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MARKETING DEL TURISMO

Il marketing rappresenta al tempo stesso una filosofia di business e un processo


orientato all’analisi e all’azione.

La paternità del concetto di marketing, sviluppato nella letteratura manageriale


negli anni Cinquanta, è generalmente attribuita a Drucker (1954) e a
McKitterick (1957), quest’ultimo dirigente marketing di General Electric,
mentre una delle sue prime formulazioni nella letteratura accademica si deve
all’articolo di Keith (1960). Tale concetto di marketing, che qui definiremo
“tradizionale”, rappresenta ancora oggi la filosofia prevalente di marketing
management, ed è divenuta generalmente sinonimo di “orientamento al cliente”.
La più concisa definizione di marketing è “soddisfare bisogni in modo
redditizio”.
Il concetto tradizionale di marketing si fonda su tre pilastri:

1. orientamento al cliente: tutte le azioni manageriali dovrebbero scaturire dalla


profonda comprensione dei bisogni e desideri del cliente;

2. integrazione delle attività: : è necessario un elevato coordinamento con le


altre funzioni dell’impresa (R&S, produzione, amministrazione e finanza) per
diffondere la cultura di “orientamento al cliente”;

3. obiettivo di redditività: il concetto di marketing deve condurre l’impresa a


realizzare dei profitti quale contropartita della soddisfazione del cliente.

in generali condizioni di scarsità, la domanda tende a essere rivolta a beni di


base e l’individuazione dei bisogni dei clienti è piuttosto facile, mentre in
mercati altamente competitivi e in condizioni di eccesso di offerta, diventa
necessaria l’adozione di una filosofia di business market-driven, che implica la
produzione di beni e servizi a seguito di una chiara definizione dei bisogni dei
clienti.

Il concetto di marketing suggerisce che perseguire l’interesse del cliente, alla


fine, favorisce anche l’interesse dell’impresa: una situazione win-win. Nella
letteratura economica, il principio formalizzato da Adam Smith (1776), ancora
oggi alla base del sistema di economia di mercato, può essere riassunto come
segue:
(...) il benessere sociale non dipende in definitiva dall’altruismo, ma deriva anzitutto dall’unione degli
impulsi egoistici dei produttori e dei consumatori, attraverso lo scambio volontario e concorrenziale.
Anche se nelle moderne economie questo principio di base è stato modificato
nei suoi aspetti sociali (solidarietà, esternalità, beni collettivi, leggi dello Stato),
esso resta il più importante principio guida che orienta

l’attività economica di ogni impresa di successo che operi in un mercato (sia


pure regolamentato) di libera concorrenza (si veda a questo proposito
l’Approfondimento 1.1). Tali idee sono state sviluppate e implementate nella
disciplina manageriale da autori come Chamberlin (1933), Drucker (1954),
Abbott (1955), Alderson (1957), McKitterick (1957), Howard e Sheth (1969), i
principali padri fondatori del marketing contemporaneo.

L’implementazione del concetto di marketing implica l’adozione di un


approccio dualistico da parte dell’impresa, come mostrato dalla Figura 1.1.
Tuttavia, lo stesso termine “marketing” – letteralmente “il processo con cui si
mette nel mercato” – non esprime bene tale dualismo, enfatizzandone la
dimensione “azione” rispetto alla dimensione “analisi”.

Il marketing strategico è un processo orientato all’analisi e incentrato


sull’individuazione dei bisogni degli individui e delle organizzazioni.
Il marketing operativo è un processo orientato all’azione che si estende
nell’arco di una pianificazione temporale di breve-medio termine, e si indirizza
a mercati o segmenti esistenti.

1.3 IL CONCETTO DI MARKETING

Lo stesso termine “marketing” genera ambiguità. Esso deriva dal verbo inglese
“to market” e si riferisce al processo con cui si “mette” nel mercato; il concetto
pone così implicitamente l’accento sulle attività “a valle” del processo di
marketing, vale a dire il marketing mix nella dimensione “azione”, mentre non
fa riferimento alle attività “a monte” che necessariamente precedono l’ingresso
nel mercato, vale a dire il confronto dei bisogni dei clienti con le capacità
creative e le competenze dell’impresa.

Molti autori e manager non distinguono attentamente tra orientamento al


cliente, orientamento al marketing e orientamento al mercato (market- driven)
e utilizzano il tradizionale concetto di marketing per descrivere l’orientamento
di un’impresa che sta vicina ai suoi clienti.

A differenza degli esperti di finanza, gli esperti di marketing non concordano


ancora sul significato della parola “marketing”. La mancanza di consenso sul
linguaggio tra manager − e in particolare tra gli amministratori delegati − è
evidenziato dalle risposte date alla seguente domanda in un questionario
somministrato a un campione di amministratori delegati: “Come è cambiato il
marketing nella vostra impresa negli ultimi tre anni?”. Tra i commenti si
registra: “dipende da cosa si intende per marketing” (Webster et al., 2005, p.
36).

