciamo
altro che lavorare sulla profondità del nostro brand; potremmo, ad esempio, lavorare sul formato.
Potremmo inoltre estendere la linea di prodotto o operando con strategie di upselling, che
dovrebbero incentivare l’acquisto di prodotti ad un prezzo più elevato, oppure effettuare una
strategia di cross-selling, quindi inserire prodotti che si rivolgono allo stesso segmento di mercato
ma che dovrebbero aumentare ed incentivare l’acquisto del nuovo prodotto. potremmo fare anche
una strategia nel senso che andiamo a realizzare un nuovo prodotto nella stessa categoria ma che
si rivolge ad un nuovo segmento di mercato, al fine di vendere ad un prezzo più basso e incentivarne
l’acquisto. Invece, la strategia di estensione di categoria prevede di voler entrare in un nuovo
mercato, ma in questo caso con la stessa marca. Questa è una strategia molto remunerativa che
basa tutto sulla reputazione del brand, facendo fede alla notorietà del brand si cerca di spingere le
vendite su nuove categorie di prodotto non ancora ovviamente inserite nel portafoglio dei prodotti
dell’impresa. Nelle marche multiple, invece, noi introduciamo nuovi prodotti nella stessa linea di
prodotto ma con marche differenti; questo lo facciamo per cercare di soddisfare bisogni di acquisto
differenti e ci permette di coprire il mercato di riferimento nel miglior modo possibili. Possiamo
avere nella stessa linea di prodotto tre marche ma tre marche con prezzi differenti, e quindi
posizionamenti differenti. Le marche multiple in una stessa linea di prodotto hanno il vantaggio di
permettere di coprire il mercato nella migliore maniera possibile. In più abbiamo una nuova marca
che entra in un nuovo mercato.

Ultimo concetto che è importante rimarcare è il rischio di cannibalizzazione, che si può avere quando
abbiamo a che fare con marche o sottocategorie di marche che si appoggiano su marche ombrello
o che vanno a sostituire e cercare di ampliare l’offerta di prodotto sul mercato. La cannibalizzazione
può avvenire tra una marca di nuova introduzione e una vecchia marca già esistente sul mercato.
Traylor studia questo problema, e con la figura riporta le situazioni che si potrebbero verificare, sia
in positivo che in negativo. Il rettangolo rappresenterebbe il mercato potenziale, i cerchi i clienti che
sono conquistati dalla marca e potremmo dire che l’intersezione sono i clienti che passano da una
marca e scelgono l’altra. La marca X rappresenta la marca della concorrenza; nel primo caso
abbiamo un caso drammatico, perché la nuova marca non fa altro che cannibalizzare quella vecchia;
i clienti della nuova marca sono esattamente quelli della vecchia marca, con un passaggio alla marca
del mio concorrente. Nel caso due troviamo una nuova marca che non fa altro che estendere il
mercato di riferimento della vecchia marca e quindi soddisfa tendenzialmente maggiormente la
domanda. Questa è una situazione molto buona rispetto al primo caso. Invece nel caso 3 anche qui
la situazione migliora anche se una cannibalizzazione in parte c’è perché comunque la nuova marca
trasferisce a sé alcuni clienti della vecchia marca, anche se riesce a recuperare anche clienti dalla
concorrenza. Il caso ottimale e di successo è quando una nuova marca non soltanto non cannibalizza
la vecchia marca; quindi, si rivolge ad una domanda nuova senza intaccare segmenti di domanda
che si rivolgono alla marca precedente, ma inoltre intacca i segmenti di domanda a cui si rivolge la
marca concorrente. Quindi non fa altro che togliere quote di mercato alla marca concorrente.

