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Molte sono state le definizioni date per indicare la società dei consumi. Dapprima la sociologia e la
storiografia l’ha intesa come successore della rivoluzione industriale, essa coincide dunque con il
consumismo. La teoria produzionistica ha inteso la società dei consumi come effetto del mondo del
capitalismo. A questo approccio si sono contrapposti sociologi come McKendrik,Campbell e Jan DE
Vries, dando vita alla svolta antiproduzionistica. Le loro tesi Pur mostrandosi in maniera differente
hanno tutti un unico fine: far comprendere che la domanda si configuri come un fattore importante del
processo economico e culturale. Esse vogliono sottolineare che seppur in modo diverso, i desideri di
consumo hanno avuto un ruolo attivo e creativo nel dar forma alla modernità.
La teoria di McKendrick è definita CONSUMISTICA, proprio perché secondo l’autore, la nascita dei
consumi è legata al consumismo; tutto nasce dal consumo, anche l’industrializzazione.
In contrapposizione con la tesi di McKendrick, Campbell ne offre una un po’ più modernista. Secondo
lui, ciò che muove i desideri dei consumatori è un atteggiamento estetico di stampo romantico che porta
ad un’edonistica ricerca del nuovo. Il consumatore è un’edonista, ha continuamente sete di novità e
originalità; attacca i suoi sogni ad oggetti del desiderio, non appena ottenuti li stacca e ne fa esperienza e
dunque consuma. Il consumo dunque secondo questa visione, è una ricerca del piacere
dell’immaginazione che conduce l’immagine di un prodotto. Questa teoria però ha dei limiti, poiché
trascura i processi sociali che rendono più adatte certe fantasie a seconda di genere, razza,sessualità
ecc..In più Campbell si concentra solo sul consumo trascurando alcuni aspetti… Colui che invece ha
cercato di riconciliare lo studio del consumo con i processi produttivi è Jean De Vries. Nella sua teoria
scambista, sostiene che durante un periodo di crisi, le famiglie della fine del ‘600 più che aver
risparmiato, abbiano consumato di più. Secondo De vries dunque, la società dei consumi nasce dalla
necessità di partecipare agli scambi monetari. Il consumatore è visto come soggetto capace di scegliere
ed esprimere i propri gusti. Queste teorie seppur avendo obiettivi comuni, risultano comunque essere
limitanti.
La nascita della società dei consumi, secondo Sombart: lo sfruttamento delle colonie ha fatto crescere
il numero dei beni in circolazione e la frequenza del loro scambio. Secondo Sombart il lusso ha la
capacità di “creare i mercati” -> l’alta borghesia cerca di uniformarsi alla nobiltà attraverso il consumo
di beni di lusso. Si è verificata così un’ibridazione tra cultura alta e cultura bassa.
Demoralizzazione del lusso: il lusso perde la sua forza morale discriminante. Il fondatore dell’economia
liberale Adam Smith legge tutti i consumi, anche quelli lussuosi, in chiave mercantilistica come fattori di
sviluppo economico. Smith parla anche di beni che indicano una confortevolezza non ostentata come il
caffè o lo zucchero (primo lusso democratico) con il termine di decencies. Secondo Williams la nascita
dei grandi magazzini e la diffusione del sistema pubblicitario ha segnato il nostro modo di consumare,
nell’800 il tempo libero dei borghesi è interconesso al tempo dello shopping, si inizia a parlare di
consumatori. Nel periodo post-bellico nascono le bedroom cultures, i ragazzi esprimono la loro
personalità attraverso i beni che consumano e appaiono nelle loro camerette. Demoralizzazione dei
lussi, motorizzazione di massa
5. MODA E PATINA
Simmel sostiene che il valore delle cose dipende dalla valutazione che ne dà il soggetto, anziché essere
fondato su un dato oggettivo e assoluto come le sue proprietà materiali intrinseche o la quantità di
lavoro che incorpora. La valutazione soggettiva è però a sua volta condizionata dal contesto storico e
culturale in cui ha luogo. Es.moda-> vestiti che sappiano segnalare agli altri la sua identità, sia come
appartenenza a un gruppo, sia come originalità e individualità. Questo fenomeno è il risultato di due
principi della logica sociale: • Il bisogno di COESIONE • Il bisogno di DIFFERENZIAZIONE. Seguendo la
moda ci affiliamo ad alcune persone e ci differenziamo da altre, ma allo stesso tempo possiamo godere
della sensazione di esprimere noi stessi in un linguaggio comune e quindi comprensibile anche ad altri.
