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Marketing.

Il viaggio di una vita

Considerazioni sull’origine e l’evoluzione del marketing


Le tecniche di persuasione hanno una lunga storia. Già Aristotele, nella Grecia antica, ha presentato teorie brillanti
su come la retorica e la logica possano essere usate nel discorso persuasivo.

Sebbene l’attività commerciale abbia una lunga storia, la parola “marketing” non è apparsa nella letteratura
professionale fino al 1905-1910 circa. Al tempo diversi economisti avevano sottolineato che la domanda è
influenzata da fattori che vanno oltre il prezzo, in particolare dalla pubblicità, dalla forza vendita e dalla promozione.
Hanno inoltre osservato che nelle attività di mercato erano coinvolti molti soggetti, quali grossisti, distributori,
dettaglianti, intermediari, agenti, agenzie pubblicitarie, società di ricerche di mercato e agenzie di pubbliche
relazioni.
I primi manuali di marketing apparvero agli inizi del ‘900 ed erano scritti da economisti che volevano illustrare il
funzionamento reale dei mercati.

L’idea di aprire un reparto di marketing è arrivata tardi nelle grandi imprese di beni di largo consumo, a seguito dello
sviluppo dei brand e della nomina dei brand manager. Questi avevano bisogno di avvalersi di ricercatori di
marketing, agenzie pubblicitarie, marketing manager per ciascun segmento di mercato, così da fare in modo che il
reparto marketing crescesse di dimensioni.
Il reparto marketing era normalmente distinto dal reparto vendite e la sua missione era quella di aiutare la forza
vendita a vendere meglio, grazie a una migliore ricerca di mercato e al supporto fornito dalla pubblicità. Capitava
che l’ufficio marketing si assumesse la responsabilità di sviluppare un piano di marketing che prendesse decisioni
sulle 4 P: prodotto, prezzo, punto vendita e promozione.
Il piano di marketing doveva configurare le 4 P in modo da generare le vendite, i costi e i profitti attesi, e capitava
che sorgessero conflitti tra il piccolo reparto marketing e il grande reparto vendite.
La mancanza di allineamento tra vendite e marketing doveva essere affrontata: il responsabile marketing e quello
delle vendite dovevano collaborare e le vendite dovevano collaborare più strettamente allo sviluppo del piano di
marketing.

Nonostante inizialmente il marketing si sia sviluppato nelle imprese produttrici di beni di largo consumo, esso si è
presto diffuso nelle imprese B2B e poi nelle società di servizi, arrivando infine nelle organizzazioni non profit come
musei e organizzazioni addette ai servizi sociali.

L’intero processo di marketing può essere così descritto: il marketing inizia con la ricerca, che porta poi a
segmentazione, targeting e posizionamento. La segmentazione mira a identificare, nel mercato, gruppi diversi di
consumatori; il targeting riguarda la decisione relativa al gruppo o ai gruppi di consumatori (segmenti) che
l’organizzazione dovrebbe ricercare e servire; mentre con il posizionamento, per ciascun segmento specifico viene
definito un messaggio chiaro circa i benefici specifici offerti dall’organizzazione al consumatore. Successivamente
l’impresa definisce un piano relativo alle quattro P per ciascuno dei segmenti di mercato selezionati. A quel punto
l’impresa implementa il piano e infine raccoglie i feedback per migliorare l’utilizzo delle quattro P nel successivo ciclo
di gestione delle relazioni con quel segmento specifico.

Il marketing amplia i suoi confini


Sidney J. Levy analizzava il comportamento umano; lui e Kotler hanno a lungo discusso la possibilità di applicare il
marketing anche fuori dal mondo degli affari.
Per entrambi il concetto di marketing poteva essere applicato a luoghi (città, regioni, paesi), a persone (costruire
personaggi celebri), idee (ad esempio l’uguaglianza di genere) e convinzioni (ad esempio fare esercizio fisico). I due
hanno reso note le loro opinioni in un articolo del 1969 intitolato “broadening the concept of marketing”.
A quel punto non restava da capire altro se non che l’approccio delle quattro P si sarebbe dimostrato efficace anche
negli altri campi o meno.
Kotler e altri hanno applicato nel corso degli anni la metodologia STP (segmentazione, targeting e posizionamento),
facendola precedere al lavoro di definizione delle attività relative a ciascuna delle quattro P. Questo approccio è
stato molto efficace.