Il livello di confusione non diminuisce tra i professionisti e gli studiosi della


materia. Mentre noi, per esempio, definiamo il market-driven management
come tutto ciò che fa un’impresa per assicurarsi la preferenza del cliente e, di
conseguenza, per ottenere una redditività più elevata, Ambler (2000, p. 61) usa
il termine marketing panaziendale, mentre Kotler e Keller (2006, p. 17) vi si
riferiscono parlando di marketing olistico. In molti settori, le imprese
identificano il marketing con le vendite, altre con la gestione della marca e le
vendite, altre ancora con la pubblicità, il merchandising e le vendite, oppure le
vendite e la comunicazione, e via dicendo. Come affermato da Kotler et al.
(2006, p. 74) “troppo spesso, le organizzazioni scoprono di avere il marketing
all’interno della funzione vendite e una funzione vendite all’interno del
marketing”. Questa ambiguità

concettuale e mancanza di rigore semantico sono indegne di una disciplina che


ha, da più di sessant’anni, ambizioni accademiche e scientifiche.

La confusione circa la definizione e gli obiettivi del concetto di marketing crea


problemi, non solo nell’insegnamento della materia, ma soprattutto nella sua
implementazione. Si sono visti molti esempi di carenti pratiche di marketing
conseguenti a una erronea interpretazione del concetto. Con le parole di
Christensen et al. (2005),
ogni anno vengono lanciati nel mercato trentamila nuovi prodotti di consumo. Ma oltre il 90% di essi fallisce
− e ciò dopo che professionisti di marketing hanno speso ingenti somme di denaro nel cercare di capire cosa
vogliono i loro clienti. Dov’è l’errore? Riteniamo che alcuni dei fondamentali paradigmi di marketing siano
superati. Non siamo i soli a formulare questo giudizio.

Anche il CEO di Procter & Gamble A.G. Lafley (2005), citato in Christensen et
al. (2005), probabilmente la persona con la migliore posizione al mondo per
lanciare questo appello, afferma: “Abbiamo bisogno di reinventare il nostro
modo di fare marketing nei confronti dei consumatori. Abbiamo bisogno di un
nuovo modello”.

1.3.2 La performance del concetto di marketing


Nato negli anni Cinquanta del secolo scorso e adottato dalle imprese europee
negli anni Sessanta, il successo del concetto di marketing può essere spiegato
dal fatto che sia le imprese americane, sia le imprese europee operavano in quel
periodo in mercati di vendita in rapida crescita, in cui la domanda era superiore
all’offerta e in cui i bisogni e desideri dei clienti erano noti.

Il marketing ha svolto un ruolo importante nelle economie di mercato


statunitense ed europea, non solo migliorando la produttività del sistema di
distribuzione di beni e servizi, ma anche perché, così facendo, si è innescato un
circolo virtuoso di sviluppo economico, le cui fasi sono le seguenti:

 il concetto di marketing contribuisce a individuare bisogni di mercato mal


soddisfatti o insoddisfatti stimolando lo sviluppo di prodotti nuovi o
migliorati;

 gli strumenti del marketing operativo (le 4P) creano e/o sviluppano la
domanda di mercato per questi nuovi prodotti o servizi;
 l’incremento della domanda genera una diminuzione di costi, che rende
possibili riduzioni di prezzo, aprendo in tal modo il mercato a nuovi
gruppi di clienti;

 il conseguente ampliamento del mercato richiede nuovi investimenti in


capacità produttiva, generando economie di scala e stimolando ulteriori
sforzi nel campo della R&S per creare nuove generazioni di prodotti.

Queste fasi si manifestarono in modo evidente nella seconda metà del


secolo scorso, periodo d’oro del benessere economico, come dimostrato
dall’ampia varietà di nuove categorie di prodotti e servizi, neppure
immaginabili solo cent’anni prima: automobili, televisioni, video, DVD,
computer, case di vacanza, barche, veicoli ricreativi, fondi pensione,
wellness club e diffuse possibilità di viaggio, con tassi di penetrazione di
mercato osservati ben superiori al 60% nella maggior parte dei Paesi
industrializzati.

Il concetto di marketing ha contribuito allo sviluppo della democrazia


economica, perché (a) inizia con l’analisi dei bisogni dei cittadini-
consumatori, (b) guida le decisioni di investimento e di produzione sulla
base di tali esigenze di mercato espresse o latenti, (c) è rispettoso della
diversità dei gusti e delle preferenze, sviluppando prodotti adeguati e (d)
stimola l’innovazione e l’imprenditorialità.

