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Social media marketing

26/06

Libri: Transmedia branding


Social Media Marketing

Post UniCredit
La principale banca d'Italia annuncia di voler lasciare i social media
[employer branding: far crescere nei possibili lavoratori il desiderio di lavorare per
un’azienda poiché si stimano i valori di questa. Strategia usata su Linkedin].

Su Twitter ci sono tutti quei stakeholder, portatori di interesse per Unicredit. Solitamente i
pubblicati stampa vengono affiancati ad una strategia Twitter.

Facebook è di un’azienda privata, che utilizza modelli di business per dare visibilità ad alcuni
individui e post, di conseguenza il dialogo non risulta di qualità, non avviene tra persone
realmente interessate a quell’argomento.

Non è una legge dover avere un account in tutte le piattaforme, bisogna capire gli ambiti più
adatti al proprio brand e ai propri valori.

Anche Lush si è ritrovato a fare lo stesso, chiudendo i vari social e attivando chat nel sito;
risposte via e-mail e telefono. Anche se le varie pagine dei vari Paesi sono attive ma sempre
con una strategia di risposta ai clienti e non semplice promozione dei prodotti.
Lush ha una brand identity così forte che non ha bisogno di andare a cercare altri
consumatori online, Circa un terzo del traffico verso il sito di Lush (un milione di persone al
mese) è diretto, gli altri ⅔ arrivano da Google. Il brand produce traffico, e spesso costa
meno e dura di più di qualsiasi campagna di advertising digitale.

Creare una community e costruire un brand forte, che permette di essere indipendente dai
vari social. Però ha un costo anche non essere su Facebook: significa investire nelle altre P
e in PR. le 4 P: Prezzo, Prodotto, posto (luogo fisico) e promozione
Sono le persone che portano traffico condividendo contenuti ed esperienze attraverso i
propri social media. In realtà Lush porta avanti l’advertising digitale, utilizzando video su
Youtube. Inoltre dopo la scelta ci sarà un Hype assurdo e il brand deve essere preparato
con Pr per rispondere alle numerose domande e anche critiche.
Bottega Veneta è un altro brand che non si trova nei social.

Bisogna sempre chiedersi il perché delle scelte di marketing. Il problema del non essere nei
social è che nel momento in cui ci sono delle crisi, critiche, non si può rispondere a queste.

Cosa significa fare marketing e comunicazione nel mondo?


Per fare questo bisogna stare al passo delle novità.
C’è il marketing tradizionale (anni 80-90) fatto di mass media, pubblicità durante i vari
programmi, che sono molto costose. Uno spot può costare fino a 300.000 euro.
- Push orientation: spingere il proprio messaggio, il servizio senza che questo è
richiesto: come i cataloghi (come mondo convenienza) che vengono distribuiti
all’interno delle proprie case.
- L’attenzione va guadagnata

Tradigital marketing (momento intermedio): mass e online media, sempre push orientation,
messaggi in uscita con abilità interattiva, attenzione guadagnata attraverso l’interruzione,
personalizzazione e rilevanza

Social media marketing (fase attuale)


- pull orientation: attrarre l’attenzione, sono i presunti consumatori a cercare i contenuti
dei profili dei brand che ci interessano.
- dialogo: dopo aver visto la diretta, chiedo maggiori informazioni
- condivisione, partecipazione
- attenzione guadagnata attraverso l’interattività
- nicchie online
Ma adesso non esiste più una distinzione tra marketing digitale e tradizionale, adesso esiste
solo il marketing, una strategia fatta di integrazione tra quello che esiste nel negozio fisico e
nel negozio online (omni channel):
- website design
- analysis

Che cos’è il marketing? Il marketing è l’insieme delle attività di impresa realizzate al fine di
governare e indirizzare il flusso di beni e servizi da chi produce a chi consuma (National
Association of Marketing teachers)

“Il marketing è la funzione organizzativa che ha il compito di individuare i target e trovare il


modo migliore per soddisfare i loro bisogni e desideri in modo profittevole all’interno di un
ambiente competitivo” (Kotler, Hollensen e Opresnik)

Adesso si tende a parlare sempre meno di target, bensì di pubblici, senza l’idea di doverli
bombardare.

La piramide dei Bisogni di Maslow

Nel marketing i bisogni cambiano perché cambia la società. Tra i bisogni si aggiunge quello
del Wi-fi, come anche l’idea che le batterie devono durare di più.
Per esempio con la pandemia i bisogni fisiologici sono ritornati ad essere importanti,
problemi di connessione, di intrattenimento.
Consumo di status, consumo consapevole

Occorre riflettere sui bisogni: il marketing soddisfa i bisogni


“Se avessi chiesto ai miei clienti cosa avrebbero voluto mi avrebbero risposto un cavallo più
veloce” (Henry Ford)

02/05
Soft skills:
- time management
- communication
- adaptability
- problem solving
- teamwork
- creativity
- leadership
- interpersonal skills
- work ethic
- attention to detail

Il marketing deve essere capace di individuare dei bisogni, anche latenti (di cui gli utenti
non sono consapevoli) e rispondere attraverso prodotti, servizi o contenuti di comunicazione.
Tenendo conto i modi di funzionare del cervello e la relazione tra cervello e cuore.

Il primo step dell’attività in quanto comunicatori è la capacità di ascoltare le persone, i


mercati, ecc, e di conseguenza capire quello che dicono.
Ascolto - analisi - comprensione -> Azione
A volte non è difficile ascoltare, perché ci sono casi di azioni persistenti da parte dei
consumatori (come la pagina fb per il winner taco dell’algida, una fanpage volta a invitare
Algida a rimettere sul mercato il gelato; oppure il caso delle stan smith dell’adidas)

Oggi il consumo è sempre più comunitario e attivo. Il consumatore entra a far parte in
maniera diretta della catena del valore e contribuisce, insieme agli altri consumatori,
all’innovazione di prodotti e servizi.
C’è la possibilità di scrivere alle aziende chiedendo di inserire qualche funzionalità; cambiare
qualcosa al prodotto, ecc…
Es: il movimento che è nato per invogliare le aziende di produzione della pasta a scrivere il
minutaggio per la cottura della pasta in maniera più evidente.
Questa è una grande fortuna, prima si spendevano tantissimi soldi per capire cosa volevano
le persone.
Bisogna ascoltare quello che si dice nei social, possono emergere dei suggerimenti che
possono essere colti non soltanto dal diretto interessato, facendo parlare di sé.

Da un lato c’è il produttore e dall’altra il consumatore, sempre di più queste due figure si
sono intrecciate: prosumer (concetto introdotto negli anni 80, periodo in cui si intercettò il
desiderio dei consumatori di sentirsi unici, di voler personalizzare i prodotti per distinguerli
dai prodotti di massa, con i social questa pratica è aumentata).
Grazie alle campagne, ai post i consumatori di pasta hanno cambiato il packaging della
pasta. Prima si facevano i focus group, creando delle discussioni sul prodotto, divisi: nord,
sud, e centro in Italia, dal costo considerevole.

Ecologie del valore:


“Reti complesse e differenziate di attori che compartecipano attivamente e su base
volontaria alla costruzione di nuovo valore attraverso la condivisione del proprio sapere
specialistico nella costruzione di nuova conoscenza”.
Economia della condivisione:
Condividere significa “dividere con gli altri” secondo valori non sempre confrontabili e
standardizzabili, perché soggettivi. è una divisione partecipata, che richiede il contributo di
tutti affinché il modo in cui il bene è stato distribuito sia significativo e abbia valore per la
comunità. Il valore non esiste a prescindere, ma è co-costruito e condiviso.

L’ascolto è decisivo. bisogna intercettare la continua evoluzione delle community,


osservandone i comportamente e analizzandone i linguaggi. Di fondamentale importanza il
non detto, per rispondere ai bisogni emergenti e in continua evoluzione delle persone.

Design a genuine brand: aumentano le fake news e quindi i brand vogliamo che siano
affidabili e autentici.

Barilla nel suo sito non mostra soltanto i suoi sughi pronti e la pasta. Attraverso una
collaborazione con national geographic e google street view mostra di più: i segreti della
produzione dei sughi, i campi nei quali vengono raccolte le materie prime, gli stabilimenti

Corporate storytelling:
Questa è la differenza rispetto al passato: il terreno su cui atterrano i nostri messaggi. Il
vecchio modello aziende / consumatori non esiste più, perché imprese e pubblico fanno
parte della stessa comunità digitale, e le persone a cui ci rivolgiamo si aspettano di entrare
in dialogo con i brand. Non sono più semplici consumatori da convincere: le persone
vogliono scegliere di aderire a dei marchi perché sono trasparenti, credibili e
rispettosi degli stessi valori in cui anche loro credono, e che molto spesso coincidono
con una produzione che sceglie criteri di ecosostenibilità, con filiere certificate e sostenibili,
che rispettano i lavoratori e che producono beni di qualità non destinati a una rapida
obsolescenza (Paolo Iabichino). Si tratta del brand activism.

Il nuovo scenario mediatico:


prima c’era entusiasmo nei confronti di internet, adesso è cambiato lo scenario ma non il
modo di fare marketing: parlare alle persone giuste, nel momento giusto e nel modo giusto.
Individuano il target, conoscerli, creare un messaggio che risuoni e che li coinvolga.

Digital 2023: global overview report (we are social ogni anno pubblica questo report)
L’Italia presenta la popolazione più anziana, dopo il Giappone. Bisogna sicuramente
considerarlo dal punto di vista comunicativo, non si può usare un certo linguaggio oppure
determinati riferimenti che potrebbero non essere intesi.

03/05
C’è una crescita nell’uso dei cellulare e di dispositivi come Alexa e una diminuzione dell’uso di
computer e tablet.
Landing page: pagina di atterraggio delle campagne pubblicitarie. Utilizzata per convertire:
dalla campagna/prodotto -> all’acquisto oppure ad iscriversi alla newsletter, che permette di acquisire
dati dei potenziali clienti.

Mobile first web Design: bisogna sempre verificare che una campagna si adatti a dispositivi cellulari.

Rappresenta un suggerimento per i contenuti che si potrebbero produrre: contenuti di qualità e di


valore per le persone. L’aspetto relazione è venuto meno a causa della sempre minore ricerca di
persone con cui relazionarsi.
possibile domanda di esame: differenza social network e social media.

Marketing locale: è una ricerca che prevede l’utilizzo di alcune parole chiave accompagnate da un
qualificatore geografico (“vicino a”). Circa il 30% di tutte le ricerche (ovvero qualcuno cerca prodotti o
servizi nei dintorni) ha intenti locali. E ogni giorno, a livello mondiale abbiamo 3,5 milioni di ricerche
sul motore di ricerca di Google: quindi parliamo di circa 1,2 miliardi di ricerche locali. Ogni giorno.
Le persone stanno cercando queste informazioni proprio perché vorrebbero venire da te (numero di
telefono, orari) Se non le trovano, non ci vengono; e se le trovano errate magari si arrabbiano. Essere
presenti sulle Google Maps permette anche di essere scoperti e di far conoscere il nostro brand
anche a chi usa le app per altri motivi.
Le persone cercano sempre di più le attività che sono “aperte ora”. E se fai la ricerca da smartphone,
esiste un apposito filtro per selezionare solo le attività aperte in quel momento.

Google My business offre subito la situazione reputazionale dell’attività che abbiamo cercato.
possiamo sapere subito e senza sforzo cosa ne pensano gli altri. Il monitoraggio non si deve limitare
alle recensioni: sulle schede locali troviamo anche le foto e i video caricati dagli utenti, e anche le
domande e risposte. Tutto quello che riguarda Google.

Tutti gli smart speaker (Google Home, Alexa) riescono a rispondere alle domande con intenti locali
del tipo “dimmi un ristorante vicino qui”, pescando i dati delle schede locali.

Ottimizzare i contenuti di ricerca google (SEO)

Qualunque strategia di marketing si conclude con il monitoraggio per capire se la strategia è stata
efficace.

Altro elemento importante per la creazione di un piano editoriale. I social media sono molto legati ai
processi di acquisto delle persone.

benchmark: confronto
Youtube: un motore di ricerca in cui troviamo il marketing di interruzione, Pertanto richiede un’attività
di SEO al pari di Google.

I canali su cui si può fare maggiormente marketing: instagram


Gli obiettivi della comunicazione non sono cambiati. Adesso si parla di H2H human to human
marketing
Web e social media ci permettono di oltrepassare le barriere tra di noi e i pubblici a cui è rivolto il
nostro messaggio. Di questi pubblici noi possiamo ascoltare le richieste, interpretare il sentimento,
stimolare il coinvolgimento. Una rivoluzione non avviene a causa di nuovi strumenti, ma avviene per il
cambiamento nei comportamenti delle persone.
“Non ha più senso inviare un messaggio pubblicitario generico a molti con la speranza di persuadere
pochi.” (M. Lawrence Light)

08/05

Benefici per l’impresa di una presenza digitale strutturata

Il grande vantaggio di utilizzare il digitale è che il ROI (il ritorno sull’investimento, non
necessariamente economico), nell’epoca pre digitale era di difficile quantificazione, online posso
sapere quante persone sono entrate nel sito nelle ultime settimane, capire da dove provengono, se
hanno già visitato il sito, ecc. Utile per conoscere il percorso d’acquisto: da dove arrivano e cosa
fanno prima di acquistare. Il ROI è quindi adesso misurabile: la possibilità di valutare costantemente
ciò che funziona e ciò che non funziona permette di investire in modo oculato e redditizio.
Frequenza di rimbalzo: arrivo nella pagina e dopo pochi secondi vado via.
Se è alta la frequenza di rimbalzo, sarebbe meglio sistemare il sito, migliorandolo; oppure ripensare
l’esperienza dell’utente.
Inoltre il digitale consente anche di svolgere azioni flessibili: se ci sono errori nella pagina di un
catalogo, non si può risolvere; invece il digitale permette di controllare le keywords più efficaci e
quindi cambiarle.
è opportuno studiare regolarmente il mercato, per vedere cosa si dice dei concorrenti, quali sono i
temi più discussi nel nostro segmento, come vengono presentati i prodotti.