L’emergenza del marketing sociale


Può il marketing svolgere un ruolo nel migliorare la vita delle persone, al di là della semplice fornitura di una varietà
crescente di beni e servizi?
Può il marketing essere usato per promuovere idee come fratellanza, pace, attività fisica regolare, alimentazione più
sana e rifiuto delle deroghe?

Kotler e Gerald Zaltman (suo amico) sono sempre stati entusiasti della possibilità di sviluppare quello che potrebbe
essere chiamato “marketing sociale”. Il marketing è generalmente pensato come una disciplina commerciale ma,
secondo Kotler, i marketer dovrebbero considerare l’impatto delle loro attività sul benessere della società.

Zaltman e Kotler si sono chiesti se il marketing potesse essere usato per persuadere le persone ad adottare
comportamenti che potessero essere migliori per gli individui, le loro famiglie, gli amici e la società in generale e
questo ha preso il nome di social marketing.
Nel corso del tempo hanno assistito, ad esempio, agli sforzi fatti dall’india per persuadere le famiglie contadine ad
avere meno di sei figli. Sono stati utilizzati la proiezione di film nei villaggi per impedire ai genitori di avere rapporti
sessuali, la distribuzione di profilattici e addirittura l’esortazione degli uomini alla sterilizzazione.

Uno dei problemi che il marketing sociale doveva affrontare era quello del fumo di sigarette. È stata infatti lanciata
una campagna pubblica contro il fumo, cui si sono associate molte organizzazioni sanitarie. Diverse campagne sono
state progettate e indirizzate a gruppi di fumatori differenti per età, sesso e classe sociale, per aiutarli a evitare di
fumare o smettere di fumare.
Kotler ritiene che il marketing sociale abbia contribuito notevolmente a una diminuzione dell’uso del tabacco.

Altro utilizzo rilevante del marketing sociale riguarda l’epidemia di Hiv e Aids.

Nel corso degli anni l’espressione “marketing sociale” ha iniziato a prendere piede. È stato addirittura scritto un libro
in cui è stata sviluppata l’idea che i social marketer non dovrebbero lavorare solo sui problemi di marketing sociale a
valle delle diverse situazioni, ma dovrebbero agire anche sul marketing sociale intermedio e su quello a monte, così
da influenzare le agenzie e le organizzazioni che hanno un forte impatto sul comportamento sociale (es. per
combattere il problema dell’obesità, i social marketer non devono solo convincere a mangiare cibi più sani, ma
devono convincere anche le imprese alimentari, i ristoranti e altri gruppi a ridurre grassi, zuccheri e sale nella loro
offerta di cibo e bevande).

Il professor Jeff French ha lavorato con il sistema sanitario pubblico britannico per formare operatori sanitari nel
marketing sociale.

Il primo convegno mondiale dedicato al marketing sociale si è tenuto nel 2009 e, secondo Kotler, ad oggi ci
sarebbero più di centomila esperti in social marketing.