La distribuzione
Una prima annotazione che possiamo fare è la definizione di canale distributivo. Un canale di
distribuzione è una struttura formata da partner indipendenti che mettono beni e servizi a
disposizione dei consumatori o delle imprese industriali clienti. Un canale quindi di distribuzione è
un canale formato da uno o più intermediari che permette, in virtù del fatto che sono molto vicini
al consumatore finale, di rendere prodotti e servizi in funzione dei bisogni delle esigenze della
cliente. Gli intermediari all’interno del canale di distribuzione sono dei partner dei produttori che
proprio in virtù del fatto che conoscono molto bene i clienti locali, i clienti prossimi ed hanno la
possibilità di avere informazioni che possono essere considerate strategiche. Non sempre tra
produttori ed intermediari c’è stata sempre una collaborazione, mentre oggi è molto elevata la
collaborazione. Oggi le cose sono cambiate in virtù del fatto che oggi ci sono anche numerosi
strumenti che da una parte ci permettono di emanciparci dai canali distributivi tradizionali e
dall’altro lato abbiamo la possibilità di ottenere le informazioni sul comportamento del
consumatore che prima non potevamo avere. Se prima i canali distributivi dettaglianti o la vera
distribuzione avevano un potere contrattuale fortissimo, oggi i produttori riescono di più ad
emanciparsi e a ottenere anche una relazione diretta con il consumatore grazie ad una serie di
agevolazioni che internet ci dà e che permettono di ottenere.
Questa è una figura riassuntiva di tutto il processo che in questa lezione tratteremo. Tutto parte
dall’obiettivo generale d’impresa; abbiamo detto che l’impresa ha degli obiettivi ben specifici ma in
base alle caratteristiche del mercato e ai vincoli da prendere in considerazione che possono essere
fattori del mercato, caratteristiche del prodotto e caratteristiche dell’impresa, possiamo scegliere
strutture verticali di distribuzione che potrebbero essere strutture verticali convenzionali e strutture
verticali coordinate. All’interno delle strutture verticali convenzionali e delle strutture verticali
coordinate, che sono i sistemi di marketing, possiamo avere un numero di intermediari basso o alto;
quando il numero degli intermediari è basso si parla di canali tendenzialmente diretti, quando invece
il numero di intermediari è molto alto si parla di canali indiretti. Diretti perché ho un diretto contato
con il cliente finale; indiretti perché io non mi relaziono direttamente con il consumatore finale ma
lo faccio tramite uno o più intermediari che acquistano la proprietà del bene e la rivendono al
consumatore finale. La lunghezza del canale dipende dal numero di intermediari presenti nel canale
di distribuzione. Un canale tendenzialmente molto lungo prevede che il produttore e il cliente finale
prevede che ci sia il grossista, ci sia il dettagliante e così via. Nei sistemi verticali coordinati di
marketing invece noi troviamo i sistemi di impresa e sistemi contrattuali, come ad esempio i
franchising, e i sistemi amministrativi. Ovviamente questi sistemi verticali sia convenzionali che
coordinati sono sistemi che poi ci porteranno a definire una strategia di copertura del mercato,
significa una strategia che mi permette di capire come devo raggiungere i miei consumatori finali e
in che modalità. Cosa posso fare rivolgendomi a pochi intermediari, con una distribuzione del
prodotto che chiameremo selettiva, lo possiamo fare con una distribuzione intensiva, rivolgendomi
a più distributori possibili, più dettaglianti possibili, oppure lo posso fare con una distribuzione
esclusiva e con il franchising, ovvero mi rivolgo a pochissimi interlocutori che solitamente sono dei
partner a cui do l’esclusiva di vendita a patto che non vendano i beni della concorrenza. La scelta
della copertura del mercato e della relativa strategia, ovvero la diffusione del prodotto sul territorio
o sui territori porta a definire inevitabilmente una strategia di comunicazione. Se io scelgo che la
mia distribuzione sia di tipo selettivo, indipendentemente dalla mia scelta, selettivo o altro tipo,
devo anche capire come devo alla fine arrivare al cliente finale. Lo posso fare tramite l’intermediario
e questa si chiama strategia di comunicazione push, dedico tutti gli investimenti di comunicazione
e di promozione al mio rivenditore, che incentivano quest’ultimo a rivendere il mio prodotto sul
mercato, oppure lo posso fare attraverso una strategia di comunicazione di tipo pull. In questo caso
agisco direttamente sul consumatore, attraverso campagne pubblicitarie o promozioni dirette al
consumatore, io cercherò di spingere il consumatore a chiedere il prodotto al supermercato e in
questo caso io ottengo l’effetto che il consumatore conosce molto bene il prodotto, è invogliato a
comprarlo grazie alla comunicazione e alla promozione che nel frattempo ho direttamente rivolto a
lui. Questo comporta che il rivenditore sarà costretto a mettere a scaffale il prodotto che è stato
pubblicizzato perché deve soddisfare le richieste del cliente che lo richiede. In questo modo lego a
me il rivenditore, garantendomi che il rivenditore mi permetterà di introdurre sullo scaffale i nuovi
prodotti che porterò sul mercato, ma nello stesso tempo dal punto di vista della strategia pull, tiro
il consumatore a me, faccio sì che il consumatore sia attratto dalla mia strategia di comunicazione
per cui chiederà al rivenditore quel prodotto che lo ha attratto. E poi abbiamo la strategia mista;
solitamente vengono utilizzate tutte e due le strategie. Il problema sono i costi; oggi il costo del
contatto con i rivenditori, il trade marketing, che prevede un’attività relazionale con il rivenditore
grazie ai miei rappresentati, la forza vendita che in realtà si impegna a rappresentare e a
promuovere il brand sul punto vendita è molto costosa. Oggi la comunicazione anche grazie agli e-
commerce, tramite i siti internet e le applicazioni ci permettono di raggiungere direttamente il
consumatore finale, quindi ad oggi bisogna attentamente concentrarsi e considerare i fenomeni che
grazie al mobile ci permettono di migliorare il nostro rapporto con il consumatore. Non è quindi
detto che la strategia push sia la più indicata; dipenderà anche non solo dai costi, ma anche dalle
opportunità che le tecnologie possono offrirci oggi ma anche dal prodotto che andiamo a trattare.
Se sono prodotti che richiedono un particolare servizio, magari sarà importante una strategia push,
che sensibilizzi il rivenditore su quelle che sono le caratteristiche del prodotto e dell’assistenza dello
stesso.
Qualsiasi strategia decidiamo di adottare, dovremmo prima fare un’analisi dei costi di distribuzione,
con qualsiasi processo noi abbiamo la gestione ed il controllo che sono alla base. Nelle situazioni di
quelle che sono le strategie adottate e le scelte sui canali distributivi devono essere comunque
riviste per cercare di ottimizzare le performance legate ai canali distributivi. Andando più in
profondità sull’importanza della distribuzione oggi, oggi il ruolo della distribuzione è fondamentale;
in particolar modo vengono riconosciute sette funzioni della distribuzione, funzioni che per il
produttore risultano di fondamentale importanza. La prima è la funzione di trasporto: la
distribuzione rende i luoghi prossimi ai consumatori, cioè permette e dà la possibilità di reperire
facilmente il prodotto perché il punto vendita si trova nelle prossimità del consumatore. Per quanto
riguarda la funzione del frazionamento, la distribuzione permette di rendere disponibile il prodotto
nelle quantità effettivamente acquistabili dai consumatori. Rispetto alla produzione, che è coprire
un magazzino, nella distribuzione ci ritroviamo una quantità ridotta di prodotti che sarà quella
effettivamente richiesta in quel periodo e in quel luogo dal consumatore fino alla rottura dello stock,
ovvero fino a quando si renderà necessario rimpinguare lo scaffale di nuovi prodotti. Ovviamente il
miglioramento della conoscenza dei processi logistici ci permette di calcolare il quantitativo ottimale
che dovrà essere ordinato al produttore per cercare di non entrare in quella rottura di stock, ovvero
di non scendere sotto la scorta minima, e questo è uno delle funzioni che la distribuzione ci offre.
L’altra cosa è lo stoccaggio: la disponibilità di prodotto nei luoghi di consumo. Un’altra funzione è
l’assortimento: quello che fa la distribuzione è mettere insieme prodotti che sono disponibili al
consumatore non soltanto nelle qualità ottimali ma anche nelle tipologie ottimali; consideriamo che
l’assortimento permette anche al distributore di aiutare nella scelta dei prodotti complementari.
Pensiamo alla possibilità di poter disporre vicini due prodotti complementari (esempio pasta e
pomodoro sullo stesso scaffale). Questo è un modo che agevola tendenzialmente la scelta da parte
del consumatore che acquistando la pasta, molto probabilmente acquisterà anche il pomodoro.
Altra cosa è la funzione di contatto: la distribuzione stabilisce un contatto anche con un
consumatore molto lontano da noi, mentre il produttore ha uno stabilimento in un luogo X, il
distributore grazie alla sua rete di punti vendita permette di raggiungere consumatori anche molto
lontani. Ha una funzione quindi di raccolta dell’acquisto. E poi ha una funzione informativa: il
materiale informazionale che ha il distributore è di estrema importanza (es: analisi che si può fare
grazie agli scontrini). Poi parliamo anche di un’altra funzione che è la promozione: è il luogo in cui
la vendita del prodotto viene anche realizzata mediante una forma pubblicitaria, attraverso una
serie di informazioni, come ad esempio quella dei promoter. La funzione della promozione
nell’ambito della distribuzione è quella di spingere la vendita del prodotto attraverso la pubblicità,
la promozione e i promoter. Possiamo dire che l’esercizio di queste funzioni genera dei flussi
commerciali tra partner nei processi di scambio; questi flussi possono vedere coinvolti i produttori,
i distributori e gli acquirenti. Il flusso non è altro che il passaggio di una proprietà del bene dal
produttore al distributore e dal distributore all’acquirente. Il flusso delle informazioni implica la
diffusione delle informazioni al mercato di riferimento, al produttore, su iniziativa del produttore o
dell’intermediario. La relazione produttore-distributore, distributore-cliente diventa fondamentale;
l’intermediario in questo caso è un elemento centrale che fa da ponte tra gli altri due attori, il
produttore e il cliente finale, tanto che in un certo periodo della nostra storia avevano ottenuto un
potere contrattuale fortissimo nei confronti della produzione, in virtù di questa relazione diretta con
il cliente finale. Andiamo a vedere le ragioni d’essere dei canali distributivi. Ci sono diverse ragioni
che permettono agli intermediari di svolgere azioni che il produttore non potrebbe svolgere se non
a costi elevati. Tendenzialmente un intermediario può svolgere determinate funzioni in modo
efficiente rispetto allo stesso cliente, in virtù di alcune caratteristiche che gli permettono di essere
sempre di più efficiente ed efficace. Ad esempio, una prima ragione d’essere è l’efficienza dei
contatti: permette di ridurre il costo contatto che il produttore dovrebbe sostenere se non ci fosse
l’attore intermediario. Una distribuzione di prodotto senza intermediario dovrebbe portare a 5
contatti, ovvero il produttore dovrebbe contattare ciascun cliente singolarmente, per un totale di
15 contatti. La cosa sarebbe diversa se ci fosse un intermediario
Vediamo che tra produttori, grazie al distributore arriva al consumatore finale, contattando quindi
un solo distributore. Con un solo contatto ogni produttore arriva ad ogni consumatore finale, il
distributore deve contattare solo i singoli consumatori, lo può però fare in maniera efficiente.
Tendenzialmente, quindi, il sistema di scambi centralizzato è più efficiente del sistema di scambi
decentralizzato, perché riduce il numero di transazioni necessari all’incontro tra domanda ed
offerta. Un’altra ragione d’esistenza del canale distributivo sono le economie di scala: il distributore
riesce più efficientemente a distribuire il prodotto sul mercato, perché il produttore lo dovrebbe
fare a costi superiori, non avendo strutture e forza vendita in grado di raggiungere tutti i clienti.
L’economia di scala che invece riesce a raggiungere il distributore perché riesce a raggruppare a sé
tutti i prodotti di diversi produttori, mi permette di svolgere tutta una serie di funzioni a costi più
ridotti rispetto a quelli che dovrebbe sostenere il produttore se lo facesse da solo. E poi la riduzione
della disparità di funzionamento, che consente ai produttori di ridurre gli sprechi e di ottimizzare la
produzione perché il produttore sa bene quando e in che termini distribuire o spedire il suo prodotto
al distributore per poterlo vendere sul mercato. E poi il miglioramento dell’assortimento perché
ovviamente mentre un produttore potrebbe fornire una sola tipologia di prodotto nelle sue varianti,
il distributore permette di mettere a disposizione del consumatore una vasta scelta di prodotti tra
cui scegliere, non soltanto in termini di tipologia, ma anche di funzione, di beneficio che il prodotto
potrebbe generare, di prezzo, e così via. Nello stesso tempo migliora il servizio perché offre una
serie di servizi che possono essere anche servizi di post-vendita che non potrebbe fornire il
produttore direttamente se non a costi più elevati.
Entrando un poco più nel merito della terminologia. Abbiamo intermediari molto più prossimi al
consumatore e intermediari che invece sono molto più vicini al produttore. Quindi abbiamo i
grossisti, i dettaglianti, la distribuzione moderna, i discount alimentati, gli agenti, le società di servizi
e gli intermediari online. Queste cinque categorie o grandi categorie di intermediari possono essere
inserite nella rete distributiva del produttore per cercare di vendere prodotti o servizi. I grossisti
acquistano i prodotti direttamente dal produttore e li rivendono ai dettaglianti in quantità più
piccole. Possiamo riconoscere due tipologie di grossisti chiamati cash and carry e i grossisti a
consegna; i primi sono grandi magazzini che mettono a disposizione il prodotto o per il canale
HORECA, oppure vendono i prodotti ai dettaglianti; i grossisti a consegna invece portano la merce
in quantità ottimale direttamente ai dettaglianti sul punto vendita. Poi abbiamo invece i dettaglianti
che vendono beni e servizi direttamente ai clienti finali e acquisiscono la merce o dal produttore o
dal grossista. Anche qui abbiamo una classificazione tra i dettaglianti degli alimenti, i dettaglianti
specializzati e i dettaglianti artigiani. Abbiamo poi la distribuzione moderna, siamo già alla quarta
generazione, la formula di vendita è una formula self-service con una serie di servizi che vengono
offerti in aggiunta dove c’è una fortissima leva promozionale e un fortissimo potere contrattuale; la
loro presenza è forte sul territorio e permette di effettuare delle economie di scala e di esperienza
molto alte. L’altra tipologia è il discount alimentare che è un tipo di intermediario che ha una politica
di marketing che pratica la leadership di costo: il suo obiettivo è quello di vendere prodotti a prezzi
più bassi. La politica è quella di ridurre al minimo i servizi offerti e offrire dei prodotti non sempre di
marca, questo proprio per tenere i costi bassi e per differenziarsi sul mercato in maniera molto
chiara. Sono dettaglianti che permettono un risparmio sui prodotti acquistati. Gli agenti sono degli
intermediari funzionali che tendenzialmente non acquistano ma si pongono da intermediari da
mediatori e gestiscono la vendita o l’acquisto dei prodotti per conto di un mandante. La società di
servizi non si occupa direttamente della distribuzione del prodotto sul mercato ma fa riferimento
alle agenzie pubblicitarie o di ricerca di mercato che si occupano di servire una serie di servizi
aggiuntivi per la gestione del marketing operativo, e che effettivamente sono un valido supporto
come intermediari alla vendita del prodotto. Poi abbiamo gli intermediari online, che svolgono solo
alcune funzioni, quali quella di aggregazione, semplificazione, ecc. pensiamo ad Amazon che
raccoglie l’offerta di diversi produttori a favore dei consumatori per il loro acquisto.
Il canale distributivo tendenzialmente è caratterizzato da una quantità di livelli intermedi che
permettono al produttore di vendere il prodotto al cliente finale. Più livelli intermedi abbiamo tra il
produttore ed il consumatore finale, più il canale si dice lungo. Il canale si dice breve quando il
numero di intermediari che si pone tra produttore ed utente finale è ridotto. Si parla di canali diretti
e di canali indiretti, si parla di sistema di marketing diretto quando il canale è diretto ovvero quando
direttamente il produttore vende all’utente finale senza la presenza di intermediari che
acquisiscono la proprietà del prodotto e la rivendono all’utente finale. Cosa che invece accade nel
canale indiretto. Nel canale indiretto ci sono uno o più intermediari che vendono il prodotto
all’utente finale e che lo hanno acquistato dal produttore. Tali sistemi di marketing diretti o indiretti
possono essere brevi o lunghi; brevi quando il numero di intermediari è ridotto, se pensiamo
produttore, dettagliante, cliente finale, mentre possiamo parlare di canale distributivo lungo
quando c’è più di un intermediario. Il punto di forza di avere uno o più intermediari è sicuramente
la possibilità di non dover farsi carico della distribuzione della merce; infatti, molto spesso le imprese
non hanno competenze tali da potersi fare carico della distribuzione della merce sul territorio.
Questo principalmente è il vantaggio, lo svantaggio è che più il canale è lungo più tendenzialmente
si perde il controllo sulle leve del marketing; se soprattutto noi abbiamo dei brand molto forti,
rischiamo di stare alla mercé di logiche di vendita che sono di appannaggio della distribuzione.
Diventerà quindi molto importante la scelta del canale distributivo e quindi la sua configurazione in
funzione di alcuni fattori che sono legati all’impresa, al prodotto e al mercato. Per quanto riguarda
i fattori legati al mercato, più il numero di acquirenti è ampio, più è molto probabile che si adotterà
un canale distributivo con gli intermediari; anche le esigenze dell’acquirente possono determinare
la necessità di canali distributivi lunghi o brevi; questo fa sì che se è necessaria una velocità della
consegna, perché gli acquirenti sono particolarmente esigenti e/o il prodotto lo richiede, allora
potrebbe essere necessario adottare intermediari che facilitino o che hanno già delle attrezzature
di trasporto che permettono ad esempio la refrigerazione dei prodotti. Tra l’altro più il consumatore
è distribuito su un’area territoriale molto vasta, più sarà necessario utilizzare dei canali distributivi
lunghi. Infine, quando la vendita dei prodotti avviene in piccole quantità ed il prodotto è stagionale,
molto probabilmente potrebbe essere utile utilizzare un canale indiretto e lungo. Anche la variabile
legata al prodotto tende ad essere fondamentale nella scelta della struttura del canale distributivo.
Parlavamo prima della deperibilità del prodotto che condiziona la rete distributiva, ma anche la
complessità del prodotto. Consideriamo che se il prodotto è un prodotto che prevede un post-
vendita, forse è il caso di implementare un canale distributivo breve piuttosto che uno lungo. Poi
più il prodotto è un prodotto standardizzato più è facile che il canale distributivo sia lungo, perché
abbiamo bisogno di una copertura di mercato molto elevata, in quanto puntiamo sull’aumento dei
volumi di vendita. La variabile legata all’impresa prevede che se non ci sono delle competenze e
delle strutture di marketing distributivo ad hoc per lo spostamento della merce sul territorio, molto
probabilmente avremmo bisogno di utilizzare intermediari specializzati sulla distribuzione del
prodotto nel mercato. Se il nostro prodotto è un prodotto che non ha linee profonde, ovvero la
nostra gamma di prodotti non è ampia, far uso di reti distributive con numerose intermediarie
potrebbe permettere di dare una percezione di un assortimento molto più ampio. Se invece l’idea
è quella di un canale diretto monomarca, questo comporta un fortissimo investimento ma anche la
necessità di un brand molto forte che possa sostenere anche la distribuzione del prodotto.
Qui parliamo di tipologie di concorrenza; quando abbiamo parlato di tipologie di intermediari, non
possiamo solo pensare che gli intermediari siano solo dei partner dei consumatori e dei produttori,
ma occorre pensare che all’interno del sistema distributivo possiamo trovare una concorrenza tra i
vari soggetti coinvolti. Qui possiamo avere una concorrenza di tipo orizzontale quando la
concorrenza viene fatta da attori dello stesso tipo, quindi, ad esempio, supermercato con
supermercato, grossista con grossista. Poi abbiamo una concorrenza inter-tipo, ovvero una
concorrenza effettuata tra intermediari diversi ma dello stesso livello. Abbiamo a che fare ad
esempio ad una concorrenza tra discount e supermercato. Invece nella concorrenza verticale
abbiamo a che fare con una concorrenza tra intermediari di livelli differenti della filiela. E poi la
concorrenza tra reti, qui si parla di sistemi di vendita, quindi possiamo pensare alla concorrenza tra
canale diretto e canale indiretto.