Trovare nuovi clienti attraverso un modello semplificato del marketing: lead generation “il lead è un
utente potenzialmente interessato ai prodotti/servizi dell’azienda. è il cosiddetto contatto qualificato, di
cui si conoscono alcune informazioni personali di base perché magari si è registrato al sito in cambio
di approfondimenti o materiali da scaricare (webinar, e-book, tutorial).
Ma come si costruisce con lui una relazione di fiducia? attraverso il funnel marketing

Ha una forma ad imbuto e in base alla fase che viene affrontata occorre pensare determinati
contenuti. Un percorso che prevede uno straniero che va attratto, diventa un visitatore (mi dà e-mail)
viene convertito in leads, bisogna “chiudere” facendoli diventare consumatori e infine, deliziarli
attraverso eventi, contenuti smart in modo che arrivino a promuovere il prodotto con i propri amici
attraverso il passaparola.

L’obiettivo dei social media manager è far si che le persone consiglino il prodotto, attraverso il
passaparola.

Nella parte alta le persone non mi conoscono in quanto azienda, l’obiettivo è di farmi conoscere,
generare notorietà attraverso post, blog, infografiche, digital magazine, podcast, ecc (la produzione di
contenuti per dare un senso alla presenza online nei social media). Lo sconosciuto diventa un
prospects, qualcuno che prende in considerazione l’azienda per risolvere il suo problema

Successivamente bisogna creare dei contenuti per convincerlo, rafforzando l’interesse della persona,
usando promozioni (potrebbero essere rivolte esclusivamente alla singola persona che aveva già
mostrato interesse), eventi. In questa fase diventa un leads

Ultima fase; produrre contenuti che facilitano la conversione all’acquisto, la partecipazione o facendo
qualcosa che si vuole che quella persona fa. Trasformandolo in consumatore.

Questa strategia non implica che le fasi vengano seguite tutte, può accadere che dalla prima fase si
passi direttamente all’ultima.
Call to action: chiamata all’azione, da definire e monitorare costantemente, per esempio “clicca qui”
“vediamoci…”

Distribuzione % attività di marketing & advertising

Possibile domanda d’esame: Che rapporto c’è tra SEO e Social Media? Quando si realizza un post
bisogna usare anche delle parole chiave come si fa nella SEO, la SEO sa anche cosa piace e cosa
cercano le persone che verranno trasformate in parole chiave e invece nei social verrà trasformato in
piano editoriale.
Attraverso la SEO riesco a capire quali sono i contenuti di valore per le persone che si vuole attirare.

SMO: Social Media Optimization

Al quarto posto ci sono le email, che permettono di costruire una relazione con le persone

remarketing: quando gli oggetti che sono stati cercati negli ultimi giorni vengono proposti, sotto forma
di pubblicità, creando messaggi pubblicitari personalizzati attraverso la proliferazione.

affiliazione: c’è un accordo tra aziende


Attività aziendali che migliorano la reputazione

1° posto: assistenza ai clienti

Bisogna sempre guardare a cosa fanno i commercianti.

09/05
Pensiero strategico
approccio per sapere che tipo di pensiero bisogna adottare per una strategia

4 macro fasi che ritroviamo sempre:


- analisi di quello che siamo e di quello che succede attorno a noi: internet audit, digital
reputation, benchmark, conversation map
- pianificazione, si fanno delle scelte strategiche (giuste o sbagliate) da cui dipendono i
risultati del nostro piano: obiettivi, pubblici.
- Implementazione: implementare il piano con scelte ulteriori in modo da ampliare la fase
precedente e valutando le scelte attraverso un’analisi dei risultati: canali, contenuti, tempi e
budget
- valutazione: metriche, monitoraggio

Digital strategy: si pone a metà fra il piano di marketing e la social media strategy
Nessun canale può essere considerato a sé stante. Bisogna comprendere bene i bisogni delle
persone a cui rivolgiamo la nostra proposta di valore, conoscerne le motivazioni e le abitudini
d’acquisto

ANALISI:
- Audit “ascolto”: interno ed esterno, utilizzando delle società che permettono di fare un’analisi
della propria azienda; è difficile realizzare un'autoanalisi.
- digital reputazione: vedere cosa si dice dell’azienda online
- Benchmark: si guarda l’operato dei competitor diretti, in particolar modo si prende come
riferimento le aziende leader e quelle più innovative, Per capire cosa si potrebbe cambiare
nella propria azienda e delle ispirazioni.
- conversation map: chi parla dell’azienda, dei suoi prodotti e servizi e a chi si rivolgono
queste persone.

PIANIFICAZIONE (scelte influenzate dall’analisi precedente):


- stabilire gli obiettivi (devono essere SMART: specifici, misurabili, raggiungibili, realistico,
dimensione temporale): 2 tipi marketing (“aumentare le vendite entro l’anno/la quota”) e di
comunicazione
- scegliere i pubblici ai quali rivolgersi (fase decisiva) attraverso attività di segmentazione,
segmenti generici oppure creando un proprio segmento idealtipico “personas” utile per poter
avere elementi per costruire una relazione e sedurre
Lo stesso fatto che gli obiettivi siano stabiliti e concordati a priori aumenta la probabilità che questi
siano raggiunti. La pianificazione migliora la capacità del management aziendale di allocare le risorse
(scarse). Con la pianificazione si stabilisce il successo o insuccesso delle azioni di marketing, perché
si può contare sulla misurazione

IMPLEMENTAZIONE: dopo una buona analisi, dopo la pianificazione


- canali
- contenuti
- tempi e budget vengono stabiliti in questa fase ma possono anche essere stabiliti a monte. Il
Budget deve tenere in considerazione anche gli obiettivi che sono stati stabiliti
VALUTAZIONE
- metriche KPI (indicatori chiave di performance):
- monitoraggio

Lo stesso fatto che gli obiettivi siano stabiliti e concordati …

Nessun canale può essere considerato a sé stante. Bisogna comprendere bene i bisogni delle
persone a cui rivolgiamo la nostra proposta di valore, conoscerne le motivazioni e le attitudini di
acquisto.

Unique value proposition

Non bisogna mai stancarsi di riflettere sul valore della nostra proposta, in modo da mantenerla
attrattiva, competitiva e di facile accesso.
Problema reputazione di Airbnb, ha creato una crisi abitativa generale. Bisogna fare un’attività di
relazioni pubbliche parlando ai giornalisti e ai media, informandoli di iniziative volte a migliorarsi.

Back to Kotler
Il marketing efficace deve:
- comprendere il cliente e i suoi bisogni, consapevoli e latenti;
- trovare il modo di rispondere a questi bisogni creando valore per il cliente;
- analizzare costantemente il contesto di mercato e la sua evoluzione

Marketing e social media strategy


Ogni conversazione buona inizia con un ascolto buono
Analisi:
- audit interno: leggere la mission, la vision e i valori
La mission di un’azienda/organizzazione è la sua ragion d’essere, la giustificazione stessa della sua
esistenza e ciò che la contraddistingue da altre (Favaretto). è radicata nel qui e ora del presente.
Risponde alla domanda “chi sei”
ES: Mission Patagonia “realizzare i prodotti migliori che non causino danni all’ambiente”
Walmart: salvare i soldi delle persone per permettere loro di vivere una vita migliore
[Payoff: sintesi del posizionamento: Save money. Live better.]

La vision riguarda l’invenzione del futuro, ovvero quello che l’impresa aspira a diventare
Vision dell’Ikea; “migliorare la vita quotidiana del maggior numero di persone possibili”

Vision e Mission Amazon: “Il nostro obiettivo è realizzare l’azienda che sia quanto più costumer
centric, in modo che possano trovare qualsiasi cosa che pensano di acquistare online”

Valori Patagonia: qualità, ambientalismo. giustizia, integrità, non vincolati alle condizioni.
Nella comunicazione bisogna tenere conto di tutti questi valori.

Cucinelli -> il grande sogno della mia vita è sempre stato quello di lavorare per una dignità
morale ed economia dell’umanità

Rientrano anche le 4p (prezzo, promozione, produzione e luogo)

La reputazione (sempre audit interno) è il valore più prezioso di qualsiasi mittente, in qualsiasi
contesto. Più dei soldi, più delle reti, più della qualità dei prodotti/servizi a disposizione (certo, queste
variabili aiutano..)

Di quali risorse e competenze (anche manageriali) dispone l’impresa? sono risorse e competenze che
rendono l’impresa unica? come si crea valore per i mercati?

Dopo aver ricostruito la storia, i valori dell’azienda si passa all’ascolto esterno, dell’ambiente in cui
l’azienda è inserita, analizzando i competitor.
- micro environment: analizzare i clienti, competitor, fornitori, distributori, canali e partner
- macro environment: scansione del paesaggio per fattori esterni o trend che possono
interessare la tua organizzazione: politica, economia, sociale, culturale, tecnologica, etnica,
legale

Per fare marketing occorre leggere sempre report, ricerche di mercato ecc.
Matrice SWOT:(analysis): azione conclusiva dell’analisi
- punti di forza
- punti di debolezza
- opportunità
- minacce
10/05
Cosa vuol dire fare un audit interno nell’ottica di una social media strategy?
occorre capire:
- Qual è lo stato dell’arte dei social media in azienda?
- Con quale strategia ci muoviamo?
- Come rispondono i nostri pubblici? (un pubblico passivo o ingaggiato)
- Quali sono le azioni e gli strumenti attivati?
- Qual è l’impatto sul business? Occorre parlare con i responsabili dell’azienda.
è uno studio/analisi che permetterà di costruire la social media strategy e il piano editoriale

Possibile domanda: Instagram in che categoria lo inseriresti “social publishing o community"?

Audit interno (FB)


- Quanti mi piace abbiamo? i like però non sono più la cosa più importante
- Con quale frequenza sono postati i contenuti? (questo aspetto è già più importante e da ciò
dipendono i risultati del nostro lavoro)
- qual è il nostro mix push/pull?
- quali tipi di media usiamo?
- C’è un link da fb al nostro sito?
- Abbiamo aggiornato copertina e profilo?
- Rispondiamo ai commenti? e in che modo?
- Condividiamo articoli? Quanto spesso? che tipo di selezione di contenuti viene fatta (content
curation)

Instagram:
- ciascuna azienda dovrebbe avere i propri # e gli # di settore, l’importante è non esagerare
- chi seguiamo e da chi siamo seguiti?
- c’è un link dal profilo al nostro sito?
- qual è la nostra voce sui social media
- rispondiamo ai commenti?

Bisogna avviare un’attività di ascolto integrata e controllare quindi:


- la rete vendite (etnografia del consumo: studiare gli shop come sono fatti)
- il centralino
- il call center
- i reclami
- le email di richiesta informazioni (possono essere trovare delle domande su qualcosa che nel
sito non è spiegata bene, quindi magari sarebbe il caso di modificare la pagina in questione e
renderla più chiara e anche realizzare dei contenuti appositi su quella tematica)
- …

Ogni organizzazione ha un proprio stile e una propria immagine, che usualmente traspare in ogni suo
artefatto e in ogni sua azione di comunicazione. Si chiama brand identity
Che cos’è un brand?
Ha una parte visibile “identità visiva” (marchio e immagine) e una parte meno visibile, ma che esiste
(valori, status, personalità, cultura). Ecco perché la semiotica ha rilevanza.

Trademark: rinvia al marchio e alla necessaria salvaguardia giuridica dell’uso esclusivo di una parola,
di una forma, di un colore da parte di un’impresa.

Attributi di prodotti che diventano unici e non potrebbero essere ripresi da altri marchi: come la
classica bottiglia della Coca Cola oppure la curvatura delle patatine Pringles

La registrazione avviene a livello nazionale

Logo: abbreviazione della parola “logotipo” derivante da logos (parola) e tipo (abbreviazione di
“carattere tipografico”). Tecnicamente quindi, il logo è una particolare esposizione tipografica del
nome di una marca e non il marchio nel suo complesso.

Nike è un marchio, perchè c'è il logotipo “Nike”; il pittogramma “il baffo e il payoff “just do it”

Libro consigliato: Brand identikit

Brand Idea: attributo concettuale che connota la marca


Per esempio nel caso di Volvo, il concetto di sicurezza. Airbnb proprone la possibilità di trovare per i
freelance un ufficio con un panorama diverso. Oppure vengono proposte anche delle esperienze a
contatto con la natura.