Critiche al marketing e contributi forniti dal marketing


Il marketing è un’attività umana pervasiva. Esso è praticato da ogni impresa e da innumerevoli individui e riesce a
suscitare una serie infinita di critiche:
• Si subisce l’invadenza di milioni di brand per cui si nutre scarso interesse e che non aumentano in modo
rilevante il nostro benessere. I brand raccolgono informazioni sulle persone mentre usano internet e i social
e arrivano a sapere talmente tanto da poter inviare il messaggio giusto al momento giusto per incentivare un
certo acquisto.
• C’è una frequente esagerazione o falsità dei messaggi.
• Il marketing sembra trascurare i costi occulti e i danni all’ambiente causati dagli alti livelli di consumo. In
passato le imprese non erano soggette a pagare indennizzi per l’inquinamento prodotto dalle loro attività.
• Le imprese aumentano i loro profitti rinnovando continuamente i prodotti e trasformando le versioni
precedenti in rifiuti che si accumulano nelle discariche. I danni ambientali derivanti dall’aumento del livello
dei consumi potrebbero arrivare a rendere il pianeta inabitabile.
• I marketer prestano poca attenzione alle persone povere che hanno bisogno di prodotti a costi più bassi.
• I marketer vanno solo dove vanno i soldi che sono principalmente nelle mani della classe operaia, di quella
media e dei ricchi.
• Il compito del marketing è quello di aumentare i consumi, cosa che fa alzando il livello del desiderio. I
marketer operano partendo dal presupposto che i desideri umani non hanno limiti e che tutto potrebbe
essere prodotto e venduto come oggetto del desiderio. Il risultato è che molte persone spendono più di
quanto possono permettersi, facilitate dalla presenza delle carte di credito.
• Gli operatori di marketing lavorano per differenziare le loro offerte attraverso l’uso di pubblicità e branding,
che hanno il compito di occultare l’intercambiabilità della maggior parte delle offerte. La pubblicità e il
branding aumentano il costo della maggior parte dei prodotti anche fino al 20%.
• I professionisti del marketing sono pronti a vendere tutto ciò che il consumatore desidera,
indipendentemente dall’idoneità al consumo di un dato prodotto. Per anni sono state vendute sigarette,
negando o rimuovendo le prove degli effetti dannosi del fumo. I marketer sono pronti a utilizzare qualsiasi
tipo di sollecitazione che funzioni, come connotare il fumo come fenomeno di moda.

Contributi del marketing:


• Il marketing ha innalzato il tenore di vita e costruito la classe media.
• I marketer, mediante la competizione reciproca, hanno sviluppato prodotti con funzionalità nuove, qualità e
design migliori e messo a punto servizi di qualità più alta.
• Il marketing ha creato la gamma più vasta di prodotti, brand e servizi mai visti.
• Il marketing è una forza importante nella creazione di posti di lavoro e nella crescita economica. Se il
marketing ha successo le persone spendono di più e questo crea più posti di lavoro; ciò porta a un PIL più
alto.
• Il marketing consente alle persone di ottenere più facilmente i prodotti, i servizi e le esperienze che
desiderano. I marketer assicurano al consumatore non solo la disponibilità delle loro offerte, ma anche le
informazioni sulle offerte stesse e la loro reperibilità.
• Il marketing propone un’ampia varietà di prezzi per beni di largo consumo.

L’irresistibile ascesa della responsabilità sociale d’impresa


Il compito del marketer è aiutare le imprese a immettere nel mercato prodotti e servizi di qualità ed essere efficace
nel venderli. La produzione e la distribuzione hanno però impatti complessivi preoccupanti sullo stato dell’ambiente.
Secondo Kotler, i professionisti del marketing dovrebbero mostrare maggiore responsabilità quanto all’impatto delle
loro azioni sulle risorse globali e sull’ambiente.

Kotler si è a lungo interrogato sulla responsabilità sociale d’impresa. Un’impresa pubblica dovrebbe sentirsi tenuta a
fare erogazioni liberali? La gestione di un’impresa pubblica dovrebbe usare il denaro che appartiene agli azionisti e
scegliere quali organizzazioni benefiche sostenere ma i dipendenti potrebbero risentirsi perché non hanno
partecipato alla scelta dei beneficiari o perché i soldi non sono stati usati per aumentare gli stipendi.