Negli anni Settanta, lo sviluppo della pianificazione strategica (Ansoff,


1965), con la sua enfasi sulle misure di performance finanziarie a breve
termine, ha contribuito al declino dell’interesse manageriale per il
concetto di marketing tradizionale. La principale critica (Webster, 1980,
p. 11) rivolta ai marketing manager riguardava la loro scarsa
comprensione delle dimensioni economico-finanziarie delle decisioni di
marketing e la loro prevalente concentrazione sulle variazioni dei volumi
di vendita e delle quote di mercato, piuttosto che sulla contribuzione al
profitto e sulla redditività degli investimenti.

I cambiamenti nel contesto di business degli anni Novanta − saturazione


dei mercati di base, innovazioni spinte dalla tecnologia, globalizzazione −
e la crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, hanno contribuito ad
aumentare la complessità dei mercati e a ridurre l’efficacia delle
tradizionali pratiche di marketing. Una ripresa di interesse per il
marketing da parte del management si è osservata negli anni Novanta
(Webster, 1988; Wind,
2008), con lo sviluppo del concetto di orientamento al mercato presentato nel
prossimo capitolo.

1.3.3 I rischi del marketing manipolatorio o selvaggio


Nonostante l’indiscutibile valore del concetto tradizionale di marketing, esso è
stato oggetto di molte critiche anche in relazione alla sua attuazione pratica
(Kaldor, 1971; Bell ed Emory, 1971). La critica più grave è rivolta alle
responsabilità del marketing manipolatorio, che si avvale della vendita
selvaggia e della pubblicità ingannevole, con l’obiettivo di adattare la domanda
alle esigenze dell’offerta, piuttosto che adattare l’offerta alle esigenze espresse
dal mercato. Negli anni Sessanta del secolo scorso, imprese leader di mercato
sono state accusate di: (a) ingannare e manipolare i bambini attraverso la
pubblicità televisiva; (b) dichiarare di produrre beni con ingredienti
“miracolosi”, in realtà di scarso valore; (c) pubblicizzare beni con
caratteristiche normali o di qualità inferiore a quella rivendicata; (d) offrire
incomprensibili garanzie a tutela dei consumatori, proteggendo di fatto più il
venditore che l’acquirente; (e) usare la pubblicità sfruttando le paure e le ansie
degli individui.

Gli eccessi del marketing selvaggio o manipolatorio hanno portato alla nascita
di un contropotere, sotto forma di: (a) organizzazioni di consumatori (il
movimento consumerista), promosse dai consumatori stessi (in particolare da
Ralph Nader, 1965); (b) leggi che rafforzano sempre più la protezione dei diritti
legali dei consumatori, promosse dalle pubbliche autorità e (c)
un’autodisciplina da parte delle imprese mediante l’adozione di norme morali,
che hanno contribuito allo sviluppo di un comportamento più etico. Oggi è
chiaro che il marketing manipolatorio è autodistruttivo per l’impresa o per la
marca e va contro i suoi interessi di lungo termine.

1.3.4 “Marketing”: una parola spaventosa


Nel linguaggio popolare, la parola “marketing” è diventata sinonimo − nella
migliore delle ipotesi − di vendita, ma anche di “fuorviante”, “ingannevole”,
“non veritiero”, “manipolatorio”, “promozionale”, “superficiale”, “di facciata”.
Perché un tale disprezzo? Come spiegare la discrepanza tra ciò che il concetto
di marketing pretende di essere e la sua percezione da parte dell’opinione
pubblica?

Una prima spiegazione di tale diffidenza è chiaramente legata ai troppi casi di


marketing manipolatorio che si osservano ancora nei mercati industrializzati;
tuttavia, si può suggerire una spiegazione ancora più paradossale (Lambin e
Herman, 2001).

Se il marketing, considerato come processo di conquista del mercato, è guidato


da regole scientifiche − convinzione generalmente sostenuta dall’opinione
pubblica − ciò implicherebbe l’esistenza di forme di determinismo nel
funzionamento del mercato. In altre parole, esisterebbero rapporti o leggi di
causa ed effetto (anche leggi probabilistiche) osservabili e misurabili, che
l’impresa può sfruttare per influenzare e manipolare il comportamento dei
consumatori, per raggiungere i propri obiettivi di crescita e di profitto. Questa
idea è preoccupante ed è in contraddizione con l’ideologia del libero mercato
del “consumatore-re”, considerato come un decisore economico indipendente. Il
concetto di marketing disturberebbe e paralizzerebbe la naturale spontaneità
della “mano invisibile”. La dichiarata libertà individuale e la postulata
autonomia – scelgo dunque sono − sembrano essere incompatibili con un
processo di marketing di tipo deterministico.