È importante parlare di sistemi verticali di marketing. Ogni intermediario potrebbe avere come
obiettivo la massimizzazione di profitto e agirebbe in maniera indipendente dagli altri intermediari
in virtù di questo suo obiettivo. Tendenzialmente, non è detto che gli intermediari si coordino e
collaborino per un obiettivo specifico con i propri partner, ma potrebbe esserci un rapporto solo
commerciale e pertanto questi sistemi verticali nell’ambito del sistema distributivo potrebbero
entrare in conflitto. Cioè ci potrebbero essere delle conflittualità, perché un intermediario della rete
distributiva guarda, agisce e prende decisioni nei confronti dei propri interessi. E questo è un aspetto
determinante perché possiamo trovarci nelle condizioni di adottare strategie win-win, potremmo
trovarci anche in situazioni di conflittualità, ed ecco perché è importante tenere sotto controllo
l’intermediario, per cui è opportuno delineare delle strategie di coinvolgimento dell’intermediario.
Quando viene adottato un canale diretto noi possiamo avere due tipi di organizzazioni: strutture
verticali convenzionali, dove ciascun attore all’interno del network distributivo non fa altro che
operare con l’obiettivo di ottenere il massimo profitto; l’altro è la struttura verticale coordinata, in
questo caso l’obiettivo sarà comune e ci sarà un processo di partnership e di coordinamento delle
azioni degli attori all’interno del sistema con un attore all’interno di questo network distributivo che
si pone proprio come capofila, si pone come coordinatore in tutte le azioni all’interno del network
distributivo. Si parla appunto di sistemi verticali di marketing; ne esistono di vari tipi: sistemi verticali
di marketing integrati, sistemi di distribuzione verticali contrattuali e sistemi di distribuzione
verticali controllati.
In un sistema verticale di marketing un’impresa non fa altro che ottenere il coordinamento ed il
controllo della rete distributiva e di tutti gli attori che operano all’interno della rete distributiva, lo
fanno per evitare tendenzialmente che ci possano essere dei conflitti e per migliorare le
performance.

Un’impresa che opera all’interno di un sistema di verticale di marketing che abbia la funzione di
coordinamento sia il produttore, il produttore che ad esempio effettua un’integrazione a valle, sia
proprietario di un certo numero di punti vendita per la distribuzione al dettaglio al mercato. Questo
potrebbe accadere con Benetton. Ci sono alcuni attori sul mercato, grossisti o distributori, che
operano invece per integrarsi a monte, e quindi ad esempio Zara o H&M hanno una fortissima rete
distributiva, sono dettaglianti e grossisti, ma che in realtà si sono integrati a monte e quindi
coordinano tutta una serie di fornitori che ovviamente gestiscono per potersi permettere di avere
linee di prodotto coerenti con il brand che hanno realizzato. Altri sistemi verticali di marketing che
conosciamo sono quelli contrattuali e quelli verticali controllati.

Questo è un sistema verticale di marketing contrattuale, nel senso che c’è un vero e proprio
contratto che si inserisce tra i vari attori all’interno del network distributivo che sancisce diritti e
doveri di tutti. Un esempio di sistema verticale di marketing contrattuale è il franchising dove
abbiamo un franchisor e un franchisee; il primo è l’azienda che mette a disposizione il proprio brand
e il proprio know how per la vendita del prodotto sul mercato, il secondo, invece, è l’attore tale che
mette a disposizione il proprio punto vendita e le proprie competenze e conoscenza di vendita in
quel mercato e vende il prodotto del primo. Il vantaggio qui ovviamente è che il prodotto o il brand
che venderà sono brand molto forti; Benetton, ad esempio, ha moltissimi punti vendita in
franchising; dall’altro lato questo franchisor ha la possibilità di usufruire della conoscenza del
mercato locale del venditore e questo è un fortissimo vantaggio; non ha delle spese oltretutto legate
all’affitto del locale. Imprese con fortissimi brand, per avere un contatto più diretto con il cliente
potrebbero decidere di aprire un franchising. Il franchisee deve pagare delle royalty periodiche che
ovviamente un primo pagamento deve essere effettuato proprio in vista del fatto che utilizzerà il
brand, quindi pagherà una quota iniziale. Egli però avrà una continua assistenza, formazione e un
brand di sicuro successo. Questo è un poco la logica dei franchising. Per quanto riguarda invece i
sistemi verticali controllati, si tratta di sistemi distributivi controllati da un’impresa, ma questo
controllo è un controllo informale, non sancito da contratto, ma nasce in virtù della buona
reputazione che l’impresa, che controllerà la rete distributiva, ha sul mercato. Consideriamo ad
esempio l’ottima reputazione che ha Procter and Gamble che la porta a coordinare tutta la rete
distributiva informalmente, senza stabilire dei contratti di lavorazione, in virtù del suo forte potere
contrattuale sulla rete distributiva.