Secondo Milton Friedman “nel mondo degli affari esiste una sola responsabilità sociale: usare le proprie risorse e
impegnarsi in attività progettate per aumentare i propri profitti finché si sta alle regole del gioco”. Per Friedman i
profitti di un’impresa appartenevano agli azionisti che avevano investito il loro capitale di rischio. Questi avrebbero
dovuto decidere personalmente se fare o no donazioni ad associazioni benefiche. Friedman pensava anche che le
imprese che spendevano soldi per la responsabilità sociale sarebbero state più vulnerabili rispetto ai competitor che
non lo facevano. Questa posizione era molto popolare tra le imprese tradizionali, ma oggi sta perdendo consensi.
Oggi la maggior parte delle imprese è impegnata a finanziare le buone cause e alla base di questo comportamento ci
sono tre motivazioni:
1. Le imprese hanno ricevuto benefici dalla società, come strade, ponti, porti e altre infrastrutture che le
aiutano ad essere profittevoli, per questo motivo dovrebbero restituire qualcosa.
2. La responsabilità sociale d’impresa contribuisce a migliorare la reputazione dell’impresa come buona
cittadina; ciò consentirà di attrarre un maggior numero di consumatori e rafforzerà il senso di appartenenza
dei collaboratori.
3. Fare beneficienza controbilancia l’impressione diffusa che le imprese si preoccupino solo di fare profitti e
accumulare ricchezze.

Alle prime tre motivazioni potrebbe aggiungersene anche una più profonda: l’obbligo morale. Le imprese hanno
bisogno di “un’anima”, di essere al servizio della società dopo aver adempiuto all’obbligo di creare ricchezza per gli
azionisti.

Quando un’impresa decide di essere generosa, deve scegliere anche i beneficiari delle donazioni. Una possibilità è
quella di rispondere alle molte sollecitazioni per buone cause che provengono dalla collettività e da stakeholder
come fornitori, rivenditori, etc. Ad esempio Avon ha scelto di sostenere la ricerca e il trattamento del cancro al seno.
In questo modo la sua reputazione si è rafforzata per il sostegno a una causa che sta a cuore a molte consumatrici.

Molte imprese si sono adoperate per misurare l’effetto delle donazioni sulla situazione dei destinatari. La
misurazione del ritorno per l’impresa in termini di risultati migliori quanto a clienti e dipendenti è difficile perché
molte altre variabili influenzano la reputazione dell’impresa.

Esistono sei modi in cui un’impresa può manifestare la propria responsabilità sociale:
1. Promuovere una causa
2. Fare cause-related marketing
3. Fare corporate social marketing
4. Fare erogazioni liberali
5. Fare volontariato all’interno della collettività
6. Adottare pratiche commerciali socialmente responsabili

Benvenuti nell’era del demarketing


La maggior parte delle imprese passa il tempo cercando di aumentare la domanda di prodotti e servizi, ma oggi c’è
bisogno anche di una scienza di demarketing per contribuire a ridurre la domanda di determinati prodotti e servizi.
Il demarketing potrebbe essere usato per ridurre la domanda di prodotti-vizio come droghe pesanti, sigarette, cibi
grassi e potrebbe essere usato anche per ridurre l’uso di risorse scarse come acqua, aria pulita, pesci e alcuni
minerali.

Kotler, già nel 1971, ha sostenuto che le carenze possono costituire un problema quanto le eccedenze, e ha definito
il demarketing come quella parte del marketing che si occupa di disincentivare i consumatori in generale, o una
determinata categoria di consumatori, su base temporanea o permanente.

Oggi molti sono preoccupato dalla carrying capacity del pianeta, ovvero della capacità di fornire le risorse necessarie
per la crescita della popolazione mondiale. Secondo Kotler, man mano che le risorse della terra diminuiranno, si
dovrà passare dall’era del marketing a quella del demarketing.

Qual è l’impatto di questa situazione sulle decisioni aziendali? Le imprese che scelgono la sostenibilità devono
apportare alcune modifiche alle proprie strategie e pratiche produttive e di marketing.
Paul Polman, CEO di unilever, ha affermato “il nostro obiettivo è quello di raddoppiare il fatturato ma riducendo il
nostro impatto ambientale e la nostra impronta ecologica. Dobbiamo farlo attraverso un consumo più consapevole.
Se tutte le imprese si prefiggessero l’obiettivo di raddoppiare il fatturato e tutte ci riuscissero, la sostenibilità
sarebbe impossibile da raggiungere. Un obiettivo intermedio tra la crescita zero e una crescita modesta sarebbe
quindi più sensato.