Per Simmel inoltre la moda è anche metafora del fascino che le novità esercitano sul soggetto moderno
in generale, e sulla borghesia e le classi medie in particolare. McCracken ha sostenuto che mentre nelle
società tradizionali il principio guida per l’attribuzione di valore ai beni era dato dalla patina (ovvero
quell’aspetto che i beni acquistano a causa dell’usura nel corso di diverse generazioni), nella modernità
esso diviene la moda, intesa come ricerca del nuovo-> questo avviene perché i nobili divenuti cortigiani
non potevano più permettersi che gli oggetti diventassero vecchi, quindi il valore dei beni veniva
sempre più a coincidere con il loro apparire nuovi e moderni. Oggi a distanza di secoli ci accorgiamo che
moda e patina convivono
6. BAUDRILLARD MERCI,VALORE,SEGNO
Il pessimismo culturale della teoria critica e della Scuola di Francoforte sfocia, sul primi anni ’70 nelle
prime teorizzazioni postmoderniste. Esse tendono ad enfatizzare il ruolo centrale acquisito dal
consumo e dalla dimensione simbolica dei beni. o. Il consumo non si riferisce più al miglioramento della
vita umana. Baudrillard, ha sostenuto che nelle società contemporanee la sfera del consumo trionfa su
quella della produzione. Egli ha cercato di rimuovere il concetto di produzione dalla posizione di fattore
funzionalmente prioritario assegnatogli dalla teoria marxista, tentando così di ovviare all’idea che gli
oggetti abbiano un valore d’uso originario e naturale, falsamente offuscato dal prezzo e dai significati
simbolici che vengono loro assegnati nelle società capitalistiche. Il valore di un oggetto è sempre
imprescindibilmente legato ai suoi significati, non esiste una valore d’uso puro, naturale e materiale. Le
società postindustriali sono però diverse da quelle precedenti perché in esse il significante è in grado di
fluttuare libero dagli oggetti. In quest’ottica il simbolico non esiste più: al suo posto vige un continuo
rimando tra segni differenti, tra immagini variopinte, che non simboleggiano più una realtà sociale,
bensì si riferiscono a se stesse, al punto da creare esse stesse la realtà. Egli sostiene che gli oggetti si
configurano come un vero e proprio “sistema”, formano un insieme organizzato di segni “globale,
arbitrario e coerente”.
8.DOUGLAS E ISHERWOOD
Mary Douglas insieme a Isherwood ha utilizzato l’approccio etnografico per studiare i consumi e hanno
compreso che gli oggetti sono un mezzo, attraverso cui le persone condividono significati e valori
all’interno di diverse culture. Nell’impostazione di Douglas l’enfasi è posta sul soggetto e sulla sua
identità. Ogni individuo mira, in competizione con gli altri, ad occupare una posizione dominante nella
creazione dei significati. I beni secondo questi autori, possono essere legati o per legare o per dividere,
per sottolineare alleanze o estraneità sociale. Il principale bersaglio critico di Douglas è quella certa
visione che vede il consumatore come un “essere incoerente e frammentato, confuso nei propri scopi e
appena responsabile delle proprie decisioni, del tutto in balia delle variazioni dei prezzi, da un lato, e
delle oscillazioni della moda dall’altro”. Nell’impostazione di Douglas l’enfasi è posta sul soggetto e
sulla sua identità. Il consumo è il vero e proprio “campo in cui viene combattuta la battaglia per definire
la cultura e darle forma”, riflette scelte fondamentali sul tipo di società in cui si vuole vivere e sul tipo di
persona che si vuole essere e ovviamente su ciò che non si accetta e non si vuole essere. Il consumo è
fondamentale perché permette una continua “riclassificazione” del mondo circostante e un ricorrente
confronto con gli altri.Le azioni del consumatore odierno impegnato nello shopping non sono
semplicemente determinate dal mercato o dalla moda. Il consumatore non è né reattivo né passivo ma
al contrario comunica a se stessi e agli altri la propria identità. Anche se i consumi “fanno parte di un