Questo sopra è un esempio molto interessante. Nel canale BTB la logica è il collegamento tra il
fornitore e il produttore; nel canale BTC la logica invece è quella che lega il produttore al
consumatore finale attraverso una serie di intermediari.
È interessante capire qual è la strategia di copertura di mercato. Abbiamo parlato dell’importanza
della distribuzione e degli intermediari; abbiamo capito le possibili tipologie di intermediari e
abbiamo capito quali sono i possibili canali distributivi (breve o lungo) e abbiamo visto anche la
tipologia di concorrenza tra distributori. La scelta del canale distributivo non è affatto facile e
dipende da fattori collegati al mercato, fattori collegati al prodotto e fattori legati all’impresa. Quindi
quando cerchiamo di capire le strategie di copertura del mercato, ovvero come facciamo ad arrivare
ai nostri segmenti target nella maniera più efficacia e più efficiente dobbiamo fare delle scelte di
rete distributiva, ovvero di rete di copertura del mercato attraverso una distribuzione che potrebbe
essere: intensiva, selettiva ed esclusiva. Diciamo che la distribuzione di una di queste tipologie
dipende dalla tipologia di prodotto; se abbiamo a che fare con un prodotto di largo consumo e quindi
una commodity, la nostra distribuzione dovrà essere necessariamente una distribuzione intensiva,
e sono prodotti poco costosi che il consumatore acquista abitualmente ed il comportamento di
acquisto di un consumatore è un comportamento d’acquisto che segna la prima fase, prevede la
presenza di tutte le fasi che caratterizzano le scelte d’acquisto e poi l’acquisto diventa abitudinario.
Qui sarà necessario creare fedeltà al brand, la seconda cosa è cercare di essere presente sul
mercato, perché proprio perché il consumatore è abitudinario su questi consumi, velocizzerà il
processo di acquisto. La distribuzione deve essere una distribuzione intensiva, ovvero devo coprire
il mercato di tutto il territorio. Tendenzialmente il guadagno qui ce l’ho a volume, deriva dal numero
di prodotti che farò acquistare al consumatore finale; se ci sono molti dettaglianti occorrerà capire
quanto ne varrà la pena aggiungere dettaglianti o meno. La distribuzione selettiva invece è
differente, qui abbiamo a che fare con prodotti ad acquisto programmato, è importante che sia
selettiva perché sono prodotti dove il consumatore segue tutte le fasi del processo d’acquisto,
raccoglie informazioni, ascolterà pareri, selezionerà le informazioni più utili, sceglierà l’alternativa
che reputerà migliore a poi solo alla fine di tutto questo processo effettuerà l’acquisto, proprio
perché la spesa qui è una spesa ingente. Sarà importante che in questo acquisto il consumatore si
fidi del canale distributivo, la reputazione del canale distributivo qui risulta importante, e poi sarà
certamente importante che il distributore abbia un assortimento tale da far sì che il consumatore
sappia che se va li molto probabilmente, se non sicuramente, troverà quel prodotto. La tipologia di
prodotti che il distributore venderà a scaffale è determinante anche per capire il canale distributivo
in cui inserirsi. In acquisti programmati, il brand è importantissimo. Selezione selettiva perché il
produttore decide di selezionare alcuni distributori tra tutti quelli esistenti. Se dovesse prendere in
considerazione tutti gli intermediari che
trova a disposizione, ci potrebbe essere
un costo, la selezione invece permette
di risparmiare anche da questo punto di
vista. Infine, la distribuzione esclusiva è
una distribuzione effettuata su prodotti
cosiddetti specialty, ovvero prodotti che
difficilmente verranno venduti ad un
segmento target ampio, parliamo di
gioielli. Sulla distribuzione esclusiva
selezionerò pochissimi intermediari o
realizzerò un punto vendita monomarca
o un franchising, per vendere il mio prodotto a quella nicchia di mercato interessata al mio prodotto.
Ci sarà o un’esclusiva di vendita di prodotto (potrà vendere il mio prodotto, ma non quello della mia
concorrenza) oppure perché anche il produttore deciderà di utilizzare negozi monomarca per la
vendita ad hoc.
Vediamo le strategie di comunicazione che possiamo implementare per coinvolgere ancora di più
gli intermediari nel nostro processo. Queste strategie sono di comunicazione push e di
comunicazione pull. Noi vogliamo che la collaborazione con i nostri distributori sia proficua e
permetta ad entrambi di raggiungere un obiettivo strategico, aumentare ad esempio il volume di
affari, la propria notorietà e avere una copertura più ampia di mercato. Lo possiamo fare con una
strategia di comunicazione push, ovvero andiamo a effettuare una serie di sforzi di marketing, dei
veri e propri investimenti concentrati ad incentivare gli intermediari nel canale distributivo per
indurli a collaborare con l’azienda. Per cercare di incentivare i nostri intermediari a vendere di più,
meglio e sempre il nostro prodotto sul mercato, possiamo realizzare promozioni sul punto vendita,
oppure programmi di riempimento dei reparti oppure impegni di riordino oppure ancora gli sconti
sulla quantità. Quindi noi possiamo incentivare il nostro intermediario a vendere il nostro prodotto
anche attraverso programmi di formazione e sull’assistenza del prodotto, o attraverso la formazione
vendita o inserendo materiale promozionale che verrà distribuito sul punto vendita. Questo, ad
esempio, perché danno un budget promozionale per riservare lo spazio del punto vendita ai nostri
prodotti. Quindi noi diamo una serie di incentivi che dovrebbero invogliare il nostro intermediario a
vendere il prodotto sul punto vendita; il nostro intermediario dovrebbe aumentare lo spazio dei
punti vendita per vendere il nostro prodotto e effettuare delle promozioni nel punto vendita,
facendo anche pubblicità, ad esempio, i volantini. La collaborazione viene effettuata su questi
incentivi, ma la logica è spingere il prodotto verso il distributore. L’altra strategia di comunicazione
è la stragia pull: l’impresa in questo caso concentra i suoi sforzi di promozione non tanto
sull’intermediario, quanto sul consumatore finale. Quindi bypassa gli intermediari e cerca di
costruire la domanda aziendale rivolgendosi direttamente ai consumatori nel segmento target,
quindi tutti quegli investimenti che sono le campagne pubblicitarie e le promozioni organizzate per
il consumatore finale sono tutti volti ad incentivare il consumatore finale a richiedere il prodotto sul
punto vendita; è in realtà una strategia di comunicazione opposta a quella vista poco fa e fa fede su
quella che è tutta la capacità relazionale del brand indipendentemente dall’intermediario. C’è
inoltre da dire che la strategia pull è una strategia di medio-lungo periodo; si punta sulla reputazione
del brand, ovvero l’insieme delle immagini che abbiamo del brand nel tempo e tale immagine forte
costruisce un’identità con una personalità che difficilmente può essere scalfita
La comunicazione
Prima di dare una definizione, dobbiamo cercare di capire perché oggi la comunicazione è
importante, in realtà lo è sempre stata perché nella realtà non basta scegliere il target giusto ed il
prezzo giusto, ma è anche importante far conoscere questo prodotto e questo servizio sul mercato.
Vendere vuol dire mettere in rilievo le qualità caratteristiche del prodotto e stimolare la domanda
di potenziali clienti con degli strumenti che vedremo nel dettaglio e che ci permettono di stimolare
tale domanda. L’obiettivo fondamentale di un utilizzo degli strumenti di comunicazione è quello di
definire un programma trazione coerente e coordinato con le altre risorse a disposizione
dell’impresa al fine di appunto far conoscere i prodotti ai target di riferimento e persuaderli
dall’acquistarli. In questo concetto va fortemente collegato il concetto di comunicazione di
marketing integrata: ogni strumento di comunicazione che andremo a vedere è una forma di
comunicazione che oggi più che mai non essere programmata a sé stante, ma deve necessariamente
essere integrata negli obiettivi e nelle modalità di attrazione con tutte le altre forme di
comunicazione messe a disposizione del marketing. Se io decido di lanciare una campagna di
promozione attraverso una pubblicità canale, televisiva, e radio in realtà poi mi devo ricordare che
dovrò mettere a disposizione della forza vendita delle brochure e del materiale informativo
coordinato con quello nell’immagine delle comunicazione della campagna pubblicitari, devo cercare
di creare di ideare ad hoc delle promozioni per il lancio sul mercato, appositi totem o promoter sul
punto vendita, attivare relazioni con gli altri stakeholder, ufficio stampa, ad esempio, che
permettono la comunicazione del messaggio che sulla campagna pubblicitaria abbiamo lanciato e
tramite marketing diretto, ovvero con mail destinate a consumatori. L’obiettivo di comunicazione
deve essere chiaro, coerente con quelle che sono gli obiettivi che l’azienda vuole raggiungere ma
coerenti anche con l’immagine che il prodotto e l’azienda hanno, e deve essere anche integrato
perché ciascun strumento di comunicazione deve eventualmente utilizzare simboli, immagini che
siano tutto sommato collegabili dal target di riferimento. Sembra scontato, eppure non è facilissimo.
Abbiamo bisogno di ricordarci che una comunicazione integrata e coerente è alla base di una
campagna di successo. L’altro fenomeno che ci porta a dire che una comunicazione integrata è
fondamentale è che oggi con l’avvento di internet abbiamo tantissime possibilità di raggiungere un
cliente che oggi non è facilmente raggiungibile, perché gli accessi che ha a disposizione per
recuperare informazioni sono elevatissimi. Non è facile quindi che il messaggio arrivi direttamente
al target così come invece si aveva quasi la certezza molti anni fa. Negli anni ’50-’80 quando la
televisione aveva raggiunto alcune case degli italiani, ed aveva portato ad una diffusione di massa
della comunicazione di prodotto.

Andiamo un attimino a capire fondamentalmente qual è la principale definizione di comunicazione


di marketing. È l’insieme di segnali emessi dall’impresa verso i diversi pubblici a cui si rivolge, segnali
indirizzati a clienti, fornitori, istituzioni pubbliche, nonché quelli trasmessi personalmente
dall’azienda ai suoi lavoratori. Il target dell’azienda possono essere anche tutti gli altri stakeholder
che interagiscono con l’organizzazione e che più o meno possono influire sulle decisioni. Dal
distributore che dovrebbe aiutarci a distribuire il prodotto sul mercato, ai nostri dipendenti,
dovremmo agire con il cosiddetto marketing interno, con attività motivazionali e promozionali che
aiutano il dipendente a sentirsi parte di un grande progetto. Non si parla solo di quindi collaboratori
e partner stretti dell’impresa a livello industriale, ma si parla anche di istituzioni pubbliche; questo
è il ruolo che ricopre l’impresa come terza elica dello sviluppo economico del paese, e come tale è
necessario agire con attività relazionali per agire tramite lo strumento delle pubbliche relazione e
attivare relazioni con il territorio.

Questi sono strumenti che devono essere integrati tra di loro; la pubblicità sui media è la pubblicità
di massa, impersonale ed è illaterale, ovvero c’è un mittente che invia un messaggio e questo
messaggio si spera che arrivi nella maniera più corretta possibile ad un destinatario che intercetterà
il messaggio e risponderà dando un feedback, quale l’acquisto del prodotto o il passa parola positivo;
il punto di debolezza di questo strumento è l’essere illaterale, ovvero non abbiamo con esso la
possibiltà di sapere se il messaggio arriverà e arriverà nella maniera corretta al destinatario.
L’utilizzo della pubblicità di internet ci permette di risolvere questo problema. L’altro strumento di
comunicazione di marketing è la forza vendita. La comunicazione qui si basa sul dialogo, sull’attività
di informazione, ma se nel breve termine dovrebbero avviare la vendita del prodotto, devono anche
raccogliere informazioni per l’impresa, quindi sono una forza che tocca con mano l’umore del
cliente. Sono risorse di estrema importanza che ci restituiscono qualcosa in più dei nostri potenziali
clienti. Poi abbiamo le promozioni, anche queste sono una forma di strumento di comunicazione, in
questo caso di breve periodo, nel senso che in questo caso abbiamo in risultato immediato.
L’obiettivo finale è quello di aumentare quello che è lo scontrino. Le relazioni esterne invece sono
tutte quelle azioni mirate al coinvolgimento degli stakeholder interessati nell’impresa, l’obiettivo è
quello di dare una immagine positiva dell’impresa, andando a dare un’immagine di sé di fiducia. In
fine, abbiamo il marketing diretto, che sono tutte pratiche che possiamo attivare facilmente online.
Una delle difficoltà di questi strumenti è il costo. L’obiettivo è la complementarietà. Per scegliere
quali strumenti adottare tutto dipenderà quali sono i fini; a volte è opportuno utilizzare più
strumenti di comunicazione. Andiamo avanti per spiegare il processo di comunicazione.