Le imprese che decidono di fondare sulla sostenibilità le loro strategie dovranno introdurre criteri chiari per definire i
nuovi programmi di sviluppo dei prodotti, investire maggiormente nel riutilizzo e nel riciclaggio, e convincere i loro
stakeholder a lottare contro gli sprechi e ad accettare alcuni limiti della crescita.

Demarketing è un altro modo di chiamare la riduzione della domanda. Esistono 4 situazioni che richiedono la
riduzione della domanda:
• Gestione di scarsità attuale. Il Medio Oriente ha scarsità di acqua e deve razionarla a gruppi di utilizzatori
in competizione tra loro. C’è bisogno di campagne per scoraggiare i consumi energetici superflui e gli
sprechi.
• Prevenzione di scarsità potenziale. La pesca eccessiva deve essere ridotta al fine di mantenere le
possibilità di consumo. Il taglio del legname deve essere seguito da azioni di ripiantumazione.
• Riduzione al minimo dei danni alle persone. Sono necessari sforzi per ridurre il fumo di sigarette, l’uso di
droghe, l’alimentazione a base di cibi con un contenuto troppo alto di zuccheri, sali e grassi.
• Riduzione al minimo dei danni alla natura o alle risorse non riproducibili. Si possono ad esempio
scoraggiare le visite al parco nazionale di Yellowstone e ad altre aree turistiche sovraffollate.

Quali sono gli strumenti del demarketing? Se si prende come esempio lo sforzo della Russia per scoraggiare i cittadini
al consumo di bevande alcoliche che si traduce in risse, divorzi, feriti e decessi.
Le quattro P del marketing possono fungere da punto di partenza per individuare le misure che si potrebbero
adottare:
• Prodotto: lo stato potrebbe limitare la produzione e non consentire ai consumatori di comprare più di un
quarto di litro a settimana.
• Prezzo: lo stato potrebbe aumentare molto il prezzo degli alcolici.
• Distribuzione: lo stato potrebbe limitare il numero di punti vendita e rendere più scomodo per i cittadini
raggiungerli.
• Comunicazione: lo stato potrebbe fare campagne pubblicitarie e di informazione sui danni a individui e
famiglie provocati dal consumo eccessivo di alcolici.

Occorre essere prudenti quando si cerca di ridurre la domanda di un dato bene. La domanda di demarketing
potrebbe rendere il prodotto o il servizio più appetibile; potrebbe creare criminalità che prospera nel periodo di
scarsità indotta (come in America durante il proibizionismo); potrebbe portare i sostenitori dei diritti umani a
lamentarsi nei confronti di ciò che considerano essere parte dei diritti del cittadino.

Il demarketing pone di fronte a scelte difficili tra libertà individuale e bene pubblico. Con il demarketing si
sperimenta un limite della libertà individuale, mentre senza si sperimenta la tragedia dei beni comuni che si verifica
quando tutti usano troppo un bene pubblico.
Il demarketing ha la massima efficacia quando vi è alto consenso da parte dei cittadini sul fatto che il consumo di
alcuni beni o servizi dovrebbe essere ridotto.

Riflessioni sul futuro digitale del marketing


Kevin Roberts, CEO di un’agenzia pubblicitaria, ha tenuto un discorso in cui ha parlato di fine del vecchio marketing.
Per oltre un secolo le imprese hanno avuto un alto livello di controllo su ciò che i consumatori pensavano di loro e
dei loro prodotti. Ogni impresa usava il potere della comunicazione di massa per costruire l’atteggiamento dei
consumatori nei suoi confronti e la loro conoscenza della sua offerta.