Come osserva Laura Minestroni “un prodotto si realizza in una fabbrica [mente], mentre il brand nella
mente delle persone”
La marca appartiene al regno dell’immateriale: è un’idea, un territorio simbolico, una proposta
discorsiva.
ll prodotto è qualcosa di tangibile: ha una forma, un volume, un imballaggio; presenta determinate
caratteristiche e, soprattutto, tramite il prezzo, ha un valore economico stabilito.
La marca invece apparterrebbe al regno dell’immateriale: è un’idea, un territorio simbolico, una
proposta discorsiva.

15/05
I social media devono prevedere, dopo la pubblicazione di un post, che se ne parlerà e in che modo.
Airbnb deve monitorare il discorso pubblico che la vede al centro di polemiche.
Un continuo esercizio di pensiero: come risolveresti un problema?
Caso “control”: il body funziona, il visual meno. Questa azione di control è stata fatta partendo da
domande quali “cosa si fa per la festa della mamma?” “come promuoviamo questo nuovo prodotto?”
partendo dall’idea che ci sia una censura, un tabù. Infatti rimane il dubbio su quale sia l’ente che ha
censurato la creatività, infatti non sono stati fatti nomi perché probabilmente non c’è un ente.
è stato utilizzato il "purché se ne parli” concezione che adesso non va più bene. Prima andava bene
anche che si parlasse male del brand, adesso no, andrebbe a rovinare la reputazione del brand.
Inoltre in questo modo si prende in giro la persona.

“il consumatore, utente, cliente, la persona che ti è accanto non puoi prenderla in giro, non la puoi
fregare. Devi parlar chiaro, essere onesto sempre, nel bene e nel male. Non tradire il consumatore
perché lui, così come tua moglie, se ne accorge e dopo è dura, ah quanto è dura” (Ogilvy)

Social media strategy: audit esterno


- chi sono i miei competitor? Che canali presidiano? Se li consideriamo concorrenti è perché
rispondono allo stesso bisogno che noi vogliamo soddisfare, ma come lo fanno? Che
tecniche usano? Che tono utilizzano con la loro community? Che contenuti condividono, da
quale fonte, con quale frequenza? Le loro relazioni con i follower sono buone? …
Guardiamo le tag su instagram: analizziamo le caption e gli hashtag dei post in cui il competitor è
taggato. Poi approfondiamo anche il profilo di chi ha taggato il brand per conoscere il tipo di persone
Studiamo anche gli utenti che interagiscono con quel post (commenti): da qui possono nascere nuove
idee o spunti (collaborazioni).
Studiamo le ads dei migliori competitor (quanto spendere in pubblicità? la metà dei competitor più
uno). Leggere report, libri di soggetti che studiano i social.

- i pubblici.
Chi sono le persone con cui voglio ingaggiare una conversazione? Come usano i social media
queste persone? Qual è lo scenario di mercato in cui opero?
Partiamo dall’assunto che i clienti che abbiamo sono i migliori. Intervistiamoli, in modo da
comprendere meglio i loro bisogni e la loro percezione del nostro servizio. Conosceremo anche le
ragioni della loro fedeltà.
Bisogna avere tutti una serie di strumenti/software per capire come si comportano i nostri pubblici.
Hotjar viene collegato al nostro social, ci dice le aree delle pagine in cui le persone si soffermano di
più. Clarity è gratuito.
Web listening: ubersuggest funziona molto per la SEO; google trends, twitonomy, similarweb,
brandwatch, tweetreach.
Quali temi e quali keywords sono più funzionali ai nostri obiettivi? chi sta parlando di noi? Quali utenti
è meglio ingaggiare?
Creiamo social media team variegati, mettendo insieme persone con abilità diverse.

Cookies: frammenti di dati sugli utenti estrapolati quando si entra in determinate pagine web
Si dividono in
- cookies tecnici: ci permettono di navigare meglio, riconoscono il device di fruizione; salvano
alcuni dati durante più operazioni (come i carrelli con all’interno i propri possibili acquisti), non
richiedono il nostro consenso
- tutti gli altri cookies: interesse commerciale, richiedono esplicito consenso, proliferazione,
raccolgono informazioni relative alle attività marketing, intercettano gli interessi degli utenti,
memorizzano i siti visitati (cronologia delle pagine visitate), quali app si utilizzano in quanto
tempo; raccolgono dati sugli acquisti effettuati, prodotti più guardati sui negozi online,
geolocalizzano da dove si collegano, collegano informazioni da diversi dispositivi,
memorizzano le interazioni con gli annunci trovati.
I cookies non tecnici creano un profilo dell’utente a scopo pubblicitario e di marketing:
- raccolgono informazioni relative all’attività online
- intercettano gli interessi dell’utente
- memorizzano i siti visitati (cronologia delle pagine viste), quali app si utilizzano e per quanto
tempo
- raccolgono dati sugli acquisti effettuati, prodotti più guardati sui negozi online
- geolocalizzano da dove si collegano
- collegano le informazioni da diversi dispositivi
- memorizzano le interazioni con gli annunci trovati
In un’attitudine sempre più data-driven, dove i dati sono ormai base essenziale a livello strategico e in
cui tracciabilità e personalizzazione sono elementi distintivi, la scomparsa dei cookies di terzi parti
costringerà i marketer ad un netto ripensamento a livello di approccio, metodo, pensiero.

Instaurare un rapporto di fiducia e coltivare relazioni a lungo termine, oltre a una profonda
conoscenza del pubblico, saranno fondamentali in un futuro senza cookies.
Saranno individuati i principali influencer e creator della Rete. Con essi potranno essere messe in
atto specifiche azioni di marketing.
Tutto quello che è stato trovato entrerà a far parte di una matrice Swot. (ultimo elemento della fase di
analisi).

Campagne multisoggetto

16/05

Dopo la fase di analisi, si entra nella fase strategica in cui verranno prese delle decisioni. Pochi brand
hanno il privilegio di comandare (come Coca Cola e Nutella)

PIANIFICAZIONE

- Gli obiettivi: alla base della strategia ci devono essere sempre degli obiettivi chiari. Decidere
di aprire una pagina fb o avviare un’attività di email marketing non è una strategia, ma un
mezzo per raggiungere un obiettivo di marketing e comunicazione.
Gli obiettivi devono essere SMART: specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e che abbiano una
dimensione temporale.
- Specifici. “migliorare l'immagine aziendale” non è un buon obiettivo: troppo vago. Assicurarsi
che un determinato target percepisca che i prodotti dell’azienda abbiano il miglior rapporto
qualità/prezzo del mercato è un buon obiettivo. Non significa niente dire “voglio aumentare il
traffico del mio sito”. Meglio specificare che si vogliono “aumentare le visite del 20% in un
anno”.
- misurabili: Se non lo saranno, come potremo sapere se li abbiamo raggiunti o meno?
- Realistici: bisogna essere ambiziosi ma anche oggettivi. Bisogna tenere conto della storia e
della cultura aziendale, delle risorse disponibili, del contesto di mercato. La digitalizzazione di
una realtà aziendale non è un processo semplice
Brand awareness: La reach, il numero di persone che il nostro post raggiunge, è una metrica da
controllare; in particolar modo il tipo di engagement (la gente ha fatto qualcosa con i post).
Le persone che condividono opinioni positive su un brand e sui suoi contenuti hanno un valore
inestimabile per l’impresa.
lead generation: avere email di potenziali clienti che da sconosciuti diventano sempre più conosciuti
Lead nurturing: coltivare i lead, accompagnarli nella crescita. Perché dovrei seguire Ikea su fb?
potrebbe essere un modo per essere a conoscenza di sconti, oppure per prendere ispirazione nella
fase di arredamento.
L’importanza della community, in situazioni di crisi, la community se è fedele e condivide i valori è
coinvolta, diventando i primi difensori del brand. Quindi bisogna costruire una community, oppure
intercettarne alcune già esistenti, rivolgersi ad esse per farle diventare proprie.
A chi rivolgo la mia proposta? per decidere il segmento di pubblico, si fa una segmentazione del
mercato.
- segmentazione geografica: parlare ai cittadini di una città, oppure allargarsi coinvolgendo
un'intera regione, oppure in un luogo in cui c’è un determinato clima (per esempio se si è un
brand di costumi, gelati, ecc). Attraverso una segmentazione geografica, con la
geocalizzazione possono prendere forma una serie di azioni
- demografica: gruppi di età, genere, lavoro, condizione socio economica, educazione, etnia.
Sulla base dell’età si distinguono macro categorie millennials, boomers, gen z, gen x,
maturists

- comportamentale: persone che cercano determinati benefit, occasioni, lealtà,


comportamento di acquisto e di utilizzo ecc.
- psicografica: stile di vita, credenze profonde, personalità, valori, priorità e motivazione, ciò
che piace e cosa no
Le segmentazioni non si escludono tra loro, è possibile usarne più di una.

Adesso si tende a non usare più il target come modello (troppo generale, non si riportano le abitudini,
definizione ampia, persone che possono desiderare il tuo prodotto), preferendo il buyer persona
(definizione specifiche, sappiamo quali sono gli hobby), andando a considerare altri elementi, al di là
di quelli demografici. Con queste conoscenze è possibile proporre alla nostra personas prodotti in
maniera più efficace ed efficiente.
Modello di social technographics: definisce alcune categorie di clienti in base alla modalità di
interazioni che preferiscono:
- social snackers: apprezzano l’interazione con le aziende, ma non voglio essere disturbati,
vogliono essere loro a cercarli;
- social stars: pretendono l’interazione, considerano i social come la loro prima scelta per
l’interazione con le aziende
- social savvies: si aspettano l’interazione social con le aziende. Considerano gli strumenti
social come parte della loro vita di tutti i giorni
- social skippers: disprezzano l’interazione social con le aziende. Preferiscono l’interazione con
queste attraverso canali stabiliti

Dopo aver costruito la buyer persona o le buyer personas, cerchiamole nei media, stabilendo in quali
sarà possibile trovare i nostri soggetti, scegliendo in quali posizionarci. Una distinzione che si fa
riguardo ai media:

- media proprietari: il sito, punto vendita, blog, pagina fb, profilo instagram, canale youtube (In
questi ultimi casi, i dati non vanno all’azienda ma comunque rappresentano il brand)
- media a pagamento: spazio che acquistiamo, pubblicità, promozioni. Opportuno stabilire un
budget per i contenuti da realizzare.
- media guadagnati (earned): passaparola, menzioni, recensioni.
I media guadagnati sarebbero l’obiettivo principale, ma per raggiungerlo non bisogna tralasciare gli
altri.
Suddivisione dei social media in 4 aree:
- social community: condivisione, socializzazione, conversazione (fb, anche se fb è possibile
ritrovarlo in tutte quattro le aree; linkedin): costruire e sfruttare reti social
Costruzione e sfruttamento di reti. Alla base della social community c’è il profilo. Il profilo ci consente
anche di promuovere immagini di noi diverse a seconda dei contesti.
The cluetrain manifesto è stato scritto nel 99, da professionisti del marketing in cui spiegavano che
stava cambiando tutto e hanno fatto delle tesi:
1) i mercati sono fatti di conversazione
2) i mercati sono fatti di essere umani non di segmenti demografici
3) le conversazioni fra esseri umani suonano umane. E si svolgono con voce umana
4) Sia che fornisca informazioni, opinioni, scenari, argomenti contro o divertenti digressioni, la
voce umana è sostanzialmente aperta, naturale, non artificiosa.
Rientrano anche i forum di discussione, wikipedia
- social publishing: condividere conoscenza, user generated (youtube, soundcloud,
wordpress)
- social commerce: etsy, tripadvisor, yelp (adesso è anche su instagram, ovunque)
- social entertainment: spotify, candy crush, brawl stars, fifa,

Tutti i social media sono centrati su reti di relazioni e puntano alla partecipazione. Questa struttura
non va intesa come un monolite, ma come un modo per focalizzare le funzionalità più importanti di
ciascuna piattaforma.
Linkedin si distingue per la professionalità

17/05

I social network sono nati per mettere in contatto persone di colore di alcune città americane

shareability: i social media sono degli ambienti di condivisione che costruiscono, rappresentano,
problematizzando le relazioni e gli sguardi reciproci. I social media sono uno specchio, ci mostrano la
nostra immagine riflessa. Ecco, le nostre identità sono costruite e gestite in maniera tale da sfruttare
al meglio il capitale sociale di cui ciascuno di noi dispone. La vita viene vissuta per condividere.
Senza la condivisione delle informazioni una rete non sarebbe né viva né sociale. Sono le piattaforme
ad invogliare la condivisione.
I social network offrono l’occasione di un costante, silenzioso monitoraggio delle identità, dei consumi
e dei modi di stare in rete dei propri contatti.
Lurking e coveillance sono pratiche (di sorveglianza/spionaggio) istituzionalizzante e mediatizzate
previste dalle piattaforme.

Differenza social media e social network.


I social network sono reti sociali di relazioni fra persone che si costituiscono attraverso le
piattaforme digitali.
Sono nati per ragioni sociali, ma nel tempo si è visto come le persone oltre a creare delle relazioni,
pubblicavano sempre più contenuti, pertanto si è iniziato a parlare di:
social media sono piattaforme dove si pubblicano contenuti mediali (testi, video, immagini) realizzati
o condivisi da singoli o organizzazioni.