Questo è il canonico processo di comunicazione. Abbiamo un emittente che ha l’obiettivo di inviare


il messaggio, che va codificarlo, e tale messaggio si trasforma in immagini, in suoni, in simboli. Quindi
abbiamo una codifica. Questo pensiero si trasforma in messaggio, il risultato della codifica e viene
poi decodificato dal ricevente tramite un processo tale per cui il ricevente attribuisce un significato
ai simboli che riceve e visualizza sul messaggio. Il ricevente, fatto ciò, risponderà al messaggio e la
sua risposta genera un feedback che ritornerà all’emittente sotto forma di giudizio positivo o
negativo, di passaparola positivo o negativo e sulla base di tale messaggio di comunicazione verrà
cambiato o migliorato per renderlo tale da essere fatto nel modo migliore possibile. Il rumore nella
figura rappresenta le distrazioni che disturbano il processo di comunicazione e sono dei veri e propri
rumori, fisici o simbolici, che vanno a disturbare il flusso di comunicazione che avviene tra
l’emittente ed il ricevente: ciò causa il fatto che il ricevente non codifichi il messaggio
correttamente. I fattori, ad esempio, culturali aiutano la decodifica del messaggio e sono
fondamentali per andare a leggere il messaggio inviato dal nostro emittente. Questo comporta che
la risposta al messaggio sia un bumerang per l’emittente. Il processo di decodifica da parte del
consumatore non è banale: pensiamo all’errore che ha fatto D&G, in occasione dell’apertura di uno
showroom a Shangai, ha lanciato una campagna pubblicitaria sui social e anche in tv dove in realtà
faceva vedere una modella famosa a Shangai che cercava in tutti i modi di avere a che fare con del
cibo italiano, utilizzando delle bacchette cinesi. Ovviamente si vedeva la donna con delle difficoltà,
poiché non erano gli strumenti giusti e aveva attirato lo sconcerto dell’opinione pubblica a Shangai,
perché l’interpretazione del messaggio è stata totalmente negativa perché è stata detta questa
pubblicità come un voler ritornare allo stereotipo della donna oggetto e poi non si è colto il
messaggio della bacchetta con la simpatia con cui si stava cercando di minimizzare le difficoltà
culturali che si incontrano nell’avvicinarsi a usi e costumi differenti rispetto a quelli di origine.
Questo è dovuto al fatto che il processo di comunicazione non ha funzionato bene, perché la
decodifica non è avvenuta con gli strumenti di codifica dell’emittente, ma con altri strumenti.
Questo significa che all’interno di questo processo di comunicazione abbiamo nove elementi e
questo è importantissimo per chi si occupa di attività di vendita, di promozione di prodotto. Per dire
che una comunicazione di marketing sarà una comunicazione efficiente avremo l’obiettivo molto
chiaro: l’emittente deve conoscere l’audience che vuole raggiungere e deve capire come fare per
ottenere la risposta che vuole ottenere. L’emittente deve essere abile nel codificare questi messaggi
tenendo conto di come l’audience target tende a decodificare tali messaggi. Importantissima è la
scelta dei media: è importante capire come l’emittente deve trasmettere questo messaggio
attraverso un canale di comunicazione efficace per raggiungere l’audience target. Noi non possiamo
scegliere un media qualunque perché poco costoso, ma dobbiamo scegliere il media che ci permette
di raggiungere il nostro consumatore target. E poi devo saper verificare che gli obiettivi che ho posto
in essere sono stati raggiunti, devo quindi sviluppare dei canali di feedback per verificare che gli
obiettivi di comunicazione che ho fissato sono stati effettivamente raggiunti. Anche qui oggi ci aiuta
la possibilità di leggere i big data. Abbiamo oggi la possibilità di poter verificare dove sta andando a
cliccare il nostro cliente, quali sono le sezioni del sito internet più interessanti e come questi hanno
portato all’acquisto del prodotto.

Ora parliamo di forme di comunicazione. Definiamo una comunicazione cosiddetta personale da


una impersonale. La comunicazione personale è una comunicazione a due vie, ovvero una
comunicazione dove cioè una risposta da parte del destinatario di un messaggio rispetto ad una
comunicazione o un messaggio che viene inviato da parte di un emittente. Una comunicazione
personale comporta una interazione tra emittente e destinatario del messaggio mentre comporta
anche una serie di problematiche collegate al contesto in cui la comunicazione avviene. I problemi
sono legati alle caratteristiche personali che possono influire sul risultato della comunicazione. Ci
sono dei servizi dove la comunicazione personale è alla base dell’efficacia di un servizio. Se pensiamo
ai servizi bancari l’apertura di un conto corrente bancario potrebbe essere facile nel caso in cui
l’emittente, il destinatario, sia il fornitore del servizio abbiano le idee chiare su che cosa vogliono
entrambi e il linguaggio è chiaro tale per cui sia uno che l’altro raggiungano il loro obiettivo. Invece
la comunicazione impersonale non è personalizzata, ovvero non si adatta alle caratteristiche della
persona che abbiamo davanti, ma è una comunicazione che raggiungerà ugualmente tutti coloro
che entreranno in contatto con quella forma di comunicazione. Un esempio di questo tipo di
comunicazione è ad esempio la pubblicità televisiva, una comunicazione che arriva direttamente ma
non è personalizzata. Il problema, all’interno del processo di comunicazione, in questo caso è il feed
back. Occorre capire quale forma di comunicazione, se personale o impersonale, è adatta alla nostra
situazione e al nostro scopo. Dipenderà dal canale che utilizzeremo, dalla frequenza di
comunicazione e così via. Questa tipologia di scelta del tipo di comunicazione, se personale o
impersonale, dipende dagli obiettivi che ci eravamo detti che l’impresa vuole raggiungere con la
comunicazione, dalla tipologia del prodotto, dall’intensità della concorrenza e dal budget che si ha
a disposizione. Cerchiamo ora di capire la differenza tra la comunicazione personale e impersonale
seguendo i limiti del processo di comunicazione. Quindi riportandoci a quello che è il processo di
comunicazione a cui abbiamo un target a cui indirizzare il messaggio. Vedremo che tra
comunicazione personale e impersonale ci sono delle differenze e sulla base degli obiettivi del
prodotto e sulla caratteristica del target andremo a scegliere una tipologia di comunicazione rispetto
ad un’altra. Per quanto riguarda se pensiamo al target di destinazione, quando utilizziamo una
comunicazione personale sappiamo che il target sarà ben identificato, cosa che invece non possiamo
avere nella comunicazione impersonale, dove invece abbiamo solo un’idea delle caratteristiche del
target. Che tipo di messaggio dovremo costruire? Se prediligo una comunicazione di tipo personale,
il messaggio sarà un messaggio orientato su misura, con numerosissimi argomenti a mia
disposizione, ma la forma e il contenuto non sono del tutto controllabili, perché tutto dipenderà dal
target che avrò di fronte; invece, la comunicazione impersonale avrà dei messaggi che saranno
standard, con poche argomentazioni standard, le forme e il contenuto saranno ben definiti. Il media
nel processo di comunicazione è strategico; mentre nella comunicazione personale il contatto
umano è la caratteristica principale per la trasmissione di questo messaggio, contatti non
personalizzati sono invece la caratteristica di una comunicazione impersonale. E poi abbiamo detto
il ricevente, ovvero colui che riceve il messaggio che verrà decodificato secondo i suoi schemi
mentali, attraverso la sua cultura, il suo stile di vita, la sua educazione, le sue caratteristiche
sociodemografiche. L’ errore di decodifica sarà basso nel caso della comunicazione personale, grazie
al contatto con la sorgente; nella comunicazione impersonale, invece vi è un ampio rischio di errore
di decodifica e un’attenzione molto debole. L’ultimo elemento da analizzare è la risposta, che sarà
immediata nel caso di comunicazione personale; invece, nella comunicazione impersonale non è
detto che sia immediata. Molto probabilmente non sarà così nella misura in cui il contesto in cui si
vede quella pubblicità è diverso dal momento d’acquisto.