sistema di informazioni aperto, tale filosofia si colloca in uno dei 4 orientamenti culturali (cultural
biases) fondamentali che sono presenti in tutte le forme di organizzazione sociale. Questi orientamenti
corrispondono all’incrociarsi di due dimensioni dell’organizzazione sociale: • La struttura sociale (o
griglia): forte e gerarchica / debole e egualitaria; • I gruppi: fortemente integrati / deboli. I biases
rappresentano gli orientamenti prevalenti in società diverse; al gerarchico corrisponde l’economia
tradizionale, all’individualista corrisponde l’economia capitalista competitiva, all’autoritario la vita dei
contadini e all’isolato quello dei monaci dei conventi. In ciascuna società tali biases sono poi connessi a
diverse condizioni di vita strutturali. I limiti sull’analisi griglia/gruppo: ci si chiede cosa succede al
confine tra i diversi orientamenti culturali, se tali orientamenti siano individuali o sociali, come siano
connessi alle condizioni sociali strutturali e soprattutto se sono davvero universali. Douglas così come
Bordeau tende a sottovalutare la questione dei cambiamenti storici e culturali di lungo periodo.
10.RETORICA ANTICONSUMISTICA
La retorica anticonsumistica è stata particolarmente influente nel secondo dopoguerra. Secondo tale
retorica il consumo, criticato nelle sua veste moderna come “consumismo” o “cultura di consumo”, ha
dato luogo a un impoverimento spirituale, per cui si ricorrerebbe ai beni materiali quali surrogati di
altre forme di soddisfazione, autorealizzazione e identificazione che avevano luogo nella sfera del
lavoro e della partecipazione politica. Come hanno sostenuto Bell e Lasch, la sfera del consumo sarebbe
organizzata secondo principi radicalmente opposti a quelli della produzione. Lasch in particolare,
riarticolando in modo pessimistico le osservazioni di Riesman sulla personalità eterodiretta, sostiene
che la disgregazione della sfera pubblica e la burocratizzazione del lavoro si sarebbero combinate a una
“cultura di consumo” che ha promosso un tipo di personalità ossessionata dai propri bisogni da
vendere agli altri. La formazione dell’identità non avverrebbe più in relazione agli ideali stabili e
sostenuti dalla famiglia tradizionale ma alla possibilità di presentare un’immagine di sé vendibile e
convincente -> sviluppo di personalità deboli e isolate che vanno alla continua ricerca di una
gratificazione negli oggetti e che sono destinate ad essere continuamente deluse. La voracità del
consumatore moderno lo spinga a lavorare in modo smodato e privi di senso, unicamente per
procurarsi i denari che occorrono per acquistare sempre nuove merci. La grande crescita della cultura
materiale viene quindi criticata come fonte di disorientamento e minaccia all’autenticità del soggetto
che si vuole forte e autonomo, capace di costituirsi a partire dalle sue opere e non dai suoi averi. Tale
crescita configurerebbe un processo inesorabile di “reificazione” in cui anche gli uomini diventano
oggetti misurabili proprio come le merci.
IN BREVE: La retorica anti-consumista è stata influente nel secondo dopoguerra, dove il consumo
criticato nella sua veste moderna come “consumismo” ha dato vita ad un impoverimento spirituale. La
cultura di consumo favorisce lo sviluppo di personalità deboli e isolate che vanno alla ricerca di una
gratificazione negli oggetti e che sono destinate ad essere continuamente deluse. La grande crescita
della cultura materiale si configurerebbe come un processo inesorabile di “reificazione” in cui anche gli
uomini diventano oggetti misurabili proprio come le merci
Con la rivoluzione consumistica passiamo dal consumo al consumismo, Il consumismo si contrappone alla
società solido-moderna con una nuova società liquido-postmoderna, in cui la felicità non sta più nella
soddisfazione dei bisogni, ma nella costante crescita della quantità e dell’intensità dei desideri e ciò porta
ad un costante ed inesorabile upgrade dei beni di consumo in possesso.