Digital branding: Le reti sociali e di media, comprendono anche la marca. La marca diventa un nodo
esplicito della rete sociale dell’individuo e, come avviene per le relazioni personali, la relazione
con essa non è più connotata sul fronte della semplice soddisfazione nei confronti del
prodotto/servizio ma svolge una funzione identitaria.
- Brand identity: tutto quello che la marca realizza in maniera consapevole, quello che vuole
che traspare ai consumatori. Logo, baseline, colori, font, tono di voce, immagini
- Brand image: il modo in cui ti riconoscono gli altri: reputazione, emozioni, impressioni, qualità
percepita, fedeltà.
In questo modo il brand perde, per così dire, qualsiasi psicologismo: non è più una realtà fondata
sulle percezioni (la mitica brand image) ma una vera e propria entità relazionale, il cui valore è dato
dal reticolo di interazioni sociali di cui fa parte e che la marca stessa è in grado di sviluppare.
Nel momento in cui c’è un divario, è un problema.

La marca è un’identità relazione, una promessa, bisogna che ci siano più soggetti.

I motivi per cui le persone fanno “amicizia” con i brand sui social media:
- interesse al loro prodotto
- interesse alle promozioni
- per intrattenimento
- offerta di un incentivo
- interesse al settore
- per comunicare con il brand: relazione
- hanno amici che seguono o a cui piacciono i contenuti del brand

Una presa di posizione in termini valoriali da parte delle aziende. Da quel valore viene costruita una
community di persone che condividono quei valori.

I motivi per cui le persone interrompono l’amicizia con i brand sui social
- troppi messaggi promozionali (46,0%)
- informazioni non pertinenti (41,1%): contenuti che non hanno valore per le persone a cui sono
rivolte
- troppi tweet
- uso di un linguaggio non adatto
- troppo tranquillo
- non mi rispondono (15,3%): bisogna dimostrare di esserci

Regola 80/20: soltanto il 20% dei post deve far leva sull’acquisto del prodotto.

Facebook: è un mezzo per comunicare con le persone attraverso chat, messaggi, commenti, tag ma
anche per mezzo di un semplice like.
è il luogo della disintermediazione. Nell’ambito della comunicazione politica è lo strumento ideale
per comunicare ai cittadini senza la mediazione giornalistica. Perché la disintermediazione sia reale,
però, è necessario che il flusso di comunicazione sia bidirezionale: non solo dai mittenti ai
destinatari ma anche dai destinatari agli emittenti, che dovrebbero interagire con i commenti in
entrata.
Anche un mezzo espressivo e un dispositivo di lettura, ci permette di vedere quello che fanno i nostri
contatti.
I politici (anziani o che parlano agli anziani) sono principalmente su fb. Su fb determinate fasce sociali
e fasce dell'establishment dialogano senza intermediazione.
L’algoritmo dà priorità ai contenuti che generano engagement. Diversificare la distribuzione dei
contenuti e scegliere che cosa pubblicare qui.
Facebook è anche un dispositivo di lettura: è anche una piattaforma che consente di vedere/leggere
quello che gli amici e, in generale, i propri contatti fanno/pubblicano.

Qual è il nostro obiettivo? creare engagement (ormai metrica principale), attraverso la rilevanza tra
quello che si vuole dire e ciò che le persone vogliono ascoltare.

Social publishing
condivisione di video: Youtube, vimeo. niconico
condivisione di immagini: instagram, pinterest, flickr
podcast, musica, contenuti didattici, contenuti riguardo la condivisione della conoscenza.
Blog

Content marketing: marketing realizzato attraverso i contenuti


“un approccio di marketing strategico focalizzato sulla creazione e distribuzione di contenuti di valore,
pertinenti e coerenti, per attrarre e mantenere un pubblico definito in modo chiaro”.

Il marketing originale era interruzione; nel content marketing si coltiva una relazione.

Outbound marketing: invasione nella vita delle persone, senza che il cliente glielo abbia chiesto (es: i
volantini che vengono inviati direttamente a casa; le telefonate)
Inbound marketing: io (cliente) vado nel sito di un brand, lascio la mia email, da qui vengono inviate
delle email di sconti, promozioni ecc.

Il content marketing valorizza una concezione della comunicazione: la comunicazione come scambio.
Una buona comunicazione d’impresa, oggi, deve fare, deve dare, non solo dire.
Dare per ricevere è da sempre il miglior modo per coinvolgere l’altro.

“pensa come un editore non come un marketer” (David Meerman Scott)

Illy fa promozione culturale, senza scrivere “acquista il nostro caffè”. Anche perché nella storia
comunicativa di Illy, da sempre è stata arte.

Ogni minuto nel mondo vengono prodotti e diffusi 211 milioni di contenuto. Ebbene, l’unico modo per
competere su questo campo è la creazione di contenuti autentici e di qualità. Servono delle belle
storie. Per essere credibili e non autoreferenziali, e intercettare quindi gli interessi e le esigenze dei
diversi stakeholder, bisogna calare le storie in un contesto più ampio.
Es: Eni; S. Pellegrino ha creato un magazine con contenuti non soltanto volti a mostrare il prodotto.

Dentro questi magazine non troviamo solo le storie di San Pellegrino, Tim o Mediolanum. Ciascuna di
queste piattaforme di comunicazione racconta, a partire dai valori, di marca, la cultura del gusto, della
convivialità, innovazione tecnologia, empowerment personale e professionale.
Il content marketing è legato al branding, non al marketing del prodotto.

Redbull: realizzano podcast con un professionista di Formula 1 in cui non si parla del prodotto
Il content marketing non è una novità di questi anni. E non ha a che fare direttamente con il digital
marketing. Un giornale degli anni 80 era un giornale rivolto ad agricoltori realizzato da una marca
produttrici di trattori.
1900 Guide Michelin offre il servizio agli automobilisti, informandoli su posti di servizio e posti dove
andare a mangiare.
Che cosa c’entra il mondo della ristorazione con quello degli pneumatici? Niente, ma conoscono i loro
clienti ed esigenze.

Non si comunica (o promuove) il prodotto, ma si focalizza l’attenzione sul brand, sulla sua awareness
e sulla sua autorevolezza. Attraverso i contenuti è possibile far conoscere la propria filosofia, i
prodotti, creando una sintonia con il pubblico. Un editore pensa al posizionamento del suo giornale, al
tono di voce, al contesto mediatico, ai contenuti ma, soprattutto, ai suoi lettori.
Perché il content marketing funzioni bisogna superare la soglia di percezione del valore delle
personas di riferimento. Non è a loro che dobbiamo parlare, ma di loro!

“Il content marketing è come un primo appuntamento, se parli solo di te stesso non non ce ne sarà un
secondo”.

22/05

L’essenza del content marketing


Produrre dei contenuti che siano di valore per le persone: le persone vengono da noi

Legame tra SEO e Content marketing:


SEO: Intercettare coloro che stanno facendo una ricerca online su qualcosa (prodotto/servizio) che
l’azienda offre è un imperativo assoluto per chi fa marketing digitale.
Stiamo parlando di persone che hanno un bisogno e ne sono consapevoli. Un pubblico quindi che ha
una potenzialità di conversione molto maggiore rispetto a quello che potremmo intercettare con uno
spot.
Noi dobbiamo lavorare in stretta connessione con chi si occupa di SEO (raccogliere informazioni,
orientarsi, capire come funziona qualcosa o come risolvere un problema: se siamo in grado di fornire
la risposta giusta a questi bisogni informativi possiamo entrare nel radar della persona e farci
conoscere come fonte di conoscenza utile) Sono spunti per il piano editoriale

Vedendo ciò che le persone cercano su google, con i nostri contenuti possiamo metterci a
disposizione delle persone.
Bisogna conoscere a fondo i propri clienti: bisogna pensare con la loro testa e parlare con la loro
lingua.

ES di collegamento content marketing e strategy: Velux è un’azienda che produce finestre per i tetti.
Si sono resi conto che tra le ricerche che fanno le persone ci sono argomentazioni riguardo alle
mansarde, quindi hanno creato “mansarda.it” in cui affronto una serie di contenuti (di content
marketing)

Contenuti:
- puoi farli ridere
- commuovere
- farli sentire persone migliori
- farli sognare di evadere dal loro quotidiano
- Puoi dargli la scusa per perdonare un loro vizio o una loro debolezza
- farli giocare/competere
- spiegargli come risolvere un loro problema
- fargli venire nuove idee

Alcuni di questi aspetti li troviamo anche nel Funnel


Brand journalism: i giornalisti servono alle aziende per raccontarle, nonostante i giornali chiudano.

Trovare i formati utili per educare, intrattenere, ispirare e convincere, sapendo che ciascun tipo di
contenuto ha le sue difficoltà,

Tipi di contenuti: case study, newsletter (strumento potentissimo)

Social publishing: storicamente significava microblogging


TWITTER nato come servizio per famiglie, amici, colleghi, parlare con loro e rimanere connessi
attraverso uno scambio di domande, a partire da una domanda “che cosa stai facendo?”
Fin dall’inizio la piattaforma permette ai suoi utenti di interagire con i contenuti dei propri contatti.
Adesso la domanda è cambiata “cosa c’è di nuovo?” chiaro richiamo al mondo delle news,
Una delle prime piattaforme che funzionava di più per mobile, interattivo (fin dall’inizio la piattaforma
permetteva ai suoi utenti di interagire con i contenuti dei propri contatti: retweet, con l’intento di
informare la comunità su avvenimenti).
# nasce qua, per fare ordine tra i contenuti, sono usati spontaneamente dagli utenti per indicare una
parola chiave all’interno del messaggio. Aiutano a tenere traccia degli argomenti discussi e per le
ricerche all’interno del motore di ricerca integrato. Se un # è in trend, possiamo utilizzarlo per inserirci
in quella conversazione.
Possono essere usati per studiare un mercato, un tema, monitorarlo e analizzarlo.
Per migliorare la leggibilità dei tweet, ma anche per renderlo professionale, è bene ridurre al minimo
essenziale l’uso degli hashtag. Questo significa usare gli hashtag solo quando necessari.
Attenzione! Gli hashtag valorizzano un contenuto di qualità ma non sono in grado di rendere
interessante qualcosa che non lo è.

I Live tweet sono meno diffusi ad oggi


Twitter è stato il social media, la piattaforma che meglio interagisce con la tv. Twitter diventa il post in
cui commentare determinati eventi televisivi

il 64% di utenti usa twitter quando guarda la tv


il 40% del traffico di Twitter è concentrato nei picchi di tempo relativi alla tv
Un social media ibrido. Hashtag, trending topic, live tweet fanno di questa piattaforma una fonte per
l’aggiornamento in tempo reale. Twitter è ormai in parte social media e in parte piattaforma di
condivisione delle notizie (news sharing).

- il 94% delle persone che usano la piattaforma sono interessate agli eventi in tempo
reale legge news almeno una volta al giorno
- 85% guarda, legge o ascolta almeno una volta al giorno
- 83% twittano rispetto a delle notizie

Se fb è il luogo della disintermediazione (in cui si parla direttamente al cittadino), twitter è il


regno della reintermediazione. Amato dai grandi noti dell’informazione, può rappresentare
un’alternativa rapida ed efficace ai comunicati stampa (e in alcuni casi persino alle
conferenze stampa).
Twitter è un élite, ma è l'élite giusta per chi si occupa di comunicazione. I trending topics non
sono realmente temi di interesse generale, ma sono i trending della comunicazione.
In un’ottica di marketing, a cosa serve?
- ascoltare e sorvegliare: i commenti su un brand, i pareri dei cittadini su una legge, il
sentiment generale. Molto spesso i politici fanno delle proposte per vedere come le
persone reagiscono
In ambito politico si parla di sentiment testing
Detta l’agenda setting, lavorare bene su twitter permette di costruire una propria agenda
coerente con i propri obiettivi.
- condividere: anteprime, notizie, dietro le quinte, eventi
- costruire e dimostrare leadership e competenza: condividendo materiali,
approfondimenti, link (tanti link)
- coltivare relazioni con partner, clienti, stakeholder (RT, risposte pubbliche, digital PR)

23/05

Dopo l’analisi, dopo aver scelto gli obiettivi e i pubblici dobbiamo scegliere la/e piattaforma/e
in cui inserirci.
Prima venivano chiamati “canali”, ma è meglio chiamarli luoghi/spazi di comunicazione in cui
molti parlano, condividono, ecc
Twitter nasce come microblogging: postare contenuti attraverso frammenti. Non a caso è il
regno del frammento testuale: poche parole, sintesi estrema (anche perché nasce con un
limite di caratteri da rispettare).
Spesso è una conversazione corale: attraverso gli # vengono radunate le persone a parlare
di un determinato tema. è un social media sharing
Da usare quando bisogna fare pr (pubbliche relazioni)

INSTAGRAM
Piattaforma per fare engagement, storytelling visivo attraverso immagini. è lo strumento
ideale per chi vuole comunicare in termini narrativi attraverso contenuti visivi. La foto è la
vera regina di questa piattaforma. La foto non deve essere solo bella esteticamente e
perfetta, ma deve raccontare una storia, una notizia.
Perché lo storytelling? “Le persone dimenticheranno quello che hai detto, fatto, ma non
dimenticheranno mai quello che gli hai fatto provare”
“Il racconto è presente in tutti i tempi, luoghi e società. Inizia con la storia stessa dell’umanità
non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i
gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti sono fruiti in
comune da uomini di culture diverse, talora opposte…» (Roland Barthes)
Narrare storie coinvolge, appassiona ed emoziona le persone dalla notte dei tempi.
E un marketing che coinvolge, appassiona ed emoziona, funziona di più.