La scelta dipenderà anche dalla fase in cui ci troviamo nel processo di acquisto. Se ci troviamo in una
fase in cui il prodotto viene lanciato, vogliamo che si ponga attenzione sul prodotto. allora a questo
punto la pubblicità di tipo impersonale potrebbe essere la forma migliore per raggiungere il numero
di persone maggiore. Se andiamo avanti e siamo in una fase di processo in cui dobbiamo cercare di
raccogliere più informazioni possibili, quindi in una fase di consolidamento dove dopo una prima
parte in cui prendo informazioni, forse la forza vendita sarebbe un importante aspetto da
considerare per l’acquisto del mio prodotto. Nella fase di acquisto del prodotto e nella fase del post-
acquisto, lo strumento di comunicazione è più utile in questa fase, dove in particolare il prodotto è
già in fase di maturità, essendo abbondantemente conosciuto dal cliente, probabilmente è più
opportuna una forma di comunicazione personale/impersonale, tramite uno strumento di
promozione. In base quindi al processo d’acquisto e al ciclo di vita del prodotto potremmo avere
necessità di adottare strumenti di comunicazione differenti e una forma di comunicazione che può
essere personale e impersonale. La forza vendita e la pubblicità sono le più costose, ma il punto di
forza è che l’effetto che hanno queste forme di comunicazione è di medio e lungo periodo, ovvero
riusciamo a vedere i risultati nel medio e lungo periodo. Il ruolo del venditore è sempre più centrale
anche nel marketing strategico e non soltanto in quello operativo.
Sinteticamente la comunicazione personale consiste in un contatto personale, contatto che
principalmente è verbale, dove l’obiettivo è quello di instaurare un dialogo con il cliente duraturo.
Non è detto che il cliente attuale sia anche quello fedele. Teniamo con cura il messaggio che viene
indirizzato su misura, dopo un attento ascolto dell’esigenze del cliente stesso; ha come obiettivo
quello di acquisire un maggior numero di bisogni, richieste e desideri del cliente al fine di progettare
un comportamento di risposta che sia acquisto del prodotto, passaparola positivo. Questo
comporterà che per questo contatto la forza vendita ha un ingaggio elevato, e questo nei mercati
industriali è un aspetto molto sentito. Ci troviamo in mercati con un numero di clienti molto ridotti
che acquistano una maggiore di quantità di prodotto, dove è necessario, per la tipologia dei clienti,
andare ad interagire personalmente con il cliente per rispondere alle sue esigenze. Quindi, il costo
o il prezzo che deve essere pagato dal cliente è alto, le quantità sono elevate e l’obiettivo della
comunicazione personale è quello di creare una partnership con il cliente industriale, è necessario
per questo motivo che la relazione si basi sulla fiducia tra le parti. Nel mercato del largo consumo,
la comunicazione impersonale ci permetterà di raggiungere un numero di persone molto elevato,
però tutto dipende dalla tipologia di prodotti. Anche qui potremmo prendere in considerazione la
lezione che ha a che fare con il prodotto, dove dicevamo che ci sono gli shopping good, ovvero
prodotti ad acquisto programmato, che costano per cui c’è un prezzo alto da pagare da parte del
consumatore, ma con delle caratteristiche tecniche particolari. In questo caso la forza vendita
potrebbe venire incontro ad un cliente che ha difficoltà a raggruppare informazioni. Questa
potrebbe essere un’importante e redditizia strategia di vendita. In base a se il prodotto delle
specifiche tecniche particolari, per cui sarebbe opportuno far vedere il prodotto come funziona, la
forza vendita e la comunicazione personale potrebbe essere una strategia da adottare. Invece, se
pensiamo ai prodotti di largo consumo, in questo caso la comunicazione impersonale è adatta al
raggiungimento di un maggior numero di persone e quindi di potenziali clienti. L’altra categoria sono
le specialty, ovvero prodotti di lusso che sono ad appannaggio di nicchie di mercato e dove il
concetto di fedeltà al brand è un concetto più che fondamentale, dove la distribuzione del prodotto
è più che selettiva e la comunicazione potrebbe essere una comunicazione assolutamente
personale, ma dipende dalla tipologia del prodotto, potrebbe essere anche impersonale nel
momento in cui quel prodotto diventa oggetto di un desiderio; ad esempio, pensiamo a prodotti di
lusso come ad esempio una crociera o un Damiani, che è un gioiello di lusso. Questa è la forza di
comunicazione che ci porta a creare intorno al brand delle aspettative ma anche delle possibilità di
acquisto future.
Andiamo a vedere ora il ruolo e le mansioni del venditore, parlando sempre della comunicazione
personale. Le attività sono tre, vengono distinte in attività di vendita, attività di servizio e attività di
trasmissione di informazioni; la prima, quella di vendita è quella di identificare i bisogni espressi o
inespressi da parte del consumatore e avviare un processo di negoziazione solitamente volto al
raggiungimento di una soddisfazione del rendimento obiettivo comune, strategia win to win. Un
altro tipo di attività è quella di servizio, in questo caso il ruolo della forza vendita è quello di assistere
nell’uso del prodotto ma anche dopo l’acquisto eventualmente nell’aiutare e sostenere il
consumatore che può avere problematiche nel post acquisto, o comunque nel sostenere la sua
scelta. E poi attività di trasmissione delle informazioni, che è la capacità di recepire e saper leggere
le informazioni provenienti dal mercato, come sta andando, quali trasformazioni il mercato sta
avendo, e attraverso la lettura di queste informazioni, in generale, parte integrante di tutte le
informazioni che vengono raccolte nel sistema informativo di marketing. Se a queste associamo
anche quelle che sono le caratteristiche del cliente che ha espresso giudizi e doveri al riguardo, a
maggior ragione abbiamo informazioni che arricchiscono il database del consumatore, nell’ambito
del customer relationship management. Raccogliere informazioni dai clienti sul prodotto risulta
estremamente importante per la personalizzazione del prodotto, verso quelli che sono i clienti che
possiamo considerare strategici per il nostro core business. Quindi abbiamo espresso due concetti
fondamentali, che sono la customer relationship management come un aspetto non finale ma a
volte proprio iniziale nel processo di programmazione delle attività di marketing e poi l’altro
concetto che abbiamo preso in considerazione è il sistema informativo di marketing, ovvero il
processo che permette al manager di marketing di prendere le decisioni utili per finalizzare le attività
di marketing al raggiungimento degli obiettivi di marketing. Quindi partire dal cliente grazie alle
informazioni raccolte dalla forza vendita è più che fondamentale. Proprio la forza vendita oggi ha un
ruolo di primo piano nella pianificazione di attività di acquisizione di scelta di clienti e di obiettivi
strategici. Oggi il ruolo del marketing strategico e della forza vendita che era considerata solo una
leva operativa del marketing, risulta fondamentale. Oggi è molto più facile e meno costoso tenere
un cliente che cercarne di nuovi; quindi, la possibilità di permettere al consumatore di acquistare
più tipologie di prodotto nell’assortimento che abbiamo a disposizione, più che l’acquisto di nuovi
clienti che acquistano uno stesso prodotto, diventa il nuovo approccio di marketing alla relazione
con il cliente e con il mercato.

Andiamo a guardare sopra le tipologie di venditori. Ciascuno ha un suo ruolo specifico; il


rappresentante-distributore distribuisce il prodotto; l’addetto alla vendita assiste l’acquirente
durante il processo di scelta e di acquisto del prodotto; il commesso viaggiatore non fa altro che
raccogliere gli ordini per l’impresa, poi abbiamo il promotore merchaindiser che si occupa di gestire
la comunicazione del prodotto all’interno del punto vendita, il responsabile dello sviluppo
commerciale raccoglie informazioni sul cliente e il ruolo del venditore tecnico commerciale è quello
di effettuare una consulenza nei confronti del cliente. Poi abbiamo il rappresentante che molto
spesso è indipendente e si occupa di vendere prodotti per più imprese che gli affidano l’incarico di
vendita del prodotto. L’agente di vendita nell’ambito dei mercati industriali si dovrebbe occupare
delle operazioni industriali di alto livello di vendita di prodotto a clienti industriali. C’è una differenza
tra tecniche di vendita e vendita relazionale; le prime sono modalità di vendita al prodotto con
l’obiettivo di persuadere il cliente ad effettuare l’ordine; quindi, carpire l’attenzione in maniera tale
da indurlo ad effettuare l’ordine; invece negoziare significa cercare di venire incontro anche alle
esigenze del cliente e non necessariamente ottimizzare i proprio obiettivi di profitto nella misura in
cui questo comporta una mancanza di soddisfazione delle esigenze. L’obiettivo è creare un accordo
per soddisfare le esigenze di entrambi. La vendita relazionale è fondamentale e proprio in virtù del
ruolo che svolge la forza vendita nella raccolta delle informazioni e non solo nella vendita del
prodotto in quanto tale, il marketing relazionale risulta strategico.
Il cliente potrebbe non essere un cliente fedele; noi potremmo chiamare un cliente, prigioniero,
perché visto che non c’era alternativa o comunque il passaggio da un brand all’altro ha un costo,
ovviamente il cliente decide, ma costretto, di rimanere fedele a quel brand e a quell’impresa.
L’engagement come misura della fedeltà del cliente è rilevante; più il cliente è coinvolto, allora la
leva dell’engagement misura se quella fedeltà è una fedeltà sincera o costretta. Il marketing
relazionale implica sempre un premium price, il cliente invece potrebbe essere vulnerabile al prezzo.
Alcuni clienti possono rifiutare di diventare dipendenti di un singolo venditore e quindi essere un
po’ dei soggetti che noi potremmo chiamare nel marketing relazionale infedeli, che si spostano da
un fornitore ad un altro quando si presentano delle condizioni favorevoli. I clienti potrebbero
collocare gli ordini facili da evadere presso concorrenti che praticano prezzi più bassi e lasciare
invece il più difficile all’azienda con il servizio più elevato. Dobbiamo stare attenti perché il cliente
non deve per forza seguire le logiche del marketing relazionale, ed ecco perché c’è una certa
distanza tra il processo di pianificazione delle attività ed il processo che sono le azioni dei
consumatori.