Con l’esplosione del mondo digitale i consumatori conoscono un’impresa e i suoi prodotti chattando con gli amici e
andando su internet per trovare informazioni su ogni suo aspetto; considerano il rivenditore come uno showroom
anziché come un negozio e insistono sul fatto che l’esercente proponga lo stesso prodotto offerto da altri negozi con
il prezzo più basso praticato in rete.
Le imprese di oggi hanno perso il controllo sulla costruzione del brand. Questo è costruito sempre più dalle
conversazioni tra consumatori in internet.
Un’impresa può ancora esercitare una certa influenza attraverso gli spot pubblicitari ma tra qualche anno potrebbe
spendere gran parte del proprio budget sui social e sui media digitali. Questo succederà quando i giovani
ignoreranno gli spot pubblicitari, troppo lunghi per la loro impazienza.

L’obiettivo del marketing dovrebbe essere quello di aggiungere valore alla vita del consumatore. Il marketing deve
prendere in considerazione tutti i fattori che impattano sulla soddisfazione del consumatore riguardo alle offerte
aziendali.
Il marketing deve esercitare un’influenza sul prodotto, sulle caratteristiche, sul prezzo, sulla disponibilità e sui servizi
che lo integrano. Tale insieme è conosciuto come quattro P.
Il direttore marketing di un’impresa dovrebbe essere responsabile della definizione e della produzione del valore per
il consumatore, e collaborare con gli altri direttori.
I direttori degli altri settori, secondo Kotler, considerano ancora il marketing come una funzione di comunicazione e
vendita.

Il marketing dovrebbe perdere alcune delle sue funzioni tradizionali e gestire la comunicazione, le politiche di prezzo,
il branding e la differenziazione ma anche il comportamento del consumatore.

Ci sono quattro carenze nell’attuale posizione del direttore marketing:


1. La maggior parte dei direttori marketing non svolge l’intera gamma delle attività di marketing, si concentra
sulla comunicazione e non sui prodotti e prezzi.
2. I direttori finanza sono diventati più potenti e hanno preso il controllo delle politiche di prezzo, prestando
meno attenzione ai direttori marketing.
3. Spesso è difficile misurare l’impatto del marketing per sapere quali obiettivi siano stati raggiunti grazie ai
milioni spesi per attività di marketing. È quindi molto facile che il budget riservato al marketing venga
tagliato.
4. Nessuno ha un’idea chiara di cosa sia il marketing, mentre la maggior parte delle persone capisce cosa sono
la produzione o la finanza.

Secondo alcuni il potere del direttore marketing si sta sgretolando e la denominazione “direttore marketing”
dovrebbe essere abbandonata e sostituita da “responsabile del consumatore”. Questa figura conoscerebbe i
consumatori, i loro desideri e l’evoluzione dei loro gusti; userebbe la conoscenza del consumatore per influenzare le
discussioni aziendali sulle caratteristiche dei prodotti e sui prezzi.

La prossima fase del branding: il brand activism


Storicamente la promozione della maggior parte dei brand ha puntato sulle prestazioni. Nel marketing del brand
questo si chiama posizionamento, ma nei mercati altamente competitivi esso non è più sufficiente.

Molti oggi vorrebbero che i brand mostrassero interesse non solo per i profitti, ma anche per le comunità che questi
servono e per il mondo in cui viviamo.
The body shop è stata una delle prime imprese a fare comunicazione sui propri valori e sulle proprie convinzioni
etiche. La sua fondatrice desiderava realizzare prodotti per la cura della pelle ma anche prendersi cura dei diritti
degli animali, dei diritti civili e della difesa dell’ambiente. Molti clienti hanno infatti affermato di aver valutato
positivamente l’attivismo dell’azienda oltre che ai suoi prodotti.

Cos’è il brand activism? Consiste negli sforzi per promuovere, impedire e influenzare riforme o stati di inerzia sociali,
politici, economici e ambientali con l’intento di migliorare la società.

Il brand activism può essere regressivo o progressivo:


• Regressivo: Un esempio è big tobacco, che per anni ha negato il danno causato ai consumatori dai suoi
prodotti; promuovendo le virtù del fumo in un modo che ha danneggiato i consumatori, portando ad una
maggior incidenza di infarti e cancro.
• Progressivo: su questo fronte si vede un numero crescente di imprese che cercano di esercitare un
impatto sui maggiori problemi della società, e vengono viste sempre più come leader nei loro campi.