Raccontare delle storie coerenti con il sistema di valore della marca

“Lo storytelling non è il raccontare storie o aneddoti ma la creazione di


rappresentazioni (testuali, visive, sonore, percettive) che un brand, un prodotto o
servizio, una persona possono realizzare per emozionare e relazionarsi meglio con
un pubblico. Lo storytelling è la creazione di un universo narrativo da parte di un
autore (marca, prodotto, o persona) che invita altri (clienti, consumatori,
stakeholders) a partecipare a un destino” (Andrea Fontana)
Ci permettono di connetterci emotivamente. Bisogna cercare la sintonizzazione
narrativa coi pubblici. La connessione emotiva è fondamentale.

Gli ingredienti per costruire una storia:


- prospettiva da cui raccontare le storie (nel caso del video, quella della madre)
Costruire un punto di vista significa selezionare certi eventi della realtà (strategie
discorsive) come avviene nel giornalismo
- i personaggi: sono “i compagni di viaggio” e gli “interlocutori”, vengono
descritti per rendere la storia vivida e per aumentare il coinvolgimento.
- contesto: è l’ambientazione della storia. Può essere fisico, emozionale,
sensoriale, storico.
- immaginario: la narrazione deve creare un immaginario che permetta al
destinatario di
1) avvicinarsi ad una realtà che non conosceva in profondità (contatto)
2) sviluppare nuove associazioni (familiarità)
3) immergersi ed identificarsi nel racconto
- linguaggio: una storia per essere autentica deve avere dei precisi codici
linguistici (espressioni tipiche, gerghi, modi di dire, citazioni)
- trama: la struttura del racconto favorisce la comprensione. E crea aspettative,
Ovviamente non tutti gli elementi della storia devono essere narrati: meglio
fare appello all’immaginazione del lettore…
- morale: è rappresentata dal posizionamento della marca o del prodotto. È in
un certo senso la conferma che i bisogni del consumatore verranno esauditi.

I reel: Sono, a detta dello stesso Zuckenberg, il formato che ha subito la maggiore
crescita all’interno dell’ecosistema Meta. Il tempo trascorso dagli utenti in
questa sezione è raddoppiato da un anno all’altro.
In termini di tassi di coinvolgimento, superano del 22% gli altri contenuti
I Reel aumentano il traffico, cioè i dati di interazione dell'utente con un dato
contenuto, attirano un pubblico che arriva dall'esterno, quindi potenzialmente
"nuovo". La circostanza per cui i Reel appaiono nella sezione 'Esplora' di Instagram
ha proprio questa finalità. Quando si pubblica un Reel non ci si deve concentrare sui
'mi piace' o sui commenti, quanto piuttosto sulle visualizzazioni.
Più un contenuto è visto, più funziona, più Instagram lo mostra a un alto numero di
utenti.

Caroselli: Sono post che possono contenere fino a 10 elementi, fra foto e video, e
stanno ottenendo risultati importanti sotto il profilo della reach e dell'engagement,
rispetto ai normali post. Con questo tipo di formato, la strategia a monte è ancora più
importante, perché si può raccontare una storia e approfondire contenuti, senza
perdere in immediatezza.

24/05
Influencer marketing - Paola Leo

L’influencer: è un creatore di contenuti che esercita la sua influenza su un numero


più o meno ampio di persone.
Creare contenuti = intrattenere, informare, far ridere

L’influencer marketing: è un canale alternativo (complementare) al content marketing


che consiste nell’affidarsi a persone capaci e abituate alla creazione e alla
veicolazione di contenuti rilevanti.
Attività da portare avanti accanto alle altre attività principali.

Il mercato dell’influencer marketing è consolidato

Il contesto in cui è attecchito:


La quantità dei contenuti presenti ogni giorno
- overflow: i nostri interlocutori hanno ridotto la soglia dell’attenzione a meno di
3 secondi
- untrusted: il consumatore di oggi è assuefatto a una vasta pluralità di
messaggi pubblicitari, al punto da non nutrire più alcuna fiducia per il sistema
pubblicitario (ma si nutre sempre più interesse per le persone)
- social proof-er: gli utenti imitano il comportamento di chi ritengono abbia più
informazioni o più esperienza in relazione a una marca, a un prodotto o un
servizio.

L’algoritmocrazia: se l’azienda con il contenuto incontra il creator con il contenuto,


quel contenuto dell’azienda verrà ucciso dall’algoritimo.
Lo stesso video/contenuti postati da una pagina aziendale o da un privato, verrà
mostrato molto di più il contenuto della persona (privato).
Quando il contenuto di un’azienda viene ripostato da altre persone otterrà un insight
maggiore.

Tratti comuni dell’influencer virtuoso (creator):


- competenza dell’argomento di cui parla (beauty, intrattenimento, design, ecc)
- coerenza e spontaneità nell'esposizione e creazione di contenuti
- ToV (tono di voce) definito e riconoscibile dal mercato in cui opera
- capacità di guadagnare fiducia del pubblico e community: l’influencer è
qualcuno che, acquistata la fiducia di chi lo segue, è capace di condizionarne
i gusti, le scelte (spesso anche d’acquisto) e le se sensibilità
Non solo vendita, ma anche impatto sociale.
- capitale sociale: l’influencer ha un capitale sociale di relazioni, credibilità e
fiducia che può diventare determinante per le strategie di branding delle
imprese (l’influencer può avere relazioni con persone molto distanti rispetto
all’azienda)
instaurare un rapporto concreto con l’azienda che rappresenta, altrimenti
sarebbe solo un testimonial

Diverse tipologie di influencer non dal punto di vista numerico:


- vip influencer: una personalità che aveva già una sua notorietà e l’ha
traghettata nei social (sportivi: Marchisio), più vicini ai testimonial;
Costano di più (per la loro notorietà) e sono meno efficaci (i numeri lo
dimostrano) non instaurano una relazione nativa con la piattaforma;
- pop influencer: sono nati dal basso, con le loro capacità (essere già un
estetista, saper cucinare, grafico, ecc), sfruttando le piattaforme social per
accrescere la loro posizione (partendo da percezioni culturali) (Estetista
cinica, Benedetta Rossi, Pantone)
Es Benedetta Rossi: Contratto annuale 200.000 euro
- digital creator: sono nati su una piattaforma, hanno iniziato facendo video
sgranati da casa, adesso sono passati ad altre piattaforme. Possono essere
casi singoli (Camihawke, Scilla) oppure crew. Abbracciando più argomenti e
format
- Employee advocacy: dipendenti che partecipano a dei “concorsi” diventando
loro stessi influencer dell’azienda (es: General Italia: ha organizzato un tour di
esperienze in giro per l’Italia, lasciando i dipendenti liberi di raccontare questa
esperienza attraverso dei contenuti, i quali sono stati messi insieme per
creare un atto comunicativo corale. Primo esempio in italia. Sono riusciti a
svecchiare l’immagine dell’azienda) occupandosi del racconto della stessa
azienda, agli occhi del pubblico diventa più affidabile.
Figura sempre più ricercata.
- brand journalist: giornalista che si presta per un’azienda o per un brand
(Carriero ha scritto un libro per raccontare come è nato una banca online),
- brand ambassador: figure che creano i contenuti e rappresentano l’azienda
quando questa non c’è (Pellegrini -> Michelin)
- influencer freelance: influencer che si legano ad una piattaforma e
monetizzano all’interno di questa, attraverso le loro forze di racconto (il suo
pubblico è un pubblico di persone che vorrebbe fare la sua vita ma non può
perché sta in ufficio, quindi crea contenuti online), non si lega a nessun
prodotto/brand, se lo fa manifesta la sua totale sincerità. Guadagna sia a
livello di monetizzazione della piattaforma e grazie alla sua community.
Le visualizzazioni vengono convertite in spazi pubblicitari, che l’azienda
compra, parte del prezzo viene dato agli influencer. Monetizzazione interna
quella su youtube
- ri-generazione influencer: persone anziane che hanno trovato una loro voce
per dare sfogo alla propria quotidianità (liciafertz, abbraccia temi sociali)
- testimonial: più pagati, ma meno coscienza del brand che rappresentano,
prestano il volto, non tutelano i valori
UGC: manca un contratto regolamentato tra le parti, quindi non rientrano nella
categoria di influence

Cosa fanno gli influencer? Sono dei content creator che co-partecipano, insieme
all’azienda, alla definizione del messaggio comunicando in modo nuovo e diverso il
prodotto (o servizio o l’azienda stessa).
L’influencer è (dovrebbe essere) l’art director dei contenuti che sta realizzando per
l’azienda (o l’art-director per il prodotto che crea con l’azienda) con cui collabora.
Es: Camilla cabello che ha stravolto l’asset iconico di Lancome con il suo packging
basic nero; Nespresso ha personalizzato i prodotti con il logo di Chiara Ferragni e un
pattern.

Le collaborazioni tra brand e influencer funzionano quando l’azienda cerca


nell’influencer la sua competenza, passione, conoscenza del mercato, conoscenza
del pubblico, trustability (quanto è forte la fiducia in un determinato
creator/influencer)
Le collaborazioni che non funzionano sono quelle in cui le aziende si lasciano
stregare dai numeri delle influencer

Perché scegliere l’influencer marketing?


La velocità che ha un influencer nel creare i contenuti non è paragonabile all’iter di
un’azienda nel creare dei contenuti
- migliorare il proprio posizionamento (rebranding)
- raggiungere KPI (reach, traffico al sito, download di app, ecc)
- per realizzare una ricerca di mercato per capire il sentiment di una
determinata community (In Italia sta maturando da poco, all’estero è
un’attività più definita);
Coinvolgere non è importante, è l’unica cosa che conta. Funzionano meglio le
campagne che coinvolgono l’influencer prima di arrivare al prodotto finito. Più un
influencer è coinvolto in un funnel, maggiori saranno l’engagement e il ROI ottenuti.

Tipologie di collaborazioni:
- prodotti regalati in cambio di visibilità (supply by)
- servizi per visibilità (supply by)
- influencer marketing program (creare tot contenuti al mese)
- prodotti inviati per creare contenuti inseriti sul canale proprietario dell’azienda
e non del creator
- servizi per contenuti
- fee su codice promo (codici sconto con una percentuale che viene data ai
creator)
Come si sceglie un influencer:
si valuta:
- la qualità dei follower, chi segue (partecipa alla conversazione del mercato in
cui opera?), il pubblico deve essere in linea col mercato di riferimento
dell’azienda;
- qualità delle persone che seguono: fare un check anche delle persone seguite
dall’influencer, per comprendere e approfondire la sua professionalità, la sua
lealtà ai brand con cui lavora, la coerenza col mercato in cui opera
- quantità e qualità dei commenti, sono partecipati? sono il linea con ciò che
viene mostrato nel contenuto? da chi provengono (bot?)
- engagement rate: indicatore percentuale che dice in relazione a quanto
persone sono esposte al contenuto, quante realmente agiscono.
C’è chi lo calcola in base ai followers e chi in base a chi lo ha visualizzato.
L’influencer deve mettere a disposizione dell’azienda questi dati.
Solitamente per fare questa stima vengono considerati gli ultimi 12 post
oppure se è un campagna legata ad un determinato periodo, si vanno a
cercare i post di quel periodo (es: natale)

- tone of voice: può rappresentare l’azienda? che approccio ha? come gestisce
le critiche? che visual è solito utilizzare? ha una sua coerenza comunicativa?
- autorità - trustability: sa generare una leadership di pensiero nel mercato in
cui opera? chi si fida di lui/lei?
- competenza nel (micro)settore in cui opera

Mediakit: portfolio personale di un creator, è un documento in cui dichiara:


- dove opera
- chi è, cosa fa, dove è
- numeri, performance e composizione demografica
- servizi, esempi di case history (di esperienze/collaborazioni passate per
capire se potrebbe essere un conflitto di valori con la nuova azienda)
- clienti, progetti passati, highlights
- press

Come si contatta?
- cercare email o agenzia di riferimento per proporre una collaborazione
- Quale social presidia maggiormente?
- ha un sito/blog?
- ha un manager o un’agenzia?
- cosa offro che non sia visibilità?
- l’ho lusingate?
Contratto
- chi fa il contratto a chi?
- obblighi delle parti
- contenuti stabiliti e piattaforme coinvolte
- timing, scadenze
- clausole di esclusività?
- pricing, inquadramento fiscale,

30/05
Transmedia branding: approccio ai fatti e fenomeni della comunicazione,
ultimamente definito in termini scientifici
Lo storytelling è una forma di comunicazione in cui gli elementi della narrazione
vengono dispersi sistematicamente attraverso molteplici canali con lo scopo di
creare un’esperienza di intrattenimento coordinata e unificata. Ci deve essere
coerenza e ridondanza dei contenuti narrativi. “Ogni testo offre un contributo distinto
e importante all’intero complesso narrativo”
Pianificazione sistematica, vale a dire un progetto coordinato all’origine. Perché ci
sia transmedialità, in altre parole, non basta lo storytelling, ci vuole pure il design.
Centralità della dimensione esperenziale.
I vari elementi devono essere diversi, perché se sono gli stessi ma adattati alle
piattaforme si tratta di una campagna crossmediale.