In questo contesto anche il concetto di «felicità» muta. Chiunque vuole ottenere la felicità, ma risulta
impossibile definirne un significato o un metodo assoluto per il suo raggiungimento: di fatto ciò dipende dal
contesto sociopolitico in cui ciascun popolo vive. Per questo motivo non si può stabilire se la moderna
rivoluzione del consumismo abbia reso le persone più o meno felici rispetto ad una società solidomoderna
o premoderna. Per chi vive in una società liquido-moderna, anzi il raggiungimento deve essere
irraggiungibile, devono rimanere insoddisfatti i desideri.
16. Stato sociale per bauman ( nel libro non dovrebbe essserci)
Uno stato è sociale quando promuove il principio dell’assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali
e le loro conseguenze. È tale principio a ridefinire l’idea di “società” come esperienza di comunità sentita e
vissuta, sostituendo l’ordine dell’egoismo all’ordine dell’uguaglianza che ispira fiducia e solidarietà. E’ lo
stesso principio a elevare i membri della società allo status di cittadini, compartecipi oltre che azionisti,
attori e non solo beneficiari. L’applicazione di tale principio è in grado di proteggere uomini e donne dalla
piaga della povertà; la cosa più importante, è che può diventare una copiosa fonte di solidarietà, capace di
convertire la società in un bene comune, condiviso, posseduto dalla comunità, di cui prendersi cura insieme
poiché è improbabile che la salvezza arrivi da uno stato politico che non è, o che rifiuta di essere, uno stato
sociale. Lo scopo dello stato sociale è proteggere la società ed evitare il moltiplicarsi delle “vittime
collaterali” del consumismo, Il suo compito è salvare dall’erosione la solidarietà umana e dalla
disgregazione i sentimenti di responsabilità etica.
Ritzer ne il mondo alla McDonald’s (1993), offre una lettura critica dei consumi in chiave di globalizzazione -
> sostiene che la “cultura di consumo” ha un effetto “disumanizzante” perché è l’ultima espressione
globalizzata del processo di razionalizzazione iniziato con la modernità. McDonald’s sarebbe il modello di un
processo di McDonaldizzazione che investe molte altre aziende: segnerebbe una nuova stagione
dell’organizzazione produttiva che si fonda sull’articolazione di 4 principi: • Efficienza: implica un’enfasi sul
risparmio del tempo e quindi sull’individuazione dei mezzi più rapidi ed economici per ottenere fini dati; •
Prevedibilità: ricerca della replicabilità e della standardizzazione dei prodotti che viene garantita grazie a
sempre più s controllo sulle fasi della produzione e della distribuzione; • Calcolabilità: esaltazione della
quantificazione e una sostituzione della qualità con la quantità; • Controllo tramite sostituzione del lavoro
umano con quello delle macchine. Ritzer nota che queste caratteristiche si sono diffuse ben oltre
McDonald’s e sono riscontrabili anche in altre catene (Hard Rock, The Body Shop, Benetton ecc...)
Secondo questa logica, consumatori e (piccoli) produttori si sono alleati contro la standardizzazione e la
globalizzazione. La resistenza dei consumatori nei confronti delle grandi imprese multinazionali e della
standardizzazione si esprime anche mediante movimenti dal basso che organizzano non solo il boicottaggio
di particolari prodotti ma anche azioni di protesta di forte impatto simbolico. A partire dal secondo
dopoguerra in tutti i paesi occidentali si sono diffusi movimenti per la difesa dei consumatori che hanno
adottato un pacchetto di “diritti del consumatore”. Questo pacchetto è composto da 4 diritti: 1. Diritto alla
sicurezza -> a essere protetti da prodotti pericolosi 2. Diritto a essere informati -> a essere protetti da
pubblicità fuorvianti 3. Diritto di scegliere -> ovvero aver accesso a un vasto assortimento di prodotti che
competono per prezzo e qualità 4. Diritto a essere ascoltati -> riconoscimento dell’importanza del
consumatore nel processo economico.