Quando il brand activism ha cominciato ad assumere importanza? Esso è una naturale evoluzione dei programmi di
responsabilità sociale d’impresa e di responsabilità ambientale, sociale e politica che stanno trasformando le
imprese di tutto il mondo.
Gli sforzi fatti in precedenza sono stati considerati dapprima iniziative promosse dal marketing e poi iniziative a
livello corporate.

Il brand activism va definendosi come un’agenda orientata ai valori per le imprese che si preoccupano del futuro
della società e della salute del pianeta. La forza che muove il progresso è un senso di giustizia ed equità nei confronti
di tutti.
Quali sono gli ambiti del brand activism?
• Attivismo sociale che comprende aree come l’uguaglianza di genere, di orientamento sessuale, etnia,
etc.
• Attivismo normativo che riguarda le leggi e le politiche che influiscono sulle società, come le leggi fiscali
e quelle sui luoghi di lavoro.
• Attivismo aziendale che riguarda la governance, l’organizzazione aziendale, la remunerazione dei CEO e
dei lavoratori, le relazioni sindacali, etc.
• Attivismo economico che può includere politiche fiscali e sui minimi salariali, che influiscono sulle
disparità di reddito e sulla redistribuzione della ricchezza.
• Attivismo politico che riguarda il lobbismo, il voto, i diritti di voto e la politica.
• Attivismo ambientale che riguarda le leggi e le politiche relative alla protezione dell’ambiente, agli usi del
suolo, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua.

I sei ambiti del brand activism possono essere combinati per creare uno strumento per misurare la portata
dell’impegno dell’impresa nei confronti dei problemi presenti in ciascun ambito.

Esempi di imprese che portano avanti nuovi livelli di brand activism:


• Patagonia: l’azienda paga una somma extra per ogni articolo certificato “commercio equo e solidale” che
porti la sua etichetta. Tale somma va direttamente agli operai in fabbrica che decidono come spenderla.
Patagonia sta inoltre lavorando per integrare nella propria catena di approvvigionamento pratiche di
rigenerazione ecologica, e collabora con altre imprese e organizzazioni per diffondere questa attività.
• Unilever: la visione di Unilever è quella di far crescere il business tenendo l’aumento dell’impronta
ecologica distinto da quello della crescita, e aumentando l’impatto sociale positivo. Unilever ha anche
sviluppato un circular business model che mira a collegare tutti i flussi di materiale in un circolo senza
fine di processi per utilizzare le risorse in modo efficiente e senza sprechi.
• Ben & Jerry’s: è stata una delle prime imprese al mondo a dare eguale importanza alla missione sociale e
a quella economica e produttiva. I temi specifici sostenuti dall’azienda includono la democrazia, la
giustizia climatica, l’etichettatura degli OGM, il commercio equo e solidale e la pace.
• Seventh Generation: come Ben & Jerry’s è controllata da Unilever. La sua mission è ispirare una
rivoluzione dei consumatori che sostenga la salute delle prossime sette generazioni. Sta inoltre
conducendo una campagna per ridurre l’esposizione a sostanze chimiche tossiche che hanno un impatto
sulla salute umana.

Nel business, l’evoluzione del brand activism è un’opportunità di differenziazione e di impegno orientato a un
obiettivo. L’obiettivo non dovrebbe essere solo la massimizzazione del profitto ma anche l’ottimizzazione degli
stakeholder, una situazione in cui tutte le parti che contribuiscono al successo dell’impresa sono ben remunerate.

Un’impresa che voglia diventare brand activist deve domandarsi:


• Quali e quanti saranno i consumatori che si interesseranno del livello e del tipo di brand activism
dell’azienda?
• I consumatori saranno convinti che la nostra azienda creda con passione alla causa che sosteniamo?
• Il costo dell’implementazione ci richiederà di aumentare i prezzi? I consumatori saranno disposti a
pagare di più?
• La struttura della governance e il top management capiscono come e perché il brand activism faccia la
differenza?
• In che modo il nostro attivismo produce significati capaci di coinvolgere e ispirare i nostri dipendenti?

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