Nella vendita relazionale è importante seguire chiaramente un processo di gestione delle relazioni
con il cliente basato su alcune ricerche fondamentali; il primo punto tra questi è la ricerca
sistematica di informazioni, è quello che ci siamo detti prima, la sistematizzazione delle informazioni
è fondamentale. Tale ricerca ci permette di capire a chi potrebbe effettivamente interessare il
nostro prodotto/servizio. Nel processo, poi, dobbiamo capire chi è il nostro target effettivo e quindi
quali sono gli acquirenti potenziali del nostro prodotto e servizio; la terza fase è la conquista di buoni
clienti, ovvero la fase di negoziazione della stessa, in cui cerchiamo di capire se il cliente è veramente
interessato al prodotto e al servizio; poi la costruzione della relazione. Il cerchio si chiude con il feed
back e quindi con il controllo del processo.
La comunicazione impersonale ha come caratteristica il fatto di essere ad una via. Essa infatti è
unilaterale, c’è un mittente che invia un messaggio ad un destinatario, ma non è detto che il
destinatario debba rispondere al messaggio, lo può fare anche successivamente. Il messaggio qui è
standardizzato, ovvero tendenzialmente uguale per tutti. Il messaggio, quindi, arriva a tutti nella
stessa maniera, poi è l’interpretazione del messaggio che ogni destinatario fa che può variare. La
comunicazione impersonale viene ricevuta da pubblici diversi; non è detto che la pubblicità riesca a
raggiungere il target che mi sono imposto di raggiungere e solo quello, potrebbe anche raggiungere
altri destinatari che non abbiamo contemplato, ma che potrebbero essere potenzialmente
interessati. È progettata per creare un atteggiamento positivo, quindi il suo obiettivo è di medio e
lungo periodo, non è un tipo di obiettivo di breve periodo, ed è questo che lo distingue dalle altre
forme di comunicazione, quali la promozione. L’atteggiamento positivo significa che possiamo
convertirlo in una propensione all’acquisto del prodotto. Non è quindi detto che abbiamo un
comportamento di risposta automatico, non è detto che l’obiettivo che si pone la campagna
pubblicitaria sia aumentare le vendite; in realtà può solo aumentare la propensione all’acquisto.
Tale tipo di comunicazione presenta un basso costo di contatto.
Gli obiettivi della comunicazione pubblicitaria sono fondamentalmente tre risposte che noi
vogliamo dal nostro potenziale cliente. Una risposta cognitiva, una affettiva e una
comportamentale. Queste tre dimensioni noi ce le ritroviamo proprio quando parliamo di
engagement del consumatore. Risposta cognitiva significa che quello che attiva la risposta
pubblicitaria è una maggiore conoscenza delle caratteristiche della marca e del prodotto servizio.
La risposta affettiva è un atteggiamento positivo nei confronti della marca che suscita sensazioni, il
frutto che quella campagna di comunicazioni a restituito al cliente; poi la risposta comportamentale,
ovvero il fine della comunicazione pubblicitaria è far agire il consumatore che potrebbe recarsi sul
punto vendita per acquistare il prodotto, entrare nel sito web per cercare informazioni ulteriori. La
risposta comportamentale potrebbe essere ricordare il prodotto o la marca nel tempo. Sono
obiettivi di comunicazione importantissimi. Tutto dipende dallo stato della marca in quel momento.
Se è un prodotto nuovo, forse la risposta che vogliamo è di tipo cognitivo, ovvero vogliamo far
conoscere il prodotto al consumatore, dimostrando che si trova sul mercato. Noi possiamo dire che
la comunicazione attraverso la pubblicità ha alcuni effetti fondamentali. In primo luogo, lo sviluppo
della domanda, e cioè l’effetto che la comunicazione pubblicitaria ha sul nostro consumatore è
creare clienti interessati al prodotto. L’altro effetto che la comunicazione pubblicitaria ha sul nostro
consumatore è creare una maggiore notorietà, che si misura attraverso la riconoscibilità della marca
e il ricordo della marca; la prima situazione la possiamo ottenere grazie all’utilizzo di simboli e alcuni
segni che ci permettono di riconoscere la marca con poco e che sono riconoscibili. Questo lo
possiamo fare anche attraverso un prodotto e con la linea intorno a esso, possiamo creare così una
riconoscibilità della marca. Il ricordo invece si stimola con il tono, con la musicalità ed è quello, ad
esempio, che ha fatto Che Banca! Utilizzando il colore giallo per riconoscere e rendere distinguibile
la marca, con una campagna pubblicitaria basata sul musical. E poi c’è un altro effetto della
pubblicità a livello del consumatore, quello di creare un atteggiamento favorevole rispetto alla
marca, creare quindi una predisposizione positiva frutto del fatto che la pubblicità è riuscita a
suscitare una certa simpatia, rispetto e curiosità. Altro effetto è stimolare l’intenzione all’acquisto,
quindi portare al cliente più informazioni che lo stimolino ad acquistare quella marca; quindi,
significa portare il consumatore a ricercarsi presso il punto vendita. L’obiettivo è quello di stimolare
l’acquisto. Infine, l’effetto della pubblicità dovrebbe essere quello di agevolare l’acquisto, ovvero
l’effetto della pubblicità dovrebbe soddisfare il bisogno del cliente; questo lo si fa cercando di essere
efficaci nella costruzione del messaggio nella comunicazione dei benefici che la marca può dare al
consumatore. Quello che ad esempio si cerca di fare nella pubblicità dei profumi. Possiamo
distinguere tre forme di pubblicità che non è detto siano separate ma possono essere presenti in
una stessa campagna e sono la pubblicità d’immagine, la pubblicità promozionale e la pubblicità
interattiva. La pubblicità d’immagine ha l’obiettivo di stimolare la riconoscibilità; l’obiettivo è quello
di modificare il comportamento del consumatore davanti alla marca al fine di sollecitare l’acquisto
della marca stessa. Una pubblicità d’immagine cerca eventualmente di rafforzare il riconoscimento
della marca nel tempo, e cercherà di riposizionare la marca nella mente del consumatore. Questo è
l’obiettivo della pubblicità d’immagine. La pubblicità promozionale invece cerca di influenzare il
comportamento del cliente e stimolare l’acquisto e avevamo fatto l’esempio di Euronics che cercava
di stimolare la raccolta di informazioni e l’acquisto diretto. E poi la pubblicità interattiva, ovvero
l’obiettivo è quello di instaurare un contatto con il cliente, un dialogo con lo stesso al fine di
modificare il suo atteggiamento nei confronti della marca ma soprattutto invogliarlo a parlare
positivamente della marca e in futuro rimanere fedele alla marca. Invece, con l’avvento di internet
e la comunicazione diretta le cose sono estremamente migliorate: i vantaggi della pubblicità su
internet sono oggi estremamente forti, quindi oggi la pubblicità che vediamo sulla tv molto spesso
è replicata anche sul web. Internet però è estremamente utilizzato per la versatilità e per
l’opportunità che può dare alla comunicazione della marca. Quelle che sono le caratteristiche di una
pubblicità con internet possono essere migliorate, si può creare ad esempio delle pubblicità
interattive. I vantaggi quindi sono molteplici. In particolare, i vantaggi di poter utilizzare la pubblicità
su internet sono in primis la misurabilità: possiamo infatti misurare l’impatto che la pubblicità ha
sulle nostre interazioni del consumatore e poi possiamo anche pensare sulle vendite nella misura in
cui all’interno del sito internet ci sia anche un e-commerce. Poi possiamo anche pensare al fatto che
il vantaggio è l’interazione, ovvero la possibilità di avere degli immediati feed back da parte del
consumatore e la possibilità di sapere di più sul consumatore, perché attraverso una serie di analisi
che si possono fare noi possiamo capire che cosa il nostro consumatore ha guardato
precedentemente prima di arrivare a cliccare sul banner pubblicitario. Possiamo quindi seguire e
comporre il comportamento del consumatore sul sito web e capire quelli che sono da un punto di
vista operativo i difetti o i punti freddi del sito web, che non funzionano e dovrebbero essere
migliorati, se guardiamo dal punto di vista del cliente possiamo capire cosa interessa al cliente
quando guarda quel sito internet e che cosa lo ha portato a cliccare su quel dato banner. Qui si parla
dell’importanza giocata dai big data che ci permettono di avere informazioni molto veritiere sul
comportamento del consumatore utilizzando una mole di dati estremamente rilevante. Qui
abbiamo bisogno di figure esperte in grado di saper utilizzare software per analizzare una mole
ingente di dati e che ci permettano di restituire da questi dati informazioni utili aggregando tutti
questi dati nella maniera più corretta possibile. Oggi, quindi, l’interdisciplinarietà del data
management è fondamentale, il marketing non può prescindere da un’analisi di tutte queste info
provenienti dal web. Internet fondamentalmente lo possiamo considerare un canale freddo perché
attiva nel consumatore una risposta di tipo cognitivo e attiva nel consumatore il processo di
elaborazione delle informazioni. È un media freddo per cui la costruzione del messaggio deve essere
curata nei minimi dettagli.

Si parla di above the line, e below the line, sotto e sopra la linea; è un’espressione che cerca di
distinguere tipologia di comunicazione che poteva essere effettuata con mezzi più o meno costosi.
Oggi con internet parliamo di above the web, intendendo tutte le forme di comunicazione molto
costose; below the web indicando tutte le forma di comunicazione molto meno costose. Possono
essere queste ultime molto invasive e non sempre efficaci.
È importante capire il processo che si innesca nella produzione del vantaggio pubblicitario. Sembra
banale, ma dietro c’è un lavoro di costruzione del messaggio non indifferente che vede il
coinvolgimento non soltanto dell’impresa che commissiona la realizzazione della campagna
pubblicitaria, ma anche dell’agenzia che la deve realizzare ed è un lavoro veramente estenuante e
non sempre facilissimo. Ci sono una serie di fattori che devono essere considerati e anche le possibili
situazioni che potrebbero verificarsi, quali la scarsa comunicabilità da parte dell’impresa che
commissiona la campagna pubblicitaria o la troppa fantasia da parte dell’agenzia che non riesce a
capire adeguatamente gli obiettivi di marketing che si sta ponendo l’impresa commissionando
quella campagna. Risulta allora molto importante capire gli aspetti che devono essere presi in
considerazione. Il primo step che deve essere definito è il tipo di risposta che vogliamo dal nostro
target, ovvero dobbiamo definire gli obiettivi di marketing che ci siamo ponendo di raggiungere: ad
esempio, vogliamo una risposta affettiva, cognitiva o comportamentale? E questo è il primo aspetto
da considerare. La seconda fase è lo sviluppo del brief, è un documento conciso, breve che deve
essere molto efficace, ovvero deve illustrare la strategia di marketing dell’impresa ed è un
documento che viene restituito all’agenzia di comunicazione; esso deve contenere una breve
descrizione del progetto, l’obiettivo che si vuole raggiungere e alcune informazioni di marketing
dell’impresa, caratteristiche della marca, aspetti della concorrenza, precedenti campagne
pubblicitarie effettuate, quali sono i target da raggiungere, il budget e gli obiettivi pubblicitari. Sono
tutte informazioni che nel brief devono essere presenti. La fase successiva è lo sviluppo della copy
strategy, ovvero una volta che l’agenzia di comunicazione ha avuto questo brief, studia il documento
e tira fuori un suo documento in cui cerca di delineare come è possibile convertire in comunicazione
l’obiettivo di marketing che si è posta l’impresa quando ha deciso di commissionare la pubblicità. La
copy strategy deve indicare la promessa della marca dal punto di vista pubblicitario, ovvero la
promessa che la pubblicità restituirà al cliente che la guarda, deve anche motivare il perché il
consumatore deve acquistare quel prodotto e quel servizio e poi deve indicare il target. In questa
copy strategy devono essere anche individuati i toni che la pubblicità deve avere ed il carattere della
marca nella campagna pubblicitaria. La quarta fase è l’esecuzione creativa: in questa fase si cerca
concretamente di convertire in forme e in immagini e in parole quello che è la copy strategy ideata.
E qui è un lavoro tra il l’hard director e il copyraider. Testo e immagini devono essere estremamente
efficaci. E questo è una cosa altamente importante. Poi alla fine abbiamo la presentazione delle idee
e la condivisione con i direttori del marketing e poi in fine la produzione, dove intervengono altre
figure professionali che si occuperanno di realizzare integralmente la pubblicità.