Es: Chanel,spo La web-serie Inside Chanel, un sito che racconta in dieci capitoli la
storia della maison Chanel, è un buon esempio di storytelling transmediale.

Questa definizione può essere declinata nell’ambito del marketing e del branding
Transmedia branding: Un processo di comunicazione, nel quale l’informazione
relativa a un brand è compresa in una narrazione integrata, diffusa attraverso
contributi originali su media diversi, allo scopo di creare una brand experience
interattiva e coinvolgente (Tenderich, 2014).
Es: Heineken per le candidature viene fatto un video, viene coinvolta la community
nella scelta, viene fatto l’evento, il video ecc

Una comunicazione di marca che sposi l’approccio transmediale pone le condizioni


perché le persone possano interagire col brand e con altri membri della community,
contribuendo alla creazione dei contenuti o diventando esse stesse parte della
storia. Un comunicazione diffondibile
È stata creata la piramide di engagement, per capire il grado di coinvolgimento:
- Prosumer: fan che oltre a consumare i contenuti e a discuterne, ne
realizza di nuovi (fandom..)
- I fan che condividono contenuti online e partecipano attivamente alle
discussioni relative al mondo narrativo
- I consumatori di più prodotti mediatici (coloro che si accostano al
modello narrativo di Star Trek non soltanto attraverso la serie, ma
leggendo i l romanzi, vedendo i libri)
- CONSUMATORI DI UN SINGOLO PRODOTTO MEDIATICO (es:
spettatori di Star Trek)
Il primo caso di Fandom risale al 1893, la rivista inglese The strand Magazine
pubblicò un racconto di Arthur Conan Doyle “The final problem” sherlock holmes e
doveva essere l'ultima storia con il protagonista, ciò comportò una serie di
manifestazioni contro questa scelta, e un invito ad andare avanti con la storia.
Fandom: sottocultura creativa che si sviluppa a partire dall’amore comune attorno
ad un determinato prodotto culturale (appassionati di band musicali, film,
fantascienza). Talvolte sono trasformativi, cambiando la storia pensando ad uno
sviluppo diverso (esempio le comunità lgbtq+)

Non basta più una buona comunicazione per essere distintivi: bisogna attivare i
diversi pubblici, a partire ovviamente dai consumatori, e far sì che ogni touchpoint
con il brand sia capace di generare contenuti e quindi significazione

La prima vera campagna di transmedia branding si ha con il brand Old Spice


(prodotti beauty per uomini) in America: non era riuscita ad accogliere i cambiamenti
nella visione dell’uomo, allora decise di rivolgersi alle fidanzate/campagne dell’utente
finale. Lo spot tv poi viene caricato su youtube e diventa oggetto di comunicazione.
L’agenzia attraverso video personalizzati risponde alle domande che gli utenti
avevano fatto, dando una risposta, partecipano personaggi famosi e non.
L’engagement è stato notevole: nelle prime 24 ore, l’intera serie dei video viene vista
circa 10 milioni di volte; dopo 36 ore le visualizzazioni erano diventate 24 milioni.
Il caso fa notizia ne parlano tv, radio e giornali, il cerchio transmediale si chiude. Con
una partecipazione diretta degli utenti e una reazione della marca che contribuisce a
favorire la partecipazione.

Non basta più una buona comunicazione per essere distintivi: bisogna attirare i
diversi pubblici, a partire

The new journalism: il new york times, molta parte dei loro ricavi derivavano dagli
spazi pubblicitari che venivano messi a disposizione. Passando gli anni la quota di
pubblicità si riduce, e aumentano gli abbonamenti (online): attraverso esperti di dati,
storyteller, si cercava di rendere transmediali le notizie e le storie che trattava, le
persone sono disposte a pagare, perché si crea la complicità.

In Italia, abbiamo il caso del Post: coinvolgimento nel progetto di buon giornalismo e
porta le persone ad abbonarsi, infatti la maggior parte dei ricavi deriva dagli
abbonamenti.
Una caratteristica del Post è la presenza di argomenti spiegati bene - > cose
spiegate bene, un’attività che porta alla realizzazione di libri piccoli che affrontano un
determinato tema

tutto basato sulla nuova concezione del pubblico

The brand experience: i brand devono accettare di non essere più i soggetti di parola
e delegare la libertà di parole agli utenti, creando una piattaforma in cui si discute.
Non esiste un brand senza un pubblico.

“la marca è una parola data, mantenuta. La marca è un messaggio: l’instaurazione di


una relazione. Impegno, garanzia, promessa, o responsabilità da un lato, fiducia,
attaccamento o anche ostentazione dall’altro: bisogna essere in due per creare una
marca. La marca nasce da una fedeltà, da una fiducia; muore per tradimento o
delusione. Senza un contratto implicitamente o esplicitamente definito non ci sarà
alcuna marca”.
(Jean Marie Floch)
Brand positioning: Nella prospettiva del marketing, attraverso un chiaro ed efficace
posizionamento, si colloca la marca, in termini di benefici e promesse, nella mente
del consumatore.
Il posizionamento è molto costoso, ma allo stesso tempo è il lavoro principale di chi
fa marketing oggi.
Es: Volvo si posiziona nella situazione di sicurezza; bmw il piacere di guidare.
Leve di posizionamento, si può posizionare il prodotto a partire da:
- attributi di prodotto. Es: l’acqua povera di sodio (Lete)
- benefici attesi: Danacol riduce il colesterolo
- occasioni d’uso: quando non c’è lo spazzolino c’è daygum protex
Ormai è difficile trovare nuovi attributi, nuovi benefici attesi e occasioni d’uso.
Sempre più spesso, tuttavia, a causa della saturazione dei mercati e della
conseguente difficoltà, specie nell’ambito dei beni di largo consumo, di assicurare
una reale differenziazione, le marche tendono a posizionarsi non più (o, almeno, non
solo) sulla base dei cosiddetti “valori d’uso” o funzionali, ma agendo sui “valori di
base”, di ordine esistenziale e proiettivo (etica).
In questo senso il posizionamento si configura sempre più come il punto di vista
della marca sul mondo, imponendo ai singoli brand di prendere posizione sui temi
controversi e sulle dispute valoriali che caratterizzano l’odierna vita sociale. Interessi
non solo economici anche politici, sociali e culturali.
Chi oggi gestisce la comunicazione deve partire dalle tensioni culturali, qualunque
brief deve partire da lì. Altrimenti non si realizzano campagne credibili, non si può
fare finta di niente.

Brand activism: progetti che hanno un impatto misurabile. Non si può fare pubblicità
sul nuovo packaging che inquina meno, bisogna dire “scusate il ritardo”.
La marca oggi è chiamata a farsi attore sociale. Si prende una posizione.
Es: Adidas ha creato una partnership (spesso si creano con società che hanno
esperienze che la marca in sè non ha) con Parlier per la pulizia degli oceani.
Dove affronta il problema della rappresentazione della donna. Emergono delle
campagne più culturali che economiche, non si guadagna in termini economici bensì
in termini di identità di marca.
La coop ha preso posizione nelle distinzioni delle famiglie, anche Ikea, Vitasnella.
La sfida per la sostenibilità e l’inclusività, come per tutti i temi sociali, è quella di
riuscire ad inserire questi temi non semplicemente nella comunicazioni, ma nella
propria cultura aziendale, in modo da renderlo autentico ed efficace in termini di
marketing e proposta di valore. In questo modo il marketing può rendersi coerente e
integrato all’identità complessiva, e non semplicemente una scelta di circostanza.
Come scrive Paolo Iabichino, alle marche oggi viene chiesto di «risolvere problemi
reali. Ascoltare le necessità. Fare in modo che le cose accadano. Mettere le persone
in primo piano».
Il brand più trasnmediale è lego: la narrazione attraversa tutte le piattaforme,
creando anche un rapporto molto forte con i fan.

05/06

Question and answer

Approccio alla comunicazione d’impresa e mediale in cui la narrazione viene


dispersa in maniera sistematica in diverse piattaforme, codici e linguaggi. mettendo
insieme social, evento fisico, persone.

Affinché ci sia trasnmedialità il progetto deve essere pianificato all’origine, in maniera


sistematica

Insight Channel è un progetto trasnmediale realizzato qualche anno fa per


raccontare la storia dell’azienda, con 32 video di breve durata, in cui si parte dal
prodotto (Il profumo). La comunicazione transmediale è efficace perché parla a
diversi pubblici, la storia si espande, ed è possibile che anche i pubblici inizino a
partecipare (pensiamo ai fandom)

Brand activism: i brand diventano sempre di più soggetti politici, mediali che lottano
per rendere il mondo migliore.
Quando lo dico ma non lo fanno davvero può diventare un effetto boomerang; per
chi lo fa con costanza e ci crede veramente (come Dove) è un valore in più

Documenti che vengono chiesti


- social media policy
- social media strategy, documento che prevede le fasi
- piano editoriale: di cosa si parlerà? i temi

I contenuti devono essere rilevanti per le nicchie


Il piano editoriale NON è:
- non è un insieme di citazioni lette e rilette
- Non è un susseguirsi di post autoreferenziali
- Non è un collage di selfie
- Non è una campagna promozionale
Temi e argomenti:
- valori del brand
- interessi dei pubblici
- problematiche di settore
- campagne di marketing e comunicazione integrate
- eventi speciali o stagionali
- …
Le possibilità che si abbia un coinvolgimento positivo del pubblico aumentano
quando i contenuti pubblicati o condivisi assumono il punto di vista dei riceventi.
Bisogna ragionare di più in termini di “tu” che di “io”.
Esempio: quanto emoziona o diverte o informa il video di lancio del nuovo prodotto?

Bisogna testare i tipi di post, i tipi di contenuto, le novità, i formati creativi nuovi. Non
bisogna mai dare nulla per scontato, non bisogna affidarsi alla propria sensibilità o
alle proprie previsioni, non bisogna smettere mai di sperimentare.
- sii super selettivo con i contenuti che ricondividi
- ricondividi solamente i contenuti che i tuoi utenti potranno apprezzare
- assicurati che i contenuti siano rilevanti per le tue nicchie
- utilizza contenuti accurati per riempire i vuoti nel tuo calendario
- riproponi contenuti in un nuovo formato
- menziona sempre il creatore originale

Qualunque piano strategico per i social media deve identificare specifici temi e
argomenti su cui il brand investe per favorire la partecipazione e la condivisione.

Nel calendario editoriale vengono proprio scelte delle date, i giorni, gli orari.

I campi del calendario editoriale:


- data di pubblicazione
- argomento o titolo del contenuto
- autore del contenuti
- responsabile del contenuto (il responsabile del passaggio dell’ideazione alla
pubblicazione)
- stato attuale
- canale di pubblicazione
- formato
- categorie di argomento
- parole chiave
- CTA (e allineamento agli obiettivi di marketing)
Si può usare excel oppure con infografiche

Quando si fa il calendario editoriale bisogna considerare gli algoritmi


Se succede qualcosa di grave, di cui tutti parlano, bisogna interrompere la
pubblicazione, dando la priorità a cose più gravi, si potrebbe rimanere anche in
silenzio.
In caso di crisi dell’azienda

I formati che funzionano meglio su linkedin sono i formati pdf.

tool per la pubblicazione, servono più dal punto di vista dell’analisi:


- fanpage karma
- postpickr

Community management: come si gestiscono le comunità? ci vuole una conoscenza


approfondita del brand e della community
La gestione quotidiana richiede il controllo, la verifica che le cose avvengano come è
stato stabilito, e poi l’ottimizzazione, che consiste invece in community managing e
page/profile caring.

3 livelli di ottimizzazione:
- livello base, studiamo il feed del nostro profilo o pagina social e guardiamo
quali post hanno generato maggiori relazioni. Teniamo anche presente le
caratteristiche del social (per esempio: Instagram con le immagini e LinkedIn
coi temi trattati).
- livello medio: creazione costante di nuovi contenuti partendo da un
contenuto che ha funzionato bene in passato, modificando qualche elemento
come il visual (colore, soggetto) o il copy (lungo, corto, emoji)
- livello pro: preparare nuovi calendari editoriali che sono dei test continui,
durante questo lavoro teniamo sempre in mente anche gli obiettivi algoritmi.
Dobbiamo essere pronti a mettere in discussione le scelte a monte fatte
“Bisogna concentrarsi su come essere social, non su come fare Social” (Jay Baer)

Consigli per il social media manager di Inps: si sarebbe dovuto rispondere ai


commenti in maniera semplice e lineare. Magari cercando la conversazione in
privato, soprattutto se c’è il rischio che gli utenti pubblichino dati personali.
Mantenere il tono di voce della pagina. Nel caso dell’inps ci troviamo di fronte non a
dei fan ma a dei cittadini che chiedono di soddisfare un bisogno informativo.