Dobbiamo riconoscere, tuttavia, che l’assioma della completa libertà


individuale non è realistico perché ogni essere umano nel suo ruolo di decisore
è un individuo formato socialmente e culturalmente. Ciò implica che le sue
scelte siano influenzate più dall’imitazione e da condizionamenti sociali
piuttosto che dalla deliberazione razionale e dalla spontaneità psichica.

Si tratta di una realtà a volte difficile da accettare, ma che può anche spiegare
l’istintiva diffidenza nei confronti del marketing. Inoltre, i professionisti di
marketing sanno perfettamente che la sua natura scientifica è molto relativa e
che oggi sono poche le imprese in grado di misurare la redditività dei loro sforzi
di marketing o, più modestamente, di valutare l’efficacia dei propri investimenti
in marketing e pubblicità.
CAP 2 LAMBIN

APPUNTI LEZIONE 4 (LUNEDI’ 18 SETTEMBRE)

Lo scopo del marketing è rendere superflua la vendita, portare un cliente pronto ad acquistare.

Marketing è un’attività attraverso la quale individui e gruppi ottengono ciò di cui hanno bisogno e
desiderano attraverso la creazione, l’offerta e il libero scambio di prodotti e servizi di valore con
altri.

La scelta del valore:

RAPPRESENTA IL COMPITO CHE IL MARKETING DEVE SVOLGERE PRIMA CHE


ESISTA QUALSIASI PRODOTTO. LA FORMULA “SEGMENTAZIONE, TARGETING,
POSIZIONAMENTO (STP)” è l’essenza del marketing strategico.

La fornitura del valore: deve determinare caratteristiche, prezzi e distribuzione specifici del
prodotto.

La comunicazione del valore: utilizzando la forza vendita, internet, la pubblicità e qualsiasi


strumento per annunciare qualsiasi tipo di prodotto.

MODELLO OLISTICO DI KOTLER

La visione del marketing olistico lo vede come ‘INTEGRAZIONE DELLE ATTIVITà DI


ESPLORAZIONE DEL VALORE, CREAZIONE DI VALORE E FORNITURA DI VALORE
CON LO SCOPO DI COSTRUIRE RELAZIONI A LUNGO TERMINE E RECIPROCAMENTE
SODDISFACENTI E DI CO-PROSPERITA’ TRA LE PRINCIPALI PARTI INTERESSATE”.

Esplorazione del valore: come un’organizzazione identifica nuove opportunità di valore

Creazione di valore: come un’organizzazione crea in modo efficiente nuove offerte di valore
superiore

Fornitura di valore: come un’organizzazione

Catena del valore di Porter (prima degli anni 90) è un modello che rappresenta un’organizzazione
come un insieme interdipendente di attività generatrice di valore per i clienti.

Illustra la sequenza di attività generatrice di valore che costituiscono le unità fisicamente,


tecnologicamente e soprattutto strategicamente distinte nelle quali un’azienda può essere suddivisa.

(cap 11 LIBRO)

CATENA DI PORTER
Porter individua 9 categorie di attività generiche e anche datate che sono presenti in qualsiasi
tipologia di organizzazione, anche se la loro composizione variano a seconda del settore di
appartenenza, della storia e della strategia applicata.

Le attività primari: MANSIONI CONSIDERATE ESSENZIALI PER AGGIUNGERE VALORE

Le attività di supporto: RENDERE LE ATTIVITA’ PRIMARIE Più EFFICIENTI

La disaggregazione delle attività strategicamente rilevante aiuta a comprendere l’andamento dei


costi e le fonti di differenziazione.

Il MARGINE è il valore che si ottiene dalla differenza tra il ricavo totale ottenuto dalla vendita e i
costi che sono attribuiti per quota parte alle diverse attività.

La catena di valore compone delle catene del valore di tutte le aziende coinvolte nella filiera
produttiva creando un sistema di relazioni e di interconnessioni.

Utilizzo della catena:

Descrittivo: fotografare l’azienda e individuare le attività strategicamente rilevanti

Organizzativo: leggere le attività e i processi delle organizzazioni


Comparativo: permette di leggere punti di forza e debolezza partendo da attività primarie e di
supporto

Trasversale: applicabile a tutte le organizzazioni che hanno una mission, un obiettivo, senza per
forza vedere una visione manageriale.

Pianificazione strategica: individuo il contributo in termini di costo e valore per ogni singola
attività.

Valutazione delle strategie:

Priorità dei cicli di sviluppo/produzione

Core business che evidenziano i processi centrali per la creazione del valore

BUSINESS MODEL CANVAS

L’insieme delle soluzioni organizzative strategiche attraverso le quali l’impresa acquisisce un


vantaggio competitivo.

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