Questo riassume un po’ con l’immagine le fasi della campagna pubblicitaria.


Nelle prime due fasi di definizione e brief interviene l’impresa, nelle due successive interviene
l’agenzia creativa e nelle ultime due interverrà un’agenzia di produzione.
Dobbiamo cercare di capire cosa è giusto. E qui è un aspetto di estrema rilevanza: dobbiamo tenere
in considerazione il budget che abbiamo a disposizione, ma non possiamo non tenere conto del
target a cui vogliamo rivolgerci, perché ogni media ha le sue caratteristiche, le sue potenzialità ma
anche i suoi difetti. Oggi con la possibilità di avere accesso alle informazioni in infiniti modi, occorre
scegliere i media in maniera corretta. Quindi abbiamo dei criteri che possiamo definire quantitativi
e criteri qualitativi: i primi hanno a che fare con ovviamente con il tipo di comunicazione di
marketing che ci siamo prefissati di raggiungere; quelli invece qualitativi sono collegati alla strategia,
al posizionamento dell’azienda sul mercato, alla tipologia di target e quindi non sono facilmente
misurabili.i

Tra i criteri quantitativi abbiamo il reach, ovvero la percentuale di potenziali clienti raggiunti dal
messaggio, qui la tv è quello che ancora raggiungeva tramite la pubblicità un gran numero di clienti.
L’altro tipo di criterio è la ripetizione o la frequenza, ovvero il n. di volte in cui l’individuo viene
raggiunto dal messaggio durante la campagna promozionale. Il numero di contatti utili o GRP è un
altro criterio che utilizziamo, ovvero il n. di contatti da parte degli individui appartenenti al target
che è dato dalla copertura moltiplicata per la frequenza media. Poi abbiamo l’OTS, ovvero
l’esposizione, ovvero il n. dei contatti a prescindere dal fatto che il messaggio sia effettivamente
visto. Infine, abbiamo il costo contatto, dato dal rapporto tra il costo totale del messaggio e il GRP
o n. di contatti utili. Poi abbiamo detto che ci sono dei criteri di tipo qualitativo che non sono
misurabili, come ad esempio la probabilità di ricezione, la durata del messaggio e sulla base di
quest’ultimo potremmo dire che se un messaggio fosse molto breve potremmo usare la pubblicità
sulla radio o in tv, se invece il messaggio è lungo potremmo usare il cinema. Questi sono i criteri da
considerare nello scegliere il media giusto per raggiungere i nostri clienti.
Ora dobbiamo parlare di un’altra leva della comunicazione, la promozione delle vendite che
combina una serie di tecniche implementate nel piano di marketing d’impresa allo scopo di
stimolare nel target prescelto la nascita di un comportamento di acquisto e di consumo a breve o
medio termine. La promozione non fa altro che rafforzare l’azione delle altre leve del mix di
comunicazione, non fa altro che stimolare gli acquisti più rapidamente per cui il suo effetto è un
effetto di breve periodo. E questo è un vantaggio ma anche uno svantaggio. Stimola gli acquisti
molto rapidamente ed è una strategia molto utilizzata per via della sensibilità del consumatore al
prezzo. È una leva temporanea, perché ha il pregio di essere revocabile, molto flessibile; quindi, non
impegna l’impresa perché ad esempio non dura tutto l’anno. Ma ha la funzione di riportare
l’attenzione sul prodotto. Qui possiamo dire l’effetto che genera la promozione delle vendite.
Innanzitutto, cerca di stimolare una risposta in termini di vendita diretta; poi la promozione ha una
natura temporanea e quindi un effetto sul venditore e sul distributore; ha l’obiettivo di creare
traffico sul punto vendita. E poi ha l’obiettivo di rafforzare e completare quello che è il messaggio
attraverso la pubblicità e la forza vendita. E poi l’altro effetto è quello di una riduzione travestita del
prezzo che ha soltanto la funzione di attenzionare di nuovo il prodotto e poi uno strumento di auto
distruzione se utilizzato frequentemente. La promozione ha dei difetti, tra cui la cannibalizzazione
che portano a dire che abusare della promozione non è sempre una buona idea, perché anche il
consumatore ha un suo magazzino: se ha acquistato n prodotti e immagazzinato questi, non è detto
che prossimamente lo riacquisterà. È molto importante riflettere sulla promozione e sui suoi tempi
e capire quanto è importante promuovere e mettere in promozione il prodotto. Per quanto riguarda
la tipologia di promozione, possiamo distinguere 4 tipologie di promozione.

La promozione al cliente è un tipo di promozione rivolta ad un target ben specifico di clienti finali
che dovrebbe avere come obiettivo il portare un beneficio cliente al nostro cliente e stimolare il suo
acquisto. La promozione al distributore, invece, è proporre a egli una forma di indennità monetaria
per convincerli a spingere la marca nei loro negozi. La promozione commerciale, sono attività
promozionali organizzate dal distributore per i suoi clienti. E poi la promozione alla forza vendita,
quindi stimolare tutti i partner nell’attività di vendita; sono promozioni che dovrebbero stimolare
quest’ultima a dare il massimo per migliorare l’attività di vendita del prodotto.
Per quanto riguarda le tecniche
promozionali, ne abbiamo diverse. Noi possiamo ridurre il prezzo, quindi praticamente vendiamo lo
stesso prodotto ad un prezzo minore, attraverso diversi incentivi (3x2, buoni sconto); l’altra tecnica
è vendere con premi e omaggi: in questo caso possiamo aggiungere al prodotto alcuni piccoli oggetti
offerti al cliente al momento dell’acquisto o successivamente. E un’altra tecnica sono le prove
campioni, ovvero la prova gratuita del prodotto senza obbligo d’acquisto, molto spesso si fanno
quando si lanciano nuovi prodotti e non si sa se avranno successo sul mercato (es. linea lines). E poi
abbiamo anche giochi e concorsi: in questo caso possiamo pensare ai concorsi della Melegatti. È
importante capire gli effetti che tali promozioni hanno sui consumatori, ma anche sui distributori.
Diventa quindi importantissimo guardare a questi effetti. Gli effetti sul consumatore possono essere
positivi o negativi.

Sono molto spesso effetti negativi. Il primo è un effetto positivo, il consumatore abituale che
acquista il prodotto in promozione in realtà lo acquisterebbe anche se non in promozione. Poi
abbiamo l’effetto di anticipazione, ovvero c’è un calo delle vendite in attesa della promozione e
questo potrebbe essere prevedibile nella misura in cui sono prodotti stagionali. Poi l’effetto di
depressione: il calo degli acquisti in virtù delle scorte che il consumatore ha una volta che ha
acquistato il prodotto in offerta. L’effetto di sostituzione della marca è l’effetto che l’impresa vuole
raggiungere attraverso la promozione: si indica che l’impresa vuole che il consumatore passi ad
acquistare la marca. E poi abbiamo l’effetto di prova, ovvero l’obiettivo della promozione è quello
di incentivare la prova del prodotto in modo tale che il consumatore si convinca ed acquisti sempre
quel prodotto. poi l’effetto di rimanenza, sono quelli verificabili a seguito della promozione e che
possono essere positivi, è una stabilizzazione delle vendite dovuta al fatto che la prova del prodotto
ha funzionato.
Poi abbiamo gli effetti della promozione sui distributori.
Ad esempio, si riforniranno nei periodi di promozione. Oppure si può avere l’effetto di sovra
stoccaggio per cui si riduce la richiesta e quindi gli ordini dopo la promozione. E poi gli effetti di
approvvigionamento devianti che sono collegati all’effetto di posticipazione e che ci si
approvvigiona nel momento in cui si sa dal produttore che ci sarà una campagna di promozione per
rilanciare un prodotto. Poi abbiamo l’effetto della possibilità di creare traffico nel punto vendita,
migliorare la rotazione a scaffale, migliorare l’interesse del consumatore e anche per quanto
riguarda la categoria merceologica. Per quanto riguarda invece gli effetti negativi abbiamo un
aumento dei costi logistici e di amministrazione perché dobbiamo movimentare una quantità di
prodotto superiore e ovviamente significa creare delle isole all’interno del punto vendita e questo
è un costo per il distributore. In generale possiamo parlare di effetti negativi che incidono
sull’aspetto del prodotto; infatti, se troppo usata la promozione, rende più debole perché la
riposiziona su un prodotto scadente. Dobbiamo stare attenti perché è un’arma a doppio taglio. E
poi la spirale promozionale, ovvero si innesca una guerra di promozioni tra competitors da cui chi
ne beneficia è il consumatore ma non sempre questo ha un effetto positivo, perché un altro aspetto
negativo è la difficoltà del confronto tra prezzi. Incentiva comportamenti speculativi da parte del
cliente, che rimanda l’acquisto del prodotto solo quando quest’ultimo è scontato, oppure non
acquisterà in quel punto vendita perché sa che in un altro punto vendita lo troverà scontato.

Nel corso del tempo abbiamo una misurazione delle vendite e senza la promozione le vendite non
potrebbero essere più di tanto elevate. Il significato di questa figura sopra è l’effetto promozione.
Infatti, la promozione non fa altro che aumentare le vendite di quel prodotto/servizio. Ha un effetto
del breve periodo. Ha poi degli effetti di rimanenza, abbiamo infatti un effetto positivo sulle vendite
di quel prodotto dovuto ad un ritorno. Vediamo che c’è un effetto però di depressione a seguito del
periodo di promozione, dovuto al fatto che il consumatore ha già acquistato in una certa quantità,
quindi, ha delle scorte e quindi non le acquisterà nell’immediato futuro.
Infine, dobbiamo parlare delle pubbliche relazioni che sono un’altra importante leva del mix di
comunicazione ed è una forma di comunicazione ufficiale che possiamo chiamare istituzionale
dell’impresa e che è rivolta a differenti pubblici. Non soltanto al consumatore ma anche a tutti gli
altri stakeholder. Un obiettivo è quello di acquisire supporto morale e accettazione da parte
dell’opinione pubblica. Quindi è una forma di comunicazione soft che cerca di avere un impatto
sull’atteggiamento, ovvero sul modo di porsi nei confronti della marca.

Gli strumenti che possiamo adottare sono quelli riportati qui sopra. Le informazioni sull’impresa le
possiamo fare con una serie di documentazioni per fornire ad hoc delle informazioni dell’impresa.
Le pubblicazioni sono report annuali presentati sul sito web ad esempio.
Il prezzo

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