06/06

- pensiero laterale

Più è grande l’azienda più si ha a che fare con il social media team:
- analista
- nativo digitale
- comunicatore
- esperto di prodotto
Nelle piccole aziende queste competenze li ha una sola persona.

Nel lavoro del social media manager è fondamentale non rimanere legati a
dinamiche che conosciamo e usare solo quelle che sappiamo funzionino, ma
dobbiamo spaziare e cercare continui aggiornamenti e stimoli.

La frase più pericolosa: abbiamo fatto sempre così.

Come si risponde alle critiche?


Gli utenti online sono sempre più freddi e aggressivi, situazione che peggiora
quando interagiscono con aziende e organizzazioni che percepiscono come entità
astratte e impersonali.
Quando ci sono delle critiche bisogna pensare al secondo assioma della
comunicazione: ogni messaggio avrà una parte di contenuto razionale e una parte
di relazione. In base al tipo di relazione cambia il contenuto, tono di voce, ecc.
Per rispondere adeguatamente alle critiche bisogna imparare a riconoscere cosa
anima un certo tipo di commento o di critica e guardare a due aspetti:
- l’argomento
1) questioni oggettive, qualità “esterne” rispetto agli interlocutori: fatti,
riferimenti a dati e fonti, puntualizzazioni ecc
2) questioni soggettive, qualità “interne” rispetto agli interlocutori: opinioni
personali, gusti, inclinazioni, ecc
Qui non sempre occorre rispondere
3) non argomenti: pura e semplice violenza verbale: insulti, istigazioni
all’odio, turpiloquio, bestemmie, ecc.
Non merita risposta
- lo scopo
1) contributi alla discussione: chi interviene lo fa per approfondire, capire
meglio, aggiungere qualcosa. Valgono sia in senso critico (rettificare,
correggere) sia in senso collaborativo (dare conferma, rafforzare)
2) espressioni della propria posizione, o per dimostrare di essere migliori
degli altri (dominanza) o per dire agli altri che sono peggiori (discredito)
3) disturbare e sabotare: gli interventi vogliono rovinare appositamente il
clima, compromettere la discussione: i troll, non vanno considerati
Spesso, nelle interazioni online, non c’è uniformità fra argomenti e scopi.
Questioni oggettive (argomento 1) possono essere sollevate per esprimere la propria
posizione (scopo 2). Oppure può avvenire il contrario: opinioni personali (argomenti
2) sono espresse con l’obiettivo di contribuire alla discussione (scopo 1).

Esempio di critica: Perché non pubblicate i vostri stipendi? Ci pagate IRPEF e


addizionali? un commento ironico, che mette in dubbio l’eticità del lavoro.
Si potrebbe rispondere indicando che le organizzazioni del genere hanno un bilancio
pubblico, in cui vengono inseriti i guadagni e come vengono usati. In questo modo si
rende ancora più trasparente l’attività. Però se arrivano troppi commenti del genere,
non serve rispondere a tutti, dipende comunque dai toni.

Quando rispondere? in caso di questioni oggettive e quando si vuole dare un


contributo alla discussione. In entrambi i casi vi è un valore oggettivo nello scambio.
Le questioni oggettive permettono di migliorare la conoscenza, anche se
l’interlocutore si pone in maniera sbagliata. I contribuiti alla discussione portano un
valore relazionale (comunicazione come condivisione)
(Bruno Mastroianni)

Quando ignorare
- dissociazioni sintetiche: “non è vero”, “sbagliato”, “macchè”
- indignazione: “vergogna”, “ma come si fa a scrivere una cosa del genere”
- argomenti ad hominem: “sei giovane, non puoi capire”, “si vede che hai
studiato poco la materia”. “non hai figli, non puoi capire”
- generalizzazioni: “voi giornalisti fate sempre così”, “voi donne”, “voi
sindacalisti”...
Ignorare non significa cancellare, dobbiamo garantire a tutti il diritto di esprimere
in pubblico le proprie preferenze personali,
Quando scoraggiare (e cancellare): gli insulti, le parole di odio, gli episodi di violenza
verbale in genere vanno cancellati. Ogni tanto si può decidere di rispondere a un
insulto avvisando che verrà oscurato. In questo modo si dà un segnale a tutti gli altri
partecipanti.

Mai andare sul personale. In questo modo si abbandonando le questioni oggettive di


cui vale la pena parlare e si viene trascinati in una rissa che non porta alcun
contributo alla discussione.

L’obiettivo è essere capaci di sostenere la propria identità, rimanere se stessi


proprio mentre si interagisce con il dissenso e le critiche, fondate o meno che siano.
In base allo stile delle nostre risposte attireremo quegli interlocutori che vogliono
discutere in modo significativo (scopo 1) su temi reali e oggettivi (argomento 1).
Quei confronti dialettici, anche aspri, rappresenteranno un materiale sempre letto e
osservato dal pubblico, che, in questo modo, si farà una precisa idea
dell’organizzazione.

In generale bisogna mantenere il distacco: il proprietario di un ristorante prenderà sul


personale la critica, quindi bisogna evitare che sia lui a rispondere
- niente autoreferenzialità: non pensiamo a noi ma a chi ci legge
- dedizione al tema: diamo il buon esempio, facciamo di tutto per stare al merito
- Stiamo nel nostro. Per creare relazioni significative facciamo in modo che i
nostri spazi di discussione riguardino sempre e solo il nostro business, i nostri
prodotti e servizi, il nostro campo d’azione.
In questo modo possiamo fare appello alle nostre risorse. Tanto non possiamo
imporre agli altri comportamenti virtuosi, intenzioni costruttive, capacità di ascolto,
competenze culturali ecc.

Da un lato possiamo contare sull’omofilia degli algoritmi: gli algoritmi cercano di


mettere insieme le persone che la pensano allo stesso modo, creando delle bolle. Si
pensa che questa cosa dipenda esclusivamente dai social, in realtà è sempre stato.
Il tentativo da fare è esporsi ad idee diverse.
Dall’altro dobbiamo gestire continuamente queste conversazioni disintermediate sul
nostro conto. È qui che si gioca la partita: sapremo costruire relazioni proprio quando
le cose non sembrano andare per il verso giusto?

Questo risultato si raggiunge se riusciamo a mantenere l’attenzione sul vero


destinatario delle nostre interazioni online: la moltitudine silenziosa. Il 90% delle
persone non interviene (anche di più), questa moltitudine silenziosa deve essere il
pubblico di riferimento. è per noi il pubblico più interessante, spesso coincide con le
persone più riflessive e attente, quelle che fanno fatica a lanciarsi nelle
conversazioni online, quelle che prima di scrivere hanno bisogno di leggere,
pensare, valutare.

Social media policy: “un documento che spiega quali sono le regole e le procedure
per le attività sui social media che verranno applicate dall’impresa/politico nel social
utilizzato”

Può essere
- interna: si rivolge ai dipendenti e fornisce indicazioni su come deve essere
gestita la presenza sui social media dell’organizzazione e su come devono
essere usati gli account personali.
- esterna: indica agli utenti esterni:
1) le finalità della presenza sui social media dell’organizzazione
2) la tipologia dei contenuti pubblicati
3) i comportamenti non accettati (Spam, off-topic ecc) e offensivi
4) a chi ci si deve rivolgere in caso di abusi
Viene pubblicato il piano editoriale praticamente anche se non in maniera dettagliata
Serve per:
- standard di comportamento
- requisiti di divulgazione
- standard per i post che riguardano la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e
le informazioni finanziarie.
Ha a che fare con la reputazione.
Deve essere semplice accessibile e comprensibile.
Può comprendere anche delle linee guida nelle conversazioni di crisi

Nei casi di aziende istituzionali, la social media policy deve essere inviata al
segretario di presidenza
Se non è istituzionale verrà inviata al responsabile di progetto

Una comunicazione non ostile:


- virtuale è reale: so che ogni parola in rete ha conseguenze concrete e può
costruire o distruggere relazioni reali. Modero i toni e valorizzo l’empatia,
l’ascolto rispettoso e, sè è il caso, lp humor. Sono coerente e mantengo le
promesse fatte online.
- si è ciò che si comunica: quanto comunico rispecchia valori e identità miei e
dell’azienda. Promuovo la fiducia e la trasparenza. Sono leale e
intellettualmente onesto con i concorrenti. Curo la qualità di ciò che comunico
così come curo quella di ciò che produco
- le parole danno forma al pensiero: comunico in modo semplice e chiaro, con
l’obiettivo di farmi capire, e mi prendo il tempo che serve per riuscirci. Evito i
tecnicismi inutili, do sempre le informazioni necessarie. So che le mie idee
avranno successo solo se le racconto bene.
- Prima di parlare bisogna ascoltare: l’ascolto prescinde dalla gerarchia: solo
ascoltando gli altri, colleghi partner o clienti, posso costruire un progetto
vincente per tutti. Agevolo la comunicazione. Rispondo alle domande, accolgo
le critiche e le uso per migliorare.
- le parole sono un ponte: trovo parole giuste, entusiasmanti, ospitali, inclusive,
tali da creare un terreno comune e costruire relazioni di valore. Cerco di
conoscere ragioni e interessi dei miei interlocutori per capire il loro punto di
vista e sono disposto a cambiare il mio.
- le parole hanno conseguenze: le mie parole rappresentano la mia azienda,
hanno peso e concorrono alla creazione dell’immaginario collettivo: ne sono
consapevole e me ne assumo la responsabilità. Ho il coraggio di rispondere
ad attacchi ostili con gentilezza.
- condividere è una responsabilità: quanto condivido in rete influisce sulla
reputazione e credibilità della mia azienda. Seleziono e valuto fonti e
contenuti, non diffondo mai notizie, informazioni e dati falsi o riservati.
Rispetto la privacy e tutelo la sicurezza.
- le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare: discutere aiuta
a crescere. Discutendo. anche energicamente, opinioni e prospettive,
valorizzo la libera espressione delle idee, indipendentemente dalle gerarchie.
Rispetto sempre le persone, la loro diversità e multiculturalità.
- gli insulti non sono argomenti: l’aggressività è nemica di una comunicazione
efficace e costruttiva. Insultare è umiliante e sterile, e chi insulta dimostra solo
di non avere argomenti migliori. Sensibilizzo i miei collaborato a comunicare
in modo equilibrato e non ostile.
- anche il silenzio comunica: c’è un tempo per ascoltare, un tempo per riflettere,
un tempo per rispondere. So quanto è meglio la parola e quando è meglio il
silenzio: tacere aiuta a dare risposte lucide al momento giusto, e il silenzio
può anche esprimere valore e forza.

07/06

Podcast re-invertising/ parole amare

Social media crisis management: le crisi arrivano per chi lavora in comunicazione.
Case history: Autostrade per l’italia e il crollo del ponte a Genova, nel comunicato
stampa mancano le scuse, la dimensione umana e sembrano prendere le distanze.
Lo stesso comunicato stampa (di tipo burocratico) viene pubblicato anche sui social
(sbagliato). Dopo diverse ore emerge un altro comunicato stampa, con effettive
scuse.
Solo quattro giorni dopo il tragico evento. in una conferenza stampa che vede
presenti presidente e ad del gruppo, viene presentato un pacchetto di misure a
sostegno delle famiglie coinvolte e della città di Genova. Viene inoltre comunicato un
investimento di 500 milioni di euro che prevede la ricostruzione del ponte in 9 mesi.

Quindi stabiliscono un fondo, creano punti di contratto e modalità di erogazione. E


desecretano il contatto di concessione, rendendo aperto a tutti.
Tutto questo riesce a sistemare la reputazione. La pubblicazione sul sito della
Concessione, la diffusione del progetto per la ricostruzione del ponte, la creazione di
un fronte di consenso a Genova con Confindustria e i comitati per gli sfollati, arrivati
a invocare che il ponte venisse ricostruito da Autostrade e non da altri soggetti,
hanno permesso al gruppo di ricostruire la propria reputazione. Senza mai scadere
nella polemica politica.

Di fronte a crisi (endogene o esogene), attacchi o critiche, non bisogna chiudersi a


riccio sperando che passi a nuttata. Bisogna piuttosto comunicare in maniera
intelligente e strategica (media relations, comunicazione interna, relazioni
istituzionali, web e social media).
Bisogna saper essere umili, pazienti ed empatici.

Crisi sui social media: Patrizia Pepe pubblica una pubblicità con l’immagine di una
modella molto magra (quasi anoressica). I commenti sono molto polemici, la risposta
è prima di non voler prendere parte a queste provocazioni. Successivamente si
risponde nuovamente (in orari poco consoni) puntando il dito contro chi aveva
scritto, rimarcando il concetto di non aver fatto alcun errore.

Groupalia: approfitta del terremoto per vendere un pacchetto di viaggi. Il tweet non
era solo sbagliato, manca di empatia e di vicinanza a chi ha assistito al terremoto.
Era un tweet stupido, irrispettoso, superficiale. E, vista la volontà di sfruttare
l’hashtag #terremoto, anche un po’ meschino.

Crisi Volkswagen sull’emissioni: continuano il loro piano editoriale senza considerare


la crisi, per poi scusarsi, utilizzando una vera e propria immagine di scuse (con il
direttore di Volkswagen che si inchina).
Costruendo una community, questa fornirà, se è vera, un sostegno alla marca anche
in casi di crisi.

Quali commenti vanno nascosti? Quando è necessario allertare altri team o il


management? In quali casi (estremi) si decide di disattivare i commenti?
Le regole della Pagina sono un prezioso salvagente nel caso sia necessario
nascondere commenti o addirittura bannare utenti per comportamenti poco corretti.
Mettersi nei panni del cliente.

Bisogna fare un piano di “crisis management”:


- identificare gli scenari possibili di crisi e prepararsi
- messaggi interni ed esterni
- proattivi
- individuare livelli di risposta
- preparare le persone che dovranno occuparsi della crisi
Potrebbe essere utile innanzitutto raccogliere gli epic fail del vostro settore e di altri,
di modo che, se è vero che è impossibile prevedere al 100% cosa scatenerà la crisi,
si può prendere ispirazione e imparare.
Insieme all’ufficio legale e ai responsabili delle diverse aree aziendali prototipate dai
casi possibili crisi (Interna ed esterna) e i relativi processi da attivare. Naturalmente,
in questi processi, devono essere indicate le persone da contattare per risolvere le
questioni e a cui chiedere, se necessario, di intervenire pubblicamente.

Sui social non bisogna copia/incollare pezzi di comunicato stampa. Non bisogna
dare l’impressione di pensare cose tipo “Ecco qui la nostra risposta ufficiale, ci tocca
postarla e la postiamo”. Come sempre, bisogna adattare il messaggio alle diverse
piattaforme. Su Twitter, per esempio, dovremo avere il coraggio di usare l’hashtag
che si riferisce al nostro epicfail. In questo modo ci inseriremo nello stream in
questione, dando visibilità alla posizione aziendale assunta, e dimostreremo che
siamo consapevoli del problema. Poi, nello stesso tweet, riporteremo una sintesi
della posizione assunta dall’azienda e il link alla pagina del sito che contiene il
comunicato ufficiale.
Su Facebook adattate il messaggio al tone of voice abituale. È quello a cui sono
abituati i vostri fan ed è quello che vogliono sentire. Fateli sentire a casa! Fategli
capire che sì, siete umani e avete commesso un errore (chi non ne fa!), ma che
dopo tutto non siete così male.

Individuare le figure aziendali che possono intervenire per risolvere il problema.


Assicuratevi che siano persone che abbiano la giusta sensibilità e la giusta dose di
empatia. E che magari conoscano i meccanismi dei social media. Formateli, facendo
media training.
Poi ci sono gli alleati più importanti di tutti, quelli esterni. Se abbiamo costruito una
community questa si potrà attivare – meglio ancora se spontaneamente – a difesa
del brand. Se li abbiamo coinvolti bene in tempo di pace li avremo dalla nostra parte
quando saremo in trincea.

Le conoscenze acquisite non devono andare disperse ma diventare patrimonio di


tutta l’azienda. Tutti gli strumenti utili alla prevenzione e alla gestione di un evento
negativo devono essere aggiornati e integrati
Se l’azienda risponde bene, si scusa, trova una soluzione, la crisi potrebbe
trasformarsi in un’opportunità relazionale anche

Quando la crisi finisce, bisogna fare un rebrief. Le conoscenze acquisite non devono
andare disperse ma diventare patrimonio di tutta l’azienda. Tutti gli strumenti utili alla
prevenzione e alla gestione di un evento negativo devono essere aggiornati e
integrati.

Metriche per i social media


I tool di ascolto individuati nella prima fase del piano consentiranno ora di mantenere
traccia della qualità degli ingaggi, di misurare la brand reputation e la soddisfazione
dell’utente. I dati raccolti verranno comunicati al committente sulla base di specifici
report in modo da valutare l’efficacia della strategia ed eventualmente ridefinirla.

Il report serve a tutelare noi stessi e il nostro lavoro, ma anche per capire ciò che
conta per i nostri clienti e la nostra azienda.

KPI, strumenti di misurazione collegati agli obiettivi dell’impresa. Di conseguenza,


affinché siano utili, occorre che gli obiettivi siano ben definiti (SMART).
Non va bene dire “Parleremo della nostra nuova pagina Facebook e vedremo se gli
piacerà così tanto da comprare i nostri prodotti” oppure “Promuoveremo la nostra
nuova pagina Facebook nelle pubblicità che inseriremo nei siti di Rolling Stone,
Sport Illustrated e Maxim. Il 15 luglio conteremo i like sulla pagina e confronteremo
le vendite con quelle realizzate nello stesso periodo dello scorso anno”

- riferimenti precisi
Ci sono delle kpi che riguardano l’advertising
- reach: è la ”portata”, il numero di persone raggiunte dal nostro messaggio
- frequenza: il numero medio di volte che un soggetto è esposto al messaggio
- clickthrough (CTR): il numero di persone esposte a un annuncio o a un link
e che hanno effettivamente cliccato su esso.
Il primo banner della storia, con una percentuale del 30% delle CTR. Oggi la
percentuale è del 0,3%
- Tasso di conversione in vendite: il numero di persone raggiunte dal nostro
messaggio e proseguono, clic dopo clic, fino all’acquisto del prodotto.
- Viewthrough: il numero di persone esposte al nostro messaggio ma che non
fanno clic; in un secondo momento queste persone visiteranno il nostro sito

Catena dell’engagement:
Dimensioni del coinvolgimento:
- primo contatto
- interazioni
- intimità
- influenza

Le metriche devono servire per fare cose, non interessa il numero di follower ma
quello che fanno (like, share, engagement)
No vanity metrics, Si actionable metrics
Misurate solo quello che è veramente importante. Si deve cercare di utilizzare anche
poche KPI, purché però collegate da un rapporto di causa/effetto.
Limitarsi a contare la quantità di interazioni fra persone e brand non basta.
Dobbiamo cercare di conoscere anche il grado di interesse dei pubblici nei vari
touchpoint e come queste esperienze influenzano l’atteggiamento nei confronti della
marca.

Touchpoint sono molti e dovremmo cercare di usarli tutti

Le metriche sono persone.


Le metriche sono persone. Capire cosa ha funzionato, quali sono state le azioni di
successo e quali, al contrario, non hanno dato risultati permetterà non solo di
ottimizzare tempo e risorse, ma di conoscere i propri utenti, acquisendo informazioni
preziose sulle loro preferenze.

I dati vengono presi dalle analytics dei social

- Brandwatch: un tool in cui possiamo trovare molti dati


- Google -> looker studio permette di creare report
- youtube studio
- supermetrics
- powerbyanalytics
- keyhole
Un modello riassuntivo:

Per costruire delle narrazioni efficaci bisogna partire dall’identità di marca, se è


attuale, riesce a cogliere i valori del momento; narrare per insight (le narrazioni
profondi che spingono all’acquisto (?)), l’identità di marca la si rende disperdibile
(spreadability): agganciando la partecipazione poi dovremmo immergerci nel flusso
adottando le pratiche, influencer e luoghi giusti, se tutto questo ha funzionato le call
to action possono essere molte,attraverso la costruzione (insieme) di una narrazione
(Venite, faremo insieme, ecc). La call to action funziona solo se i passaggi
precedenti hanno funzionato.
Può essere adottato anche per guidare le strategie di comunicazione e i piani di
comunicazione.

Storytelling
Un’espressione abusata, dietro la quale c’è l’idea che le persone – i consumatori, gli
elettori, gli investitori, gli allievi – possano essere conquistate a un’idea, un valore o
un marchio soprattutto attraverso la proposizione di un dispositivo retorico di tipo
narrativo.
Partecipazione e diffondibilità (Spreadability): Partecipando in una brand story, i
consumatori la personalizzano, rendendola importante e mirata in un modo che
difficilmente il brand da solo riuscirebbe a raggiungere.
Inoltre, [i consumatori] sono molto più disposti a diffondere la storia [...], che è un
aspetto essenziale nel successo di un progetto di branding
[...]. La gente vuole interagire con narrazioni che si possono diffondere. (Tenderich &
Williams 2015)

Narrare è costruire un mondo: Qualsiasi testo narrativo, dal romanzo al fumetto, da


un film a uno spot crea un proprio mondo immaginario, o come si dice un mondo
possibile.

Andrea Semprini: Un mondo possibile è un universo di senso fatto anche di un


immaginario e di valori specifici.
Un brand può costruire intorno a sé un mondo possibile, costituto da:
- un immaginario di marca, costruito appropriandosi e miscelando parti
dell’immaginario sociale già esistente
- una serie di valori attribuiti al brand e apprezzati e condivisi dal proprio target
ideale.
Caratteristiche dei Mondi Possibili di Marca
- Visibilità: i segni della marca devono essere percepibili facilmente
- Permanenza: la marca è sedimentazione
- Coerenza: gli atti comunicativi devono convergere.
Transmedia Storytelling
- Un processo dove elementi integrati di una narrazione vengono dispersi
sistematicamente attraverso molteplici canali con lo scopo di creare
un’esperienza di intrattenimento coordinata e unificata.
- Ogni testo offre un contributo distinto e importante all’intero complesso
narrativo.

Franchise: Accordo stabilito tra una “compagnia madre” (franchiser) e una o più
altre aziende (franchisee) per lo sfruttamento di beni o servizi di cui la “compagnia
madre” detiene la proprietà intellettuale (il franchise)

Forti motivazioni economiche dietro la narrazione transmediale


- vendere un’esperienza sui media differenti
- media diversi attraggono differenti segmenti di mercato

Cross promotion: Accordo stabilito tra una “compagnia madre” (franchiser) e una o
più altre aziende (franchisee) per lo sfruttamento di beni o servizi di cui la
“compagnia madre” detiene la proprietà intellettuale (il franchise)
«Un buon franchise transmediale – scriveva Jenkins – è in grado di attrarre
un’audience più vasta offrendo contenuti diversi nei diversi media. Se ogni lavoro
offre esperienze inedite, allora un mercato trasversale espanderà i ricavi possibili
all’interno di ogni singolo media (Henry Jenkins, 2003).»

Transmedia storytelling:
- pianificazione: oggetto transmediale
- coerenza dell’universo narrativo
- non ridondanza dei contenuti

- Reiterazione multimediale
Genera la produzione di contenuti ridondanti o crivellati di contraddizioni disordinate
se non rispettano la coerenza di fondo del franchise

- Correlazione transmediale
Mira ad integrare in modo coordinato e unificato le differenti manifestazioni di un
franchise all’interno del medesimo universo narrativo, spingendo il consumatore a
migrare da una piattaforma ad un’altra per esplorarne ogni angolo.
il franchise non viene più concepito come una matrice singolare, da trasporre su
diversi media attraverso la replicazione o l’adattamento, ma come un sistema plurale
da disseminare in diverse piattaforme attraverso un processo di estensione.
Al centro dell’idea di transmedia storytelling c’è l’esistenza di mondi narrativi ai
quali afferisce una pluralità di narrazioni realizzate su piattaforme mediali diverse.
Ogni media/piattaforma contribuisce ad arricchire la complessità dell’universo
diegetico, raccontando aspetti diversi di un più vasto mondo narrativo.

Worldbuilding
Henry Jenkins: La costruzione di un mondo narrativo è una delle caratteristiche
centrali del transmedia storytelling: ogni testo di un franchise estende la narrazione,
esplorando diversi aspetti del mondo condiviso e mostrando diversi corsi d'azione,
per esempio concentrandosi su eventi soltanto accennati nel testo primario
("mothership").

“La narrazione è divenuta sempre più l’arte della creazione di mondi, dal momento
che gli artisti creano ambientazioni affascinanti non completamente esplorabili e non
concluse in un unico lavoro o in un singolo medium. Il mondo è più grande
del film, e perfino del franchise, dato che le elaborazioni e le congetture dei fan lo
espandono in varie direzioni”

«Una volta per poter fare un film bisognava creare una storia con una buona
narrazione; poi con i sequel divenne importante inventare un buon personaggio che
potesse reggere più storie. Oggi invece si inventano mondi che possano ospitare
molti personaggi e molte storie su più media.»

La creazione di mondi transmediali segue una propria logica di mercato;


ogni elemento interessante della storia può potenzialmente dar vita a una
nuova e differente linea di prodotti.

Mark J.P. Wolf sviluppa una vera e propria estetica basata sui mondi immaginari,
basata sull’ESPERIENZA del mondo finzionale.

Esempi:
- Avatar
- Videogiochi
- MMORPG
Le storie sono elementi costitutivi della marca contemporanea che attraverso
di essi trasmette valori e coinvolge sul piano emozionale i propri destinatari.
Le storie di marca, però, fanno parte anche di quel complesso reticolo di esperienze
che le persone vivono tutte le volte che, in un ambiente mediale sempre più
immersivo e diversificato, entrano in contatto con i brand.

L’identità di marca non è più definita esclusivamente dalle attività aziendali di brand
management ma, sempre più, dai comportamenti di consumo e dalle conversazioni
a cui danno vita le persone a cui le marche si rivolgono.
(Giuseppe Segreto)

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